Sven Hassel
Commando Himmler traduzione di Giovanna Rosselli Titolo originale dell'opera: KOMMANDO REICHSFÜHRER HIMMLER...
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Sven Hassel
Commando Himmler traduzione di Giovanna Rosselli Titolo originale dell'opera: KOMMANDO REICHSFÜHRER HIMMLER
Perché la Vistola si gonfia come il petto dell'eroe che esala l'ultimo respiro su un greto selvaggio? Perché il lamento ritmico dell'onda, che nasce dal profondo abisso, ha l'eco di questo sospiro del cavaliere morente? Lo stesso lamento sale sempre dal letto del fiume, tanto triste e tanto simile a un sogno di morte. I salici dalle foglie d'argento piangono anch'essi, e le giovani di Polonia hanno perduto il dolce sorriso.
« I tedeschi sono inequivocabilmente ottimi soldati », scriveva sul suo taccuino, il 21 maggio 1940, il generale al comando del II corpo d'armata inglese, colui che in seguito sarebbe diventato Lord Maresciallo Alanbrooke. Questo libro è dedicato a tutte le vittime della seconda guerra mondiale, e al Milite Ignoto, nella speranza che uomini politici irresponsabili non ci facciano precipitare una terza volta in un'assurda, sanguinosa follia.
2 « È solo il potere che io desidero. Quando lo avremo conseguito, lo conserveremo e nessuno ce lo potrà più strappare. » Discorso di Hitler a Monaco, 30 novembre 1932
Nessuno degli uomini della 5ª compagnia aveva personalmente chiesto dì andare in missione speciale a Sennelager, ma chi si è mai preoccupato di pensare ai desideri o alle preferenze del soldato di truppa? Si deve solo e in modo assoluto ubbidire agli ordini, perché in caso contrario, nel brevissimo intervallo di tempo indispensabile per scrivere due parole, si è deferiti al battaglione 999, quello dei degradati, il terrìbile battaglione disciplinare. Volete qualche esempio, se ancora ne dubitate? Il comandante di un carro si rifiuta di incendiare un villaggio abitato: Consiglio di guerra, degradazione, To.rgau, battaglione 999. Un Obersturmführer delle SS rifiuta di lasciarsi trasferire al Servizio di Sicurezza: Consiglio di guerra, degradazione, Germersheim, battaglione 999. E così via di seguito. Da qualche tempo, ormai, venivano trasferiti nei battaglioni disciplinari anche dei criminali veri e propri. Capitolo primo, articolo primo del regolamento dell'esercito germanico; vi si legge: « Il servizio militare è un servizio d'onore... » e, al paragrafo 13: « Chi è stato condannato alla prigione per più di cinque mesi non è più degno di appartenere all'esercito, e deve immediatamente essere radiato dalle forze armate di terra, di mare e dell'aria ». Ma al paragrafo 36: « Alcune circostanze eccezionali annullano il paragrafo 13 e accordano ai soldati puniti la possibilità di essere reintegrati nell'esercito germanico. Nondimeno saranno incorporati in reggimenti particolari nei quali la disciplina è ovviamente rigidissima. Coloro che saranno stati
3 giudicati rei di crimini molto gravi andranno a far parte delle compagnie disciplinari di lavoro duro dove non sarà tollerata la proprietà di qualsiasi tipo di arma. Saranno destinati al lavoro di sminamento, e al seppellimento dei morti. Dopo sei mesi di buona condotta, l'uomo ' indegno ' di appartenere all'esercito potrà essere trasferito nel reggimento dei soldati puniti, ma al fronte. Cominceranno col servire nel battaglione disciplinare 999, a Sennelager. In stato di guerra, i graduati dovranno espletare il loro servizio per almeno dodici mesi in prima linea. In tempo di pace, almeno dieci anni di servizio attivo. Tutti i graduati subiranno pene molto dure se non si mostreranno sufficientemente responsabilizzati. Le reclute particolarmente coraggiose che non indietreggeranno davanti a qualsiasi tipo di missione saranno trasferite in un reggimento dell'esercito regolare e riconquisteranno gradi e onore militare. Tuttavia dovranno presentare almeno quattro volte consecutive la domanda per ottenere la croce di guerra, dopo aver partecipato a una singola azione di particolare valore ». La scelta del numero 999 (i tre nove) era dovuta a un'alzata di ingegno del capo della sezione addetta al personale, il comandante Reinecke. Era molto noto per il suo umore particolare, e gli era stato affibbiato un soprannome, « Sorriso d'asino ». Il Comando supremo, di primo acchito, era stato sorpreso e perplesso davanti a questo numero di tre cifre, dal momento che il numero 900 era stato già da tempo riservato ai reggimenti speciali. Ciò nondimeno la soluzione era stata accettata, dopo le spiegazioni argute del colonnello. « È uno dei numeri di telefono di Scotland Yard; per l'esattezza quello della centrale dove concentrano i criminali inglesi. Ho pensato perciò che i tre nove era un numero straordinariamente adatto ai criminali tedeschi. » E per coronare questa bella trovata fu stabilito di far precedere la cifra da una grande V sbarrata di rosso che significava «annullato ». Per la verità non era il significato voluto, ma che cosa importava! Dio e il diavolo annullano e cancellano più facilmente un errore
4 commesso che non i funzionari prussiani. Dio si è preso pietà degli infelici, ma la burocrazia intoccabile ha invece una memoria eccellente. Noialtri, povere bestie del fronte, eravamo perfettamente a conoscenza di tutto questo stato di cose ma ci rifiutavamo di giudicare le persone sulla base di un loro comportamento antecedente che poteva avere molte interpretazioni e giustificazioni diverse. Per noi, principi e umili operai erano individui perfettamente uguali. Se si trattava di un buon camerata, di quelli che dividono con noi la loro ultima sigaretta, era accolto e subito trattato come un amico di sempre; ma se invece apparteneva a quel tipo di individuo, percentuale molto piccola d'altronde, che di nascosto, nella semioscurità delle latrine della caserma, si rimpinzava tutto solo, era disprezzato e subito allontanato da tutti. Nell'esercito, nessuno può vivere da solo. La legge del cameratismo è più imperiosa qui che in qualsiasi altro nucleo di persone costrette a vivere in comunità.
5
IL CAMPO DISCIPLINARE DI SENNELAGER Una vecchissima locomotiva sta facendo manovra, trascinando una lunghissima fila di ancor più vecchi vagoni merci. Sulla banchina della stazione, i viaggiatori guardano con curiosità questo treno che cigola e stride, nel procedere lentissimamente. Nei due vagoni, di testa e di coda, sono di guardia gendarmi armati fino ai denti, che portano sul petto il simbolo così tristemente noto, a testa di morto, delle SS. Noi, su una banchina laterale d'imbarco, stiamo giocando a carte con dei prigionieri di guerra inglesi e francesi. Il caporale di stato maggiore Porta e un sergente scozzese ci avevano quasi vuotato le tasche, cosa questa che fa letteralmente imbestialire Fratellino e Gregor Martin che già da un'ora giocano a credito contro ben quattro attestazioni di debito segnate a favore del sergente scozzese. Il nostro capo di compagnia, tenente Lòwe, arriva di furia interrompendo, senza la più lieve ombra di riguardo, il nostro gioco di dadi: « Si parte, su! In marcia, ragazzi ». « Merda! » grugnisce Porta. « Nemmeno in un casino si entra a questo modo! La vita privata dovrebbe essere più rispettata, perdio! » « Piantala, Porta! » lo riprende Lòwe. « Ne ho abbastanza delle tue eterne recriminazioni. » Porta si mette sull'attenti: « Tengo a informare il signor tenente che il caporale Porta ubbidisce immediatamente e starà zitto», dichiara quello sconsiderato che vuole avere sempre l'ultima parola. E a-
6 vrebbe risposto così anche al Führer stesso, beninteso. Il Vecchio si alza lentamente dal secchio capovolto che gli ha fatto da sedile, si stringe il cinturone appesantito dalla grossa pistola regolamentare dell'esercito, e si rimette ben calato sulla fronte il piccolo berretto di primo carrista. « Seconda sezione, alle armi, e in fila! » Tutti si alzano brontolando. Si stava così bene, perdio! Perché non l'avevano fatto saltare in aria quel maledetto treno, con un bel paio di bombe? I prigionieri di guerra rimangono seduti, e uno dei due sghignazza insolente: « La patria ha bisogno di voi, fratelli... » « Tornate più presto che potete, ci mancherete molto! » ride lo scozzese buttando la sua cicca in un tascapane. « Cretino », gli risponde Fratellino senza tuttavia acrimonia. « Avremmo proprio dovuto obbligarti a scendere alla stazione di Dunkerque! » « Troppo tardi », replica lo scozzese, alto e massiccio. « Ma è ancora possibile*1 che si venga uccisi, tu e io, prima della fine di questa maledetta guerra. Così riprenderemo la nostra partita a dadi in paradiso. » « Preferirei piuttosto andare all'inferno con la SS Heini e tutta la comunità israelitica internazionale », borbotta Fratellino che era stato ripulito in ogni tasca, e si era giocato persino la croce di guerra. Lo scozzese, nella valutazione del debito, pretendeva che la croce di guerra assumesse un valore reale solo all'arrivo degli americani, che collezionano sempre questo genere di souvenirs di guerra. Tornati a casa avrebbero sicuramente affermato di averla strappata a una SS di altissimo grado, durante un assalto a corpo a corpo avvenuto nientemeno che al quartier generale di Berlino. Sono già in vendita brandelli di uniforme macchiati di sangue, fasce e medicazioni usate. Un segno che la guerra sta forse per finire?
7 Porta comunque ha già riempito un'intera cassa di oggetti di questo tipo. Piove ininterrottamente da quattro giorni; la locomotiva manovra sbuffando sotto la pioggia, mentre tutti si mettono in spalla il proprio sacco; ci hanno gratificato di uniformi nuove che puzzano di naftalina a distanza di almeno cinque chilometri; unico vantaggio: non una sola pulce; sono passate tutte direttamente ai prigionieri di guerra cui non vengono certo assegnati indumenti nuovi. Sui vagoni di testa si vedono ancora le scritte con nomi dimenticati da tempo: Bergen, Trondjhem e altri ancora. Trasportano dei piccoli cavalli d'alta montagna che si assomigliano tutti, avendo una lunga linea nera sul dorso e il muso tutto nero. Fratellino, raggiante, li accarezza e viene gratificato di una lunga leccata amichevole; decide seduta stante di portarne uno con sé e sta già scaricando l'animale quando arrivano due guardie, con la pistola in pugno e lo sguardo cupamente omicida. « Che cosa succede qui? » fa una voce. È il tenente Lòwe che accorre, seguito dal capo delle guardie Danz, il sottufficiale più terribile di tutta Sennelager. « Che diavolo state facendo con questo cavallo? » « Mi ama », risponde Fratellino, accarezzando il piccolo cavallo che gli lecca il viso come un cane. « Lo vedete anche voi, signor tenente, mi ama! Lo chiamerò Jacob. È così piccolo che potrà benissimo entrare nel mio carro. » « Ne ho abbastanza di sciocchezze di questo tipo, Creutzfeldt, e non voglio cavalli nella mia compagnia. Finiamola una volta per tutte, chiaro? » Lòwe è già sparito, rapidissimo come sempre, diretto ai vagoni piombati. « Se fossi al posto di Lòwe, farei un momentino di attenzione », borbotta il gigante, regolando il proprio passo su
8 quello del Vecchio. « Ha torto a mettersi contro i piccoli cavalli norvegesi, senza parlare poi dei caporali di Amburgo e della sua maledetta guerra che si tiene sempre appiccicata al culo! » « Eh sì, i signori ufficiali ci invidieranno le nostre povere mostrine di lana », fantastica Porta. « È se non altro una prova che non abbiamo mai appartenuto al partito. Che ne dici, Julius? » « Dico che tutti i caporali saranno impiccati, tutti dal primo all'ultimo, prima che si chiuda completamente la bottega », dichiara il sottufficiale Heide con granitica sicurezza. « A te andrà malissimo, vedrai se non è vero, caro mio! Ce n'è un certo numero di caporali dell'esercito nella Grande Germania. Va' un po' a fare una visitina a Kiel, e vedrai cosa ce ne sono già di caporali della Marina che hanno già acceso le caldaie per infornare i loro merdosi ufficiali. I sottufficiali, poi, nuoteranno tutti nella marmitta. » « Continua pure, tu! Vedrai che cosa deciderà il Consiglio di guerra quando farò il mio bravo rapporto! » Con un'aria del tutto innocente, Porta dà un calcio a una lattina di olio, che fila diretta sulla nuca d'un gendarme, poi sornionamente mostra con un dito, da dietro la schiena, il sottufficiale Julius Heide. « Voi laggiù! » urla il gendarme strofinandosi il collo dolorante. « Il vostro libretto militare, e subito! » « Perché? » chiede stupefatto Heide. « Vi ho visto benissimo quando mi avete lanciato quel dannato coso sulla nuca! » « Io? » «Per la verità, l'ho visto anch'io», conferma Fratellino. Il gendarme prende qualche annotazione, rilevando i dati dal libretto militare con cura meticolosa. Imputazione: af-
9 fronto a un poliziotto prussiano. Prima di essere passato gendarme, l'uomo era stato preposto alla circolazione nella cittadina dove vive, Bielefeldt, dove annotava per otto ore consecutive le contravvenzioni nei parcheggi. Era un vero esperto dei regolamenti. « Questo vi porterà diritto al Consiglio di guerra! » « Che succede ancora? » interviene di nuovo il tenente Lòwe. « Segnalo al signor tenente che il sottufficiale Heide mi ha attaccato, e colpito. » Lowe strappa di mano il rapporto all'uomo, che lo guarda sconcertato. « Vi prudono le mani dalla voglia di fare un bel rapporto, vero? Filate immediatamente, sparite, altrimenti vi avverto subito che ho bisogno di sottufficiali nella mia unità. Se il suddetto Heide vi avesse attaccato, a quest'ora sareste morto; vivete, dunque avete mentito. Filate, ho detto! » Poi si rivolge al Vecchio: « E con questo, basta grane con la vostra benedetta sezione, Beier, ne ho abbastanza. Siamo un reggimento di carri armati, e non una classe di scolari in ricreazione. Se non siete in grado di mantenere la disciplina, vi faccio trasferire, chiaro? » L'ufficiale del convoglio arriva proprio in quel momento e saluta distrattamente portandosi due dita al berretto. « Signor tenente », borbotta, tendendo un fascio di documenti, « cinquecento prigionieri di fortezza per il battaglione 999, Senne. Ma vedete di sbrigarvi nel far evacuare i vagoni, perché sono già in ritardo. Devo andare a fare un nuovo carico a Dachau e a Glatz. » « Sono tutti vivi? » « Non lo so. Siamo in viaggio da quattordici giorni. Veniamo da Fühlsbuttel, poi Struthof, Torgau, Germersheim. L'ultimo carico di questa immondizia, l'ho raccattato a Buchenwald e Borge Moor. Una mandria di maiali. Firmate-
10 mi la ricevuta. » « Dolente, ma non è assolutamente possibile. Fate scendere i prigionieri e in fila, sulla banchina. Li conterò uno per uno. I miei sergenti non sbagliano mai il conto, e io non firmerò che per i vivi. » « Eh, che pignolo! Nessuno ha mai guardato così da vicino! Prigionieri? Ce ne sono sempre di più ormai, da quando è iniziato il quinto anno di guerra, se vogliamo proprio fare i meticolosi. Dovreste vedere quando li consegniamo alle Waffen SS. È presto fatto. Una palla nella nuca, e via, parte tutta la testa. » « Non ne dubito, ma noi non siamo delle SS. Questo è un reggimento di carri. Sono stato incaricato di prendere in consegna cinquecento volontari per il fronte, e non firmerò nessuna ricevuta se non per gli uomini vivi, controllati e consegnati ai miei sergenti. Se non siete d'accordo, rivolgetevi direttamente al comandante del campo, il conte zu Gernstein. » L'ufficiale del convoglio impallidisce. Tutti conoscevano molto bene la fama del terribile conte zu Gernstein, comandante di Sennelager, che giocava e beveva (così almeno si sussurrava) tutte le notti con Satana, da mezzanotte alle quattro del mattino. « Avanti, e di corsa, allora! » urla l'ufficiale ai suoi subalterni. In mezzo a tutto questo vociferare, i vagoni cominciano a vomitare una massa miserabile e pietosa di prigionieri dall'uniforme zebrata tutta lacera: militari che, all'epoca dell'imperatore, giravano in uniformi splendenti; individui condannati dalle leggi civili, con l'uniforme grigia e gialla e il berretto rosa sulla testa; anche omosessuali in camiciotto color malva con cucito sul petto e sulla schiena la ormai famosa cifra « 76 ». I calci dei fucili infieriscono inesorabili su questo muc-
11 chio di infelici uomini spaventati. Guai a chi cade, i cani lupo mostrano già i denti. Uno dei tanti disgraziati ha il collo sanguinante per una larga ferita aperta e gli animali quasi selvaggi gli leccano il sangue che ne cola. Sono stati ammaestrati proprio per assalire i prigionieri. I guardiani guardano e sghignazzano. Finalmente, tutti questi relitti della società vengono allineati, su tre colonne. I cadaveri sono stati ributtati all'interno di due vagoni merci. « Allora va bene, adesso, signor tenente? » chiede l'ufficiale del convoglio. Lòwe non risponde. Cammina lentamente lungo questo strano allucinante seguito di persone allineate che sono rimaste chiuse e assiepate per quattordici giorni consecutivi in questi vagoni soffocanti. Viene fatto l'appello, ma solo trecentocinquanta rispondono « presente ». « Firmo la consegna di trecentocinquanta uomini », risponde seccamente Lòwe. « Vi ordino di firmare per cinquecentotrenta! » La tensione sale quando, improvvisamente, ecco arrivare a tutta velocità in una Kùbel l'aiutante di campo, capitano von Pehl. Elegante come sempre, smonta veloce dalla macchina, facendo tintinnare gli speroni lucenti, mentre tutte le decorazioni e i distintivi allineati sul petto brillano al tenue sole; sorride, si sistema il monocolo, picchietta con il frustino gli splendidi stivali di cuoio color biscotto. « Che succede, signori miei? È finita la guerra, forse? O è stata messa un'altra bomba sotto la sedia del nostro Führer? » Lòwe spiega brevemente di che si tratta e il motivo del suo rifiuto. « Hmmm... Indubbiamente vi è una lieve disparità nel numero. Aspettavamo un battaglione e riceviamo a malapena tre compagnie... Come mai avete perduto per strada
12 tanta gente, capitano? Avete forse avuto degli scontri con i partigiani? Non vedo quale altra cosa possa essere accaduta, dato che non penso che abbiate viaggiato lungo la zona del fronte. » Il sorriso è svanito dalle labbra di von Pehl, che salta all'interno di uno dei vagoni dove sono ammucchiati disordinatamente molti cadaveri e ordina a uno dei suoi uomini di scaricare sulla banchina un corpo dalla testa fracassata. Osserva in silenzio e attentamente il cadavere, si sistema di nuovo il monocolo sull'occhio e si china sull'infelice corpo straziato. « Mostratemi subito il foro della pallottola, capitano. » L'ufficiale del convoglio diventa livido. Sono proprio pazzi da legare, a Sennelager! Fare tanto chiasso per la morte di un bastardo qualsiasi, mai vista una cosa simile! Ma questi tipi possono essere molto pericolosi, se gli si sta un po' troppo appresso. Era proprio arrivato il momento che la SS Heini riprendesse finalmente in mano tutto questo casino di gente senza testa, e insegnasse a quegli imbecilli di militari la vera grandezza dei tempi nuovi. « Il segno del foro della pallottola », ripete impaziente von Pehl. Dietro di lui sta sull'attenti il suo ufficiale d'ordinanza, il tenente Althaus, fucile mitragliatore sotto il braccio, e più indietro ancora il tenente della polizia, piantato sui due piedi come una roccia. « I prigionieri si sono rivoltati », balbetta il capitano. « Le guardie sono state costrette a difendersi e attaccare. » « Il rapporto? » taglia corto von Pehl, tendendo la mano. « Sono siato troppo occupato per trovare il tempo di farlo. » « Dove è avvenuta la rivolta? » « Vicino a Eisenach. » Il capitano è sempre più teso. D'altra parte il luogo indi-
13 cato è così lontano che riprende coraggio; ma evidentemente non conosce ancora abbastanza bene l'aiutante di campo von Pehl. Vecchia scuola prussiana. « Perfetto. In base al regolamento avreste dovuto fare un rapporto immediato di quanto è sopravvenuto sul vostro convoglio. Althaus, telefonate subito al comandante della stazione di Eisenach. » « Subito, signor capitano », risponde l'ufficiale, e si avvia sollecito verso l'ufficio del capostazione. Tutti aspettano pazientemente sotto la pioggia mentre von Pehl cammina in silenzio su e giù, lungo la banchina, facendo tintinnare gli speroni. L'ufficiale addetto al convoglio è ormai in preda al panico. I suoi subalterni se la filano con discrezione, la loro antipatia nei riguardi del superiore supera di molto, evidentemente, il ricordo dei vari permessi d'uscita e delle razioni supplementari di vitto da lui concessi. « È un gran maiale », commenta un gendarme graduato. « L'ho sempre detto io, del resto. » Althaus ritorna affiancato dall'ufficiale addetto alla piccola stazione, un vecchio maggiore che, date le circostanze, porta sul capo un elmetto d'acciaio. Tende in tono gioviale la mano che tuttavia von Pehl palesemente ignora. « Mi auguro che il colonnello, conte zu Gernstein si trovi in buona salute. E voi, signor capitano? » chiede dopo un penoso silenzio. Veniva dall'esercito ungherese e non si sentiva a suo agio con questi prussiani dal temperamento così singolare e così estraneo a lui. Il capitano von Pehl gli incuteva un vero terrore, e il poveretto non faceva che rimproverare a se stesso di aver lasciato a suo tempo Budapest nella illusione assurda di far carriera coi nazisti. « Althaus », fa l'aiutante di campo, senza nemmeno rivolgersi al maggiore, « Eisenach ha ricevuto un rapporto in
14 merito all'ammutinamento avvenuto sul convoglio 906? » Eisenach naturalmente non sapeva nulla né del convoglio né tantomeno dell'ipotetico ammutinamento avvenuto sul convoglio. Gli occhi di von Pehl brillano di soddisfazione. « Gendarme Danz! » ruggisce, come soltanto gli ufficiali di cavalleria sanno ruggire da ormai cinque generazioni. «Arrestate il capitano.» « Protesto! » grida il capitano con voce strozzata. « Fate pure, prego, ma per il momento, in attesa delle decisioni del colonnello, io vi dichiaro in arresto per omicidio, falso in trascrizione di rapporto, e sabotaggio in corso di trasferimento del convoglio di cui voi siete direttamente responsabile. Via! Portatelo via, ho detto! » L'ufficiale viene spinto di forza nella Kùbel dove si accovaccia per terra, con le due guardie che calpestano il suo corpo imperturbabili, con i pesanti scarponi chiodati, fino a Sennelager. Lòwe firma una ricevuta per trecentocinquanta volontari, e i gendarmi, diventati seduta stante quasi umani dopo l'arresto del loro capo, si ritirano con un grosso sospiro di sollievo. « Sbrigatevi ora, dobbiamo rientrare al campo! » urla von Pehl a Lòwe, prima di sparire anche lui in una nube fangosa. Uscito di scena anche il capitano dal monocolo, l'atmosfera si distende. I gendarmi si tolgono di tasca delle borracce piene di acquavite; arrivando dalla Francia se ne erano fatti una vera scorta! Stimolati dall'alcool fraternizziamo tutti su un punto chiave: l'armata rossa. L'avevamo trovata decisamente molto ben ordinata, con una ottima disciplina alla prussiana, le stesse caserme, gli stessi regolamenti. Anche là, naturalmente, il soldato deve sempre e solo ubbidire. Ma in fondo i due veri pilastri dello Stato erano sempre l'esercito e la polizia. E poi un bel berretto
15 tutto di pelo dona molto, è affascinante... Stabiliti questi validi princìpi, e tutti d'accordo su di essi, a braccetto ci avviamo alla bottiglieria della stazione a farci un brindisi alla sfolgorante grandezza futura del nostro paese dopo la disfatta ormai certa. Poliziotti e sottufficiali se la caveranno sempre, del resto! Ai prigionieri viene dato il permesso di sedersi, e viene distribuito il rancio. Pane secco, beninteso, ma è già un lusso per chi arriva da Torgau, da Glatz e da Germersheim; questi.poveri «dimenticati » dell'esercito, sconosciuti o ex generali, potranno ben sparire a Sennelager senza lasciare traccia! Se non volete credermi, lettori, accertatevene di persona; abbandonate l'autostrada nelle vicinanze di Bruchsal, tra le due cittadine di Mannheim e di Karlsruhe, e dirigetevi verso il Reno. Chiedete la strada per il villaggio di Germersheim, non è difficile da trovare. Quando avrete superato il piccolo grazioso paese fatto di tante piccole case allineate, svoltate sulla sinistra. Un breve tratto di strada nel bosco e vedrete subito un cartello: « Ingresso proibito. Zona militare ». Ancora qualche metro di un sentiero destinato ai pedoni, e subito vi appare la prigione, grande, sinistra e grigia. E non appena la si vede, non si può non rabbrividire. Poi, un secondo cartello giallo: « Casa di riaddestramento militare di Germersheim ». A questo punto non andate più avanti; cadreste in pasto ai cani o alle guardie armate. Dietro di loro, poi, c'è il campo minato: chiunque oltrepassi questo limite senza essere accompagnato dalle guardie scompare per sempre. Ma anche accompagnato dalla polizia, non ritorna comunque indietro: centotrentamila uomini sono scomparsi dietro il pesante portone di Germersheim tra il 1933 e il 1945. Il tenente Lowe è di pessimo umore nel lasciare la stazione, anche se gli è stata appena regalata una squisita lepre arrosto. L'arresto del capo del convoglio era una fac-
16 cenda molto seccante, la giustizia militare era in marcia ormai e avrebbe seguito il suo corso. Il colonnello, per il momento, era a caccia nei monti teutonici, ma l'ufficiale che si occupava del personale aveva rivelato a Lowe gli usi particolari di Sennelager: cioè che avrebbe dovuto sparare lui stesso all'ufficiale del convoglio, data l'assenza del colonnello. Quando il conte zu Gernstein rientrava dalla caccia, normalmente era di pessimo umore e incattivito, soprattutto se aveva fallito qualche colpo. Guai allora a chi senza volerlo gli faceva trovare delle grane da risolvere! Il comandante del campo, per prudenza, si era infatti già dato malato. È monco di un braccio, e questa tara gli causa improvvisi e forti dolori, soprattutto nel caso di grane in vista; in quanto al sorvegliante generale, Lòwe non aveva potuto prendere contatto con lui : assente per servizio. Naturalmente, la colonna in marcia ne subisce sempre e immancabilmente le conseguenze, a base di minacce urlanti di Consigli di guerra. Tutti urlano, dato che nell'esercito prussiano è una cosa assolutamente indispensabile. Più si urla, più le cose vanno meglio, almeno così si dice. Cani e gatti randagi, numerosissimi, si accompagnano a questo concerto sonoro. « Ammazzateli tutti! » urla il tenente al limite di una crisi di nervi. La polizia si precipita dietro questa muta abbaiarne e miagolante, ma la caccia si arresta vicino a un vagone di vettovagliamento fermo su un binario morto. Torniamo da Lòwe e gli facciamo presente che cani e gatti sono spariti, che non vi è più speranza di poterli acciuffare. Lòwe, molto depresso per questo mancato sfogo, finalmente ci ordina di iniziare la marcia. In colonna per tre, il Commando si mette in cammino verso Sennelager, inquadrando i trecentocinquanta strani « volontari ». « Cantate! » urla Lowe, al primo chilometro. Il campo è distante dieci chilometri ancora, ma già dopo
17 il primo chilometro i detenuti non ce la fanno più. « Riformate i ranghi, razza di fannulloni scansafatiche! » urla Lòwe furioso. Alcuni barcollano e cadono a terra sul lato del sentiero, ma faticosamente si rimettono in piedi, perché certo nessuno desidera riposarsi seduto, sotto i randelli delle guardie. « Colonna, alt. Dieci minuti di riposo. » I vestiti emanano vapore, continua a piovere e sta salendo anche una leggera nebbia insieme all'oscurità della sera. « Ascoltate », dichiara il tenente. « Siete dei volontari, nessuno è venuto a cercarvi, o vi ha costretti a venire. » Nel suo genuino candore, crede veramente che siano dei volontari cui è stata concessa, con magnanimità, una degna alternativa di vita. La verità è invece che sono stati picchiati, torturati, minacciati di morte, finché non si sono decisi a firmare l'ingaggio. « Esigo una marcia ordinata, e i lavativi avranno a che fare con me quando saremo arrivati a destinazione. Dobbiamo entrare nel campo a passo di parata. Mi auguro di essere stato capito, chiaro? » Batte i tacchi: « Colonna a destra, destri » Tutti battono i tacchi, la colonna è rigida come un bastone. I capi di sezione verificano l'allineamento, e insieme a loro è Fratellino, ultimo, a chiudere la colonna. Come qualsiasi soldato che porta già un gallone, anche se di lana, ha una certa sensazione di superiorità, e niente gli sfugge della formazione che sta passando in rivista. L'ordine perfetto della squadra lo fa sorridere di soddisfazione. Gli uomini corrono, sfiatati, sulla strada asfaltata, Lòwe in testa, affiancato dal tenente Komm che ha perduto un braccio al fronte e infila il suo arto metallico nel cinturone dell'uniforme, per equilibrarsi nel passo così serrato. I detenuti ormai sfiniti cadono come mosche, ma dietro di loro
18 urlano i guardiani del campo, ai comandi del capo sorvegliante Danz, che sarebbe in grado di far marciare a passo di corsa anche un morto. « Non fatemi incazzare, maledetti », interviene Fratellino. « Altrimenti imparerete a conoscere la Reperbahn nella sua giornata peggiore. E se uno di voi crepa durante questa passeggiata, gli altri porteranno in groppa il cadavere, chiaro? » D'un tratto lo si vede farsi largo tra gli uomini, e dare un amichevole colpo col calcio del fucile sulla nuca di un prigioniero, un giovane molto corpulento. « Ma non è possibile! Eccoti qua, camerata! Ma guarda un po' come è piccolo il mondo, ci si ritrova sempre! » « Ma, caporale... » « Ti chiami Lutz, non è così? » « Sì, caporale, Adam Lutz. » « Bene, bene. Ispettore capo della Gestapo Adam Lutz, del IV/2B, a Parigi. » « Non capisco... » « Adesso ti rinfresco la memoria, maledetto porco! Ah! Vedo che adesso non fai più tanto il bullo come prima. Erano divertenti, eh, le tue passeggiate al Bois de Boulogne con quelle ragazze ebree, cui tu facevi la festa, prima di mandarle nelle camere a gas? Puoi star certo che si riderà tutti alla 5ª compagnia quando si saprà che sei nella mia sezione. E il tuo cane? È volontario anche lui? Sarà contento di rivedermi. » Fratellino estrae dagli stivali il piccolo coltello affilato da trincea, e lo mette sotto il naso di Lutz che lo guarda atterrito. « Questo qui, bada, te lo infilo nel buco del culo, se non stai ben attento. Ti metterò finalmente al passo, fannullone maledetto della Gestapo. » Fratellino è ormai eccitato, e questa marcia così faticosa non lo stanca per nulla. La sua bocca di gorilla si spalanca in una grossa risata. «Adam», continua imperterrito, «ricordi la
19 piccola francese di Sainte-Mère-Eglise, che hai ucciso con un pugno? Racconta un po', su, sciogli la lingua. Quante ce n'erano ancora in quella casa, che hai liquidato il mattino stesso che siamo arrivati noi? » « Caporale, mi prendete per un altro. » « Certo che no! E guardami in faccia, maiale, altrimenti ti costerà caro. Sbrigati a rinfrescarti la memoria, ho detto. Ti piaceva da pazzi stare a guardare le esercitazioni dei prigionieri speciali nel cortile delle prigioni di Parigi. Vedrai che faremo di te un vero soldato, e ti giuro che ci andrai, al fronte, e in prima linea anche. Quanto pesi, Adam? » « Centoventicinque chili, caporale. » « Parola mia, è proprio troppo! Ma risolveremo bene anche questo problema. Al tuo arrivo al fronte non ne peserai più di trenta, è Fratellino che te lo dice, chiaro? Potrai addirittura nasconderti dietro l'asta di una bandiera. » Un chilometro prima di Sennelager, Lòwe ordina una sosta. I prigionieri si ammucchiano per terra. Noi ci sediamo su un lato della strada, e agli ordini di Lòwe facciamo il computo dei particolari: l'ultimo chilometro doveva essere percorso in un ordine perfetto, dato che, appena usciti dal bosco fitto di pini, potevamo immaginare con quasi assoluta esattezza che i binocoli del campo sarebbero stati puntati su di noi. Terminato il bosco, infatti, risuona un ordine secco: « Cantate! » Per fortuna, tutti si uniscono al coro, e entriamo così cantando a Sennelager: « Sono un cacciatore di caccia grossa... » Il colonnello zu Gernstein, supposto che fosse andato a caccia, avrebbe potuto essere ritornato di soppiatto, ma non avrebbe avuto bisogno di guardare da dietro il grosso binocolo d'artiglieria. Con una breve occhiata si sarebbe
20 reso conto se anche un solo bottone mancasse alla uniforme, o se un berretto fosse lievemente di traverso. Ci fermiamo davanti all'edificio destinato alla 1ª compagnia dove il sergente maggiore Hofmann, borioso e ignorante, riceve i nuovi arrivati, non senza averli lasciati in piedi e congelare al freddo e sotto la pioggia per due ore. Indossa l'uniforme nera dei carristi, anche se non è mai salito in vita sua sopra un carro armato. Il regolamento dei sergenti maggiori (la sua Bibbia) si concentrava tra il secondo e il terzo bottone della sua giubba. Privato del suo libriccino, del taccuino e della matita, un sergente maggiore tedesco si sentirebbe come un pesce fuor d'acqua. Passa lentamente in rivista la colonna, trafiggendo da parte a parte ciascuno dei presenti con uno sguardo duro. « Oh, povero me! » geme a mezza voce. « Proprio a me, proprio a me doveva capitare di fare di questi pezzenti dei soldati! Non assomigliano nemmeno a delle scimmie. » A gambe divaricate è piantato sul più alto dei gradini della scala che dà accesso all'edificio, affiancato da due subordinati. « Sono il sergente maggiore Hofmann. Sono io che decido se voi avete anche solo il diritto di respirare; e sia chiaro che se ordino a degli imbecilli come voi di 'non farlo', non avete che da ubbidire. E che il diavolo protegga quel folle che osasse balbettare. Imparerebbe a conoscermi », ruggisce, oscillando cadenzato sulle ginocchia come aveva visto fare dal colonnello, senza peraltro riuscire a imitarlo del tutto. « E dichiaro seduta stante che voi non siete che una mala erba che va distrutta alle radici con tutti i mezzi. Chiaro? Mi auguro di aver reso l'idea. » « Sì, sergente maggiore », risponde in coro la truppa schierata davanti a lui, mezzo congelata e sfinita del tutto. Non uno di loro infatti che non maledica la cattiva sorte di essere capitato in questo reggimento di cosiddetti «gra-
21 ziati»; hanno sentito parlare della purtroppo ormai famosa sezione disciplinare, tuttavia ingenuamente non si aspettavano questo tipo di accoglienza. Parecchi di loro sono stati a suo tempo soldati, e vi era anche qualche generale. «A cominciare da oggi, la compagnia 1/5 appartiene al 7° carristi, e vi dichiaro che il solo pensiero che saremo costretti a insudiciarci con dei pezzenti del vostro tipo, mi dà la nausea. Il vostro battaglione di formazione è quello correzionale: il 999. Il vostro libretto militare sarà marcato con una V barrata da una striscia rossa : si annulla il passato. Chiaro, mascalzoni? » « Sì, sergente maggiore. » « Qui, al 999, tutti siete uguali, qualsiasi crimine abbiate commesso, qualsiasi sia stato il vostro grado. D'altra parte non capisco la ragione per la quale non siate già stati ammazzati da tempo; decisamente il nostro Führer è troppo umano. Due generali, un colonnello, due capitani di cavalleria! Che vergogna! Laverete il culo dei cavalli fino a diventare paonazzi dalla fatica e dividerete il vostro pasto con quelle bestie. Un ispettore capo di polizia, tre intendenti di finanza! Questi luridi pancioni andranno a servire nelle cucine come lavapiatti e potranno solo leccare i piatti, come fanno i cani del campo. E non dimenticate che qui i cani sono caporali, appartengono al personale del campo, e come tali sono vostri superiori diretti. Dovrete salutarli secondo i regolamenti, e che non mi capiti di vedere uno solo di voi che non saluta un caporale-cane. In ogni caso, prima di esservi sbarazzati di me, sappiate che avrete tutto il tempo di sognare l'inferno, almeno per mille anni... » Improvvisamente lo vediamo impallidire e emettere un rauco borbottio. Nel guardarsi intorno gli capita di vedere il capo del parco macchine, Wolf, appoggiato a un lampio-
22 ne che sghignazza apertamente, fissandolo con spregio. Hofmann gli lancia uno sguardo omicida, sguardo terribile che tutte le mattine prova davanti allo specchio, ma Wolf sghignazza sempre più. Wolf o Porta? Per la verità non lo sa bene. « Che cosa vuoi, tu, pezzo di imbecille? » « Io? Niente! Mi sto chiedendo solo quando ti saresti deciso a tacere. Ma non lo sai ancora che sei il buffone del circo Sennelager? » gli risponde quello, tenendosi il ventre dalle risate. Hofmann diventa livido. Svergognare un sergente prussiano davanti a un mucchio di « cosiddette » reclute! O si va diretti davanti al Consiglio di guerra, oppure tutta la guerra in blocco diventa una buffonata. « Capo guardia Wolf, mi avete offeso, farò rapporto nei vostri confronti. Voi attentate al mio onore. » « Ma non lo farai il rapporto, imbecille! Non ne hai di onore, e lo sai bene. È Ludendorff che ha detto che l'onore comincia dal grado di tenente e dalla sciabola dell'ufficiale. Tu, tu non sarai mai un ufficiale. Le tue stelle di piombo potranno comunque servire in qualche modo come tappi per chiudere quella tua maledetta boccaccia! » Seguito dai suoi due cani, si avvia dall'« amico » cuciniere che deve rimborsargli un prestito. Hofmann guarda per un istante le reclute che battono i denti dal freddo e cerca di dimenticare l'incidente. « Sotto di me, tutti quelli che si immaginano di poter continuare la loro vita di maiali saranno liquidati senza pietà. Al 999 voi non avrete un libretto militare se non dopo aver dato prova di essere dei veri soldati, e questa è una cosa già molto diffìcile, perché sono terribilmente restio a darvi credito. Sulla lavagna appesa sopra la porta del mio ufficio, leggerete tutto quello che dovrete sapere, e se io trovo uno solo di voi che non ha fatto quello che è scritto
23 là sopra, egli si troverà immediatamente davanti al Consiglio di guerra, dove non c'è che una sola sentenza : la pena di morte. Chiaro? » « Sì, sergente maggiore », risponde il coro. Conosciamo bene la storiella, è vecchia quanto l'esercito prussiano del resto, e i sergenti maggiori non hanno nemmeno la capacità di rinnovare il proprio linguaggio. Dieci anni di piastrine d'alluminio sulle spalle, e ne escono dei veri robot. Finalmente pago, Hofmann manda nella cameratadormitorio le miserabili reclute che si lasciano cadere sfinite su dei pagliericci non meno miserabili di loro. Sennelager si sveglia alle quattro del mattino. Rimbombano i grossi stivali chiodati, i fischietti sibilano nell'aria e trafiggono le orecchie. Ordini urlati, porte aperte a calci. Un sottufficiale tedesco con l'elmetto d'acciaio non apre la porta come tutte le persone di questo mondo. È del resto del tutto naturale, è sempre stato così nelle caserme tedesche. Le maniglie delle porte non esistono che per i civili e le reclute. E d'altra parte ci vuole dell'allenamento per aprire una porta con un calcio. Il sogno più bello di un sottufficiale è di farla addirittura saltare dai cardini, ma io non l'ho ancora mai visto. Ho visto sfondare la porta con un calcio ma i cardini hanno resistito. Noi reclute fummo poi costretti a mangiare le schegge, ma alla fine tutti i frammenti sparirono. È solo questo che si impara nell'esercito tedesco. Non so se altrove qualcuno è riuscito a far saltare la porta fuori dai cardini, ma tutto è possibile, ovviamente. « Per Dio e per i prussiani, non vi è nulla di impossibile! » dice sempre Porta. E del resto nel regolamento la parola « impossibile » non figura nemmeno. Si perde una guerra e si pensa subito di vincere la prossima, e questo a tutti i livelli, dai membri delle commissioni dello stato maggiore fino ai tavoli dei clienti delle taverne di Ambur-
24 go. Una conversazione tra prussiani verte sempre intorno a una guerra che bisogna assolutamente vincere, e la Germania fino a oggi non ha mai potuto esistere e sopravvivere senza una guerra. È una tradizione. Dunque, tutta Sennelager vibra sotto colpi di stivali, calci, urla di sottufficiali. Le reclute intontite si buttano giù dai pagliericci, rimettendoli in squadra a tempo di primato. In un edificio riservato al Comando, il colonnello, vestito con un pigiama da ussaro, fa le sue abituali cento flessioni giornaliere sulle gambe, in una piccola palestra, al suono di una marcia militare; la ginnastica mattiniera termina con una passeggiata a cavallo, un cavallo elettrico sintonizzato a una marcia del 18° ussari. Nelle camerate delle reclute, il ritornello è molto differente: « Allora! Non siete ancora andati ai cessi, pelandroni? Filate! » Gambe scheletriche corrono sulle piastrelle ghiacciate, gli stivali schiacciano di proposito e dolorosamente le dita dei piedi nudi, e in questo modo le cinque dita del piede di una povera recluta rimarranno rattrappite per molto tempo, ma il sottufficiale non teme accuse o ritorsioni, non è affar suo, la recluta non deve cacciargli il piede sotto il suo stivale! Si butta giù una tazza di caffè, dopo essere corsi al galoppo alle cucine. A Sennelager, tutto avviene di gran trotto. Nessuna recluta, anche solo debolmente desiderosa di sopravvivere, oserebbe muoversi con un passo normale. « Marsc! marsc! » si sente gridare da ogni angolo. A un graduato tedesco la parola « marsc » viene spontaneamente alle labbra. Il sottufficiale Helmuth, cuciniere della 5a compagnia, passa per uno dei peggiori e dei più duri della vecchia guardia. Appartiene a quella razza che si trova solo nei guar-daciurma e negli spioni della polizia segreta. Con una risata grassa e volgare da soldataccio, Helmuth versa un mescolo di caffè bollente sulle dita del ter-
25 ritoriale Fischer, a suo tempo pastore protestante, che aveva creduto di poter proclamare dal pulpito la propria opinione sulla politica nazista. In questo modo, purtroppo, gli era stata fatta intender ragione: una notte, uomini dal lungo pastrano di cuoio nero e un berretto calcato sul viso si erano presentati a casa sua, e Fischer subì successivamente delle esperienze orribili che non avrebbe mai creduto possibili. Esse ebbero inizio a Bielefeldt, poi a Dachau, nei baraccamenti destinati ai religiosi. Contemporaneamente erano stati arrestati e trattenuti come ostaggi la moglie e i tre figli. Ora è con noi e gli viene versato del caffè bollente sulle mani. Urla, respinge con un gesto la caffettiera, e il caffè bollente inzacchera gli stivali lucenti del sottufficiale Helmuth. Imperdonabile sciocchezza! Meglio stringere i denti e lasciarsi bruciare le mani, per poi essere mandato in infermeria. Là le cose sarebbero andate meglio per qualche giorno almeno, la vita è lievemente più facile là dentro. Purtroppo, Fischer agisce esattamente come il sottufficiale si aspetta e desidera da lui. Helmuth, nel silenzio generale, gli appioppa un violentissimo colpo sul cranio con il pesante ramaiolo di ferro. Nessuno apre bocca: nessuno infatti conosce personalmente il povero pastore Fischer, e inoltre nessuno vuole mettersi in cattiva luce con il grande capo delle cucine. « In ginocchio, consacratore di anime! Devi averne già l'abitudine, del resto. » (Gli mostra i propri stivali inzaccherati.) « Puliscili con la lingua altrimenti ti faccio saltare le cervella. » Fischer si butta in ginocchio; questo può farlo, ma non gli riesce leccare. Noi sappiamo farlo da tempo. Già quando eravamo reclute nella 7a ulani, ne avevo fatto l'esperienza personalmente, leccando ubbidiente tutte le mattine gli zoccoli di un cavallo. Ci si abitua abbastanza facilmente e
26 presto, ma per Fischer, che aveva quasi sessant'anni, doveva essere molto duro tutto questo. Helmuth con un calcio gli spezza tutti i denti davanti. Una recluta del 999 non ha bisogno di denti. Quei rari pezzetti di carne che nuotano nel brodo della zuppa possono essere ingoiati senza masticare. Dal dolore, il dottore in teologia sviene. Errore ancor più madornale, perché il cuciniere gli colpisce di nuovo il cranio con un violentissimo colpo di ramaiolo. Due uomini trasportano il pastore all'infermeria. « Caduto dalle scale » sarà scritto sul rapporto. Causa: alimentazione scarsa a Germersheim. La responsabilità così cadrà su Germersheim, che è così lontana! Il rapporto infatti dovrà passare attraverso il 6° corpo a Mùnster, e prima che arrivi a destinazione, il territoriale sarà già stato ammazzato o comunque morto da tempo. « Avanti, per lo sport del mattino! » grida il sottufficiale. « Lo sport del mattino » è un termine che suona bene, ma è uno degli esercizi più temuti nell'esercito tedesco. Ogni mattina almeno un uomo deve essere trasportato all'infermeria. Avviene in tutte le caserme prussiane, dove è d'obbligo renderci duri quanto l'acciaio Krupp. Barcollanti, morti di fatica, con le farfalline nere che danzano davanti agli occhi, gli uomini si riposano qualche istante dopo la pesantissima ora di sport mattiniero. « Che merda! » bisbiglia il protettore di prostitute berlinese al svio collega di Francoforte. « Che schifo! Si arriva quasi a rimpiangere Fühlbiittel. E dire che c'è gente che ama la vita militare! » Terminato l'esercizio fisico, vengono distribuite uniformi senza distintivi, e armi. Indumenti, stivali e armi vengono buttati lì alla rinfusa. Che la taglia vada bene o no, non importa. I più sfortunati sono quelli che ricevono due scarponi per piede sinistro o due per piede destro. Che si arrangino! Ma all'appello è in ogni caso d'obbligo avere due
27 scarpe ai piedi. Marsc! Una recluta si dà da fare sgomenta con due scarponi sinistri in mano; il sottufficiale lo persuade a credere di non possedere il piede destro 'e il poveretto impazzito si fa saltare le cervella. Che altro poteva fare? Nell'esercito, se non si possiede un piede destro, si è perduti. Il Feldwebel della camerata-dormitorio ha quasi terminato la distribuzione quando gli capita davanti una recluta che è stata Testimone di Geova e che si rifiuta di raccogliere l'uniforme a lui destinata. «Sii ragionevole, Kurt», lo supplica un compagno, ex scassinatore. « Ti ammazzeranno, se rifiuti questi stracci. » «Io credo in Dio, non posso portare l'uniforme », dice Kurt. « Ma quelli se ne fottono! Perché ti sei ingaggiato, se non volevi fare il soldato? » « Mi hanno costretto a firmare. Volevano prendere mio fratello. Ma vedrai che me la caverò, capiranno la mia situazione. » L'obiettore di coscienza viene spinto verso il sottufficiale, gli viene buttato addosso il pacco di indumenti logori, ma questi raccoglie soltanto il camiciotto verde. L'uniforme grigioverde, il cappotto, il berretto, l'elmetto, il cinturone, le cartucciere, la carabina, la pala da fanteria, la maschera antigas e il resto, tutto è lasciato per terra, e l'uomo col solo camiciotto sotto il braccio si avvia verso la scala. Il sergente sporge la testa dallo sportello e guarda con stupore il mucchio di stracci per terra. Mai visto una cosa simile! Bisogna arrivare al quinto anno di guerra per vederne di simili! E adesso ci mandano qui anche dei pazzi dal manicomio di Giessen! Ritira la testa per riflettere, per poco, naturalmente, poi lo vediamo piantarsi a gambe divaricate nel mezzo della porta. « Allora, sporca pulce di sagrestia, non crederai che qui ci troviamo in chiesa. Tira su immediatamente tutto, e fila
28 prima che ti faccia rientrare le emorroidi con un calcio nel culo! » Arriva in quel .momento il sottufficiale Matho. Era uno specialista famoso per il « colpo di grazia » dei comunisti prima del '33. « Che succede qui? » chiede guardando il mucchio di indumenti a terra. « Chiediglielo tu stesso. Questo figlio di puttana crede di trovarsi nell'Esercito della Salvezza, e di poter scegliere quello che più gli piace. » « Ma guarda un po'! Fila, cretino, tira su quella roba, e subito anche. » E dà un calcio a una borraccia che vola fuori dalla finestra. « Prendo solo il camiciotto », risponde il Testimone di Geova, battendo i tacchi sull'attenti. Matho rimane a bocca aperta. Gli sembra quasi di essere a teatro. Finalmente succede qualcosa. Un Testimone di Geova dev'essere un tipo decisamente coriaceo. « Vediamo un pò! Perché solo il camiciotto? Forse che l'uniforme non è adeguata al signore? Non vuole battersi per il Führer, ma il suo pane e la sua salsiccia però li mangia, non è così? Sbrigati, altrimenti farai personalmente esperienza di tutte le torture che si leggono sulla tua Bibbia. » « Sergente, sono cristiano. È proibito indossare. l'uniforme e toccare armi che possono portare la morte. Tu non devi uccidere, è scritto. » Il sergente si sente mozzare il fiato. Arma mortale una carabina tedesca modello 98! Era incredibile. La Croce del Signore non è nulla a confronto di una carabina tedesca modello 98. Se non fosse che si profana una carabina, ogni pastore dovrebbe appenderne una, sopra l'altare, al posto del crocifisso.
29 « Ma guardate un po'! Una carabina tedesca modello 98! L'imperatore è stato seppellito proprio con una di queste al fianco e il signore non la vuole. Ebbene, si vedrà. » Nel medesimo istante, il Testimone di Geova viene buttato con uno spintone contro il Feldwebel Vogt che lo afferra per i capelli e lo butta violentemente contro la porta del deposito, dove viene ripreso da Repke e buttato da lui come una palla nel mezzo del locale. Matho e Vogt si fanno avanti e congedano i presenti. Non c'è bisogno di testimoni per quel che seguirà. Un silenzio misto a terrore regna nel corridoio, perché tutti noi sappiamo bene quel che accadrà là dentro, in mezzo alle uniformi che puzzano di naftalina e le lunghe file di armi allineate lungo i muri. « Così la tua Bibbia ti proibisce di indossare l'uniforme del Führer? Ascolta, figlio di puttana, se in questo momento un porco d'un russo venisse a violentarti la tua troia di moglie, tu staresti a guardare senza dir niente, e insisteresti nella tua idea fissa? » « È un'altra cosa. » « Ma certo, i tuoi coglioni li difenderesti contro i russi, ma il Führer e la tua patria, tu li sputtani tranquillamente, vero? » « Sergente, sono cristiano. Non posso toccare le armi. Preferisco morire. » « Preferisce morire, il signorino! » sghignazza il maestro delle armi, tutto contento. « Repke, hai sentito? Vedrai che ci riuscirai, e presto anche. » Matho stacca un cinturone appeso alla parete e caccia sotto il naso dell'obiettore di coscienza la grossa cerniera di metallo: « Guarda bene, leggi quel che c'è scritto : ' Dio è con noi '. Noi, siamo il santo esercito tedesco, perché noi non leggiamo la tua Bibbia ebraica. »
30 Fa roteare il cinturone e la grossa cerniera colpisce violentemente al viso il giovane. Poi passa quest'arma di tortura al vicino che la usa a sua volta; la terribile cerniera non cessa un solo istante di colpire e per un'intera mezz'ora si sente il Testimone di Geova urlare, di continuo. Poi vediamo volare un corpo sanguinante attraverso la finestra, inerte, con le costole fratturate, e l'occhio sinistro che ciondola lungo la guancia. « Rifiuto d'ubbidienza e sabotaggio », porterà scritto il rapporto. Il sottufficiale della prigione ci ride sopra, tanto la cosa non lo riguarda personalmente. Il suo compito è di prendere in consegna i prigionieri, il resto è una faccenda che riguarda il colonnello. Prima di tutto nella vita non guardare mai troppo lontano. L'ufficiale di servizio butta una occhiata sull'uomo privo di sensi. « Tutto normale », scrive nel suo rapporto. Ventiquattr'ore dopo il Testimone di Geova muore, e anche questo è altrettanto normale. Il maggiore medico che arriva sul posto seguito dall'aiutante scrive ciò, che tutti si aspettano: «Deceduto sotto l'influenza di alcoolici ». Gli si fa ugualmente un'inutile rianimazione, per venti minuti, poi il cadavere sparisce alla chetichella. Nessun seguito o noia giudiziaria. Il Testimone di Geova viene presto dimenticato. La moglie non riceve alcuna risposta alle sue reiterate richieste di notizie, correndo sempre più disperatamente da un ufficio all'altro. Le si sorride con interesse passivo, ma nessuno ne sa nulla. Il marito era sparito dalla circolazione senza lasciare traccia; era già fra i « dimenticati » dell'esercito, d'altronde. La vita segue il suo corso a Sennelager e il capitano pronuncia un discorso rituale di « benvenuto » alle reclute. « Voi vi trovate qui grazie soltanto alla clemenza del Führer, che vi concede generosamente una possibilità di cancellare il vostro passato. Noi abbiamo il compito di formarvi, perché possiate diventare dei buoni soldati. Dimo-
31 strate quindi di avere il desiderio di battervi per la Grande Germania, e avrete subito la possibilità di realizzarlo, in tutti i modi. Volontari per i Commando speciali quando arriverete al fronte, per esempio. Ovviamente per cancellare i vostri crimini, vi sarà chiesto qualche sacrificio... » Il magnaccia berlinese alza un braccio: « Che c'è ancora? » chiede il capitano evidentemente seccato. « Chiedo al signor capitano di fare una domanda », risponde l'uomo in tono chiaramente insolente. Aveva capito da tempo che le possibilità di sopravvivenza erano minime. « Avanti, chiedi pure. » « Che cosa accade se un mascalzone del mio tipo, per esempio, si becca una palla nel cervello? Ritroverò ugualmente la dignità necessaria per rientrare nell'esercito? » Nessuno dei presenti scoppia a ridere, anche il sergente maggiore Hofmann accusa il colpo. Il capitano perplesso osserva un istante il viso sfrontato dell'uomo, poi, per darsi un tono, col frustino colpisce lievemente di striscio i gambali di cuoio della sua divisa di cavalleria. « La morte dell'eroe restituisce automaticamente la dignità e l'onore militare, e chi cadrà sul campo sarà totalmente amnistiato in base all'articolo 226 del codice penale. » « Allora », continua l'insolente, « la morte dell'eroe è particolarmente seducente. Si va sottoterra proprio come qualcuno di veramente bene. » Ma il sergente Hofmann ha già estratto il suo taccuino nero e scrive rapidamente un nome e un numero. « A te, ragazzo mio, ti tireranno il culo fin sopra la testa», mormora fra sé Fratellino. «Nel giro di quindici giorni la tua carcassa sarà già vuota. » « Sbagli, camerata », sghignazza il magnaccia. « Guarda un po' le mie carte. Ho già ottenuto i galloni di lana e li
32 riavrò di nuovo. Per di più ho anche la croce di ferro. Falsa, naturalmente, ma chi se ne fotte... » I giorni che seguono diventano gradualmente sempre più duri. Una delle reclute muore durante una marcia; altri tre periscono durante un'esercitazione che consiste nell'imparare a evitare un carro armato; quei poveretti, sgomenti, si erano messi a correre, ma vennero presi nelle morse dei cingoli del grosso mezzo blindato, finendo maciullati. « Deceduti durante l'esercitazione » viene scritto sui loro libretti militari. Una quinta recluta ancora non riesce a fuggire in tempo quando viene lanciata una granata esplosiva nella trincea e, ovviamente, muore. Qualche recluta ancora tenta di disertare, ma viene presto riacciuffata e inviata direttamente al tenente colonnello Schramm, il carnefice di Senne-lager che è perennemente ubriaco. Ingoia tre litri di kummel al giorno, ha una sola gamba e si serve della sciabola come di un bastone. Il tenente colonnello Schramm non parla. Quando non è di servizio se ne sta nella mensa degli ufficiali e beve kummel. Ora abita con la moglie e i tre figli in una casetta a Senne: sarebbe dovuto diventare colonnello quando perse la gamba davanti a Lemberg sotto un T34; ma l'ufficio personale dell'esercito si dimenticò di lui. La prima esecuzione capitale che fu costretto a comandare gli diede un forte choc, la seconda lo rese quasi pazzo. Alla terza, decise di rifiutare il mandato, e ne discusse con la moglie tutta la notte per poi concludere che non era possibile evitare la cosa. Schramm era ufficiale di carriera, in servizio permanente : le esecuzioni facevano parte dei suoi compiti; se si fosse rifiutato di eseguirle, le conseguenze, ovviamente, sarebbero ricadute sulla sua famiglia; sarebbe stato degradato a soldato semplice e avrebbe fatto parte della WU. 1 A 1
WU: Wehrmacht unwurdig (Sezione indegni).
33 questo punto aveva deciso di ubriacarsi e si era accorto, con stupore, che le cose gli sembravano molto più facili. E dal momento che di esecuzioni ne venivano ordinate almeno tre ogni settimana, il tenente colonnello era così forzatamente e costantemente ubriaco. Accadeva spesso che i soldati del plotone fossero costretti a sostenere per le braccia il loro capo che doveva avviarsi verso il palo. Una volta gli accadde di lasciar cadere la sciabola al momento di gridare: « Fuoco! » ma fortunatamente il colonnello non ne seppe nulla. Il tenente colonnello Schramm era così amato che nessuno aprì bocca. Quando ancora prima dell'alba, con il cielo ancora semibuio, si vedeva il tenente colonnello uscire zoppicando all'aperto, con l'elmetto in testa e una pistola alla cintura, si poteva esser certi che una esecuzione doveva avvenire. Il primo sorso della borraccia lo ingoiava passando davanti alla cassa di munizioni, il secondo davanti alla fila dei carri, dove si sedeva un istante, con il mento appoggiato alla custodia della sciabola. In quel punto preciso diventava invisibile alle lenti del binocolo del colonnello (e per questa ragione, infatti, l'aveva scelto). Vicino al distributore di benzina, ingoiava il terzo sorso. Lo spazio libero e breve davanti all'ingresso della prigione veniva percorso rapidamente con la sua gamba ortopedica articolata e scricchiolante. Era molto simile all'immagine della Morte nella sua uniforme nera di ussaro, con gli scarponi bassi allacciati a stringa; la sciabola tintinnava sinistra a ogni passo e la guaina nera luccicava. Buttava giù un'altra sorsata arrivando alla prigione, dove il maresciallo d'alloggio Gilbert lo aspettava e lo riceveva tendendogli un alto boccale pieno di birra, che egli ingollava febbrilmente. Poco dopo, riappariva nel cortile seguito dal plotone; se marciava nel mezzo del gruppo di uomini armati potevamo essere certi che era ubriaco fradicio; se marciava da solo,
34 sul fianco del plotone, la sua ubriacatura era ancora contenuta nei limiti del normale. Dopo un'esecuzione, dimenticava subito i nomi e le generalità dei condannati. « Come è morto il generale? » gli chiede una sera l'aiutante di campo, durante il concerto nella mensa degli ufficiali. « Quale generale? » esclama Schramm stupefatto. « Ma quello che avete fucilato questa mattina », replica l'aiutante scoppiando in una risata. « Il generale di brigata von Steinklotz. » « Era generale? Non è possibile... » Schramm vuota d'un fiato un bicchiere di kummel e esce sconcertato; due sottufficiali vengono mandati al suo seguito e lo accompagnano fino a casa; qui si addormenta con la testa sulle ginocchia della moglie, che poi dolcemente lo spoglia e lo mette a letto. Il giorno dopo doveva comandare una ennesima esecuzione. Nei suoi rari momenti di lucidità, suonava appassionatamente il piano alla mensa degli ufficiali e tutti lo ascoltavano estasiati. Due volte Schramm tentò di ammazzarsi. La prima volta si appese nel granaio della sua casetta, ma i familiari arrivarono in tempo. La seconda ingoiò una droga in dose letale e venne salvato per un soffio. La moglie usciva di casa a notte fonda. Si diceva che era una donna molto bella, ma nessuno vide mai di lei altro che la schiena e di lontano. Il colonnello conte zu Gernstein era anch'egli ufficiale carrista e aveva perduto le gambe in combattimento, ma solo l'andatura un po' rigida rivelava la presenza della protesi che tutte le notti lui sistemava a fianco del letto. Un alto collo d'acciaio gli sosteneva la nuca. L'occhio destro era fisso e le labbra senza pelle erano soltanto un tratto sottile lievemente rosato, ricordo di Smolensk, quando in
35 un violentissimo combattimento contro dei T34 egli solo era riuscito a uscire dal carro in fiamme. Il colonnello parlava raramente; il suo stato maggiore sosteneva che tutte le notti giocava a poker con la Morte e con il Diavolo; qualcuno anche giurava di averlo visto uscire, camminando tra la Morte vestita d'un lungo mantello di cavalleria, e Satana nell'uniforme di generale di corpo d'armata delle SS. Un sergente maggiore arrivò perfino a affermare che questi due orridi compagni di gioco portavano al collo la croce degli Hohenzollern. Che fosse accaduto qualcosa di strano è certo, dato che una notte la luce restò sempre accesa nell'intero appartamento del colonnello e davanti al suo ingresso privato che nessuno aveva il diritto di oltrepassare erano ferme, in attesa, due Mercedes nere. Erano arrivate poco prima di mezzanotte e partirono prima dell'alba. Il suo appartamento era sontuoso. Un giorno, Porta e io che ci eravamo arrischiati a metter dentro la testa, ne uscimmo a bocca aperta. Quadri d'autore, tappezzerie di seta, vasellame d'oro, folti tappeti che soffocavano il rumore dei passi. E la sera stessa avvenne il fattaccio: eravamo di guardia Gregòr, Fratellino e io vicino alle rimesse e guardavamo le finestre debolmente illuminate del colonnello comandante del campo. Improvvisamente, Gregor si lascia sfuggire di mano la borraccia e ci indica la finestra, con un dito che gli trema per lo sgomento. Vi si profilava un'ombra. Satana, certo... Si vedevano benissimo le due corna. Fratellino inorridito si precipita al posto di guardia e chiede di essere sostituito e mandato all'infermeria. « Ho visto qualche cosa di orribile», spiega, livido, al sergente di guardia. La guardia esce con l'elmetto in capo e si precipita verso le rimesse, mentre il gigante che trema di paura si tiene attaccato al telefono, col fucile mitragliatore a portata di
36 mano. Il sottufficiale di guardia, sergente Linge, torna di lì a poco. « Che diavolo hai visto, pezzo d'idiota? » « Satana in uniforme di Obergruppenführer. » « Pezzo di cretino! Tutte le SS sono dei demoni », grida il sergente Linge. « Lo sappiamo benissimo, ma questo era Satana in persona, con le corna, e aveva un bicchiere fumante in mano. » I soldati, armati fino ai denti, si mimetizzano contro e lungo il muro delle rimesse, mentre Linge si asciuga la fronte. « Dici davvero che aveva le corna e che beveva dello zolfo? » Gregor e io sosteniamo che non può trattarsi che di zolfo bollente, dato che nessuna bevanda può essere sufficientemente forte per il diavolo. Tutti guardano le finestre. L'ombra riappare... il sottufficiale Linge sviene e le mie gambe cominciano a tremare. « Io me la filo », bisbiglia Gregor sgomento. « Non sono di guardia, non sono che un sergente ispettore, e se vuoi un consiglio, di' che non hai visto niente. » E se ne va via, veloce come un lampo. Resto solo. Preso dal panico, attraverso di corsa il tratto di terreno destinato alle esercitazioni, e per ben due volte nella furia perdo l'elmetto d'acciaio. Maledizione! Dato che il mio nome è inciso all'interno del Casco, devo per forza cercarlo a tentoni nel buio. Finalmente arrivo al posto di guardia, butto la carabina nella rastrelliera delle armi e dichiaro di non poter uscire nel modo più assoluto, almeno per quella notte. Il comandante di guardia, sottufficiale Linge, trema a tal punto che non penso che questo suo comportamento possa
37 essere giudicato un « sabotaggio agli ordini ». « Teufel! Allora era vero. » Improvvisamente scatta in piedi come sospinto da una molla. « Prendetene nota, mascalzoni, che io non voglio sapere niente di Satana, con o senza corna. Non ho visto niente, non ho mai lasciato la sala di guardia. Chiaro, cretini? » « Hai visto la stessa cosa che abbiamo visto noi », replico. « Non ho visto niente, ti ripeto, e non sono mai andato vicino alle rimesse. Hai capito, pezzo di mascalzone? » Preso da un parossismo di attività, fa spostare la rastrelliera delle armi, e sempre più frenetico nel suo nervosismo dà un calcio magistrale al suo elmetto che vola attraverso la finestra, provocando un incredibile fracasso di vetri andati in frantumi. Disgraziatamente il tenente Lang, che era di servizio e per caso passava di là, riceve l'elmetto in pieno sul capo. Un urlo! Si precipita nella sala di guardia e afferra Fratellino che in quel momento è il solo a mantenere un certo sangue freddo. « Giù le mani, prego! » gli grida, sentendosi allo stesso livello del capo della guardia. « Chi mi ha tirato addosso l'elmetto d'acciaio, mascalzone? Attacco contro un ufficiale di servizio, vi costa come minimo almeno dodici palle in corpo. » « Mi è sfuggito », geme il comandante della guardia, pallidissimo e sgomento. « Questo maledetto elmetto mi è sfuggito di mano. » « Bugiardo! L'hai tirato di proposito, ti ho visto. Del resto ti ho sempre giudicato un filone. Ma che succede? » chiede improvvisamente, vedendo tutta la guardia riunita, in piedi. Un silenzio di morte segue la domanda. Il tenente Lang ci scruta a uno a uno con il suo sguardo d'aspide, e naturalmente trova subito il più debole dei presenti, il caporale
38 Nass, universalmente conosciuto per gli errori che commette in perenne continuazione. « Parla, figlio d'un cane! » « Signorsì, a rapporto », balbetta quello, talmente atterrito che non riesce nemmeno a proferire una parola di più. « Dieci flessioni sulle gambe, carabina in alto, è un esercizio che rinfresca la memoria. » « Hanno visto il diavolo! » finisce col balbettare il caporale Nass. « Non sarete diventati tutti pazzi, spero? Esigo un rapporto militare in perfetta regola. Dove, come e quando? » « Faccio rapporto : la guardia di notte presso le rimesse ha visto il diavolo alle 1.05. Aveva le corna e beveva zolfo nell'appartamento del colonnello, che era tutto illuminato. » L'ufficiale che, a sua volta, aveva già sentito questa strana storia, da paonazzo diventa grigio cenere. Si lascia cadere pesantemente sull'orlo del tavolo, convinto di vedere doppio per colpa di quel cretino di Nass. Nel corso di un turno di guardia tutto ciò che non è del tutto normale deve essere segnalato, ma il colonnello non voleva assolutamente che sorgessero complicazioni inutili, soprattutto concernenti la sua persona. Questa storia avrebbe posto il firmatario del rapporto in una situazione terribilmente delicata. Quale superiore, era Lang che doveva firmare, ma il comandante della guardia avrebbe sicuramente confessato che era stato costretto a firmare per ordine del tenente. Non era perciò molto difficile immaginare chi avrebbe accompagnato la prossima compagnia al fronte. Tutti gli sguardi sono rivolti verso di lui. Per un istante, egli guarda il volto abbrutito del comandante della guardia. « Chi ha visto questo essere mitico? » chiede con perfida astuzia. « Il caporale Creutzfeldt e il portabandiera Hassel», sus-
39 surra il sottufficiale Linge. Questo elmetto d'acciaio la pagherà cara, e lo sa. Se il tenente fa rapporto, lui la mattina dopo si ritrova in prigione. Lang salta lesto giù dal tavolo dove stava seduto e con tre passi si piazza davanti a Fratellino. « Creutzfeldt, avete bevuto ieri sera? » « Certo, signor tenente. Quattro boccali di birra e un decilitro di kummel. » « Eravate ubriaco? » « Non più del solito, signor tenente. » « E ciò vorrebbe dire che se il caporale Nass avesse bevuto quasi altrettanto, sarebbe ora ubriaco peggio di un asino? » « Sarebbe morto, signor tenente. Non è assolutamente in grado di bere più di un topo che ha annusato un piatto di formaggio caldo. » « Perfetto! » grida il tenente che comincia a intravedere una via d'uscita, almeno per sé. « E voi, Hassel, avete bevuto anche voi prima di iniziare il turno di guardia? » «eSì, signor tenente, un'ora prima», rispondo per non contrariarlo. « Perfetto, perfetto. Tutto questo maledetto alcool e birra che avete ingollato vi ha fatto montare la testa, e avete avuto semplicemente delle allucinazioni. Tutti sanno che il colonnello lavora la notte. Doveva avere in capo il suo elmetto da ulano, e voi cretini l'avete preso per delle corna, non è così? » «Sì, signor tenente», risponde un coro. « È Lòwe il vostro capo di compagnia? Ottima scuola. Ma la prossima volta non bevete troppo la sera in cui dovete fare il turno di guardia. Vi rendete conto di quel che sarebbe successo se avessi fatto rapporto su tali imbecillità? Che cosa sarebbe costato a tutti? E non state più a spiare le finestre del colonnello, non vi riguarda, i suoi ospiti non
40 devono essere controllati. Quanto a te, signor sottufficiale, la prossima volta che tirerai un elmetto addosso a un ufficiale, non ne uscirai così bene come questa sera, te lo dico io e ricordatelo! Anche tu hai bevuto o sei semplicemente un imbecille? » « Sì, signor tenente, ho bevuto, ero molto triste. Mia moglie, quella puttana, mi ha piantato per andare con uno della fanteria pieno di soldi. » « Capisco e mi dispiace, ma la prossima volta che ti faranno becco, pezzo di cretino, butta l'elmetto dalla parte della truppa, perché non credo proprio che tu abbia una gran voglia di fare conoscenza con il fronte russo. Chiaro? » Purtroppo, non si possono cucire le labbra a tutti, e così nel giro di tre ore, tutti e persino il cane del reggimento sapevano che la guardia vicino al parco macchine aveva visto le corna di Satana alla finestra del colonnello. Tre giorni dopo, qualcuno vede delle tracce di impronte biforcute sul terreno destinato alle esercitazioni. Il cuciniere della 3a compagnia, il sottufficiale Hansel, suggerisce che forse c'è un cervo nel bosco vicino, e subito il giorno dopo, guarda caso! non è più cuciniere ma fa parte del gruppo dei lanciagranate della 1ª compagnia. Ovviamente doveva essere pazzo, nessun cervo tedesco avrebbe osato arrischiarsi a camminare sul terreno delle esercitazioni di Sennelager. Quanto a noi, tuttavia, non avevamo dubbi : le impronte provenivano dalle visite notturne al colonnello. Il furiere della 2ª compagnia, con gli occhi fuori della testa, racconta che l'aiutante del reggimento che lo aveva preceduto aveva perduto la ragione, quando un mattino, poco dopo le quattro, ritornando dal bordello, aveva incrociato davanti all'ingresso del campo il colonnello e i suoi orribili ospiti. Venne ritrovato senza conoscenza, con quattro costole rotte e tracce di morsicature su tutto il corpo. Venne
41 inviato all'ospedale psichiatrico militare a Giessen, dove se ne andava in giro con una scopa sulle spalle dichiarando di essere la Morte con la falce. Il disgraziato finì poi con l'impiccarsi nei cessi degli ufficiali. Ma la storia portò a una specie di follia collettiva il giorno in cui il caporalmaggiore Glent, dell'ordinanza del reggimento, entrò un bel mattino nell'appartamento del colonnello credendo che il suo superiore fosse assente. Il colonnello invece si trovava nell'alloggio. Giocava a carte con due sconosciuti che si erano precipitosamente avvolti nei loro mantelli dopo aver calato il cappello sugli occhi. Glent era riuscito comunque a intravedere uno dei volti e giurava che due orbite vuote prendevano il posto degli occhi. L'uomo non aveva labbra, gli si vedevano i denti, e tutto il locale sentiva di zolfo e di carne arrostita. Il giorno dopo, il caporale Glent non era più di ordinanza, e tutti erano certi che avesse visto la Morte. Il poveretto chiese di essere trasferito da Sennelager altrove, ma la sua richiesta fu rifiutata. Venne invece spedito allo stato maggiore degli armamenti dove si lavorava così sodo che non avrebbe avuto più il tempo di pensare. Il solo pensiero di incontrare il colonnello atterriva perciò tutti, e quando si sentiva il tipico rumore metallico delle sue protesi, gli uomini svanivano. Purtroppo, un giorno si imbatté nel sergente maggiore Hofmann; nessuno seppe mai che cosa avvenne, ma nel giro di otto giorni Hofmann si trovò all'ospedale con una febbre da cavallo. Riapparve magro e sparuto e gli ci volle diverso tempo prima di ritornare se stesso e di minacciare tutti di Consiglio di guerra. Quanti personaggi bizzarri e singolari finivano a Sennelager, di tutti i tipi, dai generali di corpo d'armata ai protettori di prostitute. Vi erano anche dei pessimi soggetti, dei lavativi, o dei finocchi le cui lunghe giacche attillate e completate da sciarpe vistose, avevano il potere di mettere
42 le SS fuori di sé; poi i criminali che ascoltavano la radio straniera di nascosto, i fanatici religiosi e gli antirazzisti. E infine, tra gli altri, l'uomo che era stato il comandante supremo di tutta la Danimarca occupata, il generale di fanteria von Hanneken, che venne inviato alla 2ª compagnia con mansioni di caricatore. Si diceva che a Copenaghen fosse stato un po' troppo pesante nel presentare le proprie spese personali, che addebitava naturalmente all'esercito, e questa grave scorrettezza era venuta alle orecchie delle autorità superiori. Un mattino, molto presto, si vide apparire davanti tre inconfondibili giubbotti di cuoio nero, con cappelli di feltro calcati sul viso. Venne portato seduta stante e a tutta velocità su una Hor-sche grigia, da Silkeborg alla prigione Vestre di Copenaghen. Era la vettura riservata agli arresti dei generali. I sottufficiali e le persone di poco conto dovevano accontentarsi di una nkw, vecchia e malandata. Come vedete, tutto accadeva secondo regole ben precise e nel più grande ordine. Un generale di divisione, che era diventato uno dei più prestigiosi trafficanti del mercato nero in Francia, assunse l'incarico di portami tra gliatr ice di Hanneken, ma Porta che sospettava, forse a ragion veduta, che l'uomo avesse nascosto parte del suo bottino, lo curava con amore materno. « Allora, ha parlato sì o no? Si è lasciato scappare dove l'ha messo? » gli chiedeva tutte le sere Fratellino con una cupidigia neanche dissimulata. Ma Porta non riusciva da solo a strappargli qualche confidenza, perciò una mattina decide di farne parte a Wolf, uno degli uomini del parco macchine, che può entrare liberamente negli uffici dove stanno le carte e i documenti del reggimento. I due portano il generale a fare una esercitazione speciale, e che cosa sia successo io non lo saprò mai, ma comunque dal mattino dopo Porta non si interessa più del generale e con Wolf organizza un festino speciale nella
43 mensa dei sottufficiali, che si conclude al bordello di lusso chiamato « La dolce coscia». Tuttavia, a Sennelager, l'individuo la cui presenza ci affascina maggiormente è l'ispettore della Gestapo Lutz, l'individuo più spregevole di tutta la polizia segreta. Tutte le sere, dopo il servizio, Fratellino si installa tutto soddisfatto sul tetto della rimessa e costringe a un'esercitazione supplementare l'uomo che a suo tempo gli aveva procurato la degradazione e tre mesi di campo di punizione a Besancon. « Territoriale, marsc, marsc! » urla dall'alto del tetto. « Mangiati il culo! A terra! In piedi! » L'esercitazione avviene sempre sull'orlo del fossato molto profondo e colmo d'acqua melmosa destinato ai mezzi blindati. Lutz vi cade tutte le volte, con elmetto d'acciaio e carabina, tentando almeno di sollevare verso il cielo il mitragliatore; he esce trasformato in una statua di fango, e quella vista è una specie di beatitudine quotidiana per Fratellino. « Attacco di gas! » Lutz è costretto a arrampicarsi sull'albero più vicino, dato che il gas è pesante e serpeggia sul suolo. Arrivato sulla cima si infila la maschera e quindi, a piccoli balzi, torna a terra sempre con la maschera, ma non prima di aver cantato a squarciagola l'intera canzone: La vita del soldato è così bella... Tutte le sere un Lutz pressoché moribondo ritorna in camerata, e nessuno può fare alcun rimprovero al suo torturatore. Lutz è nel gruppo agli ordini di Fratellino, che può in qualsiasi momento mandarlo in una compagnia penitenziaria, vale a dire a una morte certa. Ma, dato che Fratellino è pieno di umanità e fa solo il proprio dovere, si accontenta, è proprio così, di inculcargli tutto quello che
44 un buon soldato deve sapere e che il servizio ordinario non insegna. Due volte consecutive Lutz tenta di ammazzarsi, e il secondo tentativo gli costa quattro giorni di prigione. Quando il periodo di formazione a Sennelager finalmente si conclude, vengono distribuiti agli uomini i loro libretti militari, e i loro distintivi d'identità. La carne da cannone è ormai pronta per il fronte est. Le vessazioni cessano. Ora le cose sono serie e reali come le esercitazioni; per tre giorni tiro col fucile. Questo porta come conseguenza molti feriti e molti morti, perché se non si conoscono bene le» regole del gioco, è assodato che ci si lascia la pelle.
45 « Un popolo le cui famiglie hanno, in media, quattro figli ognuna può permettersi una guerra ogni vent'anni. Due figli muoiono sul campo dell'onore e gli altri due perpetuano la razza. » Discorso di Himmler agli ufficiali della Scuola politica di Braunschweig, 9 gennaio 1937
« Siete voi, Obergruppenführer? » Dirlewanger telefonava con il suo accento tipicamente caratteristico della bassa Svevia, in filo diretto, all' Obergruppenführer Berger a Berlino. « Che cosa succede da voi, Dirlewanger? » lo rimproverò Berger. « Nelle alte sfere si disapprova la vostra condotta, preferisco dirvelo io stesso. Sono giunte delle pesanti lamentele perfino al Führer. Che cosa avete da dirmi? » « Da qualche giorno, abbiamo degli scontri molto duri, Obergruppenführer, con risultati positivi anche, ma come voi sapete non si può fare una frittata senza rompere le uova, e questa volta se ne sono rotte parecchie, per la verità. Non potreste mandarmi su un po' di gente? » « Sapete bene che le SS possono molto, ma in questo momento non ho niente da offrirvi. Le prigioni e le case di correzione sono già state quasi svuotate di elementi utilizzabili. Potremmo, è vero, far uscire i criminali dai campi di concentramento, ma qual è il genere di individui che vi interessa? » « Ba'! E perché non i criminali o gli assassini, dopo tutto », rispose Dirlewanger. « O anche dei protettori di prostitute e rapinatori. Vanno bene tutti, solo non mandatemi dei finocchi. Non desidero assolutamente mischiare i miei uomini con tipi del genere. » « Bene, avrete qualcosa fra non molto. » Già dal giorno seguente, gli sbirri di Berger passavano tutti i campi di concentramento, come si suol dire, al pettine fine. Raccogliere volon-
46 tari è molto semplice: un calcio nel sedere o un buon colpo sulla nuca e l'uomo che lo riceve viene spedito direttamente alla caserma di Oranienburg, dove viene equipaggiato. Era stata un'idea di Berger, quella di tirar fuori dalla prigione Dirlewanger, ex tenente colonnello dell'Impero, incriminato e incarcerato per offesa al buon costume durante la guerra di Spagna. Si era per la verità riabilitato in occasione della battaglia di Madrid. Amnistiato, Dirlewanger era stato inviato come Untersturmfilhrer presso lo Standartenführer delle SS Theodore Eicke e i suoi maledetti demoni dall'insegna a testa di morto. Era stato in seguito il carnefice più crudele di moltissimi campi di concentramento.
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I DISERTORI Il battaglione viene trasferito a qualche chilometro da Matoryta, regione disseminata di acquitrini fetidi dove migliaia di moscerini ci si avventano letteralmente addosso. Porta imprecando ne uccide più che può dandosi delle grosse manate sulle spalle. Fratellino ha requisito per sé il territoriale Lutz che gli porta l'affusto del cannone, e in questo modo non lo perde d'occhio un istante. L'effettivo del reggimento è al completo e molto ben armato, ma soltanto la la compagnia ha in dotazione i carri armati; le altre undici servono solo come complementi di fanteria e sono costrette a sguazzare nel pantano. Arriva un nuovo comandante di divisione dallo stato maggiore, con monocolo e stivaloni lucidissimi. Wolf, furioso, deve mettere a sua disposizione ben due autocarri per il trasporto dei capi di vestiario del generale. « C'è perfino un piano a coda, che il maledetto suona quando Ivan gli dà del filo da torcere! » «Allora potrà benissimo suonarselo difilato, fino al momento in cui verrà firmata la pace! » sghignazza Porta. Avviene la solita ispezione del pomeriggio. In una nuvola di polvere il generale arriva al villaggio, smonta dalla sua Kübel ricevuto dal colonnello Hinka, nostro comandante di reggimento, cui si rivolge con palese condiscendenza. « Generale Walter barone zu Weltheim », dice presentandosi a Hinka. Dopo una breve parata su un terreno fangoso che ci trasforma in blocchi di fango, pronuncia un breve discorso, dichiara che siamo i nuovi « crociati », e cincischia tra le mani la sua croce di ferro. « Sono orgoglioso di esserne debitore ai miei prodi soldati! »
48 « Oh, che bella novità », bisbiglia Porta. « Di solito siamo la merda dell'esercito, oggi siamo degli eroi. Ne succedono proprio di tutte in guerra! » « Ancora un piccolo sforzo e gli odiati russi saranno finalmente distrutti. Il nemico si illude di averci battuto perché effettuiamo regolari ritirate strategiche. Aspettate che ci conosca meglio, ragazzi! E questo avverrà già prima di Natale! » Colpisce ritmicamente il suolo col sottile bastone dal pomolo d'oro, bastone che è diventato ormai leggendario nell'esercito. « Supplemento di vitto per tutti », ordina questa bocca sottile e sorridente. « Prediligo in modo particolare il vostro reggimento, Hinka. È motivo di vero orgoglio vedere dei soldati carristi che scendono dai loro colossi d'acciaio per battersi nella fanteria. Dio vi protegga, soldati miei! » « C'è in ogni caso qualcosa di certo », mormora Hinka a Lowe. « Il generale non verrà molto spesso a trovarci in prima linea. Al primo attacco, vedrai che sparisce, lui e tutto il suo seguito. » Alla sera, il morale dei sottufficiali di Sennelager cresce di tono. La maggior parte di loro ha ricevuto un supplemento di razione ma soprattutto molte lattine di birra, e questo è molto stimolante per chi è costretto a stare in mezzo a un pantano e a una palude maleolente. Il sergente maggiore Hofmann esegue una specie di « esercitazione libera » con due telefoniste che ha fatto montare sopra un tavolo, in modo che tutti possano avere una totale visione delle loro gambe; constatiamo con vera soddisfazione che nessuna delle due indossa le mutande. Le due ragazze avevano sbagliato strada abbandonando in fretta e furia BrestLitovsk all'arrivo dei russi, e dopo una serie di disavventure erano approdate da noi. Nonostante facessero parte dell'Arma dell'Aviazione, il sergente Hofmann se le era aggregate senza farne parola né al capo di compagnia né a
49 Wolf del parco macchine. Concluse le risate e le battute oscene, tutti più o meno ubriachi fradici, la conversazione scivola sul comunismo, per via di una giovane recluta le cui idee politiche gli erano costate ben cinque anni supplementari di militare. « E se facessimo venire qui quell'imbecille di studente», dice l'Oberwachtmeister Danz. «Ci racconterebbe magari qualcosa sul comunismo e finalmente capiremmo che diavolo è questo nuovo vento dell'est. » Due uomini del gruppo vanno a cercare la recluta Lenzing, e d'autorità lo spingono dentro la ridotta fumosa. Sembra un ragazzino di sedici anni nell'uniforme troppo grande per lui, ma compirà i ventun anni il mese prossimo. Livido dalla paura, si guarda attorno fissando a uno a uno quei volti paonazzi per effetto del vino. Che cosa ci si poteva aspettare da quei bruti? Niente di buono, certo. Il ragazzo sa già che in questo tipo di vita i momenti buoni sono molto rari. Il maresciallo d'alloggio Danz gli tende le braccia aperte, in un gesto molto cameratesco. « Eccoti qui, piccola scimmia comunista, sei molto popolare sai, fra noi, camerata del partito. Ti chiediamo ufficialmente di fare un breve corso di lezioni sul comunismo, in modo che queste benedette teste quadre naziste ci possano capire qualcosa. Monta sul tavolo, su, aborto di natura. Credo che tu non abbia poi tanta voglia che ti costringiamo con la forza a parlare. » Molte braccia tese issano il ragazzo intimidito sul piano di un tavolo e molti visi apparentemente gioviali lo guardano fìsso. Se rifiuta di parlare le cose per lui si metteranno male, ma se dice quel che ci si aspetta da lui, verrà denunciato e allora lo metteranno sicuramente al muro. A questo punto tutto gli diventa indifferente. Recita rapidamente scandendo meccanicamente tutti i suoi slogan, teso e a scatti, e nemmeno si accorge delle lagrime che gli cola-
50 no lungo le guance. « Il comunismo è la lotta del proletariato contro il capitalismo internazionale; il baluardo contro l'imperialismo e contro l'oppressione della classe operaia... » Per una decina di minuti ascoltiamo queste tirate classiche ideologico-astratte, poi viene strappato giù dal tavolo. Danz lo afferra per le orecchie e lo piazza davanti all'uditorio come si mette in mostra un animale straordinario di una razza sconosciuta. « Tu sei un amico, mio giovane cretino comunista. Devo riconoscere che ci vuole del coraggio per fare della propaganda rossa davanti a dei sottufficiali del Führer. » « È veramente coraggioso? » chiede perfidamente il sergente maggiore Kleiner, che lo guarda con i piccoli occhi porcini. « Ho l'impressione invece che questo merdoso sia uno di quei comunisti da salotto che vanno guariti con un paio di calci prussiani nel culo e un terzo sul cranio. È certo comunque che è un lacchè degli ebrei. » « Lenzing, cane rosso, allora sei coraggioso o no? » grida Danz dandogli una violenta manata che lo butta per terra. « Se lo si mettesse alla prova? » suggerisce il cuciniere sottufficiale Thiel. « Vediamo un po' se ha paura di un paio di colpi di fucile. » In mezzo a un gran vociare, Lenzing viene sospinto contro il muro, un barattolo di conserva sulla testa, e il sergente maggiore Kleiner punta verso il soldatino, livido di terrore, una 08 carica. « Vedi di tenerti ritto, caro studente rosa pallido, perché io adesso voglio far saltare via di netto da sopra la tua testa quel barattolo. Può darsi che sbagli il colpo, ma non mi succede di frequente. Una volta su dieci, diciamo. Ma anche se ti fracasso il cranio, non te ne accorgerai nemmeno perché sarai morto all'istante. Così potrai continuare la tua propaganda comunista in paradiso. Per il momento ti chie-
51 do di rimanere dritto e rigido come un pino ghiacciato. » «Andiamo, Kleiner», interviene Hofmann che sta diventando nervoso. « Facciamola finita. Se gli fai saltare le cervella ne verrà fuori un casino della malora, anche se per questo bastardo non ne vale neanche la pena. » « Figurati! » sghignazza Kleiner. « In fin dei conti non farei che liquidare con un po' di anticipo un diavolo di un comunista. Voglio vedere se il Consiglio di guerra me lo rinfaccerebbe. Se qualcuno non la pensa come me si faccia avanti, se è un vero uomo! » Alza la pistola al di sopra della testa, parte un colpo che rimbomba nella sala e la pallottola fila fuori attraverso la finestra. Tutti si cacciano sotto i tavoli, per poi riprendere coraggio e esigere a gran voce una nuova bravata. Kleiner alza la pistola una seconda volta e la punta di nuovo contro Lenzing. « Finisci che lo ammazzi, perdio! » dice Hofmann molto pallido. « Mandalo via e piantala di fare delle smargiassate. Ne vien poi fuori una storia che non finisce più. » « Fifoni! » blatera il sergente maggiore, sempre prendendo la mira. « Allora, lo scommettete che riesco a far saltar via il barattolo che ha sopra la testa, sì o no? » « Scommetto, sì : ti vanno bene tre bottiglie di vodka? » fa una voce. « Nel giro di cinque minuti qui ci scappa un morto. Ti proibisco di tirare. » «Vai a pisciare nel latte di tua zia», sghignazza Kleiner, minaccioso. « Non puoi proibirmi niente, tu. Non sei che il sergente maggiore dei militari di bassa forza e io sono addetto alle munizioni. Non sai nemmeno che differenza passa tra una pala da fanteria modello 1901 e un fucile mitragliatore modello 42. E sputo anche sulla tua dannata faccia di soldato negro. » Si appoggia contro la parete e ingoia un'altra sorsata d'al-
52 cool. « Stai tranquillo, ragazzo, almeno finché non ti faccio saltar via quel barattolo dalla testa. E chiudi gli occhi se la mia artiglieria ti mette addosso un po' di fifa. » Parte un colpo, la pallottola penetra nella parete a pochi centimetri dalla testa di Lenzing. « Merda! » fa Kleiner, puntando di nuovo la pistola. Spara, e questa volta fa centro, il barattolo di conserva si spezza in mille frammenti che volano da tutte le parti. « Che cosa succede qui? » esclama una voce dura, dalla porta. Kleiner si volta inebetito. Davanti a lui il tenente Lòwe si ferma di scatto, il berretto calcato sugli occhi e le dita infilate nella bandoliera. A tutti passa istantaneamente l'ubriacatura. « Fuori di qui », ordina Lòwe a Lenzing. « Mi occuperò di voi più tardi. Questa storia arriverà al comandante del reggimento », aggiunge in un tono minaccioso che mette paura a tutti. « Ne ho abbastanza di questo tipo di imbecillità. » Si volta verso Kleiner. « Questo tipo di tiro è evidentemente la vostra specialità, sergente maggiore. Avrete tutto il tempo di esercitarvi. Vi destituisco dal vostro posto di addetto alle munizioni e siete trasferito seduta stante alla sezione cacciatori dei carristi. » Il volto di Kleiner è livido: « Va bene, signor tenente ». « I WU ne hanno già subite abbastanza, senza che voi ne inventiate di nuove, e ancor più criminose. Dovrei farvi filare tutti al Consiglio di guerra, e di lì a Torgau, ma credo che i russi saranno capaci di insegnarvi a diventare persone serie. Non so se ignorate o non volete rendervi conto che siamo entrati nel quinto anno di guerra e siamo sull'orlo di una catastrofe. » Senza degnarci di uno sguardo, fa dietro-front e esce
53 sbattendo la porta della ridotta. « Teufel! » mormora Danz atterrito. « In fondo, però, poteva andar peggio. Mi sembrava già di sentire le chiavi di Torgau chiudersi dietro il mio culo! Filiamo prima che magari arrivi anche il colonnello. » Kleiner piomba pesantemente su una sedia, sempre ubriaco, con la pistola ancora stretta nella mano destra. « Perché non miri su di te, ora? » gli propone gentilmente Hofmann. «Sezione cacciatori carristi! Hofmann, ti prego, non abbandonare un vecchio camerata. Morirei se dovessi andare con quegli imbecilli delle trincee. Non ho niente in comune con la vostra guerra idiota; io sono capo di un deposito munizioni e sono stato mobilitato come operaio specializzato di Bam-berg. » « Sergente maggiore Kleiner », gli urla Hofmann, « hai tradito la mia fiducia, e io neanche più ti conosco, ma se domani non ti fai trovare in puntualità perfetta davanti alla sezione carristi alle sei di mattina, ti lego il tuo dannato diploma di operaio specializzato intorno al collo. » La mattina seguente occupiamo le posizioni ai due lati del 587° reggimento di fanteria, rilevando il reggimento 500, un reggimento totalmente disciplinare, senza criminali, tuttavia, composto per la grande maggioranza di ufficiali degradati. I WU dei due reggimenti si guardano di traverso. La barra rossa che ogni soldato WU porta sulla schiena, qualunque sia il numero del suo reggimento, non induce certo in inganno. Il fronte è di una tranquillità molto inquietante, la « no man's land » è deserta, la prima linea russa è appostata dall'altra parte della palude. È giovedì, giorno in cui da Ivan viene distribuita la vodka. Un litro e mezzo a testa, la razione di una settimana che invece viene fatta fuori in un'ora; è ovvio quindi aspettarci una notte agitata.
54 Qui, nella palude, le zanzare sono ancora più accanite e più numerose che nel villaggio. Sono peggio delle pulci. Ci avevano distribuito delle zanzariere almeno per il viso, ma quelle dannate bestie riuscivano a passare sotto la maschera. Porta si è spalmato con un grasso che aveva trovato in una locomotiva demolita, il cui odore pestilenziale allontana gli insetti. I WU si sono appostati nelle trincee ma anche a occhio nudo si capisce benissimo che il loro pensiero è altrove. Da molto tempo ormai si sono resi conto che l'amnistia e la riabilitazione promesse sono un'illusione. Più semplicemente mancava quasi totalmente la carne da cannone, e per questa sola ragione sono stati spediti qui. I soldati WU sono carne da cannone in senso vero e proprio, e non incontrano che indifferenza e disprezzo. Se vogliono far lega con veri soldati, vengono cacciati via brutalmente come fossero appestati. Nessuno vuole aver a che fare con loro, nemmeno il nuovo gattino di Porta. Poco dopo le otto di sera, ecco che comincia la sarabanda. Da molto li si sentiva urlare, laggiù nelle linee nemiche. Improvvisamente diverse granate di mortaio scoppiano davanti al nostro naso, in un primo tempo un po' a casaccio, poi il tiro diventa gradualmente più preciso. Due WU vengono uccisi prima ancora che Fratellino, pronto come sempre, abbia avuto il tempo di piazzare la sua mitragliatrice. Poi cominciano a piovere le granate a razzo luminoso, e il fosforo che esplode semina il panico nell'intero reggimento disciplinare. Tutto questo si prolunga senza soste quasi tutta la notte. Il pomeriggio seguente, il tiro riprende sempre più preciso. Questa volta sono i tiratori scelti siberiani, perfettamente mimetizzati in mezzo agli alberi che costeggiano la palude; solo grazie alla nostra lunga esperienza riusciamo a individuarli. Sono assolutamente infallibili: provate a mostrare il naso anche solo un centesimo di secondo e vi
55 beccherete immediatamente una pallottola esattamente nel mezzo della fronte. Soldati spietati, detestabili, veri criminali di guerra che i russi stessi non possono soffrire. Tengono meticolosamente aggiornata la lista delle loro vittime, semplicemente per essere decorati al merito; e d'altra parte anche da noi esiste questo folle tipo di individuo, il tirolese, che uccide, per il piacere di uccidere. Improvvisamente, vediamo il legionario imbracciare il fucile, sparare, e dal ramo di una grossa quercia vediamo scivolare a terra una figura. « Bravo, soldato del deserto! » Un secondo dopo è Porta che spara, e un siberiano cade a braccia tese in avanti. Un altro colpo nel folto di un cespuglio. Un raggio di sole ha tradito una figura molto ben dissimulata nel folto delle foglie, che si alza di scatto per poi ricadere a terra all'indietro con un grido di agonia. «Là... là nelle canne », bisbiglia Gregor a Porta che punta il binocolo. « È coperto di foglie. Non vedi brillare il suo fucile vicino a quel formicaio? » « Sì, lo vedo », risponde Porta eccitato, e si sposta leggermente da un lato nel preciso momento in cui una bomba esplosiva scoppia esattamente dove lui si trovava l'istante prima. «Lo sapevo», sghignazza Porta. «Me lo sentivo già nel pollice del piede, sai quello che mi si è congelato a Char'kov. Aspetta soltanto un momento, amico! » Rapido come una saetta, si alza e spara due colpi consecutivi. Vediamo un cranio che letteralmente esplode, l'uomo scivola senza il minimo rumore nella melma insondabile della grande palude. Nessuno saprà mai come e che cosa gli è successo. Chi era? Un komsomol fanatico, un sottufficiale di carriera decorato, un commissario con la stella dorata sul petto? Forse anche un padre di famiglia pieno di nostalgia e di rimpianti. Sono di solito i migliori tiratori.
56 Ma è in ogni caso un essere umano, assassinato per colpa di una guerra tragica e assolutamente folle. Porta ha guadagnato due litri di vodka e un litro di birra in mezz'ora; non è male, anche perché è solo un tiratore divisionale; non c'è niente di più difficile che far centro su un tiratore scelto siberiano. Improvvisamente una granata ben piazzata annienta del tutto la prima sezione della 7ª compagnia. Tutto ciò che rimane è una manica vuota; abbiamo un bel cercare e frugare nel terriccio, non troviamo che ossa dilaniate, brandelli di carne e armi contorte. I WU sembrano impazziti dal terrore, tanto che ci viene ordinato di sparare su di loro appena accennano a scappare o a disertare. L'ex pastore di Bielefeldt si caccia in una buca in compagnia dell'ex postino di Lipsia, quello che rubava i pacchi invece di consegnarli. Questo tipo di crimine gli sarebbe costato la pena di morte, ma lui aveva delle relazioni influenti; si salvò con dieci anni di prigione, per poi passare nel 999, con la speranza anche di riuscire a tornare al suo rimpianto impiego di postino. Almeno, così gli era stato promesso. « Pastore », bisbiglia il postino, « e se filassimo dall'altra parte? Questi maiali qui non aspettano altro che l'occasione buona per farci fuori. » Il pastore guarda pensieroso le posizioni russe che sembrano, deserte. « Allora, la tentiamo? Filiamo da Ivan, su, non può essere peggio che sotto i nazisti. Dicono che là riaprono le chiese, così tu non hai niente da temere. » In quello stesso istante, il tiro di sbarramento cessa e segue un silenzio di morte. Si sentono solo i crepitii di un villaggio in fiamme, e molto attutito il muggire di vacche soffocate dal fumo e sconvolte. Un ferito chiama la madre, disteso nella terra di nessuno. È curioso constatare come i
57 feriti gravi chiamano sempre il nome di una donna. Improvvisamente, nel silenzio del fronte si sente risuonare una vecchia canzone tedesca: Alte Kameraden. Ascoltiamo stupefatti... ma con la pelle d'oca. Altrettanto improvvisamente questa musica cessa, e una voce tonante esce da un altoparlante mimetizzato nella palude. « L'esercito russo saluta il battaglione 999, e in modo particolare i WU politici. Vi raccomanda di non trascurare ogni occasione per sabotare gli ordini, distruggere le macchine da guerra di quel mostro umano di Hitler, e liquidare senza pietà i suoi accoliti che si trovano in mezzo a voi. L'armata russa vi ricompenserà. Questa mattina vi è stato detto che i vettovagliamenti mancano perché i partigiani hanno tagliato le comunicazioni nelle retrovie. È una menzogna dei nazisti! Le comunicazioni sono intatte, lo sappiamo dai nostri che sono dietro le vostre linee. Tutti i nostri partigiani hanno avuto l'ordine di mantenersi tranquilli, perciò tutti i vettovagliamenti devono essere pervenuti, e in razione doppia. Chiedetene al sergente di stato maggiore Paul Bode, della 8ª compagnia, e anche dove ha nascosto i duecento pacchi di sigarette e le ventitré bottiglie di vodka. Se rifiuta di rispondere, cercate dietro il camion cingolato WH6 651557. I pacchi sottratti sono nello spazio vuoto che sta sotto la riserva di benzina. Wanda Stutnitz, la puttana polacca, vi mostrerà dove sono e potrete poi ammazzarla, tanto è già stata condannata a morte dal Comitato di Resistenza polacca di Lublino. Domani sera, il vostro generale di divisione Freiherr zu Weltheim darà una festa a Matoryta, sulla strada per Laskowska. È l'intendente Lumbe che è stato incaricato di raccogliere e consegnare le provviste adeguate: sono tutte derrate sottratte alla 4ª armata carristi. » La musica militare riprende, questa volta è una marcia
58 francese molto allegra e eccitante. Poi la voce gutturale interrompe e riprende: « Camerati del 999, gettate le armi, venite nell'armata libera del popolo socialista, associatevi ai lavoratori e ai contadini dell'armata rossa. Il maresciallo Rokossovskij, comandante supremo del fronte russo, vi offre un posto sicuro nelle nostre file, su un piede di assoluta uguaglianza con i nostri soldati. I vostri ufficiali ci chiamano bastardi ' sottosviluppati ', ' animali da palude ', ma chi sta passando di vittoria in vittoria dopo Stalingrado e Mosca? Vi è stata promessa la riabilitazione, non credeteci. Sui vostri documenti di identità, chiusi sotto chiave negli uffici dell'esercito, potreste vedere dei grossi timbri rossi; questo vuol dire in realtà che non rientrerete vivi nelle vostre case. Mentre con noi inizierete una vita che dedicherete alla lotta contro i criminali nazisti. Venite finché siete ancora in tempo. Noi non ci arresteremo che a Berlino, e allora sarà troppo tardi. Vi garantiamo, sull'onore della nostra armata, che sarete trattati convenientemente, avrete vitto sufficiente e donne per compagnia. Da questa sera stessa vi aspettiamo tra le 19 e le 21, sotto un tiro di sbarramento protettivo. Non abbiate paura dei vostri tiranni e carnefici nazisti, liquidateli e venite nelle nostre linee! » Nuova musica militare. « Hai sentito, pastore? Vieni, allora? » « No, Ewald, io resto. Io appartengo al popolo tedesco che è stato sconvolto e si è perduto, questa è una prova che Iddio mi manda. » « Ma tu sei pazzo! Ti ammazzeranno, è garantito. E ammazzarti sarebbe poco, hai già dimenticato come è finito il Testimone di Geova a Sennelager? Non è stata nemmeno aperta un'inchiesta. » « Cristo è morto sulla croce, è questo che aspetta anche me, fra non molto; d'altra parte, amico, non farti troppe
59 illusioni sulle promesse dei rossi. Anche loro hanno prigioni e campi di concentramento, che non hanno certo niente da invidiare a quelli di Hitler. Non dimenticare che siamo dei WU e possono fare di noi altrettanta carne da cannone. » « Bene, resta allora, testardo peggio di un mulo, e tieniti ben salda la tua fede, perché ne avrai molto bisogno fra poco. Spero che non mi sparerai nella schiena quando filerò dall'altra parte del fronte. » « Io non sparo su nessuno, lo sai. Che Dio ti protegga. » In tutte le buche i WU erano in attesa, esitanti: « Hai sentito? » chiede un ex banchiere, incriminato per le sue attività losche. « In fondo, se ci penso, anch'io sono un contestatario, e perché allora non potrei essere un comunista? Dovrebbero apprezzarle le mie doti, laggiù. » « Hai ragione », risponde un altro. « Me ne fotto io della patria e della bandiera. La patria per me è solo il luogo dove mi posso trovare meglio, e la Germania non mi ha dato altro che grane. Sempre la Gestapo dietro al culo. Non c'è mai stata una vera libertà in Germania. Camerata del fronte rosso, abbiamo deciso anche noi di scendere dal treno di Hitler, una volta per tutte. » Poco prima delle 19 si mette a piovere, il tiro dell'artiglieria aumenta d'intensità, proiettili calibro 28 fanno schizzare terra e sassi davanti alle posizioni tedesche, e una salva di bombe al napalm crea una lunga linea di fuoco proprio dietro le nostre prime linee. I russi evidentemente vogliono dimostrare che cosa si deve aspettare chi non si decide a disertare. Alle 19 precise, il tiro cessa all'improvviso; una gigantesca granata tardiva esplode dieci chilometri dietro le nostre spalle, facendo vibrare tutto il terreno intorno, quasi sicuramente nei pressi del villaggio dove è in postazione Hofmann, affiancato dalle due giovani telefoniste.
60 « Speriamo almeno che l'abbia centrato in pieno», commenta Fratellino, «e che i cani di Wolf ne mangino i resti e che poi scoppino per la gran mangiata! » Dalla loro posizione lievemente avanzata i due ex rapinatori spiano le posizioni russe apparentemente deserte, nonostante che sguardi ugualmente penetranti sorveglino sicuramente le linee tedesche. « È il momento buono», bisbiglia il primo. « Filiamo! Magari anche altri hanno avuto la nostra stessa idea, e se siamo troppi, gli ultimi non riescono a passare. Tanto qui saremo pelati vivi, non abbiamo, dunque, alternative! » Due altri WU li raggiungono nella buca con un salto; sono due ex macellai di Monaco, specialisti nel mercato nero. « Allora, venite sì o no? » L'uomo non aspetta la risposta, salta fuori dalla buca e sparisce in un'altra più avanti, ormai nella terra di nessuno, sotto lo sguardo atterrito dei compagni. Nel medesimo istante si alza il sergente Repke che è appena stato promosso, con suo grande dispetto, per la verità, capo sezione. Toglie dalla custodia il binocolo e osserva il terreno, metro per metro. « Ma non eravate in quattro qui, fino a un momento fa? » « No, sergente, siamo sempre stati in tre. » « Bene, bene, avanzi di galera, voi sognate di svignacela, non è vero? Lo si vede anche a occhio nudo. Provateci allora! Il quarto è laggiù in quella buca di granata. E ricordati, tu che mi hai appena mentito, che potrei farti saltare le cervella sul posto, ma lo farò più tardi, sta' tranquillo. Ci siamo capiti? » Si butta la machine-pistole dietro la spalla e sparisce nella curva della trincea per ispezionare una postazione di mitragliatrice. « Filiamo subito, prima che torni », dicono in coro i tre
61 WU. Buttano per terra le armi e si lanciano a testa bassa nella terra di nessuno, correndo a rotta di collo verso nord. L'artiglieria comincia a crepitare: tiro di sbarramento tedesco dietro le linee nemiche. Immobili, aspettiamo l'esplosione; quando un proiettile vola sopra le nostre teste, il fragore è simile a quello di un treno che passa sotto una galleria, segue qualche secondo di silenzio, poi la terra trema come per un terremoto. È caduto. Sono dei calibri da 32. Quattro batterie che tirano da dietro, e quattro colpi che seguono. Un 28 russo risponde di tanto in tanto, provocando solo qualche danno alle postazioni. «Sembra un duello d'artiglieria in prospettiva», commenta il Vecchio con la sua abituale grande esperienza. La pioggia aumenta insieme a raffiche di vento, e in un batter d'occhio siamo inzuppati fino alle ossa. Un tempo ideale per i disertori. Le colline occupate dai russi hanno assunto un colore grigio bluastro, la notte sta calando. Un uccellino canta proprio davanti alle linee russe, come volesse fare da richiamo ai WU. Il sergente maggiore Wolter e i portatori Bugler e Treiber guardano fissamente le linee nemiche. « Sergente », chiede prudente Bugler, « avremo da mangiare questa sera? Ingoierei una mucca intera, lo giuro. Sono dimagrito di trenta chili da quando sono qui. » Il sergente maggiore, che porta sull'uniforme l'emblema dorato del partito, contempla con soddisfazione questa sua insegna di potere e di privilegio, e con un gesto di assoluta sicurezza si sistema sulla testa l'elmetto d'acciaio. « Laggiù avrete tutto in abbondanza, non avete sentito gli altoparlanti? » Treiber, stupefatto, indietreggia di un passo. Non si aspettava certo una frase di questo tipo dal grosso sergente che faceva tremare tutta Sennelager. Che cosa stava co-
62 vando forse contro di lui? Ci si poteva aspettare di tutto da un mascalzone simile, purtroppo. « Sì, signor sergente », gli risponde tranquillamente, « così parrebbe infatti, ma noi non siamo dei bambini! Ci spareresti nel culo se filassimo dall'altra parte. » « E chi ve lo dice che lo farei? Forse vi accompagnerei. La guerra conta poco per me, e se siamo in molti, magari siamo accolti meglio, laggiù. In quelle buche là avanti, ce ne sono già quattro che aspettano il momento buono. E se per caso ci va male e non possiamo raggiungere le linee di Ivan, arrestiamo quei quattro e li portiamo indietro, così ci becchiamo anche una nota di merito. Ben congegnato, non vi pare? » « Allora non è un trucco? Io però, se devo esser sincero, non sono così sicuro che saresti molto ben accolto con quella patacca fiammante sul petto. Anche se te la strappi via, Ivan se lo immaginerà chi eri. Non bisogna credere che siano tutti imbecilli. » « Non sei molto furbo, Bugler. Non hai mai pensato che si potrebbe anche avere due libretti militari? È quasi un dovere per un sergente maggiore. » Il più lurido dei mascalzoni, pensa Bugler. Un uomo pericoloso. A Sennelager lo avevano già soprannominato « assassino per vizio ». « Mi chiedo se è vero tutto quel che hanno raccontato con l'altoparlante, questo pomeriggio. Certo che è allettante, io ho una gran fame! » « Non si può mai sapere con Ivan. Al primo momento ti danno una manata amichevole sulla spalla e immediatamente dopo ti ammazzano con un colpo di nagan. Ma io credo di avere i mezzi per essere ricevuto mica male. » Dà una manata alla borsa sotto la bandoliera. « Ho qui delle cose che il comandante del reggimento morirebbe dalla voglia di sapere e di avere. Ivan sarebbe in grado di far
63 sparire tutto il letame di gente che c'è al fronte, se vi dà un'occhiata. Allora siamo d'accordo, ragazzi? Ne ho dette abbastanza per farmi anche impiccare, dunque per voi è una bella garanzia. Arrivati dall'altra parte, potrete sempre dire che avete disertato per mio ordine. » « E se noi non lo facciamo, e spifferiamo sulla tua bella vita di Sennelager a chi di dovere? » « Non lo farei, se fossi in voi. Se andrà male a me, andrà male anche a voi, naturalmente, vi avverto fin da ora. Spiffererei a Ivan qualche piccolo particolare sul vostro passato, e così ne avreste da vedere delle belle: le miniere di piombo, per esempio, dove la durata massima della sopravvivenza è di sette mesi, non un giorno di più. Su, ragazzi, fidatevi del sergente Wolter. » Dà un'altra manata alla borsa. « Allora, date qua i vostri libretti militari. » Gli uomini ubbidiscono con palese esitazione. Wolter, che sorride in tralice, apre i libretti alla pagina delle punizioni e scrive a lettere malsicure « PU » (pessima fede politica), poi vi pone sopra un timbro che riproduce la firma, falsa ovviamente, del colonnello. E naturalmente aggiunge di averli trasferiti da Moabit alla sezione PU di Buchenwald. « Perfetto », constata ridendo Bugler, riprendendosi il libretto. « Eccoci totalmente discolpati. Adesso potrei anche entrare nella Gestapo, se ne avessi voglia, ma la cosa francamente non mi dice un gran che. » « Credo che tu abbia ragione », sghignazza Wolter. « Non dimenticate in ogni caso che non siamo i soli a fare il salto al di là del fronte, per cui sarà meglio che non vi facciate notare arrivati là. Ma basta parlarne, adesso, se abbiamo deciso di cambiare latteria, sarà meglio farlo subito. » Nonostante la sua corporatura massiccia, salta con agilità fuori della buca, con i due banditi alle calcagna. Con una
64 rapidità stupefacente, attraversano la terra di nessuno e cadono, a braccia alzate, nelle trincee russe. Una vera folla li segue; la terra di nessuno formicola di disertori, sembra quasi un attacco, a parte il piccolo particolare che tutti sono disarmati. « Ma è incredibile! » esclama Fratellino che continua a tener puntato il binocolo. « La commedia doveva essere proprio noiosa, guarda un po' quanta gente che lascia il teatro. Mi chiedo che cosa ne dirà Heinrich, quando lo verrà a sapere. » Porta sta già imbracciando il fucile mitragliatore, ma il Vecchio glielo abbassa con un gesto deciso della mano. « Lascia perdere, Porta. Lascia che se ne vadano pure, quei vigliacchi. Ci rimpiangeranno quando saranno passati sotto le mani di Ivan. Sai meglio di me che non c'è nessuna differenza tra Mosca e Berlino; li adopreranno come sminatori in prima linea, è la maniera migliore e più rapida di liberarsene. » Un maggiore dei guastatori arriva correndo, con la croce di ferro nuova fiammante che gli oscilla sul petto. « Perché non sparate contro quei traditori? » urla al tenente Lòwe. « Avete proprio voglia di trovarvi davanti al Consiglio di guerra? » « Signor maggiore... » « Fuoco! » grida fuori di sé, buttandosi dietro una mitragliatrice. Grida e gemiti di dolore si levano dalla terra di nessuno. « Fuoco con tutte le armi automatiche », ordina anche Lòwe. Improvvisamente il colonnello Hinka irrompe nella trincea e guarda incuriosito il maggiore dei guastatori. « Chi siete? » chiede in tono molto secco. « Che cosa fate qui? Abbiamo ricevuto un nuovo comandante di battaglione forse? » chiede al suo ufficiale d'ordinanza. « E in que-
65 sto caso, come mai non sono stato avvertito del suo arrivo? » « Ch'io ne sappia, non ci è pervenuta nessuna comunicazione in merito», risponde l'ufficiale. Porta, come il solito, non resiste alla tentazione di intromettersi nella conversazione. « Signor colonnello, il maggiore forse è un'eminenza grigia inviata dal Cremlino... » « Smettila di dir castronerie, imbecille di un caporale! » ruggisce il maggiore, piazzandosi davanti a Porta con aria minacciosa. « Il vostro libretto militare », tronca bruscamente Hinka al maggiore. « Ma, signor colonnello!... » « Il vostro libretto militare, ho detto! » Il maggiore dei guastatori lo estrae dalla tasca con palese furore e l'aiutante del colonnello lo sfoglia con minuziosa cura. «Mi sembra falsificato», dice, confrontando le fotografie. « Signor colonnello! » urla il maggiore. « Esigo che questo insolente venga immediatamente punito e in modo esemplare, per aver insultato un ufficiale dell'esercito tedesco! » «Non fa che il suo dovere, signore», risponde Hinka, in tono asciutto. « Siete sospettato di essere un agente del nemico. Come mai siete piombato qui per prendere senza nemmeno fiatare il comando di una delle mie compagnie, vestito d"una uniforme che qualsiasi persona può procurarsi? E non si può nemmeno pensare che siate un comandante di battaglione dei guastatori, da come vi comportate. La vostra condotta è in effetti molto singolare, e per di più io stesso non sono stato messo al corrente della vostra venuta. A questo punto potrei farvi arrestare, almeno come misura cautelativa. »
66 «Fatelo subito, signor colonnello», suggerisce Porta. « Questo sedicente maggiore arriva diretto dal Cremlino. Il Reichsführer l'ha detto lui stesso, meglio liquidare cinque innocenti che permettere che un vero criminale sfugga alla giustizia. » « Piantala, tu! » urla il maggiore. « E non interferire nelle cose che non ti riguardano. Sei un semplice caporale che non capisce niente di niente e basta. » « A rapporto. Capisco tutto benissimo invece, dato che ho seguito un corso di controspionaggio nell'esercito, per le truppe di combattimento destinate a Ulma. » Il maggiore si asciuga la fronte con la manica dell'uniforme, respinge con la mano l'arma di Porta puntata su di lui e si rivolge a Hinka. « Signor colonnello, permettete che vi esprima la mia sorpresa. Consentite che un uomo della truppa intervenga in una conversazione tra ufficiali! Sono ufficiale di stato maggiore » e mostra le bande rosse dei pantaloni, stirati a perfezione. « Mi sono presentato qui per comandare il battaglione dei guastatori della divisione, e non sono qui per discutere di imbecillità con un volgare caporale. » « Non ho niente da ridire, in quanto a questo. Tutti sanno comunque che qui al reggimento abbiamo un solo esperto di controspionaggio, che è per di più estremamente meticoloso nel suo compito. Non mi permetterei mai di dubitare di quel che dice. » « Se avete accertato la mia identità, signor colonnello, permettetemi allora di raggiungere il mio battaglione », dice il maggiore, con uno sguardo di odio palese nei confronti di Porta. « Andate pure, per carità. Ci ritroveremo certamente al quartier generale della divisione, e decideremo sul posto se questa conversazione dovrà avere un seguito. A mio avviso, basta così, quel che avete dichiarato è più che sufficiente. »
67 Il maggiore sparisce senza fare commenti, il colonnello impugna il suo binocolo. Nella terra di nessuno, si intravedono delle ombre scure che si muovono, allontanandosi rapide. « Fuoco di mortaio con granate esplosive », comanda secco. « È un'idiozia sprecare munizioni per quella gentaglia», impreca Fratellino. « Non ne vale la pena. Li lasci cascare nelle mani di Ivan, che se ne incaricherà lui di sistemarli come si deve. » Scuote la testa. « Avanti, fuoco! » grida, cominciando a sparare lui stesso. È un meraviglioso tiratore, capace di rimanere per ore e ore a infornare granate nel fusto del cannone anche se sfinito. Niente riesce a turbare la sua calma, e a ogni granata commenta cortese: « Va' a baciare il culo di quei ' bastardi sottosviluppati '... proprio quel che ci vuole per far scoppiare la loro testa vuota... » Senza usare i guanti di amianto, raccoglie i bossoli roventi e li butta dietro le spalle. Ha già nella mano destra una nuova granata e l'inforna nella culatta del cannone. Anche se ignora del tutto che due più due fanno quattro ha rapidamente calcolato un sistema perfetto di caricamento. Fratellino non sbaglia mai, e nessuno capisce come e dove abbia imparato. «Distanza trecentocinquanta metri», ordina il Vecchio che sta dietro il periscopio e dirige il tiro contro i disertori. « Carico, sicurezza, fuoco! » scandisce come un automa Fratellino. Brandelli di membra umane volano da tutte le parti, ma ecco che i russi iniziano il tiro di sbarramento che avevano promesso come copertura ai disertori. Granate da 88 scoppiano proprio davanti alle nostre postazioni; dietro le nostre spalle il tiro di sbarramento è molto serrato, conce-
68 dendo così un istante di reale aiuto ai fuggiaschi. Nella trincea, le bombe scoppiano da tutte le parti. « Si può dire quel che si vuole », commenta Porta. « Ma Ivan sa maledettamente bene usare i suoi mortai e ha anche delle belle ragazze nelle compagnie dei granatieri. Chissà se sono ben rasate? » Un'ora più tardi, il tiro di sbarramento cessa. La metà dei disertori è scomparsa; una selvaggia eccitazione regna su tutta la linea, i telefoni crepitano, viene avvertita la Polizia di Sicurezza delle SS e la Polizia segreta di Stato, ma tutti cercano di scaricarsi le responsabilità e i capi delle SS, ufficialmente almeno, ignorano il fatto. Un timido tenente colonnello della Gefepo (Polizia militare segreta), dall'elmetto nuovo fiammante su un viso molto teso, si siede in un angolo e geme: dodici dei suoi sottufficiali hanno disertato con i wu, e gli sembra di impazzire quando lo avvertono che anche un capitano della sua sezione manca all'appello. L'ufficiale della Gefepo supplica il colonnello Hinka di segnare almeno il capitano come ucciso in combattimento, ma è impossibile comperare il silenzio di Hinka. « Ne parlerete con la Polizia di Sicurezza », gli risponde molto seccamente. Porta viene spedito allo stato maggiore del reggimento, in funzione di esperto di controspionaggio, e con molto savoir faire propone che venga fucilato l'intero stato maggiore. In effetti, egli è direttamente agli ordini del Reichsführer dal 20 luglio, e aveva anche pensato di mettersi sull'uniforme le insegne delle ss; ma, d'altra parte, dato che la disfatta si mostrava chiara ormai all'orizzonte, questo avanzamento politico poteva forse provocargli delle noie e preferiva perciò restarsene tranquillo in incognito o quasi. Poco prima di mezzanotte i russi si mettono a sparare proprio sul quartier generale della divisione, con una pre-
69 cisione assolutamente incredibile. I depositi di munizioni saltano in aria uno dopo l'altro, anche i carri mimetizzati si incendiano. Non vi è più alcun dubbio: molti membri dello stato maggiore hanno evidentemente disertato, e il nemico sa esattamente dove si trova tutto il materiale esplosivo. Ma ecco arrivare l'alba: ticchettio di armi nelle trincee. Un reggimento di fanteria, il 307°, ci dà il cambio e noi ci ritiriamo. Pessime novità. L'ufficiale della Gefepo si è ucciso, il corpo d'armata è stato destituito, il capo di stato maggiore, fuori di sé, si affanna disperatamente a cercare un capro espiatorio. Tutti urlano, dai comandanti al generale di divisione, dato che l'esperienza ci ha insegnato che, come sempre, chi urla più forte ha più probabilità di cavarsela. Si dice che il maresciallo Keitel stesso è al corrente della diserzione massiccia avvenuta nella notte. Noi del 27° carri che abbiamo avuto i soldati WU sulle costole, gridiamo ancora più forte, sempre che sia possibile, dando la caccia a quello che resta del battaglione 999. Tutto il personale di Sennelager è al limite del collasso di nervi : i WU devono riconsegnare le armi e vengono spinti come bestie sulle strade sfondate dalle granate. Colpi d'arma da fuoco. Cadaveri contorti e raggomitolati su se stessi si ammucchiano sulla strada. Il povero pastore di Bielefeldt cade in avanti, il braccio destro disarticolato da un colpo di calcio di fucile. Lui e l'amico postino hanno esitato troppo; quando si sono decisi era ormai troppo tardi. « Ora puoi pregare, pastore, siamo perduti. » « Dio è sempre con noi, Ewald, quello che dobbiamo subire ora è solo una prova che egli ci ama. » « Sei matto, tu. Dio non esiste, esistono solo Hitler e i suoi demoni. Se non fossi stato così ostinato, Cristo, adesso saremmo ormai al sicuro dall'altra parte. Tu e il tuo Dio mi avete proprio rotto i coglioni! » Il prete si mette a salmodiare:
70 Gesù, io porto la tua croce la tengo ben salda… Il sottufficiale Linge gli salta addosso e lo colpisce col profilo tagliente del suo elmetto; l'Oberwachtmeister Danz gli spacca la mascella con la canna della pistola e gli comprirge il viso nel fango, poi i due bruti passano a altre vittime. Il pastore barcollante si rimette in piedi, aiutato dall'amico postino. « Dio ama tutti noi », bisbiglia quella povera bocca maciullata, ma il pastore vacilla di nuovo e cade in avanti. Due giovani WU lo raccolgono e lo trascinano via con loro. « Non sanno quel che fanno », mormora ancora il pastore. « Devo aiutarli a capire. Dio vuole che io li aiuti. » « Sii ragionevole, perdio! Finiranno col tagliarti la lingua se non ti decidi a tacere. È assurdo quel che fai. » Quel che rimane del 999 si trascina, sfinito, verso un villaggio dove si stanno raccogliendo soldati di tutte le armi più disparate, che contemplano incuriositi questi strani esseri stralunati. « Prigionieri », dice qualcuno. «Partigiani in uniforme tedesca», pensano altri. Nessuno crede che siano soldati tedeschi, spinti alla morte dai compatrioti. Il Führer non potrebbe mai permettere una cosa simile! «Avanti, avanti! » viene urlato da tutti i lati di questa misera colonna di esseri umani, ormai condannati. Dieci chilometri più in là, viene ordinato l'alt davanti al vecchio municipio, dove un intero battaglione di gendarmi dalle piastrine lucenti sul petto accoglie quello che resta dei wu. Regolare allineamento. Chi non è in linea perfetta con la colonna viene abbattuto. Il sangue schizza dai crani
71 sfondati da questi uomini che agiscono impassibili, in uniforme grigia, con la testa di morto sull'elmetto. Polizia di Sicurezza di Varsavia. Le P38 sparano di continuo pallottole nella nuca, i cani dilaniano qualche prigioniero seminudo; quanto a noi, non possiamo che essere lividi testimoni muti di questa tragedia. Un maggiore che indossa l'aborrita uniforme delle guardie, si incarica del battaglione aggregato a quello del colonnello Hinka. Viene fatto l'appello. «Svestitevi », grida il maggiore ai 999. «Dietrofront, faccia al muro, mani sulla nuca, chi si muove verrà fucilato. » Dappertutto si danno da fare le guardie e gli uomini della Polizia di Sicurezza. Due compagnie di Dirlewanger arrivano quasi subito, con le loro ormai famose granate appese in croce al collo. Questi non urlano nemmeno; li hanno addestrati a uccidere senza aprire bocca. Sono essi stessi soldati in punizione che aspettano solo la morte, robot dell'omicidio, senza nemmeno l'ombra della pietà. Il personale responsabile dei WU è trasferito al quartier generale della Polizia di Sicurezza a Varsavia. « Vigliaccheria e indisciplina, razza di fannulloni », grida lo Sturmbannführer della Sicurezza Litwa. « Se solo volessi fare il mio dovere, sareste fucilati sul posto, ma il Reichsführer delle SS è come sempre troppo generoso. Andrete a far parte del 27° reggimento carristi, e li saranno sicuramente capaci di sbarazzarsi di voi al più presto. I vostri documenti sono sbarrati con la ' V ' rossa, il che significa che nessuno desidera rivedere le vostre facce di traditori prima della vittoria sicura su quei porci di rossi. La minima infrazione al regolamento sarà punita con l'impiccagione, ma a testa in giù, beninteso, legati con del filo spinato da reticolati attorno alle caviglie, finché non sarete crepati. A mio avviso è una pena troppo indulgente, ma tale è la volontà del nostro Reichsführer. Quanto a svignarvela da I-
72 van, se tenete alla vita dei vostri familiari, dovreste rinunciarvi; sono già stati arrestati come ostaggi proprio per questo. » Per due ore, non fa che urlare, poi tutti vengono spinti malamente sopra gli autocarri, che li portano al 27° carristi dove vengono accolti da noi trionfalmente. Ma nel contempo presso il municipio di Bjela si riuniva un Consiglio di guerra speciale. Senza ascoltare uno solo dei poveri soldati WU, in piedi da più di otto ore sotto la pioggia e completamente nudi, li si condanna a morte indiscriminatamente uno su tre. Il resto viene suddiviso tra il 27° e il 47° carristi. A colpi di calcio di fucile e di baionetta i poveri soldati nudi vengono sospinti verso la cantina del municipio, ma durante il tragitto devono correre tra due file di gendarmi armati di sbarre di ferro e un gran numero di questi infelici non arriva vivo nella cantina destinata alla carneficina; solo chi è stato colpito anche una sola volta da una sbarra di ferro conosce quest'arma terribile. Impassibili, questi visi di ghiaccio delle sd colpiscono e uccidono, considerando il fatto non diversamente da un dovere comandato come tutto il resto; sembra però che questa non sia un'abitudine solo dei tedeschi, pare avvenga la stessa cosa anche nelle prigioni americane. Per tutta la giornata, i soldati restano chiusi nella cantina, i piedi nel fango maleolente, con grossi topi incattiviti che corrono su e giù; gli infelici che arrivano sanguinanti si fanno sempre più numerosi, le guardie ne frustano brutalmente i corpi nudi perché facciano posto a altri. Chi cade sfinito, annega nel fango. « Aiuto, muoio! » geme una voce, nel buio. Ma nessuno porge aiuto a nessuno. Ognuno pensa solo a sé, a una probabilità anche minima di sopravvivenza. Poco dopo mezzanotte, la porta è aperta con un calcio, e viene fatto l'appello di una mezza dozzina di nomi.
73 « Sbrigatevi a uscire, se non volete che vi riduca le ossa in pappa. » I chiamati si affrettano a farsi un passaggio verso la porta, col calcio dei fucili sono spinti nel cortile, poi una mitragliatrice crepita nel silenzio della notte. Tutti, nella cantina, sanno che cosa succede, ma ignorano che il tribunale speciale ha condannato un uomo su tre, a casaccio. Il terrore cresce sempre più tra i rinchiusi. I loro ipotetici crimini, che tuttavia appariranno sui documenti di condanna: aver ascoltato una radio straniera, aver dubitato ufficialmente della vittoria, disfattismo e sabotaggio. Da una risata o da una battuta di spirito in pubblico, sino al plotone d'esecuzione, non è che un passo, per Hitler. Dieci minuti più tardi, nuovo appello. La mitragliatrice crepita una seconda volta, e un'altra ancora, e così si arriva all'alba. Si comincia a avere più spazio nella cantina, ma nessuno dei rinchiusi se ne compiace. A chi capiterà la prossima volta? Uno dei criminali, dal marchio verde sul petto, ha notato che solo i blu e i rossi vengono chiamati. I verdi respirano, di sollievo. «Ho capito», bisbiglia un assassino di Lipsia, che ha evitato fin qui la morte diventando boia volontario al campo. « A noialtri, ci prendono semplicemente a calci nel culo. Sono solo i politici e i traditori che ammazzano, e in fondo è giusto. Perché Adolf deve nutrirli se poi quelli gli saltano al collo? Mentre noi, bravi tedeschi, nemmeno balbettiamo? » I verdi diventano insolenti, la mentalità tipica della prigione riaffiora, e si appropriano tutto quel che trovano. Uno di loro colpisce al viso il povero pastore sanguinante. « Perché non preghi il tuo Gesù? E perché non viene a proteggerti dalle SS di Heini? » « Piantala! » grida l'assassino di Lipsia. « Gesù stesso non oserebbe scendere fin qui, quando i demoni neri di Heini
74 sono al lavoro. » Nel tardo pomeriggio, la porta si apre davanti a un capitano della sd. « Ascoltatemi, mascalzoni! Noi pensavamo di ammazzarvi tutti, ma il Reichsführer ha deciso di concedervi ancora una possibilità di sopravvivere. Andrete in un luogo dove troverete sicuramente il modo, ve lo garantisco io, di usare le armi, che vi verranno consegnate. Un posto dove non proverete certo la voglia pazza di filarvela in braccio ai colleghi qui di faccia. Avanti, e presto! Avete cinque minuti per rivestirvi e mettervi in colonna per tre. Non avrete scarpe. Vi saranno distribuite all'arrivo nelle unità di combattimento, se poi ve le daranno. L'esercito bulgaro non ha scarpe, perché allora dovreste averne voi? Se qualcuno di voi si lamenta durante la marcia, sarà fucilato sul posto, e se qualcuno pensa di non poter camminare senza scarpe, lo dica subito. » Due uomini si fanno avanti. « Non ve la sentite di camminare a piedi nudi? » « No, Hauptbannführer, ho un piede rotto. » L'altro mostra un piede tutto insanguinato, il sinistro, regalo di uno scarpone chiodato degli uomini di Dirlewanger. « Per la verità, non ha l'aria molto sana. » Chiama un infermiere del Servizio di Sicurezza. Nella brigata di Dirlewanger non vi sono medici, ma solo infermieri e tutte le operazioni vengono fatte senza anestesia. Tempra lo spirito, afferma Dirlewanger. « Questi due possono camminare? » «Penso di no», sghignazza l'infermiere. « Peccato dover registrare delle perdite prima ancora di metterci in marcia. Portateli via. » Due guardie spingono i poveri storpiati e li costringono a mettersi in ginocchio dietro le latrine del municipio. Seguono due colpi d'arma da fuoco. « C'è qualcun altro che non è in grado di camminare? »
75 Solo il silenzio fa eco a questa domanda, e la colonna si forma a passo di corsa. Si può seguirne il percorso dalle tracce di sangue che la lunga fila lascia dietro di sé. Viene ricevuta dal corpo di polizia SS ucraina della brigata Kaminski e dai soldati di Vlassov dal berretto di pelo che conoscono a malapena qualche parola di tedesco. Tutti armati di frusta beninteso, che adoperano con molta destrezza. I soldati di Kaminski frustano tutti e tutto. Cinque giorni più tardi i WU sopravvissuti ricevono l'uniforme dell'esercito con un segno di bersaglio dipinto e molto visibile nel mezzo della schiena. Poco dopo mezzanotte, arrivano al 27° carri e vengono sistemati in un porcile. La mattina seguente ricevono armi e equipaggiamento. La sera stessa, partiamo per il fronte.
76 « Chi presta giuramento dinanzi alla croce uncinata, deve rinnegare e odiare le altre croci. » Discorso di Himmler ai volontari iugoslavi Zagabria, 3 agosto 1941
Duemila polacchi erano stati riuniti in un baraccamento a qualche chilometro dalle foreste che costeggiano la regione a nord di Varsavia. Completamente soli e abbandonati a se stessi, erano rimasti nei villaggi soltanto i bambini molto piccoli. « C'è qualcuno fra voi che capisce il tedesco? » urlò l’Hauptsturmführer Sohr, alla folla muta e sgomenta. Si calcò l'elmetto grigio con la testa di morto sulla fronte, per proteggere gli occhi dal forte sole del mattino. Un anziano polacco si fece avanti lentamente. « Io so soltanto qualche parola, signor ufficiale, ma forse potrei aiutarvi. » « Bene, di' ai tuoi compatrioti di allinearsi su tre file, tenendosi per mano e di avviarsi quando io darò l'ordine di marcia verso il bosco laggiù, lasciando dieci metri d'intervallo tra una fila e l'altra. » « E che cosa dovremo fare nel bosco? » « Cogliere i lamponi; sono eccellenti in questa stagione. » Il vecchio tradusse lo strano ordine dell'ufficiale, e la folla di civili, contadini e operai della regione ubbidirono ridendo, senza intuire quale tragico pericolo nascondessero le parole del tedesco. Nessuno infatti sapeva che il bosco era stato minato dai partigiani polacchi, allo scopo di impedire ai tedeschi di penetrarvi. Formata la colonna, due soldati, senza armi né galloni speciali sulle mostrine, percorrevano le file per controllarne l'ordine. Questi due erano già condannati a morte dalle SS, cui Dir-
77 lewanger aveva promesso amnistia se avessero eseguito esattamente fino in fondo gli ordini che avrebbe dato quel giorno. Anch'essi ignoravano il rischio mortale che il bosco nascondeva. Trenta metri dietro i civili incolonnati, le mitragliatrici si posero in posizione dì tiro. « Avanti, marsc! » Lentamente la colonna si mise in cammino. Il vecchio polacco teneva per mano t" due figli, era molto teso. Diffidava, è vero, e procedeva con estrema precauzione, tuttavia non riusciva a intuire ciò che si tramava alle loro spalle. Lo capì solo quando una fiammata e una detonazione fortissima lo accecarono. I due figli rimasero uccìsi all'istante. Seguirono altre esplosioni e urla. Uno dei due soldati delle SS condannati a morte venne catapultato in aria con una grossa scheggia penetrata profondamente nell'anca, ma riuscì a rialzarsi e gridando corse in senso opposto, buttandosi in ginocchio davanti alle SS armate. « Camerati, abbiate pietà! » Un calcio brutale lo colpì alla schiena: « In piedi, lazzarone! » Due baionette lo colpirono nuovamente. Impotente, si voltò verso la foresta. « Camminate, camminate! » gridò come un folle. « Avanti! » I polacchi si misero a correre, saltavano sopra i cadaveri, ma altre mine esplodevano facendo schizzare zolle di terra tutt'intorno. Il campo verde e tenero si era coperto di membra dilaniate, il sangue colava da tutte le parti; la terza fila di infelici si voltò sgomenta, e affrontò le SS. « Fuoco! » Una pioggia di pallottole. Dirlewanger scoppiò in una risata: « Molto ingegnoso. Ma non è finita, dobbiamo ripetere la scena per ' neutralizzare ' tutta la zona. Quando i partigiani polacchi poseranno altre mine, dovranno pur pensare che
78 scoppiano anche sotto i piedi dei loro stessi compatrioti. »
79
IL MAGGIORE DEI GUASTATORI Il reggimento occupa le postazioni nelle paludi di Tomarka; l'aria formicola di zanzare e di altri insetti, che le rondini ghermiscono a volo e le rane inghiottono. Pasto eccellente per rondini e rane, ma che tormento per i soldati che invece ne sono le vittime. Due cicogne ondeggiano camminando lentamente sotto il naso delle mitragliatrici pesanti, levando verso il cielo il loro lungo becco ogni volta che ingoiano una rana. Il loro nido è rimasto quasi intatto sopra le rovine di una chiesa, proprio nel mezzo della prima linea, stranamente i proiettili sembra non le disturbino affatto. È curioso come gli animali si abituino al rumore provocato dagli uomini. Questa mattina, tre lepri sono spuntate da dietro la postazione dei cacciatori carristi, che gettano loro delle foglie di cavolo. Esse agitano le lunghe orecchie, come volessero ringraziare, e corrono via verso le postazioni russe dove presumibilmente altri soldati gettano loro delle foglie di cavolo. Si finisce col conoscere bene una quantità di animali. Tutte le sere, prima del tramonto, appare una volpe, seguita dalla sua nidiata. Uno dei piccoli, tutto bianco, è stato battezzato da noi Tosca e, se mai sopravvivrà alla guerra, sarà uno splendido esemplare. Fratellino ha tentato di agguantarlo per allenarlo a mordere i poliziotti di Amburgo, ma la volpe madre lo ha morsicato ferocemente a una gamba, così il gigante si accontenta di guardare a lungo la sua volpe prediletta, col binocolo. Proprio dietro la piccola centrale telefonica si è fatta la tana un tasso con tutta la sua famiglia e tutti quanti vengono puntualmente ogni sera
80 a chiedere del latte condensato ai telefonisti. Per quanto riguarda invece i russi, li vediamo molto meno, per la verità, ma sappiamo dove si trovano. Tutte le sere tra le 19 e le 21 offriamo loro un bel « mazzo » di tiri di mortaio che fa un po' di rumore, e non appena abbiamo concluso noi, i russi ci restituiscono l'omaggio. Perché poi tutto questo baccano? Non si sa. Ognuna delle due parti ha sempre quei cinque minuti necessari per sparire nelle trincee, ma guai a quell'imbecille che non si muove abbastanza in fretta; viene ridotto in briciole. Questa sera, abbiamo contato ben diciotto morti tra i 999, che ancora non conoscevano bene le regole di questo gioco. Questi imbecilli passeggiavano con l'elmetto d'acciaio, cosa assolutamente idiota, perché un copricapo di questo tipo, bagnato dall'umidità della sera, brilla e attira l'attenzione dei tiratori scelti. Io, per esempio, non lo porto ormai più da due anni, se mi trovo in prima linea; Porta, naturalmente, non l'ha mai messo del tutto. Gira sempre con il suo orribile cilindro giallo, la cui calotta ha stampata in nero l'insegna dell'arma dell'Aviazione. È una cosa assurda, ma lui sostiene che gli porta fortuna! Questa sera, noi siamo di guardia, Porta e io, dietro a una mitragliatrice in posizione avanzata. Il silenzio assoluto diventa opprimente, nonostante che a tratti, dall'altra parte, canti un uccello; due melodie seguite da un trillo. « Ne ha di fiato, quel chiassone», grugnisce Porta, come sempre teso anche al minimo lieve rumore estraneo. Fratellino e Gregor vengono a darci il cambio, ma restiamo anche noi dal momento che fra solo due ore dobbiamo riprendere il turno di guardia. Porta toglie di tasca i dadi, sono bellissimi dadi dorati con le cifre incise in Strass, che luccicano anche al buio. Un « ricordo » del casinò di Nizza, pare. Il telo di panno verde viene steso sopra una cassa di munizioni, ma non ci
81 rilassiamo del tutto nel gioco, e dopo ogni puntata ci alziamo a guardare oltre il parapetto. Quelli di faccia a noi potrebbero benissimo scegliere una notte come questa per mettere un po' di paura ai nostri. « Questo silenzio fa diventare pazzi », commenta Gregor, nervoso. « Se solo tirassero qualche colpo, sarebbe quasi meglio, perdio! » « Eh sì, anch'io non sono per niente tranquillo », conferma Porta. « Il mio ditone tagliato mi fa male, e questo è un cattivo segno, anzi un vero segnale d'allarme; tanto che scommetterei qualsiasi somma che Ivan sta covando qualche castroneria. Avremmo dovuto farci assestare una bella bastonata, andarcene all'ospedale del campo e fottercene del resto. Ve lo dico io, ragazzi, prima di mezzanotte quel puzzone di Ivan è qui. Il mio ditone non sbaglia mai. Vedrete. » « Va bene » > rispondo indifferente. « Me ne frego di Ivan, giochiamo. Scommetto la mia pelle di montone per il prossimo colpo. » « Bravo! » sghignazza Gregor. Porta gira intorno alla mitragliatrice per ben tre volte di seguito. È molto rischioso, nel caso dall'altra parte del fronte vi siano dei tiratori scelti, ma Porta se ne fotte di tutto; l'ultima volta vi correva intorno suonando il flauto rivolto a centinaia di uccelli notturni che gli rispondevano, con stridii acuti, disorientati. Improvvisamente vediamo Fratellino tendere l'orecchio... noi sentiamo solo le rane e le civette, tuttavia dopo qualche istante cominciamo anche noi a percepire un lievissimo rumore d'aereo. « Sono soltanto dei macinini da caffè sgangherati, niente paura. » Il primo ci passa sopra la testa di lì a poco, ma subito dopo centinaia di motori tuonano sempre più forte.
82 « Stuka!» « Cretino, sono soltanto caccia russi. Se sbaglio vuol dire che sono completamente rincoglionito. » Fuoco d'artificio, luminosissimo. La notte in un attimo diventa chiara come il giorno. « Merda! » urla Porta. « Quelli ce l'hanno proprio con noi. » E sparisce, o meglio si fonde con il parapetto della trincea. Nelle retrovie, la contraerea si mette a crepitare, gli aerei virano, poi scendono sopra le postazioni sganciando piccole bombe. E all'improvviso è l'inferno. Urla, grida di richiamo, la palude si sveglia, pioggia di bombe, un oceano di fiamme. « Sparite tutti! Attaccano! » grida disperatamente Porta. Ovviamente non sbaglia. È una squadriglia di bombardieri che ci ha individuato. Ferro e acciaio, pali e parapetti, bunker e postazioni così ben costruite, tutto sparisce come un universo dilaniato e lacerato. «Alle armi, alle armi! » Non sentiamo che queste parole, ma esse si sono volatilizzate sotto la pioggia di fuoco. Noi, i quattro inseparabili, ci cacciamo alla meglio sotto un parapetto e vediamo correre sopra le nostre teste delle gambe che un istante dopo si afflosciano a terra. E tutto questo pandemonio dura ore e ore. Non appena una squadriglia ha sganciato le sue bombe ne arriva una seconda e così via. Per il momento ignoriamo ancora che tutta la IV armata aerea sovietica partecipa all'attacco: settemila bombardieri leggeri. La nostra contraerea tace; non è rimasto nemmeno un pezzettino di ferro né un brandello di stoffa, una postazione. Vorremmo correre, metterci in salvo, ma dove? Questa tempesta di morte ci circonda tutti, le fiamme anche lontane sono tutte intorno a noi. Vediamo alcuni uomini improvvisamente impazziti, che girano in tondo nella
83 terra di nessuno, e vengono falciati come spighe mature. Dell'intera 3ª sezione, trentadue uomini, non resta più niente, e dopo l'attacco aereo ecco che arriva quello più massiccio ancora dell'artiglieria pesante. Bombardamento a tappeto per diverse ore ancora. Un bombardamento aereo è atroce, ma non è nulla in confronto delle granate calibro 38 sparate con una precisione stupefacente. L'acqua della palude ribollente è penetrata nelle trincee, tutto puzza di zolfo, tossiscono tutti da spaccarsi i polmoni, l'inferno è forse peggio? Finalmente, il silenzio torna sulla palude. Non esiste più la grande foresta ma solo dei monconi d'albero, le fiamme sono dappertutto. Un carro Panther è stato spezzato in due monconi, e dei cinque che lo occupavano non rimane che il tronco decapitato del comandante del carro la cui uniforme è tutta rossa di sangue, salvo le mostrine d'argento sulla spalla che brillano al sole del mattino. Due WU vengono mandati a ricuperarne il corpo: è un ufficiale e deve essere seppellito decorosamente dietro la postazione, sotto gli occhi dei cinghiali che si leccano già i baffi pensando a quella carne succulenta che fra poco sarà per loro. Ma non è ancora finita. Nel pomeriggio cala su di noi una nube densa, una nuova nebbia artificiale, russa ovviamente, di uno strano color giallo verde che fa impazzire se non si ha a disposizione subito una maschera antigas. Gli sprovveduti che se ne sono disfatti, sono spacciati in una frazione di secondo; infatti non è un gas, ma qualcosa di chimico che vi scortica istantaneamente i polmoni. Il sottufficiale Linge, che fa parte del personale di Sennelager, letteralmente espelle i propri polmoni in grossi urti di vomito e violenti sobbalzi; è uno spettacolo atroce anche se detestiamo quell'uomo. Finalmente uno spirito caritatevole mette fine alle sue sofferenze, sparandogli da vicino. Da
84 quel giorno, nessuno di noi dimentica più la maschera, ma la tiene sempre a portata di mano. Dietro l'orribile nebbia giallastra sentiamo dei rumori strani e per il momento indefinibili. Non c'è dubbio, tramano ancora qualcosa di peggio, ma come potrebbero attraversare la palude? I guastatori hanno fatto saltare il ponte. « Carri! » annuncia il posto di guardia avanzato. «Imbecille! È impossibile», brontola Lòwe. « Dei carri! Provino pure a venire avanti, s'impantaneranno tutti. » Mezz'ora dopo, non crediamo ai nostri occhi, ecco i primi T34 che vengono avanti dalle posizioni nemiche, che si trovano dalla parte opposta del grande acquitrino. I grandi cannoni sono in posizione di tiro. Una lingua di fiamma e molte granate piovono già sulle nostre teste. Lentamente i carri scendono, con i cingoli che stridono, emanano un fortissimo odore di diesel; dietro di essi, un battaglione molto serrato di soldati di fanteria. I poveri WU sono paralizzati dal terrore, sono al loro primo attacco di carri. I guastatori lanciafiamme accorrono a darci una mano, una batteria della contraerea viene installata di furia a duecento metri, ma prima ancora che possa iniziare il tiro, i T34 l'hanno già annientata. Ci vengono distribuite delle bombe anticarro e grappoli di granate. « Ma sono pazzi! » grida il tenente Lòwe. « Nella palude, voglio proprio vederli! » Guardava i colossi che scendevano direttamente dalla loro postazione verso la zona acquitrinosa, in quel punto larga duecento metri. L'acqua e il fango schizzano dà tutte le parti, il fuoco del tubo di scappamento posteriore è una lingua di fuoco. Sembrano dei giganteschi cargo che corrono a tutta velocità, ma vanno a impantanarsi nella melma dove solo le rane e le bisce circolano sicure.
85 Che orrore...! I carri filano velocissimi in piena palude e l'acqua sfiora a malapena i grossi cingoli. « Ponte sospeso », mormora Barcelona stupefatto. « Ma come diavolo hanno fatto? » « Non è poi tanto difficile da indovinare», replica Porta. « Mentre ci bombardavano, i loro guastatori devono aver trasportato un piano stradale, prefabbricato. » « Ma come mai il ponte non sprofonda? La palude è senza fondo. » « Tronchi d'albero e galleggianti di sughero », replica Porta ancora perplesso e stupito, tendendo il binocolo a Fratellino. « Guarda, si vedono i fili di ferro attorcigliati intorno ai tronchi di pino; è proprio li che hanno fissato la loro maledetta merda, ma deve essergli costata cara, quanto a guastatori. D'altra parte Ivan se ne fotte. L'uomo è il materiale più a buon mercato. » In ranghi molto serrati, questi mostri di acciaio avanzano in equilibrio sul ponte sospeso, lievemente sommerso. Qualcuno tuttavia non riesce a mantenere l'allineamento, sbanda e piomba nell'acquitrino insondabile dal quale, non è più possibile uscire. Le grosse rane verdi gracidano, furiose, contro questo rumore insensato che viene a turbare il loro placido dominio. L'aria è impestata di un forte odore di olio bruciato che il vento spinge verso di noi. « Pak in avanti! » ordina il tenente Lòwe alzando una mano. I cacciatori dei carri accorrono trascinando i loro cannoni anticarro calibro 7,5 e li sistemano in posizione di tiro il più velocemente possibile. Se non vogliamo farci schiacciare dai loro pesanti cingoli, non c'è che questo mezzo. I soldati WU, senza fiato e scarni, trascinano le casse di munizioni e di grosse granate, tallonati da sottufficiali urlanti. La prima postazione viene annientata dai T34 che, com'è loro abitudine, vanno avanti e indietro su ogni buca o trin-
86 cea finché non sono ben certi che i disgraziati che vi stavano dentro siano ormai ridotti a poltiglia. Le mitragliatrici sputano lingue d'una fiamma bluastra. Anche dal lungo cannone esce del fuoco. Il primo cannone Pak scoppia ancor prima di aver iniziato a sparare, ma il tiro di un altro Pak piazzato di lato raggiunge un T34. Questo ci rida un po' di coraggio, ora ci sentiamo almeno un po' sorretti. Due T34 saltano contemporaneamente, ma altri sorgono dalla palude. Il sangue mi si ghiaccia nelle arterie. « Perché piangi? » mi grida Porta spietato come sempre, dandomi tuttavia una amichevole manata sulla schiena. « Non piango, crepo di paura. » «Anch'io, cretino, ma questo non ci salverà certo ia vita. » Le mine T sono qui, vicino a noi, portateci dai guastatori. Ora, i giganti di acciaio sono ormai a soli venti metri, ne sentiamo il calore e il terreno cedevole ondeggia sotto il loro peso. « Restate raggomitolati e lasciatevi rotolare! » grida il tenente Lòwe, preparando la sua mina. « A ciascuno un carro, poi puntate sulla fanteria d'appoggio. » Si mette in ginocchio, pronto a balzare. Lowe ha il sangue freddo dell'ufficiale carrista e insieme il coraggio del soldato di fanteria. Mi butto a terra, atterrito, schiacciato il più possibile contro il suolo. La terra, la terra, la migliore amica del soldato al fronte. La terra con i suoi solchi e i suoi fossati che tante volte salvano la nostra esistenza così misera. 1 colossi verdi si avvicinano, le mitragliere sparano in tre direzioni diverse i loro colpi mortali, i cannoni buttano fuori le granate che arrivano dietro le nostre spalle, nelle colline, dove i soldati di riserva si stringono l'uno all'altro, tremando sgomenti. I mortai delle retrovie buttano fuori di continuo granate che, dòpo una parabola a arco verso il
87 cielo, ricadono sulle nostre povere buche non protette. Membra sparse volano in aria, le grida dei feriti si accompagnano al fragore dei motori. I cespugli, il fango, l'acqua melmosa e fetida, i resti di uomini e di animali ci piovono sulla testa, alghe e canne della palude ci si attaccano addosso e ci trasformano in statue orrende e goffe. Tutti i serventi a un cannone Pak vengono uccisi da una salva di un T34, ma altri si piazzano pronti al tiro. Una granata anticarro colpisce la torretta di un mostro, segue un'esplosione gigantesca e il carro si trasforma in un relitto di fuoco. A questo punto, delle colonne di uomini escono dalle posizioni nemiche e entrano senza alcun timore della morte, a frotte, nella palude. « Guardate! » urla Gregor, indicando la legione di demoni verdi che avanza. Non sembra nemmeno credibile... La palude formicola di soldati di fanteria, che scivolano rapidissimi nella melma. Hanno ai piedi delle racchette lapponi e ancheggiano agitando le loro armi automatiche. Dietro di loro vengono i mezzi motorizzati, muniti di mitragliere che sparano di traverso. Trasportano anche dei Pak su questo ponte sospeso... non abbiamo mai visto una cosa simile in tutta la nostra lunga carriera di soldati. « Chi sono quei culi che sostengono che i russi sono dei bastardi sottosviluppati? Dovrebbero venire a vederli da vicino, i nostri illustri ingegneri. Imparerebbero qualcosa anche loro, se andassero a scuola a Mosca. » Porta mi butta un kalashnikov russo. « Tieni, fratellino mio, butta via la tua sporca divisa tedesca, forse avrai ancora una possibilità di cavartela. » « Io proprio non capisco che cosa vuol dire tutto questo maneggio », dice un WU atterrito. « Oh! Lo capirai benissimo quando Ivan ti arriverà ad-
88 dosso. A me nessuno l'ha insegnato, ma l'ho imparato da solo. » « Fuoco intenso di tutte le armi automatiche », comunica Lòwe nel microfono da campagna. « L'attacco è di almeno un'intera divisione. Non sono in grado di mantenere la posizione. » Pausa di silenzio. « Cristo! Esigo una massiccia protezione da parte dell'artiglieria pesante, immediatamente, in caso contrario ci fanno fuori tutti, non capite proprio niente, là nelle retrovie? » Si mette in ascolto di nuovo. « Bene, signor generale, la posizione sarà mantenuta a qualsiasi costo », dichiara cupo, dopo una lunga pausa. Furioso, scaraventa il telefono per terra. « Prepariamo dunque i nostri petti di eroi per la disfatta di Adolf», sghignazza Porta. «In qualunque posizione si trovi il vero soldato tedesco, resiste finché il nemico non arriva a dargli un calcio nel culo! » Lòwe si è ripreso; ridiventa il duro e inflessibile soldato del fronte, gli occhi azzurri nel volto sottile sotto l'elmetto d'acciaio che fissano i T34 per un istante immobili. È questa la maledetta vita del soldato di fanteria. Non è per niente divertente essere un fante che subisca un attacco di carri. Ora tocca a noi. « Seconda sezione, pronti tutti! Combattimento anticarro! » Fino a due anni addietro era un'azione eroica che valeva almeno una decorazione, un nastro bianco con un carro ricamato in argento, ma quante ne abbiamo fatte ormai di queste azioni anticarro? Non lo sappiamo nemmeno più. Il Vecchio e Lòwe sono in testa, ognuno con una mina T in mano. Il Vecchio lancia la propria sopra la torretta di un T34, Lòwe invece sotto il ventre di un altro. Esplosione simultanea, i due mostri scoppiano come fossero tubi di dinamite. Poi i due saltano dentro la buca formata da una
89 granata, dove il munizioniere Kleiner sta singhiozzando istericamente. « Panzerfaust! » gli grida Lòwe, dando un calcio a quell'uomo che, non molto tempo addietro, era stato il torturatore più spietato di Sennelager. Fratellino, sotto una pioggia di fango e melma, scivola vicino ai due, e con un solo colpo d'occhio intuisce la situazione. Silenziosamente si avvicina, afferra Kleiner per il collo e lo prende a pugni. « Avanti, lazzarone! » gli urla e contemporaneamente gli appioppa un pugno sul viso che gli riduce il naso gonfio e sanguinante. Questo trattamento decisamente rude provoca un effetto immediato: una istantanea perfetta lucidità nel cervello dell'uomo semimpazzito. Raccoglie pronto una mina anticarro e la tende al tenente Lòwe che sta ispezionando attentamente con.gli occhi la situazione, mantenendosi il più possibile al riparo nell'interno della buca. Un T34 è a trenta metri e sta prendendo di mira una batteria contraerea. Lòwe, sempre padrone di sé, imbraccia il suo grosso « tubo di stufa ». «Tiro con mina anticarro! » grida ancora a chi gli sta alle spalle. La carica magnetica di innesco fa partire il colpo, una fiammata di cinque metri parte da dietro il grosso tubo; ma ancor prima che il razzo raggiunga il suo obiettivo, molti fucili mitragliatori nemici sono già puntati sul tenente che ha appena il tempo di sparire nell'interno della buca. Stiamo in ascolto... un'esplosione... Il carro è stato colpito. Poi ancora lunghi secondi angosciosi. Che l'armatura blindata abbia tenuto? Con estrema precauzione, una testa si arrischia a sporgere lievemente dall'orlo della buca e vede una lunga fiamma verticale uscire dalla torretta del mostro, colpito a morte. Ecco che le munizioni all'interno prendono fuoco, saltano, e il colosso scoppia. Fratellino,
90 che tiene una mina T pronta in ogni mano, mi dà una spallata: «Andiamo, piccolo mio, tocca a noi, ora». Il Vecchio mi dà una manata affettuosa per mettermi coraggio, e anch'io ho una mina T in ogni mano. Con un balzo siamo allo scoperto, e proprio davanti al mio naso ecco la torretta di un T34. Da che parte è saltato fuori? Non lo so proprio. Sopra la mia testa è il lungo cannone. Come in un sogno allucinante, butto la mina T sulla torretta e con l'altra mina stretta contro il petto, corro e mi metto da un lato. Muoio di paura; ho perduto uno scarpone nel fango, me ne accorgerò molto più tardi. La pressione dell'aria mi scaglia molti metri lontano. Del carro più nessuna traccia. Ma ecco che un altro carro mi passa proprio davanti. Disteso su un fianco faccio uno sforzo e lancio la mina... a vuoto! Ho dimenticato di togliere la sicura. Vedo il carro passare sopra e livellare completamente l'ultima postazione contraerea Pak, poi camminando come un ranocchio procedo in avanti trascinandomi in mezzo al fango. I carri mi passano vicini, ma io ormai non ho che il mio fucile mitragliatore e qualche bomba a mano. Non si può andare all'attacco di un carro con così poco. Mi lascio andare come nuotando, in una zona paludosa, per godermi una brevissima pausa di pace e riprendere fiato. La terra fuma di zolfo e di acido esplosivo, tossisco, vomito... è orribile. All'improvviso, vedo Fratellino che, come un demonio, si è issato sulla torretta di un T34, e picchia col pugno contro lo sportello a botola. Questa si socchiude, e intravedo una testa con un elmetto di cuoio scuro. Fratellino butta la sua granata all'interno, mozza la testa del comandante col suo coltello affilatissimo da trincea, e in un baleno sparisce. Esplosione. Il carro si ferma con un violento strattone come fosse andato contro un muro. Fratellino, straordinariamente abile come sempre, riappare, lancia una mina
91 sotto i cingoli di un altro T34 che gli sta arrivando addosso in pieno; è così vicino a me, che ne vedo i denti bianchissimi luccicare nel viso annerito. Prima di nascondersi di nuovo, lancia la sua ultima mina che cade vicinissima a un altro carro, poi si ributta in una buca. Il carro che avanza urta contro la mina, che fa scoppiare l'armatura blindata come un guscio d'uovo. Tre dei quattro occupanti saltano fuori e uno di essi atterra per puro caso proprio nella buca dove si trova Fratellino. « Saluti! » grugnisce quest'ultimo, appoggiando la canna della sua machine-pistole sul petto del russo atterrito. « Mani in alto, gospodin tovarisc, e stai quieto, sai, altrimenti sei spacciato come lo sarebbe una bella ragazza ariana che si ingoia l'uccello di un ebreo!» Il soldato russo, livido di terrore, pensa a quel che avviene di regola nella sua unità, vale a dire, «non si prendono prigionieri». Perché i Fritz dovrebbero essere diversi? Alza le braccia, e balbetta qualche parola poco comprensibile. Naturalmente si dichiara anticomunista, a dispetto della medaglia da komsòmol, che è attaccata al risvolto della sua uniforme. « Lo vedremo subito, woanna plenny (criminale di guerra) », replica Fratellino sarcastico. « Facciamo la pace, su. Anch'io sono antinazista, così niente ci impedisce di fraternizzare. » Con un gesto rapidissimo toglie dalla tasca del russo il nagan e lo ripone nella propria. « Buttati a terra a pancia in giù, pulce» e intanto perquisisce il carrista con mano esperta. Un coltello da trincea vola sul terreno, una pistola 6,35 sparisce nelle larghe tasche del gigante insieme con due stelle d'argento. « Così va bene », dice poi, in tono amabile, dandogli una manata cordiale. I due stanno qualche istante uno di fronte all'altro a ascoltare il sibilo delle granate che passano sopra le loro teste, e un T34 passa così vicino alla loro buca che sfuggono
92 alla morte per una sola giustezza. « Al pelo, eh, compagno? Ma noi non abbiamo ancora delle sbarre rosse sui nostri libretti militari. Da dove vieni, komsomol? » « Njet ponjemajo (Non capisco). » In un linguaggio a gesti di una estrema comicità, Fratellino imbastisce una conversazione col russo che scoppia a ridere e si toglie di tasca un pezzo di carne e una fiaschetta di vodka. Tutti e due masticano e bevono, sorridendosi allegramente. «Da noi, a Kastrama», racconta il russo, «abbiamo un tedesco, un tipo simpatico. A me piacciono molto i tedeschi. » Da una piccola tasca interna estrae dei fogli e delle fotografie, molto sbiadite dall'umidità. « La mia fidanzata, lavora nel ministero delle Informazioni, si è fatta un nome nel Warkomat (commissariato del popolo) », aggiunge dopo una pausa. « Oh, e io che credevo che tu fossi anticomunista», gli risponde secco Fratellino. « Njet ponjemajo », dice il russo, sornione. « Sei un bugiardo, ma in ogni caso non possiamo starcene qui fino alla fine della guerra», dichiara in tono risoluto. « Bisogna sbrigarsi e tagliare la corda. Tante cose alla tua fidanzata. » Con cautela, si arrampica lungo la parete della buca, mentre le granate esplosive sibilano tutt'in-torno e l'artiglieria tedesca inizia un tiro di sbarramento molto serrato. La fanteria russa danza in mezzo a questo inferno di granate, l'equipaggio di un carro balza in tondo all'impazzata, trasformato in una torcia vivente. Proprio nel mezzo della terra di nessuno, giace un colonnello russo con tutt'e due le gambe dilaniate da una bomba. « Infermieri! » grida disperato. « Muoio! » Una salva di un T34 lo mozza in due, ma con-
93 temporaneamente un carro Stalin arriva in pieno sopra la buca dove è ancora interrato l'amico russo di Fratellino. « Esci, tovarisc! », gli urla il gigante. « Il tuo compagno fra un istante ti schiaccia e tanti saluti! » Il russo, paralizzato dal terrore, non riesce a saltare dietro il compagno; si crede al sicuro nell'interno della buca perché non è mai stato soldato di fanteria, bensì carrista. « Tovarisc germanski, lasciami qui, non ho il coraggio di uscire allo scoperto! » « Idiota! Guarda che ti schiacceranno come una pulce! » Con un balzo, Fratellino si butta da un lato, proprio mentre il carro gli arriva addosso; ne sente il calore bruciante e il fragore, che lo rende quasi sordo. Il colosso si ferma di scatto, una fiammata esce dal lungo cannone, il veicolo ondeggia e arretra lievemente, il motore sbuffa mentre il colosso vira, la torretta ruota su se stèssa. Il russo sporge la testa dalla buca con cautela, poi di colpo si alza del tutto con lo sguardo come d'un folle. Fla perduto l'elmetto di cuoio e i suoi capelli biondi tagliati corti volano al vento, ruota gli occhi come accecato aprendo le braccia. « Bratja (fratelli), sono Hugo Molinski, di Kastrama. Bratja! Bratja! » E si precipita verso il carro. Ma il comandante russo non vede il suo compatriota che gli corre incontro con le braccia alzate e lo sguardo di un bambino atterrito. Non ha occhi che per il cannone Pak dietro le linee tedesche, un cannone che deve assolutamente distruggere, se vuole sopravvivere ancora. Il motore ruggisce, poi il colosso si butta in avanti, il cingolo destro afferra il soldato Molinski, di Kastrama, che dà un urlo mentre viene schiacciato come un insetto insignificante. Di lui non resta che una sola chiazza di sangue. Fratellino rotola di nuovo nella buca, imprecando impotente contro il dramma dell'amico russo ucciso dai suoi
94 stessi compatrioti. Questo fatto atroce e disumano lo mette in un tale furore, che si toglie di tasca il kalashnikov russo e parte come un folle all'assalto di un gruppo di russi che uccide con la stessa violenza folle di un bulldozer. Passando di corsa, calpesta senza volere un capitano tedesco ferito che cerca di afferrarlo per le gambe, disperatamente, in cerca di aiuto. Fratellino lo scambia per un russo e gli fa scoppiare il cranio con una salva di fucile mitragliatore, poi rimane di sasso riconoscendo l'uniforme grigioverde e la croce di ferro. Scrolla le spalle, questa è la guerra, e la guerra continua. Inzaccherato di fango dalla testa ai piedi, si butta a terra di fianco a me, butta lontano il caricatore vuoto e ne inserisce un altro nel fucile mitragliatore. « Dove diavolo è finito il tuo scarpone? » Solo ora mi accorgo di averlo perduto. Fortunatamente, con Fratellino al fianco, si trova sempre la risoluzione di ogni problema. Con le sue grosse mani afferra per i piedi il cadavere di un russo i cui scarponi mi vanno abbastanza bene di misura, scarponi per la verità bellissimi e morbidi, gialli orlati di pèlle nera, perfettamente adatti a uno splendido viaggio turistico intorno all'Europa. « Va meglio, adesso? » « Meravigliosamente. È incredibile che cosa sono riusciti a fare i nostri ' vicini ' di casa! Abbiamo attaccato un esercito di pezzenti nel '41, e adesso guarda come vanno in giro vestiti. Siamo noi, oggi, i poveri diavoli! » Carri e fanteria russa formicolano ancora tutt'intorno, e ne liquidiamo più che possiamo; a volte siamo costretti a immergerci tutti nell'acqua, quest'acqua così sporca, quando vediamo che qualche russo si avventura un po' troppo vicino a noi. Finalmente a sera, molto tardi ormai, riusciamo a raggiungere le linee tedesche. L'attacco russo si è concluso, ma il campo di battaglia è disseminato di morti, e grossissimi mosconi verde scuro
95 volteggiano già intorno ai corpi; mosconi e topi sono i soli che ingrassano in tempo di guerra. Porta ci tende la grossa borraccia piena di un liquore di provenienza francese. Barcelona beve per primo, tossisce, ha il fiato mozzo, geme come se fosse semiasfissiato. « Che cos'è questa porcheria? » «Il liquore degli eroi», risponde malignamente Porta. « Sciroppo di patate marcite o anche di cadaveri, a scelta. Non prendertela, dai, che ti fa bene in situazioni come questa. » Durante la notte arrivano i rinforzi, un reggimento di cacciatori delle SS, che portano cucita sulla manica una bandierina inglese. « Oh, guarda cosa mi tocca di vedere! » fa Porta. « Questa poi è la più incredibile di tutte! Che diavolo siete voi? » chiede, vedendoli piazzare la mitragliatrice. « SS, Commando di caccia, Michael Gaissmair. » « Inglesi, allora! » esclama il legionario subito incuriosito. « Yes we are », risponde un gigante, dalla barba rossiccia. « Questo ti turba, forse? » « A me? Io me ne fotto, sai, che tu sia anche un cinese o magari un culo di congolese, ma, per Allah, Adolf ha fatto forse la pace con l'Inghilterra? » « Ma no, cretini che siete! Gli inglesi non hanno ancora ben capito il pericolo rosso, ma così finiranno col capirlo. » « E voi, come mai vi trovate in mezzo a questi stronzi maledetti di ss? » « Siamo dei cosiddetti ' volontari ' », risponde un Unterscharführer. « Ci hanno trovati nel campo di concentramento Stalag VIII. Io ero lì dai tempi di Dunkerque. Capirai, avevo anche voglia di vedere qualcosa d'altro. » « Per vederne, ne vedrai di sicuro, te lo dico io, e non cosine squallide e normali di tutti i giorni. Del resto, se voi
96 non crepate qui, sareste poi impiccati al vostro ritorno in Albione. Non piacerebbe affatto a me pavoneggiarmi in giro per Londra con indosso degli stracci di Adolf, se fossi in voi. Anche i vostri generali, poi, vi copriranno di merda, state pur sicuri! » « Figurarsi! In Inghilterra di comunisti ce ne sono pochissimi. » « Forse entreranno in funzione il primo anno dopo che Stalin avrà vinto la guerra. Le vostre belle ladies faranno chissà che cerimonie a tutti i commissari, tatuati su fin sopra il culo. Ma voi, sarete impiccati di certo. » « Vedrai che no », risponde il rossiccio, ostinato. « La vecchia Inghilterra ha sempre bisogno di soldati. Ci spediranno a casa del diavolo in un reggimento coloniale finché tutto sarà stato dimenticato, e poi ci faranno rientrare in patria con tutti i galloni che esistono sulla terra ben cuciti sulle maniche dell'uniforme. » « E se Ivan vi becca? Lì vi tagliano subito i coglioni! » « Assolutamente no. Giureremo che ci avete costretto a batterci per voi contro di loro. Cambieremo divìsa un'altra volta e ci faremo applaudire a Hyde Park con le medaglie russe sulla pancia. » « Non mi mera vigilerebbe poi tanto », commenta il Vecchio. « Dagli inglesi puoi aspettarti di tutto. » Raccogliamo le nostre armi e ci congediamo da queste singolari SS inglesi. E ancora una volta ci mettiamo al riparo dentro alle buche davanti alle posizioni russe, dove sicuramente stanno meditando qualche cosa, dal momento che per tutta la notte sentiamo il cigolio dei motori di migliaia di veicoli. « Che adunata laggiù! » dice il Vecchio con aria cupa. « Tra un po' ci sarà un bel casino qui. » Quando il Vecchio prevede un disastro, ha sempre ragione; è un vero soldato fino al midollo e ha sempre un intuito
97 infallibile quando si prepara qualche cosa di brutto. « Date le carte, su », dice in tono brusco, per cambiare discorso. E ci rimettiamo al solito gioco d'azzardo. Lenzing, che è diventato il terzo caricatore della mitragliatrice di Porta, si è un po' rimesso in sesto, dopo Sennelager. « Hai studiato medicina? » gli chiede amichevolmente il Vecchio, offrendogli una sigaretta oppiata. « Sì », mormora con prudenza il giovane, molto colpito dalle numerose decorazioni allineate sul petto del Vecchio. « Ma sei veramente medico, con il diritto di tagliare anche la pancia alla gente? » chiede Porta molto interessato. « No, mi hanno costretto a arruolarmi prima che avessi potuto finire gli studi. » « Colpa tua », grugnisce Gregor. « Devi essere di quelli che non sanno tenere la bocca chiusa. Propaganda e ancora propaganda, eh? Mentre potevi startene al sicuro con birra a fiumi, eccoti qui con una bella sbarra rossa sul libretto. Ti hanno rasato a zero e tutti i tuoi discorsi da ciarlatano sono diventati una merda. Ben fatto! » « Spero che questa volta tu l'abbia capita, la musica », dice Porta. « Eh sì, bisogna tacere e ubbidire. » « Oh, guarda! Non sei poi così stupido. Battere i tacchi e gridare ' Heil ' a tutto e a tutti. E soprattutto non fare mai capire che hai più cervello dei sottufficiali. Guarda me, per esempio. Uno psichiatra mi prenderebbe per il più grande imbecille di tutti i tempi. Io lo lascio dire, e così mi lasciano in pace. » Il giorno dopo riprende a diluviare. Gli scarponi di cuoio induriti sono una morsa, le armi tendono a arrugginirsi, quando arriva l'ordine di cambiare posizione. Tutti di umore nero, ci buttiamo in spalla il materiale pesante; le cinghie ci segano le spalle, abbiamo vesciche dappertutto. Li-
98 ti, sberle, imprecazioni, e tutti che si danno da fare per non trascinare i mortai, naturalmente. « In colonna per uno, dietro a me », ordina Lòwe. Indossa una vistosa giubba russa sopra l'uniforme, la pelliccia di un maggiore sovietico dalla quale non ha nemmeno tolto i galloni. Ma ormai non si guarda più per il sottile, la situazione è troppo seria! La marcia lentissima, nel fango, ha inizio. Fratellino porta l'affusto della mitragliatrice sulle spalle e procede a grandi falcate. Dietro di lui, il sottufficiale Helmuth trascina quattro casse di munizioni. « Anche un toro creperebbe dopo una passeggiata simile! » geme e intanto cerca di stivare meglio le sue granate. « Tu scherzi. Nessun toro ragionevole sarebbe andato a attaccare proprio la Russia, e a girare in tondo come un cretino con una sega da macellaio modello 42 sulla schiena! » « Che giorno è oggi? » chiede Heide, apparentemente senza una ragione precisa. « Il 2 settembre. » « Allora mancano appena tre mesi alla fine della guerra. Il Führer l'ha promesso. Ritorno delle truppe a casa prima di Natale. » « E tu ci credi? Roba da pazzi, ma non c'è proprio nessuno al mondo più imbecille di te, maledetto nazista! » « Imparerete a conoscermi », replica Heide, furioso di essere sempre screditato dai compagni. « Già fatta la tua conoscenza da molto tempo, caro. Dal giorno che hai ammazzato quel contadino russo. E se ti capita di crepare con noi, berremo alla tua salute tanto dà crepare due volte, in allegria finalmente, e sollevati dalla tua presenza una volta per tutte. » Lunga pausa di silenzio; con delle schegge di legno cerchiamo di graffiar via il fango appiccicoso, attaccato un po'
99 dappertutto sulle uniformi. Molto lontano, la terra trema sotto violentissime esplosioni. Da qualche parte deve indubbiamente essere in atto un attacco molto forte. « Se non altro, è perlomeno strano che ci facciano galoppare in questa merda di fango », commenta l'Oberwachtmeister Danz. A lunghi passi, molto faticosi, si continua a procedere nella palude vischiosa. Il fango ci arriva alle ginocchia, è ben difficile riuscire a sollevare la gamba. Ogni tanto la compagnia si ferma, quando il tenente Lòwe vuole riprendere fiato, e tutti, silenziosi e con gli occhi cupi come bestie destinate al macello, fissano le pozze d'acqua dove la pioggia forma larghi cerchi concentrici. Poi si riprende a avanzare, a passo a passo, senza nemmeno aver la forza di imprecare contro il prossimo, solo maledicendo la pioggia, il fango, la guerra, e soprattutto le autorità dell'esercito in blocco. Detestiamo tutti questi eroi delle retrovie, i veri traditori della guerra, questi eroi che si rimpinzano e fanno all'amore con le puttane, che hanno a portata di mano tutto ciò che è diventato un sogno irraggiungibile, per i soldati di trincea. « Nelle retrovie, la guerra può durare anche trent'anni, è cosi facile, lì. » « Non prendertela! Magari devono combattere contro i partigiani, lóro », replica il legionario con stanchezza. Cammina a occhi chiusi come me; solo quando si è imparato a farlo, si riesce a riprendere un po' di forze, a rubare una parvenza di sonno. Non si dorme mai abbastanza in guerra, è la dannazione peggiore, veramente. « I partigiani! » interviene Fratellino, rimettendosi l'arma in spalla. « Vadano a farsi fottere! » Aiuta Lenzing che inciampa nel trascinare le casse di munizioni e ne sistema due sopra la propria mitragliatrice. « Là dietro, per conto mio, non hanno altro da fare che sbafare e stare solo un po'
100 sul chi vive. Mai neanche uno sparo, e d'altra parte creperebbero di paura se ne sentissero anche solo uno, e da lontano. » « Proprio così », borbotta Barcelona, amaro. « Noi del fronte, siamo invece soltanto merda, e basta. » Il tenente Stegel cammina come un ubriaco, ha una febbre altissima da quattro giorni, ma all'ospedale non l'hanno voluto. Non credevano all'autenticità della sua malattia e, secondo loro, non è stato abbastanza a lungo in prima linea per tornarsene via. Tutti conoscono il trucco della zolletta di zucchero imbevuta di benzina, ovviamente, ma era palese che non era certo il suo caso. Improvvisamente cade in avanti nel fango, perde l'elmetto che rotola nella melma insieme al fucile mitragliatore. Un sergente maggiore lo aiuta a rimettersi in piedi. « Questo fango! » geme. « Questo maledetto fango infernale! » Il Vecchio cammina cadenzando regolarmente il passo, affiancato al legionario, in testa alla 2ª sezione, la sezione d'assalto del reggimento. Il Vecchio è un vero camminatore e lo è anche il legionario, ma in altro modo; questi trotta leggero, col passo elastico e rapido simile a quello di un cammello, per chilometri, con l'inseparabile cicca incollata sull'angolo della bocca. Ecco che improvvisamente, lontano, uno strano rumore ci fa fermare di botto. Un suono, poi un secondo simile a un'eco, delle urla, come se centinaia di motori si mettessero in moto nello stesso istante, simile anche al rumore di un branco di mucche che fuggono muggendo per il terrore. Si sentono dei tonfi sordi, il rumore di un crollo, la terra che trema tutta. Un fragore da apocalisse, è forse la fine del mondo? « Non capisco », balbetta il pastore, con la sua aria distratta di uomo estraneo a questo tipo di vita, « ma non mi sembra niente di buono. »
101 « Guardate! » grida all'improvviso il sergente maggiore, atterrito. Una colonna di fuoco si alza diritta verso il cielo, seguita da lunghissime lingue di fiamme. « Gli organi di Stalin! » urla Heide, appiattendosi il più possibile dentro a una buca. Porta rapido abbandona il sentiero, il Vecchio raccoglie e sollecita le reclute ignare. * Al riparo! » ordina Lòwe, buttandosi a terra. I razzi traccianti sono diretti proprio su di noi, e tutti, istintivamente, apriamo la bocca per evitare .che ci si rompano i timpani. Esattamente come per i Panzerfaust, queste bombe scoppiano in cinque salve e ogni salva è formata da centocinquanta razzi. Fuoco e terra schizzano insieme dappertutto, enormi crateri si aprono nel suolo, di un intero villaggio, non lontano da noi, non restano che dei monconi di legno e qualche pietra. Dopo una lunga pausa di silenzio, Lowe si arrischia a alzarsi, poi con lentezza ordina : « Colonna per uno dietro a me ». Morti e feriti vengono abbandonati sul posto, non abbiamo la possibilità di occuparcene, purtroppo. « La guerra è così », commenta il legionario, quasi indifferente, frugando nelle tasche di un granatiere tedesco morto, per estrarne il libretto militare dal quale rilevare i dati della sua identità. I russi sono più furbi e saggi di noi; non redigono mai alcun elenco delle loro perdite. Una sola parola: « disperso », e migliaia di queste parole ciclostilate sono spedite alle famiglie, sempre che il Comando di divisione ne abbia il tempo, beninteso. La guerra è così. La notte, finalmente, ci ricopre e ci protegge sotto il suo velo. Solo la pioggia continua a cadere dalle nubi opache e basse.
102 « Preparate le buche e sotterratevi, presto », ordina Lòwe. Le pale si alzano ritmicamente sopra le nostre teste. Dobbiamo sotterrarci al margine di una foresta, ed è talmente buio che stentiamo a riconoscerci l'un l'altro, ma la terra è morbida e cedevole e il lavoro non è difficile; ormai abbiamo imparato a scavare con la corta pala in dotazione ai soldati di fanteria. Abbiamo imparato a scavare in piedi, sdraiati, in ginocchio, e spesso anche sotto un violento fuoco di artiglieria. Sappiamo che ogni palata allunga la nostra vita. Si può abbandonare o gettar via qualsiasi cosa, mai però la pala, è una ragione di vita e di morte insieme, e ogni soldato del fronte lo sa. È preziosa sempre: scava nella nostra madre terra, serve nella lotta a corpo a corpo, come pure per legarvi e rigirare un bue e cuocerlo alla brace, o anche per aiutare ad ammorbidire un covone di fieno, che darà un po' di riposo alle nostre povere ossa. « Senti un po', Lenzing », fa Gregor. « Dovresti procurarti una pala russa. Le nostre sono pessime e vanno in pezzi come niente, quelle di Ivan invece sono veramente ottime, anche per un a corpo a corpo. Tagli via una testa di netto in un colpo solo. Ti insegnerò a usarla come si deve, altrimenti non ci tornerai mai a casa, tu, te lo dico io! Butta via la baionetta, piuttosto, che tanto non serve a niente o quasi. Si spacca appena sfiori le costole di un Ivan, e prima ancora che tu sia riuscito a ritirarla, lui ti ha già spaccato il cranio con la sua pala. Devi anche avere più forza nelle braccia; cerca di esercitarti a sollevare grossi pesi, durante le pause di riposo. Più ti fai i muscoli, meglio riesci a batterti, te lo garantisco io. Quando ho lasciato lo stato maggiore generale, poiché ci sono stato per un bel po', sai, non avrei potuto ammazzare neanche una mosca con la pala, ma Porta e gli altri ragazzi del reg1-gimento mi hanno allenato come si deve, e oggi posso spappolare il cranio di un
103 elefante con un colpo solo. Colpisci sempre sopra l'orecchio destro, per esempio. Sicuramente il tipo, poveretto, ti inonderà di sangue, ma sempre meglio il suo sangue che il tuo, non ti pare? Puoi anche colpire verso l'alto e di traverso alla nuca, se ti arriva addosso, solamente bisogna saperlo fare, perché Ivan conosce benissimo tutti i trucchi della pala. Non illuderti che siano tutti imbecilli come sostengono quei culi dello stato maggiore, non se li sono mai trovati davanti una volta sola, nella loro vita. Ivan è il migliore di tutti, come soldato: Se solo i loro aguzzini, al Cremlino, la piantassero di rincoglionirli di parole come invece fanno, saremmo fottuti in quattro e quattr'otto. Non ce ne sono altri di soldati che vivono con così poco. Se Adolf avesse anche solo dieci divisioni di Ivan, e nutriti come si deve naturalmente, sarebbe a Pechino in mezz'ora. Ma soprattutto ricordati di non fare amicizia con Ivan, mai, finché sarà tuo nemico. Ha ricevuto l'ordine di far fuori tutto ciò che non è russo, e lui ubbidisce, senza esitare un minuto. E sappi anche che per i grossi papaveri russi la vita di un Ivan vale solo quanto un'aringa salata e affumicata vale da noi, e per di più non è una novità inventata dai comunisti, è sempre stato così nel loro paese, credimi. So che sei comunista, è tanto ormai che lo sappiamo tutti qui, e anche il colonnello Hinka ne è al corrente, ma se pensi di disertare, non farlo, credimi, te ne pentiresti. Ti piscerebbero addosso di là, anche se sei più comunista di loro. Il loro comunismo non è quello che tu credi; non ci sono che dei commissari con la stella rossa sulla testa, che non mollano la greppia e spadroneggiano sugli altri, esattamente come qui. Eri patetico, sai, Lenzing, quando ti sei messo a recitare la tua politica l'altro giorno. Tutte castronerie che ti hanno fatto imparare a memoria, tutto qui: non si abbattono i muri soffiandoci sopra. Presto o tardi, comunque, quegli sporchi demoni di nazisti creperanno avvelenati da loro stessi, io lo so, mi è
104 bastato stare un po' allo stato maggiore generale, per convincermene. » « Sei anche tu contro il governo? » chiede cauto il giovane. « Sono contro tutto quello che mi rompe i coglioni. Ma in questo momento bisogna fare la guerra, e la faccio. In tempo di pace sono impiegato presso una ditta di traslochi e lavoro solo per chi mi dà una buona paga e una mancia come si deve. » « Ma è una vergogna! È proprio per questo che si deve fare la lotta di classe. Niente più mance, tutti dobbiamo essere uguali. » « Non sarai mica matto, vero? Se tutti fossimo uguali, chi le darebbe più le mance? E poi, tonto che non sei altro, riflettici un po' sopra: se non ci fosse qualcuno sopra a qualcun altro, niente andrebbe come deve andare. Hai il cervello un po' distorto tu, sai. Ho più soldi io, guadagnati con le mance, che non tanta gente che sembra ricca come chissà chi. » « Gregor, vieni qui subito! » grida il Vecchio, arrivando di corsa. « Ci sono novità. Al galoppo, su, per favore. Lenzing finirà lui le buche. » « E va bene », brontola Gregor. « Qualcosa di nuovo non può essere che una grana, naturalmente. Vengo, vengo. Che c'è ancora? » « Pattuglia in ricognizione dietro le linee nemiche », risponde il Vecchio seccamente, saltando dentro il rifugio dove Porta sta riposando su un comodissimo letto pieghevole, trovato non si sa bene dove. Porta riesce sempre a sistemarsi comodamente, in qualsiasi circostanza. Il Vecchio, con aria seria e stanca, si siede sopra l'elmetto d'acciaio, poi assegna i vari compiti: «Dunque: Porta, Fratellino, il legionario e Sven vengono con me. E anche Gregor, beninteso. Fratellino si porti die-
105 tro il lanciafiamme ». « Merda! » protesta Porta, mettendosi a sedere. « Perché sempre noi e solo noi? Dobbiamo proprio vincerla sempre e solo noi, questa maledettissima guerra? » E dà, furioso, un calcio alla custodia di una màschera antigas. « Dov'è Fratellino? » chiede il Vecchio, ignorando le imprecazioni di Porta. « È tornato a casa sua con il treno della notte, si è stufato di combattere, la cosa non lo diverte più. Mi ha incaricato di informartene. » « Piantala di dire idiozie. Fila a cercare Fratellino, invece. » Il gigante si trovava in una buca molto profonda, dove stava giocando a dadi con tre guastatori lanciafiamme. La partita non doveva essere stata molto pacifica, lo si vedeva chiaramente dall'occhio pesto di uno dei giocatori. « Vieni, dai, ricognizione dietro le linee nemiche », dice Porta, dando una tale manata nelle costole dell'amico da guastare completamente un sapiente e sicuramente riuscitissimo colpo di dadi. Il gigante, furioso, gli lancia addosso una granata, che Porta getta lontano con un calcio, velocemente, prima che esploda. Era una loro graziosa abitudine. « Che merda! » urla Fratellino, a dispetto del silenzio col quale avrebbe dovuto ubbidire agli ordini. « Sono malato, ho mal di schiena e male a una gamba. Deve essere la peste asiatica. » « Anche se è vero, pazienza, cammina e crepa », ordina il Vecchio, arrivato anche lui sul posto. « E adesso attenzione, cretini. Ecco la parola d'ordine: ' Stivali di feltro ' e ' Gambe di legno ' » Segue uno scoppio di risate generale. « Un bel furbo chi ha inventato queste frasi. Degne pro-
106 prio del marciume che sta appresso a Adolf. ' Stivali di feltro ' e ' Gambe di legno '! Ma ti rendi conto! » « Imbecille davvero », borbotta il Vecchio, mentre distribuisce le granate che ficchiamo nel gambale degli stivali. « In marcia, e cercate di tenere le orecchie aperte. » Silenziosi come animali da preda, scaliamo il parapetto e piombiamo nel fitto strato di nebbia che sale dal suolo. Indoviniamo da un lievissimo mormorio la posizione delle trincee nemiche, non lontane, anzi proprio davanti a noi. Tutti ci appiattiamo contro l'erba umida; gli occhi si sono abituati al buio dopo qualche secondo e possono scrutare abbastanza lontano. «Mantenetevi più serrati», sussurra il Vecchio che ci ha raggiunto strisciando. « Che nessuno spari prima di un mio ordine, e soprattutto non un rumore. Dico a te, Fratellino. » Nell'erba alta ci mettiamo in colonna per uno. Il silenzio è assoluto. Improvvisamente il Vecchio si butta a terra; ha udito un rumore lievissimo, quasi impercettibile, come di metallo contro un altro metallo. Un uccello non se ne sarebbe nemmeno accorto, ma per un soldato della sua esperienza equivale a uno scoppio di tuono. « Che cosa ti prende? » mormora Fratellino. « Hai visto i nostri vicini? » « Due dita sulla destra del gran pilone, c'è un nido di mitragliatrice russa. E poi senz'altro le prime linee. » « E tu vorresti andare proprio là? » sussurra Gregor stupefatto. « Bisogna attraversare quel tratto e vedere che cosa c'è dietro. » « Ma tu sei pazzo! Sappiamo dove è Ivan e glielo diciamo, è tutto quello che ci chiedeva il capo, nò? Rientriamo, dai. » « No. Attraversiamo quel tratto di prato e basta con le
107 proteste. Mi avete seccato, perdio! Non è così che si vince una guerra. » « Il signore qui si aspetta di vincere la guerra! Dovremo vederne ancora! » « Tacete e seguitemi, vi dico. » Scompare nella nebbia. Imprecando e bestemmiando tutti lo seguiamo. « Ascolta, Vecchio, torna indietro », dice il legionario. « Sii ragionevole. Ho sentito benissimo che cosa ha detto il capo, fino alle posizioni e non più in là. » « Ti lamenterai fin che vuoi quando saremo tornati. Qui sono io che comando adesso. » Sempre senza rumore, ci insinuiamo nel bosco, i rami bassi fradici di umidità ci bagnano tutta l'uniforme. Siamo inzuppati e tremanti. A ogni passo, potremmo imbatterci nei russi. Che vada al diavolo anche il Vecchio! Quando si è messo un'idea in testa, non c'è niente da fare. Improvvisamente, si ferma davanti a una specie di parapetto che in curve si perde nella foresta. Buon Dio... le prime linee nemiche. Di tanto in tanto spunta un elmetto, si odono passi, mormorii. Porta lancia un sasso che rimbomba più del metallo. Rumore allucinante nella nebbia e nella notte. « Che cos'è? » chiede una voce in russo. « Sarà una bestia, sicuramente. » « Andiamo ancora un po' più in là », sussurra il Vecchio che si mette a strisciare attraverso una breccia che lo porta dietro le linee. Gregor lo trattiene per un braccio. « Fermati, pezzo di idiota! È una pazzia. Adesso che sappiamo dove sono... » « Seguitemi », dice il Vecchio continuando a strisciare. « Che imbecille! » brontola Fratellino furioso. « Ne ho piene le tasche, io. È pazzia furiosa, questa. Che ce ne fre-
108 ga a noi di quello che Ivan ha dietro la porta! » Attraversata la prima linea, un tasso scappando corre proprio tra le gambe di Fratellino, che, per lo spavento, cade addosso a Porta. « Che cosa ti prende, pezzo di bufalo? » impreca questi. « Fai un tale rumore che daresti l'allarme fino a Mosca. » « Un tasso comunista mi ha messo fifa! Che merda! Spaventare in questo modo della gente che passeggia. » « Chiudete quella bocca », raccomanda il Vecchio. « Vi si sente, è un rischio pazzesco, non lo capite? » Strisciamo ancora per un po', e a un tratto Fratellino si lascia sfuggire una scoreggia rumorosissima che nel silenzio della notte sembra un colpo di cannone. « Che cosa c'è? » mormora il Vecchio, con una certa tensione. Fratellino alza un dito; « A rapporto. Il caporale Creutzfeldt ha scoreggiato. » « Rifanne un'altra che poi vedi, maledetto porco schifoso! » « Sì, signor comandante. » E ne lascia partire un'altra più rumorosa: «Ordine eseguito ». Ma ancora prima che avessimo potuto imprecare contro quell'idiota, delle voci proprio davanti a noi... due russi sono seduti in una buca vicino a una mitragliatrice puntata. Abbiamo fatto abbastanza Russia per capire press'a poco quel che si dicono « Josif, passami quel cordiale. Devo riconoscere che l'hai fregato proprio di prima qualità. Mai visto una bottiglia sparire così in fretta. Quel cretino di colonnello starà cercandola ancora adesso. Oh là, è veramente buono. » « Non gridare così, Sasha; se il tenente Dmitrov scopre che beviamo durante il turno di guardia, siamo fottuti. Ehi, lasciamene un po', non l'ho mica rubato solo per te, sai! »
109 Li sentiamo ridere e bere facendo schioccare la lingua. « Anche noi, a Tiflis, ne rubiamo spesso e poi cantiamo: 'Match rodnaja Mitja' ... » « Ma taci, merdoso! » « Canto quando ho voglia di cantare, chiaro? La rivoluzione serve anche per fare un po' quel che ci piace, finalmente. » Ecco che ora si mette a urlare: « Volga, Volga... » « Ti strangolo se non la pianti! Ti si sente a un chilometro. » « Tanto peggio », replica l'altro con voce pastosa. « A Tiflis tutti vogliono cantare. Tieni, compagno, l'ultima goccia è per te. Per l'anima di san Nicola, come è buono! » La bottiglia vuota vola al di sopra del parapetto e cade vicino a Porta che l'afferra avido. « Nemmeno più una goccia! Che mascalzoni... rubare al loro colonnello! » « Vado a fare un giro, Sasha. » La sagoma scivola, cade, si rialza, ricade. Evidentemente l'uomo è ubriaco. Striscia a quattro zampe e gioca a fare il cavallo intorno a una buca, impennandosi. « I cavalli fanno così a casa mia. In primavera vieni a trovarmi a Tiflis, Sasha. » « Ma dove vai, imbecille? Se credi che abbia voglia di rimanere qui da solo! I Fritz possono capitarmi addosso come niente, sai. » « Non essere cretino, faccio solo un giro. È necessario anche in guerra. » E sparisce nel bosco. Come due serpenti, il legionario e Fratellino raggiungono l'uomo accovacciato che non si accorge nemmeno che una pala affilatissima gli mozza la testa con un colpo solo. Gregor e Porta si occupano del compagno che il solito filo di ferro rende muto per sempre. Le loro armi, sparse, le catturiamo; copriamo i due cadaveri con delle
110 foglie perché non siano scoperti troppo presto: al primo momento penseranno che i due abbiano disertato. « Se rientrassimo? » sussurra Gregor. « Sarà abbastanza spiacevole quando scopriranno quei due. » Ma il Vecchio si è ficcato in testa di sapere che cosa c'è dietro il bosco. Fratellino, con uno sguardo omicida, gli punta contro il fucile mitragliatore. « Abbassa quella canna, cretino », dice nervoso il Vecchio. « Non ho nessuna voglia che tu mi prenda di mira. » « Hai paura, eh? » sghignazza Fratellino. « Non mi fido di te, ecco tutto. » « Non sei il solo a dirlo. Un giorno ho buttato Nass dalla finestra perché me lo continuava a ripetere. Mi sono buscato tre mesi, ma ne valeva la pena. Lui è stato ingessato sei mesi con due piedi rotti. Ben fatto! » Dietro il bosco dove siamo rintanati, ora intravediamo tutta una postazione con i lanciafiamme a distanza di circa quattrocento metri. Brulica di veicoli militari di ogni specie. Questo spettacolo poco rassicurante ha l'aria di soddisfare finalmente il Vecchio. « Si ritorna », dice secco. « Un momento, perdio », brontola Porta, avanzando ancora di qualche metro. « L'avrai la tua ritirata, e più bella di questa, sta' tranquillo. » « Quasi una diserzione, insomma », ridacchia Gregor sommessamente. In una buca di granata, proprio di fronte alle posizioni russe, non resiste alla tentazione di fermarsi un istante per depredare tre ufficiali, peraltro morti, due russi e uno tedesco. « Non ammetto queste cose », inveisce il Vecchio, furioso. « È una dannata porcheria, e voialtri lo sapete bene. » «Tutti saccheggiano e fregano», replica di rimando Porta, offeso. « Perché non possiamo farlo proprio noi? Dal mo-
111 mento che viaggiamo per conto di Adolf, almeno che ci si cavi qualcosa. » Un razzo illuminante esplode proprio sopra le nostre teste. « Merda », sussurra il legionario. « Doveva succedere proprio adesso! Ci avranno individuati. » Un fucile mitragliatore comincia a crepitare. Lentamente, i razzi illuminanti cadono a terra, poi si spengono rendendo la notte ancora più buia. « Allontanatevi, presto! » Filiamo ventre a terra, il respiro teso allo spasimo, le tempie che battono fino a dolere. Ci buttiamo nei fossati, restando immobili come tronchi di albero, poi, nell'intervallo tra due razzi illuminanti, ci rialziamo per correre come disperati. Ma ora i russi sparano anche di lato e ecco che già ne arrivano alcuni, urlando. Fratellino spara con l'arma appoggiata sul fianco, pur continuando a correre; io sono riuscito a mettere in posizione la mitragliatrice e copro la ritirata. I russi cominciano a inseguirci e si buttano a loro volta nelle buche scavate dalle granate. Ci raggruppiamo tutti in un nido di mitragliatrice abbandonato, ma Gregor manca all'appello. « Che cosa gli può essere successo? » dice il Vecchio angosciato. « Qualcuno l'ha visto? » No, nessuno ne sa niente. « Vado a cercarlo », afferma Porta, risoluto. « Proibito muoversi », dice il Vecchio trattenendolo per un braccio. « Togli le zampe di lì », grida Porta dando uno spintone al Vecchio. « Vado a cercare l'impresario di traslochi. » E sparisce in direzione delle posizioni russe. « Gregor, dove sei? » grida nella notte, senza preoccuparsi della sparatoria che riprende intanto da ogni parte. Il fronte sembra svegliarsi, le pallottole traccianti piovo-
112 no sulla terra di nessuno. Per un istante il Vecchio esita, poi bestemmia e rincorre Porta. A nostra volta li seguiamo: non si abbandonano mai i camerati. Porta è già lontano, nella foresta. Improvvisamente gli appaiono delle sagome, spara, lancia alcune granate dietro di sé, si addentra nella foresta, e tutto è di nuovo silenzio. « Qui, Porta! Sono qui! » È la voce di Gregor che esce all'improvviso da una buca di granata. « Che cosa fai qui? » urla Pòrta rabbioso, saltando dentro la buca. « Sei impazzito? Ho tutta l'armata russa dietro il culo! » Arrivano anche gli altri, e il Vecchio è proprio pazzo furioso. « Stava bello comodo lì dentro! » scherza Porta. « Il signore è un po' stanco. » « Non farla tanto pesante, sai, ti dico che non potevo muovermi. Ivan è arrivato all'improvviso e mi sono nascosto sotto i rami sperando che voi sareste venuti a cercarmi. Non potevo accoppare un'intera divisione da solo! » Senza degnarsi di rispondere, il Vecchio brontolando si rimette in testa al gruppo. Heide, che come sempre sa tutto, sostiene che stanno per mandarci a Varsavia. Pare che la faccenda sia seria, là. « Ci sono centomila paracadutisti inglesi », dice Heide, « e la città formicola di soldati polacchi. Pare anche che tutta la divisione SS di Dirlewanger sia stata massacrata in una sola notte. » Si è sempre portati a credere vero quel che si spera: il dottor Dirlewanger è l'uomo più odiato di tutta l'Europa dell'est. Un'ora dopo, siamo finalmente di ritorno. Il Vecchio fa il suo rapporto, e quanto a noi, ci buttiamo sui pagliericci per dormire, ma ahimè non per molto. « Non è finita, ragazzi », annuncia il Vecchio ritornando.
113 « In piedi voialtri! La nostra compagnia deve coprire i guastatori mentre quelli fanno saltare la postazione nemica. » «Ci risiamo! Se tu fossi stato tranquillo non ti manderebbero adesso d'urgenza coi guastatori! » « Hijo de puta! » urla Barcelona. « Coprire i guastatori? Bel lavoretto, non c'è che dire... E perché poi, merda di una merda, non spazzano via tutto col napalm? » « Non ci sono abbastanza munizioni », mormora il Vecchio stancamente, lasciando cadere le braccia. « Quinta compagnia, avanti, in marcia! » grida Lowe da dietro le nostre spalle. In colonna per uno, usciamo dalla trincea, portando solo l'affardellamento d'assalto. Quando si lavora coi guastatori, bisogna sempre agire con la massima rapidità. « Nemmeno un po' di carri di sostegno? » chiede Fratellino. « Ci sei tu, non ne vale la pena. Quando Ivan ti vedrà, penserà che sei un carro armato di nuovo modello. » I guastatori arrivano alla posizione: è un battaglione rinforzato che annovera cinque compagnie. Hanno cariche di esplosivo legate alla parte terminale di lunghe e robuste pertiche, negli stivali grappoli di granate, inoltre lanciafiamme e anche molto inquietanti bombe al napalm di origine russa. Sono gente silenziosa e selvatica, soprattutto quelli che sono addetti ai lanciafiamme. Nessuno risponde al nostro saluto. Quando Porta chiede una sigaretta, un ufficiale gliene porge una senza dire una parola. « Santa Madre di Kazan', siete tutti muti? » grida Porta con rabbia prendendo per il collo un caporal-maggiore. « Quando un caporale di stato maggiore come me ti saluta, merdoso, devi rispondere a alta voce e chiaro: ' Buon giorno, signor caporale di stato maggiore dei carri '. » Poi respinge di nuovo l'uomo stupefatto in mezzo ai suoi camerati.
114 Si incomincia subito a menare le mani e Fratellino è già sul punto di strangolare un sottufficiale guastatore, quando un richiamo secco e deciso ci rimette tutti sull'attenti. A gambe divaricate e mani sui fianchi, ecco qua la nostra vecchia conoscenza, il maggiore dei guastatori, nel bel mezzo della trincea. Dietro di lui, Lòwe osserva la scena senza dire una parola. « Non sprecate le vostre forze », ammonisce il maggiore, « ne avrete bisogno fra non molto. Oh, guarda! » dice all'improvviso riconoscendo Porta. « Guarda chi si vede? Il nostro specialista del controspionaggio e caporale capo di stato maggiore. Bella sorpresa. Avete senza dubbio avuto il tempo di verificare l'autenticità del mio grado, altrimenti vi posso assicurare che sarà effettuato nel giro di mezz'ora. E tanto per cominciare, toglietevi quella merda di cappello dalla testa. » Porta si affretta a togliersi il suo famoso cilindro giallo e a mettersi un berretto nero da ussaro. « Da quando siete soldato, caporale? » « A rapporto, signor maggiore. Da molto tempo, da troppo. » « Ho chiesto una risposta. » Porta batte tre volte i tacchi: « A rapporto, signor maggiore. Chiedo l'autorizzazione di consultare il mio libretto militare che secondo il regolamento porto sempre nella tasca sinistra, sul petto ». Batte ancora tre volte i tacchi e si mette sull'attenti, poi saluta col braccio teso. « Rispondete », grida il maggiore furioso. « Siete forse un idiota? » « A rapporto », ripete Porta impassibile. « Il medico psichiatra del III corpo d'armata mi ha tenuto in osservazione a Potsdam e ha dichiarato e sottoscritto che sono debole di mente, in una forma incurabile. Chiedo umilmente... » Batte per tre volte consecutive i tacchi e alza un braccio. « Il
115 signor maggiore ha passato la visita dello psichiatra di Giessen? È un'esperienza interessante, il signor maggiore dovrebbe farlo. Ci si può permettere di tutto all'ospedale psichiatrico di Giessen. Se uno preferisce dormire sotto il letto invece che sopra, nessuno trova niente da ridire. Quando ero là c'era un maggiore degli alpini che era rotolato giù da una roccia e questo gli aveva provocato un certo rammollimento del cervello. Credeva di essere un cane e alzava la zampa davanti alla stampella del medico primario, grande invalido, naturalmente. È abbastanza raro che uno si trovi a avere un cervello così sconclusionato da andare a pisciare sui dottori di turno... » Il maggiore ha gli occhi così stralunati che sembra gli escano dalla testa. Gira i tacchi e se ne va, seguito da Lòwe e dagli ufficiali guastatori. « Storie di questo tipo provocano come conseguenza immediata che tutti tagliano la corda », sghignazza Porta. « In fondo basta solo blaterare delle imbecillità, e tirarla in lungo abbastanza da fargli quasi venire un collasso di nervi. Così credono di diventare matti anche loro, e questo li rende come ubriachi, al punto che non sanno più spiccicare parola. Tutti gli ufficiali che mi conoscono tagliano la corda appena mi vedono, è per questo che sto così bene e sono ancora in vita, oggi. Ho già fatto ammattire tre medici psichiatri, io. Vorrei vedere chi può vantare un record simile! » I guastatori si alzano e predispongono tutto il loro lavoro. Il tiro di artiglieria promesso sembra abbastanza fiacco; evidentemente l'artiglieria tedesca non è nemmeno più in grado di sparare. Il maggiore è in testa alle sue truppe, tra le labbra tiene un grosso sigaro spento, che mordicchia con aria cupa. « Avanti! » tuona, caricando l'espressione con un colpo di mento in direzione delle linee russe.
116 Una compagnia comandata da un tenente non più molto giovane si butta in avanti attraverso il tiro di sbarramento nemico, cercando di proteggersi con una cortina di fumo. Non hanno fatto nemmeno la metà del breve percorso che cadono a uno a uno come quaglie. Una vera carneficina. Un piccolo gruppo e un solo sergente riescono tuttavia a passare, e con enorme sangue freddo installano le loro cariche di esplosivo, prima di correre al riparo. Una catena di esplosioni fa volare in aria in tutte le direzioni armi e membra umane, che ricadono sul terreno tormentato. Ma non è nulla di nuovo, di sensazionale: i soliti morti, i soliti feriti, molto rumore. Il piccolo maggiore mastica e mordicchia sempre il sigaro, e con un gesto nervoso colpisce ripetutamente i grossi scarponi con la canna della sua machine-pistole. « Cretini! Tenente Keltz, avanti con la vostra compagnia e fate un poco vedere quello che sapete fare. » La 3ª compagnia del tenente Keltz si fa avanti senza pensare alla morte, attraverso la pesante cortina omicida del tiro di sbarramento. Nuove esplosioni in un turbine di fiamme e di fumo si alzano verso il cielo prendendo la forma di un gigantesco fungo. Si sono aperte delle brecce nelle linee nemiche, i sopravvissuti si battono in una violenta lotta a corpo a corpo davanti alle posizioni nemiche. « Avanti un'altra! » grida il maggiore, sputando un pezzo di sigaro. « Credete di essere qui per divertirvi, lazzaroni? » Una nuova compagnia scompare nella terra di nessuno. Un giovanissimo tenente alza le braccia; soltanto da tre settimane è al reggimento, arrivato diritto dalla scuola di Gross Born. Un siberiano, dietro il fucile Maksim, lo inquadra nel mirino, regola il tiro, poi l'arma crepita. Il lungo nastro cigola passando nel caricatore. Il tenente, di soli diciannove anni,
117 viene colpito allo stomaco dalla salva, la seconda gli tronca i piedi. Inconsciamente, fa qualche passo coi moncherini, poi cade a terra, trovando ancora la forza di alzare le braccia gridando: « Quarta compagnia, avanti! » Pensa alla croce di ferro che la madre gli aveva chiesto di riportare dal fronte, poi il sangue gli esce dalla bocca e lo soffoca. L'attacco è respinto, i siberiani camminano sul tenente morto, nuove compagnie di guastatori partono all'assalto, questa volta armati anche di lanciafiamme. Del giovane tenente non resta che una pozza di sangue. Improvvisamente dalle linee russe parte un getto violento di fosforo bruciante. « I lanciafiamme! » geme il Vecchio. « Nemmeno una pulce riuscirebbe a passare. » Come torce viventi gli uomini girano su se stessi, diventano quasi istantaneamente mummie carbonizzate, i reticolati diventano roventi, poi fondono, un insopportabile odore di carne umana bruciata arriva fino a noi. Il tenente Dornbach, dei guastatori, ritorna nelle linee con soli cinque uomini, tutto quel che gli è restato dell'intera compagnia. « Signor maggiore », balbetta l'ufficiale quasi al limite del soffocamento, « non è possibile attraversare le linee. » « Vergogna! Come osate venirmi davanti? Vi destituisco dal comando e segnalerò che vi siete condotto come un vigliacco davanti al nemico. » «Va bene, signor maggiore», geme l'ufficiale, il cui petto è coperto di decorazioni al valore. Il maggiore, con palese disprezzo, gli volta le spalle e quasi contemporaneamente si ode un vicinissimo colpo d'arma da fuoco. Il tenente Dornbach si è fatto saltare le cervella. Il verdetto del Consiglio di guerra avrebbe decretato la sua morte, il giovane ha preferito giustiziarsi con le sue proprie mani.
118 « Non abbiamo combinato ancora niente! » urla il maggiore. « Mi vergogno del comportamento del mio battaglione. » Il viso gli diventa livido d'odio, e gli occhi brillano fanatici sotto l'elmetto d'acciaio. « Dietel! » Si volta bruscamente verso un giovane tenente. « Spazzate via questa dannata merda sovietica. È necessario distruggere tutti i lanciafiamme nemici. Se riuscirete, sarete promosso capitano domattina e avrete la croce di ferro, anche se dovessi darvi la mia. Avanti, Dietel, andate! » « Sì, signor maggiore », risponde l'ufficiale, pallidissimo. Avviene così una « esecuzione » al vero, però, con tutte le regole del gioco. Il maggiore gli batte la mano sulla spalla per incoraggiarlo. « Coraggio, Dietel, non c'è nulla da temere da questi bastardi sottosviluppati. Respirate, e poi soffiateci sopra, è molto semplice. » Il tenente Dietel scompare, protetto dalle nostre mitragliere. «Seguitelo, tenente Plein », prosegue il maggiore implacabile. « Seguite Dietel. Spazzate via quella immondizia, e non tornatemi a dire che è impossibile. Restate là, piuttosto. » « Va bene, signor maggiore », risponde Plein, senza fare obiezioni. « Sezione lanciafiamme, tutti dietro a me. » La sezione lo segue, in ordine sparso. I lanciafiamme sputano lingue di fuoco verso le mitragliatrici russe, che a loro volta falciano quasi tutti gli uomini del tenente Plein. Nuove esplosioni fanno tremare la terra. Il tenente Plein distrugge gli ultimi lanciafiamme russi e, come un folle, uccide anche uno dei suoi sergenti che si era fermato e accennava a indietreggiare. « Avanti! » «rida, rivolto a un mucchio di cadaveri. Lotta a corpo a corpo selvaggia nella trincea nemica. I guastatori avanzano lentamente, la pesante pala in una
119 mano e la pistola nell'altra, ma i siberiani sono coriacei, ben diffìcilmente si piegano. Con i loro volti inespressivi ascoltano i commissari politici che urlano: « Uccidi! Uccidi! » e sempre totalmente inespressivi uccidono, si lasciano uccidere, a volte simulano anche la morte per rialzarsi subito e riprendere a uccidere. Sono i robot dell'omicidio. Morti, russi e tedeschi, si ammucchiano uno sopra l'altro, con i coltelli conficcati nel ventre. Uno ha la gola squarciata da un morso. Nel corso di questi a corpo a corpo, l'uomo diventa simile al lupo. Ci si batte, e mucchi di morti coprono altri mucchi di morti. « Indietro! » grida un sottufficiale che ha perduto la ragione, e cade colpito da una salva russa. Era l'ultimo sopravvissuto della compagnia Dietel. I siberiani riprendono le loro posizioni. Grandi occhi a mandorla guardano con indifferenza il cumulo dei morti, ma la morte non ha alcun senso per loro, e riprendono a combattere come se nulla fosse accaduto. « È impossibile, signor maggiore! » grida disperato il tenente Plein, tornando verso le nostre linee, affiancato da due feriti. E cade morto ai piedi del maggiore. « Imbecille », esclama il maggiore, dando un violento calcio al corpo del suo subalterno. « Telefonista, chiamate d'urgenza sul posto la batteria d'assalto. » « Il capo della batteria è in linea », gli segnala il telefonista, tendendogli il ricevitore. « Qui ; il maggiore dei guastatori Moritz. Mi sentite? Capitano, non sono in grado di sfondare la linea. Il mio battaglione è fatto di vigliacchi che avranno a tempo debito la punizione che a loro spetta. Quanti colpi siete in grado di garantirmi? Di granate esplosive, beninteso. Dieci? Non sono abbastanza. Quindici... non rompetemi i coglioni con le vostre battute. Ho detto quindici, in caso contrario vi
120 spedisco al Consiglio di guerra. Bene. Punto 43. 205 meno. Settore 9 a ... ripetete. Bene. Tiro diretto, ma subito! Qui le cose non vanno come dovrebbero. Sì, sì, lo sappiamo, ma tutta questa faccenda comincia a seccarmi. » Butta il ricevitore sull'apparecchio e urla ai pochi rimasti del suo battaglione: « A terra! Dopo il quindicesimo colpo, in piedi e avanti ». Le granate sibilano verso le posizioni nemiche. Il bosco, il metallo delle armi, gli uomini stessi, tutto salta e schizza verso il cielo plumbeo. Ogni granata colpisce il segno. Le posizioni russe vengono sfondate e distrutte. « Dodici, tredici, quattordici, quindici...! » alza il braccio. « Sezione d'assalto, seguitemi. » Il maggiore si butta in avanti, scivola, cade, si rialza, salta nel pieno del crepitio della mitraglia, e in una nuvola di fuoco e di fumo scompare alla testa dei suoi uomini. Questa volta l'attacco riesce, la posizione russa è annientata e in un baleno raggiungiamo le trincee nemiche. Granate a mano e mine vengono lanciate nei bunker e nei camminamenti; riempiamo di esplosivo le bocche dei cannoni e tutto avviene talmente in fretta che non abbiamo nemmeno il tempo di aver paura. Pale e baionette luccicano, i fucili mitragliatori crepitano senza sosta. Ritroviamo il maggiore, con ancora il sigaro in bocca, ripiegato sopra il corpo di un capitano russo. Morti entrambi. Ha raggiunto il suo scopo, ma la sua follia è costata la vita di ottocento guastatori, di un battaglione di rinforzo, e nessuno dei sopravvissuti riceverà la croce di ferro promessa. E all'improvviso... ecco ancora i siberiani! Questi ometti tarchiati, robusti, col loro grosso berretto di pelo a dispetto del calore soffocante delle fiamme. In un a corpo a corpo furioso, ci battiamo in mezzo alle rovine fumanti. Un lago di sangue, orribile, come raramente abbiamo visto. E, passo passo, indietreggiamo. I siberiani non si muovo-
121 no. Si lasciano uccidere sul posto, ma non appena ne muore uno, ne appaiono altri dieci. Sempre il loro grido gutturale: « Urrà Stalin! » Fuggiamo, fuggiamo, a testa bassa, buttando a caso le' granate alle nostre spalle, in mezzo ai lanciafiamme che seminano la morte. Sfiniti, svuotati, come ubriachi di fatica siamo quasi al limite del pianto isterico, ma continuiamo ugualmente. Oh, che cos'è questa? Una granata russa. Coi denti strappo la sicurezza, conto fino a ventuno, ventidue, ventitré, e al ventiquattro la lancio. La granata atterra in una buca e un bràccio umano divelto salta nell'aria. Mi sento meglio, ora, ho la sensazione di aver fatto un buon lavoro e subito mi butto in una buca vicina. Ma dentro vi giace la metà di un corpo umano, la cui testa mozza è dentro al ventre dilaniato. Urlando atterrito mi arrampico fuori e vedo Porta, fermo col fucile mitragliatore appoggiato sull'anca. I russi attaccano, il tiro di sbarramento è proprio alle nostre spalle. « Dove sono gli altri? » « Non lo so, ma filiamocela, noi! » mi risponde con aria sfinita. « Ho la netta sensazione che tutto il fronte stia per essere sfondato. » Lancio un tal numero di granate che non ho nemmeno il tempo di contare prima del lancio, i miei gesti sono quasi automatici, e contemporaneamente continuiamo a retrocedere. « Non ne posso più », dico in un flebile gemito. « Muoviti, su », mi risponde Porta, dandomi una manata, sulla schiena. Più in là il postino trascina l'amico pastore ferito, ma a ogni istante deve temporaneamente abbandonarlo a terra per difendersi. Il petto del pastore è dilaniato dallo scoppio di una granata, attraverso la larga ferita si intravede il
122 polmone che ancora pulsa di vita. « Lasciami qui », supplica il pastore tutte le volte che il compagno lo risolleva. Un caporale infermiere si ferma un istante, li guarda, poi si allontana rapido: nessuna attenzione per uno della sezione indegni. Per loro non c'è morfina. Il postino bestemmia e grosse lagrime di disperazione gli colano sulle guance. « Porci! Maledetti porci! Coraggio, pastore, ce la caveremo. Ti porterò all'ospedale, anche se dovessi per questo camminare sul cadavere di Himmler. In un vero ospedale ti prenderanno, anche se sei un wu. Là lo spirito è diverso, non ci sono i nazisti, là. I medici dell'esercito sono delle brave persone, ti cureranno, ma non piangere in questo modo, pastore, non lo posso sopportare. » Si butta in un solco trascinando sempre con sé il corpo dell'amico. Un tiro di mortaio scoppia proprio davanti a luì, una mitragliatrice crepita proveniente dalla foresta vicina. Si piega sul pastore ferito. « Dimmi qualcosa, amico, come ti senti? Ascoltami, tieni duro, siamo quasi arrivati. Tieni duro, tieni duro, ti dico! » Avvicina il volto a quello del ferito, che è grigio con le labbra già bluastre. Un rumore inconfondibile di rami spezzati nel bosco. Passi pesanti si avvicinano lentamente. Il postino afferra e punta il fucile mitragliatore, preme il calcio contro l'anca e, in ginocchio, fissa il margine del bosco. Otto siberiani cadono, in fila. Lui si china sul prete. « Come ti senti, pastore? Preghiamo il tuo Dio, vedrai che ci aiuterà. » Ma il prete è già morto. L'amico non vuol crederlo, e con lagrime di disperazione si butta accanitamente a approfondire la buca, con la grossa pala. Improvvisamente appare il tenente Lowe, circondato dal suo Commando.
123 « Basta, non c'è tempo, andiamo. Chi è? » chiede, indicando il corpo del pastore. « WU Schneider. Territoriale di seconda classe », risponde il postino con aria assente, mettendosi sull'attenti. « Ah! Uno dei nuovi! » mormora Lòwe. « Ritirate i suoi documenti e venite via subito. » Il postino spezza in due la placca di alluminio e tutti filiamo a passo di corsa. Scesa la notte, vengono altri a darci il cambio. La metà della compagnia giace nella fossa comune insieme col battaglione dei guastatori. Ubriachi di fatica, piombiamo addormentati nelle rovine. Di accendere un fuoco nemmeno se ne parla. Guai a accendere un fuoco! Il fumo attira l'artiglieria.
124 « La migliore arma politica è il terrore. Tutto ciò che nàsce dalla crudeltà si impone al rispetto. Non vogliamo essere amati, ciò non ha alcuna importanza purché si sia rispettati e temuti. Anche se siamo odiati non ci importa, pur di essere temuti. » Discorso di Himmler agli ufficiali delle ss Char'kov, 19 aprile 1943
Nikolaj Kaminski era un anziano insegnante, che veniva da Brjansk, in Ucraina. Sua madre era polacca, suo padre tedesco. Durante l'inverno 1941-42, era partito con un pugno di fanatici per combattere contro i partigiani. Himmler aveva sentito parlare di lui dall'Obergruppenführer Berger e si interessò subito a questo piccolo uomo la cui crudeltà era divenuta ormai famosa, anche oltre le linee tedesche. Le sue torture superavano in raffinatezza quelle dei più inventivi carnefici cinesi, quando si trattava di infliggere una morte lenta. Kaminski venne fatto venire a Berlino e conquistò d'acchito Himmler. Da questo momento, gli ucraini divennero quasi uguali ai tedeschi agli occhi dei grossi capi delle SS. Kaminski fece una carriera sfolgorante. Nonostante che non fosse tedesco di nascita, nel giro di tre mesi diventò Brigadenführer delle SS e generale di divisione nella Waffen SS. Himmler gli concedette tali poteri che anche gli ufficiali di altissimo grado dell'esercito non poterono fare nulla contro di lui. Alla fine del 1942, il generale Kaminski si prefìsse di creare una repubblica che comprendesse tutta la provincia di Lokot; la sua brigata raggiunse il numero di seimila uomini, per la grande maggioranza disertori dell'armata rossa; questa brigata era composta di otto battaglioni di fanteria, un battaglione di carri completo di ben venti carri armati sottratti ai russi, due sezioni di artiglieria munite ciascuna di venti cannoni, una sezione di cosacchi, e una compagnia di guastatori. Nel
125 corso di due anni, con grande stupore dei militari stessi, Kaminski riuscì a ripulire l'intera zona di Lokot di tutti i partigiani. Nella primavera del 1943, Himmler inviò nella regione di Lemberg l'ormai celebre brigata Kaminski. E qui Kaminski superò se stesso. Là dove ha infierito, non sono rimasti che cadaveri e rovina.
126
GLI YAK « Sergente maggiore Beier! Sergente maggiore Beier! » grida un sergente dei cacciatori di carri. «Siete voi il sergente maggiore Beier?» chiede al Vecchio, che sta fumando la sua pipa a coperchio, seduto sulla custodia di una maschera antigas. « Che cosa c'è? » « Dovete immediatamente congiungervi con la vostra sezione a una compagnia d'assalto. Devo trasportarvi alla posizione dall'altra parte del fiume. Vi sto cercando da più di due ore! » « Allora avresti dovuto cercarmi subito al posto giusto », risponde il Vecchio, impassibile. Sta giocando coi dadi e raccoglie calmo la sua posta, con vivo e palese dispiacere di Porta, che è come sempre appassionato al gioco, in qualsiasi momento della giornata. «Sbrigatevi », borbotta il sergente dei cacciatori. « Il tenente colonnello Schmeltz è già in strada con la compagnia d'assalto. » « Alle armi », comanda il Vecchio, senza peraltro affrettarsi. Si abbottona la sua tuta mimetizzata e infila il cappuccio sull'elmetto d'acciaio. Porta riesce a far sparire una fiaschetta di vodka dal sedile posteriore del comandante, approfittando dell'istante in cui l'autista l'ha perduta di vista per un secondo. Wolf, del parco macchine, ci dice arrivederci con un mezzo sorriso, falso, promettendo di mettere il nome di Porta nel grande quadro d'onore dei caduti del reggimento. « Oggi è il giorno più bello di tutti i miei anni di servizio », conclude con aria di saccente volpone. « Tutti i miei saluti all'inferno, Porta, sai bene che non ti ho mai potuto
127 soffrire. Sei un vero depravato, un vero sciacallo, ma Dio è buono e mi permetterà di assistere alla tua esecuzione. Spero proprio che tu ti becchi una bella palla nel ventre, e che avrai comunque il tempo di pentirti di tutto il male che mi hai fatto. » I suoi due cani lupo gli stanno al fianco, con la sua stessa espressione cattiva, sembra che sorridano, quelle maledette bestie! Porta si volta e si mette la mano davanti alla bocca come dovesse ruttare. « Riderà bene chi riderà ultimo. Io segnalo il tuo nome al primo commissario che incontro e vedrai che non potrai approfittare molto a lungo della tua vittoria, te lo dico io! » Ma il Vecchio ci fa premura; le granate già cadono nel fiume, occorre allontanarsi dal ponte al più presto. Dopò qualche passo ha inizio una salita che diventa subito molto ripida; si scivola e si cammina col fiato grosso. « Dove stiamo andando? » chiede Fratellino. «Verso il trono di Nostro Signore, forse? » « Siamo quasi arrivati », dichiara il sergente dei cacciatori con uno strano sorriso. «Avrete tutto il tempo di riposarvi. » « E tu rimani a cantarci la ninna nanna? » « No, per carità, anche se dovessero nominarmi colonnello. Comunque preferisco dirvi che siete votati alla morte sicura, e se volete un buon consiglio, filatevela al più presto. Ivan sarà schierato sul margine del fiume, in massa compatta, e nemmeno un fuscello riuscirà a passare attraverso il loro schieramento. » « In ogni caso è anche possibile che il tenente colonnello ti ordini di rimanere con noi. » « No no, ho qui gli ordini del capitano. Siete voi che dovete darci il cambio fra poco. » Ci presentiamo al tenente colonnello, un uomo di una certa età e visibilmente teso, che ci indica con la mano qua-
128 li posizioni dobbiamo occupare. Posizióni di primo ordine, d'altronde, con postazioni di tiro naturali e parapetti rocciosi. « Quel piccolo sentiero che vedete laggiù è il solo passaggio per i russi, nel caso volessero attaccare», spiega il capitano dei cacciatori al vecchio tenente colonnello. « Potete facilmente tenerlo sgombro con la mitragliatrice. Durante la notte, non ci sarà nessuno che vorrà awenturarcisi dentro, ma di giorno », aggiunge lentamente, « la faccenda è diversa. Il generale ha detto che bisogna mantenere la posizione a qualsiasi costo, ancora per qualche ora. Badate soprattutto a quando appariranno tre razzi verdi, a questo punto sbrigatevi a ritornare sul ponte e a passare il fiume prima che noi lo facciamo saltare in aria. Tre razzi verdi, non dimenticate-vene. » L'ufficiale riunisce i suoi uomini e sparisce a tempo di record. Tutt'intorno a noi, casse di munizioni, ceste di granate da mortaio, bombe a mano e mine si ammucchiano minacciose. « Parola mia, si direbbe una piccola Verdun! » esclama Fratellino sorpreso. « Mai visto tante munizioni da quando i prussiani mi hanno chiamato in aiuto nel '37 contro i nemici del Reich. Attenti, ragazzi! » grida nel buio. « Qui può capitare come niente che si salti per aria! » « Basta così, caporale. I russi possono arrivare da un momento all'altro. » « Che cesso questo maledetto posto! » borbotta Barcelona. « Ma qui ci schiacciano come pulci con i loro carri. » « Cretino! I loro carri qui? Se solo facessero l'idiozia di tentare di arrampicarsi fin qui, li facciamo fuori con le bombe a mano: » « No, caro mio, l'artiglieria è l'arma più pericolosa di Ivan e su questo sperone di roccia siamo come su un palcoscenico scoperto, pronti per essere azzeccati. Anche un tirato-
129 re cieco non mancherebbe il bersaglio. Vedrai se non lo faranno. » Porta si piazza comodo in una buca e si stende davanti tranquillo il panno verde per giocare a carte. Fratellino corre su e giù agitando una grossa campana simile a quelle appese al collo delle mucche, che sicuramente è udibile a distanza di chilometri, nella calma assoluta della notte. Il tenente colonnello Schmeltz passa il suo tempo a bestemmiare contro tutto il mondo in blocco e a ingiuriare ognuno di noi. È un ufficiale di riserva senza la minima esperienza del fronte, e non sa fare altro che una cosa: imprecare contro il prossimo. Fratellino che non abbandona un istante il suo ex Géstapo, gli si mette vicino e gli ordina: « Ascoltami bene, sporco cane bastardo, quando Ivan arriva in vista tu tiri con la pistola e non la smetti fino a quando io non ti do il cambio. Poi fili, come fila la polizia dietro il culo di un assassino, e ti piazzi davanti alla mitragliatrice e giochi a raccattare le mie palle. Che il diavolo ti protegga se tenti di tagliare la corda. Vedresti che cosa riesco a diventare io, chiaro? » « Fallo entrare nella storia gloriosa del reggimento! » sghignazza Porta dalla sua buca. « Sta' a sentire per esempio che bella epigrafe: ' L'ex Gestapo Adam Lutz si è buttato impavido contro i bastardi sottosviluppati siberiani che gli hanno strappato via una gamba ma lui se ne è servito come di una mazza per spaccare la testa a un compagno commissario russo. E per concludere, il coraggioso soldato con la testa sanguinante sotto il braccio si è battuto fino alla morte e proprio prima di esalare l'ultimo respiro è riuscito a tagliare la gola a due generali siberiani. Ecco come ci si comporta da noi, sotto la guida del Reichsführer Adolf Hitler! ' » « E nell'attesa, dove credi che si trovi ora il nostro bravo
130 generale di divisione? » « Come minimo a cinquanta chilometri da qui e dalla parte più sicura del fiume. Garantito al limone E sta esaminando con lo stato maggiore l'opportunità di una ritirata strategica che possa apparire un po' simile a una vittoria. Rettificare le linee, per risparmiare il sangue tedesco. » « Non capisco niente di tutto quel che state dicendo », commenta il caporale Wahl, ultimo di sette fratelli morti per la patria. « Non te lo chiediamo nemmeno», gli risponde il legionario. « Tu sei venuto al mondo per marciare e per farti ammazzare come un eroe. » « Il nostro generale di divisione è un vero stratega, un genio », continua Porta. « Comincia col venire al fronte personalmente, il culo però ben piantato nella sua Kubel, per ' rettificare il fronte '. Al suo seguito qualche batteria che lo protegge dai nemici del popolo che si rifiutano di capire la benedizione celeste che è la cultura germanica. Dopo arriva tutto lo stato maggiore con le sue scartoffie e statistiche di combattimento, perché il generale abbia tutto sottomano per scrivere le sue memorie quando non ci saranno più delle linee da rettificare. Poi dottori e infermieri, poi un sacco di gente ancora, e come ultima la truppa che non capisce niente di niente ma che trotta come sempre ubbidiente. » « Intendi dire la fanteria, come ultima? Ma allora noi quando arriviamo? » « Tu sei ancora più stupido di quanto credessi. Noi non arriviamo affatto. Occorre difendere la ritirata strategica e dato che la miglior difesa è l'attacco, noi veniamo successivamente incaricati di prendere d'assalto la Siberia, la Cina, anche magari l'imperatore del Sole a Tokio, per poi attraversare in piroga il Pacifico, e conquistare la piazzaforte israelitica di Washington e innalzare la bandiera tedesca
131 sul pennone della Casa Bianca. Hai capito adesso? Mica stupido il generale che ci ha piazzato in questa bella villeggiatura polacca. » « È una merda », commenta il ciclista Litevka, che porta gli speroni perché sia ben chiaro che appartiene al corpo di cavalleria, nonostante che Porta affermi che li ha invece per poter fare scoppiare i pneumatici posteriori nel caso che i freni non funzionassero lungo una discesa. I soldati pensano proprio a tutto. Il tenente colonnello Schmeltz va e viene, in attesa del segnale promesso dal generale di divisione, dato che non si mette nemmeno in dubbio la parola data da un generale prussiano. In questo intervallo di ozio forzato passano di mano in mano delle fotografie di splendide ragazze nude. « Dio santissimo! Che tette, ci si potrebbe mettere al riparo addirittura una petroliera! Una vera ingiustizia, al mondo c'è chi ha tutto e chi non ha niente o quasi. Ne ho conosciuto una che, vi giuro, ci si poteva nascondere un cannone Pak tra le gambe. Quando andava a fare il bagno nel Danubio, faceva alzare il livello del fiume di un metro. » Porta asserisce gemendo che ama le donne grandi e grosse, nonostante che lui sia magro e sottile come un giunco cresciuto nel deserto. « Durante il mio ultimo carnevale a Monaco », racconta a sua volta Julius Heide, « ho incontrato una contessa il cui marito era al fronte. E accerchiato per di più. » « Tu sei proprio ottuso », sghignazza Porta, « perché poi ti ostini a mescolarti con la haute? Non dimenticare che sei un semplice sottufficiale cretino! Ma consolati, può essere che tu venga designato per il compito altissimo di apportare del sangue nuovo e vitale in mezzo a quei ruderi di ufficiali, questo arrivo ancora a crederlo. » Porta non sa a che punto la sua battuta corrisponde a una
132 realtà. Nessuno di noi avrebbe potuto prevedere in ogni caso che il nazista fanatico Julius Heide, che veniva da una famiglia di operai tedeschi, sarebbe diventato vent'anni dopo tenente colonnello nell'esercito sovietico e comandante di un reggimento di carri. Poco dopo mezzanotte, l'orizzonte diventa improvvisamente rossastro. Un rombo sordo e terribile scuote il suolo sotto i nostri piedi. L'artiglieria pesante doveva aver aperto un fuoco d'inferno. « Che cosa stanno macchinando di fare i russi, secondo voi? » domanda il tenente colonnello Schmeltz al Vecchio, ascoltando con aria cupa le lontane esplosioni. « Avranno deciso di attaccare. Sarebbe sciocco se non lo facessero, e loro non sono degli imbecilli. » « Che cosa proponete di fare? » « Filare via prima che salti il ponte. » Nello stesso istante, un'esplosione terribile rimbomba nella foresta e una colonna di fiamme si alza verso il cielo. « Il ponte! » grida Heide. « Maledetti porci! » « Alla vostra salute, amici. Adesso, la sola cosa da fare è di poter uscire dalla porta di servizio. » Il tenente colonnello a questo punto perde letteralmente la testa. « Sergente maggiore Beier », balbetta dopo essersi un poco ripreso, « partite in avanscoperta immediatamente con due uomini. Fra dieci minuti vi seguo con la compagnia. » Si asciuga la fronte con il grande fazzoletto a quadri. « Dobbiamo assolutamente arrivare al fiume. Se il ponte è saltato, cercheremo ugualmente di attraversare il corso d'acqua, costi quel che costi. » « Non c'è alcun dubbio che il ponte è saltato », sussurra Porta. « Ma non temete, i nostri avranno lasciato sicuramente al suo posto un meraviglioso ponte di barche. » Il tenente colonnello, perplesso, guarda ma non ha
133 nemmeno il coraggio di credergli o di metterlo a tacere, d'autorità. « Porta, Sven e Fratellino, venite tutti con me », ordina il Vecchio, imbracciando la sua arma automatica. « Ma certo, e come sempre nessun altro, naturalmente. Sempre noi. Perché, tanto per cambiare un poco, almeno, non mandi avanti la compagnia, come preludio? » « Piantala! » Porta si conficca in testa il cilindro giallo, mette il fucile mitragliatore sotto il braccio come fosse un bastoncino da passeggio, e corre dietro al Vecchio. Fratellino incespica e lascia cadere per terra la mitragliatrice, che fa un fracasso d'inferno, del tutto simile a quello di una tonnellata di pezzi di legno che rotolano lungo una scala. « Avrebbero pur potuto mettere dei cartelli, Cristo! » prorompe il gigante. « Mica facile fare del turismo, qui. » Tutta la notte è in ascolto, in un'oscurità azzurrognola. Ogni albero, ogni cespuglio respira il terrore. Le imprecazioni di Fratellino dovevano aver svegliato tutta l'armata russa, che non doveva essere molto lontana. « Che il diavolo se la porti », mormora il sergente Blaske, esaminando per l'ennesima volta la propria arma automatica. « È un sacco di tempo che avremmo dovuto sloggiare di qui. » « Parli come un cretino! Certo, che se avessimo avuto qui il tenente Lòwe invece di quest'imbecille della riserva... » Il tenente colonnello Schmeltz non può non aver sentito la frase, ma non reagisce. Guarda l'orologio con angoscia. Ancora due soli minuti e si sarebbe partiti tutti sulle tracce del Vecchio. La notte è calda e pesante, siamo tutti sudati, le zanzare sono più incattivite che mai, ci attaccano in densi sciami ronzanti e penetrano sotto le garze che teniamo sul viso. Di notte le zanzare, di giorno le bombe. Un pesante odore
134 di fradicio e di marcita ci invade: è la palude, è laggiù che deve trovarsi anche Ivan, o perlomeno è da lì che dovrebbe arrivare. « Pronti alla partenza. » L'ordine viene bisbigliato da uomo a uomo, raccattiamo le armi e i poveri WU gemono sotto il peso dei lanciagranate. Tutti sono atterriti per quel che potrà accadere. « Fate posto alla grande cultura occidentale », commenta Gregor, sarcastico. « Mio fratello ha galoppato dietro al Kaiser, io a Adolf. Se avrò un figlio lo spedisco in Africa dai cannibali, così non avrà una patria da difendere. » « Sbagli, amico », lo corregge il legionario. « Io mi sono battuto in tutte le sabbie del deserto africano: ci dicevano che stavamo difendendo la Francia. Tu non riuscirai mai a sfuggire alla patria, è dappertutto, è la volontà di Allah. » Il tenente colonnello alza un braccio e in silenzio la compagnia procede lungo lo stretto sentiero. Due colpi d'arma da fuoco rompono all'improvviso il silenzio. Una MPI crepita a lungo. È Fratellino che spara, sono ben riconoscibili le sue brevissime salve. I tre devono aver incontrato Ivan. « Indietro! » grida il tenente colonnello. Gli uomini saltano dentro alle buche che hanno appena abbandonato e vengono installate le armi automatiche. Lutz trema al punto che tutti sentiamo i suoi denti battere all'impazzata. Che cosa rimane dell'uomo dal pesante cappotto di cuoio che mandava senza batter ciglio i prigionieri francesi al patibolo? « Guarda quel grosso culo! Trema come un budino caldo », commenta Barcelona ridendo. « Basta, Lutz », lo rimprovera Heide. « Non dimenticare che sei stato nella Gestapo. Al minimo segno di debolezza, ti faccio fuori, capito? » Ancora qualche salva isolata, poi silenzio. La compagnia
135 riprende a scendere il sentiero. Improvvisamente, una voce: « Eh, calma, merdosi, siamo noi! Non sparate, perdio! » Senza fiato ci buttiamo di nuovo,nelle buche, il Vecchio corre dal colonnello. Accende lentamente la pipa, comprime dentro il tabacco, e tira su col naso, quel naso che è tanto simile a una patata rinsecchita. « Russi dappertutto, signor colonnello. Non c'è nessuna possibilità di passare il fiume. E per soprammercato ci sono anche gli yak (i mongoli). Ne abbiamo liquidato una sezione intera che stava dormendo. Se ci aveste seguiti da vicino, avremmo potuto passare, ma adesso non se ne parla assolutamente più, la porta è chiusa. » « Attenti! » grida una voce nel buio. Un razzo luminoso si alza nel cielo. Noi rimaniamo incollati al suolo come fossimo rocce, perché anche il minimo movimento tradirebbe la nostra presenza. Con una lentezza che ci sembra infinita, il razzo vira verso ovest e va a spegnersi oltre il fiume. Di nuovo buio pesto. Poi un secondo razzo che sembra stare appeso al cielo per un'eternità. Ma gli yak hanno fatto una grossa sciocchezza con i loro razzi. Noi siamo nascosti dietro un'alta parete rocciosa, mentre eccoli lì, loro, allo scoperto su un ampio prato verde. Tutte le armi crepitano in direzione di quei piccoli uomini gialli che sembra ci siano stati serviti su un vassoio e che ora cercano di sfuggire rotolando lungo il pendio. A sua volta, il Vecchio lancia un razzo luminoso che illumina tutta la zona davanti a noi. I mongoli, presi dal panico, vengono spazzati via spietatamente dalle nostre armi automatiche finché, lentamente, la luce si spegne. Sentiamo i feriti che gemono, sotto di noi, poi torna il silenzio. «Vieni, vieni, dolce morte », canticchia il legionario, col suo eterno ritornello a fior di labbra. « Non rompere i coglioni! » borbotta il sottufficiale
136 Schramm che è stato a suo tempo guardaciur-ma a Torgau. Il tenente colonnello corre dall'uno all'altro, dà ordini contraddittori, di cui nessuno tiene conto. Heide e il legionario si arrampicano lungo il pendio e posano le mine T, sospendono agli alberi le granate collegate fra loro e collegate altresì ai detonatori. Porta prepara i cocktail Molotov. Fratellino attacca le bombe a mano a lunghe pertiche, facendone altrettanti lanciagranate terribilmente pericolosi: è come sempre il solo che fa questo tipo di cose, perché nessuno di noi oserebbe rischiare. Evidentemente non si rende conto del rischio che corre, ma appartiene a quel tipo di persone che amano qualsiasi cosa faccia rumore. Non capisce probabilmente che un'esplosione gli porterebbe via le braccia. Barcelona e Gregor mimetizzano un mortaio con rami, il fusto orientato verso il sentiero. « Contro un eventuale attacco di carri », spiega Barcelona al tenente colonnello che lo guarda a bocca aperta. «. Si mette un po' di terra e qualche pietra intorno all'affusto e non si muove più. » « Non state a faticare tanto! Questo benedetto tubo di stufa posso spingerlo io col sedere, senza che mi succeda niente », dichiara Fratellino, vanitoso come sempre. Con un'occhiata a Barcelona che finalmente finisce col capire il gioco, Gregor mette gentilmente la mano sulla spalla del gigante. « Davvero pretendi di poterlo trattenere mentre io lo carico e sparo? Dieci contro uno che salti per aria tu insieme al fusto. » « Dieci contro uno, accetto », replica il gigante con aria di superiorità. Il tenente colonnello Schmeltz si interpone per far finire questo gioco idiota, e la cosa viene riferita anche al Vecchio che rifiuta di immischiarsene. Se Fratellino ha voglia di accopparsi, la cosa riguarda lui solo.
137 Ma improvvisamente sentiamo una valanga di pietrame che rotola lungo il pendio e immediatamente dopo appare un grosso Maksim mg. « Attenzione! » bisbiglia Heide. « Eccoli. Quei cespugli mimetizzano qualcosa, non erano lì un minuto fa. » Tutti fissano i cespugli che si intravedono nella semioscurità. Heide ha ragione: avanzano a piccoli rapidi scatti. Nonostante il calore umido della notte mi sento gelato fino alle ossa. Se cadiamo nelle mani di quei mostri, ci sgozzano come pecore. « Al mio comando », ordina il Vecchio. « Tutti insieme sparare! » Centotrenta granate a mano sibilano simultaneamente in direzione dei russi e fanno l'effetto di un'eruzione vulcanica. Grida, poi uomini che fuggono. In un batter d'occhio tutti i cespugli sono spariti. « È santa Giovanna che ci ha protetto », mormora il sergente Blaske. « Possiamo fare un bel falò, adesso. Che salva! » Torna la calma, ma per quanto tempo ancora? « La politica è proprio una merda », constata d'acchito Fratellino. « Che cosa è riuscita a procurarmi di rotture di coglioni! Mi ci son voluti sette anni per diventare caporale di stato maggiore, ed è troppo tempo se si pensa, che sono due sbarre e una stella di lana cucite su una manica. E me ne rimangono ancora più di venti, di anni, prima di mettermi in pensione. E dire che è proibito mandar le puttane negli harem dell'est, ma mandarci invece della carne da cannone, quello è permesso. Testa in avanti, Fratellino, e via! L'ho fatto per un marco al giorno, e fino a ora è andata abbastanza bene, non ci ho ancora rimesso la pelle, ma domani? » Terminato questa specie di soliloquio, lo vediamo balzare dietro il suo mg42 e sparare come un folle. Il Vecchio lan-
138 cia una bomba tracciante. Sono a soli cento metri dalla nostra posizione e spingono avanti delle strane balle di fieno... i ricognitori non se ne sono accorti, ma Fratellino ha un udito straordinario. Giunti sotto di noi si alzano e avanzano arrampicandosi sul pendio. Sono proprio mongoli dagli occhi sottili e dalle guance sanguigne. Soldati dell'armata russa che capiscono a malapena il russo. Fuoco a volontà da tutte le parti. Sentiamo comandi brevi e secchi. Un commissario lancia in aria la pistola come segno di inizio dell'attacco. « Urrà Stalin! Urrà Stalin! » Il sergente Blaske e il caporale Lutz lavorano febbrilmente al lanciagranate; senza i guanti di amianto conficcano granata dopo granata nel cannone e non sentono nemmeno dolore alle mani sanguinanti e piagate. L'erba diventa rossa di sangue. Heide che ha afferrato un pesante lanciafiamme spara salve corte e precise in direzione di questi soldatini gialli di pelle che soccombono, ma ne arrivano continuamente altri che si arrampicano febbrilmente sulla collina rocciosa. « Urrà Stalin! Urrà Stalin! » Cinque nuovi lanciafiamme si mettono in azione, il fuoco lambisce il suolo e trasforma i mongoli in torce viventi. « Se solo potessero vederli dal Cremlino », dice il Vecchio. « In fondo è uno spettacolo che farebbe piacere al loro grande Capo. » « Ci cagherebbe sopra, te lo dico io. Il suo solo pensiero è la sopravvivenza del comunismo. Dei coglioni che lo acclamano, lui se ne fotte! » Alle nostre spalle le bombe a mano esplodono con detonazioni secche e stridenti come fossero sferzate. Attaccato alla sua mitragliatrice Fratellino strapazza Lutz che gli pare troppo lento nel lavoro di caricare di continuo i nastri, e con l'unico piede libero lo malmena di calci per tenerlo
139 sempre sotto pressione. « Viva la Legione! Allah akbar! » grida il legionario. Nuovi reggimenti di fanteria russa, giunti alla base del pendio, cominciano a arrampicarvisi : sono soldati condannati a morte. Non c'è nulla di più terribile e folle di un attacco su un pendio scoperto, è una specie di tragico gioco di tiro alle quaglie, dove esse non hanno alcuna possibilità di scampo. Ma da dove possono arrivare tutti questi soldati? Tutt'intorno il terreno ne brulica. Siamo dunque così importanti? Siamo una sola compagnia tedesca tutto sommato, ormai sfiancata dalle fatiche, nata senza squilli di tromba solo per morire sullo sporco fronte della guerra. «Tirate basso», grida il Vecchio. «Tirate basso. Puntate a 300. » I giovani soldati dai visi piatti e olivastri vengono spazzati via dalle nostre raffiche. È stato detto loro di morire per il dio del Cremlino, e quel che dicono i superiori è certamente vero e indiscutibile. Come del resto hanno detto a noi di morire per il dio Adolf, ragione per cui Fritz ubbidisce senza protestare, ovviamente. Un ordine è un ordine. « Le mine! » urla Porta, che corre piegato in due per sfuggire a un eventuale bersaglio, in direzione del nuovo reggimento di mongoli. « Vieni, dolce morte, vieni! » canticchia il legionario tirando verso di sé il cordino di sparo collegato al detonatore. La terra si spalanca con un boato, corpi dilaniati volano in aria, la pressione dell'aria ci butta all'indietro per molti metri e ci comprime a terra, ma questa volta il nemico fugge a gambe levate, abbandonando anche le armi. Fratellino corre in avanti, col suo 42 sotto il braccio, e spara contro qualsiasi cosa si muova. Grida, ruggisce, scoppia a ridere, tanto simile al povero ragazzo di strada, represso e ripudiato dalla società, che finalmente possiede una volontà di potenza mortale. Come folli, lo seguiamo
140 anche noi. « Uccidete, camerati, uccideteli nel ventre delle loro madri! È quel che ha detto loro Ilja Ehren-burg! » E noi uccidiamo, senza pensare a nient'altro che a uccidere. Un commissario russo si alza da dietro un cespuglio: la stella rossa luccica sul suo berretto di pelo. Si lancia contro di noi con una mina S per mano. Risata sardonica di Porta che gli punta la canna del fucile a cannocchiale proprio al viso. Il volto del russo scoppia come un bicchiere di cristallo, ma mentre già sta per morire, ancora si trascina faticosamente verso di noi con le sue mine pronte a essere lanciate. « Maledetto farabutto », grida Fratellino e lo trafigge con la baionetta. Sembra che la collina sia ritornata silenziosa; non si sentono che i gemiti dei feriti sotto di noi. Heide butta una bottiglia di benzina nella loro direzione. « Smettetela immediatamente, idiota! » grida il tenente colonnello Schmeltz. « Vi proibisco di dare il colpo di grazia ai feriti. » « A rapporto, signor colonnello. Nemmeno un caprone sopporterebbe questi gemiti, rendiamo loro un servizio, uccidendoli. » « Vi deferisco al Consiglio di guerra. » « Provateci », interviene Fratellino insolente. « Facciamo solo quel che ci comanda Himmler : distruggere tutti i bastardi sottosviluppati russi. » « Sergente, annotate il nome di quest'uomo! » grida Schmeltz con voce strozzata. Il sergente Blaske scrive sul suo taccuino, con totale indifferenza, il nome e cognome del gigante. Poi si rivolge a Fratellino dicendo: « Solo perché mi ha ordinato di farlo ». « E tu ubbidisci. Tanto gli taglieranno la testa se Heini
141 viene a sapere che cosa è successo, e se no, pazienza, ce la caviamo tutti. » « Hai sottomano la pinza? » gli bisbiglia Porta, che non difetta mai di senso pratico. « Ci deve essere un sacco di denti d'oro da arraffare su quelle scimmie gialle. » E con il nagan pronto a sparare spariscono entrambi nella notte azzurra. « Due veri imbecilli », mormora il Vecchio. « Questa cupidigia sordida costerà loro la testa, un giorno o l'altro. » Dal margine del fiume rimbomba all'improvviso un violentissimo tiro d'artiglieria, il cielo è rosso, vediamo ricomparire dopo poco i due amici con il loro carico di denti d'oro. « Quei mezzi cinesi sono pieni di soldi. Se noi dovessimo farci fare dei denti d'oro, non possiamo mica permettercelo, con il salario di miseria di Adolf! I germanici si accontentano dell'acciaio Krupp, come tutti i poveri schiavi tedeschi! » « Ehi », mormora Fratellino, tendendo l'orecchio, « non senti? » Carri... È proprio così, i carri! « Ma no... forse è solo un animale che corre! » « Carri, ti dico! » « I carri! » geme il tenente colonnello Schmeltz. « Siamo perduti. » « Lo siamo in ogni caso », replica il Vecchio, calmissimo, tirando una boccata dalla pipa. « Ma se vogliamo tentare di cavarcela, dobbiamo farlo seduta stante. Quando verrà la luce, l'artiglieria di Ivan riuscirà a arrampicarsi sul pendio. Mi chiedo perché poi vogliono liquidarci a tutti i costi. Questo sperone di roccia, che cosa gli serve? Forse credono che siamo SS, e allora che Dio abbia pietà di noi se cadiamo nelle loro mani. Preferirei morire con un'esplosione in pieno ventre. »
142 « Capisco perfettamente, ma come si fa a andarcene? » « Occorre scendere da questa maledetta montagnola, prendere quella parete rocciosa, dalla parte sinistra, vedete, dove loro non si aspettano di trovarci. Bisognerebbe infatti essere tanti pazzi per avventurarsi là. » « Quella parete! Ma la metà della compagnia si ammazzerà nel tentare di scalarla! » « Meglio ammazzarsi con le proprie mani che cadere vivi nelle mani degli yak. Uno yak, vedete, non riesce nemmeno a ridere. Che mangi, uccida, ami, è uguale per lui, resta freddo, serio e giallo. È la Siberia che li rende così. I ghiacci eterni della Siberia. » « E sono proprio loro quelli che abbiamo davanti? Che facciamo, Dio del cielo? » « Sparare finché ci rimangono munizioni, poi cercar di filarsela. Non se ne parla di capitolare, saremmo fatti a pezzi vivi. Uccideteli nel ventre delle loro madri, ha detto loro il poeta Ehrenburg. » « Se ne esco vivo », borbotta il colonnello, « mi riservo di chiarire il mio punto di vista al generale di divisione. Vi do la mia parola! » « Non fatevi illusioni. Il generale è molto influente, e ha tutti i poteri nelle sue mani. Sarebbe peraltro una follia accusare un comandante di divisione superdecorato che ha già regalato quattro figli e sei fratelli alla patria. Suo padre si è ammazzato quando abbiamo capitolato nel '18. Tutto questo conta, signor colonnello. E d'altra parte la vostra lamentela forse non arriverà nemmeno al battaglione, e avrete ancora fortuna se non sarete preso per un pazzo, credetemi. » « Vecchio! » grida Porta dal fondo di una buca. « Vieni qui, abbiamo trovato una fiaschetta di sakè, laggiù dai gialli. Un tonico spettacoloso, davvero. » Fratellino da dietro le spalle di Porta alza il viso, il suo
143 brutto viso infantile, illuminato da un largo sorriso. « Se vi occorre un maitre d'hotel, signor colonnello, Fratellino è qui pronto. Voglio anche confidarvi un'altra cosa: è zeppo di comunisti là sotto! » « Caporale Creutzfeldt », gli risponde in tono di biasimo l'ufficiale, « siete ubriaco... » « Capo, io... io devo riconoscere... che hai un occhio molto penetrante. Faccio presente al signor colonnello che ho la febbre alta. Il sakè la farebbe venire anche a un cammello. » « Siete un sudicione, Creutzfeldt! » Il colonnello si allontana disgustato dal gigante che puzza d'alcool orribilmente. Questi cade nelle braccia di Barcelona che lo abbraccia con effusione. « Santa Madre di Kazan'! Sei ancora vivo? Credevo che il vicino qui ti avesse torto il collo. I ragazzi di Mosca sono così ghiotti di tutti quelli che hanno cambiato bandiera in Spagna alle ' dodici meno cinque '. » « Basta adesso! » tronca il Vecchio. « Si parte. » « No, per carità! Issate la bandiera bianca », borbotta l'infermiere Kuls. « Non passeremo mai vivi, di lì. Se ci arrendiamo ci tratteranno magari bene. » « Ma sei tocco nel cervello? Va' un po' con le tue gambe a vedere come Ivan ti riceve, va' su! E dove hai cacciato il tuo distintivo del partito? Tene sei già sbarazzato, eh, ma guarda che è troppo tardi. Ti avviso che Ivan se ne fotte ormai dei ragazzi bruni che vogliono diventare rossi. » Fratellino compare, ancora col singhiozzo, ma subito diventa accigliato e aggressivo. « Che cosa sento? C'è qualcuno qui che vuol disertare? » Afferra Kuls per il bavero e lo butta per terra con violenza. « Va bene, Creutzfeldt, basta », interviene il colonnello. « Filate via, ora. » « Devo prenderlo come un congedo, signor colonnello?
144 Sarebbe la parola più splendida che abbia mai sentito in tutta la mia carriera! » Mentre gli altri chiacchierano, il Vecchio, teso come sempre per risolvere la situazione il meno peggio possibile, lancia un razzo luminoso per orientarsi. Alla luce breve ma viva del magnesio, vediamo una lunga fila di T34 che fanno un'ampia curva nella vallata e si dirigono verso il sentiero di costa che porta alla nostra postazione. I motori rombano a pieno regime, pini e betulle vengono stritolati sotto questi giganti d'acciaio, la fanteria a grappoli d'uomini sta appesa ai boccaporti posteriori. Fratellino, snebbiato d'acchito dalla ubriacatura, si butta di furia a attaccare granate, raccolte a grappolo, a bottiglie di benzina. Lentamente, i primi T34 arrivano ai piedi della montagnola, e tutti i cingoli cominciano a stridere, nell'iniziare la salita. Porta prepara una mina, Fratellino si mimetizza pochi passi più in là in un anfratto sicuro, con tutte le sue mine magnetiche e i suoi cocktail Molotov. « Ne usciremo? » chiede al Vecchio il giovane Lenzing che trema fino alle viscere. « Speriamo. » Fuma sempre e non perde il suo sangue freddo abituale. « L'importante è riuscire a mantenere la testa sulle spalle, ragazzo, e le cose poi vanno già meno peggio. Passami le mine già decapsulate. Quando avremo fatto saltare il carro, sarà il momento di pensare alla fanteria, ma bisogna evitare che si avvicini a più di un tiro di granata, chiaro? Lanciale a tutto spiano e non pensare alle ideologie politiche, in questo momento. Quelli là non sono più comunisti di quanto io non sia un nazista, ma questa è la guerra. Uccidili, altrimenti uccideranno te. Anche se tu gli ficchi sotto il naso la dottrina del tuo partito, ti ammazzano ugualmente, te lo dico io! » « Ho una tale paura! »
145 « Anch'io, ma spero per te che la paura non ti paralizzi, altrimenti sei fottuto. » I T34 si avvicinano rombando, il lungo cannone puntato ci fissa minaccioso fuori della torretta. Il primo carro diverse volte è sul punto di precipitare nel breve dirupo a picco, ma i cingoli tengono bene e lentamente avanza. Il Vecchio posa attentamente le bombe a mano davanti a sé, già pronte e decapsu-late; mastica la cicca di tabacco della pipa, poi la sputa lontano e mordicchia ancora le ultime briciole di tabacco rimaste sulla punta della lingua. Porta apre una scatola di conserva « Made in Usa » e adopera la baionetta come forchetta. È una abitudine cui non viene mai meno: prima di un attacco deve sempre riempirsi lo stomaco, anche se qualsiasi dottore glielo sconsiglierebbe. Una ferita al ventre e la peritonite è già in atto, ma Porta sostiene che vorrebbe morire rapidamente ma a pancia piena, piuttosto che lentamente all'ospedale. Tutta la scatola è inghiottita in un baleno, insieme a un lungo sorso di sakè, poi ne apre una seconda, l'annusa e vi aggiunge una spruzzatina di sale che toglie da un piccolo sacchetto che tiene sempre in tasca. Il suo attaccamento al meglio delle cose, il suo ben noto perfezionismo arrivano fino ai minimi particolari. I carri virano nella valle, si portano di fronte e la stella rossa impressa sul metallo blindato non è certo un bel quadro da vedere per noi. Nonostante che il mostro faccia un certo sforzo per mantenersi saldo nel sentiero molto stretto, i suoi cingoli tengono il terreno. Ma Porta lo tiene ormai nel suo mirino a cannocchiale: il colpo parte e il T34 si ferma proprio vicino alla buca dove si è rannicchiato Fratellino. Questi allora attacca una mina magnetica sotto il ventre del carro, poi si raggomitola il più possibile nel fondo della buca. L'esplosione avviene nella parte posteriore, è co-
146 munque una morte molto Tapida. Il pesante veicolo è sventrato in un boato enorme, grossi frammenti di lamiera arroventata piovono sul terreno, il sangue sprizza; ma ecco, sul margine del bosco, il secondo carro che si dirige verso il sentiero. Una pioggia di bombe a mano lanciate contro di esso rimbalzano sulla sua corazza blindata e sono solo i poveri fanti feriti che si torcono sul terreno gemendo e vengono schiacciati inesorabilmente dal carro successivo. Ma che cosa valgono i soldati di fanteria nella seconda guerra mondiale? Nulla. « Viva la morte », urla il legionario lanciando il suo cocktail Molotov sopra il largo orlo tondo della torretta, poi scompare in una buca vicino al cadavere di un russo. Segue una enorme fiammata azzurra, le munizioni esplodono, il carro è a sua volta carbonizzato. Ecco avvicinarsi il terzo. Un lungo getto di fiamme esce dalla bocca del cannone: la granata esplode dietro la postazione e polverizza il sergente Litwa e tutto il suo gruppo. Vediamo con dolore e orrore gli intestini che escono dai loro ventri per mescolarsi con la polvere del terreno dissestato. Fratellino balza in avanti con due mine legate assieme nella mano destra. Con inaudita rapidità si arrampica sul carro, colpisce con la canna della pistola lo sportello della torretta, lo sportello si socchiude e il comandante, cauto, dà un'occhiata all'esterno. Fratellino lo liquida con una pallottola nella nuca, poi butta le due mine all'interno del veicolo e con la stessa rapidità fulminea scappa il più lontano possibile. Un fumo nero, denso e soffocante, avvolge tutto e tutti. « Alla baionetta! » grida il Vecchio. « Colonna d'assalto dietro a me. Via! » Attacco alla baionetta e ai lanciafiamme contro gli yak che si disperdono. I due carri che seguono scivolano sul
147 pendio ormai molto provato dai tentativi dei primi carri e virano. Proprio davanti alla nostra postazione giace un soldatino giallo che sembra morto, ma lo vediamo a un tratto saltare in piedi e precipitarsi sul sergente Blaske. Le sue granate esplodono e li polverizzano entrambi. Non ritroviamo che un elmetto e uno scarpone. Più della metà della compagnia è stata annientata e dal fiume sale vm rumore assordante di artiglieria. Deve mettersi male laggiù. Poveri guastatori, quali che essi siano, non importa se non li conosciamo a uno a uno, sappiamo che sono costretti a un compito difficilissimo, quasi irrealizzabile. E sappiamo già quante lagrime saranno versate per questo dannato ponte. Gli yak ora attaccano con i mortai pesanti, le prime granate hanno tiri molto lunghi che gradualmente diventano più precisi. « Che cosa state sognando? » grida Porta che arriva correndo, seguito da Fratellino. « Contate di passare l'inverno qui, imbecilli? Se riescono a fare una breccia siamo fottuti. » « Non c'è che una via per uscirne, la parete rocciosa. » « E i feriti? » chiede l'infermiere Kuls che si è infilato un bracciale col distintivo della Croce Rossa nella speranza, vana peraltro, che i mongoli ne tengano conto. Il colonnello sembra non ascolti. Sa altrettanto bene quanto noi, che materialmente i feriti non possono essere trasportati, e non possono perciò seguirci. Ognuno raccatta la sua pala da trincea, e tutti corriamo dietro a Schmeltz e al Vecchio. Per il momento, non vediamo nessun mongolo. In una nuvola di polvere e di sassi si cerca di risalire la cresta dello sperone di roccia. Io rotolo fino in fondo come una palla; per mia fortuna, cespugli di rovi molto spinosi arrestano la mia caduta, dopo avermi però graffiato tutto il viso e strappato l'uniforme. Porta si affretta a venirmi vici-
148 no. « Che capitombolo fantastico! Se non fosse per il rischio... » Fratellino, ubriaco, urla pesanti ingiurie a tutti; quanto al colonnello, si butta senza il minimo senso della realtà a lanciar razzi che rendono la situazione ancora peggiore. Queste maledette bombe al magnesio accecano tutti, il nemico e noi stessi, e come si spengono il buio sembra ancor più fitto, non si vede più nulla. Heide avanza con i suoi lanciafiamme. È l'ultimo, e ha ucciso almeno dieci uomini che esitavano a seguirlo. Durante un assalto è una vera sicurezza avere un uomo come lui alla retroguardia. Le povere reclute sono sempre incerte e avanzano a casaccio, ma Heide ha veramente tutte le doti che avrebbe un commissario politico russo, riesce sempre a persuaderle a fare quel che la patria esige da loro. Le sue tasche sono zeppe di cariche di esplosivo. Julius pensa a tutto, veramente: è il prototipo del perfetto soldato. « Chiudetevi le orecchie, che faccio saltare tutto! » Collega insieme due razzi. Un'esplosione gigantesca scrolla violentemente l'intera zona. Tutte le munizioni sono saltate, la cresta della ròccia si fende, molti alberi cadono a terra, sradicati. Poi, il silenzio. Ma Heide sta ancora combinando qualcosa. « E adesso vedrete un po' tutta la merda che pioverà sulla testa dei nostri cari vicini laggiù. È una mia invenzione e vedrete se non mi varrà una croce di ferro. » Attacca un cordone sotto la batteria di un lanciafiamme, innesta il contatto dei mortai a messa a fuoco elettrica che scaricano a getto continuo le granate, poi tutto salta in aria e uno spesso strato di olio infiammato cola lungo il pendio. « Ma guarda! » fa Porta stupefatto. « Questo è veramente uno stupendo mazzo di fiori finale. »
149 « Eh, che cosa ne pensi, allora? » chiede Heide tutto fiero. « Quelli lì sotto devono assaggiarne un po', non ti pare? » « Ti faranno a pezzi vivo se ti beccano. » « Tu scherzi! Mi nomineranno ufficiale con una stella rossa sull'elmetto e una sul culo. » « Non si può mai dire, tutto è possibile in effetti nella vita militare, ma filiamo via prima che quelle scimmie gialle si sveglino del tutto. » Inciampo in un filo di ferro e ricomincio a ruzzolare finendo addosso a un pino. L'urto è violento e svengo. Ho perduto l'elmetto che rotola lontano, verso la fine del pendio, di roccia in roccia. Porta mi rialza la testa e avvicina la fiaschetta alle mie labbra sanguinanti. Questa volta mi sento folle di terrore, e la paura al fronte si cura solo a base di schiaffi, di cui Fratellino si incarica di riempirmi la faccia con molta esemplare buona voglia. Gregor mi butta un fucile russo e tutti saltiamo di roccia in roccia in mezzo alle granate e alle esplosioni. « Avanti! » grida il Vecchio a tutti quelli che si sentono stremati e quasi fatalmente si abbandonerebbero al destino. Finalmente la vaile! Ci buttiamo a testa bassa in una gola molto stretta, e eccoci dentro una palude la cui melma ci si incolla fino alle anche. Alcuni che non hanno la nostra lunga esperienza scompaiono nell'abisso senza fondo. Terminata la palude, ecco un campo di grano: riposo per un breve istante. Davanti a noi vediamo un villaggio che sta bruciando, alle nostre spalle sentiamo colpi d'arma da fuoco. Gli yak forse credono che noi siamo ancora annidati sulla cima della montagna. Mi getto per terra, col cuore che mi batte all'impazzata; il tascapane pieno di munizioni mi pesa e mi butta in avanti, le cinghie mi tagliano la carne, la pistola che porto sulla
150 pelle nuda mi ha provocato una larga piaga. Mi asciugo il sudore sul viso, ma col sudore c'è anche del sangue! Eppure non sento dolore. « Sono ferito », dico al Vecchio. « Non è mica vero. Su, andiamo, e più presto che possiamo! Non ci sono dottori qui dagli yak. Ammazzali se vuoi allungarti la vita, te lo dico io. » Al limite delle forze, mi fermo vicino al Vecchio, le spighe mosse dal vento mi sferzano il viso, butto via il tascapane con le munizioni che non ho più la forza di portare, ma un violento pugno sulla nuca mi fa sussultare. « Raccattalo subito, cretino! » « Non ne posso più. Andatevene pure senza di me. Non ce la faccio, possono torturarmi quanto vogliono ma io me ne fotto di tutto e di tutti. » Gregor mi obbliga a rialzarmi con un calcio e mi colpisce al viso. « Avanti! » grida il colonnello, anch'egli col viso sanguinante. « Avanti! » « Indietro, vuoi dire », sghignazza Porta. « C'era una volta un'armata di Adolf Hitler che avanzava... ma è successo tanto tempo fa. » Fratellino mi tende una fiaschetta pesante e colma, la prima sorsata è talmente bruciante che tossisco tanto da soffocare. « Che cos'è questa dannata porcheria? » « Tu fregatene di che cosa sia, ma intanto con questa roba qui in corpo riesci a credere anche nella vittoria. » Finalmente un bosco, nel quale ci lasciamo cadere per terra sfiniti, tra gli alberi e in mezzo ai cespugli. Viene il mattino. Che Dio sia benedetto per questa foresta! Sarà molto difficile per il nemico riuscire a scovarci qui. Un intero esercito si può nascondere in una foresta, a saperci fare, e le foreste polacche sono interminabili e folte, sem-
151 brano senza fine. Il tenente colonnello Schmeltz si abbandona per terra, pallidissimo, una gamba è squarciata da una granata. Kuls lo fascia e Porta gli tende la fiaschetta. « Bevete, colonnello, questo rida fede nella vittoria. Se poi se ne beve un po' di più si arriva anche a far credere a un gatto di strada che è una volpe argentata. » « Io ne ho abbastanza di rettificare le linee », urla Fratellino. « Mi sento come se un caprone mi avesse preso a calci nelle gambe, non ne posso più. » « Va' da Ivan, se preferisci », gli consiglia Gregor. « Grazie, ma la vita mi è ancora abbastanza cara, anche se per il momento non si presenta molto allegra. Poi si dice sempre che dopo la pioggia viene il sole. » In effetti è così, Porta si toglie di tasca il flauto e noi ci mettiamo a cantare in coro. Non è che la sensazione di gioia di sentirci, per una volta ancora, in vita.
152 « Dobbiamo giurare a noi stessi di non voler mai risparmiare sangue umano, sia nostro o del nemico, se la nazione lo esige. » Articolo di Himmler sul Volkischer Beobachter 17 gennaio 1940
Pelagja Sacharovna, capitano della NKVD e ufficiale di collegamento presso i partigiani polacchi di Lublino, aveva già da sedici ore consecutive sopportato le pesantissime torture inflittele nella sede delle SS e, prima ancora, nell'ufficio privato del Brigadenführer Dirlewanger. Fu solo quando la distesero sopra una caldaia rovente che la sua resistenza cedette. « Vi confesserò tutto! » urlò la donna, al limite delle sofferenze. E svenne. Fu brutalmente innaffiata da un getto di acqua gelata perché rinvenisse. Ma le scottature erano un fuoco vivo che la faceva urlare di dolore. Prima di consegnarla a quei carnefici, Dirlewanger aveva costretto la bella giovane polacca a fare all'amore con lui, ma ora della splendida donna, commissario politico, così sicura di sé e così ferma di carattere, non rimaneva che della carne sanguinante, un essere irriconoscibile che desiderava soltanto morire. In frasi brevi e smozzicate, balbettando, come in preda a delirio, confessò i nascondigli dove si trovavano i partigiani, i luoghi dov'erano stati piazzati i campi minati e i sistemi di sicurezza; rivelò i nomi degli uomini che avrebbero portato gli sgherri di Dirlewanger attraverso il fiume e le paludi. Quando la donna ebbe confessato tutto, uno dei presenti le andò alle spalle e le sparò un colpo alla nuca.
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IL POLACCO La pioggia riprende a cadere fitta, tutto è fradicio, i bussolotti per i dadi si riempiono d'acqua, i piedi affondano nel terreno molle e saturo d'acqua. Sono già più di trenta ore che siamo nella foresta, quando finalmente, verso mezzogiorno, il sole si degna di apparire e le nubi spesse e cupe si schiariscono un poco. Al limite delle forze, ci installiamo come possiamo nella palude. Porta è costretto a torcere come un panno gli stivali per svuotarli il più possibile dell'acqua, Heide invece si toglie di tasca le spazzole e si mette con ingegno a lucidare i suoi; mancano tre dei trenta chiodi regolamentari su uno dei due, ma naturalmente Julius ne ha una piccola scatola di riserva. Inutile dire che la cosa ci infastidisce al massimo grado, ma non c'è niente da fare, è sempre cosi. E per concludere, eccolo che ispeziona a uno a uno tutti i bottoni della sua uniforme. Si alza in piedi e ordina ai suoi subalterni una meticolosa revisione di tutti i particolari dell'equipaggiamento. Ovviamente, qual è quel soldato che dopo una bufera simile può essere equipaggiato in modo impeccabile? Ecco dunque il solito lungo sproloquio di improperi e di minacce gravi, con la sua voce tonante che rimbomba in tutta la foresta grondante d'acqua. Ma noi, ce ne fottiamo completamente! Il cacciatore di carri Abt, che da civile era professore a Dusseldorf, è stato ferito da una pallottola sopra il ginocchio e disteso supino sull'erba geme come se avesse perduto una gamba. « Nessuno ha un po' di morfina? » « Ti daremo un bel calcio nel culo, se vuoi, è tutto quel che possiamo fare per te », grugnisce Porta con disprezzo. « Mi piacerebbe proprio di sapere quanti studenti sei riuscito a persuadere, perché si arruolassero volontari. Eroi
154 tedeschi, riunitevi sotto la bandiera, la patria vi attende. Era così, eh, professore? Dovresti fare un turno nel gruppo agli ordini di Heide, allora si che arriveresti a odiarla, la patria. » « Sono venuti a cercarti o sei partito volontario? » gli chiede Fratellino, con la bocca piena di salsiccia. « Sono stato richiamato, camerata », risponde con esitazione il professore. « Non sono un tuo camerata, sono il tuo caporale e quindi un tuo superiore. » « Ma io sono ferito grave », geme l'ex professore, presidente del Comitato di tiro al piattello e portabandiera della sua piccola provincia. La sofferenza rende forte il carattere, lui insegnava agli allievi, quando un eccesso di sforzo nello sport li fiaccava. Il popolo tedesco non si lamenta mai, lasciamo queste debolezze ai bastardi sottosviluppati dell'est. Le lagrime poi avevano come conseguenza un paio di schiaffi, o i dieci colpi di frusta permessi in tutte le scuole tedesche. È così che si alleva la carne da cannone. « Signor colonnello », dice Fratellino rivolgendosi al nostro capo, « il cacciatore di carri Abt suggerisce che sarebbe opportuno arrenderci. Non riusciremo mai a passare il fiume. Se ci arrendiamo, lui afferma e sostiene che saremo trattati bene. » Prima che il colonnello abbia potuto aprir bocca, il Vecchio afferra Abt per il petto e lo butta addosso a Fratellino. « Cacciatore di carri Abt, avete dimenticato chi è il vostro capogruppo qui? Sono io, e tutti i reclami passano prima attraverso me. Caporale Creutzfeldt, da questo momento il cacciatore Abt è ai tuoi ordini, puoi farne quel che vuoi. Se è riluttante, liquidalo sul posto. » « Con piacere. Non ho ancora ammazzato nessun profes-
155 sore. Ascoltami bene, merdoso, ti conficco un chiodo nella carcassa se ti passano per la testa delle idee non regolamentari, chiaro? Mettiti il treppiede della mitragliatrice sulla schiena e guai a te se te lo togli senza il mio permesso. Potrai dormire sul ventre come i tuoi fratelli di latte, i maiali. » Camminiamo in colonna per uno, Heide propone di intonare un coro, cosa che è una delle tante idiozie regolamentari nell'esercito tedesco. Porta, infuriato, gli butta in faccia dello sterco di cinghiale trovato per terra. Improvvisamente il Vecchio si ferma, l'orecchio teso. La foresta si dirada e udiamo dei cani abbaiare. Un villaggio non deve essere molto lontano, evidentemente. « Cani da caccia! » bisbiglia il postino atterrito. « Magari ci danno la caccia come se fossimo selvaggina. » « È proprio quello che siamo », commenta Porta, ridendo e insieme installando pronto la mitragliatrice. « Perlomeno agli occhi di Ivan. » Attraverso i fusti degli alberi, già intravediamo le case del villaggio. Vi sono parcheggiate quattro grandi macchine americane; dappertutto uomini in uniforme verde, i terribili aguzzini della NKVD, i cacciatori di uomini, le SS di Stalin. Un ufficiale, che ha larghe spalline fregiate in verde più brillante, li sollecita a sbrigarsi. Nella mano sinistra tiene una grande nagaica; gli istruttori dei cani sono in testa, i loro allievi sono grandi animali dal pelo grigio marrone, di una razza siberiana che non conosciamo, ma che ricordano i nostri cani pastori. « Perché poi tanto casino per pochi prussiani che si cagano addosso? » fa Gregor. « Se ci garantissero tre pasti al giorno, un buon letto e il ritorno a casa ventiquattr'ore dopo che Adolf è crepato, ci faremmo avanti come volontari, e cantando anche. Ma è solo un colpo alla nuca che ci aspetta, invece. »
156 « Eh sì, purtroppo! E pensare che cambierei seduta stante la divisa di Adolf con quella di Stalin, se mi togliessero da questa merda! » « Porta, tu rimani qui, vicino alla mia destra », ordina il Vecchio, teso. « Gregor, tu portati sull'ala sinistra. Tutti in posizione di tiro dietro le querce, ma che nessuno incominci a sparare prima del mio ordine. » « Ecco un bel combattimento di cani », commenta Porta, togliendo la sicura al suo fucile. « D'altra parte io adoro quelle maledette bestie, se solo non vengono a mordermi il culo, ma tutto mi dice che sono diventati demoni comunisti anche loro. Devono sicuramente inghiottire un esemplare degli scritti di Marx tutte le mattine insieme alla sbobba per mantenersi salda la fede. » Fratellino prepara i suoi nastri di pallottole da mitraglia e si lecca le labbra con aria golosa. « Adesso spedisco questi cagnacci bolscevichi al loro paradiso, prima ancora che abbiano avuto il tempo di pisciare! » Il tenente colonnello Schmeltz si mette in ginocchio, impugna il fucile mitragliatore con le mani umidicce e, suo malgrado, malferme; quest'uomo anziano e atterrito tenta disperatamente di comportarsi come un vero ufficiale. Il Vecchio, appoggiato a un albero con Barcelona, lo guarda con un misto di disprezzo e compassione. Perfino l'elmetto si è messo a rovescio! « Che stramba idea aver fatto di questo coso un ufficiale! » mormora Barcelona. « Eh sì », replica il Vecchio, « non riuscirebbe nemmeno a fare il portainsegna nella banda domenicale dell'Esercito della Salvezza. » Fratellino, seduto sull'erba umida, si esercita tranquillamente a gettare i dadi, con gesti sempre più sicuri. Heide pulisce una volta di più il suo mg, anche se il fucile
157 mitragliatore brilla come fosse ancora nuovo fiammante. Gregor, l'esperto dei traslochi, spiega a Lenzing come era riuscito anni prima a trasportare dal quinto piano attraverso una scala di servizio, e a chiocciola per di più, un immenso piano a coda che arrivò al pianterreno senza aver subito il minimo graffio, e senza averne lasciati sui muri. Ma anche come era riuscito a « sistemare », un sabato sera di una notte molto buia, uno svedese decisamente molto insolente che usciva da un bordello. Il cacciatore Abt si lamenta del suo ginocchio che diventa sempre più violaceo e si gonfia a vista d'occhio. Porta propone di catturare un maiale castrato e di costringerlo a pisciare sulla ferita; secondo lui è la sola cosa da fare, sempre che uno non preferisca farsi amputare la gamba. « Capitoliamo! » geme Abt, per l'ennesima volta. « Ah! Ma tu hai proprio una fifa nera dei cani di Stalin! Aspetta un momento di vederti arrivare davanti gli yak, che si tengono le pallottole di ricambio in bocca e i nagan nelle mutande, e perderai subito la tua fede nella Santa Russia, te lo dico io. » Il legionario, col binocolo puntato, segnala la distanza agli mg. Lentamente la compagnia nemica attraversa il bellissimo campo punteggiato di fiori color smeraldo, sotto lo guardo sonnolento e distratto delle mucche al pascolo. Che cosa vengono a fare questi imbecilli di uomini sul loro prato? Dal momento che non mangiano erba, che cosa se ne fanno di questo bel trifoglio? Gli aguzzini della NKVD avanzano con la baionetta in canna; i cani, che hanno fiutato la nostra presenza, tendono i massicci guinzagli di maglia d'acciaio, impazienti di partire all'attacco. Un ufficiale, molto alto e massiccio, cammina in testa con la nagaica in pugno. « Quello lì, è mio », dice Porta. « Sta' un po' a vedere come gli faccio saltar via la testa. »
158 « Il 1° e il 2° gruppo, di copertura », comanda Schmeltz, cui il terrore ha messo coraggio. « Il resto della compagnia in colonna dietro di me. » « Che il vostro petto accolga degnamente la morte dell'eroe », commenta Porta con enfasi, guardando la compagnia scomparire dietro il folto dei pini. « Siate certi che insegneremo ai bambini delle scuole a cantare la vostra gloria. » Il Vecchio, attraverso le lenti del periscopio, osserva attentamente i russi che avanzano. Sono a cinquecento metri circa e non avrebbero tanta voglia di farsi ancora avanti, se non si sentissero spinti dal terrore che il grosso ufficiale della NKVD incute loro. « Fuoco a duecento metri », dice il Vecchio al legionario. « Hai fatto la misurazione? » Porta, sempre affamato, apre un'ennesima scatola di conserva. « Proprio mi chiedo come fanno gli yankee a confezionare questi corned-beej. Sono proprio niente male. Mi hanno detto che la polizia del buon costume là in America cede i corpi delle puttane morte ammazzate alle fabbriche di conserve alimentari. Chissà se è vero. » « Non si può mai dire, soprattutto se si tratta degli Stati Uniti », risponde placido Gregor, reclamando la sua parte. « Io ti do del pane, dammi un po' di quella carne, va'. Puttane o no, è buona. » « Eccoli! » bisbiglia Barcelona. « Un vero tiro alle quaglie. » Poi aggiunge rivolto a me: « Le uova sono pronte, Sven? Lanciale, ma solo dopo la seconda salva ». Gli istruttori dei cani si chinano in avanti per aprire i lucchetti che tengono agganciati i pesanti guinzagli. Porta sorride, guarda il campo verde e scrolla le spalle. « Fuoco! » ordina il Vecchio. I quattro mg crepitano insieme.
159 L'ufficiale della NKVD fa una strana capriola, grida, poi piomba disteso, immobile. Io striscio un poco in avanti e più in basso, dietro una piccola scarpata. Un istante di pausa, durante il quale vediamo ondeggiare la colonna che avanza, quando sentiamo rimbombare un colpo d'arma da fuoco, proprio alle sue spalle. È un piccolo tenente della NKVD, basso e tarchiato, che spara molto arretrato rispetto al gruppo. « Che imbecilli! » grida Fratellino. « Non si sono fatti nemmeno coprire da un vero tiro di sbarramento, che ci avrebbe innaffiato dall'alto. » « Puntare a 130 », dice il Vecchio. Tre cani fanno marcia indietro, due si afflosciano per terra, ne resta solo uno, un grande diavolo nero che arriva diretto, a gola aperta, proprio sul Vecchio. « E spara, muoviti! » gli urla Porta. Il cane colpito fa un grande balzo all'indietro e abbaia un'ultima volta prima di stramazzare a terra. Gli mg crepitano tutti insieme, e gli uomini della NKVD crollano a terra, disordinatamente; qualcuno di loro si rialza e tenta di fuggire, ma viene falciato da pallottole traccianti. « L'attacco è terminato », grida il Vecchio. « Indietro tutti. » Ci buttiamo i fucili in spalla, io lancio ancora qualche granata contro gli ultimi russi sopravvissuti, poi raggiungo gli altri di galoppo. « Mi chiedo che cosa succede ai cani sovietici, quando hanno reso l'anima », dice Porta, con comico interesse. « Vengono decorati nel loro paradiso », risponde Fratellino. « Mi chiedo anche che cosa succederà a guerra finita. Sono più di quattro anni che ci battiamo contro Ivan; è diventato quasi un amore. Io credo che dovremmo allearci, non potremo più vivere uno lontano dall'altro, è inutile. Tu
160 che cosa ne pensi, Julius? Ti ci vedi con una stella rossa sul cranio? » « Io mi limito a fare quel che mi viene comandato, e lascio che il Führer pensi al posto mio. » « Sì, lo sappiamo tutti da un bel po' di tempo. Sono idee molto personali, in ogni caso. » « È una buona cosa essere in questa foresta », interviene Fratellino. « Mai piaciuto molto a Ivan mettere il naso in mezzo agli alberi. Preferisce circondarli e aspettare. In Russia, si ha talmente tanto tempo, forse è per questo che nessuno è mai riuscito ancora a mettergli le mani addosso. » Poco prima del tramonto, ritroviamo la compagnia e il colonnello per un pelo non abbraccia per la gioia il Vecchio. « Dio sia benedetto, ce l'avete fatta! Ascoltate, ho un'idea: se ci impadronissimo di qualche uniforme russa? Altrimenti non vedo come potremmo attraversare il fiume. » « Geniale! » commenta quel clown di Porta e afferra il telefono. « Telefonista, passatemi subito il Cremlino. Ci occorrono seduta stante una dozzina di uniformi, per poter attraversare un fiume polacco... » « Basta, Porta. La guerra non è certo quello che tu credi. » « No, è molto peggio. Ma la sensazione della realtà delle cose ho l'impressione che forse stia entrando anche nella testa del signor colonnello. » Il colonnello Schmeltz si asciuga la fronte col fazzoletto e si toglie l'elmetto. Il pover'uomo è invecchiato di vent'anni, in questi ultimi tre giorni. « Uniformi comuniste », mormora come fra sé Barcelona. « Non sarebbe mica poi tanto stupida come idea. Basterebbe semplicemente abbrancare un po' di Ivan. Porta, tu che sai il russo, attacchiamo una sezione, la svestiamo e
161 il gioco è fatto. Con il dono che hai tu di fare baratti con tutti, forse riusciamo anche a avere la fortuna di cascare su dei guastatori che ci fabbricano un bel ponte. » « Allora ho bisogno dell'uniforme di un colonnello, almeno. Sempre avuto la voglia di essere un colonnello, io. I generali, quelli mi rompono i coglioni, ma i colonnelli... è inutile, mi sono sempre piaciuti. » «Santa Madre di Kazan'! » dice Fratellino che finalmente ha capito. « Avanti, cappello in testa! Forse possiamo anche marciare fino a Berlino a braccetto con i sovietici, e di là farci rispedire a casa. Ehi, mica cattiva del tutto la mia idea, no? » « Beier, francamente i vostri uomini mi fonno venir la pelle d'oca. Compagnia in colonna pei uno, dietro di me. » La foresta si fa più fitta, così come le nuvole di zanzare. Dio santo, è un vero martirio! « Questi maiali volanti sono peggio dei partigiani », commenta Fratellino che è il solo a non portare la garza zanzariera sul viso. Sostiene che gli fa venire il mal di fegato il solo vedersela davanti agli occhi. Gli ìicorda la cella di Torgau. Dopo il bosco di pini, entriamo in una folta e scura foresta di faggi che odora di muschio umido... « Alt! » comanda il Vecchio, alzando una mano. Fratellino si ferma, anche lui teso. « Non è il momento di fare una sosta », bisbiglia. « Ti avverto che, per me, anche Ivan è nel bosco. » Nessuno di noi lo dubita, il suo orecchio è infallibile. « Filiamo! » sbotta il sottufficiale Kuls che adesso porta ben due bracciali della Croce Rossa, uno per braccio. Pensa che questa sia una specie di forma di sicurezza contro i russi, l'ingenuo. « Non preoccupartene, che poi te ne daremo un paio supplementare », gli dice secco Fratellino, tagliandoglieli
162 netti con la baionetta. « E intanto per favore, non romperci i coglioni, imbecille! » Il Vecchio salta in mezzo a un grosso mucchio di foglie e vi si ficca dentro fino ai fianchi. « Sotterratevi tutti meglio che potete, e subito! » « Sei matto? Non siamo mica delle patate che si devono mettere a ibernare! » « Basta, ho detto. Fate quel che vi ho detto, se volete evitare una pallottola nella nuca. » Imprecando contro di lui, ci cacciamo sotto mucchi di rami e foglie fradice d'acqua che formicolano di insetti odiosi. « Presto, presto!. E senza rumore. Julius, controlla tutto, poi seppellisciti per ultimo. » « Credete veramente che sia la soluzione giusta? » chiede il colonnello, con aria perplessa. « Avete un'idea migliore? C'è un intero reggimento della NKVD alle nostre calcagna. Quei cacciatori d'uomini non portano a casa che dei cadaveri, sappiatelo. » Mi sono sotterrato almeno a un metro dal suolo. Mi sento soffocare nonostante che abbia lasciato una bocca d'aria seminascosta; mi prende la disperazione, è spaventosa la sensazione di non poter respirare. Il cuore batte all'impazzata, le arterie si gonfiano, la testa mi brucia come fosse fuoco, le formiche mi camminano sul viso, mordo il calcio della pistola cercando di pensare a altro, il calore è intollerabile... mi sembra di essere in un bagno di vapore surriscaldato. Gli yak sono molto vicini, ora... un'arma automatica crepita come a caso. Mi duole la vescica, sembra quasi che scoppi e mi piscio nelle mutande, ma che altro potrei fare? « Njet germanski! Job twojemadj Piotr. » I rami secchi scricchiolano sotto le loro suole, si gridano allegramente delle oscenità.
163 Un po' d'aria! Aria! Apro la bocca come fossi un pesce fuor d'acqua. Non ce la farei molto più a lungo ancora. Irene, sì, mi sforzo per distrarmi di pensare a Irene. Che cosa starà facendo in questo momento? L'avevo attesa una notte molto buia, all'angolo del municipio, a Brema. I passi dei gendarmi risuonavano nella notte. Camminavano a due per due, il coprifuoco era già suonato da più di un'ora. Tenevo stretta la mia pistola nella tasca, ben deciso a servirmene, se fossi stato scoperto. Volevo disperatamente Irene, era l'ultima sera. Il giorno dopo saremmo partiti per il fronte. E quasi sicuramente per il fronte dell'est, dal quale ben difficilmente si ritorna. Dovevo fare all'amore con lei quella notte. Finalmente sentii il rumore secco dei suoi tacchi alti; era lì, come promesso. Ma l'albergatore della piazza aveva fatto un casino del diavolo per darci una camera. Lui certo non era quasi ammalato dal desiderio d'amore come me, non partiva per il fronte il giorno dopo. Ma Irene era una ragazza in gamba, e aveva ottenuto addirittura di poter usare il letto dell'albergatore, dove neanche i gendarmi avrebbero potuto entrare e trovarci. Che notte! Una notte di delizie. Ma dove era Irene, ora? Probabilmente andava a letto con un altro soldato della scuola di artiglieria. Sento scricchiolare dei rami... sento delle risate. Siamo stati scoperti, forse? Dio, cosa possono prudere le ortiche anche appassite e fradice d'acqua! Non l'avrei mai immaginato. Quel poco di pelle nuda che ho a contatto con il fogliame è come un'ampolla piena di fuoco e tutto il mio corpo arde. « Job twojemadj. » Un'arma automatica crepita. I crampi mi rendono folle perché la mano sinistra è malsistemata e d'altra parte non oso fare il minimo movimento. Se gli yak ci scoprissero, che Dio abbia pietà di noi! Danno dei calci al fogliame, ri-
164 dono a gola spiegata... in effetti, è abbastanza divertente, almeno per loro, questa passeggiata. « Ruski veks Stoi! » Frasi allegre che provocano grandi risate. In lontananza, ancora armi automatiche che crepitano come a caso; devono sparare su qualsiasi cosa si muova, un corvo, un topo, oppure anche una foglia. C'è qualcuno seduto sopra di me, si direbbe. Che vadano a farsi fottere! Non sarebbe forse meglio saltare fuori all'improvviso e scaricar loro sul viso tutto il caricatore? Quei maledetti sguazzano sui nostri mucchi di fogliame, gridano e ridono, e si comportano come ragazzi in vacanza. Uno scarpone chiodato mi schiaccia una mano, un dolore acutissimo mi arriva fino alla spalla. Le scarpe di Stalin non hanno nulla da invidiare a quelle di Hitler, evidentemente... Poi, lentamente, il rumore si attenua e le voci si allontanano. Porta è il primo a uscire dal suo letto di foglie. « Santa Maria di Kazan'! Mi sembrava di essere tornato ai tempi della scuola, quando ci si rinchiudeva nei cessi per fumare una sigaretta. In ogni caso questa specie di gioco alla guerra con Ivan è stato abbastanza divertente! » « Io per poco non ho gridato ' fuochino ' e ' fuoco ', quando ho sentito che un rosso mi si sedeva vicinissimo e quasi mi schiacciava la testa! » Il Vecchio ride con sollievo, e la sua ilarità è contagiosa; alla fine siamo tutti di buon umore, e riprendiamo la marcia. « Perdio, ho una fame tale che capisco benissimo lo stato d'animo dei cannibali », dice Porta. E si mette a parlare, per l'ennesima volta, del suo piatto preferito: purè di patate con i lardelli fritti. « Oh, basta! » dice il Vecchio, che spregia questo tipo di
165 conversazione. « Stare a sentirti fa venire il mal di ventre, credimi. » Scende la sera. Si decide di fare una sosta, l'ex professore ha il primo turno di guardia. È livido di paura, gli alberi così scuri sembrano altrettanti yak in agguato. Il minimo rumore fatto da animali di passaggio lo atterrisce, e sogna... sogna e pensa con sempre maggiore ostinazione a disertare. Con molta cautela, perché nessuno se ne accorga, ecco che si toglie di tasca un messaggio buttato da un aereo nemico, e lo rilegge per l'ennesima volta. Permesso di passaggio Questo permesso dà diritto di passo a qualsiasi membro dell'esercito tedesco che desideri venire a far parte dell'armata rossa. Il latore del presente documento verrà trattato con assoluta correttezza. Gli è garantito equipaggiamento, vitto, e cure. MS Malinin, generale di divisione K.K. Rokossovskij, generale di corpo d'armata Abt si taglia una fetta di pane e la divora, cercando tuttavia di masticarla il più lentamente possibile. Si massaggia il ginocchio ferito e a passi furtivi si avvia verso il margine del bosco. Poi eccolo che corre, dimenticandosi totalmente del ginocchio dolente. Butta via la rivoltella, le bombe a mano, il cinturone regolamentare della divisa e le cartucciere piene. La sola cosa che conserva è il cappotto che tiene attorcigliato alla vita. Avvicinandosi al villaggio occupato dai russi, butta via anche l'elmetto di acciaio. Ora tutti possono vedere che Abt è un soldato totalmente disarmato. Sventolando un fazzoletto sporco, avanza vacillando sul prato verde e fiori-
166 to. « Compagni! Non sparate, sono un disertore. Ecco qui l'autorizzazione dei vostri generali. » I due siberiani che l'avevano già scorto da lontano, lo contemplano con lo sguardo glaciale dei loro occhi sottili. « Non sparate, non sparate! Sono un antinazista! Non sparate... ecco il permesso del generale Rokossovskij. Viva l'armata rossa! » Una MPI crepita. Il professore ha ancora il tempo di vedere l'arma puntata su di lui e le ombre scure di due soldati che corrono. Cade in avanti, urla... le sue grida di dolore, altissime, vengono udite di lontano, poi tace, una baionetta gli è stata conficcata nell'anca e il calcio di due fucili gli dilania il viso; viene fatto a pezzi e poi calpestato senza pietà e di lui non resta che una massa confusa e sanguinante. Poi i due soldati tornano dal loro capo, e lo informano tranquillamente che in Polonia c'è un tedesco di meno. Il commissario non risponde nemmeno a questa segnalazione del tutto banale, in compenso urla a tutti l'ordine preciso e assoluto di passare per le armi qualsiasi uomo appaia in vista. « All'erta! » grida Barcelona. « Il professore se l'è filata. » « Partiamo immediatamente », ordina Schmeltz. « Filiamo prima che ci arrivino addosso quelli che quel disgraziato ha messo in allarme. » « Che cretino! Disertare proprio per finire in mano agli yak! Bisogna decisamente essere folli. Mi auguro che abbia avuto quel che si meritava. » « Non c'è da dubitarne. » Eccoci di nuovo a fuggire nella foresta, una fuga precipitosa che dura tutta la notte. Scivoliamo lungo ripidi pendii, ci graffiamo e strappiamo tutta l'uniforme rasentando, cespugli pieni di spine, ci facciamo strada in mezzo a pini neri e fitti, e nel pomeriggio arriviamo a una radura, attraver-
167 sata da una strada in curva. Truppe in marcia la percorrono, dirette verso ovest. Sono combattenti, russi ovviamente. Ci nascondiamo nell'erba alta, aspettiamo ancora, aspettiamo fino a sera per poter tentare di passare, tentiamo isolatamente per non destare attenzione. Porta parte per primo, si mescola a un gruppo di fanti ili marcia, poi sgattaiola via. Lo seguono Gregor e Fratellino, e nell'intervallo di mezz'ora, tutta la compagnia è passata dall'altra parte. Io tremo di paura e evito di una sola giustezza di essere preso sotto un cavallo dell'artiglieria pesante. « Job twojemadj! » urla un soldato, colpendomi con la sua nagaica. Il russo si torce dalle risate e sferza i cavalli che mi inzaccherano dalla testa ai piedi di fango, misto a melma appiccicosa. Che il diavolo se lo porti! Sono talmente furioso che a stento mi trattengo dallo sparargli in viso. Ecco ora arrivare colonne di soldati di fanteria, seguite nientemeno che da un T34 che accende i suoi fortissimi riflettori. Che fortuna! Un fascio di luce mi passa proprio sopra la testa, ma il carro prosegue lungo un pantano che lo fa oscillare, e io sono salvo! Vedo il comandante per metà fuori della torretta, vestito di cuoio; rotolo nel fossato e altri carri mi superano, schizzando con i cingoli acqua e fango dappertutto. Tutto avviene con precipitazione, con la precipitazione di inseguire un nemico che fugge, e questo nemico è l'esercito tedesco. Un'altra foresta, questa volta di faggi. Tendendo l'orecchio, questa volta si può sentire il rumore del fiume che scorre non lontano, e poi, il giorno dopo, arriviamo al margine terminale del bosco. Imbocchiamo un sentiero pietroso limitato da rocce aguzze, e qui Porta e Fratellino marciano avanti per primi, come fossero due cani da caccia, di tanto in tanto li sentiamo scoppiare in risate allegre. Que-
168 sti uomini sembra non abbiano un sistema nervoso. Fortunati amici! D'improvviso, li vediamo arrestarsi sul posto. Tutti ci buttiamo per terra, imbracciamo le armi pronti a sparare, e avanziamo carponi come sioux. Davanti a noi vediamo una fattoria, e poco più in basso, presso il fiume, un edifìcio in rovina, ancora in preda alle fiamme. Senza dubbio la casa del contadino. Relitti di un ponte saltato in aria escono dall'acqua, i loro monconi puntano verso il cielo, minacciosi e come premonitori. Il Vecchio estrae il binocolo e esamina attentamente tutto. « Occupata. Dalla cavalleria russa. » È vero, a occhio nudo possiamo vederli che si danno da fare intorno alla casa. Sono cosacchi senza alcun dubbio, li riconosciamo dalle sciabole di forma così particolare, che portano al fianco. E improvvisamente, dal sentiero vediamo comparirci davanti un uomo, proprio a qualche metro... Fratellino gli punta l'arma sul petto, poi gli salta sopra, come una pantera. « Non gridare, se non vuoi rimanere secco! » L'uomo ruota intorno occhi atterriti. Non è armato. Lo rimettiamo in piedi e il Vecchio si incarica di cercare di calmarlo. « Io, amico », gli spiega il poveretto facendo ampi gesti, il più possibile esplicativi. « Nix comunista. Ponjemajo (capito)? » « Ponjemajo benissimo », sghignazza Porta. « Ma guarda un po' che strano! Non se ne incontra neanche uno di comunista, anche se hanno la stella rossa sulla fronte. Una volta ne ho incontrato uno che addirittura giurava su Dio che adorava le SS. Ciò non tolse che sia morto, le SS ne hanno fatto un bel pezzo di sapone. Come ti chiami tu, russkì? » « Nix russki, polka! Ladislas Mnacko. La fattoria laggiù è
169 mia. Ho disertato dalla legione russopolacca, ci trattavano peggio dei cani. » « Da dove vieni? » gli chiede il Vecchio. « Dall'est, pan sergente. Mia moglie è ancora nella fattoria, e loro hanno ucciso mio padre che era il guardiano del ponte, e poi gli hanno incendiato la casa. » « Fallo fuori », suggerisce Kuls. « Non bisogna mai credere a un polacco. » Estrae dalla tasca il coltello da trincea. « Affidala pure a me questa canaglia. » «Basta!» grida il colonnello. «Sono io che comando qui. » Kuls ripone, protestando a bassa voce, il coltellino nella tasca, Porta tende la fiaschetta al polacco. L'uomo beve due lunghe sorsate. « Vi avevo preso per russi. Dio sia ringraziato che siete tedeschi! » « Mi auguro che la tua felicità duri almeno ancora un po'. Non hai sentito quel che ha dichiarato la Croce Rossa? » « Conosci il fiume? » interrompe il Vecchio. « Riusciresti a farcelo attraversare? » « Tak jest (sì). Ma prima mi darete una mano. » « Certo. Andiamo a prendere tua moglie e poi gettiamo fuori di casa tua quei maledetti. ». Sentiamo benissimo le grida e le risate dei russi evidentemente tutti ubriachi. Ballano intorno a un falò acceso nel mezzo del cortile, bevono e ballano, e uno di loro cade addirittura nel fuoco e non riesce a alzarsi, ma i suoi compagni non fanno un solo gesto per aiutarlo, è tutto così divertente per loro! « Ivan è proprio sbronzo marcio », commenta Fratellino. « Cerchiamo di arrivare prima che quelle botti di russi abbiano fatto fuori tutta la vodka. Che ne resti un po' per noi, almeno. » « Buon Dio, ma c'è un bue intero sulla brace! » aggiunge Porta che non abbandona il binocolo per un solo secondo.
170 « Uno splendido arrosto ci aspetta, ragazzi, una vera benedizione! Speriamo che pensino a innaffiarlo ogni tanto di sugo e di cognac, non mi piace l'arrosto troppo asciutto. Guai a loro se lo bruciano! » « Andiamo », ordina il Vecchio. « Barcelona e Litevka ci coprono con i loro 42. Fratellino e Kuls, dirigetevi sul fronte dell'edificio insieme a Ladislas, ma non sparate, nel modo più assoluto. Adoperate solo coltelli e pale per difendervi e attaccare, ma non bombe all'interno della casa. C'è la famiglia, dentro, che non deve subire rischi. » « Io non ci vado », dice Kuls con aria cupa, mettendosi a sedere su un sasso. « Ripeti quel che hai detto, sottufficiale Kuls », grugnisce il Vecchio con aria minacciosa. « Se sei sordo, vuol dire che te lo ripeto. Non rischio la mia pelle per delle merde di polacchi. Riusciremo a attraversare il fiume anche senza il loro aiuto. » « Signor colonnello, segnalo che il sottufficiale Kuls sabota gli ordini », esclama il Vecchio, voltandosi verso il colonnello. « Rapporto ricevuto. Sottufficiale Kuls consideratevi in stato di arresto. Sottufficiale Martin, vi rendo responsabile della sua persona. » « Se tenti di tagliare la corda, ti avverto che sparo », gli dice Gregor, con gioia maligna. « Non rompetemi i coglioni! E vedete di capire, e un po' veloci anche, quel che voglio dire. Ho un fratello nel RSHA (Servizio di sicurezza del Reich) e certo non gli andrebbe molto a genio che dei soldati tedeschi buttino via il loro tempo e rischino la pelle per salvare degli sporchi polacchi. Li conosco, io, i polacchi. Segnalatemi pure, siete voi che la pagherete, e a caro prezzo. » « Ancora una parola e vi ordinerò di consegnarmi le vostre armi! » sbotta il colonnello. « Vi batterete con le sole
171 mani e solo allora crederò che non avete relazioni con il Cremlino! » Gli occhi di Kuls, cupi, riflettono tutto il suo furore. Si alza e segue Gregor, aggregato al secondo gruppo. Nei pressi della fattoria, due sentinelle seminascoste stanno bevendo insieme dalla stessa fiaschetta. Senza che abbiano il tempo di emettere un solo grido, nel silenzio più assoluto, vengono strangolate con il solito sistema del filo di ferro che Fratellino e Barcelona hanno sempre a portata di mano. « È proprio una faccenda svelta ammazzare un uomo, in fondo », commenta filosoficamente Fratellino sospingendo in disparte uno dei cadaveri. Non dimentica, naturalmente, insieme a Porta di ricuperare gli eventuali denti d'oro. Ce ne sono infatti tre. « Quanti dici che ne abbiamo già? » continua Fratellino, soppesando il sacchetto di tela. « Vi costerà la pelle, quel sacchetto, maledetti sciacalli », commenta torvo il Vecchio. « Sei matto? » gli replica Porta. « Che cosa ci ha regalato, in fondo, a noi la guerra? E poi i cadaveri non se ne fanno niente dei denti d'oro. » Si tratta ora di riuscire a raggiungere la fattoria e penetrarvi. Vediamo chiaramente ormai, illuminati dal fuoco, russi e cosacchi così ubriachi, che saltano attraverso le fiamme dandosi grossi fendenti di piatto con la sciabola e ridendo sgangheratamente. Dietro, nelle scuderie, nitriscono i cavalli. A prima vista, ci sembra che non vi siano altre sentinelle e tutti questi uomini ci sembrano scatenati e poco temibili. Piazziamo la mg di fronte alla casa. « Una festa che mi piace davvero », dice Porta. « Più si fa conoscenza con il vicino qui, più diventa simpatico, non c'è che dire. » « Sono bastardi sottosviluppati da eliminare », grida il
172 fanatico Heide. « I lacchè del semitismo internazionale. » « Che cosa stai ragliando, bestia? I russi non hanno niente a che fare con il semitismo. A Mosca vanno a caccia degli ebrei cornea Berlino. L'antisemitismo ha inizio all'est. » « Ti denuncerò per disfattismo e propaganda antipatriottica », minaccia Heide. « Mi chiedo d'altra parte a che risultato si. arriverebbe se ti facessero comparire davanti a una commissione razziale. » « Ne uscirebbero male e molto perplessi, poverini. Come lo siamo un po' tutti, sono un celebre cocktail di razze: naso spagnolo, codone francese, pigrizia belga, culo olandese, galanteria austriaca, avarizia svizzera, vanità scandinava, disciplina tedesca (beninteso), ingordigia italiana, falsità greca, senso degli affari ebreo. In altre parole, un pilastro perfetto e completo in tutti i particolari della vera Europa. » « E poi piantala, Julius », grida Fratellino, dandogli una pacca che avrebbe accoppato un bue. « Tu ci rompi i coglioni, alla fine. » Tutt'intorno a noi, la notte sembra colma di minacce. Sentiamo le grida dei cosacchi ubriachi che, uno dopo l'altro, crollano a terra senza conoscenza. Una vera festa degna dei cosacchi. Un uccello stride nella foresta, una volpe risponde col suo richiamo, tutti i rumori ci sembrano sospetti. « Siete pronti per l'a corpo a corpo? » bisbiglia il Vecchio. In silenzio sfiliamo le nostre temibili pale da fanteria dalle loro custodie di cuoio, in un batter d'occhio eccoci mutati in robot apportatori solo di morte. « Avanti! » I cavalli dei cosacchi scalpitano, inquieti. Sono cavalli addestrati alla guerra, il cui istinto è sempre all'erta. Io tremo tutto dall'inquietudine per quello che mi aspet-
173 ta. Fra qualche secondo ucciderò un uomo a colpi di pala, e sarà solo questione di morte, mia o sua. Il mestiere della guerra è questo. Arriva già fino a noi un forte odore di stalla. «Vieni, dolce morte, vieni! » canta il legionario, il cui lanciafiamme è già pronto a scattare. Il focolare dell'enorme arrosto di bue si sta spegnendo dolcemente, ma la carne di cui Fratellino assaggia un pezzo, tagliandolo con la pala, sembra assolutamente deliziosa e succulenta. « Veramente a punto », commenta soddisfatto. « Si sono fatti premura di completare la cottura proprio in tempo per il nostro arrivo. Se potessi avere anche un po' di sugo, mi piace tanto! Decisamente Ivan se ne intende, in fatto di cucina. » Ai piedi della scala della fattoria sono distesi cinque cosacchi che puzzano di vino e di vodka, in modo repellente; sono ubriachi fradici. « Dorogoi (cara) », sospira un sergente nel suo delirio alcoolico. « Andrà ancora meglio dopo, caro », replica Porta. « Ti castreremo, prima di partire, vecchio mio. » « Liquidalo », gli dice Fratellino. « Silenzio! » ordina il Vecchio. « Seguitemi. » Apre con molta cautela una porta che cigola sui cardini arrugginiti. Il polacco è tesissimo, pronto a balzare come un cane da caccia affamato. Distinguiamo alcune figure rannicchiate a terra nel corridoio in penombra. Qua e là grosse scarpe chiodate e bottiglie vuote dappertutto; tutti russano a più non posso. « Li ammazzo? » chiede Fratellino. « Sta' quieto un momento. Sono io che comando qui. » « Guarda che adesso facciamo anche delle smancerie a
174 questi sporchi mascalzoni! Il Reichsführer, l'ha detto lui stesso che dobbiamo liquidarli tutti. Noi tedeschi abbiamo bisogno di spazio vitale. » Ladislas indica con la mano la scala che porta al primo piano, ma due cosacchi completamente ubriachi e addormentati pesantemente, col fucile mitragliatore sul petto, impediscono il passaggio. Fratellino li strangola entrambi col filo di ferro, poi saliamo le scale, con Porta in testa. Improvvisamente sentiamo un fragore... È Fratellino che ha fatto un passo falso, è inciampato e rotola giù dalle scale portando con sé, nel tentativo di tenersi saldo, metà della balaustrata di legno. Si rialza, in uno specchio vede riflessa la sua immagine, ma non si riconosce. « Il semitismo internazionale! » urla, sparando sullo specchio che va in mille pezzi e i cui frammenti gli cascano addosso. « Uno di meno! » grida ancora, asciugandosi il sangue. « Quegli sporchi farabutti, li troviamo proprio dappertutto! » Un cosacco mezzo incosciente sussulta atterrito, ma prima che abbia il tempo di aprire la bocca, viene sgozzato da Heide. « Come culo, non c'è nessuno meglio di te », dice Porta a Fratellino. « Ti avevo pur detto di aspettare a bere l'ultimo bicchiere. » « Si avrà pure il diritto di sbagliare un gradino, una volta tanto, no? » Silenziosamente ora tutto il gruppo sale le scale. Da dietro una porta sentiamo venire un pesante rumore, ritmato, come di chi russa. Ladislas entra per primo, con molta precauzione. Nel mezzo della stanza, sopra un letto immenso giace disteso il maggiore russo, senza pantaloni ma con il nagan a portata di mano. È completamente calvo e assomiglia a Taras Bulba. Ai piedi del letto matrimoniale, una donna semisvestita è abbandonata per terra. Il legionario
175 alza la sua P38 e punta la canna direttamente sulla fronte del maggiore incosciente, ma Fratellino lo ricaccia indietro e si toglie di tasca il suo filo di ferro. Un brevissimo rantolo. È finita per il maggiore. « Ha potuto fare l'amore un'ultima volta prima che gli chiudessero il rubinetto», dichiara il gigante agguantando la donna addormentata. « Giù le mani », ordina il Vecchio. « Non siamo mica gente che violenta le donne, chiaro? » « Questi qui però non la pensavano come te, evidentemente », sghignazza Porta. « Ne capirai qualche cosa quando avremo capitolato. Lascia che i ragazzi si divertano, finché possono, amico! » Gregor estrae da sotto il letto un capitano ubriaco fradicio che tiene ancora stretta sul cuore una bottiglia di vodka vuota e sorride dormendo. « Apri le gambe », mormora, inghiottendo l'ultimo sorso di vodka che ancora tiene in bocca. « Porco schifoso! » bestemmia Fratellino, mentre Porta si impadronisce di un pasticcio di carne appena mordicchiato e Gregor, con un fiasco alle labbra, si distende sul letto di fianco al cadavere del maggiore. « Posto ai liberatori, sporco muzik! » Il sergente Blaske a sua volta piange lagrime amare, tipiche dell'ubriacatura triste, e delira con frasi senza senso. « Il Generalfeldmarschall Model mi ha fatto chiamare », balbetta. « Devo sostituire il capo di stato maggiore. » E noi tutti, non meno ubriachi di lui, gli diciamo addio singhiozzando. La giovane donna che giace addormentata si sveglia all'improvviso e si alza smarrita e seminuda, tentando di nascondere il seno provocante con le mani contratte. Porta la guarda con occhio concupiscente e Fratellino comincia già a mettere avanti le mani, ma il polacco si interpone, con
176 palese furore. Butta alla donna un cappotto da soldato e respinge con violenza i due soldati. « Guai.a chi tocca mia sorella », grida fuori di sé. « Quante storie! » gli replica Porta. « Nel nostro mondo socialista tutti i culi dovrebbero essere proprietà pubblica come il resto. È incredibile che ci siano ancora persone che non hanno imparato proprio niente. » Tutti si riempiono la pancia, bevono, parlano a vanvera. Porta e Fratellino coscienziosamente fanno ricerche nella loro ascendenza per accertarsi di non aver avuto per caso parenti ebrei. « Potrebbe essere utile, quando il tempo si metterà al variabile. Ma dimmi, Porta, sinceramente, come credi che finirà questa storia? » « Male. Ciò nondimeno c'è sempre qualcuno che se la cava. È tutta questione di prendere il vento giusto, e al momento giusto, naturalmente. Disgraziatamente, però, adesso è ancora troppo presto. » Il Vecchio riappare, insieme col colonnello, dopo aver fatto una breve ricognizione. « Andiamo su, dobbiamo visitare il resto dell'edificio. » Nella cantina, lo spettacolo è tragico. Il figlio di Ladislas, un fanciullo di dodici anni, è impiccato a una forca. E nel porcile troviamo la moglie; la poveretta giace, il corpo teso come un arco, assassinata da due cosacchi ubriachi che evidentemente l'avevano prima violentata. Ladislas, diventato quasi folle per la disperazione, strangola i due russi, con le sue stesse mani. Rumore d'acqua che sprizza nella scuderia: è un cosacco che piscia. Dietro di lui, a passi di lupo, arriva il legionario, con il coltello nelle mani. Il cosacco crolla a terra. Porta e Fratellino spariscono nella cantina, dove li ritroviamo a cavallo su una botte, circondati da russi senza conoscenza. «Alla vostra salute», grida Porta.
177 Beviamo direttamente dalla cannella della botte e l'allegria invade tutti quanti. « Non saluti un caporale? » chiede Porta a un cosacco che passa davanti a noi e ci guarda perplesso. Il russo si mette sull'attenti, poi piomba in avanti come un pezzo di legno. Fratellino lo addormenta del tutto col calcio del fucile; il Vecchio parla di Consiglio di guerra, quando all'improvviso un tenente russo compare nell'arco della porta, tenendo sotto il braccio il suo corto frustino. « Che cosa fate voi qui, bestioni? » « Ti spediamo da Satana, tovarisc », grida Fratellino, sparandogli a bruciapelo. « Basta, maledetti porci! » sbotta il colonnello Schmeltz. « Basta con tutta questa carneficina senza senso. » Ma ecco che nel cortile, nascosti sotto le frasche, scopriamo tre camion pieni di bidoni di benzina. Scarichiamo tutti i bidoni e innaffiamo tutto di benzina : soldati ubriachi, cadaveri, vetture parcheggiate lì intorno. Folle di disperazione, il povero Ladislas si mostra il più violento di tutti. Siamo costretti a trascinarlo via di forza, prima di buttare bombe a mano sulla fattoria, e in qualche secondo tutto prende fuoco, mentre sentiamo i gemiti strazianti dei cavalli. « Ecco la mia vendetta! » urla Ladislas. « Morite tutti in mezzo alle fiamme, sciagurati! » E lancia un'ultima bottiglia di benzina nell'enorme braciere. La compagnia si riforma, piegata sotto il peso delle forme di formaggio di capra e di carne affumicata, che accuratamente abbiamo salvato dall'incendio; bottiglie di vino e di vodka pendono da tutti i cinturoni. Alle nostre spalle, i depositi di munizioni russi saltano per aria con un boato d'inferno, siamo costretti a buttarci per terra contro le rocce per evitare di essere calpestati dai cavalli folli di terrore, che scompaiono di galoppo nella foresta.
178 « Fortunati loro », commenta Fratellino. « La guerra è finita per quelle bestie. » « Che imbecillità portare i cavalli alla guerra », commenta il colonnello. « E dire che io avevo dei cavalli da sella così belli nella mia scuderia! » « E adesso non abbiamo più niente », replica Porta. « Niente. Nemmeno noi stessi. Siamo diventati tutti proprietà di Adolf. »
179 « Voglio una gioventù tedesca violenta, coraggiosa e crudele. » Lettera di Himmler all'Hauptsturmführer Bruno Schultz, 19 agosto 1938
Non ci volle più di un'ora perché il Reichsführer Heinrich Himmler venisse informato della rivolta di Varsavia. « Questi infami, questi bruti! » urlò al colmo del furore. « Come osano provocare in questo modo l'esercito tedesco? » Fuori di sé, misurò a lunghi passi l'ufficio, si tolse e si rimise gli occhiali, e alla fine crollò pesantemente a sedere sull'angolo del grande tavolo. « Tutti gli abitanti di Varsàvia devono essere fucilati », ordinò ai suoi subalterni. « Che non venga fatto un solo prigioniero. Per quanto riguarda la città, dovrà essere rasa al suolo. » Si rimise in piedi, si avviò alla finestra e da lì contemplò la strada luccicante di pioggia. « Non ne resterà nulla, della città. E tutti i polacchi che in questo momento sono nei campi di concentramento per prigionieri di guerra devono essere liquidati. » « Naturalmente, Reichsführer », replicò l'Obergruppenführer Berger, capo di stato maggiore personale di Himmler. « Tutti coloro che sono nati a Varsavia, o coloro le cui famiglie vi risiedono, saranno fucilati entro questa sera stessa. Mi comunicherete immediatamente la cifra esatta dei morti. Trattate i polacchi come cani bastardi arrabbiati. Quanto al Gauleiter Fischer che non è stato capace di evitare l'insurrezione, verrà impiccato. » Il comandante supremo della sezione incaricata di combattere i partigiani, generale delle Waffen SS Erich von dem Bach-Zalewski, ricevette l'ordine di domare l'insurrezione di Varsavia. Himmler e lui stesso pensavano che utilizzando i
180 dodicimila uomini della guarnigione e i diecimila della brigata SS Kaminski, sarebbe stata una faccenda relativamente facile. Ma evidentemente avevano fatto un calcolo molto errato. Immediatamente, i polacchi agli ordini del generale BorKomorovski, ex ufficiale austriaco, occuparono il quartiere Wola e il centro della città, dove raserò al suolo il Quartier Generale della Gestapo e il Comando di piazza della guarnigione tedesca. Si impadronirono altresì della centrale elettrica e della centrale telefonica. Tre giorni dopo, i tedeschi erano in rotta e i polacchi poterono mettere le mani anche su numerosi depositi di armi e di munizioni. Himmler spedì a questo punto tre divisioni di SS e sei divisioni della Wehrmacht, che vennero trasferite d'urgenza dal fronte russo, in quel momento relativamente calmo. All'inìzio del mese di settembre, vennero inviati a rinforzo gli armamenti più moderni, e ben tre squadriglie dì Stuka, che bombardarono la città per molte ore consecutive. Himmler non credette alle sue orecchie quando fu informato che i polacchi continuavano ancora a resistere in alcuni quartieri della città e attaccavano le unità tedesche. Cinquemila prigionieri polacchi furono fucilati ogni giorno, finché ebbe finalmente termine l'insurrezione.
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IL TRONCO D'ALBERO Per tutta la notte seguiamo il polacco e la sorella di lui che ci guidano verso il fiume, ma solo il giorno dopo, verso la mezzanotte, arriviamo alle scogliere a strapiombo che lo delimitano. È necessario anche mantenersi non troppo vicino all'orlo per evitare di scivolare e di cadere nell'abisso. Ci installiamo in una grotta naturale, dietro la roccia dove è possibile piazzare la mitragliatrice senza che essa possa essere individuata, e tutti ci buttiamo a ingoiare grossi bocconi di formaggio di capra innaffiato da grappa di lampone. Finita la seconda bottiglia, l'umore di Fratellino è alle stelle. « Un ruscelletto come questo? Ma io lo attraverso senza neanche pensarci un momento. Niente può arrestare un caporale di stato maggiore del grande esercito tedesco. Ma tu, Heide, ti vedo un po' pallido; che cos'hai, grande divoratore di ebrei? Forse che questo piccolo ruscello polacco mette paura a un germanico? » «Prima di tutto il Bug non è polacco», risponde Heide informatissimo su tutto, come sempre. « È il fiume di frontiera più orientale del Reich. Tanto perché tu lo sappia. » « Intendi dire ' è stato ' », sghignazza Porta. « Perché adesso non è più tedesco. La follia di Adolf ha fatto cambiare perfino le carte geografiche. » «Ah! quando penso come siamo stati battuti in Russia! » geme il colonnello Schmeltz con aria depressa. « A rapporto, signor colonnello », replica Porta. « Io personalmente non ho mai avuto un bisogno impellente di espansione, perciò non parliamo al plurale. » « Propaganda disfattista! » protesta Heide. « E dove la metti tu la Grande Germania e il Primo Popolo del mondo? »
182 « Per quanto riguarda la Grande Germania, io predico che andrà a finire malissimo. Cacciatelo in testa bene, Julius, questo concetto. Sono le solite parolone senza senso del nazismo e anche tu adesso cominci finalmente a digerirle male, vecchio mio. Finirà tutto nelle miniere di piombo, dove avremo il piacere di ritrovarti.» « Oh, che barba! » interviene Fratellino. « Invece di demolire del tutto il morale dei poveri germanici, guardate piuttosto questa bella notte, ascoltate il rumore di questo ruscello, forse un po' troppo rapido per il mio gusto, devo riconoscerlo. » Ovviamente tutti siamo troppo ubriachi per tentare il guado, siamo quindi costretti a stare ancora tutta l'intera notte nella grotta, a dispetto degli improperi del tenente colonnello Schmeltz. All'alba, il polacco ci mostra quello che lui chiama un passaggio praticabile: un pino sradicato è caduto di traverso al fiume, che vi scorre sotto in gorghi ribollenti che però lasciano trasparire ogni tanto rocce puntute. « Tu hai già provato qualche volta a attraversare in questo punto? » chiede il Vecchio al polacco che sta già togliendosi gli scarponi. « Io? Mai », risponde, alzando le spalle. « Ma non c'è altra via. Bisogna attraversare qui, in ogni caso. Ivan è ormai alle nostre calcagna e non tarderà a raggiungerci e io vorrei proprio riuscire a raggiungere Varsavia. » La sorella di lui si è anch'essa già tolte le scarpe, entrambi si avvicinano al tronco, la donna in testa, l'uomo dietro di lei, con le mani sui fianchi per cercar di stabilire e mantenere un certo equilibrio anche se precario. Avanzano lentamente, passo per passo, scivolando a volte sulla corteccia umida del tronco che ora comincia a oscillare dall'alto in basso per poi riequilibrarsi. Ogni tanto si fermano, per prendere fiato; la donna tiene le braccia allargate e a-
183 perte, e guarda fisso davanti a sé, perché anche una sola occhiata al torrente precipitoso rappresenterebbe un rischio mortale. Le oscillazioni dell'albero aumentano in modo inquietante; la donna quasi perde l'equilibrio, ma il fratello l'afferra e la tiene salda. Negli ultimi metri, i peggiori, l'albero assottigliato verso la cima oscilla ed è flessibile come fosse una fune di gomma. Con un balzo, finalmente atterrano sull'altra riva. « Avanti un altro », ordina il Vecchio in tono secco e tagliente, non dandoci così nemmeno il tempo di riflettere. Sapeva che la paura ci avrebbe paralizzati. « Avanti, andiamo! E svelti anche. » Nessuno risponde, nemmeno Porta. Tutti fissano l'albero che continua a oscillare; il terrore mi chiude la gola, il respiro mi manca, non oserei mai... ho già le vertigini. « Andiamo, voialtri! Bisogna passare, è la nostra sola possibilità di scampo. Dall'altra parte avremo salva la pelle, lo capite o no? » «E per farne che?» protesta l'infermiere Kuls. « Per rischiarla di nuovo fra qualche giorno? Io ho capito che cos'è meglio fare. Buttarsi per terra e aspettare Ivan. » Senza una parola, il Vecchio gli si avvicina e lo colpisce al viso con un pugno. « Se ne uscirete vivo, sottufficiale Kuls, potrete accusarmi pubblicamente di avere schiaffeggiato un subalterno, saprò difendermi. Ma se sento ancora dei propositi simili, vi liquido sul posto come un cane, chiaro? » « Culo! » urla l'infermiere con spregio e come per caso punta il suo fucile mitragliatore contro il Vecchio. « Avanti un altro! » grida il Vecchio voltandosi senza più occuparsi dell'infermiere. «Va bene, va bene, andiamo», brontola Fratellino togliendosi gli scarponi. Lega insieme quattro casse di munizioni, se le mette sulle spalle, beve una sorsata di vodka e
184 sistema il suo 42 a mo' di bilanciere. « Se Mosè è riuscito a far passare il mar Rosso a un club di ebrei che avevano un branco di egiziani sul culo, un caporale ben qualificato di Adolf sarà pur capace di camminare su questa dannata asse polacca. » Si mette sull'attenti, batte i tacchi e grida con voce stentorea: « Caporale Creutzfeldt, destr, destri In avanti, marsc ». Il tronco umido e scivoloso sembra stia per spezzarsi sotto il suo peso. « Non guardatelo », commenta il Vecchio. « Altrimenti vi snerva, lo so. » Arrivato in mezzo, lo vedo vacillare e penso che finirà col cadere, mordicchio la canna della pistola, ma ipnotizzato mio malgrado non posso rinunciare a guardarlo. «Dio santissimo, non ce la fa», dice Gregor, livido in viso. Fratellino ritrova l'equilibrio, si asciuga la fronte con uno straccio immondo di sporcizia e di grasso e continua a avanzare cantando a gola spiegata. L'albero scricchiola in modo sinistro, ma Fratellino possiede l'istinto del ragazzo di strada; quando l'oscillazione diventa troppo forte, si ferma e ci manda i suoi saluti. «Completamente rincoglionito», commenta Barcelona, nascondendosi il volto tra le mani. Finalmente, con un balzo sorprendente, il gigante salta sulla riva di fianco al polacco: « Mosè può mettersi sull'attenti anche lui! » grida. « Avanti, voialtri, su! Tenetevi ben strette le emorroidi e vedrete che andrà tutto bene. » « Lo strangolerei con moltissimo piacere », dice Gregor. « Mica tante storie, su », interviene il Vecchio guardando con angoscia la foresta dove sente rimbombare non molto lontano parecchi colpi d'arma da fuoco. Gli NKVD sono sulle nostre tracce. Barcelona si toglie
185 gli scarponi e anch'egli si serve del suo mg come bilanciere, ma giunto nel mezzo del fiume si ferma, paralizzato dalla paura. « Avanti, va' », gli gridano gli altri. « Vieni! » gli urla Fratellino dalla riva opposta. Niente da fare, è immòbile, come paralizzato. « Bisogna dargli una mano », dico al Vecchio. « Cretino! » grugnisce il legionario che si toglie rapido gli scarponi, ne lega le stringhe e se li mette al collo. Avanza come un gatto, sembra quasi che voli. Barcelona, preso dalle vertigini, sta per cadere, il fucile mitragliatore gli sfugge dalle mani e cade nell'abisso, lui farebbe altrettanto se il legionario, arrivatogli alle spalle, con una forza prodigiosa non lo bloccasse sul tronco. Per un istante tutti e due restano immobili per riprendere fiato, poi si avviano cauti verso Fratellino che, con nostro terrore, sta per andar loro incontro. « Fermati! » gli grida il Vecchio. « Il tronco non può sostenere il peso di tutti e tre. » Per fortuna, il gigante si rende «conto del rischio e si fa indietro. Uno splendido numero da circo, ma senza applausi del pubblico. Il legionario e Barcelona avanzano ancora lentamente. Abbiamo l'impressione che il tronco scricchioli, pronto a spezzarsi. Se non regge, noi resteremo da questa parte e Fratellino sarà il solo sopravvissuto della compagnia. Dopo un intervallo che ci sembra un'eternità, Barcelona e il legionario atterrano sull'altra riva. È ora il turno di Porta. Si mette il carico sulle spalle e poi guarda il cielo. « Gesù, fammi vedere che siamo amici, tu e io. » « Tirati via gli scarponi », gli raccomanda il Vecchio. « Non puoi far presa con le suole chiodate. » « Non butto mai via delle buone scarpe » e balza in avanti. « Se precipito, ricordatevi che vi aspetto sulla porta del
186 paradiso. Lì ho di quelle relazioni che neanche vi immaginate. Mi riconoscerete subito vedendo il mio cilindro giallo. » Si mette a cavalcioni del tronco e avanza a piccoli strattoni; è lento come sistema ma più sicuro. A metà strada, si toglie di tasca la fiaschetta naturalmente, poi anch'egli intona una canzone a gola spiegata. Finalmente, come un corvo, saltella verso Fratellino e non è neanche arrivato che già si è cavato di tasca il flauto per suonare un breve ritornello. «Lo spedirò al Consiglio di guerra», grugnisce il colonnello ancora furioso, mentre i due polacchi si fanno il segno della croce. Il Vecchio ora designa Gregor, che imita Porta e procede a cavalcioni del tronco. Suda come un pazzo ma attraversa il fiume in un tempo da primato. Senza una parola Heide si fa avanti, gli scarponi legati intorno al collo e la mitragliatrice sulla schiena. Raddrizza l'elmetto, poi si accerta della posizione perfettamente regolamentare della bandoliera prima di avventurarsi sul tronco. La fortuna sorride sempre a Julius. Porta sostiene che è solo perché Heide osserva il regolamento alla lettera, e che possiamo essere certi che il giorno in cui verrà raggiunto da una pallottola non morrà come tutti, ma compilerà qualche frazione di secondo in anticipo il suo rapporto come « essendo ucciso ». Altri passano senza incidenti di rilievo. L'ex Gestapo Lutz protesta quando viene il suo turno e bisogna minacciarlo. Piangendo, si avvia verso la fragile passerella, fa qualche metro ma improvvisamente scivola e cade nell'abisso con tutto il suo carico. Altri due che lo seguono finiscono allo stesso modo. Viene il mio turno... Non me la sento, il Vecchio deve spingermi avanti. « Basta piagnistei, fa' come hanno fatto gli altri. » « Non posso, non posso. »
»
187 «Non dire castronerie, ti ripeto. Togliti gli scarponi e fila.
Ma il panico mi ha preso, ormai. Tutto è uguale per me, i russi e la morte. Niente riuscirà a farmi salire su questo abominevole tronco. « Passate voi », dico a quelli che restano. « Io vi coprirò se arriva Ivan. » « Basta storie, questo è un ordine. Filate immediatamente! » ordina il colonnello. Tutto mi è diventato indifferente, anche il colonnello che d'altronde non vale nemmeno un quarto di Porta. «Ascolta, Sven », mi dice il Vecchio, suadente, mettendomi una mano sulla spalla. « Faremo come hanno fatto il polacco e sua sorella, e tu vedrai, andrà tutto bene. Ti conduco io. » Si toglie rapido gli scarponi e se li mette al collo. « Cacciati la mitragliatrice e il treppiede sulle spalle, poi vieni insieme a me. » Il Vecchio prende la cassa delle munizioni; mi toglie l'elmetto e lo butta via; del resto, non serve gran che. E ancora prima che io me ne sia reso conto eccomi ormai sul tronco. Il Vecchio è proprio dietro le mie spalle, sento il suo respiro sulla nuca, e tiene ben saldo il mio cinturone. Io guardo Fratellino, Porta e Gregor, come attraverso una nebbia. Che cosa mi può succedere? I miei cari compagni sono là che mi aspettano e già la paura lievemente si sblocca. Tornare indietro? Non è assolutamente possibile, il Vecchio è dietro di me. Lentamente, con estrema cautela, avanzo... ma il tronco all'improvviso si mette a oscillare paurosamente, scricchiola, avrei voglia di urlare... vorrei aggrapparmi a qualche cosa... ma a che cosa? Balbetto con terrore: « Lasciami tornare indietro! » « Imbecille! » E il Vecchio mi spinge avanti.
188 Il tronco oscilla sempre più perché stiamo raggiungendone la parte terminale, più sottile. Un'angoscia atroce mi prende alla gola, perderei l'equilibrio e farei un passo falso se il Vecchio non mi trattenesse; mi aiuta a inginocchiarmi e aspettiamo che i nostri due cuori si calmino un poco. « Respira. Non è niente di terribile. Ne hai viste di peggio. » Il mio viso, ripiegato all'ingiù, è incollato alla corteccia dell'albero, vedo migliaia di formiche che vi camminano veloci come fossero su un'autostrada. Mi aggrappo al tronco con le gambe, e lo circondo tutto con le braccia: non oso muovermi... e soprattutto non oso guardare sotto di me. Mi butterei subito nell'abisso! « La finiamo, ragazzo? » mi chiede il Vecchio, ora palesemente infastidito. « Non posso muovermi. » «Andiamo, su, imbecille!» mi gridano Porta e Fratellino. Il Vecchio cerca invano di far sì che io lasci la presa, ma sono come incollato all'albero, e niente, nemmeno gli schiaffi del Vecchio, riuscirebbero a muovermi di lì. Allora ecco che lui si decide, mi cammina sopra, e mi supera, dicendomi con spregio: « Resta, resta pure lì fino a che marcisci! E dire che vorresti diventare ufficiale! Vedrai il rapporto che farò sul tuo comportamento. Che merda, un tipo simile! » Il Vecchio arriva sulla riva opposta senza incidenti e tutti si mettono a discutere sul mio conto. Risoluto e generoso come sempre, Fratellino butta per terra il suo fucile e si mette a camminare sul tronco nella mia direzione. « Allora, coglione? Vuoi sabotare la ritirata adesso? Basta, rientriamo, adesso, fila, specie di moccioso. » Mi afferra per le spalline e tira con tutta la sua forza. Scivolo, resto sospeso sopra l'abisso, ma Fratellino pos-
189 siede una forza d'acciaio, e Porta, che tende le braccia a sua volta, mi trascina verso la riva. E là mi prendo una scarica di botte. Vinta la paura per me, sono veramente folli di rabbia nei miei confronti. Mi picchiano come bruti, il Vecchio impreca e Heide mi dà dell'ebreo. Improvvisamente un colpo d'arma da fuoco! Kuls ha sparato al colonnello che si butta dietro una roccia; segue una granata che Schmeltz riesce a evitare prima che esploda. A sua volta il colonnello gli scarica addosso una raffica, e Kuls stramazza dalla scogliera nell'abisso mandando un grido lacerante. Ancora un uomo deve passare il fiume : il colonnello. È l'ultimo e anche lui si avventura sul tronco, seduto a cavalcioni. La pistola gli oscilla, legata intorno al collo, grosse gocce di sudore gli imperlano la fronte, perde l'elmetto... e improvvisamente, non appena il colonnello è arrivato nel mezzo della fragile passerella, un gruppo di yak arriva correndo dalla foresta. Sparano, le pallottole sibilano vicine al colonnello che vacilla... il legionario si butta dietro la mitragliatrice, pronto a sparare. « Merda! » Le raffiche li respingono nella foresta, ma altre pallottole sibilano sempre intorno al colonnello indifeso, aggrappato all'albero e allo scoperto. Un fragore d'inferno si ripercuote nella gola. Gregor imbraccia il fucile mitragliatore, il gendarme Danz prepara il razzo tracciante. Fragori e urla dalla parte dei russi. « Lanciagranate in funzione! » grida il Vecchio. « Riduciamoli in poltiglia! » « Che follia! » mormora Barcelona. « Morire noi perché un cretino di colonnello in ritirata non ce la fa a passare! » La mitragliatrice crepita, ma un'altra crepita anche dalla riva opposta, puntando verso l'ufficiale disperatamente aggrappato al tronco. « Via voi! »
190 È Fratellino, in piedi, la canna del mitragliatore sotto il braccio. Segue una fiammata colossale che ustiona gravemente le reclute che non hanno fatto in tempo a allontanarsi. Anche Fratellino ha le mani tutte piagate. « Ma sei matto da legare! » grida Heide. « Non si spara a questo modo. Attenti voialtri, questa volta! » Il suo razzo atterra proprio in mezzo ai russi, e così tutto brucia anche da quella parte. « Hai visto? » gli dice Heide, tutto fiero. « L'ho fatta fuori quella merda. » Nuovo crepitio di una mitragliera russa. Alcune pallottole colpiscono questa volta il colonnello, che si affloscia sulle ginocchia, perde il fucile mitragliatore, vacilla e cade con un urlo nel fiume ribollente. « Calma», dice il Vecchio, vedendo che siamo sul punto di perdere la testa anche noi. « Lasciate che avanzino pure, ma la vittoria è nostra. » Un commissario dalle larghe spalline rilucenti compare in mezzo al gruppo degli yak. Il sole fa brillare la stella rossa del suo berretto e lo vediamo alzare il kalashnikov come segnale d'attacco. « Avanti, marsc! Sparate su quei cani! Spazzateli via dalla terra di Russia! » E eccoli che avanzano con i loro grossi stivaletti di feltro, sollecitati dal commissario che li spinge avanti come un folle verso il tronco. « Fuoco! » grida il Vecchio. « Aspetta un momento », risponde maligno Fratellino. « Lascia che avanzino ancora un poco, tanto non ne uscirà vivo nessuno. » « Perché sei così sanguinario? » gli chiede Gregor. « In fondo non sono che dei poveracci. » « Non diresti la stessa cosa se tu cadessi nelle loro mani, te lo dico io! »
191 Una salva spazza via gli yak, e i pochissimi sopravvissuti si mettono in salvo come possono. Un istante di silenzio, poi il rumore di un colpo di nagan sibila nell'aria. « Il compagno commissario ristabilisce la disciplina, a quanto vedo. Senza quei dannati commissari, ce l'avremmo fatta da tempo! Anche loro non hanno certo più voglia di quanta ne abbiamo noi di combattere. » « Urrà Stalin! Urrà Stalin! » Ecco che ricomincia. Arrivano tutti compatti, spalla contro spalla, le loro lunghe baionette triangolari sulle canne dei fucili. « Sembrano cacatua », dice Porta stupefatto e quasi in ammirazione. « Allora, si spara o no? » « Piantala. Mortaio due salve, distanza quattrocento metri. » Niente più «Urrà», bensì gli urli rauchi del commissario. « Traditori, porci, seconda sezione avanti! » Ed ecco altri yak che compaiono a nugoli, a centinaia e a passo di corsa. Con il più grande disprezzo del pericolo, si mettono in fila e si avviano in colonna sul tronco, che ora si piega paurosamente, sotto il loro peso. « È pazzo, quel commissario! Ordinare una cosa simile! » dice Gregor. « Ho visto la stessa cosa a Saragozza », risponde Barcelona. « Un commissario ci spingeva avanti, la pistola sul culo. Per noi voleva dire la croce di legno assicurata, ma per lui voleva dire l'avanzamento. Deve essere la stessa cosa, qui. » «Ritirata», ordina il Vecchio. «Filiamo ora.» Fratellino e Porta stanno attaccando insieme mine T e le fissano all'estremità dell'albero sul quale formicolano in questo momento i russi. Un'esplosione formidabile. Tutto salta in aria. Uomini e passerella scompaiono dentro l'acqua ghiacciata.
192 «Addio, Ivan», grida Porta, togliendosi il cilindro giallo. « Addio. » Ci incamminiamo e una strada ferrata, tutta dissestata e con le carreggiate divelte, compare davanti ai nostri occhi. Come prima cosa dobbiamo buttarci ventre a terra per sfuggire a una squadriglia di Jabo che escono dalle nubi, improvvisamente. Poi ci sdraiamo in un fosso per dividerci le ultime vettovaglie rimaste; riprendiamo quindi a camminare, con le nostre scarpe umide, il cui cuoio ci penetra nella carne. Come sono stanco! Chi ha parlato dell'istinto di conservazione degli esseri umani? Io non ne posso più. Che cos'è in fondo la morte quando si è così stanchi? Il riposo, sì, il divino eterno riposo. Perché continuare, perché continuare a fuggire? La guerra è perduta ormai da tempo, anche Julius lo sa. Sfinito, mi butto in un fossato, guardando gli altri scarponi che mi passano davanti. Che senso ha vivere quando si è così stanchi? « Be', va come va », grugnisce Fratellino, rimettendomi in piedi. « Avanti, l'occhio vigile di Adolf ti guarda. Gesù ha pur portato la sua croce, sarai capace anche tu di portare il tuo mg. » « Halt! Wer da? » grida una voce spaventata, accompagnata dal crepitio di un'arma. Un grido! Barcelona è crollato a terra, il braccio e una spalla grondanti sangue. Gregor accorre subito vicino a lui, taglia di netto l'uniforme del ferito e si toglie di tasca il pacchetto del pronto soccorso. Ha avuto fortuna, l'osso non è stato toccato. Se non sopravviene la cancrena, ne ha solo per un paio di mesi. « Fortunato, la guerra è finita per te », lo consola Gregor, « ma adesso ci vorrebbe un'ambulanza. Con una spalla ridotta così ti spediscono all'ospedale, e poi ti rimandano a casa, vedrai. »
193 « Chi è quell'imbecille che ha sparato? » urla Porta, furente, abbrancando per le spalle un ragazzino di sedici anni, volontario delle SS, che si lascia sfuggire di mano il mitra. « Chi siete voi? » balbetta il ragazzo. « E tu, culo impagliato? Sparare a noi tranquilli turisti! Mai vista una cosa simile! » Da tutti gli angoli compaiono soldati di fanteria, giovanissime reclute SS che non hanno mai visto il fronte. Un Oberscharführer alto due metri butta per terra con furore l'elmetto, quando viene a sapere che cosa è accaduto. « È con una banda di cretini simili che vi si chiede di vincere una guerra! » impreca. « Ma voi, ditemi, da dove saltate fuori? » « Dal buco del culo dell'universo. Da otto giorni, giochiamo con Ivan, ma è finita adesso, non abbiamo più voglia di giocare. Per il momento, Ivan sta correndo come una trottola a qualche chilometro da qui, cercando di prenderci al laccio. E guarda poi come si viene ricevuti, quando si ritorna in famiglia! Mi chiedo che cosa ne dirà il Feldmarschall Model quando verrà a saperlo! » « Dovete perdonarci », risponde l'Oberscharführer, strofinandosi il viso bruciacchiato dal fosforo. « Ho ricevuto questi neonati solo ieri. Vengono fuori adesso dalla culla. » « Basta con queste storie. I vostri neonati comunque possono farsi subito un'esperienza diretta. Nel giro di un'ora arriva Ivan, giacché ha sicuramente attraversato il fiume; come, non lo so, ma lo ha attraversato in ogni caso. Nel suo tragitto dalla Siberia, almeno una volta nella sua vita gli sarà capitato un problema simile. Fra un'ora sarà qui, ve lo dico io! » « I russi! Qui! » « Esatto. Là, dietro la foresta. E pieni di zelo nel volersi
194 scrollar di dosso la ruggine. Se fossi in voi filerei, altrimenti non rimarranno che le ossa, di tutti voi! » « Hanno carri? » « Non penso che arrivino qui senza le loro carriole. Vi ridurranno in un bel purè di patate, prima che la vostra ciccia si sia rimessa dallo spavento. » Un Hauptsturmführer delle SS arriva camminando tranquillamente. « Per quale ragione la vostra compagnia non si è ritirata con la divisione? » « Il segnale promesso non è mai stato lanciato. » Viene annotato il nome del comandante della divisione, nessuno avrebbe certo scommesso sulla sua pelle. Barcelona viene deposto nelle mani degli infermieri che partono per Varsavia. Ma quanta fatica per aiutare un ferito! Tutte le ambulanze sono piene da scoppiare; riusciamo tuttavia a installarlo su un longherone che gli fa da barella e che divide con un morente. « Sarà il giorno più bello della mia vita, quando vedrò il generale impiccato! » dice torvo Fratellino un'ora dopo, nell'arrampicarsi sopra un autocarro di munizioni. « Quel cretino di signorotto è buono solo per la corda. » « Decisamente sei un idiota », gli dice Gregor scuotendo la testa. « La gente ragionevole che sa stare al mondo non si sogna nemmeno di toccar dentro i generali. Un signorotto tedesco è già qualcosa d'importante, se poi il tipo arriva a essere generale, diventa intoccabile. Una volta, hanno accusato il mio generale e anche me di aver tagliato la corda, in una certa occasione. Denuncia di un borghese imbecille. ' Gregor ', mi ha detto il generale con aria indifferente, 'sei sudicioni di ufficiali di riserva ci hanno calunniato. Giurano che abbiamo tagliato la corda. Sarebbe opportuno mandare qualche cassa di champagne e di cognac al comandante dell'armata, prima che si riunisca la giuria d'O-
195 nore.' Ordine eseguito seduta stante. Veniamo citati tre volte come altrettanti eroi, e il mattino che ci presentiamo a Nikolajev, le croci di ferro nuove fiammanti ci pendono dal collo, e sul parabrezza della macchina sventola una bandierina stirata di fresco. Lungo la strada avevamo impiccato un gruppo di partigiani, cosicché arrivando dinanzi alla giuria d'Onore puzzavamo ancora di sangue nemico. Il presidente della giuria d'Onore era il generale di fanteria von Steinhauer, e tutto il tribunale gli stava sul culo. Noi indossavamo l'uniforme nera dei carristi che ci andava a pennello e il mio generale aveva una pistola da signora calibro 6,35, che non avrebbe ammazzato neanche un cane a soli tre metri. Io avevo naturalmente la mia P38 sul fianco in caso di difesa. Alle volte, sai, non si può mai sapere. Ma tutto è andato invece benissimo. Il generale di fanteria von Steinhauer semplicemente rifiuta di considerare valida la parola data dai nostri denuncianti borghesi. Nel giro di otto secondi viene dimostrato con testimonianze accertate che il loro tenente colonnello che aveva convalidato l'accusa era un volgare bugiardo che cercava di ottenere l'avanzamento. Ha raccolto in un baleno ben dieci anni per falsa accusa contro il generale prussiano, e una morte da eroe nel battaglione 999, nel campo minato dalle parti del lago Ladoga. Tutti potevano vedere coi propri occhi che il mio generale e io eravamo candidi come la neve. Nemmeno l'ombra della vigliaccheria, semplicemente un poco di buon senso nel non voler sopportare troppo da vicino il nemico e le sue orribili baionette. Essere fucilato o infilzato allo spiedo, questa è una fine che viene iasciata come retaggio solo alla truppa, caro mio. » Una squadriglia di Jabo piomba su di noi. Il soldato al volante frena, le ruote stridono, il pesante autocarro striscia e noi andiamo a finire nel campo vicino. Dietro di noi, gli altri autocarri carichi di munizioni sal-
196 tano in aria. Un KW2 compare sulla collina, seguito da qualche T34, che schiaccia sotto i suoi cingoli un gruppo di soldati di fanteria. Una sezione di guastatori ci si avvicina correndo, distribuisce rapidamente le armi automatiche, poi scompare in un attimo. Il Vecchio arriva, saltellando sulle sue corte gambe arcuate e mi batte sulla spalla. « Tu cerca di prendere il primo T34, Gregor il secondo. Porta si occuperà del KW2 e l'ultimo spetta a Fratellino. » Un colpo di bomba anticarro sibila. Il razzo magnetico fila diretto verso il primo veicolo, atterra sul lato della torretta, rimbalza e sale come una palla di fuoco verso il cielo. « Chi è quell'imbecille che ha sparato? » sbotta il Vecchio, furioso. È stato un sottufficiale di fanteria, che si nasconde in una buca. Ci viene così a mancare il vantaggio dato dalla sorpresa, per colpa di questo idiota. I carri si mettono in formazione, come se si fossero risvegliati e riprendessero per un istante fiato, i cannoni rimbombano, i cingoli stridono. Avanzano, un'intera sezione di infermieri viene annientata, i feriti rotolano nel fango mentre le ambulanze prendono fuoco. Un giovane infermiere rimane nel mezzo del campo e guarda inebetito, con l'aria di non capirne la ragione, la sua gamba troncata e la divisa grigia che diventa sempre più rossa di sangue. Fratellino si precipita, gli strappa di dosso la sacca del pronto soccorso e torna di corsa vicino a Porta per rovistarla di furia. « Nemmeno una goccia di morfina! È tutto un bidone questa guerra di merda. Iodio e garze, a che cosa servono? » Un maggiore di fanteria, decapitato, corre ancora per qualche metro; un sottufficiale tiene nella mano destra l'altra mano troncata, ma una salva di artiglieria lo dilania in due tronconi. Una batteria inizia un tiro di sbarramento
197 così massiccio che sembra che il suolo tutto si sollevi, diretto verso il cielo. Le mie mani stringono una mina anticarro... si avvicina un T34. I cingoli stridono, i motori diesel impestano l'aria. Il muso del colosso che mi è davanti è dipinto con l'immagine di un pescecane, i denti disegnati col fosforo. Il KW2 di ottanta tonnellate si impenna mentre spara il suo cannone calibro 15. Due razzi, che un ignoto imbecille ha lanciato, rimbalzano contro il suo ventre di acciaio. Non bisogna sparare se la distanza è superiore a venticinque metri, se si vuole che il razzo riesca a penetrare nella corazzatura blindata. Calcolo la distanza: duecento metri. Troppo lontano. Un po' di pausa, ancora. Il Vecchio, sempre impassibile e padrone della situazione, fissa il.bersaglio e la sua mano è già quasi alzata per il segnale di «fuoco». Due artiglieri in fuga vengono stritolati da un T34 e brandelli di carne e di stoffa schizzano tutt'intorno. Vedo il comandante che dà un'occhiata in giro dall'alto della sua torretta, la stella rossa brilla sul suo elmetto, ma prima che io abbia potuto prenderlo di mira con la mia mp scompare nell'interno. Si dice che, da qualche mese, i russi abbiano a bordo dei loro carri donne addette al compito di telegrafiste. In questo c'è forse una donna che devo uccidere? Forse la conosco? Penso a Tania, la giovane medico chirurgo, che era capitano nell'armata rossa. Lavorava, nella sua condizione di prigioniera di guerra, nell'ospedale della nostra divisione a Char'kov, in via Lenkova. Era lei stessa che mi aveva operato e aveva estratto dal mio corpo non so più quante schegge di granata. Non passava giorno che non mi recasse qualche conforto. Tania era fanaticamente comunista e non lo nascondeva, beninteso, ma nemmeno l'Oberscharführer delle SS, che per errore era stato mandato al nostro campo, avrebbe denunciato il capitano medico Tania. Era
198 ben più opportuno non farlo, perché duecento mutilati e grandi invalidi avrebbero strangolato il delatore. Dopo la grande carneficina di Bielgorod, venne decorata della croce di servizio di prima classe, ma questo riconoscimento provocò in lei una tale ribellione che, davanti agli occhi del generale di divisione von Huhnersdorf, calpestò la medaglia sotto i piedi. Pensate che il generale l'abbia fatta fucilare? Fece ben altro: il grande e rigido ufficiale che, tre giorni più tardi sarebbe morto nel suo carro armato durante un attacco, si mise sull'attenti davanti a lei battendo i tacchi. Al momento dell'avanzata russa, Tania scomparve, la notte stessa nella quale fummo bombardati dall'artiglieria nemica. Aveva fatto il giro di tutti i feriti stringendo la mano di ciascuno, aveva controllato un'ultima volta le nostre medicazioni e ci aveva augurato buona fortuna. Eravamo tutti innamorati del capitano Tania. Poteva forse essere in quel carro, degradata per aver curato i feriti del nemico e ridotta alla condizione di telegrafista? « Fuoco! » comanda il Vecchio. Le cariche esplosive sibilano verso i colossi, e tutto scompare in un oceano di fiamme. Ho colpito il T34 proprio nella parte superiore della torretta, come avessi mirato per non ferire Tania, nel caso fosse nell'interno. Il comandante dal giubbotto di cuoio schizza fuori e parte verso l'alto come fosse a cavallo della fiammata azzurra dell'esplosione. Un enorme fungo nero di fumo si alza, si diffonde e arriva fino a noi; non resta più nulla dei tre carri, ma l'ultimo è ancora intatto: Fratellino l'ha mancato per poco. Furioso, il gigante dà un calcio al lanciarazzi, afferra una bomba magnetica, si butta sul mostro e vi fissa il congegno, poi balza indietro e corre via. L'esplosione non avviene; era evidentemente una bomba morta. Un sergente guastatore prende rapido una mina anticar-
199 ro e la lancia. La carica penetra attraverso il mortaio, una fiamma della lunghezza di almeno duecento metri invade tutto all'intorno e carbonizza il tiratore stesso. Noi abbandoniamo le nostre buche per fuggire, ma esce all'improvviso dalle nuvole un nugolo di caccia che mitragliano una sezione di fanteria prima ancora che i poveretti abbiano avuto il tempo di buttarsi a terra. E dopo i caccia, ecco una squadriglia di Jabo. Sembra quasi che escano dal folto degli alberi, tanto volano basso. Bombe al naftene. Tutto prende fuoco, il panico è al culmine. Un gruppo di fuggiaschi civili, con miserabili fagotti sulla schiena, corre all'impazzata, ma nulla riesce più a salvarli; una vecchia ha il ventre dilaniato e gli intestini che fuoriescono, un soldato di fanteria le dà, pietoso, il colpo di grazia. Un'altra donna è piegata sul figlio che ha perduto le gambe. Un infermiere medica alla meglio i due monconi e sistema il ragazzo sulle spalle della madre che corre via e scompare nella foresta. La batteria della contraerea, in posizione presso il ponte, viene annientata in pochi istanti. Ecco i nuovi Jabo che si avventano su di noi. Il gendarme Danz afferra una mina e prende accuratamente la mira. « Non buttarla, è inutile a questa distanza! » gli grida il Vecchio. Ma Danz non ascolta. Con un sangue freddo incredibile il giovane punta sul primo Jabo che appare e vola talmente basso che sembra quasi voglia atterrare. Per una volta accade un fatto impossibile: l'aereo è colpito, come una palla di fuoco scompare fra gli alberi andando a schiantarsi poco lontano. La benzina prende fuoco e la buca nella quale si era interrato Danz viene innaffiata dalla benzina ardente. Quel che ora vediamo è una cosa atroce: non c'è più un viso; non sappiamo nemmeno che nome dare a questo moncone di carne abbruciacchiata.
200 « La pistola! » ancora riesce a articolare. « La pistola! » Gregor e io esitiamo un istante, ma Gregor mi spinge e io tendo a Danz l'arma cui ho tolto la sicura. I suoi occhi annegati nel sangue mi guardano un'ultima volta, poi l'uomo infila la canna in quello che era stata la sua bocca e preme il grilletto. Non posso nemmeno chiudergli gli occhi, dal momento che non hanno più palpebre. Porta accorre e mi grida qualcosa. « Taci », gli dico. Quando scopre che cosa ha provocato la fiammata dell'aereo, anche Porta tace. In silenzio, il Vecchio estrae dall'uniforme di Danz il libretto militare quasi del tutto carbonizzato e gli toglie la piastrina d'identità dal collo. Nella sua funzione di capo sezione, sarà compito suo scrivere la lettera fatale: « Caduto per la patria. Heil Hitler ». « Filiamo ora », ordina poi il Vecchio. Per tre ore camminiamo su questa strada dissestata e cosparsa di materiale incendiato. Gli infermieri fanno quel che possono ma sono costretti a abbandonare i morti, è impossibile avere il tempo di seppellirli, se ne incaricheranno i russi, non c'è alternativa. « Carri nemici! » A piena velocità arrivano i T34, ai quali sono appesi dei siberiani che, stretti come aringhe, si tengono aggrappati ai vari punti di presa. Fuggire... fuggire, non importa dove! Ma i carri virano e schiacciano sotto i cingoli un'intera compagnia. Noi riusciamo a colpirne due con mine anticarro e questi scoppiano in un'enorme esplosione, ma anch'io vengo colpito di striscio alla nuca. Corro verso gli infermieri, che mi fanno aspettare un secolo per una medicazione, e chiedo di essere evacuato all'ospedale di campagna. « E che cosa vuoi ancora, per questa graffiatura? Nessun ospedale ti prende per così poco. Se vuoi farti una ferita,
201 credimi, scegli qualcosa di meglio un'altra volta. » « Non posso più mettere l'elmetto, fa un male terribile. Lasciatemi andare all'ospedale. » L'infermiere già si occupa di un altro, ma proprio dietro di lui vedo sull'angolo della tavola del pronto soccorso i foglietti rossi per gli ordini di evacuazione. Basta solo firmare e mettere un timbro. Se potessi arraffarne uno... la mia medicazione è già tutta impregnata di sangue. Metto avanti una mano con cautela quando l'uomo si volta. « Che cosa fai, mascalzone? Fila, se non vuoi che ti spedisca al Consiglio di guerra. » Due sottufficiali mi buttano fuori dove un gendarme mi rimette in piedi. « Occupatene tu di questa merda! » gli grida l'infermiere. « Che cosa hai da dirmi? » mi chiede il gendarme. È caporale, e questo mi conforta un po'. Con un caporale si può discutere, anche se porta sul petto la temibile e odiata placca d'argento a mezzaluna. Quella dei cacciatori di uomini. « Quei maiali là, non vogliono mandarmi all'ospedale. » « Anche a me piacerebbe andarci. Tutti ci andrebbero di corsa dopo cinque anni di guerra. E tu ! volevi sgraffignare un biglietto rosso di permesso, non è così? » « Sì », rispondo, senza pensai e che è un'ammissione estremamente rischiosa. La canna del fucile mitragliatore è puntata sul mio petto. Premerà il grilletto? È un vero prussiano o un tipo come Porta? Lentamente, il mio sguardo scivola dalla canna dell'arma al volto dell'uomo. Due occhi pieni di allegria furba incontrano i miei. « Sei il quattordicesimo, oggi. Un'altra volta mettici un po' più di testa. O adopera le dita dei piedi. Allora, dove vorresti andare? »
202 « Ritornare alla mia compagnia. » « Molto astuto. Ti avverto che non andrai molto lontano, se hai intenzione di disertare. Da qui a Varsavia, ci sono almeno duecento posti di blocco, e prima ancora che tu abbia aperto la bocca, ti danno del disertore. E allora è la corda, te lo garantisco j io. Adolf sa che i suoi eroi sono stanchi e hanno vo- 1 glia di tornare a casa. Anche i gendarmi sono di- i ventati difficili da trattare. Non più tardi di ieri hanno impiccato un colonnello che aveva il naso puntato verso ovest, lui e tutto il suo reggimento. Si stava portando via anche un po' di libri da leggere. Duecentoquarantasei battaglioni di gendarmi, ti dice qualcosa? Il nostro capo impicca tutto quel che gli passa per le mani, è un vero bruto, ma vieni, va', voglio farti passare almeno qualche posto di blocco. » Ci incamminiamo insieme; lui dà un calcio a un sasso, io lo imito e scoppiamo a ridere come due ragazzi di questa specie di partita di calcio, quando si ferma vicino a noi una colonna di autocarri. I Krupp puzzano di fumo, un sergente esce con la testa dalla cabina di guida del primo. « Via dalla strada, piscioni, o vi schiaccio come formiche! » D'acchito, si accorge della placca a mezzaluna, e questo fatto lo raddolcisce seduta stante. Arriva perfino a offrirci del cognac francese e dei sigari neri alla Churchill che il mio nuovo amico intasca senza scomporsi. Dopo di che la colonna si rimette in marcia, facendo una mezza curva per non disturbare il nostro cammino. Arrivano tre soldati di fanteria che diventano lividi vedendo il mio compagno. « Andate a farvi fottere! » grida ai tre che vorrebbero fare a lui il loro rapporto. « Avrei dovuto portarli al Comando », continua dopo che i tre se ne sono andati, « ma li avrebbero impiccati. Avrei giurato che erano dei disertori,
203 comunque. Ma chi non lo sarebbe, oggi? » Ci mettiamo a giocare ai dadi, e lui vince la mia penna stilo e il mio nagan. « Sono nella gendarmeria da sette anni, in servizio attivo. Anni addietro lavoravo al porto ma era un lavoro da imbecilli. Nel giro di vent'anni avrò una buona pensione; un caporale a tempo pieno riceve una pensione maggiore di quella di un capitano che viene fottuto a soli cinquant'anni. Certo, non bisogna essere troppo sensibili, in.questo ambiente. Ho visto impiccare delle suore in Belgio, fucilare dei preti in Olanda; in Francia ho visto mandare al muro bambini di dodici anni; ho dato calci nel culo a delle ragazze che camminavano verso il palo d'esecuzione, a Milano. E tante altre cose ho visto, soprattutto in Polonia. Cose da far venire la pelle d'oca anche a Satana in persona. Ma il Fiinrer ha detto che dobbiamo essere duri, e noi siamo duri. Un ordine è un ordine. Ero presente anche a Katyn quando abbiamo dissotterrato il meglio del corpo degli ufficiali polacchi davanti a quei cretini della Croce Rossa internazionale. Era quasi una roba da ridere! Tu avresti dovuto vedere quei fagiani dorati come si pavoneggiavano. Io mi sono detto : ' Se sono in grado di recitare una simile commedia, che diavolo possiamo aspettarci da loro? ' In fin dei conti, la cosa in fondo non mi riguarda. Io non sono che un caporale senza responsabilità diretta, faccio quel che mi viene comandato, e da molto tempo ormai non penso più con la mia testa, ma devo confessarti che ho anch'io una frenesia tremenda che tutto questo finisca, in qualsiasi modo, e che ricominci la vita normale con le piccole pattuglie di gendarmi che regolano la vita e il traffico nelle piccole strade della città. » Mi allunga tre pacchetti di Carnei e si tira le articolazioni delle braccia tanto che le giunture scricchiolano. « Andiamo, è meglio filare adesso, non possiamo stare
204 qui a aspettare che arrivi la pace, anche se sarebbe molto più divertente. » Una colonna di carri delle SS, con l'insegna della morte dipinta sulla torretta, ci supera."È la divisione T che ci infanga dalla testa ai piedi, con i suoi giganteschi cingoli. Ecco il temuto posto di blocco. Un capitano della gendarmeria si avvicina camminando lentamente, il fucile mitragliatore nella mano destra. Il mio strano amico si mette sull'attenti e fa il suo rapporto regolamentare. Passo senza difficoltà questa anticamera della morte e proseguo da solo, sotto la pioggia. Il mio amico gendarme sembra non mi conosca nemmeno più. Grande e grosso, si pianta a gambe divaricate dietro lo sbarramento, con la pistola in pugno, aspettando i prossimi candidati alla forca. Gli faccio un cenno di saluto al quale non rispondono né le sue mani né i suoi occhi, che sono diventati di ghiaccio sotto l'elmetto d'acciaio.
205 « Noi viviamo in comunione con la morte e dobbiamo imparare a servirci della morte nella maniera migliore. Per il bene della razza tedesca e per la sua espansione, è necessario aspirare a una Europa completamente deserta, e ciò significa l'annientamento di tutte le altre nazioni. » Discorso di Himmler ai generali delle ss Weimar, 12 dicembre 1943
«È una macchia sull'onore del soldato tedesco se rimane un solo polacco vivo a Varsavia », urlò Himmler rivolgendosi all'Obergruppenführer Be-ger. « Perché non avete eseguito i miei ordini? Voglio che questi porci siano liquidati tutti. E questo sarebbe avvenuto già da tempo se voi non foste stato così poco efficiente. » « Reichsführer, abbiamo fatto del nostro meglio », balbettò Berger, il cui volto era imperlato di sudore ghiacciato. « Le perdite sono state terribili. L'insurrezione di Varsavia è già costata la vita a diecimila soldati tedeschi. » « Cosa importano le perdite! Sono solo i risultati che contano. Non si piange un soldato che è caduto per la patria, ma si è fieri di lui. I miei ordini o non erano sufficientemente chiari forse? Radete al suolo la capitale polacca e sterminatene i cittadini come fossero altrettanti topi, ho detto. Non hanno posto, loro, nel Grande Reich germanico. Ma se preferite il fronte russo, non c'è niente di più facile, amico », aggiunse Himmler con un sorriso gèlido. « Alle SS non piacciono i vigliacchi che hanno paura del sangue, perciò non una parola di più sulle perdite, chiaro? La moneta della guerra è il sangue, una nazione forte nasce dal sangue. In ventiquattr'ore Varsavia deve essere cancellata dalla carta geografica. » Uscito il capo, Berger respirò profondamente: « Questo piccolo mascalzone è livido dalla paura, quanto
206 mi piacerebbe vederlo nelle mani dei russi! » Afferrò il ricevitore del telefono che lo collegava direttamente con il Brigadenführer dottor Dirlewanger: « Qui Berger. Ascoltatemi bene, Dirlewanger. Il Reichsführer si è lamentato perché i suoi ordini non sono stati eseguiti. Non preferireste per caso tornare a Plotzensee, dove io non sono certo venuto a cercarvi, voi e la vostra banda di porci criminali? Non siete a Varsavia per farvi una bella vacanza, non so se mi capite. » « Ho fatto tutto quello che era umanamente possibile », rispose Dirlewanger. « Le mie perdite sono state del novanta per cento. » « Non mi interessano le vostre perdite, Dirlewanger. Io guardo soltanto ai risultati. Se il compito è al di sopra dei vostri mezzi, ditelo subito. C'è ancora un posto per voi nei reggimenti di punizione... e non interrompetemi quando parlo! Siete in disgrazia, preferisco lo sappiate, ma vedrò di patrocinare la vostra causa e quella dei vostri banditi, se nel giro di quarantotto ore Varsavia sarà scomparsa dalla faccia della terra. Chiuso. » Dirlewanger spaccò il supporto del telefono sbattendovi sopra il ricevitore, condannò a morte due dei suoi subalterni, assistette alla loro impiccagione, e volle inoltre che centocinquanta dei suoi uomini fossero fucilati per vigliaccheria di fronte al nemico. Dieci prigionieri polacchi vennero buttati nello stagno come pasto ai lucci. Oskar Dirlewanger aveva infatti il più bell'allevamento di lucci di tutta l'Europa dell'est. Sosteneva che tutto stava semplicemente nel fatto che li nutriva di carne umana: i lucci, pesci carnivori, adorano questo tipo di nutrimento.
207
»ALLA CAPRA OSPITALE« Varsavia. Porta; con un caporale sconosciuto, è appollaiato sulla carcassa bruciata di un carro JS (Josif Stalin), il cui comandante ridotto ormai allo stato di mummia fa loro da tavolo. Si passano di mano una bottiglia di vodka così grande che avrebbe sfibrato anche il collo di un sanbernardo. « È proprio come ti dico », afferma Porta. « Tutti i nazisti saranno impiccati, l'elenco dei nomi è già pronto. Avrei da fornirne uno anch'io, si chiama Heide. » « Ah! Li scuoino tutti a cominciare da sotto le orecchie come i conigli! » replica il caporale con una soddisfazione non dissimulata. « Quanto a Adolf, il suo odio cieco per l'Inghilterra lo fa andare in trance. Avrebbe potuto accontentarsi di quel che diceva il Kaiser: 'Che Dio punisca l'Inghilterra ', ma lui no, lui si è illuso di poter radere al suolo tutta l'isola, e invece Tommy gli piscia addosso ogni volta che lui tenta il colpo. Ma perché poi fare la guerra a Tommy? » Segue una pausa di silenzio. «Dimmi», riprende il caporale dopo aver gettato intorno a sé uno sguardo inquieto, «Sai che cosa mi piacerebbe fare in questo momento? » « Non ne ho la minima idea. La gente ha desideri così strambi in questi tempi! » « Ebbene, mi piacerebbe proprio che i nostri nemici ci stangassero con una disfatta di quelle strepitose! Almeno per una volta, avremmo un periodo di pace di almeno cento anni. Questa mania della guerra che hanno i teutoni diventa stancante, alla fine. Quelli al di fuori delle faccende credono che noialtri, la truppa di bassa forza, amiamo la guerra mentre sono quelli di alto livello che la vogliono. È inutile, amico, noi siamo nati nel posto sbagliato. »
208 « Hai ragione. La Germania ha proprio bisogno di un bel pugno sul suo dannato cranio, perché si possa finalmente gustare in pace una buona zuppa di cavoli e della birra, ma non è colpa nostra se è un austriaco che ci comanda, è sempre stato così. Non diciamo mai niente, noi siamo i cani meglio ammaestrati dell'intera Europa. » Continuano la loro conversazione, improntata tutta su discorsi ovviamente di alto tradimento, seduti tranquillamente sul carro incendiato. « Come mai sei ciclista? » gli chiede Porta indicando col dito una bicicletta modello 1903, con un manubrio a forma di corno di capro. « Sei nella cavalleria? » « No, non ho mai avuto nient'altro che questo arnese. » « Mica possibile! Allora vuoi dire che hai pedalato per tutta la guerra, avanti e indietro con quel coso lì? Per la Santa Madre di Kazan', se ne fa della strada, pedalando. » « L'hai detto. Ho avuto una scarogna marcia da quando sono venuto al mondo. Mio padre vendeva biciclette a Brema, e il giorno in cui dovevo andare per la prima volta a scuola, la polizia è venuta a prenderlo. Tutte le sue biciclette erano rubate. Capisci perché detesto questi arnesi. Mi hanno portato iella fino alla fine, perché mi hanno spedito in un reggimento di cavalleria a Kònigsberg, reggimento di dragoni già su biciclette dal 1916. Vale a dire da quando si erano mangiati tutti i loro cavalli. La cavalleria a pedale è un'invenzione del diavolo. Sembra facile quando si fila su una strada pavimentata a bitume, ma tu credi che sia divertente risalire l'Ebro con la bicicletta sulla schiena? Per grazia di Dio, sembra che la passeggiata stia per finire. Ma vedi a che cosa ha portato? Sono solo caporale-dragone-ciclista, alla fine dell'ottavo anno di servizio, e che servizio! » Fucili mitragliatori crepitano in direzione del quartiere di Praga. Vi partecipa anche una batteria da 75. Ci si batte
209 per la Kommandantur della piazza Adolf Hitler dove Armija Krajowa ha messo le tende. I polacchi hanno fatto piazza pulita di tutto il personale tedesco. Dato che qualche granata cade anche vicino a noi, ci mettiamo al riparo e il caporale ciclista si congeda. Con il viso tirato e triste, salta in sella e pedala, piegato in due sul manubrio, verso il centro di Varsavia. Il fuoco d'artiglieria diventa più consistente, i polacchi evidentemente sparano con cannoni tedeschi. « Filiamo », propone Porta. « Appuntamento da Piotr, ' Alla Capra ospitale ' ». Un fuoco concentrato di mg ci fa precipitare nel primo scantinato che troviamo; spingiamo davanti a noi, perché ci facciano da scudo, dei cadaveri che troviamo ammucchiati lungo una parete. Il fucile mitragliatore crepita, una nuvola di calcinacci ci cade sulla testa. Un urlo. È un caporale guastatore che era con noi casualmente da qualche giorno; un fiotto di sangue scuro gli esce dalla bocca. Rantola e muore. Il legionario lo fa rotolare giù dalla scala. Non vogliamo servirci del suo corpo come scudo, era un camerata e un amico. Alcune ragazze passano correndo, con le gonne al vento. « Dovremmo fare i protettori in questo paese », dice Porta, con aria sognante. « I clienti non mancherebbero e neanche i viziosi raffinati, sai quelli di buona famiglia, discreti proprio per via della famiglia come si deve. » « Meglio non fidarsi dei raffinati », interviene Fratellino. « Possono provocare grane. Una volta me ne è capitato uno, proprio quando mi trovavo davanti a un poliziotto con 36 stemma dell'aquila e tutto il resto. Il vizioso era della polizia criminale naturalmente. Sono usciti fuori i coltelli ma poi la cosa è finita lì. Quante ne ho passate io, però, alla Stadt-hausbrucke! Era Herbert, del commissariato 37 di Kirchenallee, che conduceva la danza. Un demonio che
210 hanno fatto fuori più tardi. È stato un pazzo che se ne è incaricato, e in pieno giorno. Figurati che il folle stava uscendo dall'ospedale di Rissen e ha domandato un po' di fuoco, molto educatamente bisogna riconoscere, a quel mostro di Herbert che passava di lì, per caso. ' Fila via immediatamente, specie di porcellino d'India ', gli ha risposto il mostro. Vedi un po' il destino! Se Herbert non gli avesse parlato di porcellini d'India, il folle se la sarebbe filata, ma lui detestava quelle bestiole, perché tutta la sua famiglia era morta tempo prima per una infezione misteriosa attribuita ai porcellini d'India. E così di schianto, senza neanche il tempo di dire ' ah ', il mio Herbert era già infilzato da una vecchia baionetta arrugginita. Il mostro rantola e cade per terra, e i passanti gli danno solo un calcio. Per mia disgrazia, io mi trovavo proprio nei paraggi, anzi nella stessa strada, e stavo vendendo delle sporche cianfrusaglie, dette antichità. E guarda un po' il caso, il cadavere di Herbert cala proprio sulla mia vetrina di esposizione. Polizia, beninteso. Mi appioppano almeno cinque paia di manette di tutti i tipi, a me e al cadavere, quando improvvisamente il capo della pattuglia vede il berretto ben noto dei ricoverati di Rissen che fila verso l'Elba con il pezzo di baionetta arrugginita che il folle sbandiera al vento: ' Ecco là l'assassino! ' grida il capo, un vero Sherlock Holmes, e tutti i poliziotti lo seguono ventre a terra. Il folle fa loro un saluto con la mano, salta nel fiume, e nessuno l'ha più rivisto. Naturalmente però il caporale Nass, quel maiale, mi ha trattenuto al suo posto: ' Dal momento che tu detestavi Herbert, potremmo anche credere che sei stato tu a spingere quel folle a ammazzarlo '. Per le prime ore, sono stati duri, ma poi hanno avuto altre cose più urgenti da fare, piuttosto che occuparsi di un poliziotto defunto. E poi li avevano chiamati per una storia molto spassosa: la moglie di un generale aveva castrato il marito durante una lite coniugale. '
211 Se almeno l'avesse ammazzato, quella cretina ', aveva commentato il mio carceriere. ' Talmente più semplice, santo Iddio! Un bel funerale, e si appioppano vent'anni di galera a quella megera che si era liberata dal marito nel giro di un minuto. Non si taglia via la banana a un generale prussiano, che cosa ne facciamo noi, adesso? ' » « Va bene, va bene », lo interrompe Porta. « Basta con queste castronerie. Adesso bisogna liquidare quella mitragliatrice, altrimenti ci massacrano tutti. » Fratellino afferra delle bombe a mano e si lancia in avanti. Balza dietro a un carretto rovesciato, pieno di cadaveri, vi si mette al riparo, quando una granata polacca sibila, cade e rotola lentamente fino a fermarsi proprio davanti al carretto. Il gigante le dà un calcio e quella fila diritta verso lo sfiatatoio della casa nella quale è annidata la mitragliatrice. Esplosione formidabile. Della casa non resta più un solo mattone in piedi. « Avanti! Avanti! » grida il legionario. « Viva la Legione! » I polacchi cercano di fuggire, ma invano. Tre di loro alzano le braccia; due portano il berretto esagonale dell'esercito polacco, l'altro l'elmetto tedesco. Il legionario li liquida con una salva: « È la guerra ». Un istante di riposo su quello che resta della postazione polacca; una bottiglia passa di mano in mano. « Avanti », dice il Vecchio con impazienza. Corriamo nella via Cracovia che puzza di carne bruciata. Gli uomini delle sd hanno fatto saltare la prigione centrale con dentro tutti i prigionieri. « Andiamo, ragazzi, una piccola sosta alla ' Capra ospitale '. Un simpatico locale senza contare che una sorsata di birra schiarisce le idee. » L'ucraino dalla barba rossiccia che troneggia dietro il
212 banco lancia i boccali da un litro, al volo; se non si prendono, o se si manca il bersaglio, si deve pagare ugualmente. Si impara a essere pronti, alla «Capra», che come sempre, è molto affollato. Nell'arco della porta un gendarme che tutti guardiamo di traverso. « Dell'anatra », ordina Porta, con l'aria di un gran signore. « Quante porzioni? » « Quattordici. » L'anatra è poi un corvo, tutti lo sanno, ma in fondo è meglio per tutti conservare qualche illusione. Ci. viene portata una doppia razione a testa con l'aggiunta di una costoletta di cane. Dato che Piotr è in relazione d'affari con Porta, ci offre del vino delle montagne romene e del pesce marinato in dotazione all'esercito, come dessert. Il tutto non ha un gran buon odore, ma con la birra si riesce a ingoiarlo ugualmente. Un cappellano dello stato maggiore, che stava seduto in un angolo, si avvicina a un ufficiale dalla divisa lacera e polverosa. « Posso sedermi qui? » chiede cauto, mettendo avanti una sedia. L'ufficiale, il cui volto è nascosto da una benda intrisa di sangue, lo guarda con aria assente. « Fate il vostro comodo. Sofja, un boccale e pieno raso. La mia mano non trema. » E ingoia il contenuto del boccale con una sola lunga sorsata. Senza aprire bocca, Sofja glielo riempie di nuovo. « Posso fare qualche cosa per voi, camerata? » gli chiede il pastore. « Chi diavolo siete? » replica l'ufficiale, come se soltanto ora si rendesse conto della presenza del prete al suo tavolo. « Che cosa potete fare per me? Avete un reggimento da offrirmi, forse? Sofja! » grida con voce alterata tendendo il
213 boccale che la vivandiera riempie di nuovo, senza peraltro aprir bocca. « Alla vostra salute, pastore, che cosa fate in un luogo come questo, se non bevete? » « Vorrei aiutarvi, capitano. » « Se è il Führer che vi manda, parlate pure. » « No, capitano, io ho solo delle consolazioni spirituali da offrirvi. » « La strada diretta al cielo. Mio padre era colonnello, parlava troppo e l'hanno impiccato in Norvegia. Sofja! Un doppio! Quant® devo? » « Quattrocento zloty. » « Allora riempite ancora due volte questo boccale così faranno cinquecento. Vicino a Saborotje, ci hanno 'liquidato », cambia discorso rivolgendosi al pastore, con occhi da allucinato. « Sono venuti con lanciafiamme, carri, artiglieria d'assalto. Hanno schiacciato sotto le ruote dei loro mezzi tutto il 436RI come fosse merda. Hanno buttato nelle capanne in fiamme i feriti che ancora chiamavano Dio prima che il fuoco li divorasse, ma Dio non è venuto. Tutto sommato, Dio forse è bolscevico. » Il cappellano cerca di dire qualche parola, ma niente riesce a far tacere l'ufficiale dalla divisa lacera e sporca. « Io comandavo un battaglione pesante. I T34 sono arrivati in massa da sopra le colline, si sono affiancati alle nostre posizioni come se volessero fare un'esercitazione e poi ci hanno scaraventato tutti nella palude. Sono il solo sopravvissuto. Mi sono nascosto per quattro giorni in mezzo ai cadaveri. Sofja! Porta l'ultimo. Alla vostra salute, cappellano. Sull'altro fronte del Bug, eravamo in ventiquattro. ' Resistete a qualsiasi costo! ' ci aveva comandato il capo. Ho resistito e ho mandato i miei ventiquattro uomini contro gli assalitori, i T34. La patria esige sangue. È insaziabile. Rimasto solo, ho ripiegato. Forse avrei potuto resistere ancora con una mitragliatrice che non aveva più munizio-
214 ni? Avrei dovuto forse costringere i miei soldati morti a rialzarsi e a buttarsi all'assalto dei carri nemici? Che cosa avrei dovuto fare? Ditemelo, Dio buono! » urla l'ufficiale ubriaco, prendendo il cappellano per il collo. « Voialtri, lettori della Bibbia, a voi le parole non mancano mai! » Spezza con le sue mani il boccale, il sangue gli cola dalla mano ferita. « Heil Hitler! » grida con aria cupa. Esce dall'osteria e scompare. « Chi è quell'ufficiale? » chiede il cappellano a un tenente di fanteria di una certa età, seduto poco lontano. « Non lo so, ma dovremmo segnalarlo alla gendarmeria di campagna. È un caso un po' seccante. » « Un caso, avete ragione. Tutto è questione del caso. Uno perde la vita, un altro la ragione, un terzo una gamba o il braccio. Forse sarò già morto questa sera? » Si alza pesantemente e si allontana. «Che Dio sia con voi», mormora prima di richiudere la porta. Una granata di mortaio scoppia all'esterno. La pesante porta salta via dai cardini, gli scoppi ci sibilano alle orecchie, la bottiglia di vodka posata sul tavolo si spezza in due, tutto sa di zolfo e di polvere. Piotr riappare da dietro il banco dove si era rifugiato con Sofja e tende un pugno in direzione dell'edificio della Radio dove i polacchi avevano piazzato un mortaio. Soldati tedeschi ciondolano appesi a corde fissate ai balconi dell'edificio, e un corvo si posa sulla testa di un cadavere per vedere se un altro corvo arrivato prima di lui non avesse dimenticato un occhio, cibo che predilige più di qualsiasi altro. Mentre noi aiutiamo Piotr a riparare la porta, Fratellino dà un'occhiata alla strada. « Oh, il cappellano è salito in cielo », commenta con la più grande calma. « Avrei dovuto avvertirlo », dice Piotr. « Potremmo con-
215 trollare se il nostro orologio è esatto, con la puntualità cronometrica delle granate. I comunisti di Lublino le fanno scoppiare tutti i giorni alle 15 precise. » Il Vecchio si precipita vicino al cappellano che giace in un lago di sangue e guarda con inquietudine l'edificio della Radio. « No », dice Piotr, rassicurandolo. « Per oggi non sparano più. Puoi sederti qui fuori che tanto non ti succede niente. » Il Vecchio si china, fruga rapido nelle tasche del cadavere, afferra il distintivo e estrae le carte personali del morto; ma prima che abbia avuto il tempo di tornare vicino a noi, una Kùbel arriva a tutta velocità e frena davanti al morto. Un maggiore, con un cappotto di cuoio scuro, dall'aria molto sicura di sé e insieme distratta, scende dalla macchina, seguito da un piccolo caporale che porta il distintivo dei soldati addetti alle ferrovie. Il maggiore guarda il cadavere con indifferenza. « Morto? » Il caporale guarda il povero cappellano dando insieme un'occhiata di traverso nella direzione dell'osteria. «A rapporto, signor maggiore: un cappellano morto si trova davanti a noi. » « Vedete voi », mormora il maggiore, spingendo il cadavere col piede. « La cosa non mi interessa, del resto. L'hanno ridotto mica male. » Il suo sguardo vaga in direzione della Vistola, e per un istante possiamo quasi credere che gli affiora l'idea di buttarvisi dentro, ma d'acchito si riprende, maledice i polacchi che si sono permessi di uccidere un cappellano tedesco, poi ripiomba in una strana apatia. Butta al morto ancora un'occhiata singolare, poi si volta e risale sulla Kùbel. Il caporale gli copre, sollecito, le gambe con una coperta. « Leopold, forse sarebbe meglio che voi restaste qui per
216 far seppellire decentemente il morto », dice con aria assente. « Ordinate ai guastatori che forniscano una croce da ufficiale, ma di legno di pino, non ha diritto a quella di ferro. E con un'iscrizione adeguata, qualcosa su Dio e la Patria. Fate voi, Leopold. » Picchia con la mano sul vetro che lo separa dall'autista e la macchina scompare in un baleno. « Può metterselo sul culo, il suo seppellimento decoroso », borbotta il caporale Leopold. « Seppellire questo qui, ma ne ho piene le tasche, io! I funerali degli ufficiali sono una gran rottura di coglioni e basta, proprio così, è meglio buttarlo nel fiume. Questo ragno in uniforme non si rende conto di che cosa sia il funerale di un ufficiale, e in più avrei a che fare con un prete che non si può mettere sotto terra come un soldato qualsiasi di bassa forza. L'altro giorno era un colonnello dell'intendenza che si era lasciato beccare; se non avessi avuto per caso con me uno delle SS l'avrei ancora adesso sul gobbo. Seppellire questo cantasalmi! È chiaro come il sole che non conosce il mio colonnello Kutnei, mi si rizzano i capelli in testa al solo pensiero di presentarmi a lui con questo maccabeo a reclamare una bara di pino! Avrei solo da aspettarmi la corda o il plotone, e tanti saluti! Questo degno uomo se ne andrà diritto nella Vistola e via, andare! La corrente lo porterà ai guastatori, e quei culi di sassoni non si meritano di meglio che trovarsi un bel prete come prima colazione. D'altra parte io sono sicuro che lo rispediranno da Ivan per evitare noie; dai sassoni, del resto, ci si può aspettare di tutto. » Conclude il soliloquio e la decisione presa, con uno sputo carico di disprezzo. Fratellino prende il pover'uomo per le caviglie e lo trascina fino al parapetto del fiume. Al momento di passare il corpo al di sopra del parapetto del ponte, Porta gli fa notare la buona qualità delle scarpe che il cappellano ha ai piedi. Un sottufficiale di fanteria le com-
217 pra a Fratellino, che poi vende a Piotr il crocifisso, a dispetto del furore palese del Vecchio; poi con un tonfo sordo, il pastore scompare nelle acque grige della Vistola. Prendiamo posizione in una casa vicina a quella da cui spara il mortaio; un grande lampadario cade sulle ginocchia di Fratellino. « Che merda, tagliarci la luce! » grida minacciando col pugno verso il piano superiore occupato dai polacchi. « A Amburgo, mandano almeno un avviso per avvertire che tolgono la corrente! » Viene trasferita nell'edificio confinante una batteria di campagna, e la lotta si fa dura: il grande campanile della chiesa crolla in un fragore di tuono. « Credete che sia veramente d'oro? » chiede Fratellino che se ne sta alla finestra, per nulla preoccupato dell'artiglieria pesante che spara senza sosta. Stanno attaccando sul lato del ponte di Momoro. Se i polacchi se ne impadroniscono, vengono a essere padroni di tutto il centro della città, dello stato maggiore e dei depositi di munizioni tedeschi. Due cannoni sparano nella nostra direzione, la parte superiore della casa è già in fiamme. Quando il fumo rende l'aria irrespirabile, ripieghiamo su una officina dove si riforma per intero la 5a compagnia, agli ordini del nostro vecchio comandante di compagnia, il tenente Lòwe, la cui metà del volto è stata ustionata dal lancio di una bottiglia di benzina da parte dei polacchi. Nel pomeriggio, ci danno il cambio e non pensiamo che a procurarci da mangiare, naturalmente. Vengono destinati a questo compito tre uomini per ogni sezione. Fratellino, Porta e io, riuniamo insieme tutte le gavette della 2a sezione, ma la cucina volante è abbastanza lontana dal punto dove ci troviamo.. Dobbiamo attraversare delle strade che sappiamo ancora in mano dei polacchi. Improvvisamente, proprio davanti a me, si alza una co-
218 lonna di fiamme e vengo ributtato all'indie-tro contro il muro di una fabbrica. Tutto mi diventa buio davanti agli occhi... svengo. Quando ritorno in me, vedo il viso di Porta che mi scruta inquieto a pochi centimetri dal mio. « Sei morto o vivo? Non si fa mica prender paura in questo modo agli amici! » Quando si rendono conto che in fondo non ho gran che, mi promettono una bella bevuta per la sera stessa. Discussioni, manate sulle spalle, mentre un fucile mitragliatore polacco ci prende di mira. « Oh, che barba, fai smettere quell'arnese! » grida Fratellino furente, rivolgendosi direttamente, con la sua solita spontaneità, al nemico. E, cosa curiosa, il tiro effettivamente cessa. Le tre cucine di campagna sono installate sulla piazza della Vistola, ma la coda è talmente lunga che le chiacchiere e le discussioni riprendono. « Qual è il menù, oggi? » grida Porta. « Bouillabaisse », risponde il grosso sergente furiere che vuol sempre usare parole francesi; anche il piatto nazionale della cucina tedesca, la sauer-kraut, lui la chiama choucroute, ma noi sappiamo benissimo che la sua bouillabaisse è solo un sugo qualsiasi nel quale navigano sardine avariate. « Ti sei ricordato di metterci il prezzemolo? » chiede Porta ironico. « Non fare tanto il bullo », replica il cuciniere che si è installato a sedere su uno sgabello molto alto che gli permette di sorvegliare gli eventuali furti di pesce o altro da parte dei suoi aiutanti. L'odore che esce dalle grosse marmitte ci solletica piacevolmente il naso, ci lecchiamo i baffi e si parla tutti di cibo. Un sottufficiale assicura che a Marsiglia c'è un ristorante dove fanno una bouillabaisse con ben centotrentacinque
219 qualità diverse di pesce. « E io una volta mi sono ingoiato un sottufficiale come te, senza né sale né pepe, e il cane del reggimento ha fatto fuori tutte le ossa! » replica Fratellino. Il cuciniere assaggia con un mestolo, muove la testa con aria soddisfatta e ci fa un sorriso incoraggiante. Tanti occhi affamati seguono i gesti del cuoco e tutti fremono d'impazienza. « Pronto », annuncia finalmente. « Portate qui le gavette. » Ma improvvisamente vediamo i suoi aiutanti precipitarsi sulla marmitta e correre a rovesciarla nella Vistola... sembra quasi si tratti di un'esercitazione militare di quelle che si fanno alle grandi manovre, e questo infame magari si è messo in testa di fare questo genere di scherzi, qui, a Varsavia, che non è nemmeno una zona del fronte! Ma siamo pazzi? Gli uomini hanno una fame da lupo, i prescelti delle varie sezioni hanno portato tutte le gavette, si è preparata una zuppa che fa venire l'acquolina in bocca: e proprio nel momento in cui potrebbe essere distribuita, in questo istante preciso... un attacco! E dal momento che qualsiasi tipo di vettovagliamento non deve mai cadere per regolamento nelle mani del nemico, viene buttato dove non può assolutamente essere ricuperato... Rimaniamo talmente inebetiti che non un solo grido di protesta si alza dal gruppo dei presenti, e il grosso cuciniere scompare avvolto in una nuvola di polvere. « Se solo riesco a mettergli le mani addosso », urla Porta infuriato, « lo schiaccio sotto i piedi come una pulce! » Al nostro ritorno quasi veniamo linciati; la sezione, ovviamente, ci accusa di aver divorato tutto lungo la strada. Una volta calmati, troviamo dei bastoni di pane secco che mastichiamo lentamente, e la fame si calma. Ma verso mezzanotte, Porta si alza.
220 « Vieni! » dice a Fratellino. Con un sacco da munizioni vuoto sotto il braccio, scompaiono nelle strade di Varsavia bersagliate dagli spari, e tornano quattro ore dopo, con il sacco grondante di sangue ma pieno di carne di cavallo. Urla di gioia di tutti. Un bel fuoco per cuocere questo arrosto così speciale e nessuno di noi sente più la fatica. Che festino! È stato veramente uno dei miei ricordi più belli di tutta la guerra.
221 « I sistemi educativi intellettualistici non mi interessano in alcun modo. Il sapere è deleterio per la gioventù, che se si sottopone invece alle prove più dure impara a vincere la paura della morte. » Lettera di Himmler al professore K.A. Eckhardt 14 maggio 1938
Il reggimento scelto Kedyv dei polacchi resisteva ancora tra le rovine del ghetto. Il generale Bor-Komorovski aveva dato ordine di difenderlo a tutti i costi, dato che era la sola zona del centro di Varsavia dove potevano atterrare i para inglesi del generale Sosabowski, l'uomo nuovo che da poco faceva parte dell'esercito inglese. Lo stato maggiore polacco era in ogni caso già certo che gli inglesi non avevano la minima intenzione di inviare sul posto para polacchi. Il trasferimento « in loco » sarebbe stato d'altra parte pressoché impossibile, e prima di ogni cosa il generale Sosabowski e i suoi uomini erano assolutamente indispensabili sul fronte dell'ovest. L'armata polacca del generale Bor-Komorovski era perciò condannata a morte. Non solo dal Reichs-führer Himmler a Berlino, ma anche dal maresciallo Stalin al Cremlino. I fanatici patrioti polacchi erano stati molto preziosi alla vigilia dello scoppio della guerra. Ora, erano i comunisti polacchi di Mosca che avrebbero messo le mani sulla Polonia. La vecchia volpe del Cremlino rideva sotto i baffi nell'udire della carneficina ordinata da Himmler a Varsavia, ma non commentava la cosa nel modo più assoluto. E tanto meno il maresciallo Rokossovskij quando il colonnello polacco Dombrovski, inviato personalmente dal generale Bor-Komorovski venne a supplicarlo di dargli l'appoggio dell'armata rossa. Per un'ora e mezzo, il colonnello descrisse la situazione disperata dell'esercito nazionale. Il- maresciallo
222 e il suo stato maggiore guardarono muti il colonnello che si era presentato in una uniforme macchiata e lacera, col berretto pentagonale piegato sotto il braccio. « Perché non volete aiutarci, signor maresciallo? Restituiteci almeno le nostre due divisioni che sono nella vostra armata. » Sempre senza proferire parola, il maresciallo gli voltò le spalle e lasciò la sala. Il colonnello Dombrovski, disperato, continuò a fissare la porta che gli era stata chiusa davanti. Nessuno seppe mai che cosa avvenne di lui, dato che scomparve nel tragitto che dal Quartier Generale russo lo portava alle prime linee polacche. Il generale Bor-Komorovski attese invano sia il suo delegato sia i rinforzi russi.
223
IL BORDELLO «LOCALE NOTTURNO DEL KAISER« Fratellino e Porta afferrano per il collo quelli che stanno scendendo le scale del « Locale notturno del Kaiser ». Il rumore incredibile che riescono a fare i due evoca una muta di T34 che penetra in una postazione tedesca. « Dove sono le addette ai lavori? » chiede con compunzione molto lodevole Fratellino, dando comunque un calcio a un grosso vaso di cristallo che fila fuori della finestra, facendo un gran fracasso di vetri andati in frantumi. I passanti credono sia scoppiata una bomba e si precipitano nel primo rifugio che trovano. « Calma, signori », dice Madame Zosia Klusinski, proprietaria del più elegante bordello che si trovi tra il Reno e il Volga. Siamo tutti ubriachi, naturalmente, e Gregor più degli altri. « Dove sono le puttane? » chiede posando con assoluta spontaneità le mani sul seno voluminoso di Madame. « Tu sei una puttana o no? » Madame si libera con una gomitata dalla mano di Gregor e infila con ostentata calma una sigaretta russa nel lungo bocchino d'oro. Gregor vacilla, poi si riprende con una certa fatica, e le consegna il biglietto di entrata di Porta. « Tieni qua, vecchia, l'ho pagato milleduecento zloty », barcolla ancora e poi circonda con la mano il collo della donna, come in un gesto di tenerezza, sperando che questo lo aiuti anche a tenersi in piedi. « Guarda qui, coniglietto mio, c'è scritto che ho diritto a un riposo in senso orizzontale. Se sei la direttrice del locale, sbrigati a mandarmi qui
224 la tua gente, ma un po' alla svelta. Dopo di noi verrà il diluvio sotto la forma di Ivan, e tu non riderai più tanto come credi. » Madame Zosia, che nella sua vita aveva visto ben altro, gli soffia tranquillamente il fumo in faccia, sorridendo. « Signori, non crediate che questo sia un bordello come tanti altri. È un ambiente molto distinto. Non vi ricevo che la migliore società. » « È proprio per questo che siamo qui », replica ridendo Porta. Madame posa sul tavolo due grandi album. « Il nostro sistema è molto particolare », spiega. « I signori scelgono qui le signore che gradiscono e io mi informo subito per sapere se esse sono disponibili. » « Merda, quante storie! » sbotta Fratellino. « Porta qui tutte le tue signore in fila su tre colonne. Noi cominciamo dalla prima e continuiamo fino a estinzione, chiaro? » « Le signore! » grida Porta, torcendosi dalle risa. « Le signore! Ma tu credi di essere a corte forse? » dà una violenta pacca sul sedere di Zosia.
225 dunco ha una forma così curiosa! » « Idiota! » risponde il pappagallo, con voce rauca, vomitando poi un sacco di parolacce in dialetto polacco. « Lo• segnalerò alla gendarmeria», grida Heide, voltando le spalle al pappagallo che non si interessa del nazionalsocialismo. « Andiamo, su », fa Porta a Madame Zosia. « Abbiamo fretta. Siamo in viaggio verso il Reich, con una splendida disfatta nel culo. » « Alto tradimento! » grida Heide che ora giace disteso sotto il tavolo. « Bisogna riconoscere », ammette Gregor, guardandosi intorno con aria di ammirare, « che è veramente un posto di prima classe. Perfino un piano! Porta, su, suonaci sopra qualcosa che ci rimetta un po' in forma. Qualcosa che ci dia tono », ripete cercando invano di accendere le candele. È già la seconda volta che accende fuoco ai capelli suoi e di Fratellino e siamo costretti a spegnerlo con un sifone di selz. Porta siede al piano e imposta alcuni accordi: Noialtri soldati siam maschi che amano assai le ragazze. Facciamo la guerra ogni giorno senza conoscer tristezza... Heide si mette a singhiozzare. Si arrampica sul tàvolo e qui si mette in ginocchio, facendo le sue scuse al pappagallo: « Si diventa un po' nervosi dopo cinque anni di guerra, credetemi », gli spiega compito. « Vogliate scusarmi, vi prego. » « Idiota! » ripete il pappagallo, attaccando una nuova sequela di imprecazioni decisamente volgari.
226 « Non diventerai mai un vero signore », lo sgrida Heide. « In fondo non sei che una sporca scimmia polacca. » Gregor vuole ballare e afferra Madame alla vita, ma Zosia furiosa si divincola da lui. « Banda di assassini! » grida, lanciando un bicchiere che arriva sulla testa di Fratellino. « Veramente non siamo sempre così », spiega tranquillamente il Vecchio per calmare Madame che è andata alla finestra e da lì invoca a gran voce la polizia. All'improvviso un rumore d'inferno e vediamo entrare nel locale il lappone Uula Heikkinen, seguilo da un gruppo di partigiani finlandesi. « Grappa, lardo e puttane! » ruggisce Uula, minacciando Zosia con la pistola. « Su, dove sono le tue pastorelle? » e spara un colpo che si conficca nel pavimento, poi scoppia in una larga risata. « Volevo metterti un po' di paura, bel culo di alce, hai l'aria così triste. Si direbbe proprio che i tuoi ospiti non ti vanno a genio, non è così? Dillo subito, che li fiottiamo fuori di qui. Devo confessarti che io e i miei ragazzi non abbiamo che due cose nella testa; le mitragliatrici e le donne. Da sei settimane, per colpa di Ivan, abbiamo maneggiato solo mortai, ed è più difficile far l'amore con loro che non con delle stronze di renne dal culo gelato, sperdute in un inverno ghiacciato come questo. » « Muoviti a suonare l'adunata! » grida Gregor, uscendo da un armadio con in testa un paio di mutandine rosa. « Ci occorrono delle ragazze, delle ragazze in massa qui subito, chiaro? » « E andate a fare un culo! » risponde Zosia che di botto dimentica tutta la sua distinzione. « Pezzi di sudicioni, non avete niente da fare in un posto come questo. Uscite! Non avete niente da fare in un posto come questo, vi ripeto, e se non la capite vi faccio arrestare dalla polizia. » « Una vera signora non parla in questo modo », replica
227 compunto Porta. Beve a canna e si lascia colare la vodka diritto in gola. « Infame porco! » urla Zosia, colpendolo con una scarpa. « Se le tue puttane non si fanno vedere, allora cominciamo con te », le dice Fratellino, grattandosi il cavallo dei pantaloni con il suo coltello da trincea, « e ce lo passeremo tutti il tuo corpo, chiaro? » « Passerete sul mio cadavere! » grida Madame. « Maledetti nazisti! Finirete impiccati tutti, e fra non molto, ve lo dico io! » « Allora è proprio il caso di cominciare con te. » E il gigante fa scivolare una delle sue grosse mani sotto la gonna di Zosia. « Sul mio cadavere », ripete la donna afferrando un pugnale delle SS che tiene su un tavolo. «Come vuoi tu, cara», replica Gregor impassibile. « Guarda che fare di te un cadavere, non è affatto un grosso problema per noi, sai. » « Chi vuole essere un cadavere? » chiede allegro Uula, togliendo la sicurezza alla sua pistola. « La ruffiana, qui. » | « Con piacere. » E due o tre pallottole sibilano molto vicine alla testa di Madame, che cade pesantemente per terra in preda al terrore. Per un istante crediamo sia stata colpita, ma in un baleno quella si rimette in piedi, afferra un pesante vaso con una pianta di cactus e lo butta diretto sulla testa di Uula che crolla a terra a sua volta. Un lappone del mar Bianco avanza lentamente, circonda il collo di Madame col braccio e lentamente lo stringe, progressivamente sempre più stretto. La donna si dibatte, rantola, gli occhi le escono dalla testa. Il legionario fa un balzo in avanti, colpisce con un violentissimo manrovescio il lappone, mentre Heide si chi-
228 na sulla donna. « Non è mica morta », dice poi e si risiede vicino al pappagallo. Madame, che aveva visto la morte proprio da vicino, viene rimessa in piedi, un silenzio molto rispettoso piomba sul locale, e ecco la troupe di Zosia che fa il suo ingresso trionfale. Erano incontestabilmente ragazze di gran classe. Fratellino emette un lungo respiro d'ammirazione. « Che meraviglia! » mormora Gregor. Gli occhi sottili di Uula Heikkinen si inumidiscono, e egli si mette a lacerare coi denti un delicato mazzolino di fiori. « Che roba! » mormora il Vecchio. « Ma guarda un po' che cosa ci tocca vedere! » « Eh sì », dice il legionario. « Ho paura che saremo noi due i soli a non consumare. » Madame Zosia, tranquillizzata ora vedendo che le sue truppe erano sul piede di guerra, sorride, decisamente di nuovo padrona della situazione. I suoi ospiti abituali, gli ufficiali delle SS, si ammansivano quasi istantaneamente quando vedevano entrare le ragazze, ma evidentemente la poverina non doveva avere la più pallida idea di cosa potessero essere i soldati carristi: nemmeno la più pallida rassomiglianza con la razza militare prussiana. Per un lappone come Uula e per noi, i coltelli escono allo scoperto molto più facilmente che non gli scherzi e le facezie da salotto. Fratellino è il primo a riprendere il controllo di sé, spolvera la sua bombetta, se la mette un po' di traverso come faceva Maurice Chevalier, e riappare in mutande. « Al lavoro, vecchio mio! » Con tre passi, afferra la prima ragazza che gli capita vicino e infila la sua grossa mano sotto la gonna di lei. « Niente mutande, depilazione perfetta. » La issa sul piano e si stende su di lei come un coniglio dopo un lungo periodo di celibato.
229 « Porco! » urla Madame che si butta su di lui, ma Fratellino le appioppa un calcio che la manda direttamente contro la parete di fronte. « Mitri, mitri (mamma, mamma cara) », dice il lappone prendendola in braccio di rimando, anche se lei lo graffia sul viso con furore. « Mi piacciono le ragazze che si difendono prima. » Madame si impadronisce del coltello del lappone e per la seconda volta afferra il ricevitore del telefono : « Venite subito », grida completamente fuori di sé. « C'è l'inferno in casa mia. Mi hanno quasi strangolata. » Poco dopo, passi pesanti rimbombano sulla scala. Due gendarmi, con la piastrina a mezzaluna sul petto, appaiono sulla porta; prima minacciosi, poi guardano sbalorditi Uula col fucile a tracolla, che porta sul petto tutti i nastrini che gli eserciti tedeschi e finlandesi hanno saputo inventare negli ultimi ven-t'anni. « Desiderate qualcosa? » « Be'... Guardavamo, semplicemente. » « Allora, filate. Non c'è niente da guardare qui. » I gendarmi esitano: « Diavolo », dice uno di loro, « tutto questo puzza di qualcosa che non va. Chi è questo tipo pieno di decorazioni? » « So niente io, so solo che si usano mettere. In fin dei conti questo bordello non è di nostra competenza, e se i ragazzi qui hanno qualche voglia è nei loro diritti : la ruffiana poi ci fa solo schifo! » Ridiscendono rapidamente le scale. « Guarda un po' che bella visita! » esclama Porta, proprio mentre due ufficiali delle sd semisvestiti escono dalla stanza azzurra. Un istante di stupefatto silenzio poi un immenso scoppio di risate.
230 « Da dove uscite, voi? » grida Porta, punzecchiando il sedere di uno dei due uomini. « Giù le mani », protesta la sd. « Siamo di servizio, noi. » « Con i pantaloni in mano e il faccione tutto rosso? Avete ficcato il naso nel prezzemolo, eh, vecchi bastardi. Non sapete che è proibito al personale delle sd metter le mani sulle puttane dei sottosviluppati? Ma adesso vi insegniamo bene noi, così smetterete di far portare le corna alle vostre spose legittime. Dove siete di servizio? » « Alla polizia di dogana », balbetta uno dei due, allontanandosi dalla ragazza con la quale era uscito dalla camera. « L'avrei giurato. Doganieri! Fratellino, perquisiscili. » « Gesù stesso ha detto che i doganieri erano dei farisei e dei ladri », dichiara solennemente Fratellino, facendo sparire il denaro nelle proprie tasche. « Segnalerò i vostri furti ai legittimi proprietari. » Uno dei doganieri, furibondo, dà un calcio a Porta e vola poi verso la finestra. « Aiuto! » grida. « Ci picchiano! » « È così che fai la spia? Vuoi che ti riduca un occhio nero? » « Gli facciamo la festa a questi stalloni? » propone Gregor. Ci divertiamo a farli passare sotto le sciabole lungo tutto il corridoio, ma alla fine della prima mezz'ora di questo gioco siamo già stufi dei due, che scompaiono, con le loro uniformi sotto il braccio, e con la proibizione di rivestirsi se non quando fossero stati già in strada. Giurano che non avrebbero più messo piede in un bordello e che non avrebbero ingannato più in futuro le loro mogli. « Bene », dice Gregor, « e adesso facciamo il nostro dovere. Non siamo mica qui per chiacchierare ma per utilizzare una certa cosa che ho in mente io. » « Sei molto gentile », dice una ragazza con certe cosce molto ben fatte, sedendosi sulle ginocchia di Porta e co-
231 minciando a sbottonargli i pantaloni. Porta geme di gioia, sbottona la vestaglia della ragazza e tutti vediamo sul suo corpo molto appetitoso una biancheria decisamente piccante. « Mi ami? » chiede a Porta facendo le fusa come una gattina davanti al camino. « In quanto a questo, vedremo, ma per cominciare voglio un letto della taglia adatta a un camion. E nel giro di cinque minuti tu, Madame, arrivi con tutta la birra che riesci a reggere in mano. Ecco qui cinquecento zloty per il disturbo. » Zosia ritrova istantaneamente il suo sorriso. « I miei locali sono a vostra disposizione, signori », sussurra infilandosi il denaro nell'ampia scollatura. « E ce ne sarà dell'altro, tutte le volte che arriverai con un nuovo carico di birra, intesi? » Madame comincia a pensare che siamo proprio una clientela decisamente accettabile. « Questi locali però non sono affatto adeguati al loro uso », constata Porta, scuotendo la testa con aria grave. « Di che cosa abbiamo più bisogno nelle prossime ventiquattr'ore? Dunque: di una stufa economica, naturalmente, tanto per cominciare; perciò è proprio totalmente inutile tenerla in cucina mentre sarebbe molto meglio averla qui, vicino al canapè. Aiutami, Fratellino, spostiamo questa benedetta cucina economica. » Segue un indescrivibile trasloco, dopo il quale sia la cucina sia la sala sembrano un campo di battaglia dopo un attacco di carri armati. Poi si passa al primo piano, quello dei salottini. Ogni locale è arredato diversamente dal precedente, ma tutti, con sbigottimento di Fratellino, hanno un grande specchio appeso al soffitto. La camera chiamata « Potsdam » è arredata con una fontanella sistemata vicino al grande letto, che ondeggia come un battello in mare. A
232 Gregor quasi viene il mal di mare e emigra con la sua puttana nella stanza turca, addobbata con pesanti tendaggi e tappezzerie, e completata con apparecchi che diffondono, quando ci si distende sul letto, musica orientale. Porta scova la stanza cosiddetta dei « Sette giardini » interamente ammobiliata con acquari murali dove si muovono decine di pesci. Il lappone Uula barcolla andando di camera in camera portando con sé un enorme vaso da fiori riempito di birra che offre generosamente a tutti. Fratellino è nelle mani di una ragaz-zona dai capelli rossi, nettamente più intelligente delle compagne, e stranamente curiosa di conoscere i fatti nostri. Che fosse una spia, era chiaro. Tutte le informazioni passibili di alto tradimento venivano poi riportate al sd (Servizio di sicurezza), mentre i segreti militari andavano direttamente agli uffici AK (Armee Korps). Ma Fratellino se ne fotte e sa stare al gioco. « La cosa più bella che un giovane sia in grado di possedere, è una donna di spirito », esclama, senza pensare che sta citando Tolstoj. Cominciano a sbaciucchiarsi, la ragazza rossa e lui, poi si distendono a fianco a fianco. « Mi sembra di averti già visto », dice la ragazza. « Da dove vieni? » « Dalla Russia. » « E dov'è che sei di stanza? » « In nessuna parte. Io appartengo alla 5ª compagnia. » « Ma dove sei nato? » « Non sono ancora nato. Mi hanno inventato, è stato Frankenstein che ha incollato un po' di pezzi insieme, si vede, del resto. » «Che uomo impossibile sei», geme la ragazza. « Vieni, beviamo e chiacchieriamo un po' da amici. Sei soldato carrista? » « E tu sei una spia? » sbotta Fratellino, che come tutto abbigliamento ha indosso la cravatta, le calzette rosse e la
233 bombetta. « Per il momento me ne fotto di tutto quello che riguarda la vita militare e ho una voglia sola, di sistemare la mia manovella. » « Appartieni al reggimento dei Tigre? » « La cosa ti importa? Io non sono mica qui per darti delle informazioni. Andiamo su, basta ora. » « Ma non avere tutta quella fretta », mormora la spia, « abbiamo tutta la notte davanti a noi. Se c'è una cosa che mi piace, è sentir parlare di imprese eroiche di guerra. A quale reggimento appartieni? » « All'Esercito della Salvezza. E tu hai intenzione di farla ancora molto lunga? » grida il gigante cercando di afferrare la ragazza che fila via nella stanza da bagno, e riappare poco dopo con le calze, scarpette dal tacco alto e una cintura color verde mela. Fratellino spalanca gli occhi. La ragazza si siede sul letto e accarezza il torace peloso del gigante. « Parlami un po' dei francesi, grosso orso. Ne hai visti? » « Tu non fai che parlare, ragazza mia. A Parigi ci sono ragazze che veramente ci sanno fare, mica come te. Voialtre, ciabatte da quattro soldi, potete andare a nascondervi perché ci sono tanti modi di fare all'amore. A me quel che mi piace è la raffinatezza, la vera raffinatezza dell'amore e io la conosco bene, sai. Ti garantisco che alla 'Veste Rouge'.di Montmartre, le puttane facevano la coda per aspettare me. Lo sapevano che sono un esperto. Quando la guerra sarà finita, mi faccio francese, mi stabilisco a Parigi, e mi guadagno da vivere come esperto di baci. » « Allora, insegnami qualcosa », mormora la ragazza presa nel gioco. « L'arte di fare all'amore, non comincia dove credi tu, ma dalla faccia. Tu comincia a infilarmi la lingua di gatta in bocca, e cacciala fino alla gola finché mi sai dire che cosa ho bevuto. »
234 La rossa lo abbraccia fin quasi a perdere i sensi e Fratellino mugola e fa le fusa come un felino soddisfatto. La ragazza dimentica del tutto il suo ruolo di informatrice. Fino a quel momento non aveva fatto l'amore che con i bei signori dello stato maggiore e i diplomatici. Erano invasori, ovviamente, che però l'avevano trattata con molta educazione. Ma quel giorno la cosa era diversa, l'uomo era un vero gorilla che digrignava scoprendo i denti gialli. Si era anche accorta che l'uomo avrebbe potuto strangolarla se qualcosa di lei lo avesse contrariato, ma in fin dei conti era piuttosto provocante. « Su, puttana mia, bacia e mordi dove vuoi, è una cosa che mi piace. Bacia pure in tutti gli angoli. Oh, vedo che cominci a imparare. Come ti dicevo, bisogna studiare, ragazza mia, prima di poter navigare. Quando i guerrieri torneranno a casa, si troveranno ben viziati, per merito mio. » « Attaccherete Varsavia? » chiede la ragazza a un certo momento, ricordandosi all'improvviso della sua missione. « Io non sono né Adolf né il Gran Quartier Generale », replica Fratellino. « Io me ne fotto di che cosa si attacca. Quando i signori dal colletto dorato comandano: 'Picchiateli sul cranio', io picchio, e del resto me ne fotto, come ti ho già detto. » « Che cosa fa qui in città il tuo reggimento? Avete molti carri? » « Un'altra domanda? Stai forse cercando di prendermi per il culo? Guarda che se sei una spia, sono dodici pallottole nella nuca. Piantala in questo caso, che è meglio per te, credimi. Tre volte al giorno i nostri cari signori ci dicono : ' Il nemico ti ascolta '. Uccidilo! dice il Reichsführer. » Estrae dallo scarpone il nagan e glielo punta sulla fronte. « Confessa, puttana! Sei una spia. Ti ammazzo come un cane. » « Che violenza! » geme la ragazza con un fremito di
235 gioia. « Adoro gli uomini violenti. » Finalmente tutti e due si addormentano, una a fianco dell'altro, così come l'intero bordello che emana un forte e pesante odore di alcool. I lapponi, Madame, il pappagallo e i gatti siamesi, tutti dormono sodo, compresi i pesci nell'acquario. Una terribile esplosione sveglia di soprassalto tutta questa rispettabile società. Granate di artiglieria pesante innaffiano questa casa di piacere dove l'euforia lascia brutalmente il posto a grida di terrore. « Calma, farfallina mia », dice Fratellino alla rossa che cerca di fuggire. « Facciamo all'amore un'altra volta prima di chiudere bottega. Chissà quando succederà un'altra volta? » « Ma non vedi che brucia tutto? Cerca di essere ragionevole, grosso orso che non sei altro! » Non c'è niente da fare con Fratellino. Si precipita sul letto e le si butta sopra mentre una trave ardente piomba nel mezzo della camera e attacca fuoco alla coperta del letto. Fratellino respinge la ragazza imprecando, fatalmente rassegnato. « Sbrigatevi! » urla Porta dal corridoio. « La casa è in fiamme. » E corre via in compagnia di una ragazza seminuda. Con Madame in testa che ci guida, cerchiamo di salvare dalle fiamme il salvabile: tavoli, lampadari, letti, acquari, due piani a coda, la batteria da cucina e gli armadi. La ruffiana e la sua aiutante sorvegliano come tigri perché nulla venga sottratto. Passa nelle sue mani anche tutto quello che possediamo; zloty, rubli e reichsmark. Porta le offre un grosso pacchetto di rubli nuovo fiammante: « Camminaci un po' sopra prima di darli ai vicini. I biglietti nuovi, mia cara, sono sospetti. » Improvvisamente la donna ci abbraccia teneramente, tut-
236 ti. « Siete proprio dei cari ragazzi », dice piangendo. « Se vi avessi conosciuto prima, potevate esser sicuri che avrei chiuso la porta in faccia ai signori gallonati! » La ragazza dai capelli rossi giura a Fratellino che lo seguirà a Parigi, dove apriranno un bordello da far rizzare i capelli in testa ai milionari ebrei. Dopo di che tutta la compagnia si scioglie e ce ne andiamo per le strade cantando a squarciagola. La festa è finita, e chissà quando si sarebbe ripresentata un'occasione simile.
237 « Prevedo nel futuro metodi pedagogici assai duri. Qualsiasi forma di debolezza deve essere eliminata senza alcuna pietà. Nei miei seminari crescerà una gioventù che riempirà di terrore il mondo intero. » Discorso di Hitler alla Scuola ufficiali delle ss Tòlz, 18 febbraio 1937
Il generale polacco Zygmunt Berling, capo delle due divisioni polacche che si battevano alle frontiere orientali della Polonia aggregate all'armata rossa, era venuto a supplicare il maresciallo Rokossov-skìj perché questi permettesse loro di passare la Vistola, al fine di aiutare i lora compatrioti contro i barbari tedeschi che avevano invaso la loro patria. « Njet », disse il maresciallo che si chinò su una carta geografica fumando un grosso sigaro. « Konstantin, tu mi conosci bene, abbiamo vissuto a lungo insieme. Io sono polacco come tu sei russo. Concedimi questa libertà d'azione », supplicò il generale Berling. « Me ne assumo la totale responsabilità. » « Njet », ripete il maresciallo, con un'espressione chiusa e impenetrabile. Indignato, il generale Berling lasciò il Quartier Generale russo per andar a ispezionare le sue due divisioni di contadini polacchi, che per la prima volta nella loro vita si trovavano non lontano da una grande città. Il suo capo di stato maggiore, colonnello Lisevka, e lui stesso si trovarono d'accordo nel decidere di non tener conto del rifiuto del maresciallo russo. All'una del mattino, il generale Berling diede l'ordine di attaccare il nemico. Un reggimento d'assalto sovietico di ucraini di Char'kov, al comando del colonnello Rilskij, si congiunse a essi, e nella grande sala dorata del vecchio palazzo reale, i tre capi comunisti si augurarono reciprocamente buona fortuna. Sapevano
238 perfettamente che avrebbero firmato la loro condanna a morte, se l'attacco avesse fallito il segno. La divisione Rilskij in testa, i polacchi passarono la Vistola. Per loro sfortuna, attaccarono proprio nel punto tenuto dai veterani della divisione di SS Theodor Eicke, i cui uomini erano espertissimi nei combattimenti all'interno d'una città. I poveri contadini annegarono nel loro stesso sangue. Non conoscevano che i vastissimi spazi in cui lo sguardo correva lontano e ignoravano che il combattimento in città è la forma più terribilmente omicida della guerra. A testa bassa, si precipitarono all'interno delle case minate che saltarono in aria con essi. Le truppe del generale Berling vennero massacrate fino all'ultimo uomo, in sole due ore, sulla riva occidentale della Vistola. Che cosa ne fu del loro generale? Mistero. Si venne solo a sapere che lui e il suo stato maggiore erano stati condotti, sotto scorta, a Mosca.
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IL CIMITERO DI WOLA Ci siamo battuti per due giorni consecutivi con baionette e pale, intorno al cimitero di Wola, e per l'ennesima volta lo strappiamo ai partigiani di Armija Krajowa. Questi combattimenti costano un fiume di sangue, ma il cimitero è una posizione strategica determinante perché domina tutta la zona di Prasra. Una cappella stipata di cadaveri carbonizzati ci serve da riparo. Gregor, ferito alla testa da una pallottola, porta una benda che è già tutta rossa di sangue. Anche noi siamo feriti, d'altronde, ma Gregor è il più grave, e se il colpo fosse stato più basso solo di qualche millimetro, a quest'ora sarebbe morto. Un grosso capitano, con le insegne di stato maggiore, infila la testa attraverso la porta della cappella e impartisce ordini con voce rauca, asciugandosi senza sosta il viso con gesti quasi da folle. I suoi ordini, peraltro assurdi, andrebbero es'eguiti, o perlomeno dovremmo fìngere di eseguirli, ma dal momento che la nostra palese apatia lo innervosisce gradualmente sempre più, si butta su un gruppo di artiglieri delle SS della divisione Das Reich, e con autorità li costringe a andare con lui verso il fiume. « Che merda! » esclama Fratellino. « Se almeno i comunisti di Lublino lo prendessero prigioniero! » « Questi capitani di stato maggiore non sono per niente furbi », commenta Gregor, stirandosi le braccia. « Questo acrobata va a pisciare un po' dappertutto senza capire un cristo. Che vada allora insieme alla gente come lui, ne combinerà forse meno di castronerie. » Approfittando di una pausa di relativa calma, ci addormentiamo. D'altra parte siamo tutti al limite delle forze; non dormiamo da tre giorni e da una settimana non ci to-
240 gliamo nemmeno gli scarponi! Sveglia precipitosa a metà della notte; bisogna correre verso la via Wolska, installare la mitragliatrice in una cantina e « coprire » la strada. Poco dopo l'alba, vediamo arrivare una fìtta colonna di civili che cammina in direzione del cimitero: sono vecchi, ragazzi, donne con dei bambini per mano; alcuni di essi, usciti dal letto all'improvviso, sono ancora in camicia, qualcuno porta piccoli pacchi sotto il braccio, altri trascinano sudando enormi involti. Le SS della compagnia Dirlewanger li sollecitano brutalmente a accelerare il passo, prendendoli a calci. Dopo poco passa una macchina della polizia munita di altoparlante : « Attenzione, attenzione, civili. Abbandonate immediatamente le vostre case. Per ragioni strategiche il quartiere deve essere distrutto. Traditori comunisti polacchi sono la causa, la sola causa della vostra forzata evacuazione, Wola è da ora dichiarata zona di guerra. Il capo della polizia, SS Obergruppenführer von dem Bach Zalewski, è dolente di imporvi tale misura, ma ciascuno di voi ha il diritto di portare con sé quel che vuole e tutti coloro che ubbidiscono si troveranno, per questo solo fatto, sotto la protezione dell'esercito germanico. Attenzione, attenzione, ripetiamo... ». E la macchina prosegue nelle strade più in là poi scompare. Le case vomitano una folla di gente dall'aria spaventata che si raccoglie in una lunghissima colonna che prende tutta la larghezza della strada. Le SS di Dirlewanger li raggruppano. « Colonna, in marcia! » urla un Unterscharführer, con due granate incrociate a rilievo sulla piastrina di metallo nero lucido. Perché bisogna sempre far fretta ai poveri prigionieri? Ho fatto la guerra per otto anni dei dodici che ho passato in divisa, ma non ho mai capito per quale ragione si siano
241 sempre e dappertutto sollecitati brutalmente i prigionieri perché si affrettassero a camminare, quando poi essi erano in ogni caso costretti a languire per anni in un campo di concentramento, sempre che avessero avuto la fortuna di sfuggire al plotone di esecuzione. Tutti i guarda-ciurma hanno sempre fretta. Sono stato prigioniero dei tedeschi, dei russi, degli americani, dei danesi, e mi hanno sempre costretto a affrettarmi, anche il giorno in cui mi hanno fottuto fuori dal campo! Ho cominciato a respirare regolarmente solo venti metri dopo la grande porta della mia ultima prigione. Era una cosa straordinaria essere finalmente se stessi! Avevo due sigarette in tasca, arrotolate da me beninteso, ma finalmente avevo il diritto di fumarle quando mi pareva, e senza precipitazione. A Algeri, mi aspettava un'altra caserma, ma laggiù era un'altra cosa, in effetti. Entravo in un mondo senza l'obbligo dei regolamenti, un mondo dove tutti avevano tempo. Perché invece sempre tanta fretta nella vita? Per niente, in fondo. E riflettendo bene, anche ora siamo tutti sempre e solo dei prigionieri. Centinaia di piedi battono sull'asfalto, corrono anche le carrozzelle degli infermi, spinte avanti dai familiari o da amici; dopo gli infermi vengono gli invalidi di guerra (la guerra del '39) sulle loro stampelle, poi donne e bambini. Di fronte a questi miserabili, un'altra colonna grigia, allineata lungo i muri: le SS del Brigadenführer Kaminski. Poi un'altra macchina della polizia con l'altoparlante. « Attenzione, attenzione, abbandonate immediatamente le vostre case. Fra dieci minuti l'intero quartiere verrà distrutto. Tutti i civili renitenti saranno fucilati come partigiani o sabotatori. » Qualche ritardatario esitante si fa avanti e si mescola alla colonna. Già crepitano le fiamme, le esplosioni fanno tremare i muri, i guastatori evidentemente sono già all'opera. Le SS di Dirlewanger trascinano un vecchio istupidito tro-
242 vato nascosto in un granaio, lo tengono per le orecchie, mentre un terzo bruto gli appoggia la canna della sua pistola sulla nuca. « Che porci! » impreca Gregor con orrore. « È per colpa loro che siamo tutti odiati, qui. » Heide prepara il fucile mitragliatore, il legionario le sue granate e sfiora la lama del suo coltello col dito per verificarne il taglio. Io mi caccio le granate nel gambale alto degli scarponi e nella cintura. « È un vero esodo », commenta cupo il Vecchio, contemplando la folla dei piedi che passano davanti al nostro spiraglio di luce. Piedi di tutti i tipi, calzati di sandali, di scarpe fatte su misura, di scarponi di gomma, di mocassini, di vecchie scarpe ordinarie molto usate. Alcuni zoppicano, altri camminano in fretta, e questo dura tutta la notte. La colonna scende lungo l'ampia via Wolska, in direzione del cimitero, che era stato appena ripreso dai tedeschi e dove la brigata Dirlewanger aveva piazzato il suo stato maggiore, nell'interno della cappella di san Nicola. L'altare che serviva da tavolo quasi crollava sotto il peso delle moltissime bottiglie di vodka. Dirlewanger era ubriaco, come il solito. I poveretti in colonna, sempre spinti brutalmente in avanti, scendono lungo i giardinetti del cimitero fino alla Vistola. Lì, dovevano per forza fermarsi; le imprecazioni e le maledizioni dei russi piovevano, di lontano, su di loro. Kaminski si alza in piedi da una macchina anfibio, e urla: «Ammazzateli tutti! Ammazzateli tutti, questi porci! » Dirlewanger arriva sulla sponda affiancato dai suoi sbirri, e i due rivali si squadrano con odio. « Questo è niente in confronto della liquidazione dei partigiani di Minsk », dice Kaminski con fierezza. Il lago di sangue del quale era il responsabile diretto, faceva parlare la cronaca da parecchi mesi.
243 « Senza dubbio sapete che il Reichsführer ha dato ordine di liquidare tutta la popolazione polacca? » « Naturalmente. E ho ricevuto l'ordine di aiutarvi in questo compito. Il Reichsführer non pensa che riusciate a portarlo a termine da solo. » Insieme, i due capi delle SS scendono verso l'argine, dove gli evacuati sono assiepati e stretti come aringhe in un barile. Una lunga fila di autocarri carichi di mitragliatrici è già sul posto. I due nazisti contemplano la folla. « Dopo tutto, che hanno fatto? » chiede Kaminski. « Sono partigiani? » « Sono polacchi », risponde seccamente Dirlewanger. « Che il diavolo ci liberi da tutta questa maledetta razza! » « Certo, certo », consente Kaminski. « Ma io li avrei fatti morire facendo far loro un lavoro immane; una strada di montagna, per esempio. Ne avremmo cavato qualcosa, almeno. » « Criticate gli ordini, allora? » « Se è questo che pensate, il vostro primo dovere è di denunciarmi », sghignazza Kaminski. « State pur certo, in ogni caso, che saprei difendermi. » « Fuoco! » ordina Dirlewanger, furioso. Aveva da sempre un complesso di inferiorità nei riguardi di Kaminski, misto a odio e a invidia; era infatti questi il solo russo divenuto Brigadenführer delle SS. La sua inimmaginabile crudeltà gli conferiva una vera superiorità su tutti. Himmler lo esaltava e lo proteggeva contro tutti i suoi nemici. Un fragore enorme... grida di terrore, uscite da mille bocche, sono sovrastate dal crepitio delle mitragliatrici. Gli uomini di Kaminski si limitano a gridare: « Liquidate tutti i polacchi, non fate prigionieri, radete al suolo Varsavia ». Carrozzelle da bambini, cariche di scorte e involti, scivolano lentamente verso il fiume, che trascina già nella cor-
244 rente molti cadaveri. Un gruppo di uomini si butta verso gli autocarri e si impadronisce di uno di essi, ma la loro vittoria è di breve durata e vengono rapidamente ridotti in poltiglia da un tiro massiccio di granate. Dirlewanger batte sulla spalla di Kaminski : « È ancora il metodo più efficace, credetemi. Lavoriamo insieme, così prima di Natale possiamo presentare un rapporto al Reichsführer, precisando che anche l'ultimo polacco è scomparso dalla faccia della terra ». Quando alla fine le mitragliatrici tacciono, i corpi di alcuni che palpitano ancora vengono inondati di benzina. Tutta la città emana un fortissimo odore di carne bruciata. La mattina dopo, le due brigate d'assalto del generale Michail Karaszevicz-Tokarew-ski riprendono il possesso del cimitero di Wola e il battaglione tedesco per intero cade nelle loro mani. I polacchi, altrettanto sanguinari delle SS, infilzano le teste mozzate sui lampioni, ma Kaminski ripromette a se stesso una vendetta folgorante e atroce. Per tutta la durata del pomeriggio, i prigionieri polacchi vengono appesi a testa in giù, finché lentamente muoiono. L'esercito solleva una protesta indignata che arriva fino alle orecchie del Führer, ma Hitler impone silenzio e per di più decora Kaminski. Nuovo affronto nei confronti di tutti i generali della Wehrmacht. E di colpo, dopo questo fatto, il sadismo delle SS non conosce più limiti. Si saccheggia, si uccide, si violenta, si annegano i prigionieri; la morte lenta per annegamento diventa la loro specialità. Fratellino arriva trascinando un uomo urlante, che butta per terra con violenza davanti a noi : è un Unterscharführer di Dirlewanger. « Guarda un po' », dice Porta. « Una visita di riguardo. Dove l'hai pescato questo pesce? » « In una cantina, sosteneva di essere ferito. » « Non è vero », fa la SS.
245 « Non dire castronerie a Fratellino. Confessa e ti perdoneremo. » Borbottando, Fratellino si toglie di tasca una montagna di orologi d'oro e anelli, in tale quantità che avrebbe potuto riempire la vetrina di un negozio. « Consiglio di guerra immediato », commenta Gregor. « Vigliaccheria e saccheggio. La prova del crimine è evidente. » « Liquidiamolo », ordina il Vecchio, in tono asciutto. « Io farò rapporto e tu firmerai con me, Gregor. » Fratellino si toglie di tasca anche il coltello, ora. « Gli faccio saltar fuori gli occhi dalla testa o lo castro? » Il Vecchio alza la pistola: « Niente sadismi inutili, finché comando io. Questo individuo è condannato a morte. È tutto ». Rimbombano due colpi secchi d'arma da fuoco, ma Fratellino deluso piangerebbe di rabbia. « Tu non sarai mai capace di fare la guerra », grida esasperato al Vecchio, buttandogli addosso il cadavere. Penetrando con cautela in una casa abbandonata nel viale Jerosolimska, troviamo per caso una marmitta ancora piena di fagioli rossi, intatti, rimasti lì non si sa come. Tutti ci buttiamo sul piatto, e li divoriamo anche se sono freddi e coperti di un sottile strato di polvere e di calcinacci. Sono così squisiti, per un soldato perennemente affamato! Silenziosi, sazi, ci raggomitoliamo sul pavimento per dormire uno vicino all'altro come gatti. Ma un violento tiro di batteria ci risveglia di soprassalto, un capitano dei granatieri ci butta fuori dall'edificio ordinandoci di riprendere la centrale elettrica. La battaglia di Varsavia ha così inizio, una battaglia di cui molti conobbero purtroppo i terribili e indimenticabili episodi, e molti altri invece li ignorarono del tutto. Attraversiamo la piazza correndo, il legionario sistema una mina
246 sotto la pesante porta blindata dell'edificio che salta in aria. Il capitano in testa al gruppo lancia i suoi cocktail Molotov. Forziamo le porte, le armi crepitano di piano in piano. In alto, nella cabina di comando, un colonnello polacco in grande uniforme spara senza sosta, quasi automaticamente io vuoto tutto il mio caricatore contro di lui. L'ufficiale barcolla e cade dalla finestra sulla grande ruota d'acciaio che lo ributta in alto in uno scoppio, spaventoso a vedersi, di brandelli di carne. La vista di un intero reggimento Iena polacca ci fa precipitare in un rifugio, vale a dire una grossa buca nella via Wlaska, sbarrata da un grosso omnibus con l'imperiale. Ma quasi subito siamo costretti a abbandonare la protezione dell'omnibus perché è diventato un bersaglio costante di tiri di granate nemiche. I polacchi riprendono nelle loro mani tutto il quartiere. Per due giorni una calma relativa scende su Varsavia, poi l'accerchiamento tedesco comincia a farsi sempre più stretto. Vicino a Magnuszewo, le forze del maresciallo Rokossovskij restano immobili, le armi al piede, e questo fatto permette ai tedeschi di ritirare delle forze molto rilevanti dal fronte russo e trasferirle tutte all'assedio della città. Sette divisioni di carri armati, nove divisioni di fanteria, e numerose unità specializzate, fra le quali quattro reggimenti abilitati alla protezione mimetica mediante cortine di fumo, senza contare poi i battaglioni di guastatori. La sera, due cannoni pesanti vengono piazzati in posizione strategica molto accorta e, ogni dieci minuti, regolarmente, sparano i loro obici da duemiladuecento chili sul centro della città, che si polverizza, lentamente. Contro questo enorme apparato militare, il comandante supremo polacco, generale conte Tadeusz Bor-Komorovski aveva ben poco da opporre. Le sue truppe, già di per sé scarse, sono dotate per la grande maggioranza di armi te-
247 desche, sottratte al nemico. La loro sola arma efficace è la bomba Molotov, a benzina, fabbricata sul posto; una diavoleria che anche un bambino avrebbe potuto escogitare e la cui materia base è a portata di mano. Guai al carro che attraverso la torretta aperta riceve nell'interno una di queste bottiglie! Per mezzo di una fionda fabbricata con residui di auto danneggiate, queste bottiglie vengono gettate contro i punti di appoggio tedeschi e contro i nidi di mitragliatrice. Anche i tubi di gomma per innaffiare diventano lanciafiamme e i barattoli di conserva arrugginiti altrettante bombe a mano; tutto il materiale esplosivo viene ricuperato dalle numerose granate tedesche non esplose. La centrale telefonica di via Zilna è ripresa dai polacchi che buttano dal piano superiore del grande edificio gli occupanti, marinai fucilieri della flottiglia della Vistola. Un particolare singolare ci stupisce distraendoci per un istante da questa carneficina nella quale i particolari normalmente non si percepiscono nemmeno: i marinai che precipitano nel vuoto non perdono durante il volo i loro berretti dai lunghi nastri svolazzanti. I guastatori arrivano in vicinanza della Centrale, trascinando piccole autoblindo contenenti una carica di esplosivo. Divelti i telai metallici delle feritoie a livello della strada dell'immenso edificio, le buttano nell'interno e in pochi secondi tutto il palazzo è sventrato e crolla in una gigantesca nuvola di polvere e di calcinacci. Non uno dei difensori polacchi sopravvive. Coperti dallo strato molto spesso di una cortina di fumo, attacchiamo la prefettura di polizia con il rinforzo di una batteria d'assalto. Unità polacche nell'uniforme mimetica delle SS difendono l'edificio con un coraggio folle, tanto che siamo costretti a fuggire lungo le strade adiacenti, per non cadere nelle mani di questi individui, veri animali da preda. Un'unità con uniforme e piastrina a testa di morto
248 attacca il ministero degli Interni, del quale una parte era ancora occupata da millequattrocento gendarmi tedeschi, uomini di una certa età, senza la minima cognizione della vera essenza di un combattimento su strada, in città. Ci si batte perfino negli uffici, di tavolo in tavolo. Le sezioni tedesche sopravvissute si ritirano a questo punto in direzione della chiesa di Santo Spirito, mentre due compagnie della Sicurezza marciano contro il ministero. Sono soldati al comando di un colonnello russo della brigata Kaminski. I polacchi, ebbri di sangue, li attirano in una trappola e li buttano dalle finestre, trasformati in torce umane. Poi attaccano la chiesa utilizzando le granate paracadutate dagli inglesi. Quello che ancora rimane delle sezioni tedesche si ritira nel campanile. Tre reggimenti di fanteria vengono mandati a soccorrerli ma sono annientati dalle forze polacche al comando del colonnello Karol Ziemski Wachnovski. A questo punto un gruppo di veri kamikaze polacchi penetra nel campanile portando legate sulla schiena cariche di esplosivo. Tutto si sgretola in un frastuono infernale e dei millequattrocento gendarmi tedeschi solo nove ne escono vivi, ma i polacchi li crocifiggono, li innaffiano di benzina e li bruciano vivi. L'Obergruppenführer delle SS von dem Bach Zelewski comanda l'attacco alla baionetta. Dietro le colonne d'assalto vengono le SS di Dirlewanger, armate fino ai denti, decise in modo assoluto a abbattere coloro che in un primo tempo avevano pensato di poter liquidare con sforzo relativo. Ma ancora prima che abbiano raggiunto la grande fontana della piazza Reale, i polacchi rispondono con granate e bottiglie incendiarie. Il panico che ne segue è tale che perfino i famosi uomini di Dirlewanger prendono la fuga. Il colonnello Ziemski Wachnovski dà immediatamente
249 l'ordine di contrattaccare, e i polacchi si lanciano urlando, vere belve, calpestando i feriti con gli scarponi chiodati, seminando il panico fino alle ultime file di retroguardia delle forze tedesche. Simultaneamente, Dirlewanger e Kaminski riprendono in mano le loro truppe. Himmler li aveva minacciati di morte se la città non fosse stata espugnata entro ventiquattr'ore. Le loro due brigate partono all'assalto come veri demoni. Dietro di loro viene l'esercito regolare. La città viene ripresa casa per casa, con terribile difficoltà, a prezzo di innumerevoli vite umane. Qualsiasi persona che non indossi l'uniforme tedesca viene liquidata senza alcun riguardo per l'età, siano neonati o vecchi. Himmler, del resto, non aveva condannato a morte tutto il popolo polacco? A corpo a corpo e con i lanciafiamme. Arriviamo nella piazza Napoleone. All'improvviso sentiamo della musica! Non crediamo alle nostre orecchie... da una casa a nord della piazza stessa ci giungono le note di un pianoforte. È un capitano polacco che suona, dominando quasi il crepitio delle mitragliatrici. Kaminski promette l'avanzamento immediato a chi gli porterà la testa del pianista e un reggimento Dirlewanger attacca l'edificio da tre lati, contemporaneamente, ma una pioggia di granate cade da tutte le finestre. Il colonnello Ziemski Wachnovski butta contro i tedeschi attaccanti tutta la brigata Janislau. Gli uomini di questa brigata portano in capo gli elmetti d'acciaio dipinti di rosso fuoco con l'aquila bianca della bandiera polacca; ma sotto questi elmetti ci sono anche donne, e ragazzi dai diciassette ai vent'anni. « Viva il regno di Polonia! » gridano, rovesciandosi addòsso ai tedeschi sommersi all'improvviso non da truppe regolari ma da plotoni di giovani ebbri di sangue e di lagrime. « Ben fatto », commenta Porta. « Abbiamo voluto cam-
250 minare sulla coda del lupo polacco, che adesso si volta indietro e morde. Ma che il diavolo ci protegga se cadiamo nelle loro mani! Bisogna riconoscere che ce lo siamo meritato. » Proprio in quel preciso momento due ragazze dall'elmetto dipinto di rosso ci compaiono davanti e lanciano contro di noi bottiglie di benzina; siamo costretti a ucciderle prima di ritirarci, buttando dietro le nostre spalle qualche granata. Non conoscono i nostri metodi, queste giovani polacche senza esperienza; d'altra parte occorrono anni di guerra per saper distruggere una posizione, pur continuando a ritirarsi. Noi l'abbiamo imparato a Mosca nel 1941. Le batterie DO diffondono una strana nebbia verde giallo davanti alla brigata Janislau che attacca di nuovo, in forze. Presto, le maschere! Vediamo i polacchi fermarsi d'acchito, portandosi le mani alla gola. « I gas! » gridano, disperati. « I gas! » No, non sono i gas, è un nuovo fumo mimetico, salvo il particolare che le commissioni incaricate di questa ricerca avevano finto di ignorare: ossia che venti minuti consecutivi di questo fumo giallastro sono sufficienti a uccidere un essere umano, e perciò è ovviamente altrettanto letale dei gas. Un istante di calma, e ecco che tornano alla carica come tigri, con l'esplosivo legato direttamente sulla loro schiena. Gli assassini di Kaminski e Dirlewan-ger sono quasi annientati da questo gesto disperato, ma di terribile, atroce esito. A ogni lampione, a ogni angolo di strada pende una testa mozzata, cui sono stati cavati gli occhi. Dappertutto sventola la bandiera polacca dalla grande aquila bianca. Dirlewan-ger e Kaminski fuggono, abbandonando le armi. A Berlino, il Reichsführer risulta molto ammalato, con febbre altissima; Hitler stesso rinuncia a mettersi in contat-
251 to diretto con lui, dal momento che il medico, dottor Kirstein, ha dichiarato Himmler molto grave: collasso di nervi. I patrioti polacchi hanno distrutto ben ottocento carri Tigre e tre divisioni. Il centro della città di Varsavia è nelle loro mani e Himmler, battendo i denti dalla febbre altissima, si alza dal letto per condannare a morte il Gauleiter Fischer, che ha abbandonato la città senza un preciso ordine. Viene fatto trascinare da un Tigre della 3ª divisione di carri Eicke, e quando è finalmente spirato, la sua testa viene mandata a Himmler in una scatola. Il comandante della piazza di Varsavia, generale Rainer Stahel, è ugualmente condannato a morte, ma gli viene concessa la possibilità della grazia se riesce a riprendere il quartiere vecchio della città. Sfortunatamente per lui, cade nelle mani dei polacchi, e serve di ostaggio al momento cruciale delle trattative per la capitolazione di Varsavia. All'alba veniamo attaccati dal corpo di cavalleria Berling, che carica alla sciabola nella via Mokotov. Terminata la prima carica, Porta e io ci alziamo e per evitare di essere sciabolati siamo costretti a attaccarci alle staffe dei cavalli, sperando che i cavalieri ci scambino per compatrioti. « Viva la Polonia! » mi grida un tenente, battendomi una mano sulla spalla. Distruggono un nido di mitragliere tedesche, la schiuma dei cavalli ci inonda, i ferri degli zoccoli degli animali fanno sprizzar scintille sul selciato sassoso della strada, le sciabole rosse di sangue sibilano sopra le nostre teste. « Viva la Polonia! » gridano i cavalieri, spronando i cavalli, e un ulano polacco mi invita a salire in groppa con lui. Eccoci in piazza Pilsudski; corro sempre, aggrappato alle staffe; non avrei mai creduto che un cavallo potesse correre tanto, tuttavia se abbandono la presa sono un uomo finito. Ciò nondimeno, gli ulani polacchi senza saperlo corro-
252 no verso la morte: dall'altro lato della piazza, il reggimento di SS Der Führer ha mimetizzato molto bene le sue mitragliatrici. Fuoco! Cavalli e cavalieri fanno una violenta capriola poi crollano a terra. Un infermiere estrae Porta e me da un cumulo di morti e di animali dilaniati e ritroviamo finalmente la nostra sezione appostata presso le rovine della centrale telefonica. La mattina dopo, sentiamo tutti il cielo fremere sopra la città. Sono i bombardieri Wellington venuti in soccorso, troppo tardi ormai, della alleata Polonia; buttano armi e vettovagliamento, ma solo la decima parte di tutto ciò arriva nelle mani delle truppe del generale Bor-Komorovski. Il resto arriva diretto nelle mani dei tedeschi e dei russi. Di conserva con il 104° reggimento dei granatieri, attacchiamo via Pivna per liberare il bastione nord, il più importante bastione tedesco di Varsavia, che resisteva da più di un mese. Ci corredano di carri armati, di P64, dotati di un nuovo cannone super-lungo, calibro 8,8. « Avanti i carri! » urla il colonnello Hinka, per mezzo della radio. I cingolati scendono lungo la via Pivna. « Distanza trecentocinquanta metri », ordina il Vecchio. « Caricate il cannone con proiettili esplosivi. » « Caricato, sicura tolta », risponde Fratellino. I punti collimano nel congegno di mira. « Fuoco! » Il lungo cannone rincula, il carro si impenna. Un 35 tonnellate è evidentemente troppo leggero per un cannone da 8,8. « Cannone caricato, sicura tolta », grida come un automa Fratellino. La granata parte ma ho evidentemente calcolato male la distanza, e essa esplode lontano dal punto dove era destinata.
253 « Cretino! » mi grida il Vecchio e mi dà una spallata per prendere il mio posto. L'apparecchio per il calcolo della mira gira lentamente, la torretta vira, il grande cannone brandeggia poi si abbassa lentamente. « Cannone caricato, sicura tolta. » L'obiettivo è un fatto che lascia completamente indifferente Fratellino. Per lui, l'arma deve essere caricata, è tutto. Riesce persino a inghiottire una sorsata di vodka e una grossa salsiccia, poi la granata è subito pronta, inserita, e il cannone tuona. « Preso! » grida Porta entusiasta, dando una pacca amichevole al Vecchio. E quest'ultimo ride trionfante; sa manovrare anche un cannone di carro armato. Fratellino lancia i bossoli vuoti attraverso lo sportello della torretta, senza assolutamente preoccuparsi delle granate nemiche che piovono sibilando insieme alle pallottole. « Torretta puntata alle ore due. Quattrocento metri punto d'appoggio nemico. Granata esplosiva. » « Obiettivo ravvisato », grida il Vecchio nel microfono. Il cannone tuona, altro colpo andato a segno. E si ricomincia. Una casa operaia è spazzata via come fosse un fuscello di paglia, ma all'improvviso una fortissima esplosione scuote violentemente il nostro carro. Per qualche secondo si arresta e vibra sul cingolo sinistro, come se stesse per capovolgersi. « Mina magnetica », dice Heide, con angoscia. « Cingolo destro deteriorato. » « Commando di avaria, uscire », ripete come un'eco Porta. « Carro immobilizzato, commando di avaria, uscire. » Fratellino che fa parte del commando di avaria si siede senza batter ciglio per terra e si taglia una grossa fetta di salsiccia. « Commando di avaria, uscire! » gli grida Porta furioso,
254 guardandolo minaccioso. « Se vuoi riparare la carretta, vacci tu », risponde il gigante. « Anche un colibrì mimetizzato si farebbe rasar via di netto il becco, se fosse così coglione da mettersi alla finestra. » Nuovo razzo che scoppia sulla parete blindata frontale e rimbalza su una casa che si squarcia e esplode in un mare di fiamme. Gli altri carri sono inspiegabilmente spariti. Noi siamo costretti a far ruotare a mano la torretta perché ci stanno sparando sulla parte posteriore del carro, e il circuito elettrico è saltato. Nuovo colpo andato a segno, che scoppia sul nostro carro strappandone via tutto l'asse posteriore. In un primo momento crediamo sia un altro razzo magnetico, e in un riflesso condizionato assolutamente idiota, tutti ci abbassiamo nell'interno come per proteggerci. Il carro può nella frazione di solo mezzo secondo diventare un braciere, un carro immobilizzato è fatalmente condannato a morte. « Fate saltare in aria il carro, e uscite », ordina il Vecchio che scompare poi attraverso lo sportello della torretta. Tutti gli sportelli si aprono simultaneamente; la mia ultima visione sono gli scarponi di Heide e di Porta. « A prestissimo! » ride Fratellino mandandomi un bacio prima di saltar fuori anche lui. Tendo il cordone dell'esplosivo inserito sotto lo strumento ottico, mi piego per buttarmi fuori a mia volta, ma con terrore sento di essere bloccato... tutto il mio sangue mi si gela nelle vene... Fra un secondo il carro salterà in aria! Mi dibatto, cerco disperatamente di liberarmi, il soffio di una granata ha fatto richiudere di schianto il portello... sono perduto! Due mani vigorose mi afferrano e mi strappano fuori, all'aperto, dove la pressione dell'aria dovuta allo scoppio del carro mi butta lontano, lungo la strada. Fratellino mi arriva
255 pesantemente addosso. « Pezzo di cretino! L'hai scampata bella! Ma questo forse ti guarirà dalla mania di metterti il cappotto e tenertelo addosso dentro il carro! » Con una compagnia di soldati di fanteria, entriamo nel palazzo Buhl, il vecchio palazzo reale dove ci battiamo a sangue, di sala in sala, distruggendo tante e preziose opere d'arte. Verso le due, il castello è nelle nostre mani. Il silenzio che è piombato quasi all'improvviso dopo tanto frastuono e tanta violenza, ci opprime come una minaccia. Riposo finalmente, in questi appartamenti principeschi; i soldati si distendono su questi letti preziosi, strappando senza riguardi le stoffe pregiate che li ricoprono. Ma già l'indomani gli uomini di Wachnovski ci ricacciano via e siamo costretti a fuggire. Tutta la città formicola di polacchi usciti non si capisce da dove. Siamo costretti a nasconderci in una fogna trasversale a tre metri dal selciato, dove ci sentiamo soffocare dal fetore immondo e dalla melma di rifiuti innominabili. Vi rimaniamo per parecchi giorni, in questo inferno. Per non essere scoperti, e per suggerimento di Porta, attacchiamo un gruppo di partigiani polacchi per impadronirci delle loro divise, e il quarto giorno, finalmente, ci arrischiamo a uscire all'aperto, con gli occhi abbacinati dalla luce dopo quei giorni trascorsi nel buio. Una compagnia di SS Das Reich ci prende con sé e ci fa salire su un Tigre, diretto a via Pivna. Ma questo carro così massiccio e pesante è molto difficile da manovrare nelle strade così anguste del quartiere vecchio, il centro, poi due granate ne dilaniano i cingoli e lo rendono inutilizzabile. « Fate saltare il carro », ordina il Vecchio, uscendo dal veicolo. Un gruppo di lanciafiamme polacco salta fuori proprio contemporaneamente. Ho giusto il tempo di tendere il
256 cordone prima di buttarmi fuori, ma l'esplosivo non scoppia e un Unterscharführer mi minaccia di mandarmi al Consiglio di guerra. « Tornate indietro e fate saltare quel carro. Dovevate controllare bene la carica prima di lasciare il mezzo. » Non c'è alternativa, devo tornare al carro; impossibile non ubbidire. Un Tigre non deve mai cadere nelle mani del nemico, fa parte, insieme con altri congegni, delle armi segrete tedesche. A piccoli balzi, lo raggiungo, coperto da un tiro di sbarramento di Heide, ma vedo che sono preso di mira dai tetti delle case vicine. Scivolo sotto il ventre del mostro e cerco di penetrare nell'interno attraverso il portello sul fondo. È bloccato, niente da fare! Devo per forza passare dalla torretta superiore. Respiro a fondo, lancio una granata fumogena, e penetro nell'interno coperto dalla nebbia artificiale. L'esplosivo è disinnescato e perfettamente a posto, e io tremo di paura nel vedere che il cilindro di vetro è per metà rotto. Il minimo movimento, e tutto salta. Consiglio di guerra o no, prima di tutto non toccare il dannato cilindro. Come un serpente, mi arrampico e esco all'esterno. Sono preso di mira da tutte le parti, ma esiste un pericolo maggiore di un esplosivo inserito nella cassetta delle munizioni? Strisciando arrivo a mettermi al riparo di un balcone sventrato e caduto sul selciato, e da lì decapsulo e lancio due bombe a mano, contro il carro. La prima schizza lontano, ma la seconda fila attraverso la torretta aperta e deve immancabilmente atterrare di fianco al cannone e all'esplosivo. Aspetto... un'eternità. E poi segue un'esplosione che dilania completamente questo Tigre da diciassette tonnellate. Frammenti di acciaio e portelli divelti volano sopra la mia testa e piombano sulle rovine delle case all'intorno. Un inferno di fiamme, tutta la via brucia, il fosforo e la benzina colano nelle cantine; il grande fusto del cannone, lan-
257 ciato come una freccia, si infila nel primo piano di un edificio, dove una sezione tedesca aveva preso da poco posizione. Non so come sono ritornato in me... Nessuno di noi sapeva che il carro era stato caricato di granate a fiamma S. Un maggiore di fanteria arriva come un uragano e si precipita sull'Unterscharführer delle SS, responsabile della distruzione del mostro. Lo vediamo condotto via affiancato da due gendarmi. « Come è stramba la vita », dichiara Porta. « Se tu non avessi fatto saltare quel carretto per ubbidire a una SS, adesso saresti già in strada per Torgau, diretto, sempre che non ti avessero già fucilato sul posto. Se per puro caso, invece, il carro fosse saltato in aria come doveva secondo le regole del gioco, sarebbe toccato al Vecchio di essere in strada per Torgau. Lui avrebbe dovuto sapere quel che la scatoletta conteneva, mentre tu non c'entri per niente, tu sei solo carne da cannone. Ma dato che hai eseguito gli ordini di una SS estranea alla compagnia, eccoci qui tutti bianchi come la neve e fottiamo per di più il Consiglio di guerra. La SS, invece, è fottuta in prigione e si beccherà dodici bei buchini nella pancia perché non è stata capace di starsene tranquilla. Morale della favola: fa' il meno possibile e non cacciarti nelle grane, se vuoi prolungare la tua esistenza, questo è chiaro. » L'attacco continua, ci battiamo ora nel viale Jerosolimska, dove è arrivato anche il battaglione Dirlewanger. Ordine di liquidazione, vale a dire peggio dei cannibali. Himmler ha dato loro carta bianca per il saccheggio e le violazioni di ogni tipo. Infelici le donne che cadono nelle loro mani, essi le uccidono a furia di violentarle brutalmente o le bruciano vive. Lanciano i neonati contro i muri e le loro testoline si rompono come gusci d'uovo. I loro ufficiali si divertono con questo spettacolo. Nella maggior parte dei
258 casi sono ex guardiani di campi di concentramento incriminati per atti di sadismo contro i prigionieri e inviati a Dirlewanger; ma se si tratta di infierire contro i polacchi, questi « eccessi di zelo » sono più che leciti. Il nostro tenente colonnello, fuori di sé, si rivolge al comandante del battaglione SS: « Vi ordino di ritirare le vostre orde di banditi e di criminali! » La SS lo zittisce brutalmente: « Da dove saltate fuori, voi? Ignorate forse che siamo il 3° battaglione della brigata Dirlewanger? E che siamo sotto gli ordini diretti del Reichsführer Himmler? » « Ammazzatelo, Hauptsturm! » grida l'orda di bruti. « È un traditore! » « Farò rapporto », grida di rimando il tenente colonnello. « Datemi immediatamente il vostro libretto militare. » La SS alza le spalle: « Sentirete parlare ancora di me, colonnello, e verrò a cercarvi dove vi troverete in futuro, badate. Heil Hitler! » Respinge brutalmente l'ufficiale con un gesto della mano nella quale è una pistola puntata e scompare alla testa dei suoi banditi. Il tenente colonnello, folle di rabbia, si siede sul gradino di un grosso autocarro per scrivere il suo rapporto, ma un ufficiale dell'ufficio politico si china su di lui e gli bisbiglia qualche cosa all'orecchio. « No! » grida l'ufficiale gesticolando con veemenza. « È un'onta per l'esercito tedesco. Manderò quel mostro al Consiglio di guerra! » L'ufficiale alza le spalle e continua a parlargli. Sentiamo tutti il nome di Himmler. A questo punto il tenente colonnello si alza con una profonda stanchezza sul viso, e sembra invecchiato di vent'anni in pochi secondi. Lentamente strappa il documento che aveva cominciato a scrivere in minutissimi pezzi, che votano via al vento. La vecchia Prus-
259 sia era morta, ormai. Un ex bavarese, ufficiale di polizia, governava ora la Germania, la sua patria: Heinrich Himmler, Reichsführer delle SS, comandante supremo dell'esercito, ministro degli Interni, ministro della Giustizia, capo del Servizio di Sicurezza e della Polizia. Hitler stesso, il Führer, temeva quel piccolo uomo con gli occhiali d'oro e l'uniforme nera. L'attacco continua, come pure i crimini. Gli uomini di Kaminski attaccano i cocktail Molotov sulla schiena dei bambini che poi vengono lanciati come cariche esplosive umane contro i punti d'appoggio polacchi. Lentamente, riprendiamo nelle nostre mani il viale Jerosolimska. Attraverso le finestre, vediamo volare e schiantarsi sulla strada, con dei tonfi sinistri, prigionieri di guerra dagli abiti in fiamme. Le batterie do sparano razzi al fosforo, l'asfalto ribolle, il calore penetra attraverso le nostre suole chiodate, tutto emana un forte odore di bruciato e l'acqua delle fontane è così calda che vi si potrebbe far cuocere un uovo. Via Chlodna è un rogo solo, dove tedeschi e polacchi bruciano insieme con i civili. Nessun essere umano avrebbe potuto fuggire, attraversare quelle pareti di fuoco. Un sergente di stato maggiore infila la testa attraverso lo sfiatatoio della cantina dove ci siamo rintanati per prendere un attimo di respiro. « Allora, fannulloni! » è l'urlo tipico del sottufficiale. « Credete che la pace sia qui all'angolo della strada? E non guardarmi così, cretino! » dice poi rivolto a Fratellino. « Non me la fai a me, sai, porco di un caporale! » Fratellino si guarda bene dal rispondere : è il frutto di una lunga esperienza, una dura esperienza. « Seguitemi! » urla infuriato il sergente con la pistola puntata. Non passa molto tempo prima che il destino ci liberi di lui; lo scoppio di una granata, infatti, lo riduce in poltiglia.
260 Il tenente colonnello che protesta contro i crimini delle SS viene colto da una improvvisa crisi di follia. Si è seduto sulla vera della fontana a Napoleone e canta un salmo con voce lamentosa. Vorremmo portarlo via di lì, ma è impossibile superare il muro di fuoco che circonda tutta la piazza. « Figlioli miei, Gesù è venuto sulla terra per portare la pace. » « È tocco, quello », commenta Porta. « Bisognerebbe condurlo via prima che diventi pericoloso. » Il poveretto si abbandona sulle grosse catene che circondano il monumento, quando la statua di Napoleone, abbattuta da una granata, gli piomba addosso e lo schiaccia. La morte questa volta è stata pietosa, con lui. Per l'ennesima volta, viene dato l'ordine di riprendere il ponte Poniatowski, il ponte principale sulla Vistola verso Praga, e anche questa volta il colonnello Ziemski Wachnovski ci respinge. I suoi uomini si battono come fanatici, per disperazione, e hanno la meglio almeno per il momento. Io ho la testa in una pozza d'acqua, che si tinge di rosso quando i sassi lanciati contro di me mi feriscono di striscio alla nuca; l'acqua mi ha salvato la vita, perché qualsiasi tedesco cada nelle mani dei polacchi viene abbattuto senza pietà o bruciato vivo in mezzo a grida di gioia. Vedo un maggiore che si arrampica verso la fontana a Napoleone, ormai in rovina; i polacchi innaffiano di benzina la fontana, lanciano una granata e il maggiore salta in aria come un delfino che gioca nell'acqua. Durante la notte raggiungiamo via. Krasinski, dove ritroviamo il resto della compagnia; ci viene distribuito un rancio caldo. Il sergente Plack, come tante altre volte, era riuscito a portare fin lì la sua cucina da campo. Che tipo! Dove arriva lui, nessuno riuscirebbe mai a arrivare, è veramente un uomo straordinario. Ha già installato le sue
261 marmitte fumanti e il suo enorme mestolo, ma bisogna sbrigarsi perché una pallottola ne ha forato una e la zuppa cola dal foro. Un quarto di gavetta ciascuno, di che calmare la fame almeno per qualche ora. Arriva una compagnia di guastatori lanciafiamme; gli uomini si buttano per terra, si arrotolano dentro i loro teli da tenda e aspettano nuovi ordini, cercando nel frattempo di riposare. Ma ecco che comincia a piovere a diluvio! In un batter d'occhio siamo tutti fradici. Un'orribile pioggia d'autunno, ghiacciata. Piove, piove! Gregor e io, che siamo di sentinella all'inizio di via Krasinski, comtempliamo in silenzio la statua di Mickiewicz. La pioggia cade a ruscello sull'eroe nazionale e lo rende lucido e brillante. « Chi è questo tipo qui? » chiede Gregor. « Non lo so: un grande polacco evidentemente. Le statue le fanno sempre alla fine di una guerra, quando le ferite sono guarite e le lagrime delle madri sono ormai asciugate. » Silenzio, guardiamo cadere la pioggia, ma l'orecchio è sempre all'erta. I compagni che dormono nelle varie cantine sanno di poter contare sulla nostra costante attenzione al minimo rumore. « Sai », continua Gregor, come se stesse sognando, « mi rendo conto di come la pioggia può essere bella. Non ci avrei mai pensato in tempo di pace. Guarda le gocce di pioggia là, davanti alla statua, come saltano e non una è uguale all'altra. Un vero fuoco d'artificio. Vedi, Sven, bisognerebbe proprio fare un film sulla pioggia; pioggia su una città, pioggia su una strada asfaltata dove corrono delle colonne di macchine che rovinano e sporcano tutte le gocce di pioggia, e pioggia su un campo lavorato a grano. Non c'è niente di più bello di una terra umida di pioggia. Ti ricordi di quando eravamo in Finlandia e pioveva a rovesci sui
262 campi coltivati e sui prati? Perché diavolo i finlandesi hanno voluto fare la guerra? Anche se perdevano qualche stagno o un bosco, ne avevano da vendere ancora, tanti ce n'erano! » « Ci si batte per l'onore », rispondo io, semiaddormentato. « Un paese non dà niente, o piuttosto sì, dà qualche milione di litri di sangue giovane. Così l'onore è salvo. » Gregor si scuote la pioggia di dosso, si toglie gli scarponi e li vuota dell'acqua. « Come sono fradicio, Dio santissimo! Ricordo che cosa me ne ha dette mia madre una volta che da ragazzo sono caduto in uno stagno! Mi ha avvolto in una coperta calda e mi ha riempito di aspirina. Poveretta! Dovrebbe vedermi adesso dopo tutti questi anni di militare; le verrebbe un colpo, ne sono sicuro. » L'immagine della sollecitudine delle nostre madri ci fa sorridere. Come tutto è silenzio intorno a noi! Migliaia di uomini devono ancora morire, polacchi e tedeschi. Ieri era un frastuono infernale, ora tutto tace. Non un colpo di fucile, non uno scoppio di granata; ma una cosa è certa, altri occhi ci spiano proprio come facciamo noi due da qualche ora. All'alba la pioggia cessa. Beninteso si erano dimenticati, guarda caso, di darci il cambio, e questo provoca le solite maledizioni. Una nebbia simile a foschia giallo-grigiastra si alza dalle rovine, la stessa orribile nebbia di Slesia che sale dalle paludi. Si srotola come un tappeto su tutta la via Lazienkowska e accelera l'agonia dei feriti che giacciono in mezzo alle rovine della chiesa di Sant'Alessandro. Dalla nostra postazione, vediamo tre morti: un tedesco e due polacchi. Il polacco buttato sui reticolati, il tedesco su una cassa di frutta tutta arrossata del suo sangue, l'altro polac-
263 co in una buca di granata con la testa mozzata, da un lato. Si sono uccisi l'un l'altro, quei tre. Il tedesco tiene stretta ancora fra le mani la sua 08. Questa sera stessa, quei cadaveri si saranno gonfiati, saranno diventati bluastri e rimarranno lì diversi giorni ancora finché, nel prossimo attacco, qualche soldato li urterà o li calpesterà. Allora esploderanno di schianto e tutta la loro carne e i visceri in putrefazione verranno allo scoperto. Sono ancora fortunate le madri che non possono vedere come i loro figli muoiono per la patria. Non oso confessare i miei pensieri a Gregor, andrebbe a riferirli agli altri che mi prenderebbero per un pazzo o peggio per un bambino. Questi tre morti, agli occhi dei vecchi soldati del fronte, equivalgono a delle mosche morte e forse anch'io dovrei considerarli come tali. La guerra vi rende come corazzati alle emozioni e bisogna pur sopravvivere. I migliori muoiono, quelli che ne escono sono i duri, i forti. Verso mezzogiorno, finalmente ci danno il cambio. Arrivano tre motociclisti del 104° di pessimo umore, esasperati contro la guerra, che imprecano in blocco contro il partito, il Führer, gli inglesi, gli americani, in breve tutto il mondo in blocco, ivi compreso il semitismo internazionale. Li lasciamo al nostro posto con tanti auguri di lunga vita serena, ai quali ci viene risposto con una sequela di improperi, e ci buttiamo sfiniti in una cantina, vicino ai nostri camerati che anch'essi imprecano contro di noi. Li abbiamo svegliati infatti, avremmo fatto meglio a andare a dormire altrove... come è prezioso il sonno durante la guerra! Sarebbe tutto meno terribile se potessimo avere almeno una notte intera di sonno ogni settimana, e non avremmo neanche bisogno di un vero letto. Perché infatti un letto, per un soldato? Ci basterebbe un angolo tranquillo, la custodia della maschera antigas come cuscino, il cappotto come coperta,
264 che paradiso sarebbe! Mi insinuo tra Fratellino e Porta. È un'impresa ardua ma alla fine ci riesco e mi sistemo alla meno peggio. Non si è soltanto al caldo, vicino a loro, ma anche al sicuro contro ogni rischio, è stato sempre il mio posto, ormai definitivamente acquisito, non essendo né molto grosso né robusto come loro due. Questa volta, brontolando, mi lasciano fare come sempre, promettendomi in ogni caso una bella battuta il giorno dopo. La notte scorre tranquilla finché il rumore tipico della cucina da campo che è appena giunta e sta preparando qualcosa, mi sveglia. E di colpo, sento che ho una fame tremenda, che lo stomaco stuzzicato dal profumo mi duole e mi segnala con prepotenza che da troppo tempo è a digiuno. Mi alzo, riesco a prendere qualche pidocchio e qualche pulce nella speranza di dissuaderli a vivermi addosso, e già Porta e Fratellino sono pronti, in piedi, armati di gavetta e di un sacco da riempire, nel caso più fortunato, di altre vettovaglie. Hanno deciso di andar a vedere se trovano qualche altra cosa di commestibile nei dintorni. Potrei scommettere quel che voglio che riusciranno a trovarne. Tutti e due si armano fino ai denti e non dimenticano il filo di ferro a nodo scorsoio, questo sicuro strumento di morte silenzioso, che ciascuno di noi ha sempre pronto nella tasca. « Vieni, andiamo », dice Porta con impazienza, spingendo l'amico verso la scala della cantina. « Dobbiamo arrivare ai negozi per primi, altrimenti non possiamo scegliere bene. » Porta appartiene a quel tipo di persone che nella loro vita riescono, quasi per natura, a attirare a sé quanto può essere utile e prezioso in ogni circostanza. Un tipo d'uomo che esiste in ogni esercito di tutto il mondo. Si potrebbe mettere Porta solo e nudo su una zattera nel bel mezzo dell'Atlantico, e si può ugualmente essere certi che di lì a
265 due ore riapparirebbe perfettamente tranquillo con un maialino da latte arrostito e innaffiato debitamente di vino bianco. Nel caso che qualcuno gli chiedesse deve abbia trovato il suddetto maialino, risponderebbe senza ombra di dubbio : « Se un navigatore ebreo è riuscito a scoprire l'America, non vedo perché un caporale prussiano non possa fare una cosa così semplice come questa ». Sono infatti partiti da più di due ore, quando li vediamo riapparirci davanti con la metà di un grosso maiale; ma cosa molto strana, invece di raccontare la loro avventura come fanno di solito, possibilmente accrescendone i particolari ovviamente inventati di sana pianta, una specie di singolare stupore li rende quasi muti. « Mica possibile! » ripete Porta senza sosta. « Mica possibile! » « Che cosa non è possibile, allora? » chiede alla fine il Vecchio, infastidito. « Dorn! » grida Porta. « Capisci? Il sergente maggiore Dorn! Il terrore di Torgau! È qui, a Varsavia, con un elmetto nuovo fiammante e stivali da cavalleria, quel bestione! Che mostro! » « Dorn! » mormora Gregor stupefatto. « Te lo immagini? Il sergente maggiore Dorn, il seviziatore di Torgau, a Varsavia? Allora vuol dire che tutto è fottuto, ormai. Nemmeno Stalin e Hitler sarebbero riusciti a mandarlo al fronte. È impossibile, avete visto male, voi due. » « Non è vero », risponde Fratellino, con gli occhi fissi. « L'ho visto proprio nel momento in cui stavamo rubando il maiale. Voltava l'angolo di una strada con il suo ' cappello ' d'acciaio e la sua P38 sulla pancia. Marciava come fa sempre, uno-due, uno-due. Anche un guercio l'avrebbe riconosciuto, con la sua gamba più corta dell'altra. Potete essere sicuri che riuscirà a beccarci. » «Non si può sbagliare, con un simile porco», assicura a
266 sua volta Porta. « È impossibile che di tipi merdosi come lui ne esista un altro. Adesso capisco perché portava sempre una bustina sulla testa durante le esecuzioni: il condannato avrebbe anticipato il plotone, e sarebbe morto schiantato dal ridere alla vista di un Dorn con l'elmetto! » « Che venga pure qui, che gli diremo subito due belle paroline », dice Fratellino, felice alla sola idea di uno spasso simile. « E perché poi dovrebbe venire qui? » chiede il Vecchio. « La pappa è fatta, ormai. Prima di tutto ci detesta, e poi noi siamo un punto strategico, in questa cantina. Quando l'ho lasciato, a Torgau, quel porco mi ha detto : ' Caporale Creutzfeldt, pezzo di mascalzone, ci rivedremo noi due, e in un posto che tu certo non t'immagini! ' Ebbene, aveva proprio ragione. Non avrei potuto mai sognare un incontro più bello e divertente di questo! » Per un po' tutti si divertono a imitare Dorn. Il legionario che si drappeggia nel suo cappotto, Heide che cammina ancheggiando sulle ginocchia, persino il Vecchio che declama con le mani giunte dietro la schiena, in tono di superiorità: « I sergenti che devono andare al patibolo si presentino in divisa con gli scarponi, la truppa si presenti in scarpe da ginnastica con le calze corte sopra i pantaloni, ma devono essere le calze regolamentari, naturalmente. Essere impiccati in una prigione militare è una cosa che i civili non possono capire... » Tutti avevano ricordi indelebili dei crimini di Dorn, il sergente maggiore più odiato di tutto l'esercito germanico, un vero mostro. Migliaia di soldati che in questo momento combattono senza speranza nelle foreste della Cardia e nel Mediterraneo, salterebbero di gioia se sapessero che Dorn è al fronte. Dimentichiamo la pioggia e la fame che ci attanaglia, pensando a Dorn. « Che cosa facciamo, se lo vediamo? » chiede a un tratto
267 Gregor. Questa domanda è una doccia fredda sulla nostra allegria. In fin dei conti è un sergente di stato maggiore e può fregarci, se vuole. « Lo anneghiamo nella piscia », propone Fratellino, senza pensare alle difficoltà materiali di realizzare una cosa di questo tipo. « Gli fottiamo una granata nel culo e... » Nello stesso istante, sentiamo risuonare sulle scale dei passi pesanti, e vediamo Dorn, in una uniforme sgargiante, fare il suo ingresso nella nostra cantina. Un grande mantello da cavalleria, sul petto una lunga bandoliera di artiglieria, la mano sinistra posata, come sua abitudine, sulla custodia della pistola. Aveva l'espressione che tutti noi conoscevamo molto bene; quella della vigilia di un'esecuzione a Torgau: occhi sottili quasi chiusi e mento in avanti. Lo guardiamo sorridendo, molto perplessi sul modo di come comportarci. « Oh, vecchi clienti di Torgau, a quanto vedo! » dice, accarezzando la pistola. « E allora, come va? » Un silenzio assoluto segue la frase interrogativa di lui. Si innervosisce, naturalmente, stringe ancor più le palpebre e fa sporgere ancor più il mento, sempre che questo sia possibile. « A rapporto! » grida minaccioso, molleggiandosi sulle ginocchia a gambe divaricate e facendo tintinnare gli speroni. Sapevamo tutti che il solo cavallo che aveva mai visto in vita sua, era il vecchio ronzino che a Torgau trasportava le immondizie. « Il caporale di stato maggiore a rapporto dichiara che piove », sghignazza Gregor, restando disteso sulla schiena, con le mani dietro la nuca. « Dichiara anche a rapporto che siamo tutti bagnati dalla testa ai piedi. »
268 « Sottufficiale Martin », replica Dorn, con una certa esitazione tuttavia. « Avete dimenticato come ci si comporta alla presenza di un superiore? » « Io no, e tu? » gli chiede di rimando e con palese insolenza Gregor, appoggiandosi a un gomito. Dorn tace per qualche minuto, poi si irrigidisce e nessuno di noi avrebbe mai pensato che un uomo potesse diventare così paonazzo. « Sono sergente di stato maggiore! Mettetevi sull'attenti, cani bastardi che siete! Non vedete che sono sergente di stato maggiore, ho detto? » Gregor si alza con estrema lentezza e si china poi su Dorn. « Per la Santa Madre di Kazan'I Lo vedo bene che sei sergente e che hai ben tre stellette. Posso almeno toccarti con un dito per vedere se è vero, caro camerata? » « Sapete benissimo chi sono! Libretto militare, immediatamente. È il palo che vi aspetta, badate. » « Karl Dorn », riprende Gregor, « non ti rendi conto che ci rompi i coglioni? La guerra è fottuta, tu ti tieni aggrappato all'ultima barca di salvataggio, ma colerai a picco, te lo dico io. E non andare fuori dei gangheri, per favore, che non siamo più a Torgau. » « Voialtri qui, è un ordine, arrestate subito quest'uomo! » « Ma neanche per sogno », risponde Porta dal suo angolo. « Ah, siete voi, caporale Porta », grida Dorn, leggermente inquieto. Detestava Porta, e molto spesso si era augurato la sua morte. « Tu speravi che sarei stato impiccato da qualche parte a quest'ora, vero? Ma è molto raro che i nostri desideri vengano esauditi dal destino. Karl Dorn, tu sei l'ultimo della razza dei maiali, e io ho qui in tasca una bella pallottola,
269 fatta su misura per la tua grassa nuca. » « Caporale Porta... » « Caporale di stato maggiore, prego. Ma guafda che non conosce nemmeno più i gradi! » È Fratellino che esclama questa frase scoppiando a ridere, con la sua immancabile bombetta grigia cacciata sulla fronte. Era talmente tanto tempo che sognava quest'incontro. « Ah, Creutzfeldt », dice Karl Dorn, con un certo sollievo. Finalmente un imbecille che avrebbe potuto trattare alla sua maniera prussiana, ma anche questa volta sbaglia. Fratellino nel frattempo era stato troppò a lungo al fronte per lasciarsi intimidire proprio ora da un Dorn. « Che cosa ti è successo, Karl? Ti hanno fottuto fuori? Non fidarti mai dei prussiani. Credimi, so quello che dico, Karl. » « Sull'attenti, cane », risponde Dorn, quasi scoppiando dal furore. « Non vedete chi sono, perdio? » « E come no, ma certo! Sei un vecchio uccello raggrinzito che va in giro vestito di stracci presi a prestito. E ti dico con tutto il cuore va' a farti fotte-re. Sai il tempo che avevo voglia di dirtelo. » Tutta la cantina rimbomba di uno scoppio di risate, persino i due prigionieri polacchi ridono. Dorn se la cava uscendo di furia e correndo su per le scale. Una volta tornata la calma, cerchiamo di esaminare la situazione con una certa serietà. Quel bruto è purtroppo sergente di stato maggiore, e non può non avere una certa autorità. « Sarebbe meglio sparire », propone il Vecchio molto inquieto. « È meglio che non vi becchino quando la faccenda è ancora calda. La vostra insolenza potrebbe anche costarvi la testa. » « Non oserebbe accusarci. »
270 « Figurati! Certo che può e, con molta fortuna, potrebbe anche ridursi a un bel periodo di carcere duro, fortezza almeno; siamo ancora agli ordini di Himmler e se vi arrestano subito, vi mettono al palo, di sicuro, non dimenticate che Varsavia è in stato d'assedio. » « Allora tagliamo la corda! E vediamo come si mette la faccenda. Certo che rischiare la propria vita per aver detto delle sacrosante verità a un farabutto! Julius, il tuo Führer è un culo. » Spariscono lungo la via Krochmalna, portandosi dietro il loro mezzo maiale. Noi, naturalmente, malediciamo quel dannato di Dorn, più che mai ora che non possiamo che masticare delle croste di pane secco. I nostri tre amici sono appena scomparsi, quando vediamo arrivare il nostro tenente Lowe, affiancato da Dorn, da Hofmann e da tre gendarmi. « Signor tenente », il Vecchio si mette sull'attenti. « Qui il punto d'appoggio comandato. Sette presenti. Inviato in un altro settore il sottufficiale... » « Bene, bene, Beier », lo interrompe Lowe. « Dove sono Creutzfeldt, Porta e Martin? » « A rapporto. Sono stati inviati a sostegno dei guastatori lanciafiamme. » « Menzogna! » urla Dorn. « Moderate il vostro eloquio, sergente di stato maggiore. » Il legionario non resiste alla tentazione e fa quel gesto tipico, ormai internazionalmente noto, e con un significato ben preciso. « Signor tenente », balbetta Dorn, « il sottufficiale Kalb diffama il mio onore di soldato. Chiedo che venga messo a verbale. Il signor tenente ha visto il gesto di questo soldato africano? » « Non ho visto né sentito niente », interviene Hofmann,
271 allontanandosi dal collega. Le sue labbra sono strette come un tratto sottile e i suoi occhi sono piccole fessure. È l'incarnazione del sergente maggiore dell'esercito germanico. Dorn è diventato una nullità, e il solo problema è di allontanarlo dalla compagnia al più presto. « Forse vi dà di volta il cervello, sergente? » gli chiede Lowe in tono molto duro. « Arrivate come una furia, mettendo a rapporto che vi è un ammutinamento e ora fate passare come un attentato al vostro onore di soldato un gesto che nessuno di noi ha notato. Il vostro rapporto non viene accolto, e fate che la cosa non si ripeta, chiaro? Beier», dice poi, rivolgendosi al Vecchio, « quando i vostri tre uomini ritorneranno alla compagnia, si presentino subito da me. » « Non mi conoscete ancora, maiali, sporchi ebrei! » sibila Dorn, uscendo furioso dalla cantina. « Ma che almeno il diavolo vi protegga in quel momento! Vedretel » I tre amici fanno ritorno soltanto la mattina dopo, e si prendono contriti una bella lavata di capo. I mostri del tipo di Dorn, in ogni caso, non hanno mai avuto il minimo credito presso Lòwe.
272 « Là dove combatteremo, ognuno sappia che uccidere un uomo ha la stessa importanza per noi che uccidere una bestia. Ma è l'unico mezzo per conseguire il potere assoluto. » Discorso di Himmler alle Commissioni straniere delle SS
La carenza di strutturazione militare del sedicente tenente colonnello Oskar Dirlewanger e quella dell'istitutore ucraino Miczyslav Kaminski venivano compensate da una inimmaginabile rivalità in fatto di crudeltà bestiali e folli. Dando alle fiamme e assassinando senza discriminazione come selvaggi, le brigate delle SS di questi due filibustieri avanzavano verso il centro della città di Varsavia. Tutto quel che veniva a trovarsi sul loro cammino, fossero polacchi o tedeschi dell'esercito regolare, veniva sterminalo in modo assoluto e definitivo. Due piramidi di teste mozzate designavano il luogo dove aveva sede il Quartier Generale di Kaminski. Dirlewanger collezionava invece le mani, tagliate di netto. Disgustato da tanto orrore, il generale Hans Guderian, generale di brigata dell'esercito, protestò presso Hitler e pretese non solo che venissero immediatamente ritirate dalla piazza di Varsavia le brigate delle SS, ma altresì che comparissero dinanzi al Consiglio di guerra i loro due capi. In caso contrario, il generale Guderian minacciò di dare le dimissioni e di rinunciare al proprio grado seduta stante. Il comandante della brigata delle SS, Fegerlein, parente di Eva Braun, la ninfa egeria di Hitler, inviò un rapporto al Führer in cui dichiarava che i sadici e i banditi reclutati da Dirlewanger e da Kaminski erano tutti criminali, rei di reati comuni, e che le loro gesta orrende superavano di gran lunga in orrore, quanto era stato mai visto durante tutte le precedenti guerre. Se non si metteva fine a questo stato di cose, questi crimini avrebbero costituito una macchia sull'onore dell'inte-
273 ro esercito germanico, che nessuna resipiscenza futura avrebbe mai potuto lavare. A malincuore, Hitler acconsentì e ordinò a Himmler di ritirare le due brigate che avrebbero dovuto essere sostituite da una divisione di Waffen SS regolare. Soltanto allora, il generale Bor-Komorovski, comandante supremo polacco, accettò di capitolare. Ma Himmler mantenne segretamente ai suoi ordini le due brigate sotto causa. L'ufficiale delle SS Morgen, incaricato dal Consiglio di guerra di effettuare un'inchiesta molto approfondita sui precedenti di Kaminski e di Dirlewanger, scomparve misteriosamente senza lasciare traccia di sé. Il 23 dicembre 1944 una pallottola, sparata senza alcun dubbio per ordine di Himmler, uccise Kaminski, che era divenuto un testimonio estremamente imbarazzante. Quanto a Dirlewanger, venne catturato alla fine di febbraio del 1945 dai partigiani polacchi, che lo bruciarono a fuoco lento.
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LA CORSA DEI GATTI Chi fosse passato davanti al teatro Krasinski avrebbe potuto vederci tutti schierati davanti a un manifesto che raffigura delle splendide ragazze quasi completamente nude. Sono ragazze talmente splendide e piccanti che noi tutti ne restiamo come abbacinati. « Credo proprio che una ragazza come questa mi farebbe dimenticare seduta stante la santa missione del partito nazista », dichiara solennemente Heide. Dopo una lunga pausa di silenzio, si mette sull'attenti. « Heil Hitler! » Questa frase per Heide equivale a un segno della croce. Porta compare in questo momento, arrivando di corsa da via Lazienkowska. « Guardate un po' che cosa ho trovato! » E mostra due gattini miagolanti che tiene per il collo. « Una volta tanto non ho fame, guarda che caso », commenta Fratellino. « Ammazzali e vendili alle SS facendoli passare per conigli. Loro non hanno ricevuto il rancio da due giorni! » « Ma tu sei matto! Un gatto non è come una qualsiasi lepre in salmi, vale tant'oro quanto pesa. Due gatti da corsa che possono farci diventare da un'ora all'altra persone di riguardo, salutate con rispetto magari anche da Ivan stesso. Li ho visti poco fa in due corse di allenamento e si metteva brutta per gli altri, ve lo dico io! » « Imbecillità », replica il Vecchio. « Tutti sanno che i gatti fanno quel che gli passa per la testa. Non rischierei un centesimo su queste palle di pelo. » « E faresti malissimo. Adesso gli caccio un po' di pepe nel culo, e vedrai come filano. È stata un'idea dei motociclisti, mica mia, per la verità. Il grigio ha battuto tutti i record in una corsa sui cinquecento metri piani. Roba da far venire
275 un colpo apoplettico a una lepre. Una corsa di gatti, ecco una idea proprio splendida. » Agli ordini di Porta, tutti si mettono al lavoro. Si tratta di costruire una pista per una corsa di gatti, nel parco, dalla parte opposta alla statua di Napoleone, in un punto dove per qualche misteriosa ragione regna una relativa pace. Solo dal luogo dove si trova il grande serbatoio di combustibile, sentiamo di tanto in tanto risuonare colpi d'arma da fuoco, ma i lampi di chiarore che illuminano le lenti dei nostri binocoli provengono da molto lontano, da un punto diverso dove evidentemente anche altri si interessano alla nostra gara. Porta perfeziona l'idea dei motociclisti. Nell'interno di vecchi barattoli di conserva, attaccati alla coda degli animali, mettiamo della polvere da sparo alla quale diamo fuoco. Naturalmente i poveri gatti partono a razzo, senza nemmeno chiedere, come si suol dire, il resto! Le poste in gioco si rivelano gradualmente sempre più alte. La notizia del gioco si propaga, e arrivano molti camerati che vogliono parteciparvi, tanto che si arriva a giocare anche il denaro destinato ai rimasti a casa. Ma a un certo momento, non si sa perché, i due gatti scappano via e non si fanno più vedere, a dispetto delle aringhe affumicate che gli abbiamo fatto annusare. « Anche noi dovremmo avere la stessa testa ostinata e il senso di indipendenza dei gatti. Sarebbe molto difficile arrivare a dichiarare una guerra. » Bisogna così inventare un'altra cosa; permettere, per esempio, al pubblico che assiste di mettere in lizza i propri gatti. Ma l'iscrizione è molto cara: mille marchi tedeschi o quattromila zloty, per « ogni cavallo da corsa ». Solo dei ricconi come Porta possono possedere un « cavallo proprio », naturalmente. Trasformiamo così tutto il parco centrale in pista da corsa, completa di ostacoli difficilissimi e raffi-
276 nati. I gatti vengono dipinti a colori differenti, salvo i gatti delle SS, che ovviamente restano neri. Porta ne possiede uno tutto bianco cui incolla sulla fronte una stella rossa fluorescente, e questo gli vale una predizione maligna per la quale finirà, lui e i suoi gatti, nientemeno che a Dachau. L'animale di proprietà comune di Fratellino e Gregor è la bestia più immonda che si possa immaginare e merita in tutti i sensi la malignità per cui era stato subito soprannominato Adolf. Pronti, alla corsa! Il legionario dà il via, colpendo con un pugno la custodia della sua maschera antigas. Come soldato di origine internazionale, e quindi teoricamente neutrale, tocca a lui dare l'ordine di partenza. La polvere esplode sulla coda di ben trentotto gatti che filano come saette verso il primo ostacolo, decisamente astuto e complicato, e che solo le bestie intelligenti sarebbero state in grado di superare. Tutti si arrendono, bisogna riconoscerlo, salvo Smil di Porta e Adolf di Fratellino. Questi due filano a piena velocità verso il secondo ostacolo, il più rischioso: vi era stato messo vicino un poco di paté di fegato.d'oca che avrebbe arrestato anche il gatto più sazio di cibo. Adolf inghiotte in un solo boccone il suo pàté, Smil si dimostra più equilibrato e calmo, ma subito dopo si distende per terra per una breve siesta. Adolf prosegue, ma dopo pochi metri si ferma a sua volta per leccarsi le zampe. « Cammina, cammina, figlio di un cane! » urla Porta, paonazzo. Le imprecazioni di Porta fanno il loro effetto e Smil riparte, supera il terzo ostacolo e per un soffio arriva al traguardo prima del gatto degli artiglieri. Come sempre, Porta incassa una vera fortuna e decora Smil con la propria croce di ferro di prima classe. Ora una vera folla si è formata davanti alla pista, sui volti
277 sporchi dei soldati si legge chiara la speranza di ogni singolo giocatore. L'entusiasmo è al suo culmine quando Smil viene presentato alla folla e passa di braccio in braccio. « Quinta corsa! » grida il legionario. « Le lepri vengano portate tutte alla partenza! » Un gruppo di paracadutisti si mette a litigare con vociante veemenza per decidere quale dei loro due gatti avrebbe dovuto partecipare alla corsa. Le bestemmie piovono da tutte le parti e la faccenda si calma solo quando due soldati, con una ferita di coltello nel ventre, vengono trasportati d'urgenza all'ambulanza da campo. Un gatto color arancio viene destinato a partire, un grossissimo gatto italiano che veniva da Montecassino. Dato che l'animale ha sangue napoletano nelle vene, nessuno dubita della vittoria di questo mezzo sangue semiselvaggio. Il proprietario dell'animale, un grosso sottufficiale paracadutista che ha le tasche piene di sardine putride, è un uomo e un soldato molto « duro », che sarebbe capace di uccidere un suo simile senza un'ombra di incertezza, ma che adora il suo gatto. Come sono strani e incoerenti i soldati, quando arrivi a conoscerli bene! Ho incontrato una volta un caporale che teneva come mascotte un rospo, un orrore di rospo grigio azzurro. Quando il suo padrone mangiava, questo se ne stava vicino a lui, facendo sentire a tutti il suo strano grido, tanto particolare. Il caporale lo portava sempre con sé, dentro la sacca destinata alle cartucce, che era invece piena di foglie umide. Un motociclista russo è stato catturato da noi e aveva con sé un topo di fogna nero, suo amico personale. Il russo divideva il suo magro pasto con lui e non mangiava se non quando il suo compagno era evidentemente già sazio. Lo credereste? Liberammo il prigioniero proprio per via del topo! Sarebbe morto se gli avessero tolto quell'animaletto, e ovviamente sarebbe stata la prima cosa che gli sarebbe successa, una volta arrivato a un campo di concentramento.
278 Naturalmente, i nostri gatti sono drogati. Lo Smil di Porta è tutto eccitato dopo una o due sigarette oppiate. Due trombettieri dell'artiglieria suonano lo squillo della partenza. « Via! » La polvere da sparo esplode e i gatti partono come razzi, proprio come se avessero il fuoco sul sedere, e infatti è così. Una palla di pelo dipinta si precipita sul primo ostacolo. Proibizione di incoraggiare con grida i corridori, che saranno retrocessi di almeno due lunghezze, per tale infrazione al regolamento della gara. Adolf è in testa. Fratellino e Gregor fremono di eccitazione, e lo nominano addirittura tenente carrista, ma, arrivato a un ostacolo, il gatto si ferma di scatto: Adolf cade in estasi davanti ai brandelli di un giornale del fronte. « Non leggere quelle castronerie! » gli urla Fratellino fuori di sé. « È tutta propaganda nazista, e basta! Adolf, porti un nome storico, comportati bene almeno tu, Dio santissimo! » Ma Adolf, molto graziosamente per la verità, continua a giocare con le zampette con i pezzi di quell'idiota di un giornale. « Alto tradimento! » grida Heide. « Ti avviso che può costarti la testa l'aver dato il nome del Führer a un gatto. E per di più un gatto che deve essere mezzo polacco e mezzo ebreo! » Adolf è sempre in. trance. Come una danzatrice, e come solo un gatto può fare, mordicchia i frammenti del giornale e gioca con essi allegramente. ' « Fila! » urla Porta. «Altrimenti sei morto. » E toglie di tasca la pistola. O per la pistola puntata o per altre ragioni misteriose, Adolf ha cambiato idea, finalmente; eccolo che parte, e veloce come una freccia raggiunge gli altri corridori proprio davanti alla sponda. Si butta nell'acqua e fradicio come un
279 topo di fogna arriva sull'altra riva. Nuovo ostacolo: una bomba illuminante talmente violenta che una povera gatta, presa di sorpresa, cade a terra morta o perlomeno svenuta. Anche questa volta Adolf si ferma, annusa la gatta dipinta di verde, e si mette tranquillamente in posa per sfogare i suoi bisogni. « Sbrigati! » ruggisce Fratellino. « Pisciare in servizio non è regolamentare! » Adolf se ne infischia, evidentemente; riparte, ma si precipita addosso al gatto dei cavalieri motorizzati e lo morde al collo. Il proprietario del ferito, un caporale, esige un compenso per danni e insiste perché Adolf sia incriminato presso il Consiglio di guerra. Ma Adolf è già di nuovo in pista e già lontano, con il gatto color arancio dei paracadutisti che lo tallona da molto vicino. Gregor è senza fiato, Porta è al limite di una crisi di nervi vedendo il suo Smil che si è disteso tranquillamente su un prato per farsi un bel sonno. Questo tipo di vita è evidentemente troppo stressante per un gatto, e infatti si è acciambellato con il piccolo muso tra le zampe per riposare. Due soldati, che sembrano mezzo impazziti, gesticolano attorno a Porta; saranno rovinati- se Smil non si sveglia. Per fortuna, come tutti i gatti del resto, Smil cambia improvvisamente idea, si sveglia e si alza con una serie di movimenti solenni. « Non perde un'occasione per farla lunga, il maledetto », grida Porta. « Finita la corsa prenderà uno di quei calci nel culo che arriverà diretto davanti alla Cancelleria del Reich a Berlino! » Smil si rimette in corsa con tutto suo comodo, la coda alzata come una bandiera. Ogni tanto si ferma e si strofina contro il grigliato che lo separa dalla gatta bianca degli infermieri, la quale fa le fusa con aria di palese superiorità. Adolf, completamente sedotto, la guarda attraverso il grigliato, con amore, senza preoccuparsi minimamente degli
280 improperi di Fratellino. Quanto alla gatta, ha qualche mossa del tutto simile a quelle di una diva, e sembra che aspetti solo l'arrivo dei fotografi. Adolf ora si rotola per terra e miagola. Smil, ovviamente imbarazzato e sentendosi di troppo, parte di galoppo e supera il gatto dei ciclisti che, purtroppo per lui, non è più così giovane : è evidente che la sua carrie ra è in declino, da corridore passerà al ruolo di spettatore. Per quanto riguarda la gatta bianca, si comporta in modo assolutamente indecente: offre il suo bianco sedere, esibisce le ricchezze che la natura le ha dato, davanti a tutti i maschi seduti in fila, a occhi aperti su di lei. « Una vera puttana! » dice Porta con disprezzo. « Degna di un bordello arabo, non certo di più. » Dopo essersi leccata il didietro con molta cura, la gatta si decide finalmente a filare verso il traguardo, seguita da tutti i maschi: ventisei gatti innamorati. Impossibile dire chi arriverà per primo. Purtroppo la gatta scova una piccola fessura nel terreno della pista e vediamo la sua coda sparire davanti a tutti i suoi maschi che le facevano da seguito e ora rimangono tristemente delusi. Solo dopo un segnale di partenza rumorosissimo, si decidono a dimenticare almeno temporaneamente la gatta e a correre di nuovo veloci. Lo Smil di Porta guadagna terreno e vince la gara, mentre Adolf arriva solo terzo dato che durante il tragitto finale ha trovato il tempo di battersi e di mozzare la coda al gatto dei guastatori. Decisamente il nome che gli è stato affibbiato è perfettamente adatto al tipo. I guastatori quasi piangono: il loro gatto è arrivato ultimo e le loro maledizioni ci piovono addosso senza discriminazione; ci augurano come minimo di finire nelle miniere di piombo. Terminata la ricreazione, bisogna tornare alla dura realtà, dato che questa notte siamo di servizio: raccogliere i feriti e seppellire i morti. I feriti li trasportiamo alle ambu-
281 lanze installate nel quartiere di Sadyba, i morti li seppelliamo allineati nelle fosse comuni. La grande maggioranza, purtroppo, è irriconoscibile; con una gronda divelta, trovata fra le rovine e sistemata alla meno peggio, li facciamo scivolare dentro la fossa dove uno di noi, a turno, li accoglie. I morti recenti non sono così orribili a vedersi, lo sono invece quelli che ritroviamo nelle cantine, morti da qualche giorno e ormai gonfiati e verdastri. Bisogna fare molta attenzione nel maneggiarli, altrimenti scoppiano nelle nostre mani, e inzaccherati da questo putridume puzzeremmo orribilmente per intere settimane. Tutta la giornata trascorre così, finché ci viene dato il cambio da una compagnia di guastatori, ma anche se siamo morti di fatica non riusciamo a ritrovare il sonno. Ci sediamo sui relitti di un ponte sventrato e ce ne stiamo al sole tiepido d'autunno a contemplare il fiume che scorre sotto di noi e questa vista ci riposa un poco. Vicino a noi un medico si sporge pericolosamente su quello che resta del parapetto e guarda la Vistola che scorrendo trascina con sé molti cadaveri. « Non sporgerti a quel modo, dottorino, può costarti molto caro. Guarda che ci possono benissimo vedere da lontano. » Il medico, un uomo non più giovane, guarda sorpreso Porta, seduto al riparo di un parapetto semidistrutto, e all'improvviso si rende conto che un miserabile caporale gli si rivolge con la stessa naturalezza con la quale parlerebbe a un compagno, dandogli del tu. « Non vedete che sono un medico di secondo grado? » grida lo sciocco mostrando il distintivo, e imprecando violentemente in prussiano. « Ma sì, ma sì, ho capito benissimo, e mi chiedo appunto perché in Germania fanno ufficiali dei portatermometri. Da Ivan il sistema è migliore. Là i dottori sono veramente
282 gente in gamba. A parte questo particolare, signor medico di secondo grado, non sporgete la testa a quel modo. È come nei treni dove sta scritto: ' Non sporgetevi dal finestrino '. Non ci si fa caso e la prima galleria vi porta via la testa. Qui non ci sono le gallerie ma tiratori che vedono molto lontano con i loro binocoli. Attento a non far castronerie. » « Mi occuperò di voi a tempo debito », replica il dottore furioso. Nello stesso istante, lancia un grido e cade nella Vistola che lo porta via nelle sue acque grige e ribollenti. Un tiratore scelto polacco l'aveva colto con estrema precisione grazie al fucile a binocolo. Porta scuote la testa con pietà. « Poveraccio! Eccolo sparito del tutto, lui e le sue minacce. Se soltanto la gente accettasse i buoni consigli. » Il corpo del medico riappare per qualche istante, ma poi un altro cadavere lo urta e i due corpi proseguono insieme. « Va' a atterrare da Ivan », commenta Fratellino con aria cupa. « Imparerai come vanno le cose, lì. » « È proprio quel che gli stavo dicendo », riprende sentenziosamente Porta. « Non sporgetevi dal finestrino, mai; ma gli intellettuali sai come sono, non vogliono mai dar retta agli altri. Comunque ha avuto fortuna, secondo me. Pensa un po' se invece se la fosse cavata adesso e fosse poi caduto sotto le grinfie di Ivan. Sarebbe stato buono per filarsene diritto alle miniere di Kolyma! Dato che è morto, si è salvato da quella galera, fortuna per lui, comunque un imbecille sceglie sempre la soluzione peggiore. Oh, questo mi fa venire in mente la storia di un tale che ho conosciuto tempo fa. Il signor Ernst Schlucke-bier, uomo felice, membro del partito, eccetera eccetera. Nessuna seccatura al mondo salvo la moglie che lo trovava un po' troppo ubriacone. Una sera, in un caffè in piazza della Gendarmeria, si ricorda improvvisamente che il suo medico gli aveva proibito di bere per-
283 ché aveva il cuore troppo grosso. Ne beve allora tre litri più del solito dicendo che sarebbero stati gli ultimi, che non avrebbe più toccato un bicchiere, poi se ne va salutando tutti molto soddisfatto di sé. Improvvisamente, nella notte buia di Berlino, un grido disperato si leva dalle rive della Sprea. Lui lo sente e quando il grido si ripete, quell'imbecille corre e si sporge dal parapetto. ' C'è qualcuno che grida? ' Nessuna risposta. ' Posso aiutarvi? ' continua quello, guardando il fiume che scorre buio sotto di lui. Per sua sfortuna, il fabbro Egon Volksplack, nativo di Alt Moabit, che aveva fatto il militare a suo tempo nel corpo dei corazzieri della Guardia, lo sente. Si precipita verso questa ombra scura, molto sospetta ovviamente su questo ponte di cattiva fama, e tutti e due senza riflettere un solo minuto chiamano la polizia. Il fabbro di Alt Moabit, che dal canto suo non capiva assolutamente niente, tanto era tonto e inesperto, spiega come secondo lui stanno le cose. Capite? Nella società ci vuole ' ordine ', sempre, altrimenti tutto va a remengo. ' Questo cretino ', dice, ' voleva buttarsi nella Sprea per accopparsi. Gendarme, lo so bene io, ne ho già salvati altri di questi tipi, ecco qui i miei documenti.' Così ben quattro poliziotti prendono il signor Schluckebier e gli dicono paternamente delle cose che lo possano tranquillizzare, frasi di questo genere: ' La vita è sempre così bella, perché dunque cercare di uccidersi con un chiaro di luna così splendido? ' ' Ma c'è un malinteso, posso giurarlo davanti alla Bibbia ', grida e protesta il disgraziato. ' Perché avrei dovuto buttarmi nel fiume, proprio io che ho un tale orrore dell'acqua che quasi non mi lavo? ' Il fabbro e i gendarmi si guardano con un'occhiata d'intesa. Il finto suicida ride verde, ovviamente, proprio come ridono i matti irrecuperabili alla società. ' Tutto a questo mondo è più o meno un malinteso ', gli spiega dolcemente il gendarme. ' Tutti quelli che vengono arrestati dicono sempre che è un ma-
284 linteso. Credetemi, già domani stesso sarete felice di essere ancora in vita, perché in fondo avete l'aspetto di un uomo ragionevole, anche se non ci si deve fidare troppo delle apparenze. ' ' È uno sbaglio ', urla il signor Schluckebier, che adesso comincia a averne abbastanza della faccenda. ' Mi rompete i coglioni, voi e la vostra Sprea. Lasciatemi andare, devo rientrare e a cominciare da oggi vi giuro che berrò soltanto acqua. ' ' Andiamo, andiamo, domani vedrete tutto sotto un altro aspetto ', afferma il gendarme, senza sapere a che punto stava dicendo il vero. ' È un errore ', singhiozza il poveretto, ' non avevo nessuna intenzione di uccidermi, al contrario, sono venuto a cercare quell'altro, quello che era saltato nel fiume e che gridava aiuto. ' Viene condotto tuttavia alla gendarmeria, dove il medico psichiatra di servizio lo guarda con occhio torvo. ' Tutto è un enorme malinteso, un terribile malinteso! Sono perfettamente sano di mente. Sono stato sentinella personale del Führer a Monaco nel 1933. Il Führer mi ha addirittura stretto la mano! ' ' Ah! ' esclama il dottore molto soddisfatto. ' Appartenete allora alla guardia del capitano Rohm? Come mai siete riuscito a evitare di essere fucilato nel '34? ' Il signor Schluckebier ovviamente non poteva dare alcuna spiegazione valida. Un sudore gelido lo invade tutto e balbetta parole incomprensibili. Viene condotto alla clinica psichiatrica della polizia, a Pankow, poi viene trasferito con un gruppo di pazzi a Giessen nella Hesse, dove la gente non si occupava che della caccia alle streghe. Diventa alla fine un personaggio molto celebre. Venivano a interrogarlo anche da molto lontano, e lui non faceva che ripetere che era stato un malinteso. Ecco come lavora la grande macchina dello Stato. » « È la storia più antipatriottica che abbia mai sentito! » grida Heide indignato. « Farò il mio rapporto, e che il diavolo protegga la Germania se ha la disgrazia di avere per
285 cittadini individui come te. » « Basta con le vostre castronerie! » grida ora il tenente Lòwe. « In marcia sul ponte. Destra, destr, in avanti, marsc! » La battaglia di Varsavia non è ancora finita, per noi. La 5ª compagnia penetra in un mare di fiamme nel cimitero di Wola dove brandelli di esseri umani vengono proiettati dalle spaventose esplosioni delle mine, sugli alberi e sui lampioni. Molto presto al mattino un grandioso attacco tedesco ha inizio contro le ultime posizioni polacche che ancora resistono, rintanate nella zona che va da via Kasimiera a piazza Wilson. Lna pioggia di fuoco cade sul quartiere vecchio. Ventotto batterie do sparano senza sosta per cinque lunghissime ore; è peggio dell'inferno, ben peggio di quanto noi stessi, soldati del fronte ormai da tanto tempo, abbiamo mai vissuto finora. Un fuoco da diventare pazzi furiosi. Tre reggimenti di carri sbucano da via Mi-ckiewicz diretti a piazza Wilson, sparando all'impazzata su tutto il quartiere Feniks. La resistenza polacca viene stroncata del tutto in un mare di sangue. La sera stessa, il generale Bor-Komorovski si decide a capitolare, dato che tutto il quartiere Zolibor è stato definitivamente ripreso dalle forze tedesche. Con una grande bandiera bianca che sventola sulla parte anteriore di una Mercedes il generale arriva al castello Ozarow per negoziare il destino dei prigionieri di guerra, sulla base della convenzione internazionale. Il mattino del 3 ottobre, alle 8 precise, i combattimenti cessano. Un silenzio spaventoso cala sulla città in fiamme. D'acchito l'artiglieria tace, come se fosse calata una cortina di ferro. Piazza Wilson è deserta, non un uomo, non un cane, tutti gli esseri viventi sembra siano scomparsi per sempre. Un foglio di carta che svolazza nel vento si alza, resta
286 un istante immobile appoggiato a un balcone, poi ricade sul relitto di un carro carbonizzato, dove qualche cosa che a suo tempo era stato un giovane soldato tedesco giace troncato in due, fuori da un portello. Noi ci siamo acquattati in una cantina e siamo tutti molto tesi, con le armi pronte a sparare. « Non può essere ancora finita », dice il Vecchio, inquieto. « Dobbiamo rimanere qui ancora e aspettare gli ordini. » Heide tiene il suo mg puntato, io ho in mano una granata già decapsulata. Arriveranno, è certo, una battaglia simile non può finire così, di colpo. Fratellino prepara la sua mitragliatrice, infilando nuovi nastri di pallottole nel caricatore, già pronto a sparare. « Su, venite dunque, cani di polacchi! A noi non ce la date a intendere. » Passa così un quarto d'ora, forse anche una mezz'ora. Un tale silenzio assoluto e cupo cala sull'intera città, che quasi ci viene un colpo apoplettico quando una putrella ancora ardente precipita dal tetto di una casa in rovina. Gregor, i cui nervi stanno cedendo, ha dallo spavento un violento conato di vomito. « Facciamola fuori, Dio santissimo! » commenta asciugandosi la bocca. « Quasi quasi a questo punto preferisco un attacco. » Anche Porta tace. Improvvisamente compare il finlandese e tutta la sezione di Uula. « Pare che sia stata stipulata la pace », dice ridendo. « Avete un po' di alcool? » Ne inghiotte una lunga sorsata, poi rende la fiaschetta al Vecchio. « Fate attenzione a qualsiasi eventuale provocazione », gli mormora. « Non contrattaccare in nessun modo. Pare che la capitolazione sia stata firmata alle 8.30. »
287 Fratellino si mette in ginocchio con una strana espressione sul viso, simile a quella di un muto. Apre e chiude la bocca senza riuscire a parlare, grosse lagrime gli colano sulle guance, sporche e fuligginose. « La pace! » balbetta. Scoppia in una risata da folle, dà un calcio al suo mg, e con un solo rapidissimo gesto si strappa le spalline e tutti i distintivi. Porta lo imita. Sembriamo tutti pazzi. « La pace! » urliamo. « Spokoj! » sentiamo gridare dall'altra parte della piazza. « Miri, miri! » gridano i finlandesi buttando per terra le loro armi. Ci precipitiamo tutti verso le scale della cantina, le saliamo e corriamo verso la luce, con le divise sbottonate al vento, senza più spalline. Vi sono granatieri che tagliano via le aquile cucite ai loro cappotti militari e si dichiarano seduta stante « Fronte rosso ». Finalmente un gesto nuovo, dopo undici anni di « Heil Hitler ». Porta è il primo a osare di mostrarsi e camminare all'aperto, sulla piazza, e tutti noi lo seguiamo. Ancora tutto deserto, come prima. Sembriamo i soli esseri viventi sulla terra, camminiamo con cautela, e chiunque potrebbe vedere che siamo completamente disarmati. Io mi mordo le dita, terribilmente inquieto. Se i polacchi si fossero messi a sparare, tutta la 5ª compagnia sarebbe stata immediatamente e totalmente distrutta. Ma non accade nulla. Non si sente che il crepitio delle fiamme che proviene da un carro sull'angolo di via Kasimiera. È possibile che jsia stata veramente firmata la pace? I « Miri », balbetta Uula, al mio fianco. « Aveva gettato via tutte le armi, gli era rimasto solo il grande coltello finlandese infilato nello stivale, dal quale nessun finlandese si separa mai, anche in tempo di miri. « Stanislas, vieni fuori, su! » grida Porta. « Non si spara
288 più, è finita. » Dalle rovine emergono tre soldati polacchi con un elmetto d'acciaio di provenienza francese, e si fanno avanti lentamente verso Porta e Fratellino. Uno ha ancora il fucile mitragliatore fra le mani, gli altri due sono completamente disarmati. Per un istante si squadrano in silenzio, poi si buttano l'uno nelle braccia dell'altro, saltando di gioia come ragazzi, ci si passa di mano in mano le fiaschette di vodka, scoppi di risate fanno eco nella città ancora in fiamme. Ora, le strade tutte formicolano di soldati che escono all'aperto da tutti i nascondigli. Si vedono anche, cosa inaudita, alcuni civili, donne, bambini. Una vecchia singhiozza ringraziando Dio. Nessuno porta con sé una sola arma, né polacchi né tedeschi. Molti nazisti si sono strappati le aquile dalle spalline delle uniformi, e tutti si abbracciano. « La pace, la pace! » Solo, Julius Heide silenzioso e pallido come un morto, si appoggia a un carro carbonizzato. Lui, il fanatico nazista, non può gioire di quel che ha davanti agli occhi. Improvvisamente, un'esplosione! Una pioggia di granate cade su tutta la piazza. Il Tigre carbonizzato con il suo cadavere appeso è saltato in aria. Fuga precipitosa di tutti... Al primo scoppio credevamo che l'artiglieria tedesca avesse ripreso a sparare, ma poi dobbiamo arrenderci all'evidenza. Sono i russi che sparano sulla città ormai agonizzante, allo scopo di stroncare del tutto l'esercito partigiano di Armija Krajowa. Il bombardamento dura un'ora e costa la vita a migliaia di uomini, su ogni fronte. La nostra compagnia si ritira. I finlandesi sono spariti. La mattina dopo veniamo inviati in via Krasinski per controllare, insieme con altre sezioni, che i polacchi consegnino regolarmente le loro armi. Quei poveri soldati passano da-
289 vanti a noi in colonne silenziose e buttano le loro armi sul marciapiede, prima di venire incolonnati di nuovo e partire per la prigionia. Era finita? Non ancora. La sera stessa hanno inizio le esecuzioni capitali. Delatori e spie indicano gli ebrei, i comunisti, i simpatizzanti russi, e sono gli uomini di Dirlewanger che costituiscono i vari plotoni di esecuzione. Le condizioni di armistizio e capitolazione non concernono d'altra parte che i soldati dell'esercito regolare polacco. Tutti gli altri, secondo il Reichsführer Himmler, dovevano essere giudicati banditi, criminali contro il diritto comune, e fucilati sul posto senza nemmeno la parvenza di un processo regolare. Quel che restava della popolazione civile viene spinto come bestiame e raccolto in un vasto campo di concentramento a nord e a ovest di Varsavia. Privi di qualsiasi possibilità di sostentamento, moltissimi sventurati muoiono ancor prima di venir avviati verso la Germania. Le SS di Dirlewanger e di Kaminski si divertono follemente a sparare per gioco su di loro come se fossero conigli. Contemporaneamente, i battaglioni dei guastatori si mettono all'opera per assolvere il compito che Himmler ha personalmente ordinato loro : radere al suolo Varsavia. È solo alla fine di gennaio che gli incendi si spengono del tutto, ma unicamente perché non vi è più nulla che possa ancora bruciare. Gli ordini di Himmler sono stati eseguiti con la tipica assoluta precisione prussiana. Varsavia è ora soltanto un semplice nome astratto, stampato sulla carta geografica d'Europa.
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Il campo disciplinare di Sennelager I disertori Il maggiore dei guastatori Gli yak Il polacco Il tronco d'albero « Alla Capra ospitale » Il bordello «Locale notturno del Kaiser» Il cimitero di Wola La corsa dei gatti