BOLLETTINO DI STORIA DELLE
SCIENZE MATEMATICHE
Anno XXII · Numero 1 · Giugno 2002
PISA · ROMA
ISTITUTI EDITORIALI E POLIGRAFICI INTERNAZIONALI® MMII
Elisabetta Ulivi*
Benedetto da Firenze (1429-1479) un maestro d’abaco del XV secolo Con documenti inediti e con un’Appendice su abacisti e scuole d’abaco a Firenze nei secoli XIII-XVI
* Dipartimento di Matematica, Viale Morgagni 67/A, 50134 Firenze. Lavoro eseguito nell’ambito del Progetto di interesse nazionale “Storia della matematica in Italia”. A p. 210 si trova una lista delle sigle con cui nel corso del lavoro sono indicati gli archivi e le biblioteche citate.
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Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche Vol. XXII · (2002) · fasc. 1
Sommario Introduzione
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Benedetto da Firenze nella tradizione abacistica
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La famiglia
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Benedetto di Antonio
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Benedetto dell’abaco
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Le scuole di M° Benedetto e le sue relazioni con gli abacisti fiorentini del Quattrocento
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Sui trattati di M° Benedetto
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Appendice 1. Documenti dell’Archivio di Stato di Firenze
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Appendice 2. Abacisti fiorentini Famiglie di abacisti Scuole d’abaco a Firenze
195
Elenco delle sigle
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Bibliografia
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Indice dei nomi di persona
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Indice dei luoghi, monumenti e istituzioni
236
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Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche Vol. XXII · (2002) · fasc. 1
Introduzione
Quisquis Arithmeticae rationem discere, et artem Vult, Benedicte, tuos libros, chartasque revolvat, Possit ut exiguis numeris comprendere arenam Littoris, et fluctus omnes numerare marinos.
Con queste parole elogiative, il poeta fiorentino Ugolino Verino1 ricordava Benedetto da Firenze, uno degli autori più significativi del Quattrocento legati alla trattatistica dell’abaco. Nonostante il suo valore e la sua notorietà, su Benedetto si avevano finora scarsissime notizie biografiche. Indiscutibili sono quelle che si leggono nei suoi stessi scritti: il suo nome di battesimo, senza peraltro alcuna precisazione sul patronimico, il suo luogo di origine, Firenze, l’indicazione dei suoi studi matematici sotto la guida di Calandro di Piero Calandri e della sua professione di maestro d’abaco. A un’altra attività del Nostro sono legati due documenti del fondo Operai di Palazzo dell’Archivio di Stato di Firenze, che si riferiscono ad alcuni lavori di ristrutturazione del Palazzo della Signoria cui partecipò anche Benedetto dell’abaco nelle vesti di misuratore. Tali documenti vennero resi noti dal Gaye2 e ricordati in una delle Schede del Poligrafo Gargani della Biblioteca Nazionale di Firenze3. Di incerta fonte era l’informazione riferita dal Solmi e da Hart circa la data di nascita di M° Benedetto che i due studiosi collocavano nel 1432. Probabile, ma solo ipotetica, la notizia riferita dagli stessi di un diretto rapporto tra Benedetto e Leonardo da Vinci, e che risalirebbe agli anni della giovinezza del grande scienziato4. 1
Cfr. Verino [1790], p. 112. Cfr. Gaye [1839], pp. 253-254. 3 BNF, Poligrafo Gargani 1, scheda 143. 4 Cfr. Hart [1961], p. 28; Solmi [1900], pp. 12-13. L’osservazione relativa ai presunti rapporti tra Leonardo e Benedetto fu suggerita al Solmi dalla presenza, nel Codice Atlantico, di una lista di 2
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A livello del tutto congetturale erano infine le identificazioni del Nostro con un altro “Benedetto da Firenze” che fu maestro d’abaco pubblico a Brescia nel 14365, e con un “B. guardi” citato nel prologo del manoscritto Palat. 573 della Biblioteca Nazionale di Firenze6. Attualmente moltissimi documenti, da noi reperiti dopo lunghe ed attente indagini, fanno piena luce sulla figura di M° Benedetto, ampliando, confermando o smentendo quanto finora scritto dell’illustre abacista. Le principali fonti – oltre agli Operai di Palazzo – sono i seguenti fondi dell’Archivio di Stato di Firenze: Prestanze, Estimo, Catasto, Monte Comune o delle Graticole: Copie del Catasto, Decima Repubblicana, Notarile Antecosimiano, Podestà, Mercanzia, Corporazioni Religiose Soppresse dal Governo Francese, Otto di Guardia e Balia della Repubblica, Compagnia poi Magistrato del Bigallo, Ufficiali di Notte e Conservatori dell’onestà dei Monasteri, Ospedale di Santa Maria Nuova. Altre notizie si ricavano dalle Schede del già citato Poligrafo Gargani e da alcuni repertori genealogici: la Raccolta Sebregondi, il fondo Ceramelli-Papiani, e le Carte dell’Ancisa del fondo Manoscritti, tutti dell’Archivio di Stato, il Necrologio fiorentino del Cirri, conservato alla Biblioteca Nazionale. Nel corso della nostra esposizione abbiamo riportato solo dei passi di alcuni documenti. In una prima Appendice abbiamo trascritto integralmente tutti quelli relativi a M° Benedetto, e per esteso o parzialmente i più significativi che si riferiscono ai suoi familiari. L’ampia documentazione qui raccolta – con la sola esclusione dei due documenti segnalati dal Gaye e dal Gargani – è del tutto originale. Oltre a fornire importanti informazioni sulla famiglia del Nostro, permette di ricostruire le tappe più salienti della sua vita di uomo e di abacista, sullo sfondo della Firenze del Quattrocento e nell’ambito culturale, in particolare scientifico, del tempo7. personaggi illustri del tempo in cui compare “Benedetto dell’abbaco” e che egli interpretò come il ricordo di Leonardo di una conversazione avvenuta con gli stessi forse su materie astronomiche. Il passo in questione è il seguente: “Quadrante di Carlo Marmocchi - Messer Francesco, araldo Ser Benedetto da Cepperello - Benedetto dell’abbaco - Maestro Pagolo, medico - Domenico di Michelino - El Calvo de li Alberti - Messer Giovanni Argiropolo”: cfr. Leonardo da Vinci [19751980], vol. I (1975) pp. 91-92 (Tavole, c. 42v). 5 Cfr. Arrighi [1969], p. 127. 6 Cfr. Van Egmond [1976], p. 360. 7 Nella trascrizione dei documenti abbiamo sciolto le abbreviazioni, introdotto accenti ed apostrofi, ricostruito la punteggiatura e l’uso delle maiuscole; in parentesi quadre abbiamo aggiunte le date talvolta mancanti, e lettere o parole utili alla comprensione del testo. Nei documenti riportati parzialmente i tre puntini di sospensione stanno ad indicare brani da noi omessi nella trascrizione. Tre puntini in parentesi quadre indicano un passo illeggibile. Tre spazi vuoti tra parentesi quadre corrispondono a una lacuna nel documento. Ricordiamo che l’anno fiorentino iniziava il 25 marzo. Nel fare riferimento ai singoli documenti, abbiamo sempre seguito la datazione moderna, mantenendo quella originale solo all’interno dei documenti stessi. Un doveroso ringraziamento va a Gino Corti per la collaborazione nella trascrizione di alcuni documenti.
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Conclude il lavoro una seconda Appendice: Abacisti fiorentini, Famiglie di abacisti, Scuole d’abaco a Firenze. Si tratta di un primo e solo schematico risultato di una lunga ricerca ormai in fase conclusiva che, prendendo spunto dal fondamentale studio di Van Egmond8, ha portato al reperimento, in archivi e biblioteche di Firenze, di centinaia di documenti su abacisti e scuole d’abaco in un periodo compreso tra la seconda metà del XIII secolo e la prima del XVI. Su quasi tutte queste scuole avremo modo di soffermarci anche in relazione alla biografia di M° Benedetto.
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Cfr. Van Egmond [1976].
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1. Benedetto da Firenze nella tradizione abacistica Il panorama matematico italiano del basso Medioevo e del primo Rinascimento è dominato essenzialmente dalla trattatistica dell’abaco. I libri d’abaco - di cui rimangono circa trecento esemplari distribuiti in biblioteche di tutto il mondo, in massima parte italiane e soprattutto fiorentine9 – sono redatti nella lingua volgare delle varie regioni, spesso in volgare toscano, prendendo come modelli le due importanti opere di Leonardo Pisano, il Liber abaci e la Practica geometriae10. Rispetto a queste presentano però, in generale, una maggiore semplicità e una minore estensione, pur contenendo a volte elementi innovativi. I trattati d’abaco hanno un carattere prevalentemente tecnicopratico; essi svolgono, in misura diversa, gli argomenti tipici della matematica mercantile, con la presenza, seppure meno frequentemente, di questioni relative alla geometria pratica e all’algebra, nonché di problemi di matematica ricreativa, talvolta anche di aritmetica speculativa, teoria delle proporzioni e teoria dei numeri. Gli autori potevano essere, in qualche caso, mercanti, artisti o cultori della matematica, ma erano per lo più maestri d’abaco, che insegnavano cioè nelle “scuole d’abaco”. Durante i secoli XIII-XVI, le scuole d’abaco ebbero una vasta diffusione in molte località italiane. Nella maggior parte dei casi, erano essenzialmente comunali o finanziate da corporazioni mercantili, più raramente, e in alcuni grossi centri, erano del tutto o in prevalenza a caratteri privato. Nella Firenze del basso Medioevo e del primo Rinascimento, l’insegnamento dell’abaco si svolgeva privatamente in case o botteghe di proprietà dei docenti o da loro prese in affitto, da cui la denominazione di “botteghe d’abaco”. Spesso due o più maestri si associavano, lavorando insieme nella stessa bottega, e dividendo sia l’eventuale affitto che i proventi della scuola. La quota pagata dai singoli studenti, come anche la frequenza, nelle diverse scuole, subivano variazioni legate alla particolare situazione economica e demografica del periodo storico, oltre che al prestigio delle scuole e dei relativi titolari, forse anche all’ubicazione delle scuole stesse. Tra la seconda metà del Duecento e la prima metà
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Cfr. Van Egmond [1980]. Cfr. Pisano [1862].
del Cinquecento si susseguirono a Firenze una settantina di abacisti11, quasi tutti maestri d’abaco, e si ha notizia di venti scuole d’abaco. Una delle figure di massimo rilievo fu quella di M° Benedetto. Assieme alla “scuola di grammatica”, la scuola d’abaco costituiva un livello di studi medio, che faceva seguito ad un primo ciclo scolastico in cui i ragazzi imparavano la lettura e la scrittura in latino e volgare. Mentre la scuola di grammatica era dedicata all’approfondimento della grammatica latina e allo studio delle lettere, della retorica e della logica, la scuola d’abaco era riservata all’apprendimento della matematica e aveva essenzialmente lo scopo di preparare all’esercizio di attività mercantili, commerciali ed artistiche, ma veniva frequentata anche da ragazzi di famiglia nobile e da chi desiderava proseguire gli studi per intraprendere poi una professione. Il corso nella scuola d’abaco iniziava per lo più verso i 10-11 anni, con una durata di circa due anni: il momento dell’ingresso nella scuola poteva però sensibilmente variare, e così il periodo di apprendimento che era adeguato alle esigenze e alle attitudini dell’allievo. L’insegnamento si divideva in sezioni, dette “mute”; si svolgeva sia di mattina che di pomeriggio, era basato su esercitazioni scritte ed orali, e prevedeva compiti per casa. Anche il programma di studi poteva variare e comprendeva parte degli argomenti normalmente svolti nei Trattati d’abaco. Dobbiamo tuttavia sottolineare che questi ultimi non furono in generale concepiti come libri di testo, ma ebbero in prevalenza carattere di promemoria, utili a chi, dopo aver frequentato la scuola d’abaco, era nell’esercizio delle proprie attività; solo in parte, soprattutto durante il XV secolo, si andò delineando e accentuando il loro intento didattico. Nel Quattrocento, sempre nell’ambito della tradizione abacistica, emergono alcune opere manoscritte che, per estensione e contenuto, si pongono ad un livello nettamente più elevato rispetto agli altri testi d’abaco. Tali opere, spesso definite le “enciclopedie” matematiche del primo Rinascimento, si configurano come ampi compendi del sapere matematico del tempo. Esse propongono, in una trattazione organica e sistematica, tutti gli argomenti tipici della matematica dell’abaco, con l’aggiunta di questioni spesso del tutto assenti o solo in parte presenti nei trattati minori, e con costanti richiami e riferimenti ad autori anteriori. Riportano inoltre alcune trascelte di opere non pervenuteci, dovute a noti abacisti dei secoli XIV e XV, non infrequentemente 11
Ossia studiosi ed esperti della matematica dell’abaco.
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corredate da informazioni biografiche sui relativi autori, e da notizie su alcune delle più importanti scuole d’abaco di Firenze12. Una di queste “enciclopedie” è l’estesa Praticha d’arismetricha contenuta nel codice Palat. 573 della Biblioteca Nazionale di Firenze13. Venne compilata da un anonimo abacista che si dichiara allievo di Domenico d’Agostino Vaiaio, ed era quasi sicuramente rivolta a Girolamo di Piero di Cardinale Rucellai. Allo stesso autore è stata attribuita anche una Praticha di geometria conservata nel Palat. 577 della stessa Biblioteca14. Una versione, in parte rielaborata e ridotta di entrambi, è contenuta nel codice Ottobon. Lat. 3307 della Biblioteca Apostolica Vaticana15. I tre trattati furono presumibilmente composti attorno al 1460-146516. Nel codice L.IV.21 della Biblioteca Comunale di Siena, datato 146317, si trova un’altrettanto estesa Praticha d’arismetricha attribuita a Benedetto da Firenze. Di tale opera ci sono pervenute altre due copie contenute nei codici Plimpton 189 della Biblioteca della Columbia University di New York, non datato, e nell’Ash. 495 della Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze, che riporta la data 6 febbraio 1494. L’ampio codice senese, forse destinato ad un membro della famiglia Marsuppini18, è l’unico esemplare completo dell’opera, mentre negli altri due manca la parte finale19.
12 Sulla trattatistica dell’abaco, sulle scuole d’abaco e sulle “enciclopedie” del primo Rinascimento si vedano: Arrighi [1965-1966, 1966, 1986]; Bartolozzi, Franci [1990]; Franci [1981, 1984, 1985, 1986, 1988b, 1990, 1992a, 1992b, 1996, 1998, 2000]; Franci, Toti Rigatelli [1982, 1985, 1988, 1989]; Goldthwaite [1972]; Rivolo, Simi [1998]; Simi [1992, 1993, 1996, 2000a]; Simi, Toti Rigatelli [1993]; Toti Rigatelli [1985, 1986, 1992]; Ulivi [1993, 1994, 1996, 1998, 2002]; Van Egmond [1976]; inoltre i lavori pubblicati in Commerce et Mathématiques [2001]. Sulla scuola in Italia nel periodo in questione, rimandiamo a Grendler [1989]; si veda anche Verde [1973-1994]. 13 Sul codice Palat. 573 cfr. Arrighi [1967a, 1967b]; Gratia de’ Castellani [1984]. 14 Cfr. Simi, Toti Rigatelli [1993], pp. 462-463. Il codice era stato precedentemente attribuito a M° Benedetto: cfr. Picutti [1979], pp. 196, 206 e Picutti [1989], p. 76. Oltre al trattato di geometria il codice Palat. 577 contiene anche una volgarizzazione del Liber Quadratorum di Leonardo Pisano. Si vedano Arrighi [1967e] e Picutti [1979]. 15 In generale sul codice Ottobon. Lat. 3307 cfr. Arrighi [1968a]. Inoltre: Anonimo Fiorentino [1998]; Arrighi [1967c]; Simi [1999, 2000b]. 16 Sulla datazione dei codici Palat. 573, Palat. 577 ed Ottobon. Lat. 3307 e sul problema della loro paternità, si veda l’ultimo capitolo. 17 Si veda in proposito Arrighi [1965]. Sul contenuto dell’ L.IV.21 cfr. anche: Arrighi [1967d]; Benedetto [1982]; Biagio [1983]; Giovanni di Bartolo [1982]; Mazzinghi [1967]; Franci [1988a]; Franci, Toti Rigatelli [1983]; Pancanti [1982]; Picutti [1978, 1979]; Leonardo Pisano [1984]; Urbani [1979/80]. 18 Si veda Arrighi [1965], p. 370; cfr. inoltre la nota 209. 19 Segnaliamo che, in realtà, tra le “enciclopedie” matematiche del primo Rinascimento, è da includere anche un’opera a stampa, la Summa de arithmetica, geometria, proportioni et proportionalità di Luca Pacioli che fu pubblicata a Venezia nel 1494. In essa, esattamente nel Tractatus geometrie, il matematico di Sansepolcro inserì tra l’altro una copia della Praticha di geometria contenuta nel codice Palat. 577. Si veda in proposito Picutti [1989], p. 76. In generale sul contenuto della Summa cfr. Ulivi [1994], pp. 41-57.
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Probabilmente verso il 1465, M° Benedetto compose anche un Trattato d’abacho di cui conosciamo diciotto copie, distribuite in biblioteche di tutto il mondo20. Questo testo, benché di contenuti e dimensioni nettamente inferiori rispetto al precedente, occupa ugualmente un posto di rilievo nell’ambito della trattatistica dell’abaco per la sua organicità ed importanza didattica. Ricordiamo infine che nel trattato di aritmetica, l’autore rimanda ad una sua opera geometrica, scrivendo “... in altro trattato di geometria parleremo”21, opera forse non pervenutaci o non ancora individuata.
20 La copia contenuta nel codice Acq. e Doni 154 della BMLF è stata pubblicata a cura di G. Arrighi ed attribuita a Pier Maria Calandri: cfr. Calandri [1974]. Per alcune precisazioni e osservazioni circa l’attribuzione a M° Benedetto della Praticha d’arismetricha del codice senese e del Trattato d’abacho si veda qui l’ultimo capitolo. In particolare, per la datazione del Trattato d’abacho cfr. la nota 207. 21 BCS, L.IV.21, c. 1v; Arrighi [1965], p. 380.
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2. La famiglia Maestro Benedetto appartenne ad una famiglia piuttosto numerosa che conobbe, almeno per un certo periodo, una notevole agiatezza. I suoi genitori furono Antonio di Cristofano di Guido, o Guidone, soprannominato “Rosso”, e Monna Taddea di Domenico di Piero. Il padre di Benedetto nacque nel 1381, la madre verso il 138722. Molto probabilmente il nonno paterno fu un Cristofano di Guidone che compare in due rogiti del 17 e 18 novembre 141823, conservati tra le filze del notaio Niccolò Mangeri con il quale dieci anni dopo lo stesso Antonio di Cristofano stipulò un contratto di acquisto. Sia dall’Estimo del Contado del 141424 che dai suddetti documenti notarili, Cristofano di Guido risulta in quegli anni abitante nel Comune di Montevarchi del Piviere di Cavriglia, nella zona del Valdarno Superiore, dove possedeva tra l’altro un terreno in località Bottaio. Come vedremo, la famiglia di Benedetto ebbe diversi poderi proprio in quella zona. Già all’Estimo del 1412, Cristofano di Guido compare inoltre tra i confinanti di altri poderi, sempre a Montevarchi, assieme a Ser Giovanni Guiducci25, padre di frate Mariotto, un maestro d’abaco fiorentino26. Meno probabile ci sembra l’identificazione del padre di Antonio con un Cristofano di Guido “maestro, fa candele di sevo” o con un Cristofano di Guido di Torello “famiglio de’ Signiori”, entrambi
22 Cfr. Appendice 1, documenti 2-9. Avvertiamo che per tutte le date di nascita, qualora non siano precisamente indicate nei Libri dell’età dell’ASF o nei Registri dei Battesimi dell’AOSMFF, abbiamo sempre fatto riferimento ai Catasti. Da questi ultimi le date sono comunque sempre deducibili con approssimazione. Ricordiamo che i Libri dell’età cominciano a registrare le date di nascita dei cittadini fiorentini a partire dal 1373, ma forniscono solo elenchi parziali, mentre i Registri dei Battesimi iniziano dal 1450. 23 Cfr. Appendice 1, documenti 17 e 18. 24 ASF, Estimo 279, c. 105r. 25 Cfr. Appendice 1, documento 1. 26 Mariotto (n.1427-1447) fu un frate francescano; studiò l’abaco sotto la guida di Antonio di Salvestro dei Micceri da Figline (n.1413/17-m.1445). Mariotto ha lasciato un Libro d’arismetricha, conservato alla BNF nel codice Conv. Soppr. I. 10. 36 (c. 1465). Cfr.: Giusti [1993]; Van Egmond [1976], p. 392; Van Egmond [1980]. Qui ed in seguito, per le persone citate nel corso del lavoro, le date precedute da n. ed m. sono quelle (esatte o approssimate) corrispondenti rispettivamente alla nascita e alla morte; le altre sono invece le date del primo, in ordine di tempo, e dell’ultimo (o dell’unico) documento relativo finora noti. Sia per le date riferite alle persone che per la datazione dei codici: c.= circa, d.= dopo, p.= prima. Precisiamo inoltre che, in relazione ai singoli abacisti, abbiamo riportato dei cenni biografici solo per i contemporanei di M° Benedetto, mentre degli altri ci siamo essenzialmente limitati a segnalare i lavori che ci sono pervenuti e di cui abbiamo notizia, oltre alle scuole ed istituti nei quali insegnarono, rimandando per ulteriori informazioni alla corrispondente bibliografia ed alle fonti archivistiche.
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elencati tra i tassati del Quartiere di San Giovanni di Firenze27: il primo nelle Prestanze del Gonfalone del Leon d’Oro degli anni 1406-141228, il secondo nella Prestanza del 28 ottobre 141329. Sull’attività del nonno materno, Domenico di Piero, troviamo due indicazioni discordanti in due notarili del 23 agosto 1466 e del 16 aprile 1468, dove si ricorda tale Domenico, all’epoca già morto, rispettivamente come linaiolo e come calzolaio30. Antonio e Taddea si sposarono attorno al 1410 ed ebbero otto figli, tutti maschi. Già sette di questi figurano nel Catasto del 142731, con la rispettiva età: Iacopo di quindici anni, Lorenzo di quattordici, Simone di tredici, Cristofano di sei, Guido di quattro, e due “fanciulli naquono a uno chorpo”, ossia due gemelli di circa dodici anni, Luca e Giovanni. A quel tempo essi vivevano, in affitto, in una casa situata Oltrarno, nel Quartiere di Santo Spirito, sotto il Gonfalone della Scala, nel Popolo di Santa Lucia degli Angeli, detta anche Santa Lucia de’ Magnoli o de’ Bardi. L’abitazione si affacciava sulla Piazzetta dei Mozzi ed era proprietà di Iacopo de’ Bardi, noti mercanti e banchieri di Firenze. Circa un anno dopo, la famiglia si trasferì in un’altra zona della città, ossia nel Quartiere di San Giovanni, sotto il Gonfalone del Drago Verde. Qui, il 28 settembre 1428, Antonio acquistò infatti, dai nobili Rinaldo, Giovanni e Carlo di Bindo degli Agli ... unam domum cum curia, puteo, terreno et aliis ad dictam domum pertinentiis, positam Florentie, in Populo Sancti Michaelis Berteldi de Florentia, in loco dicto Piaza Padella, cui domi a I dicta platea, a II via, a III Filippi Ser Brunelleschi, a IIII [ ], infra predictos confines vel alios veriores ... . Quam venditionem dicti venditores ... fecerunt pro pretio ... florenorum trecentorum auri nitidorum dictis venditoribus32.
L’ampia dimora, del costo di trecento fiorini, si trovava dunque nel Popolo di San Michele Berteldi, sull’ormai scomparsa Piazza Padella
27 Ricordiamo che, a quel tempo, Firenze era suddivisa in quattro Quartieri: Santa Maria Novella, Santa Croce, San Giovanni, e Santo Spirito. Ognuno di questi comprendeva quattro Gonfaloni con i rispettivi Popoli che prendevano nome dalla parrocchia di appartenenza. 28 ASF, cfr. ad esempio Prestanze 2214, c. 18r; 2220 bis, c. 7v; 2555, c. 18r; 2570, c. 17v; 2621, c. 17v; 2761, c. 17v; 2864, c. 17v. 29 ASF, Prestanze 2904, c. 59r. Quella del 28 ottobre 1413 è l’ultima Prestanza; nel 1427 verrà istituito il Catasto. 30 Cfr. Appendice 1, documenti 28 e 29. 31 Ibidem, documento 2. 32 Ibidem, documento 19.
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verso il Chiasso dei Buoi, l’attuale Via Teatina, non lontano da Piazza del Duomo33. La casa confinava con l’abitazione di Filippo di Ser Brunellesco, abitazione che poi, nel 1446, dopo la morte del noto architetto34, passò al suo figlio adottivo ed erede testamentario, lo scultore Andrea di Lazzaro Cavalcanti, detto il Buggiano35. Nella stessa casa, poco dopo il suo acquisto, nacque l’ultimogenito di Antonio di Cristofano, quello che divenne poi M° Benedetto. Come si deduce dai Catasti e da due documenti notarili del 16 aprile 1468 e dell’11 dicembre 148036, oltre all’abitazione di Piazza Padella, la famiglia del Nostro ebbe anche numerosi possedimenti nei pressi di Firenze. Alcuni – come si è detto – erano situati nel Valdarno Superiore. Tre di questi furono acquistati prima del 1427: un terreno nella Lega di Cascia, Popolo di San Tommaso d’Ostina, in un luogo detto San Giovenale, un podere con vigne ed olivi ed un castagneto nel Comune di Castelfranco di Sopra, Piviere di Sco, Popolo di San Donato a Menzano, rispettivamente nelle località Bologna e Radice. Sempre a Menzano ebbe in seguito ancora un oliveto, un vigneto ed un castagneto in località Solatìo e Luodo. Un altro appezzamento era sempre nel Piviere di Sco: Antonio lo acquistò da tale Corso di Adamo da Campiano verso il 1433. Ulteriori possedimenti con annessa una casa colonica erano in Valdelsa, nel Comune di Castelfiorentino, esattamente nel paese di Cambiano, Popolo di San Prospero, nelle località: Pescaia, Padule, Prato, Capannetta, Pestina, Poggio di Monte, Docce, Renaio, Vecchia, Ponte verso Granaiolo, Castellare, Palaia, Poderano e Ginestraio. Il terreno di Pescaia fu ceduto ad Antonio da Diego e Vico Popoleschi il 7 marzo del 1440, gli altri piccoli appezzamenti, tra il 1458 ed il 1464, da tali Giovanni di Simone e Checco di Matteo, tutti in cambio di alcune somme di denaro a lui dovute. I non pochi beni immobili di Antonio di Cristofano furono il frutto della sua intensa attività di tessitore di seta, che egli svolse in entrambe le abitazioni di Piazza dei Mozzi e di Piazza Padella, affiancato da alcuni familiari e da qualche dipendente, e lavorando con “cinque telaia da tessere drappi, cioè zetani velutati”37.
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Cfr. Bargellini, Guarnieri [1977-1978], vol. IV (1978), p. 160; Sframeli [1989], pp. 95-96. Il Brunelleschi morì il 15 aprile del 1446. Cfr. Dizionario Biografico [1960-2000], vol. 14 (1972), pp. 534-545. 35 Cfr. ASF, Catasto 679, c. 403r: dichiarazione di Andrea di Lazzaro Cavalcanti. Sul Buggiano cfr. Dizionario Biografico [1960-2000], vol. 22 (1979), pp. 605-608. 36 Cfr. Appendice 1, documenti 2-10, 29 e 38. 37 Ibidem, documento 2. A quei tempi il possesso di cinque telai era indice di un’azienda molto ben avviata. Sull’attività dei tessitori nella Firenze del Quattrocento cfr. Dini [2001], pp. 164-169. 34
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Conseguentemente a questo suo esercizio, il padre del Nostro ebbe frequenti relazioni di lavoro con importanti mercanti: tra questi Felice Brancacci, negli anni 1427-143338. Il Brancacci era un ricco setaiolo, al tempo celebre per la sua fortunata ambasceria sulla prima galera fiorentina che la Repubblica aveva inviato nel 1422 al sultano di Egitto allo scopo di stringere trattative e ottenere concessioni, e noto anche per avere commissionato la decorazione della cappella di famiglia nella Chiesa di Santa Maria del Carmine a Masolino da Panicale ed al Masaccio, che vi lavorarono tra il 1423 e il 1428. Proprio nel settembre del ’28, fu la Compagnia Brancacci, in debito con Antonio di 300 fiorini, a impegnarsi con la famiglia degli Agli circa il pagamento dell’ingente somma per l’acquisto della casa di Piazza Padella. Sempre per la sua attività di tessitore e commerciante di drappi, Antonio si presentò più volte davanti al Tribunale della Mercanzia nelle vesti di creditore, come risulta da alcuni “Atti in Cause Ordinarie”. Di particolare interesse è un atto del 23 novembre 1448 che mette in relazione Antonio di Cristofano col già citato Calandro, il maestro d’abaco di Benedetto39. Nel documento si fa cenno ad una vertenza tra il detto Antonio ed i fratelli Calandro e Antonio di Piero Calandri “merciai”40: qualche tempo prima, i Calandri, tramite un certo Zanobi di Ser Iacopo, avevano acquistato da Antonio di Cristofano alcuni drappi per i quali dovevano pagare ancora 68 lire e 16 soldi di grossi. I due fratelli furono convocati il 17 dicembre per ascoltare la relativa sentenza41. In data 31 maggio 1451 un mercante di asini, Luca Domenico di Michele, figura nei libri della Mercanzia per un debito di 13 lire, a seguito della vendita di due asini da parte di un lavorante di Antonio di Cristofano42. Il 7 giugno 1451, anche due setaioli, Piero e Adovardo, vennero citati davanti al Tribunale quali debitori dello stesso Antonio di 42 lire e 16 soldi43.
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Sul Brancacci si veda Dizionario Biografico [1960-2000], vol. 13 (1971), pp. 764-767. Cfr. Appendice 1, documento 43. Come risulta evidente da tale citazione, in quel periodo, in alternativa o parallelamente all’insegnamento, M° Calandro esercitava il mestiere di merciaio. Anche nel Catasto del febbraio 1447, Monna Checca, madre di Calandro, dichiara infatti di possedere in Via del Corso una “botteghuza di mercialo la quale fanno e figluoli di detta Monna Checca”: cfr. ASF, Catasto 681, c. 293r. Sul Calandri e sulla sua famiglia si vedano qui le pp. 39-40, 47-49. 41 Cfr. Appendice 1, documento 44. 42 Ibidem, documento 45. 43 Ibidem, documento 46. 39 40
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Infine, il 17 maggio 1465, venne discussa una causa tra M° Benedetto, procuratore ed erede di Antonio di Cristofano, e gli eredi del notaio Lorenzo di Agnolo da Terranova per una somma di 10 fiorini di suggello che tale Lorenzo avrebbe dovuto dare al padre di Benedetto44. All’epoca di quest’ultimo documento Antonio di Cristofano era chiaramente già morto. Egli fu infatti sepolto nella Chiesa di San Michele Berteldi il 7 dicembre 146445. Nel suo testamento, redatto il 19 novembre dello stesso anno, all’età di ottantatré anni, Antonio nominò suoi eredi universali i figli Giovanni e Benedetto. Alla moglie Taddea lasciò l’usufrutto della casa di Piazza Padella e di tutti gli altri beni immobili. Stabilì che al figlio Lorenzo venissero consegnati annualmente 30 staia di grano, un orcio d’olio e un congio di vino. Lasciò 150 fiorini in dote alla nipote Maddalena, figlia del defunto Luca, fratello gemello di Giovanni. Stabilì anche che venissero dati 30 fiorini, per la dote, a una fanciulla di nome Orsa, originaria di Ragusa, che era al servizio della famiglia. In un successivo codicillo del 3 dicembre 1464, Antonio nominò infine Taddea e Benedetto suoi rappresentanti e procuratori nell’amministrazione dei beni familiari46. Come il marito, anche la madre di Benedetto morì più che ottuagenaria. Il Catasto ed un documento notarile ci permettono di collocarne la scomparsa tra il 19 febbraio del 1470 ed il 148047. A Monna Taddea si riferiscono diversi altri rogiti del 23 agosto 1466, del 16 e 22 aprile 1468 e del 26 gennaio 147048. Dal testamento di Antonio di Cristofano risulta evidente che solo tre dei suoi otto figli erano senz’altro ancora in vita nel novembre del 1464: Lorenzo, Giovanni e Benedetto. Il figlio Luca, a quel tempo, era già morto. Egli aveva lasciato la casa paterna tra il febbraio del 1447 e il febbraio del 145849. Si era sposato ed aveva avuto una figlia di nome Maddalena. Anche i rimanenti quattro fratelli di Benedetto – Iacopo, Simone, Cristofano e Guido – non essendo mai nominati nel testamento paterno, erano presumibilmente tutti scomparsi al tempo della stesura di tale documento. Vengono elencati per l’ultima volta nella denuncia 44 45 46 47 48 49
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Ibidem, documento 47. ASF, Arte dei Medici e Speziali 245, c. 77r. Cfr. Appendice 1, documenti 24 e 25. Ibidem, documenti 10 e 32. Ibidem, documenti 28-31. Ibidem, documenti 6 e 8.
catastale di Antonio di Cristofano relativa all’anno 143150; in seguito non ne abbiamo più notizie. Otre al Catasto e alla Decima Repubblicana, soprattutto diversi documenti della Mercanzia, del Podestà e del Notarile – sui alcuni dei quali torneremo più dettagliatamente nei successivi due capitoli – ci forniscono non poche informazioni biografiche relative a Giovanni e Lorenzo. Giovanni, salvo periodiche assenze da Firenze, rimase sempre con la famiglia di origine e non si sposò. Egli continua infatti a comparire regolarmente nei Catasti del padre e della madre fino al 146951. Da un atto notarile del 20 luglio 1444, stipulato tra il rettore dell’Ospedale di Santa Maria Nuova e Antonio di Cristofano, e relativo al testamento del linaiolo Cambino di Niccolò Cambini, si evince che Giovanni fu per un certo periodo alle dipendenze del ricco mercante, ereditandone, per resto del suo salario, denari e beni immobili52. Con i fratelli Benedetto e Lorenzo, Giovanni viene poi ricordato in un rogito del 1° maggio 146553, nel già citato rogito del 16 aprile 1468, e in uno immediatamente successivo del 22 aprile54. In seguito, per complesse questioni di eredità, figura anche in un importante Atto del Podestà del 13 giugno 148055 oltre che in tre notarili dei giorni 1° e 11 dicembre dello stesso anno e del 19 marzo 148156. Dalla Decima Repubblicana risulta che egli morì prima dell’aprile 1495. Lorenzo lasciò la casa paterna tra il 1433 ed il 1442, per trasferirsi in un’altra zona di Firenze o forse in un’altra località. Tra la fine del 1441 e l’inizio del ’42 si sposò con Andrea, figlia di tale Andrea di Domenico, la quale portò in dote cento fiorini, consegnati alla famiglia del marito dal fratello Bartolomeo di Andrea nel gennaio del 144257. Diversi documenti degli anni 1480-1482 ci informano che dall’unione con Monna Andrea, Lorenzo ebbe una femmina e sette maschi: Antonia, Iacopo, Cristofano, Andrea, Domenico, Pellegrino, Guido o Guidone che divenne Priore, e Pietro che si fece frate col nome del padre58.
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Ibidem, documenti 2-4. Ibidem, documenti 2-9. Ibidem, documento 20. I libri di conto dei Cambini sono conservati all’ AOIF. Sui Cambini cfr. Tognetti [1999] e Dini [2001], pp. 38-44. La Compagnia Cambini è stata anche oggetto di studio per varie tesi di laurea. 53 Cfr. Appendice 1, documento 26. 54 Ibidem, documento 30. 55 Ibidem, documento 41. 56 Ibidem, documenti 37-39. 57 Ibidem, documenti 4-5, 38. 58 Ibidem, documenti 16, 37-42. 51 52
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Successivamente al testamento di Antonio di Cristofano, Lorenzo viene ancora nominato, assieme al fratello Benedetto, in due notarili del 12 luglio 1465 e del 16 aprile 146859. In un volume della Mercanzia, relativo al fondo “Libri di denari depositati”, Lorenzo e un membro della nobile famiglia Davanzati, Niccolò di Giovanni, figurano, in data 13 febbraio 1467, quali depositari di 10 fiorini a favore di Tommaso di Agnolo Corbinelli60. Infine il 23 dicembre 1471, sempre Lorenzo è citato in un “Libro di Sentenze” del Tribunale della Mercanzia come creditore, per 90 lire, di tale Messer Paolo da Napoli61. Lorenzo di Antonio esercitò per tutta la vita l’attività di tessitore di drappi. Morì probabilmente verso il giugno del 1479 nel solito Popolo di San Michele Berteldi62. Sua moglie Andrea si trasferì poco dopo, con alcuni figli, nel Popolo di Santa Maria Maggiore, sotto il Gonfalone del Drago Verde del Quartiere di San Giovanni. Monna Andrea morì tra il 1482 ed il 1495. Dell’unica figlia femmina di Lorenzo, Antonia, sappiamo solo che si sposò nel maggio del 1481 con Zanobi di Giovanni Lapi, un cartolaio o libraio del Popolo di Santa Maria del Fiore, in San Giovanni63. Guido fu prima monaco cistercense nella Badia di San Salvatore a Settimo e nel Monastero di Cestello. Il 26 dicembre 1486, dopo aver prese l’abito dell’ordine camaldolese, divenne Priore del Convento di Santa Maria degli Angeli. Morì di peste a Roma nel 150064. Per quanto riguarda i figli maschi laici di Lorenzo, dalla Decima Repubblicana si deduce che forse solo due, Iacopo ed Andrea, erano ancora in vita nell’aprile del 1495 ed abitavano sempre in San Giovanni. Iacopo fu, come il padre e il nonno, tessitore di drappi e visse in affitto nella Via Fiesolana del Popolo di San Pier Maggiore65. Andrea esercitò invece il mestiere di cartolaio. Si sposò nel novembre del 1482 con la figlia di un sarto, Monna Nanna di Iacopo, dalla quale nacquero Vincenzo e Giovanbattista. Dopo alcuni anni trascorsi in San Michele Berteldi ed in Santa Maria Maggiore, egli passò, con i propri familiari, in una casa situata nella Via dei Fibbiai del Popolo di San Michele Visdomini, che acquistò dai frati del Convento di Santa
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Ibidem, documenti 27 e 29. Ibidem, documento 49. Ibidem, documento 51. 62 Ibidem, documenti 36 e 38. 63 ASF, Not. Antec. 9635, c. 293v: rogito del 28 maggio 1481. 64 ASF, Corpor. Rel. Soppr. dal Gov. Franc. 86, 50; 87, 69, inserto n° 46; 87, 96, cc. 55r e 68v. Cfr. anche Annales Camaldulenses [1762], Indice, ad voc. 65 ASF, Decima Repub. 30, c. 37r. 60 61
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Maria degli Angeli il 25 giugno 149366. La vendita venne effettuata dal fratello Guido, al tempo Priore dello stesso monastero. Andrea di Lorenzo morì dopo l’aprile del 149767. I due figli di Andrea, Giovanbattista e Vincenzo, verranno elencati nella Decima Granducale del 1532/34, sempre sotto il Gonfalone del Drago, con il cognome Laurentini68, ovviamente derivato dal nome latino del nonno paterno. Giovanbattista abitò nel Popolo di San Lorenzo, in Via Santa Caterina; Vincenzo in Via della Rosa nel Popolo di San Pier Maggiore. Sui Laurentini, discendenti di Giovanbattista e Vincenzo, abbiamo notizia fino alla seconda metà del XVII secolo. Molti di loro rivestirono a Firenze importanti cariche pubbliche. Si ricorda in particolare un Paolo di Andrea Laurentini, nipote di Giovanbattista, che ad una intensa attività come funzionario del Granducato, negli anni 16391672, associò quella di orafo ed argentiere69.
66 Cfr. Appendice 1, documento 16. ASF, Not. Antec. 9636, c. 118r: rogito del 25 novembre 1482; 9643, c. 30r: rogito del 25 giugno 1493; Corpor. Rel. Soppr. dal Gov. Franc. 86, 49, c. 2v. Come si legge nella Decima Granducale del 1532/34 (cfr. la nota 68) la casa di Via dei Fibbiai venne poi incamerata nei locali dell’ Ospedale degli Innocenti. 67 Compare infatti tra i debitori e creditori del Convento di Santa Maria degli Angeli fino al 12 aprile 1497: ASF, Corpor. Rel. Soppr. dal Gov. Franc. 86, 50, cc. 24s-24d. In un precedente volume Andrea si trova sempre tra i creditori per la vendita di “più libri latini”, “di più libri di gramaticha” e “per legature e miniature”, effettuate nell’anno 1486: ASF, Corpor. Rel. Soppr. dal Gov. Franc. 86, 49, c. 294d. 68 ASF, Decima Grand. 3639, cc. 341v-342r; 3641, cc. 452v-453r. Cfr. anche Appendice 1, documento 16. 69 ASF, Raccolta Sebregondi 2999; Ceramelli-Papiani 2731; Manoscritti 356 (Carte dell’Ancisa HH), c. 589v e 360 (Carte dell’Ancisa MM), cc. 10v, 250r. BNF, Poligrafo Gargani 1104, schede 198, 199, 201-207; 1105, scheda 124; 1139, scheda 173. BNF, A. Cirri, Necrologio fiorentino, vol. X, p. 130.
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3. Benedetto di Antonio Nel suo Trattato d’abacho, M° Benedetto scrive di essere ... nato et allevato ... in Fiorenza et in quella experimentato ...70
Così nel codice L.IV.21 si legge: E perché nato sono in Firenze et in quello experimentato secondo l’uso fiorentino ...71
Dalle dichiarazioni catastali del padre per gli anni 1431, 1433, 1442, 1447, e da quella della madre Taddea fatta nel 1469, Benedetto di Antonio risulta di fatto nato a Firenze, all’inizio del 142972. Il Catasto dell’ormai anziano padre relativo all’anno 1458, porterebbe invece a posticipare tale data al 143273, anno peraltro e forse non a caso coincidente con quello riferito dal Solmi e da Hart74. Essendo quest’ultima data deducibile da uno solo dei sette Catasti a noi pervenuti, riteniamo decisamente più probabile, anzi praticamente certo, il 1429 come anno di nascita del Nostro, e dunque inesatta la dichiarazione del 1458, cosa del resto non infrequente nei documento catastali dell’epoca. Dopo avere studiato l’abaco e già nel pieno della sua attività di abacista, verso la fine di ottobre e i primi di novembre del 1457, Benedetto si sposò con Pippa dei Tinghi, originari di Gangalandi nel Valdarno. Come quella di Benedetto, anche la famiglia Tinghi fu molto numerosa75. Pippa ebbe infatti dieci fratelli, sette maschi e tre femmine: Simone, Bartolomeo, Piero Antonio, Bice, Francesco, Giovanni Gualberto, Luca, Verano, e le gemelle Bonda e Piera. La madre fu tale Monna Orrevole e il padre fu Giovanni di Bartolo di Giovanni Tinghi, soprannominato “Falsamostra”, che esercitò l’attività di “chomandatore de’ Signiori”.
70
BNF, Magl. XI. 76, c. 1r. L.IV.21, c. 83r; cfr. Arrighi [1965], p. 385. Cfr. Appendice 1, documenti 3-6 e 9. Il Catasto del 1451 ( documento 7) non riporta l’elenco delle “bocche”. 73 Cfr. Appendice 1, documento 8. 74 Si veda l’Introduzione. 75 Cfr. Appendice 1, documenti 11-15. 71 72
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La data pressoché esatta del matrimonio di Benedetto si deduce proprio dalle dichiarazioni di Antonio di Cristofano e di Giovanni Tinghi consegnate agli Ufficiali del Catasto fiorentino alla fine di febbraio del 1458. Qui il Tinghi scrive di avere concesso temporaneamente in usufrutto a Benedetto di Antonio un terreno con casa colonica situato nel Popolo di Sant’Angelo a Legnaia, in cambio di 170 fiorini “... per resto della dote di Monna Pippa ...”, “... che è circa a mesi 4 n’andò a marito ...”76. La dote complessiva della figlia ammontava infatti a 250 fiorini che i Tinghi si erano impegnati a consegnare alla famiglia di Benedetto “inter denarios et res”, assieme a cinquanta lire delle spese nuziali77. I dati catastali relativi all’età di Pippa forniscono indicazioni discordanti per la determinazioni del suo anno di nascita che possiamo solo approssimativamente collocare tra il 1436 ed il 1440. Prima di sposarsi, con i genitori ed i fratelli, essa trascorse alcuni anni nel Quartiere di Santa Maria Novella, sotto il Gonfalone del Leon Bianco, in Via dell’Amore, e successivamente passò nel Quartiere di Santo Spirito, Gonfalone del Drago Verde, esattamente in Borgo San Frediano. Dopo il matrimonio si trasferì nell’abitazione del marito, in Piazza Padella. Dall’unione con Pippa sembra che Benedetto non abbia avuto figli; perlomeno nessun figlio risulta dichiarato e dunque in vita nel Catasto successivo al suo matrimonio, né compare tra i fiorentini battezzati in Santa Maria del Fiore78. Dopo la morte del padre, Benedetto, pur essendo il più giovane dei figli di Antonio di Cristofano, assunse il ruolo di capo famiglia e di amministratore dei beni lasciati dal padre in eredità79. Da tempo il fratello Luca e probabilmente altri quattro dei suoi sette fratelli erano già morti. Lorenzo ormai da molti anni si era staccato dalla casa paterna. Oltre a Benedetto, solo Giovanni era rimasto con la madre; spesso però, sia lui che Lorenzo, dovevano essere assenti da Firenze80. In tutti i documenti familiari a noi noti, posteriori al 1464, Benedetto figura infatti da solo, o con la madre Taddea, e sempre in qualità di rappresentante del fratello Giovanni o in sostituzione di Lorenzo.
76
Ibidem, documento 13. Ibidem, documento 23. AOSMFF, Registri dei Battesimi. 79 Già da qualche anno, con un rogito del 4 agosto 1460, Benedetto era stato nominato dal padre suo procuratore nell’amministrazione dei beni del Monte Comune: cfr. Appendice 1, documento 22. 80 Nel Catasto del 1469, Taddea dichiara infatti esplicitamente che “Giovanni ... non ci è a Firenze”: cfr. Appendice 1, documento 9. 77 78
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Albero genealogico della famiglia di M° Benedetto Guido Cristofano Antonio (n.1381-m.1464) con Taddea di Domenico (n.1387-m.1470/80)
Iacopo (n.1412)
Lorenzo
Simone
Luca
Giovanni
Cristofano
(n.1413-m.1479) (n.1414-1431) (n.1416-m.1447/64)(n.1416-m.1481/95) (n.1421-1431) con Andrea di Andrea di Domenico (1442-m.1482/95)
Guido
BENEDETTO
(n.1423-1431) (n.1429-m.1479) con Pippa Tinghi (n.1436/40m.1479/80)
Maddalena (1464)
Iacopo
Cristofano
(1482-1495)
(1482)
Andrea
Guido
(1480-1497) (1482-m.1500) con Nanna di Iacopo (1482)
Pietro
Domenico Pellegrino
(1482)
(1482)
(1482)
Vincenzo
Giovanbattista
(1532/34-1552) con Nannina (m.1586)
(1532/34-1573) con Ginevra (m.1572)
Antonia (1481-1482) con Zanobi di Giovanni (1481-1482)
Francesco (m.1554)
Andrea
Francesca (1568)
(1573)
Girolamo
Paolo
(1630-1673) con Maddalena (m.1660)
(1639-m.1679) con Margherita di Zanobi da Gagliano (1622)
Zanobi
Giovanni
Andrea
(m.1659)
(1632-1659)
(1659-1681) con Caterina (1681)
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Andrea
Leonardo
Francesca
(m.1642)
(1649-1662)
(1696)
Dal punto di vista economico, gli anni immediatamente successivi alla scomparsa di Antonio furono probabilmente alquanto difficili per la famiglia. A tale proposito, significativo è un documento del 23 agosto 1466 in cui risulta che Taddea e Benedetto avevano ricevuto cento fiorini in prestito da un cambiavalute, tale Bono di Giovanni dei Boni, con l’impegno di restituirli entro un anno81. Per due volte l’abacista venne inoltre citato davanti al Tribunale della Mercanzia come debitore: il 18 giugno 1466 per una somma di 3 lire e 16 soldi di piccioli che doveva ad un calzolaio, Domenico di Gualberto, e il 13 settembre 1471 – quale mallevadore di tale Tommaso o Maso di Grazia – per un debito di 26 lire di piccioli con il galigaio Piero di Matteo Fiordalisi82. Dopo il 1464 Benedetto e i suoi furono anche costretti a rinunciare ad alcuni possedimenti: Il primo maggio 1465 il Nostro vendette a Filippo di Taccerino di Lorenzo Taccerini ed a Giovanni di Meo Pucci un appezzamento di terreno situato nel Popolo di Santa Maria a Sco83. Presumibilmente nello stesso periodo, la famiglia degli Agli riacquistò la casa di Piazza Padella che Antonio di Cristofano aveva comprato nel 1428. In seguito, come risulta dai due contratti del 16 e 22 aprile 146884, vendendo a Bernardo di Giovanni Cambi una casa colonica e i terreni del Popolo di San Prospero a Cambiano, Benedetto e Taddea riuscirono tuttavia a riscattare da Lotto degli Agli la vecchia abitazione, che figura infatti tra i possedimenti da loro denunciati al Catasto del 1469. In questo periodo, però, la casa non era abitata dalla famiglia dell’abacista ma affittata, parte a tale Guglielmo, un “marruffino” ossia un dipendente di Messer Giovannozzo Pitti, e parte ad un prete, Marco di Baldo. Benedetto ed i suoi, forse già da qualche anno, si erano infatti ritirati in una vicina abitazione più piccola della precedente, situata anch’essa in Piazza Padella, al tempo proprietà in parte di Monna Tita, vedova del linaiolo Baldo di Simone, e in parte dell’Ospedale di Santa Maria Nuova e della Società di Orsanmichele: l’abitazione era costituita da alcuni locali ceduti in affitto dalla stessa Monna Tita, al prezzo di dieci fiorini l’anno85. Poco dopo la denuncia catastale dell’agosto ’69, con un atto notarile del 19 febbraio 1470, la casa di Piazza Padella fu di nuovo e defini81 82 83 84 85
Cfr. Appendice 1, documento 28. Ibidem, documenti 48 e 50. Ibidem, documento 26. Ibidem, documenti 29 e 30. Ibidem, documento 9; cfr. inoltre ASF, Catasto 926, c. 392r: Portata di Monna Tita.
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tivamente venduta da Benedetto a Zanobi di Zanobi di Niccolò del Cicca86; in realtà questi la acquistò, al prezzo di 276 fiorini, per conto di un importante artista del tempo, Antonio di Iacopo Benci detto Antonio del Pollaiolo, come risulta da un successivo atto di nomina del 2 aprile 147087. È anche interessante rilevare che all’epoca della stesura del precedente rogito, una delle abitazioni confinanti con la casa di Benedetto apparteneva ad un membro dell’illustre famiglia Rucellai, Bernardo di Piero di Cardinale, fratello di quel Girolamo al quale fu quasi sicuramente rivolto il trattato contenuto nel codice Palat. 573. Benedetto rimase con i propri familiari nel Popolo di San Michele Berteldi, probabilmente sempre in Piazza Padella, almeno fino all’estate del 1476, come si deduce da due rogiti del 17 ottobre 1471 e del 5 luglio 147688. Il primo si riferisce alla nomina di Piero di Donato, nipote dell’umanista Leonardo Bruni, come arbitro di una lite tra Benedetto e Francesco di Giovanni Naldi del Distretto fiorentino di Balneo di Santa Maria. Sul secondo, che riguarda l’affitto di una casa nel Chiasso dei Buoi, ritorneremo tra breve. Un libro del Monastero di Santa Maria degli Angeli ci informa che Benedetto di Antonio, assieme alla moglie Pippa, trascorse gli ultimi anni di vita in un’altra zona di Firenze, ossia nel Popolo di San Michele Visdomini, vicino alla Piazza Santissima Annunziata, comunque sempre in San Giovanni, Gonfalone del Vaio. Qui, almeno tra la fine del 1476 e la primavera del 1479, egli visse in una casa di Via dei Fibbiai, allora proprietà del Monastero, pagando un fiorino al mese di affitto89. Il sito era molto vicino a quello acquistato nel 1493, e abitato poi, da un nipote del Nostro, Andrea di Lorenzo. Il grande e glorioso Monastero di Santa Maria degli Angeli del Tiratoio – situato in Via degli Alfani e fondato nel 1295 per volontà 86 Cfr. Appendice 1, documento 32. Più precisamente, il 2 ottobre del 1469, Benedetto aveva stipulato un precedente atto di vendita della casa con Antonio di Michele di Feo Dini, che l’avrebbe acquistata a nome della moglie Angela di Bartolomeo degli Stagnesi. A tale vendita, il 26 gennaio 1470, dette il proprio consenso la madre di Benedetto, Taddea: cfr. Appendice 1, documento 31. L’atto di vendita del 2 ottobre venne poi annullato, con l’approvazione della stessa Monna Angela, il 28 febbraio 1470: cfr. ASF, Not. Antec. 5290, c. 489v. 87 Cfr. Appendice 1, documento 33. Antonio del Pollaiolo, come egli stesso racconta nella Decima Repubblicana del 1495, dopo aver dato un acconto di 100 fiorini, finì di pagare quella casa nel 1481. Un anno dopo gli “fu chonvinta per la via del Podestà di Firenze”. Nel 1495 la casa era proprietà di Francesco di Antonio Giugni: cfr. Decima Repub. 8, c. 6r; 14, c. 293v. Ricordiamo che Antonio del Pollaiolo ed i suoi fratelli Giovanni e Piero abitarono molto vicino alla Piazza Padella, ossia in Piazza degli Agli, oggi scomparsa. In questa piazza Piero del Pollaiolo ebbe anche il proprio studio di pittore: ASF, Catasto 999, c. 14; 1000, c. 206r; 1001, c. 200r. Sulle case di Antonio del Pollaiolo si vedano Cruttwell [1905], pp. 383-384 e Giglioli [1907]. 88 Cfr. Appendice 1, documenti 34 e 35. 89 Ibidem, documenti 82, 108.
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e grazie ad un lascito di Fra’ Guittone d’Arezzo – fu famoso dal punto di vista artistico e culturale. Nel corso del Trecento come sede di un importante laboratorio di miniatura da cui uscì il pittore Lorenzo Monaco; nel Quattrocento quale centro di studi promossi da Ambrogio Traversari e ai quali parteciparono uomini illustri tra cui, oltre al citato Leonardo Bruni, Carlo Marsuppini, Bartolomeo Valori, Paolo dal Pozzo Toscanelli, Cosimo e Lorenzo de’ Medici90. Per oltre tre anni, tra il febbraio del 1476 ed i primi di giugno del 147991, Benedetto fu strettamente legato a questo convento; rimase infatti ininterrottamente alle dipendenze dei frati come loro “fattore” o “procuratore”, percependo mensilmente, per i primi nove mesi uno stipendio di tre fiorini, e in seguito di due fiorini92. Tre filze di “Debitori e creditori” dei frati di Santa Maria degli Angeli registrano centinaia di pagamenti fatti per mano di Benedetto, che si occupava di tutte le spese del monastero93. In questi elenchi figura più volte l’Ospedale di Santa Maria Nuova. Sono citate note Compagnie fiorentine, come la Compagnia della Misericordia, del Bigallo e delle Laudi di Sanzanobi, oltre a diversi istituti religiosi, tra cui le Chiese di Santo Spirito e di San Michele Visdomini. Compaiono nomi di importanti mercanti, orafi, banchieri e notai del tempo, quali i lanaioli Bartolomeo Ciacchi, Niccolò di Giovanni del Barbigia, Antonio Gerini, il linaiolo Michele di Lorenzo, lo speziale Mariotto di Marco, il ritagliatore Valerio di Andrea di Berto, i tessitori Rinaldo di Giovanni della Magna, Domenico di Zanobi e Andrea di Antonio del Giocondo, gli orafi Antonio del Mazza e Matteo di Lorenzo, i banchieri Giovanni di Chirico Pepi, Bartolomeo Strinati e Bartolomeo di Leonardo Bartolini, i notai Ser Giovanbattista d’Albizzo da Fortuna e Ser Luigi Gambini. Spiccano inoltre alcuni nomi di rilievo tra cui quelli del già citato Piero di Donato Bruni, di Messer Lorenzo di Ridolfo Ammannati, abate di San Baronto, e del letterato e uomo politico Bartolomeo Scala. In particolare, per l’anno 1478, si trova il dettagliato elenco delle spese sostenute dall’abacista, sempre per conto dei frati degli Angeli, “per la festa” fatta in occasione del battesimo di una figlia dello Scala94. 90 Sul Monastero di Santa Maria degli Angeli si vedano Richa [1754-1762], vol. VIII (1759), pp. 143-174 e Savelli [1983, 1992]. 91 Segnaliamo che a quel tempo il Priore del convento fu Leonardo di Donato di Leonardo Bruni, ovviamente anch’egli nipote di Leonardo Bruni. 92 Cfr. Appendice 1, documenti 82-83, 100, 113. 93 Ibidem, documenti 55-59, 61, 64-118. 94 Ibidem, documento 55. Il battesimo era presumibilmente quello di Lucrezia Scala, che risulta appunto nata nel 1478: cfr. ASF, Catasto 1015, c. 269r. La ben più nota sorella Alessandra, amata dal Poliziano, nacque nel 1475. Su Bartolomeo Scala si veda Brown [1990].
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In due dei tre volumi, viene nominata per tre volte anche Monna Pippa, la moglie di Benedetto, in relazione all’acquisto di due “vangaiole” e di una cintola fatta per lei dall’orafo Antonio del Mazza95. Non infrequenti sono i riferimenti ad altri libri purtroppo non pervenutici: volumi di “Debitori e creditori” o di “Ricordanze” del Convento e di alcuni tra i mercanti citati, nonché libri di conti tenuti dallo stesso Benedetto, che dovevano contenere ulteriori informazioni sull’attività da lui svolta. Proprio nel rivedere tali libri, dopo la morte del Nostro, i frati ebbero modo di rilevare come più volte l’abile fattore avesse furbamente e “fraudatamente” sottratto del denaro al Convento in quanto “tutto poteva fare perché lui era sindaco nostro a potere fare ogni cosa”96. Un ulteriore “Registro di monaci” di Santa Maria degli Angeli parla inoltre di una “scripta in bambagia di mano di Benedetto” del 28 febbraio 1479 relativa alla vendita di una casa in Via dei Fibbiai a tale Martino di Giovanni Dannono, di Lombardia, ed a sua moglie Margherita, da parte dei frati del Convento97. Nelle suddette tre filze di “Debitori e creditori”, l’ultimo pagamento registrato dai frati di Santa Maria degli Angeli ed effettuato da Benedetto – una lira e 10 soldi a lui consegnati da Francesco d’Albizzo, fratello di Ser Giovanbattista – risale al 3 giugno 147998. Il 7 dicembre dello stesso anno i frati scrivono di dovere 4 lire e 16 soldi a un ceraiolo, Francesco di Giuliano Benintendi, per otto libbre di cera, di cui sei portate a Ser Franco, cappellano della Chiesa San Michele Visdomini, “per uno uficio facemo fare a San Michele Visdomini per la benedetta anima di Benedetto d’Antonio nostro factore”99. Tale chiesa, detta anche di San Michelino e situata nella piazza omonima sulla Via dei Servi, era ed è molto vicina alla Via dei Fibbiai dove l’abacista si era trasferito nel 1476100 ed era di fatto la chiesa parrocchiale di Benedetto. Da notare che nel solito volume i frati raccontano di essere creditori di Benedetto di 25 fiorini per due anni ed un mese di affitto della casa di Via dei Fibbiai, dal 30 aprile 1477 al 31 maggio 1479. Sei mesi dopo la stessa casa verrà da loro nuovamente affittata a Luca di Iacopo di 95
Cfr. Appendice 1, documenti 57, 71 e 84. Ibidem, documento 74; cfr. inoltre documento 108. Ibidem, documento 64; ASF, Corpor. Rel. Soppr. dal Gov. Franc. 86, 49, c. 5v. 98 Ibidem, documento 106. 99 Ibidem, documenti 113 e 115. 100 Sulla Chiesa di San Michele Visdomini si vedano: Calzolai [1977]; Fantozzi [1974], pp. 379381; Richa [1754-1762], vol. VII (1758), pp. 1-30. 96 97
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Piero Migliorelli, a decorrere dal 30 novembre 1479101. Osserviamo infine che, in data 19 giugno 1479, essi riferiscono anche di avere mandato alcuni ceri al solito cappellano di San Michele Visdomini, forse proprio per la messa funebre del loro fattore102. In definitiva Benedetto morì senz’altro tra il 3 giugno ed il 7 dicembre del 1479, quasi sicuramente entro il mese di novembre; non è inoltre da escludere che la sua scomparsa sia avvenuta poco prima del 19 giugno. Di lì a poco, anche Monna Pippa seguì il marito nella tomba. Un Atto del Podestà di Firenze del 13 giugno 1480, ci informa infatti che essa morì entro il febbraio del 1480103. Con molta probabilità i due coniugi – e con loro anche Lorenzo, il fratello di Benedetto – furono vittime della terribile pestilenza che nel triennio 1476-1479 colpì la maggior parte delle regioni italiane; anche a Firenze l’epidemia fu talmente grave che ventimila cadaveri vennero sepolti nel cimitero di Santa Maria della Scala104. Dopo la scomparsa di Benedetto, dal marzo del 1480 al febbraio del 1481, si verificarono alcune controversie tra i parenti dell’abacista e i frati del Convento di Santa Maria degli Angeli, forse per un debito di oltre 158 fiorini che il Nostro aveva contratto con gli stessi frati. In un volume del Convento si parla, tra l’altro, di una relativa sentenza e di una lettera inviata il 15 luglio 1480, su richiesta dei frati, dagli Otto di Guardia e Balia al Vicario di San Giovanni, affinché venissero effettuati alcuni sopralluoghi in Valdarno per fare l’inventario dei beni e valutare le rendite dei terreni che erano stati di Benedetto105. Come abbiamo già rilevato, Benedetto e Pippa non lasciarono figli, e sembra siano morti senza fare testamento. Dopo la loro scomparsa, dei beni di famiglia che il Nostro aveva ereditato dal padre Antonio di Cristofano era rimasta una metà dei terreni di San Giovenale e di San Donato a Menzano, in Valdarno. L’altra metà apparteneva a Giovanni di Antonio, probabilmente l’unico fratello di Benedetto
101 Cfr. Appendice 1, documento 60. Si veda anche ASF, Catasto 1016, c. 395r: dichiarazione di Luca di Iacopo Migliorelli. Il Migliorelli rimase nella casa di Via dei Fibbiai almeno fino al maggio del 1481. In seguito il sito, già proprietà di tali Paolo e Lodovico di Santi, sellai, a seguito di una sentenza della Corte del Podestà fu assegnato a Monna Benedetta, la vedova di Lodovico; dopo il 1495 fu tenuto in affitto da un ceraiolo, Giovanni di Giuliano di Iacopo Benintendi. Cfr. Appendice 1, documento 63; ASF, Corpor. Rel. Soppr. dal Gov. Franc. 86, 49, c. 9r; Decima Repub. 10, cc. 353r-353v: dichiarazione di Giovanni Benintendi e fratelli. 102 Cfr. Appendice 1, documento 107. 103 Ibidem, documento 42. 104 Cfr.: Artusi, Patruno [2000], p. 220; Del Panta [1980], pp. 118, 124, 126; Torricelli et al. [2001], p. 27. 105 Cfr. Appendice 1, documenti 62 e 119.
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allora ancora in vita. L’assegnazione di quei beni venne stabilita, tra il 1480 ed il 1482, da diverse sentenze della Corte del Podestà, purtroppo non tutte pervenuteci. Il citato Atto del Podestà del 13 giugno 1480 sancì che il podere di San Giovenale venisse dato ai fratelli di Pippa – Bartolomeo, Francesco e Luca Tinghi, allora ricchi possidenti – in restituzione della dote della sorella, in quanto morta dopo la scomparsa del marito106. L’ 11 dicembre del 1480, Giovanni di Antonio consegnò la sua metà dei terreni di Menzano a Monna Andrea, la vedova dell’altro fratello Lorenzo, anche qui in restituzione di metà della sua dote107. A completamento di questa, un altro Atto del Podestà del 28 marzo 1482 assieme ad una precedente donazione fatta dalla stessa Monna Andrea il 19 marzo 1481, a favore di sua figlia Antonia, decisero l’assegnazione alla stessa Antonia dell’altra metà dei terreni, quella appartenuta a Benedetto108. Ancora il rogito del 19 marzo ’81 ed uno successivo del 19 giugno 1482109 stabilirono la definitiva attribuzione di tutte le terre di Menzano ad Andrea, figlio di Lorenzo. Alla Decima Repubblicana del 1495 ed alla Decima Granducale del 1532/34, i poderi di San Giovenale e di San Donato a Menzano figuravano ancora rispettivamente nella denuncia dei Tinghi110, e in quelle di Andrea di Lorenzo e dei suoi figli Giovanbattista e Vincenzo Laurentini111.
106 Il terreno figura infatti tra i beni dei Tinghi al Catasto del 1480/81: cfr. ASF, Catasto 1001, cc. 248r-248v. Come risulta dalla loro dichiarazione catastale, i Tinghi, dopo il 1468, acquistarono molti terreni nel Popolo di San Martino a Pontifogni, nel Valdarno Superiore: cfr. anche ASF, Not. Antec. 11680, cc. 40v-41v, 70r-70v; 11681, cc. 9v-10r, 139v; 20286, cc. 83r-83v. 107 Cfr. Appendice 1, documento 38. Delle terre di Menzano che furono consegnate a Monna Andrea, si parlava anche nel Catasto di quegli anni: cfr. Appendice 1, documento 10 (Catasto 1019). Precisiamo che del Catasto del 1480/81 non sono pervenute le Portate dei cittadini ma solo i corrispondenti Campioni, ossia le copie dei registri fatte dagli Ufficiali del Catasto. Di Monna Andrea e dei figli non ci sono rimasti neppure i Campioni. L’indice del volume 1019 (Campione di San Giovanni, Drago) - dove è scritto tra l’altro erroneamente “Monna Andrea vedova, donna fu di Antonio di Cristofano”, anziché “donna fu di Lorenzo di Antonio di Cristofano” - rimanda infatti a c. 488 dove non si trova, però, la denuncia della stessa Andrea, ma si legge: “Beni e posesori degli infrascripti beni che furono riportati nel Catasto 1470, c. 980, in nome di Madonna Taddea, donna fu d’Antonio di Cristofano di Ghuido, tese drapi.” L’intestazione è seguita dalla descrizione del terreno di San Donato a Menzano, a proposito del quale si precisa poi: “Posto nel Drago, San Giovanni, primo, c. 617, in Madonna Andrea vedova.” Qui si fa probabilmente riferimento alla Portata perduta di Monna Andrea. 108 Cfr. Appendice 1, documenti 16 e 39. 109 Ibidem, documento 41. 110 ASF, Decima Repub. 8, cc. 151r-152r. 111 Cfr. la nota 68.
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4. Benedetto dell’abaco Come abbiamo visto, Antonio di Cristofano svolse, per tutta la vita, una fruttuosa attività di tessitore e di commerciante di drappi. Benedetto – come probabilmente tutti i suoi fratelli – seguì dunque il destino allora comune ai figli dei mercanti. Dopo un primo periodo di studi elementari, in cui, ricordiamo, si apprendeva a leggere e scrivere in italiano e latino, egli passò alla scuola d’abaco. Esaurito il proprio ciclo scolastico, Benedetto fu senz’altro più interessato agli studi matematici che alle attività commerciali e mercantili. In tutti i documenti a lui relativi e da noi finora rintracciati, egli non viene infatti mai citato come tessitore: è dunque quasi certo che non abbia mai esercitato il mestiere paterno, al contrario ereditato dal fratello Lorenzo e forse anche da Giovanni. Indiscutibile e più volte attestata risulta invece la sua professione di maestro d’abaco. Con tale qualifica, o con equivalenti appellativi, lo troviamo infatti nominato in ben 45 documenti dell’Archivio di Stato di Firenze: 42 vanno dal 1448 al 1479, anno di morte dell’abacista, due risalgono al 1480/81 e uno è di poco posteriore al 1495. Tali scritti sono contenuti in nove fondi: diciassette nella Compagnia poi Magistrato del Bigallo e della Misericordia, tre negli Ufficiali di Notte e Conservatori dell’onestà dei Monasteri, cinque nel Notarile Antecosimiano, due nella Mercanzia, due nel Monte Comune o delle Graticole e nel Catasto, tre nell’Ospedale di Santa Maria Nuova, due negli Operai di Palazzo, undici nelle Corporazioni Religiose Soppresse dal Governo Francese: Badia del Sasso e Convento di Santa Maria degli Angeli. In questo capitolo ne esporremo in sintesi il contenuto. Su alcuni, importanti per le informazioni sull’attività didattica del Nostro, ritorneremo più ampiamente nel successivo capitolo. – Nel fondo relativo alla Compagnia poi Magistrato del Bigallo e della Misericordia, nove libri di “Lasciti, allogazioni, debitori e creditori” e un volume di “Deliberazioni e stanziamenti” contengono sedici documenti relativi agli anni 1448-52, 1455-56, 1465, 1468, 1473 e 1479: in questi Benedetto di Antonio di Cristofano viene elencato tra i debitori e creditori della Compagnia sempre con l’appellativo di “maestro d’abacho” o “Maestro”112.
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Cfr. Appendice 1, documenti 121-122, 124-136, 138.
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In un’ altra scritta del Bigallo si ricorda inoltre che 12 dicembre 1477113 vennero consegnati f. dodici di suggello ... a Benedetto d’Antonio dell’abacho ... e f. dua di suggello ...
che il Nostro portò ai frati del Convento di Santa Maria degli Angeli per alcune messe fatte rispettivamente a favore dei defunti Monsignor Fantini e Monna Lisabetta di Banco Bettini114. – Nel Quattrocento gli Ufficiali di Notte erano una magistratura preposta alla tutela della moralità pubblica. I citati tre documenti su M° Benedetto115 si trovano nelle relative liste delle “tamburazioni”, cioè querele per sodomia, e delle corrispondenti condanne o assoluzioni. Tra i “tamburati” del giorno 3 dicembre 1453, gli Ufficiali elencano infatti Benedictum Antonii, docet abacum
Diversi anni dopo, il 7 marzo 1468 Benedictus [ ] magister artismetricis
subì un’altra denuncia da parte del quattordicenne Giovanni di Andrea Salutati. Il 17 marzo, però, lo stesso “Benedictus arismetricus” venne discolpato dall’accusa116. – Il primo rogito del Notarile Antecosimiano risale al 25 aprile 1457 e venne stipulato nella Cappella dei Beccanugi della Chiesa di San Michele Berteldi, che al tempo era la parrocchia di Benedetto117 . Qui, durante una riunione degli affiliati alla Società di San Michele
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Ibidem, documento 137. Monsignor Fantini era morto nel 1367, Monna Lisabetta di Banco Bettini, moglie di Cervagio di Agnolo, nel 1385: ASF, Corpor. Rel. Soppr. dal Gov. Franc. 86, 95, cc. 27v e 57r. 115 Cfr. Appendice 1, documenti 140, 143-144. 116 In questo caso si ebbe una diretta confessione da parte del ragazzo. Generalmente le denunce avvenivano invece in forma segreta ed anonima e raccolte in appositi tamburi che si trovavano in determinate zone della città. Benedetto compare altre volte nelle liste dei “tamburati”. E peraltro, i maestri d’abaco del tempo subivano frequentemente querele per sodomia. Cfr. Appendice, documenti 139, 141-142; si vedano inoltre le note 160 e 164. 117 Cfr. Appendice 1, documento 21. 114
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Benedittus Antonii de arismetrica
venne eletto “procuratore” e “fattore” della stessa compagnia, assieme ad un altro maestro d’abaco, Bettino di Ser Antonio da Romena, già consigliere della Società di San Michele118. La fama ed il prestigio di cui godeva M° Benedetto sono testimoniati dal secondo rogito del 5 novembre 1462, che si riferisce alla dote di Monna Pippa119. Nel 1462 Giovanni Tinghi, padre di Pippa, non aveva ancora colmato il debito di 170 fiorini con la famiglia del Nostro quale resto della dote di sua figlia, denaro che egli doveva avere dalla Cassa del Generale del Comune di Firenze, in seguito al suo incarico di “comandatore” o “precettore” della Signoria120. Per questo, il 30 giugno 1462, il Consiglio dei Cento emanò appositamente una legge a favore di M° Benedetto con cui si stabiliva che l’abacista dovesse ricevere quei 170 fiorini dallo stesso Comune. Nel rogito del 5 novembre Benedictus filius Antonii, magister abbachi ... fecit etc. suum procuratorem etc. ... nobilem virum Paulum Iacobi de Federigis de Florentia, specialiter et nominatim ad petendum et exigendum etc. a Comuni Florentie et a commissariis Camere dicti Comunis ... summam et quantitatem florenorum auri centum septuaginta ...
Il terzo documento notarile, del 12 luglio 1465, fu rogato nella sede dell’Arte degli Albergatori. Qui un tale Iacopo di Antonio Carboni, stufaiolo, e Benedictus olim Antonii, magister artis metice, Populi Sancti Michaelis Berteldi de Florentia, pro et vice et nomine Laurentii eius fratris carnalis ...121
si presentarono per eleggere gli arbitri di una lite, di cui peraltro non conosciamo la causa, sorta in precedenza tra il fratello di Benedetto, Lorenzo, e il detto Iacopo.
118 M° Bettino nacque verso il 1415/20 da una famiglia molto facoltosa originaria di Romena in Casentino, dove ebbe case e terreni. Abitò nel Quartiere di San Giovanni, prima in Via Sant’ Egidio, poi in Via del Cocomero, un tratto dell’attuale Via Ricasoli. Rimase celibe; in tarda età si ritirò nella casa di famiglia nel Castello di Romena e morì dopo il 1480: cfr. ASF, Catasto 684, cc. 327r-331v; 721, cc. 336r-339r; 826, cc. 568r-568v; 1018, c. 145r; Monte Comune o delle Graticole, Copie del Catasto 90, c. 193r. Su Bettino cfr. Ulivi [2001], pp. 315-316, 344; inoltre qui, p. 42. 119 Cfr. Appendice 1, documento 23. 120 Ibidem, documento 13. 121 Ibidem, documento 27.
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Nel quarto notarile del 26 gennaio 1470, la madre Taddea, rogante ... cum consensu Benedicti Antonii Christofari insegna l’abbaco ...
ratificò un precedente atto del 2 ottobre 1469 relativo alla vendita della casa di Piazza Padella, da parte dello stesso Benedetto, ad Antonio di Michele di Feo Dini ed a sua moglie Angela di Bartolomeo degli Stagnesi122. Infine il quinto rogito risale al 5 luglio del 1476 e fu stipulato nell’Ufficio dell’Onestà di Firenze. Con tale documento, nelle vesti di provveditore dei Capitani della Società di Orsanmichele, Benedictus quondam Antonii dell’abacho, Populi Sancti Michaellis Berteldi de Florentia ... locavit ad pensionem Francische greche, publice meretrici in Chiasso Bobum de Florentia ... partem cuiusdam domus, posite Florentie in Populo Sancti Michaellis Berteldi de Florentia, et in Chiasso Bobum ...
La casa era molto vicina all’abitazione di Benedetto, apparteneva alla stessa Società di Orsanmichele e venne affittata per due anni e quattro mesi al prezzo di 54 lire l’anno123. – I due documenti del Tribunale della Mercanzia fanno entrambi parte degli “Atti in Cause Ordinarie”. Nel primo, del 18 giugno 1466, tale Domenico di Gualberto, calzolaio, dichiara che Benedetto d’Antonio, maestro d’abaco, fu ed è suo vero debitore di lire [3], s. 18 piccioli per mercantia di bottega sua, a llui venduta e data ...124
Così nel secondo, che risale al 13 settembre 1471, il galigaio Piero di Matteo Fiordalisi ricorda che125 Maxo di Gratia126 del Popolo di Stia di Casentino e Benedecto di [ ] vocato del’abacho, suo malevadore, e qualunque di loro in tutto, furono e sono suoi veri e legitimi debitori di lire ventisei piccioli per vigore di scripta privata ... 122
Ibidem, documento 31; si veda anche la nota 86. Ibidem, documento 35. 124 Ibidem, documento 48. 125 Ibidem, documento 50. 126 Maso o Tommaso di Grazia era un contadino alle dipendenze di M° Benedetto e della sua famiglia come lavorante del podere di San Giovenale: cfr. Appendice 1, documenti 8 e 9. 123
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– Nelle dichiarazioni catastali della famiglia di Benedetto non si parla mai della sua attività di abacista. Solo in un volume del Monte Comune o delle Graticole – che contiene le Copie del Catasto del 1469, fatte dai relativi Ufficiali – dopo la denuncia di Monna Taddea e dei figli, si legge la seguente postilla: Rechò Benedetto d’Antonio a dì 14 d’aghosto, all’abacho127.
Un analogo riferimento è contenuto in una successiva scritta del Catasto, posteriore alla morte del Nostro. Si tratta infatti della denuncia consegnata nel 1480/81 dai fratelli dell’ormai defunta Monna Pippa. Qui, nell’elencare i vari possedimenti, Simone, Bartolomeo, Francesco e Luca Tinghi ricordano l’atto del Podestà di Firenze del 13 giugno 1480 con cui il podere di San Giovenale, già appartenuto alla famiglia di Benedetto, era stato loro assegnato ... per la dota di Monna Pippa, nostra sirochia e donna fu di Benedetto del’abacho128.
– In due filze dell’Ospedale di Santa Maria Nuova, tra le “Uscite”, sono registrati tre pagamenti ai frati degli Angeli effettuati tramite “Benedetto d’Antonio dell’abacho” o “Benedetto dell’abacho” quale “sindacho” e “procuratore” degli stessi frati, nei giorni 3 luglio 1476, 21 marzo 1478 e 24 marzo 1479129. È interessante rilevare che il 3 luglio il denaro venne consegnato “per mano di Ser Piero d’Antonio da Vinci”, importante notaio fiorentino, padre di Leonardo130. – Anche in un “Libro di ricordi” della Badia del Sasso di San Giovanni decollato, nel Valdarno casentinese, al tempo annessa al Convento di Santa Maria degli Angeli, l’allora Priore Don Piero di Iacopo, nell’elencare alcune spese da lui sostenute per la Badia, scrive di avere consegnato £. 1, s. [ ], d. sei ... a Don Piero Ghini negli Agnioli e per me £. una e a Benedetto dell’abacho s. undisci ...,
durante un suo soggiorno a Firenze presso i frati degli Angeli, avvenuto probabilmente tra l’aprile ed in giugno del 1479131. 127 128 129 130 131
Ibidem, documento 9 e nota relativa. Ibidem, documento 15. Ibidem, documenti 145-147. Su Ser Piero cfr. Il Notaio [1984], pp. 256-258. Cfr. Appendice 1, documento 118.
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– Di indubbio interesse sono i due documenti contenuti nel fondo Operai di Palazzo e relativi ad una attività che il Nostro svolse parallelamente all’insegnamento. Le due scritte attestano la partecipazione di M° Benedetto ai lavori di ricostruzione di alcune sale del Palazzo della Signoria di Firenze, che tra il 1472 ed il 1480 videro impegnati celebri scultori e architetti del Quattrocento: Benedetto132 e Giuliano di Leonardo da Maiano, Francesco di Giovanni detto Francione, i fratelli Marco, Domenico e Giuliano del Tasso, Francesco Monciatto e Giovanni da Gaiole133. Nel luglio del 1475, gli Operai di Palazzo, ritenendo eccessivo ed inadeguato quanto richiesto dai maestri per i loro lavori, nominarono una commissione composta da altri quattro maestri legnaioli per effettuare una stima. Non trovandosi d’accordo, ciascuno di questi stilò un proprio rapporto. Il 2 dicembre gli Operai approvarono quello di Domenico da Prato, da lui depositato il 29 agosto, ed indicante i prezzi per braccio quadro di palchi, tetti e ornamenti in legno delle sale. Finalmente il 18 dicembre venne consegnata la relazione dettagliata e definitiva con tutte le misure ed i costi complessivi. Allo scopo di fornire un’esatta stima dei lavori, Domenico chiamò in suo aiuto altri due legnaioli ed anche Benedictum magistrum abbaci, in re bene peritum, qui posuit mensuram ...
Il 24 febbraio 1477, per la sua prestazione, vennero consegnate Magistro Benedicto abbaci, libras duas134
– Quattro scritte contenute in una filza del Convento di Santa Maria degli Angeli, vedono ancora M° Benedetto nel ruolo di misuratore. In esse, relativamente agli anni 1474-1475, sono descritti cinque poderi che appartenevano ai frati e che erano situati nel Popolo di San Piero a Monticelli: tutti vennero misurati per Benedetto d’Antonio di Cristofano maestro d’abacho135.
132 Benedetto da Maiano ebbe un figlio di nome Giuliano (n.1492-m.1527?), anche lui scultore. A quest’ultimo Van Egmond attribuisce un trattato d’abaco, Alchuno memoriale (c.1505) conservato alla BRF, del quale probabilmente Giuliano non fu l’autore ma solo un trascrittore e possessore. Cfr. Dizionario Biografico [1960-2000], vol. 8 (1966), p. 435; Van Egmond [1980], pp.153-154. 133 Cfr.: Gotti [1889], pp. 93-101; Lensi [1911], pp. 52-58; Lensi Orlandi [1977], pp. 76-81. Sull’argomento si veda anche l’Introduzione. 134 Cfr. Appendice 1, documenti 148-150. 135 Ibidem, documenti 52-54.
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Ancora due volumi di Santa Maria degli Angeli, nell’estesa lista dei pagamenti in cui ricorre il nome di Benedetto quale “fattore” del Convento, contengono quattro documenti, riguardanti un arco di tempo che va dal 1477 al 1480, in cui il Nostro viene ancora esplicitamente citato come “Benedetto d’Antonio dell’abaco”: nei giorni 8 e 29 settembre 1478 per aver ricevuto 5 fiorini larghi da tale Piero di Nuto, barbiere, a nome del rigattiere Giordano di Iacopo; per due volte tra il 1479 ed il 1480 – poco dopo la morte – come debitore verso il convento di oltre 157 e 138 fiorini; infine, sempre sotto la data 1479, in relazione a un debito di circa 15 fiorini con i lanaioli Bartolomeo Ciacchi e compagni, per avere acquistato tra il 1477 e il 1478 alcune pezze di “pagonazo”, di “panno nero di perso” e di “panno tane”136. In uno dei suddetti volumi ed in un’ulteriore filza di vari Contratti del convento, rispettivamente nell’anno 1480 e in data successiva al 1495, i frati elencheranno la casa di Via dei Fibbiai che fu abitata dal Nostro, ormai scomparso, come quella dove stava già Benedetto dell’abaco ...137
Oltre quindici anni dopo la sua morte, era dunque ancora vivo il ricordo del grande abacista, già procuratore del convento.
136 137
Ibidem, documenti 61, 92, 110 e 117; cfr. anche il documento 108. Ibidem, documenti 60 e 63.
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5. Le scuole di M° Benedetto e le sue relazioni con gli abacisti del Quattrocento Le notizie sugli studi e sulla formazione culturale di Benedetto dell’abaco ci vengono esclusivamente dal codice L.IV.21. Nel secondo capitolo del XV libro del manoscritto, riferendosi all’abacista Giovanni di Bartolo, l’autore scrive: Fu di statura mezana e quasi in viso pieno, benché a’ mio tenpo non avessi chognitione inperoché in quel tenpo che io mi posi a ‘nparare egli era morto, overo morisse.
E precedentemente, in un altro passo dell’introduzione al XV libro: ... fu Maestro Gratia frate di Sancto Aghostino gran teologho de’ Chastellani, fu al tempo di Maestro Giovanni anchora quello per lo quale et dal quale io ò avuto un pocho di chognitione delli chasi sottili, benché il mio maestro fusse quello che al tenpo presente excede gli altri, cioè Maestro Chalandro di Piero Chalandri huomo di gentil sangue et di chostumi et buone usanze chopioso138.
M° Benedetto, il compilatore della Praticha d’arismetricha contenuta nel codice L.IV.21, cominciò dunque a studiare l’abaco al tempo della scomparsa di Giovanni di Bartolo, sotto la guida di Calandro di Piero di Mariano Calandri. Evidentemente, molto importanti per le sue conoscenze matematiche furono gli scritti di Grazia dei Castellani, contemporaneo di Giovanni139. Giovanni di Bartolo140 morì dopo avere a lungo lavorato nella famosa Bottega di Santa Trinita, allora proprietà delle due famiglie Soldanieri e Deti, bottega situata nel Quartiere di Santa Maria Novella, 138
BCS, L.IV.21, cc. 408v, 431v; cfr. Arrighi [1965], pp. 396, 398. Grazia de’ Castellani (1392-m.1401) fu monaco agostiniano nel Convento di Santo Spirito di Firenze. Sembra non avere esercitato l’attività di maestro d’abaco; fu invece lettore di teologia nello Studio del suo convento e presso l’Università. Scrisse opere di filosofia, logica, aritmetica e geometria. Per quanto riguarda i lavori matematici, si conoscono: un Trattato del chatain riportato nel Palat. 573, nell’Ottobon. Lat. 3307 e nell’ L.IV.21, alcuni Chasi sopra conpagnie, i Chasi notabili al meritare e scontare, e un Capitolo sopra chasi d’uomini facienti lavorii, contenuti nel Palat. 573 e nell’Ottobon. Lat. 3307, una traduzione in volgare di parte di un trattato di geometria pratica dal titolo De visu che si trova nel codice Ottobon. Lat. 3307. Cfr.: Arrighi [1967c]; Gratia de’ Castellani [1984]; Van Egmond [1976], pp. 380-381; Toti Rigatelli [1986], pp. 12-19. 140 Per informazioni biografiche su Giovanni di Bartolo (n.c. 1364-m.1440) rimandiamo a Van Egmond [1976], pp. 374-377 e alla relativa bibliografia; si veda inoltre Arrighi [1965], pp. 375-376 e Arrighi [1977], p. 99; Ulivi [1996], pp. 114-115, 117. Di Giovanni di Bartolo possediamo solo alcune trascelte di problemi: Certi chasi, riportati nel codice L.IV.21, Quistioni absolute nel Palat. 573 e Alchuno chaso nell’Ottobon. Lat. 3307. Sulle prime due si vedano Giovanni di Bartolo [1982] e Arrighi [1967b]. 139
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sulla Piazza Santa Trinita – anticamante detta anche Piazza degli Spini – di fronte alla chiesa omonima, tra Via Porta Rossa e Via delle Terme141. Giovanni fu sepolto il 3 giugno del 1440 nella Chiesa di Santa Maria del Carmine142. Da prima del 1440, forse già dal 1436, e almeno fin verso il 144345, l’allora molto giovane Calandro di Piero Calandri143, succedendo 141 Giovanni – che fu anche lettore di astrologia presso l’Università di Firenze – rimase sempre legato alla Scuola di Santa Trinita, dove negli ultimi anni fu affiancato da M° Lorenzo di Biagio da Campi. In quella scuola, durante il XIV secolo e prima di Giovanni, insegnarono Don Agostino di Vanni (1363-m.1372/75) e Antonio di Giusto Mazzinghi (n.1350/55-m.1385/91). Dopo Giovanni si ebbero Lorenzo, e Mariano di M° Michele quasi sicuramente in società con M° Taddeo (n.1419/22m.1492), fratello di Antonio di Salvestro dei Micceri da Figline. Finora solo presunta, ma non documentata, è l’attività, nella Scuola di Santa Trinita, di Paolo di Piero dell’abaco (1329-m.1367) e di Michele di Gianni o della Gera (1351-m.1413), che ereditò l’uso e le suppellettili della scuola dove Paolo insegnò negli ultimi anni della sua vita (cfr. la nota 301). Sulla Bottega di Santa Trinita e sui relativi abacisti si veda: Ulivi [1996], pp. 116-117; Ulivi [1998] pp. 50-51 e Ulivi [2001]. Su Antonio Mazzinghi, Paolo dell’abaco, Michele di Gianni, Lorenzo di Biagio, Antonio e Taddeo Micceri cfr. anche: Franci [1988a]; Ulivi [1994]; Van Egmond [1976], pp. 358-359, 386, 394-403, 393, 354-358, 408-409; Van Egmond [1977, 1980]. Su Mariano si veda inoltre Sarti [1997/98], pp. 331-333, 336339. Infine a proposito di Mariano, Lorenzo, Antonio e Taddeo Micceri cfr. qui le pp. 42-45. Paolo dell’abaco fu discepolo, e forse anche socio in una scuola d’abaco, di M° Biagio detto “il vecchio” (m.c.1340). Egli ha lasciato diverse composizioni poetiche e i seguenti scritti di contenuto matematico: Trattato di tutta l’arte dell’abacho conservato nei codici Fondo Princ. II.IX.57/I (c.1340) e Targioni 9 (c.1435) della BNF, Ricc. 2511 (c.1340) e Ricc. 1169 (c.1465) della BRF, Ash. 1662 (c.1430) della BMLF, Cors. 1875 (c.1340) della BANLR, Bologna 2433 (c.1513) della BUB, Italien 946 (c.1452) della BNP, Plimpton 167 (c.1445) della BCUNY; Regoluzze nei codici Targioni 9 e Magl. XI.85 (1467) della BNF, Ricc. 2511 e 1169, Ash. 1163 (c.1487) e Ash. 1662 della BMLF, Cors. 1875, Italien 946 e Plimpton 167; Gli sciemi del 60 nel codice S. Pantaleo 13 (c.1475) della BNR; la Tavola degli scemi nel codice C.III.23/V (sec. XVII, cop. c. 1412) della BCS; la Operatio cilindri nel Palat. 798 (sec. XV) della BNF. Si attribuiscono a Paolo dell’abaco anche l’Istratto di ragioni contenuto nel codice Magl. XI.86 (c.1440) della BNF, Alquante ragioni merchatantesche nel codice Ash. 1308 (c.1440) della BMLF, le Tabulae planetarum ad annum 1366 nel codice Fondo Princ. II.II.67 (secc. XIV-XV) della BNF: la paternità di tali opere, secondo Van Egmond, sarebbe però incerta. Sul Trattato di tutta l’arte dell’abacho cfr. Piochi [1984]; sulle Regoluzze cfr. Paolo dell’Abbaco [1966]; su Operatio cilindri, Gli sciemi del 60 e la Tavola degli scemi cfr. Boncompagni [1854], pp. 380-384; sull’ Istratto di ragioni cfr. Paolo dell’Abbaco [1964]. Biagio “il vecchio” fu autore di un Trattato di praticha di argomento algebrico esposto da M° Benedetto nel codice L.IV.21. Cfr. in proposito: Biagio [1983]; Franci, Toti Rigatelli [1985], pp. 3235; Van Egmond [1976], pp. 362-363. Antonio Mazzinghi fu allievo di Paolo dell’abaco e maestro di Giovanni di Bartolo; oltre che in Santa Trinita, insegnò in una scuola d’abaco situata nel Popolo di Santa Margherita del Quartiere di San Giovanni, assieme al M° Tommaso di Davizzo dei Corbizzi (1339-m.1374/75) ed a suo figlio Bernardo (1365-m.1374/96). Del Mazzinghi ci sono pervenute diverse raccolte di problemi algebrici.; la più ampia è la trascelta fatta da M° Benedetto nel codice L.IV.21 e ripresa dal Trattato di fioretti; oltre a questa si conoscono le Regole dell’arzibra nuova riportate nel codice Magl. XI. 120 (c. 1400) della BNF; qualche Reghola d’algebra con alcune Ragioni absolute si trovano nel Palat. 573; Alchune quistione sottile asolute nell’ Ottobon. Lat. 3307. Sempre nel Palat. 573 e nell’ Ottobon. Lat. 3307 sono inoltre trascritte le Tavole del merito, cioè le tavole degli interessi compilate dal Mazzinghi. A M° Antonio è infine probabilmente da attribuire una Regola che è buono fare in ciaschedun giorno della luna, esposta nei codici Magl. XI. 119 (c. 1437), Magl. XI, 85 (1466-1469) della BNF e Ash. 343 (c. 1444) della BMLF. Sul Trattato di fioretti cfr. Mazzinghi [1967]. Su Tommaso di Davizzo cfr. Van Egmond [1976], p. 409. Di M° Michele conosciamo solo la soluzione algebrica da lui proposta ad un problema che riporta Benedetto nell’ L.IV.21: cfr. Pancanti [1982], pp. 298-299. 142 ASF, Ufficiali poi Magistrato della Grascia 189, c. 20r. Giovanni di Bartolo redasse il proprio testamento, purtroppo non pervenutoci, il 15 maggio 1440 (ASF, Not. Antec. 21426, c. 74v). 143 Calandro nacque il 12 agosto del 1419 (ASF, Tratte 79: Libri dell’età, c. 128v) da Monna Checca, figlia dell’abacista Luca di Matteo. Visse sempre con la famiglia in Via Pietrapiana nel Popolo di San Pier Maggiore del Quartiere di San Giovanni; oltre alla propria abitazione ebbe anche dei
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allo zio materno, l’abacista Giovanni del M° Luca144, insegnò in una scuola al tempo comproprietà della famiglia degli Spini e delle suore del Convento di Sant’Agata. Questa scuola, costituita da diversi locali e “cum curia et orto et puteo et aliis hedifitiis”145 si trovava, come la bottega dei Soldanieri-Deti, nel Popolo di Santa Trinita del Quartiere di Santa Maria Novella, più esattamente in Via di Lungarno, l’attuale Lungarno Corsini, nel tratto tra il Ponte Santa Trinita e il Ponte alla Carraia, e confinava con la stessa Chiesa di Santa Trinita146. È dunque presumibilmente nel 1440, con M° Calandro e nella bella e grande Scuola del Lungarno che Benedetto di Antonio intraprese i propri studi matematici. A quel tempo egli doveva avere circa undici anni, proprio l’età alla quale i ragazzi iniziavano per lo più l’apprendimento dell’abaco. Otto anni dopo – come si deduce dai documenti citati nel precedente capitolo e compresi tra il 1448 ed il 1479 – Benedetto di Antonio aveva già iniziato la propria professione di maestro d’abaco, professione che si svolse, sembra ininterrottamente, e intensamente in un ampio arco di tempo di oltre un trentennio. Lo stesso Benedetto, nel codice L.IV.21, ci informa in prima persona del proprio insegnamento; nell’elencare i maestri fiorentini a lui contemporanei, scrive infatti: E benché non meriti essere chonosciuto per insegnante, ma per imparare anchora, si può dire io essere fra gli altri147 .
Anche nel suo Trattato d’abacho egli dichiara di ... essere totalmente obrighato al servigio della fiorentina goventù ...148 possedimenti nella zona dell’Antella e nel Popolo di Santo Stefano a Campi. Sua moglie, Lucrezia di Ser Agnolo da Terranova, gli dette i figli Pier Maria, Selvaggia, Mariano e Filippo Maria. Calandro morì il 19 marzo 1468 e fu sepolto nella Chiesa di San Pier Maggiore. 144 Giovanni del M° Luca (n.1395-m.1436) era figlio di Luca di Matteo e fu padre di Leonarda, moglie di M° Antonio di Salvestro dei Micceri. 145 ASF, Not. Antec. 1208, c. 159r. Cfr. Ulivi [1993], pp. 5-6. 146 Prima di Giovanni del M° Luca, nella Bottega del Lungarno, insegnarono Biagio di Giovanni (1354-m.1397) e il suo discepolo Luca di Matteo (n.1356-m.1433/36). Un altro molto probabile abacista della scuola fu Michele di Gianni. Non è inoltre da escludere che, in un primo periodo di attività, la Scuola del Lungarno abbia visto tra i suoi maestri anche Paolo dell’abaco e Antonio Mazzinghi. Su tale bottega e sui relativi docenti si vedano: Ulivi [1993] e Ulivi [1998], pp. 51-52; Van Egmond [1976], pp. 362, 378, 387-388 e Van Egmond [1980]. Luca di Matteo ha lasciato un’Arte d’abacho conservata nel Pluteo 30, 25 (sec. XV), codice miniato della BMLF, nel Plimpton 196 della BCUNY (c.1445) e nel Canon. Ital. 236 (c.1453) della BLO. Inoltre 50 ragioni di M° Luca si trovano nel Palat. 573 e Alchuni chasi di algebra nel codice Ottobon. Lat. 3307: si veda in proposito Toti Rigatelli [1986], pp. 7-11. Di Giovanni del M° Luca conosciamo tre copie del Libro sopra arismetricha, nei codici Plimpton 172 (1422), Plimpton 192 (1456) e Plimpton 195/I (1478) della BCUNY. 147 BCS, L.IV.21, c. 408v; cfr. Arrighi [1965], p. 396. 148 BMLF, Acq. e Doni 154, c. 11r; cfr. Calandri [1974], p. 31.
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L’inizio dell’attività didattica di M° Benedetto è quasi sicuramente da collocare nel novembre del 1448, quando egli era ancora solo diciannovenne In tre filze della Compagnia del Bigallo e della Misericordia relative agli anni 1448-1451, si legge infatti dell’affitto a M° Benedetto di una ... chasa atta a squola, posta in Orto Sa’ Michele, cho’ sua chonfini, sopra al nostro fondacho ...149
Un precedente volume del 1400-1412 la descrive più dettagliatamente come Una chasa con fondacho di sotto in volta e con palchi di sopra, posta in su la Via di Calimala e in sulla Piazza d’Ortosanmichele, posta nel Popolo di Sa’ Michele in Orto ...150
La scuola era dunque situata vicino alla bellissima Chiesa di Orsanmichele, nell’omonimo Popolo del Quartiere di Santa Croce, sopra un magazzino dell’Arte dei Mercatanti o di Calimala151 allora proprietà, assieme alla casa, della stessa Compagnia: doveva trovarsi all’angolo tra Via Calimala e l’attuale Via de’ Lamberti, dove al tempo si affacciava l’ormai scomparsa Piazza di Orsanmichele152. Il sito era stato venduto alla Società del Bigallo l’8 gennaio 1403 da Iacopo di Latino dei Pilli ed Accorri di Geri dei Pilli, o Pigli153, nobili fiorentini che al tempo avevano le loro case nella stessa zona. Come si apprende dai suddetti tre volumi, il contratto di affitto della casa, purtroppo non pervenutoci, venne stipulato tra Benedetto e i Capitani del Bigallo l’11 dicembre 1448. Esso prevedeva che la locazione avesse una durata di tre anni, dal 1° novembre 1448 al 31 ottobre 1451, con un affitto di 52 lire di piccioli l’anno da pagare di sei mesi in sei mesi. Una “entratura” della casa era inoltre affittata per otto lire annue a Ser Apollonio di Francesco Cascesi, allora cappellano della Cappella di San Cristoforo nella Chiesa di San Firenze. Nei libri del Bigallo, Benedetto continuerà tra l’altro a comparire fino alla morte, come debitore di 67 lire e un soldo, forse per resto dell’affitto degli ultimi due anni. 149
Cfr. Appendice 1, documento 122 e documenti 121, 124, 126-127. Ibidem, documento 120. L’Arte che si occupava del commercio e dell’esportazione dei prodotti in lana. 152 Cfr. Sframeli [1989], pp. 344-348. 153 ASF, Not. Antec. 14943, cc. 67v-68r. Rileviamo che, per l’atto di vendita, il mallevadore della Compagnia del Bigallo fu Cappone Capponi, figlio del potente uomo politico Neri Capponi e nipote di Gino Capponi; il camarlingo della stessa Compagnia, che effettuò il pagamento, era allora Matteo di Angelo, detto Malatesti, della nobile famiglia Cavalcanti. 150 151
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In riferimento al rogito dell’11 dicembre 1448, un particolare interessante è la presenza, e la corrispondente e ripetuta citazione nei libri del Bigallo, del già ricordato abacista Bettino di Ser Antonio da Romena, che nove anni dopo fu anche, con M° Benedetto, tra gli affiliati alla Società di San Michele, nonché procuratore della stessa società. Bettino, nel contratto di affitto della scuola, ebbe il ruolo di mallevadore di Benedetto, assieme a suo padre Antonio di Cristofano154. Sembra inoltre che Bettino abbia pagato alcuni lavori di ristrutturazione della scuola, esattamente 10 lire “per II usci e per ammattonare”155, forse per conto dello stesso Benedetto e subito prima che il Nostro vi iniziasse il suo periodo di insegnamento. Questo intervento di Bettino, al tempo trentenne, fa pensare che egli abbia potuto coadiuvare il più giovane Benedetto nella conduzione della Scuola di Orsanmichele. Di fatto, appena tre mesi dopo la conclusione del contratto di affitto della scuola, esattamente il 26 gennaio 1452, Bettino stipulò a sua volta un rogito con i frati della Badia fiorentina per la locazione di un’altra bottega d’abaco, che tenne tra il novembre del 1452 e il novembre del 1456156. Nella stipulazione del contratto, si fece garante di Bettino il maestro d’abaco Lorenzo di Biagio da Campi157, socio dell’abacista di Romena nella stessa bottega. La Scuola della Badia era situata non lontano da quella di Orsanmichele, in Via San Martino oggi Via Dante Alighieri, nel Popolo di Santa Maria e Stefano alla Badia del Quartiere di Santa Croce, e confinava proprio con la splendida Badia fiorentina allora sede di una delle più importanti biblioteche della città158.
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Cfr. Appendice 1, documenti 121-122, 124, 126, 129, 132-133. Ibidem, documenti 121 e 123. Cfr. ASF, Corp. Rel. Soppr. dal Gov. Franc. 78, 78, cc. 136s-136d; 78, 261, c. 132r. Sulla Badia fiorentina si veda Sestan et al. [1982]. 157 Lorenzo di Biagio nacque nel 1414 da una famiglia originaria di Campi, dove padre e fratelli tennero in affitto diversi poderi. Egli fu l’erede testamentario di M° Giovanni di Bartolo che gli lasciò una vigna a Sollicciano e una casa in Via San Salvatore, l’ultimo tratto dell’attuale Via della Chiesa, nel Popolo di San Frediano del Quartiere di Santo Spirito; la casa, negli anni 1451-1458 confinava con lo studio dei pittori Bicci di Lorenzo e di suo figlio Neri di Bicci. Dalle dichiarazioni catastali di quest’ultimo e di un altro confinante, sembra che Lorenzo di Biagio abbia svolto l’attività di maestro d’abaco, almeno tra il 1458 e il 1469, in alcuni locali della sua stessa abitazione. Lorenzo non si sposò e morì tra il 1472 e il 1480. Cfr. ASF, Catasto 621, c. 369r; 709, c. 178r; 794, c. 94r; 818, cc. 428r428v; 907, c. 68r; 910, c. 62r; Corpor. Rel. Soppr. dal Gov. Franc. 78, 261, c. 50r e segg.; inoltre Van Egmond [1976], p. 386. 158 Come racconta l’autore del codice Ottobon. Lat. 3307, vi erano conservate anche copie di opere di Leonardo Pisano, in particolare la “Praticha d’arismetricha intitolata a Michele Schoto e la Praticha di geometria ... e il Fioretto ... e anchora el Libro de’ numeri quadrati ...”: BAV, Ottobon. Lat. 3307, c. 349r; cfr. anche Arrighi [1968a], p. 81. 155 156
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Per tutto il corso del Quattrocento, prima del novembre del 1448 e successivamente all’ottobre del 1451 la casa del Bigallo non ospitò altre botteghe d’abaco; fu invece in prevalenza affittata a dei maestri di grammatica159. Dopo i tre anni trascorsi in Orsanmichele, Benedetto passò infatti in un’altra scuola d’abaco. Di questa abbiamo notizia da una filza del già ricordato fondo degli Ufficiali di Notte. Il 3 dicembre 1453 ed il 2 gennaio 1454, negli elenchi dei “tamburati”, viene riportato il nome di M° Benedetto precisando rispettivamente che docet abacum cum Mariano,
e che stat in bottega Mariani dell’abaco160
A quel tempo la bottega di M° Mariano161 era l’importante Scuola dei Santi Apostoli. Come si deduce dai suoi Catasti, questa era situata sotto l’abitazione dell’abacista Lungharno nel Popolo di Santto Apostolo, che da primo Via di Lungharno, a secondo Chiasso della Vergine Maria, da terzo Anttonio di Guglielmo da Tore di Valdipesa162.
cioè sul Lungarno Acciaiuoli, all’angolo con l’attuale Chiasso degli
159 Si susseguirono i seguenti maestri: Francesco di Ser Feo d’Arezzo con Santi di Domenico d’Arezzo e Ser Piero di Barnaba da Orvieto, Antonio di Messer Giovanni di Roselli d’Arezzo, Iacopo di Simone da Pesaro (o Terni) con Perello Filiziano del M° Perello da Zigole, Ser Pellegrino di Giovanni da Rimini, Niccolò di Giovanni da Catalogna ancora con Iacopo di Simone, Ser Luca di Antonio da San Gimignano, Simone di Francesco, Santi di Lorenzo da Dicomano: Cfr. ASF, Comp. poi Mag. del Bigallo 732, c. 30s; 733, c. 37s; 737, c. 106s; 739, c. 81s; 740, c. 53s; 745, c. 19s; 746, c. XXs; 749, c. 32s; 750, c. 27s; 751, c. 25s; 752, c. 11s; 753, c. 11s; 754, c. 11s; 8, fasc. II, cc. 23r e 31v, e fasc. IV, c. 50r. Rileviamo che Ser Pellegrino di Giovanni da Rimini ebbe come mallevadore del contratto di affitto della scuola il libraio e biografo Vespasiano da Bisticci. 160 Cfr. Appendice 1, documenti 140 e 141. Nello stesso volume, tra i querelati del 1° settembre 1453 e dell’11 luglio 1455 compare anche rispettivamente “Benedictus Antonii” e “Benedictus Antonii tessitori drapporum”: quasi certamente si tratta ancora di M° Benedetto (cfr. Appendice, documenti 139 e 142). Tra il 1452 ed il ’56, sempre nella lista dei “tamburati” per sodomia, si trovano più volte quasi tutti i maestri d’abaco attivi in quegli anni: Bettino e Lorenzo che vi figurano per lo più insieme, Mariano, Banco di Piero e Calandro, il cui nome si legge anche unitamente a quello di Mariano: cfr. ASF, Ufficiali di Notte 3, cc. 2v, 3r, 3v, 4v, 5r, 5v, 6v, 7r, 7v, 8r, 9v, 13v, 15v, 16r, 16v, 64v. 161 Mariano nacque nel 1387. Visse sempre nell’abitazione di famiglia in Via di Lungarno e fu anche proprietario di una casa con podere all’Antella nei pressi di Firenze. Come Bettino e Lorenzo non si sposò mai ed abitò con la sorella nubile Nanna. Per la sua biografia si veda Ulivi [2001]. 162 Cfr. ad es. ASF, Catasto 361, c. 357r; Ulivi [2001], pp. 307, 330.
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Altoviti, allora denominato Chiasso della Vergine Maria, che collega il Lungarno con Borgo Santi Apostoli. La Scuola dei Santi Apostoli venne fondata verso l’ultimo quarto del XIV secolo dal padre di Mariano, Michele di Gianni. Questi, nel primo quindicennio di attività della scuola, vi lavorò quasi sicuramente in società con M° Luca di Matteo Pelacane e con tale M° Orlando di Piero. Alla morte di Michele, la gestione della bottega passò a suo figlio Mariano che insegnò in Santi Apostoli per quasi mezzo secolo, salvo un triennio, fra il 1442 ed il 1445, durante il quale venne sostituito da Antonio di Salvestro dei Micceri, ed oltre ad un periodo trascorso, attorno al 1447 e probabilmente in società con Taddeo dei Micceri, nella Bottega di Santa Trinita. Fino dall’agosto del 1451, in Santi Apostoli, Mariano ebbe come collaboratore l’appena diciottenne Banco di Piero Banchi163, che percepiva “un piccolissimo salario di circha di fiorini quindici l’anno”. Mariano morì il 16 febbraio 1458. Nel testamento, egli dispose che Banco, dopo la sua scomparsa, potesse usufruire della casa del Lungarno e della sottostante bottega per due anni, senza alcun pagamento, che nei successivi cinque anni egli dovesse corrispondere ai suoi eredi la somma annuale di 16 fiorini, e che infine, trascorso anche questo periodo, potesse rimanere nella scuola solo previa concessione degli stessi eredi. In realtà, Banco di Piero non visse nella casa di Mariano che venne invece occupata dagli eredi dell’abacista; rimase però a insegnare nella Scuola dei Santi Apostoli fino alla morte, avvenuta nel 1479, lo stesso anno della grande pestilenza e della scomparsa di M° Benedetto. In definitiva, almeno tra la fine del 1453 e l’inizio del ’54, Benedetto esercitò la propria attività in Santi Apostoli in collaborazione con Mariano e forse anche con Banco. Il sodalizio doveva essere iniziato dopo l’ottobre del 1451, ossia una volta espletato il contratto di affitto della Bottega di Orsanmichele. Con buona probabilità Benedetto lasciò la Scuola dei Santi Apostoli prima del febbraio 1458. Nel Catasto di quell’anno, infatti, seguendo 163 Banco nacque verso il 1433 da famiglia piuttosto benestante che ebbe non pochi possedimenti in diverse zone dei dintorni di Firenze. Abitò prima in Via di Sitorno, un tratto dell’odierna Via della Chiesa, quindi in Via Santa Maria, entrambe nel Popolo di San Felice in Piazza del Quartiere di Santo Spirito. Per qualche tempo visse nel Popolo di San Michele Visdomini, in San Giovanni. Si spostò quindi in Santa Croce, fuori della Porta a Pinti, e infine nel Popolo di Santa Maria Nipotecosa, di nuovo in San Giovanni. Sua moglie fu Francesca di Cenni d’Aiuto, dalla quale ebbe le figlie Gianna e Maria ed i figli Andrea, Agostino e Piero, il primo dei quali divenne notaio (cfr. ASF, Not. Antec. 1-18). Su Banco si veda ASF, Catasto 695, c. 290r; 798, cc. 394r-395r; 911, cc. 508r-508v; Not. Antec. 10094, cc. 116r-118r.
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le disposizioni testamentarie di Mariano, Banco dichiara di insegnare da solo nella bottega164. Per il periodo successivo a quello trascorso in Santi Apostoli, un’informazione su dove si svolse, almeno per qualche tempo, l’attività didattica di M° Benedetto ci viene ancora dagli Ufficiali di Notte. Come abbiamo già ricordato, il 7 marzo del 1468, Benedetto venne, sembra ingiustamente, accusato di sodomia da Giovanni di Andrea Salutati, probabilmente un suo studente, che abitava in San Frediano, nel Quartiere di Santo Spirito. Nel documento si precisa che il fatto era avvenuto in eius orto posito contra hospitale Scalarum.
L’Ospedale di Santa Maria della Scala si trovava nella via omonima del Quartiere di Santa Maria Novella. Dunque “l’orto” di cui si parla nel documento non faceva parte dell’abitazione di M° Benedetto, che visse sempre in San Giovanni, ma era senz’ altro il giardino della scuola dove egli insegnava nel marzo del 1468165. L’esatta ubicazione dell’Ospedale della Scala era in realtà all’angolo tra Via della Scala, già Via di Ripoli, e l’antica Via Polverosa, che fu poi chiamata Via degli Orti Oricellari166. La scuola, “contra hospitale Scalarum” era dunque o in una di tali vie oppure anch’essa all’incrocio tra le due strade, nel Popolo di Santa Lucia d’Ognissanti del Quartiere di Santa Maria Novella.
164 ASF, Catasto 798, c. 394r. In seguito, Banco si avvalse forse, per qualche tempo, della collaborazione di un bisnipote di Mariano, M° Niccolò di Lorenzo (n.c.1443-m.1475/80). Nella conduzione della scuola seguirono poi Taddeo di Salvestro dei Micceri e suo figlio Niccolò (n.c.1453m.1527/32) che vi lavorò in società con Piero di Zanobi (n.1478-m.1525) e con Giuliano di Buonaguida della Valle (1508-m.1527/38). Sulla Scuola dei Santi Apostoli si veda Ulivi [2001]. Tra le botteghe d’abaco fiorentine, la Scuola dei Santi Apostoli fu probabilmente quella con il più lungo periodo di attività, circa un secolo e mezzo, e fu senz’altro una delle più frequentate. Nei primi decenni del Cinquecento, durante il periodo di insegnamento di Niccolò di Taddeo, la scuola contava ben duecento scolari; nello stesso anno, ad esempio, la bottega d’abaco situata in Via dei Rustici, nel Popolo di San Romeo del Quartiere di Santa Croce, con tale M° Antonio, aveva solo quaranta scolari: Cfr. BNF, Nuovi Acq. 987, cc. 5v, 94r. Rileviamo anche che, prima di insegnare in Santi Apostoli, come risulta dai libri degli Ufficiali di Notte, nell’anno 1475 Niccolò di Taddeo era maestro in una bottega d’abaco di Piazza del Vino, nel Popolo di San Piero Scheraggio del Quartiere di Santa Croce: cfr. ASF, Ufficiali di Notte 18, Parte I, c. 68v. Piazza del Vino era vicina alla scomparsa Piazza del Grano, verso le attuali Via della Ninna e Via de’ Neri: cfr. BNF, Nuovi Acq. 987, c. 83v. 165 Peraltro gli episodi di sodomia si verificavano per lo più nelle scuole e nelle botteghe di artisti, artigiani e mercanti. Il 19 gennaio 1473 si racconta di un episodio avvenuto tra i due pittori Gino Benozzi e Benedetto di Domenico Pialla dentro la bottega di Sandro Botticelli, nella Via Nuova; cfr. ASF, Ufficiali di Notte 16, c. 49v. 166 Cfr. Bargellini, Guarnieri [1977-1978], vol. II (1977), pp. 357-358 e vol. III (1978), pp. 358359. Sull’ Ospedale della Scala si veda Artusi, Patruno [2000], pp. 215-222.
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Di fronte all’ospedale, sempre ad uno degli angoli tra le due vie, l’Arte di Calimala possedeva Un podere chon chasa da llavoratore, chon corte e pozzo e chamino e sale e terre lavoratie e viti e chon orto e alberi fruttiferi e non fruttiferi ...
come viene descritto in un libro che elenca i beni dell’Arte nell’anno 1459, e che all’epoca era affittato a un certo “Andrea di Stefano, sta al sale”167. Il 4 febbraio 1483, il podere e la casa vennero acquistati da Nannina de’ Medici, sorella di Lorenzo e moglie di Bernardo di Giovanni Rucellai168; la proprietà venne ampliata sette anni più tardi, nel febbraio del 1490, con un nuovo appezzamento ottenuto a fitto perpetuo sempre dall’Arte dei Mercatanti. Si tratta del grande “orto” che Bernardo elencherà tra i suoi possedimenti alla Decima Repubblicana del 1495169. Su quel terreno, tra la fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento, il Rucellai fece costruire una casa di forma quasi quadrata, con uno splendido giardino che adornò di statue e bassorilievi e che divenne la sede della cosiddetta Accademia degli Orti Oricellari, luogo di incontro per letterati, artisti e uomini politici del tempo170. In definitiva, la scuola con il giardino171, nella quale Benedetto insegnava nel marzo del 1468, era o molto vicina al sito che ospitò poi i famosi Orti, oppure occupava addirittura parte di quel sito. Benedetto lavorò nella scuola di Santa Maria della Scala in un arco di tempo successivo al febbraio del 1458 e precedente l’agosto del ’69. Nei Catasti del Nostro relativi a quegli anni, infatti, non vengono elencati né possedimenti né locali presi in affitto in Via della Scala. Per gli ultimi undici anni della vita di M° Benedetto, come per quelli che intercorrono tra i citati documenti in nostro possesso e riguardanti l’attività da lui svolta nelle tre scuole di Orsanmichele, Santi Apostoli e Santa Maria della Scala, non abbiamo informazioni sul suo insegnamento.
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Cfr. ASF, Arte di Calimala 144, c. 245r. ASF, Not. Antec. 14183, cc. 107r-107v. ASF, Decima Repub. 22, cc. 195v-196r. 170 Sugli Orti Oricellari si veda Comanducci [1996] e Ginori Lisci [1972], vol. I, pp. 301-302. 171 Secondo quando riferisce il Varchi, attingendo alle pagine di Bendetto Dei (cfr. Varchi [18331841], p. 105), nel Quattrocento vi erano in Firenze “tra orti e giardini centrentotto”, dei quali ventiquattro nel Quartiere di Santa Maria Novella: due di questi erano gli “orti” delle scuole d’abaco del Lungarno e di Santa Maria della Scala. 168 169
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Ovviamente una possibilità è che questo si svolto unicamente nelle suddette scuole. Altre eventuali congetture si deducono da alcuni elementi legati alla biografia del Nostro e da ulteriori notizie e osservazioni. Una prima considerazione riguarda la più volte menzionata abitazione di Piazza Padella. Questa, come ricordiamo, fu venduta al padre di Benedetto nel 1428 da Carlo, Giovanni e Rinaldo degli Agli. Poco dopo il 1464, ossia dopo la scomparsa di Antonio di Cristofano, la casa ritornò proprietà della famiglia degli Agli, per essere poi riacquistata da Benedetto e Taddea nel 1468. Nel Catasto del 1469 essa figura infatti tra i beni di famiglia di Benedetto e in parte temporaneamente affittata a Marco di Baldo, un prete che la utilizzava come “schuola di fanciulli”, cioè come scuola di livello primario dove si insegnava a leggere e scrivere. Dunque, uno o più locali della casa erano allora, e forse anche in precedenza, adibiti ad uso scolastico. Altre considerazioni ci riconducono agli abacisti della famiglia Calandri. Ricordiamo che il Nostro compì i propri studi d’abaco con M° Calandro, presumibilmente a partire dal 1440, in una bottega situata sul Lungarno Corsini. Calandro insegnò nella bottega del Lungarno almeno fino al 1442, forse fin verso il 1443-45. I locali della bottega, dopo essere stati comproprietà della famiglia degli Spini e delle suore del Convento di Sant’Orsola, poi Sant’Agata, vennero infatti venduti tra il 1443 ed il 1445 ad Antonio di Dino di Francesco Canacci ed incorporati nella sua abitazione. Il palazzo del Canacci fu acquistato nel 1449 dalla famiglia senese dei Tegghiacci che in seguito vi effettuò grossi lavori di ristrutturazione; l’autore dell’opera contenuta nel codice Ottobon. Lat. 3307 ricorderà infatti la Bottega d’abaco del Lungarno dicendo che si trovava “dove è oggi il muramento de’ Teghiacci”172. Dopo la chiusura di quella scuola, Calandro proseguì altrove l’insegnamento. Per alcuni anni, da prima del 1452 almeno fino al 1461 – forse con un periodo di interruzione – egli tenne in affitto una bottega d’abaco da Zanobi e Francesco di Bartolomeo dei Nobili,
172 BAV, Ottobon. Lat. 3307, c. 349v; cfr. anche Arrighi [1966], p. 292 e Arrighi [1968], pp. 81-82; Toti Rigatelli [1986], p. 6. Ancora in fase di ristrutturazione, il sito fu poi venduto alla famiglia Gianfigliazzi. Il palazzo rimase ai Gianfigliazzi fino alla fine del XVIII secolo. Passò quindi alla famiglia Verdi, divenendo l’“Albergo delle Quattro Nazioni” che ospitò, tra l’altro, Alessandro Manzoni. Nel 1828 fu acquistato da Luigi Bonaparte che vi trascorse frequenti soggiorni. Cfr. Ginori Lisci [1972], vol. I, pp. 141-142, 145; Ulivi [1993], pp. 1 e 9. Uno studio fondamentale sul Palazzo Gianfigliazzi nei secoli XV-XVI è quello di B. Preyer, di prossima pubblicazione.
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situata nel Popolo di Santa Maria Sopra Porta del Quartiere di Santa Maria Novella: il sito si affacciava sulla scomparsa Piazza o Corte dei Pilli, verso l’antico Chiasso del Mangano, vicino all’attuale Via Pellicceria, tra l’altro a poca distanza dalla Scuola di Orsanmichele173. Tra il maggio del 1459 ed il marzo del 1463, lo stesso Calandro acquistò una casa, sempre sulla Piazzuola dei Pilli, in quella che fu poi chiamata la Via o Corticina dell’Abaco174, nel Popolo di San Miniato tra le Torri: lì egli trasferì definitivamente la propria scuola rimanendovi fino alla morte, avvenuta il 19 marzo 1468. In seguito, almeno fino dal 1480, come risulta dalle dichiarazioni catastali della famiglia, la bottega di M° Calandro passò al suo figlio maggiore Pier Maria, che fu poi forse affiancato nell’insegnamento dal fratello Filippo Maria. Già nell’agosto del 1469, oltre un anno dopo la scomparsa del suo fondatore, la Scuola di Piazza dei Pilli risultava comunque in attività e sempre “a uso d’abacho”175. In quell’anno, nessuno dei due figli di Calandro poteva tuttavia insegnare, essendo ancora entrambi troppo giovani176. In riferimento ai due figli di M° Calandro, segnaliamo anche che nell’incipit di due delle diciotto copie conosciute del Trattato d’abacho di M° Benedetto, quelle contenute nei codici fiorentini Acq. e Doni 154 della Biblioteca Medicea Laurenziana (c.1480) e Magl. XI, 82 della Nazionale (c.1507), si legge rispettivamente: fatto da P° Ma a uno suo amicho. fatto e conposto per Filipo [C]halandri.
Il secondo riporta chiaramente il nome di Filippo Calandri; nel primo le due abbreviazioni si riferiscono quasi con certezza a Pier Maria Calandri. Così, nel secondo codice e presumibilmente anche nel primo, compaiono i due figli di Calandro nelle vesti di compilatori dell’opera, anche se ne furono solo dei trascrittori177. Sono peraltro 173
Cfr. Sframeli [1989], pp. 217, 221-222, 253. Ibidem, pp. 217, 224. 175 Sui Calandri e sulle loro botteghe d’abaco si vedano: Calandri [1974], pp. 11-13; Van Egmond [1976], pp. 363-364, 368-369, 407; Ulivi [1993], pp. 9-10; Ulivi [1998], p. 53. Per le fonti archivistiche cfr. ASF, Catasto 704, c. 332r; 830, cc. 322r-323v; 926, c. 236r; 928, cc. 1139r-1139v; 1022, cc. 212r212v; Decima Repub. 33, c. 251r. La storia degli abacisti della famiglia Calandri, di quella del M° Luca e della famiglia Micceri, tra loro imparentate (cfr. le note 143 e 144), delle loro scuole e dei maestri ad essi legati, saranno oggetto di una nostra prossima pubblicazione. 176 Pier Maria nacque il 7 marzo 1457 e Filippo Maria il 7 gennaio 1468: cfr. AOSMFF, Registri dei Battesimi, 1450-1460, c. 167v e 1466-1473, c. 25v. Essi abitarono nella casa paterna di Via Pietrapiana; del primo si ha notizia fino al 1533, del secondo fino al 1512. Pier Maria si sposò, presumibilmente con tale Costanza, ed ebbe due figli di nome Antonio e Calandro. 177 Di Pier Maria Calandri, escludendo il Tractato d’abbacho del codice Acq. e Doni 154 a lui talvolta erroneamente attribuito, non conosciamo opere originali. Filippo Calandri è autore di un 174
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queste, e forse non a caso, le uniche copie del trattato, entrambe posteriori alla scomparsa di Benedetto, dove il nome o l’iniziale del nome dell’autore non coincidono con quelli dello stesso Benedetto. Mettendo insieme le precedenti osservazioni ci sembra plausibile che Benedetto, tra il 1451 ed il 1469 – oltre che nelle due botteghe dei Santi Apostoli e di Santa Maria della Scala – abbia tenuto, per un certo periodo, una scuola d’abaco in alcuni locali della sua ampia abitazione di Piazza Padella, prima che la casa ritornasse proprietà della famiglia degli Agli: gli stessi locali che nel 1469 Ser Marco di Baldo occupava per fare “schuola di fanciulli”. E che in seguito – tra il 1469 ed il 1479 – egli abbia lavorato nella Bottega della Corticina dell’abaco, dopo la morte di Calandro e almeno fino a quando Pier Maria Calandri non intraprese egli stesso l’insegnamento dell’abaco. Per quanto riguarda ulteriori ipotesi sull’attività didattica di M° Benedetto e sulle sue relazioni con gli abacisti fiorentini del Quattrocento, da segnalare è anche il citato rogito del 16 aprile 1468 sul riacquisto della casa di Piazza Padella178. Il documento notarile, pur non contenendo espliciti riferimenti all’attività di Benedetto come maestro d’abaco, è però di indubbio interesse per la presenza di due nomi – seppure indirettamente – molto significativi: quello del vaiaio Filippo di Domenico d’Agostino, che interviene come mundualdo di Monna Taddea, ossia tutore e procuratore della madre di Benedetto, e quello di Sodo di Lorenzo del Sodo, che fu uno dei testimoni del rogito. Filippo di Domenico apparteneva all’illustre famiglia Cegia o Del Cegia, detta anche Ganucci. Suo fratello e suo nipote, rispettivamente Agostino di Domenico e Francesco di Agostino, furono due noti uomini politici del tempo, al servizio della famiglia Medici in qualità di amministratori del patrimonio di Lorenzo e Giuliano179. Filippo ed Agostino erano inoltre due dei tre figli dell’abacista Domenico d’Agostino soprannominato il Cegia, ma più frequentemente ricordato come
testo a stampa, il De arimethrica opusculum, pubblicato a Firenze nel 1492 e dedicato a Giuliano di Lorenzo de’ Medici. Ha lasciato inoltre una Aritmetica conservata manoscritta nello splendido codice miniato Ricc. 2669 (c.1485) della BRF, e pubblicata in facsimile a cura di G. Arrighi, ed Una raccolta di ragioni contenuta nel codice L.VI.45/II (c. 1495) della BCS: cfr. Calandri [1969, 1982]; Van Egmond [1980]. 178 Cfr. Appendice 1, documento 28. 179 Cfr. Dizionario Biografico [1960-2000], vol. 23 (1979), pp. 324-327. Francesco di Agostino Cegia ha lasciato un Libretto segreto ... di debitori e creditori e richordi (1495-1497): ASF, Carte Strozziane, s. II, 25.
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il Vaiaio per la sua attività di mercante di pellicce di vaio180, e già scomparso al tempo della stesura del suddetto rogito181. Del Vaiaio – come abbiamo detto inizialmente – fu discepolo l’anonimo autore dell’opera contenuta nel codice Palat. 573, l’ampia Praticha d’arismetricha strutturalmente molto simile a quella dell’L.IV.21. Con buona probabilità, Domenico d’Agostino si dedicò alla matematica per puro diletto, senza esercitare professionalmente l’insegnamento: allo stato attuale delle indagini, infatti, non conosciamo alcun documento attestante una sua attività in qualche scuola d’abaco e inoltre il suo nome non figura nel pur dettagliato elenco dei maestri d’abaco fiorentini che Benedetto riporta nell’L.IV.21182. L’ altro personaggio per noi di rilievo che compare nel rogito del 1468 – Sodo di Lorenzo, al tempo sensale dei linaioli – era il padre di Giovanni del Sodo, anch’egli importante maestro d’abaco. Giovanni del Sodo, che fu di alcuni anni più anziano di Benedetto183, ebbe vita molto lunga e un’intensa attività di abacista che iniziò probabilmente in età matura, forse dopo il 1463184, ma che si protrasse fino agli albori del XVI secolo. Come si deduce dalla Decima Repub180 Erano pellicce molto pregiate. Secondo Francesco Balducci Pegolotti venivano genericamente chiamati vai: “Organni, Bolgari lunghi, Ischiavi, Pasquardini, Ischeruoli, Ermellini, Orzeruoli”. Cfr. Pegolotti [1936], p. 298: dal manoscritto Ricc. 2441 (1472) della BRF; Dini [2001], p. 130. 181 Domenico d’Agostino nacque nel 1386. Abitò almeno fino al 1433 nel Quartiere di Santa Croce, Gonfalone del Carro, Popolo di Santa Cecilia, prima in Via Vacchereccia e poi verso Via Calimaluzza. In seguito, già dal 1442, si spostò in Via della Croce al Trebbio, un tratto dell’attuale Via delle Belle Donne, all’angolo con Via Cornina, ora Via del Trebbio, nel Quartiere di Santa Maria Novella, sotto il Gonfalone del Leon Bianco. Oltre ad una casa in Via Guelfa, nel Popolo di San Firenze del Quartiere di San Giovanni, ebbe anche diversi possedimenti nelle campagne circostanti, a San Quirico a Marignolle, Giogoli e Mantignano, e anche a Scarperia nel Mugello. Egli esercitò l’attività di vaiaio in una bottega di Via Vacchereccia, in società con Tommaso di Scolaio Ciacchi. Ebbe due mogli, Caterina di Francesco di Santi e Maria di Lorenzo, una vedova figlia di uno stagnaio; la prima gli dette i tre figli, Agostino, Filippo e Caterina. Domenico d’Agostino morì presumibilmente verso il 1452, senz’altro dopo l’agosto del 1451 e prima del gennaio del 1455. Sulla sua biografia si veda Van Egmond [1976], pp. 366-367; Sarti [1997/98], pp. 91-93. Per le fonti archivistiche cfr. ASF, Catasto 68, c. 204v; 348, cc. 240r-240v; 444, cc. 236r-237r e 698r; 621, cc. 90r-91r; 674, cc. 549r-550v; 709, cc. 241r-242r; 798, c. 688r; 818, cc. 837r-840v. L’autore del codice Palat. 573 riferisce che Domenico d’Agostino compose un’opera scritta in forma di dialogo e suddivisa in tre parti riguardanti il calcolo delle radici, l’algebra e la geometria. Dell’opera completa – che verso il 1460 era il possesso di Niccolò Chini – non abbiamo traccia; di essa ci sono però pervenuti 50 chasi absoluti per reghola d’algebra riportati nel codice Palat. 573 e sei chasi geometrici sottili contenuti nell’Ottobon. Lat. 3307. Sui problemi algebrici cfr. Toti Rigatelli [1986], pp. 19-21; su quelli geometrici Anonimo Fiorentino [1998] e Simi [2000b], pp. 195-209. 182 Cfr. qui le pp. 52-53. 183 Giovanni del Sodo nacque verso il 1419/23. Abitò prima in una casa di proprietà situata sulla Piazza San Giovanni e poi in affitto nella Via Palazzuolo del Popolo di Santa Lucia d’Ognissanti, Quartiere di Santa Maria Novella. Ebbe vari poderi nei Popoli di Santo Stefano e di San Giusto a Campi, di cui era originaria la famiglia Del Sodo. Si sposò in tarda età con Maria di Uguccione dei Pazzi, che gli dette i figli Pierantonio, Lorenzo e Cosa. Morì prima del 1518. Cfr. ad es. ASF, Catasto 621, cc. 616r-616v; 922, cc. 300r-301r; 1013, cc. 384r-384v; Decima Repub. 24, cc. 525r525v. 184 Nel codice L.IV.21, datato 1463, Giovanni del Sodo non compare infatti nell’elenco dei maestri d’abaco fiorentini: cfr. qui le pp. 52-53.
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blicana e da un libro di Ricordanze di Tribaldo dei Rossi – membro di un’antica famiglia di magnati fiorentini – almeno tra il 1493 ed il 1500, egli insegnava in una scuola di Via dei Ferravecchi, il primo tratto dell’attuale Via degli Strozzi185, verso il Canto dei Sassetti186, nel Popolo di Santa Maria degli Ughi del Quartiere di Santa Maria Novella. Lo stesso Tribaldo, il cui figlio Guerrieri fu allievo dell’abacista, lo ricorda come “el migliore maestro d’abaco di Firenze”187. Alla scuola di Giovanni del Sodo andò a studiare l’abaco anche Bartolomeo Masi, figlio di un calderaio, tra il 1489 ed il 1490188. In rapporto a M° Benedetto, Giovanni del Sodo è significativo per la ripetuta associazione col nome del Nostro che viene fatta da Francesco di Leonardo Galigai, o del Pelacane, anche questi discepolo dello stesso Giovanni, nella Summa de arithmetica del 1521189. Qui il Galigai, dopo avere esposto una “Ragione apostata” cioè un problema di matematica ricreativa dice: Questa scrive Benedetto e Giovanni del Sodo dicendo essere apostata, e che non ve regola ferma ma mettono questa ragione per la sera di verno quando si sta al fuoco, e che e mancono e ragionamenti, acciò s’habbi a ragionare di qualche cosa, e per seguire l’ordine di Benedetto che fu grand’huomo in Aritmetica e Giovanni del Sodo precettore mio per loro amore e per concordarmi con detti mia maggiori me parso di dare ad altri un medesimo lume, el quale eglino a me hanno dato ...190 185 Cfr. Bargellini, Guarnieri [1977-1978], vol. IV (1978), pp. 135-136. Probabilmente nella stessa bottega, al tempo proprietà dell’Ospedale di Santa Maria Nuova, Giovanni del Sodo svolse anche il mestiere di linaiolo. 186 ASF, Ufficiali di Notte 35, c 59r. 187 Cfr. BNF, Fondo Princ. II.II.357, cc. 99v, 158v, 159r. Si veda inoltre Klapisch-Zuber [1984], pp. 766-768. Come si legge nelle Ricordanze del padre, Guerrieri aveva iniziato i propri studi di abaco nel 1495 in Via de’ Bardi, nel Popolo di Santa Maria Sopr’Arno del Quartiere di Santo Spirito, con Ser Filippo, un prete che ebbe tra i suoi discepoli anche Cristofano di Piero, bisnipote di un importante notaio, Andrea di Cristofano Nacchianti, negli anni 1498-1499: cfr. AOIF, Estranei 633, c. 118v. 188 Cfr. Masi [1906], pp. 14-15. 189 Cfr. Galigai [1521]. L’opera venne nuovamente pubblicata nel 1548 e nel 1552 col titolo Praticha d’arithmetica. Ricordiamo che anche Francesco Galigai (c.1505-m.1537) fu maestro d’abaco; lavorò assieme a Giuliano di Buonaguida della Valle, in una scuola situata presumibilmente nei pressi dell’antico monastero cistercense di Cestello. Questo, attualmente in San Frediano, si trovava allora in Borgo Pinti, dove è oggi la Chiesa di Santa Maria Maddalena dei Pazzi, nel Quartiere di Santa Croce. Il contratto che sanciva la costituzione della società tra i due maestri fu stipulato il 30 novembre 1519 e porta la data del 3 dicembre. Dal rogito si apprende anche che, in precedenza, Giuliano della Valle aveva fatto compagnia, in un’altra scuola, con Pier Maria Calandri. In seguito egli passò nella Scuola dei Santi Apostoli. Cfr.: Goldthwaite [1972], pp. 421-427; Ulivi [1998], pp. 53-54, 58-59; Van Egmond, [1976], pp. 371-372. Su Giuliano della Valle si veda anche la nota 164. 190 Cfr. Galigai [1548], c. 65r. Nel testo, il Galigai cita più volte anche il solo Benedetto ricordando le “Regole di Benedetto sopra e resti”(c.46r), le “Compagnie di Benedetto”(c.55r), ed anche un passo sull’algebra che introduce con le parole “Dice Benedetto la regola dell’Arcibra”(c.71r). A proposito dei capitoli X, XI, XIII, XIV e XV fa inoltre ancora riferimento a Giovanni del Sodo precisando: “Nel Decimo e Primo di nostra Arcibra tratto del Decimo di Euclide et Leonardo Pisano et Giovanni del Sodo” e “Nel Terzodecimo e Quarto et ultimo libro dell’Arcibra tratto dal nostro precettore Giovanni del Sodo”(cc.100r-114r). Dalle citazioni del Galigai si deduce che Giovanni del
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Segnaliamo infine che – escludendo Luca Pacioli – “Benedetto dell’abaco” e Giovanni del Sodo sono anche gli unici nomi di autori del Quattrocento legati alla trattatistica dell’abaco che figurano nel Codice Atlantico di Leonardo191. Quanto qui rilevato, in particolare la presenza, nell’atto notarile del 1468, di un figlio del Vaiaio e del padre di Giovanni del Sodo, denota un’evidente legame tra la famiglia del Nostro e quelle degli altri due abacisti, legame che fa pensare alla possibilità di una qualche collaborazione sul piano scientifico tra il giovane Benedetto ed il Vaiaio e tra lo stesso Benedetto e Giovanni, forse anche ad un collegamento fra Benedetto, Giovanni e Domenico. Non si può infine escludere che Benedetto e Giovanni del Sodo abbiano collaborato anche sul piano didattico. Dalla lettura di questo e dei precedenti capitoli emerge in definitiva la figura di un matematico, Benedetto di Antonio da Firenze, che attuò la propria formazione scientifica e operò in un vasto ambiente culturale, dove ebbe relazioni dirette, indirette o presunte con quasi tutti gli abacisti del Quattrocento. A tale proposito, è interessante concludere questa parte col riportare l’ormai notissimo passo del codice L.IV.21 – da cui abbiamo già tratto alcuni stralci – dove l’autore ricorda proprio i più significativi maestri d’abaco fiorentini del XIV e XV secolo192. Non è difficile riconoscere quasi tutti i nomi finora incontrati, in relazione alla biografia di Benedetto, nel corso della nostra esposizione: Inchomincia el quindecimo libro di questo trattato, nel quale si chontenghono [ ] chasi d’alquanti maestri antichi e, prima, la divisione del detto libro. Le dispute sono state grande et diverse proponendo quali sieno stati di più eccellentia di sapere: o Maestro Pagholo193, overo Maestro Antonio194, overo Maestro Giovanni195. E certamente di chi à insegnato, questi 3 di gran lungha gli ànno avanzati, e ciascheduno chopiosamente ne’ suoi trattati à mostro, e per quel che si truovi dal 1300 in qua sono stati chi à scritto, benché Lionardo Pisano fusse intorno allo detto tenpo dal quale
Sodo doveva aver lasciato qualche importante scritto di contenuto algebrico, forse più in generale sulla matematica dell’abaco: in proposito si veda Franci, Toti Rigatelli [1985], p. 68. 191 Leonardo da Vinci [1975-1980], vol. I (1975), p. 92 (Tavole, c. 42v) e vol. IV (1976), p. 210 (Tavole, c. 331r). Per il riferimento a Benedetto cfr. anche la nota 4. 192 BCS, L.IV.21, c. 408v; inoltre Arrighi [1965], p. 396. 193 Paolo di Piero dell’abaco. 194 Antonio di Giusto Mazzinghi. 195 Giovanni di Bartolo.
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tenpo sono stati questi maestri. Cioè, chome già dissi, Maestro Biagio196 che circha 1340 morì, al quale tenpo el grande M° Pagholo fiorì che circa a 1360 durò. E dopo questo fu M° Antonio benché morisse govane. Dopo il quale fu Maestro Giovanni che circha al 1440 morì. Furono molti altri maestri ne’ tenpi di questi, chome Maestro Michele197 padre di Maestro Mariano, Maestro Lucha198, un altro Maestro Biagio199. E al presente di più assai chopia la terra nostra n’è dovitiosa; e’ nomi de’ quali voglio recitare in vituperio di noi che in chonparatione a’ passati non de’ partitori, non che ragionieri saremo stati. Dicho d’alchuni, de’ quali Maestro Chalandro200, Maestro Bancho201, Maestro Antonio de’ Mancini202, che per età doviria essere il primo, Maestro Tadeo da Fighine fratello di Maestro Antonio che in verità sarebbe pervenuto perfecto ragioniere overo da essere nominato buono ragioniere, Maestro Bettino203, Maestro Lorenzo204 da Champi, frate Mariotto de’ Guiducci205. E benché non meriti essere chonosciuto per insegnante, ma per inparare anchora, si può dire io essere fra gli altri. E volendo adunque scrivere chi à detto et quel che à detto, certo el vilume sarebbe in fastidio; ma reciterò alchune ragioni di Lionardo Pisano, alchune di Maestro Giovanni et alchune di Maestro Antonio. Et perché e vilumi loro sono manifesti, mi pare lecito di quelli scrivere. E certo sono che Maestro Pagholo chonpose opera assai chopiosa; ma non si truova se non ispezata. E però perché quella di chostoro è in piè et tutto il dì si può chiarire, è dovuto conciosiachosaché, fuori di chi à insegnato, sia anchora stato di quelli che sono ecellenti in queste scientie: fra’ quali fu Maestro Gratia frate di Sancto Aghostino gran teologho de’ Chastellani, fu al tempo di Maestro Giovanni anchora quello per lo quale et dal quale io ò avuto un pocho di chognitione delli chasi sottili, benché il mio maestro fusse quello che al tenpo presente excede gli altri, cioè Maestro Chalandro di Piero Chalandri huomo di gentil sangue et di chostumi et buone usanze chopioso. Adunque: el presente libro in 3 chapitoli dividerò: nel primo ponendo e’ chasi che Lionardo Pisa nell’ultima parte della Praticha d’arismetricha scrive; nel secondo parte de’ chasi che scrive M° Giovanni pigliando e’ chasi sopra e’ passati; nel terzo scriverrò parte de’ chasi sottili scritti dal sottile M° Antonio. E per rispondere alla disputa, quali di queste 3 avanzasse l’uno l’altro, certo in alchune eccellentie s’avanzavano, ma sanza spetialità, ma in chomune essere nati a uno chorpo, secondo me gudicho. Adunque diamo opera al primo chapitolo.
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Biagio “il vecchio”. Michele di Gianni. Luca di Matteo Pelacane. Biagio di Giovanni. Calandro di Piero Calandri. Banco di Piero Banchi. Antonio di Salvestro era in realtà della famiglia Micceri. Bettino di Ser Antonio da Romena. Lorenzo di Biagio. Mariotto di Ser Giovanni Guiducci.
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6. Sui trattati di M° Benedetto In quest’ultimo capitolo, senza volerci addentrare nell’analisi contenutistica delle opere di Benedetto dell’abaco, è nostro scopo aggiungere, a quanto accennato inizialmente, alcune precisazioni e chiarimenti circa la determinazione della loro paternità; in secondo luogo esporre qualche osservazione sul problema dell’individuazione del compilatore dei trattati che si trovano nei codici Palat. 573, Palat. 577 ed Ottobon. Lat. 3307. Come abbiamo già ricordato a M° Benedetto è ormai da tempo attribuita la Praticha d’arismetricha dei codici L.IV.21, Ash. 495 e Plimpton 189 anche se, nel prologo dei primi due, compare solo l’iniziale del nome dell’autore, del tutto mancante nel terzo manoscritto. Riportiamo gli incipit dell’L.IV.21 e dell’ Ash. 495, datati rispettivamente 1463 e 6 febbraio 1494206. Inchomincia [ ] del trattato di praticha d’arismetrica, tratto de libri di Lionardo pisano ed altri auctori conpilato da B. a un suo charo amicho negl’anni di xpo MCCCC°LXIII. [I]nchomincia [ ] del tractato di praticha d’arismetricha tracto de libri di Lionardo Pisano ed altri auctori compilato da B. a uno suo charo amicho nel gli anni del nostro Signore yhu xpo M°. CCCC°. LXXXXIII°. die VI. mensis februari.
Un incipit molto simile in cui si trova la stessa iniziale B., o l’abbreviazione B° ad indicarne l’autore, ricorre in sette delle diciotto copie conosciute del Trattato d’abacho di M° Benedetto compilato verso il 1465207. Ad esempio, nel codice Magl. XI. 76 (c. 1470) della Biblioteca Nazionale di Firenze e nel codice Ottobon. Lat. 3004 (c.1475) della Biblioteca Apostolica Vaticana abbiamo rispettivamente: Inchomincia uno trattato d’abacho fatto da B° a uno charo amicho208.
206 Segnaliamo che, per i passi riportati in questo capitolo, abbiamo fatto sempre riferimento a Van Egmond [1980]. 207 Su queste si veda Van Egmond [1980]. La più antica, tra le copie attualmente note del Trattato d’abacho, è quella del codice Ricc. 2109 che Van Egmond ha datato c. 1465. Tale datazione concorda con la presenza di problemi all’interno dei quali figurano date comprese tra il 1459 ed il 1465. 208 Sul codice Magl. XI. 76 cfr. Arrighi [1987].
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Inchomincia uno tractato d’abocho sotto posto alla merchatantia facto da B. a uno suo charo amicho.
In questo caso l’attribuzione risulta peraltro accertata dalla presenza, in due copie dello stesso Trattato, del nome completo del suo autore. Così, nel Fondo Princ. II. IX. 63 (c.1525) della Biblioteca Nazionale di Firenze si legge: Inchomincia uno trattato d’abbacho fatto da Benedetto a uno suo charo amicho el quale è sotto posto alla merchatantia209.
Un ulteriore elemento di interesse nella determinazione della paternità del codice L.IV.21 è anche la presenza, in tale manoscritto, di una invocazione iniziale che ritroviamo assolutamente identica nelle due copie del Trattato d’abacho contenute nei codici Italiano IV.35 della Biblioteca Marciana di Venezia e Italien 947 della Biblioteca Nazionale di Parigi. L’invocazione si trova nella prima carta dei tre manoscritti ed è la seguente: Adsit principio virgo Maria meo
209 Riportiamo anche gli incipit delle altre sei copie del trattato in cui compare l’iniziale B., l’abbreviazione B° oppure il nome per esteso di Benedetto. BNF, Magl. XI, 97 (c.1470): Inchomincia uno trattato fatto da B. a uno amicho, el quale chontiene quello che s’apartiene al merchatante secondo l’arte dell’abacho ... BNF, Fondo Princ. II.IX.114 (c.1470): Inchomincia uno trattato d’abacho sotto posto alla merchatantia fatto da M° B [...] suo charo amicho. BMLF, Ash. 1379 (c.1475): Inchomincia un trattato d’abacho sotto posto alla merchantia fatto da B. a un suo charo amicho. BMV, Italiano IV.35 (c.1475): Inchomincia uno trattato d’abacho composto da B° a uno suo charo amicho. Sul manoscritto Ital. IV.35 si veda Arrighi [1968b]. Osserviamo che in una carta del codice Ital. IV.35 si legge la seguente nota di possesso: “Questo Libro è di Jacopo di Lorenzo di Jacopo Marsupini”. Come ha rilevato l’Arrighi, ad un membro della stessa famiglia venne probabilmente destinato anche il codice L.IV.21, nel quale è visibile lo stemma dei Marsuppini (c. 1r): cfr. la nota 18. BAV, Regin. Lat. 1805 (c.1475): Inchomincia un trattato d’abacho sotto posto alla merchatantia fatto da B. a uno suo charo amicho. BNP, Italien 947 (c.1475): Inchomincia uno tractato d’abacho fatto da Benedetto a uno suo charo amicho. Su questo codice cfr. G. Arrighi [1969]. I rimanenti codici, anonimi o attribuiti ad altri autori, in cui si trova una copia del trattato di M° Benedetto sono: Magl. XI, 1 (1473), Magl, XI, 82 (1507), Magl. XI, 115 (c.1495) e Magl. XI, 134 (1480) della BNF; Acq. e Doni 154 (c.1480), Antinori 19 (c.1480), Ash. 359 (c.1475) e Ash. 1038 (c. 1493) della BMLF; Ricc. 2109 (c.1465) della BRF.
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La stessa frase, con poche varianti ortografiche, si legge in altre tre copie dello stesso Trattato d’abacho210 . Proprio l’analisi dell’ incipit e dell’invocazione contenuta nella prima carta del codice L.IV.21 e di una copia del Trattato d’abacho – quella del Magl. XI. 76 – aveva portato l’Arrighi a identificare M° Benedetto con il compilatore della Praticha d’arismetricha del codice senese211. Lo storico lucchese aveva inoltre messo a confronto un passo del manoscritto L.IV.21 con uno molto simile, che abbiamo già ricordato, e che Francesco di Leonardo Galigai riporta nella Summa de arithmetica scrivendo “Dice Benedetto la regola dell’Arcibra ...”212. La tesi dell’ Arrighi risulta ora ulteriormente avvalorata dalle precedenti precisazioni, oltre che da non poche corrispondenze tra alcuni dati della vita di M° Benedetto, figlio di Antonio di Cristofano, e le informazioni biografiche che si leggono nel Trattato d’abacho e nell’opera contenuta nell’L.IV.21. Veniamo ora ai manoscritti Palat. 573, Palat. 577 ed Ottobon. Lat. 3307. Come abbiamo già sottolineato, la Praticha d’arismetricha che si trova nel Palat. 573, composta poco prima del 22 aprile 1460213, è di 210
Nell’ Ash. 359 della BMLF: Adsit principio Virgho Ma M° Nel Magl. XI.76 della BNF: Adsit principio virgo M[ari]a meo Nell’ Ottobon. Lat. 3004 della BAV: Adsit principio virgho Maria meo 211 Cfr. Arrighi [1965], pp. 370-371. Precedentemente anche il Solmi aveva attribuito il codice L.IV.21 a M° Benedetto: cfr. Solmi [1900], p. 13 e Solmi [1908], pp. 95-96. 212 Si veda la nota 190. Cfr. Arrighi [1965], p. 394. 213 Nel codice, oltre allo stemma dei Rucellai (c. 1r), si trova infatti la seguente nota di possesso: “MCCCCLX. A dì XXII di aprile. Questo libro è di Girolamo di Piero di Chardinale Rucellai cittadino fiorentino ed è suo propio.” (BNF, Palat. 573, c. 491v; cfr. anche Arrighi [1967a], p. 396). Un passo dello stesso manoscritto, che si riferisce agli abacisti Michele di Gianni ed a suo figlio Mariano, suggerisce un limite inferiore nella sua datazione. In tale passo l’autore ricorda quando Michele, dopo avere, assieme ad altri esperti, giudicato Antonio Mazzinghi degno erede dei libri e degli strumenti astrologici di Paolo dell’abaco, consegnò egli stesso ad Antonio il noto cassone contenente tali libri e strumenti, e scrive: “ ... da maestro Michele padre del maestro Mariano che fu di grande praticha, che fu uno de’ detti giudichatori, chon buona choscienza gli furono licenziati”(Palat. 573, c. 478v; Arrighi [1967a], p. 437). Qualora la frase “che fu di grande praticha” fosse riferita a Mariano, il quale ebbe al suo tempo fama di ottimo abacista, si dedurrebbe che quest’ultimo era già scomparso all’epoca della stesura del trattato in questione. Mariano morì il 16 febbraio 1458. L’opera contenuta nel Palat. 573 risulterebbe dunque compiuta dopo quella data. E peraltro, in un precedente passo del manoscritto (Palat. 573, c. 47r; Arrighi [1967a], p. 417) si fa riferimento ad una legge che sembra avesse stabilito l’abolizione del fiorino a fiorini e dei suoi sottomultipli. Della stessa legge si parla anche nell’aritmetica del codice L.IV.21 (1463), dicendo che era in vigore da “circa 4 anni”, dunque circa dal 1459 (BCS, L.IV.21, c. 83v; Arrighi [1965], p. 387). Come viene rilevato in Goldthwaite, Mandich [1994], p. 52, proprio attorno al 1460 si ebbe infatti la sparizione del fiorino a fiorini nei libri di conto.
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autore anonimo. Al medesimo autore si devono anche – ricordiamo – la Praticha di geometria del Palat. 577, di non molto posteriore all’Arismetricha214, e quasi con assoluta certezza i trattati aritmetico e geometrico dell’Ottobon. Lat. 3307, datato da Van Egmond c. 1465. Purtroppo il problema dell’individuazione del compilatore di tali opere rimane a tutt’oggi aperto. Sulla complessa questione vogliamo però esporre alcune considerazioni che si rifanno a M° Benedetto. Fino ad ora unicamente due elementi hanno portato a non valutare, se non addirittura a escludere, la possibilità che, tra tutti gli abacisti operanti a Firenze verso la metà del Quattrocento, proprio il Nostro fosse l’autore del Palat. 573. Il primo si rifaceva ad un passo del prologo del manoscritto palatino, dove si legge: Inchomincia el trattato di praticha d ‘arismetricha e, prima, la divisione di tutto el libro. El pocho tenpo non patiscie che, di nuovo, opera chonstituischa; ma per volerti servire chome amicho, el trattato fatto, già è più tempo, a B. guardi, trascriverò agugnendo nientemeno e levando sechondo che vedrò sia di bisogno e chon brevità diciendo, acciò che ‘l trattato non sia riputato rincrescievole.
Da questo si deduce che, prima dell’Aritmetica contenuta nel Palat. 573, l’autore aveva scritto, per un certo “B. guardi” – forse un amico o un semplice commissionario – un trattato di contenuto analogo a quello dello stesso codice palatino. Sul misterioso “B. guardi” è stata a suo tempo formulata l’ipotesi che si trattasse di Benedetto dell’abaco215, il cui cognome o patronimico, prima d’ora sconosciuto, avrebbe dunque dovuto essere Guardi216. L’ipotesi era forse suggerita dalla presenza, anche qui, dell’iniziale B. che compare nell’incipit delle opere di Benedetto. Come è ovvio, tale interpretazione risultava alquanto significativa, portando inevitabilmente ad eliminare lo stesso dalla rosa dei possibili autori del Palat. 573. Allo stato attuale delle indagini, sapendo che il Nostro era figlio di Antonio di Cristofano di Guido, risulta evidente che il suddetto “B. guardi” non era M° Benedetto. Possiamo inoltre precisare che, al tempo della stesura del trattato in questione, vivevano a Firenze, nel Quartiere di Santa Croce, due fratelli di nome Battista e Benedetto di Ser Francesco Guardi e un 214
Cfr. Simi [2000b], p. 192 (nota 14). Cfr. Van Egmond [1976], p. 360. 216 Rileviamo che a quel tempo, nell’indicazione del cognome o del patronimico, era di uso comune l’iniziale minuscola. 215
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Bernardo di Guardi di Lapo Guardi. Battista e Benedetto, figli di un importante notaio, nacquero rispettivamente nel 1422 e nel 1436; il primo continuò la professione paterna, mentre il secondo divenne un ricchissimo banchiere socio della compagnia di Francesco Mellini217. Bernardo nacque verso il 1427, fu figlio di un agiato lanaiolo ed ebbe anche lui un “traficho d’arte di lana”218. Ognuno di questi tre fiorentini – soprattutto Benedetto e Bernardo, visti i loro interessi legati alla pratica dell’abaco – avrebbe potuto commissionare l’opera di cui parla l’autore del Palat. 573 e dunque coincidere con il B. Guardi citato nel relativo prologo. L’altra motivazione era legata a quanto dichiarano M° Benedetto e l’autore, sia dei trattati contenuti nei codici Palat. 573 e 577 che presumibilmente di quelli dell’Ottobon. Lat. 3307, circa i rispettivi maestri d’abaco. Come ricordiamo, Benedetto, nell’ elencare i nomi dei più importanti abacisti di Firenze, ci informa che il suo maestro fu Calandro di Piero Calandri. Nel Palat. 573 l’autore scrive invece “el mio nobile maestro Domenico”219; inoltre nell’Ottobon. Lat. 3307, in riferimento allo stesso Domenico d’Agostino Vaiaio, si legge: “E lui fu quello che diè lume a quello pocho che so ...”220. Tali affermazioni hanno fatto credere che, da una parte il trattato del manoscritto senese e dall’altra quelli dei codici palatini e vaticano, fossero stati compilati da due diversi abacisti, uno allievo del Calandri, l’altro di Domenico Vaiaio. A questo punto, ricollegandoci a quanto abbiamo osservato sulla biografia di Benedetto di Antonio, in particolare al rogito del 16 aprile 1468, che fa pensare ad un suo stretto rapporto con Domenico d’Agostino, possiamo ritenere probabile che il Nostro, dopo avere frequentato la scuola del poco più che ventenne Calandro ed avere appreso con lui i primi rudimenti dell’abaco, abbia completato ed affinato la propria formazione matematica sotto la guida del più maturo ed esperto Vaiaio. E del resto – come abbiamo già rilevato – Domenico d’Agostino, ricco pellicciaio, coltivò probabilmente la matematica a livello solo dilettantesco e non svolse l’attività di maestro 217 Si veda in proposito: ASF, Tratte 77 (Libri dell’età), cc. 14v e 15r. Catasto 805 (febbraio 1458), cc. 694r-697v: dichiarazione di Ser Francesco Guardi; 914 (agosto 1469), cc. 458r-460v: dichiarazione di Guido di Ser Francesco Guardi e fratelli. I rogiti di Ser Battista Guardi sono conservati all’ASF: cfr. Not. Antec. 10459-10462 (1444-1478). Segnaliamo che Benedetto di Ser Francesco Guardi rivestì in Firenze importanti cariche pubbliche; cfr. ad es. ASF, Tratte 904, cc. 4v, 31r, 108r. Egli redasse il proprio testamento il 26 ottobre 1491 e fu sepolto due giorni dopo nella Chiesa di Santa Croce: cfr. ASF, Not. Antec. 4259, cc. 328r-330r; Ufficiali poi Magistrato della Grascia 191, c. 219r. 218 ASF, Catasto 809 (febbraio 1458), cc. 371r-373v: dichiarazione di Bernardo Guardi. 219 BNF, Palat. 573, c. 379r; cfr. Arrighi [1967a], p. 433. 220 BAV, Ottobon. Lat. 3307, c. 349v; cfr. Arrighi [1968a], p. 82.
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d’abaco. Ciò risulta confermato, oltre che dalla mancanza di documenti relativi e dall’assenza del suo nome nell’elenco dei maestri d’abaco fiorentini che si trova nell’L.IV.21, anche dal fatto che l’autore del codice Palat. 573 ricorda il Vaiaio sì come “el mio nobile maestro”, ma non con il titolo di Maestro, come fa invece per gli altri abacisti da lui citati che tennero effettivamente e regolarmente una scuola, o più scuole, d’abaco. A questo aggiungiamo che M° Benedetto, l’ormai accertato compilatore del codice L.IV.21, e l’autore del Palat. 573 furono entrambi – considerato il contenuto delle loro opere – due abacisti di grande rilievo e di ampia cultura matematica. Entrambi hanno lasciato due monumentali Pratiche d’arismetricha le quali presentano fortissime analogie, distinguendosi da tutti gli altri trattati manoscritti della tradizione abacistica, e presumibilmente entrambi scrissero un Trattato di geometria, anche se solo quello dell’anonimo discepolo del Vaiaio sembra essere stato individuato. Non irrilevanti sono infine l’assonanza tra l’incipit del Palat. 573 e quelli delle opere di M° Benedetto, nonché la presenza, alla seconda carta del codice palatino, della seguente invocazione: Adsit principio virgho Maria meo
ovviamente la stessa che si legge nell’L.IV.21 e nelle ricordate cinque copie del Trattato d’abacho. In conclusione non è da escludere che l’allievo del Vaiaio, autore delle opere di aritmetica e di geometria dei manoscritti Palat. 573, Palat. 577 ed Ottobon. Lat. 3307, ed il compilatore del trattato contenuto nell’ L.IV.21 siano la stessa persona, ossia M° Benedetto221. Quest’ultimo avrebbe dunque composto diverso tempo prima del 1460 un trattato di aritmetica destinato o a Benedetto, o a Bernardo oppure a Battista Guardi. In seguito, verso il 1460, vi avrebbe apportato delle modifiche, compilando la Praticha d’arismetricha contenuta nel Palat. 573. Lo avrebbe ancora rielaborato nel 1463 con la stesura dell’altra Praticha d’arismetricha che si trova nell’ L.IV.21. Dopo le opere di aritmetica avrebbe anche composto la Praticha di geometria del Palat. 577, la stessa annunciata nell’L.IV.21. Attorno al 1465, la
221 A sostegno di questo vogliamo ancora ricordare come nel febbraio del 1470, tra i confinanti dell’abitazione di M° Benedetto, vi fosse, forse non a caso, Bernardo di Piero di Cardinale Rucellai, fratello di quel Girolamo al quale fu quasi sicuramente rivolto il trattato contenuto nel Palat. 573: cfr. qui p. 26 e Appendice 1, documento 32.
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Praticha d’arismetricha del Palat. 573 e la Praticha di geometria sarebbero state anche riunite, con alcune variazioni, in un’unico trattato, quello contenuto nel codice Ottobon. Lat. 3307. Sempre verso il 1465, lo stesso autore avrebbe compilato, essenzialmente a scopo didattico, il Trattato d’abacho, che ebbe vasta diffusione e probabilmente ampio utilizzo nelle scuole d’abaco della seconda metà del Quattrocento e del primo Cinquecento. E sarebbe in definitiva Benedetto di Antonio di Cristofano l’unico autore delle più ricche e significative opere quattrocentesche legate alla tradizione abacistica. Purtroppo, uscendo dal campo puramente congetturale, la pur ampia documentazione da noi finora raccolta sul Nostro e più in generale sulle scuole ed i maestri d’abaco fiorentini, non permette di scendere in più precise e conclusive affermazioni. Ci auguriamo che nuove indagini e conseguenti risultati portino quanto prima a fare piena chiarezza sulla questione.
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Appendice 1 Documenti dell’Archivio di Stato di Firenze
In questa Appendice sono trascritti i documenti dell’Archivio di Stato di Firenze che si riferiscono a M° Benedetto ed alla sua famiglia, reperiti nei seguenti fondi: Estimo, Catasto, Monte Comune o delle Graticole: Copie del Catasto, Decima Repubblicana, Notarile Antecosimiano, Podestà, Mercanzia, Corporazioni Religiose Soppresse dal Governo Francese, Otto di Guardia e Balia della Repubblica, Compagnia poi Magistrato del Bigallo, Ufficiali di Notte e Conservatori dell’onestà dei Monasteri, Ospedale di Santa Maria Nuova, Operai di Palazzo. All’inizio di ogni documento ne abbiamo riportato la data o le date estreme, seguendo lo stile moderno.
Documento del fondo Estimo 1. Estimo 213, c. 673r 1412 Questi sono i beni de’ forestieri che sono nel decto Comune e Corte di Montevarchi ... Ser Giunta di Lippo da Montegonzi à nel decto Comune gl’infrascritti beni: ... Uno pezzo di terra posto nello Sparquatoio, da primo Ser Giovanni Guiducci, secondo Cristofano di Guido, III Sandro da Montegonzi f. LXX
c. 674r Sandro [...] da Montegonzi à nel decto Comune e Corte gl’infrascritti beni: 61
Uno pezzo di terra di staiora quatro posta nelle Berti, da primo via, secondo Ser Giunta di Lippo, III Cristofano di Guido f. LXX
Documenti del fondo Catasto 2. Catasto 15 (Quartiere di Santo Spirito, Gonfalone della Scala), c. 83r luglio 1427 Al nome di Ddio amen, a dì [ ] di luglio 1427 Qui apresso iscrivino le sustanzie di me Antonio di Cristofano tessitore di drappi, Gonfalone della Schala, Popolo di Santa Lucia Oltrarno, in questa cioè: Un podere posto nel Chomune di Chastelfrancho nel Valdarno di Sopra nel Popolo di Santo Donato a Menzano, luogho detto a Bolognia, cho’ chasa e terre vigniate e lavoratie e boschate, che da primo via, per mezzo e da lato fossato, da 1/3, 1/4 Donato e Matteo figliuoli di Salucio di Guido del detto Popolo, ònne di rendita l’anno in mia parte istaia otto di grano, barili otto di vino, orcia uno d’olio, vale f. [ ] Uno podere posto nella Legha di Cascia nel Popolo di Santo Tomè d’Ostina, luogho detto a Sancto Giovanale, chonfinato da più parti la via e da l’altra parte un fiume si chiama Pilano, dal’altra parte un fiume chiamato Erescho, e da l’altra parte Giovanni di Nicholò Charnesechi, e da l’altra parte Mariano di Stefano forbiciaio e Baldo di Bartolomeo, detto Popolo. Il sopradetto podere sono in sei pezzi di tera cho’ sopradetti chonfini; ònne di rendita l’anno istaia trentasei di grano, barili quindici di vino, uno orcio d’olio e un porcho, vale detto podere f. [ ] Un chastagneto posto nel Chomune di Chastelfrancho, da primo via, secondo Erescho, 1/3, 1/4 luogho detto la Radicie, chostò f. quatro. Anche ò avere da Ser Tomaso, prete di Santo Lorenzo da Chascia, f. sedici f. 16 Anchora cinque telaia da tessere drappi, cioè zetani velutati f. 100 Anche ò avere da Felice Branchacci e chompagni setaiuoli f. 24 Anche ò in sudetti poderi, tra bestie e preste di lavoratori, che vagliono f. 40 Apresso mi truovo la persona mia d’età d’ani 46 62
f. 200
Apresso mi truovo la donna mia d’età d’ani 40, à nome Donna Tadea f. 200 Apresso un fanciullo maschio d’eta d’ani 15, à nome Iachopo f. 200 Apresso un fanciullo maschio d’età d’ani 14, à nome Lorenzo f. 200 Apresso un fanciullo maschio d’età d’ani 13, à nome Simone f. 200 Apresso II fanciulli naquono a uno chorpo, anni 12, ànno nome Lucha e Giovanni f. 400 Apresso un fanciullo maschio d’età d’ani 6, à nome Cristofano f. 200 Apresso un fanciullo maschio d’età d’ani 4, à nome Ghuido f. 200 Apresso istò a pigione nella chasa di Giachopo de’ Bardi, in sulla Piazza de’ Mozzi, e paghone l’anno f. 23 f. [ ] Non ò niente di Prestanzone.
3. Catasto 382 (Quartiere di San Giovanni, Gonfalone del Drago Verde), cc. 767r-767v 31 gennaio 1431222 Dinanzi a voi Signori Uficiali del Chatasto del Chomune di Firenze farò menzione di tutte mie sustanze. Io Antonio di Cristofano, tessitore di drappi, sto nel Quartiere di Santo Giovanni, Gonfalone del Drago. Ò di chatasto s. 12 in su mie sostanze, chome apresso dirò; i beni sono quelli, cioè: Una chasa per mia abitazione, posta nel Popolo di San Michele Berteldi, luogo detto Piazza Padella, chonfinata da primo Via del Chomune, e da sechondo Filippo di Ser Brunellescho, e da terzo uno chiassolino rimurato, e da quarto Frate Domenico, e quivi abito cho’ mmaserizie e cho’ miei telaia del mestiero mio. Vaglono le telaia in istima di f. 80. Uno poderetto posto nel Chomune di Chastello Francho di Sopra,
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La data è riportata a c. 776v dove, in riferimento alla Portata di Antonio, si legge: “Antonio di Cristofano tesse drappi ___ f. 12 Rechò e’ detto a dì 31 gennaio”.
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Popolo di Santo Donato a Menzano, luogho detto a Bolognia, chonfinato da primo via e da secondo Matteo di Salvuccio e da tterzo Donato di Salvuccio, e ònne l’anno staia otto di grano e otto barili di vino e uno orcio d’olio, altro non vi richolgho; se n’ònne parecchi frutte. Un altro podere posto nella Legha di Chascia, nel Popolo di Santommè d’Ostina, luogo detto a San Giovanale, chonfinato da primo la via chomune, e da sechondo l’erede di Giovanni Charnesecchi, e da terzo Mariano di Stefano, forbiciaio, e da quarto Baldo di Bartolomeo, e da quinto un fiume chiamato Pilano. Rendemi l’anno un moggio e mezzo di grano e uno chognio e mezzo di vino e una soma d’olio. Altro non vi richolgho chosa di stima. Ò avere da detti lavoratori f. 30 tra in prestanze e bestiame v’anno sue f. 30 Anche ò avere da Piero de’ Bardi e chompagni setaiuoli f. 90 f. 90 Anche ò avere da Ser Tommaso, prete di San Llorenzo a Chascia di Valdarno di Sopra f. 12 f. 12 Anche ò avere da Ser Antonio, prete di San Donato a Menzano di Valdarno di Sopra, f. otto f. 8 Da altre persone non ò avere. Ora va presenterò i mia incharichi. Incharichi Ò a ddare a Felice Branchacci e chompagni setaiuoli f. 65 ___ f. 65 Anchora ò a dare a Talento d’Antonio, lavorante di drappi, per sua lavoratura f. 11 Anchora ò a dare a Chorda di Michele, lavorante di drappi, per sua lavoratura f. 9 Anchora ò a dare a Matteo di Niccholò, lavorante di drappi, per sua lavoratura f. 4 Anchora ò a dare al piovano della Pieve di Chascia f. quatro ___ f. 4 Anchora ò a dare a Tano legnaiuolo f. cinque f. 5 Anchora ò a dare ad Antonio de Rredito, che fa e pettini ____ f. 5 Anchora ò a dare a Simone di Ser Antonio Fazi, merciaio ____ f. 3 Anchora ò a dare a Gualterotto de’ Bardi per resto di pigione d’una chasa tenevo da llui, f. sette f. 7 Anchora ò debito in più persone in istima di fiorini otto, altri debiti non ò f. 8 Ora v’ò fatto menzione di tutte mie sustanze e charichi. Al presente vi fo menzione in quest’altra faccia di tutta mia famiglia.// 64
La famiglia mia è questa, cioè: Io Antonio di Cristofano detto sono d’età d’anni 50 La donna mia d’età d’anni 44 Uno figliuolo à nome Iachopo d’età d’anni 19 Un altro figliuolo à nome Lorenzo d’anni 18 Un altro figliuolo à nome Simone d’anni 16 Un altro figliuolo à nome Lucha e d’anni 15 Un altro figliuolo à nome Giovanni, naque insieme cho’ Llucha, d’anni 15 Un altro figliuolo à nome Cristofano d’anni 10 Un altro figliuolo à nome Guido d’anni 7 Un altro figliuolo à nome Benedetto d’anni 1 1/2 D’altre chose non v’ò a fare menzione.
4. Catasto 474 (Quartiere di San Giovanni, Gonfalone del Drago Verde), c. 74r 20 maggio 1433 1433 a dì 20 di magio Dinasi a voi Signiori Uficiali del Chatasto del Chomune di Firenze rapresento tutte mie sostazie e beni io Antonio di Cristofano, tessitore di drappi del Popolo di San Michele Berteldi, Ghonfalone del Dragho Verde, Quartiere di San Giovanni. La chasa dove io abito è mia e cho’ maserizie dentro di chasa e chon maserizie e fornimenta di cinque telaia di drappi. Uno podere nella Legha di Chasscia, luogho detto a San Giovanale, chonfini da primo via, e sechondo Berto Carnesechi e Mariano di Stefano forbiciaio e Baldo di Bartolomeo, rende l’anno di mezzo uno mogio e mezzo di grano, uno chongno e mezo di vino e una soma d’olio. Un atro poderetto posto nel Chomune di Chastello Franco nel Valdarno di Sopra, Popolo di San Donato a Menzano, luogho detto a Bolognia, chonfinato da primo via, da sichondo Mateo e Donato figliuoli di Saluccio, ed è di rendita di staia otto di grano e di quattro some di vino l’anno e d’uno orcio d’olio. Anchora ànno da me i’ Prestaza i miei lavoratori e i’ bestie fiorini 30. Queste sono tutte le mie sostazie. Ò a dare a Felice Branchacci e chompagni setaioli f. 20. Anchora o’ a dare e a pagare a Chomune f. 18. 65
Di miei chatasti che ò di chatasto s. 9. Ora vi rapresento le persone: Io Antonio sono d’età d’anni 52 La donna mia d’età d’anni 46 Lorenzo mio figliuolo d’anni 19 Lucha e Giovanni d’età d’anni 17 Benedetto è d’età d’anni 4 Anchora ò avere da Ser Baldino, prete di Sa’ Iachopo a Montecharegli, f. 7. Anchora ò avere da Ser Tomaso, prete di Sa’ Lorenzo a Chascia, f. 5.
5. Catasto 624 (Quartiere di San Giovanni, Gonfalone del Drago Verde), c. 154r 30 agosto 1442 1442 a dì 30 d’aghosto Dinanzi da voi Signori et ghovernatori et conservatori del Popolo e Chomune di Firenze Io Antonio di Cristofano di Guido del Popolo di Santo Michele Berteldi, tessitore di drappi, Quartiere di Santo Giovanni nel Drago, vi rapresento tutte mie processioni et rendite. La casa dove io abito è mia e cho’ maserizia drento. Uno podere nel Valdarno di Sopra, nella Legha di Cascia, luogho detto a Santo Giovanale. Rede di mezo uno mogio et mezo di grano e uno mezo mogio di biada et uno cognio et mezo di vino et una soma d’olio; chonfini co’ lle rede di Berto Charnesechi e Mariano di Stefano forbiciaio. Grano staia 36, a s. 17 _____ £. 30, s. 12 Biada staia 12, a s. 10 ______ £. 6 Vino barili 15, a s. 34 ______ £. 25, s. 10 Olio barili 2, a £. 5 ________ £. 10 Rende in tutto____________ £. 72, s. 2 ________ f. 18, s. -, d. 6 Uno altro poderecto nel Comune di Castello Franco di Sopra, luogho detto a Menzano, chon uno pezzo di terra posta luogho detto in Piano di Scho. Rende di mezo istaia venti di grano, uno cognio di vino, una somma d’olio; chonfinato cho’ Matteo di Salvuccio. Grano staia 20, a s. 17 ____ £. 17 66
Vino barili 10, a s. 34 _____ £. 17 Olio barili 2, a £. 5 _______ £. 10 Rende in tutto ____________ £. 44 ________________ f. 11, s. Uno altro podere a Castello Fiorentino, posto luogho detto a Chamiano. Rede di mezo uno mogio et mezo di grano e uno mogio e mezo di biada e uno chognio di vino; chonfinato collo Spedale della Scala e co’ Baldassarre setaiuolo. Grano staia 36, a s. 18 _____ £. 32, s. 8 Biada staia 36, a s. 10 ______ £. 18 Vino barili 10, a s. 26 ______ £. 13 _____________ £. 63, s. 8 __________ f. 15, s. 17 Io Antonio detto sono d’età d’anni 62 Monna Taddea mia donna d’età d’anni 56 Lucha e Giovanni fratelli d’età d’anni 26 Benedetto d’età d’anni 14 Io Antonio decto ò di cinquina uno fiorino e dodici soldi. Somma f. 44, s. 17, d. 6.
6. Catasto 679 (Quartiere di San Giovanni, Gonfalone del Drago Verde), cc. 505r-505v [ 28 febbraio ] 1447 Io Antonio di Cristofano di Guido, tessitore di drappi prestanziato in decto Gonfalone, vi rapresento mie sustantie e beni. Nella decina 1444 f. 1 Nel dispiacente [ ] f. -, s.1 5 Nel Catasto del 1427 ero prestanziato nel Quartiere di Sancto Spirito, Gonfalone della Schala. Avevo per decto Chatasto s. 12. Sustantie Una chasa dov’ io abito cho’ maseritie, posta nel Popolo di Sancto Michele Berteldi, luogho decto Piaza Padella, cho’ suoi chonfini, da I decta piaza, da II via, da terzo le rede di Filippo di Ser Brunellescho, da IIII Baldo di Simone, la quale conperai da Carlo e Rinaldo e Giovanni, figluoli di Bindo degli Agli, carta facta per mano di Ser 67
Nicholaio Bramangieri del mese di sectembre 1428, chostò f. 300, e quali avevo avere da Felice Brancacci e chompagni setaiuoli, sichome troverete nel primo Catasto. Uno podere nel Valdarno di Sopra, posto nella Legha di Cascia, nel Piviere di Chascia, luogho decto Sangiovanale, chonfinato da più parte via e lle redi di Berto Carnesechi e Mariano di Stefano de Nese forbiciaio, el quale al tempo del primo Catasto lo lavorava Donato di Salvucio, ogi lo lavora Lucha di Donato. À di prestanzie, tra buoi e danari, f. 22. Rende di mezo: Grano staia 36 Biada di più ragioni staia 18 Vino barili 16 Olio orcia 2 _______________________________ f. 17, s. 2, d. 4 Un altro poderecto in Valdarno di Sopra, posto nel Piviere di Scho, nel Popolo di Sancto Donato a Menzano, chon uno pezo di terra posto in decto Piano di Scho, da più chonfini via e Macteo di Salvucio. Al tempo del primo Chatasto lo lavorava Pierino di Guidocto, ogi lo lavora Macteo di Salvucio. Non à nulla di prestanza. Rende di mezo: Grano staia 24 Vino barili 15 Olio orcia 2 _________________________________ f. 13, s.-, d. _____________________ f. 30, 2, 4 // Beni acresciuti Uno [podere] posto nella Valdelsa, luogho decto a Chamiano, Popolo di San Prospero, il quale da più chonfini via e lo Spedale della Schala e Baldassare del Grasso, il quale podere non à chasa e chonviene che lavoratore ne togli a pigione una, el quale podere avemo da Degho e Vicho Popoleschi per f. 200 avevamo avere dal detto Degho, toglemolo per non poter avere altro; funne roghato Ser Nicholao da Valentino, anno 1439 del mese di marzo, dice la carta in Giovanni di Bernardo e fecesi dire in lui perché aveva avere da noi f. 50, e noi non posendogliele dare, lo tenne tanto fu pagato e poi ce lo rendé. Il quale podere al tempo del primo Chatasto lavorava Antonio d’Andrea e anchora ogi lo lavora. À di prestantie, tra buoi e asini e danari, f. 50. Rende di mezo: Grano staia 36 Spelda staia 30 Biade di più ragioni staia 10 68
Vino barili 10 ___________________________________ f. 14, s. Non mi truovo niuna altra substantia Boche Io Antonio d’età d’anni 66 Monna Taddea mia donna d’anni 60 Lucha e Giovanni frategli d’età d’anni 30 Benedecto d’età d’anni 18 ______________________________ f. -
7. Catasto 715 (Quartiere di San Giovanni, Gonfalone del Drago Verde), cc. 87r-87v 12 agosto 1451 1451, a dì 12 d’aghosto Quartiere di San Giovanni, Gonfalone del Drago, e nel Chatasto primo ero nel Quartiere di Santo Spirito, Gonfalone della Schala, ebbi di Catasto s. 12 Io Antonio di Cristofano di Guido, tessitore di drappi, vi rapresenterò tutte mie rendite e prociesioni. La chasa dov’io abito e n’è mia, chomperala da Charlo e Rinaldo e Giovanni di Bindo degli Agli, 1428, chostò f. 300, e quivi abito cho’ mia famiglia, posta nel Popolo di San Michele Berteldi, chonfinata da prima Piaza Padella, e da sechondo via, da terzo le rede di Filippo di Ser Brunellescho______________________________________ f. 7 Uno podere posto in Valdarno di Sopra, nella Legha di Chascia, e luogho detto a Sancto Giovanale, Popolo di San [...] a Ostina, chonfinata da primo via, e da sichondo uno fiumicello detto Pilano, da terzo l’erede di Berto Charnesechi, e da quarto Mariano di Stefano forbiciaio. Rende di mezo: Istaia 36 di grano, a s. 15 _____________ £. 27 Biada di più ragioni istaia 18, a s. 8 ____ £. 7.4 Vino barili 16, a s. 28 ________________ £. 22.8 Olio orcia 2, a s. 5 __________________ £. 10 __________ £. 66. 12 __ f. 17, s. 13 Un atro poderetto posto i’ Valdarno detto, Chomune di Chastello Francho, Popolo di San Donato a Manzano, chonfinato da prima via, e sichodo via, da terzo e quarto Matteo di Saluccio di Guido, e chon 69
esso uno pezzo di terra posto i’ Piano di Scho e uno chastagneto, luogho dicto alla Radicie, nello detto Popolo di Menzano. Rende di mezo: Grano istaia 24, a s. 15 ________________ £. 18 Vino barili 20, a s. 32 _________________ £. 32 Olio orcia 2 _________________________ £. 10 ___________ £. 60 _______ f. 15 Uno mezzo podere posto in detto luogho detto a Chamiano, Chomune di Chastello Fiorentino, il quale podere era nel primo Chatasto di Bonachorso, e rimase l’altra metà alo Spedale della Schala e chosì troverete a questa istribuzione che si chiarì molto bene inanzi che lla si potesse amettere per Bernardo del Maestro Galileo la vuole chiarire molto bene inanzi la volesse amettere, chonfinato detto podere da più parti via e sichondo Lesa223 e terzo lo Spedale della Schala, da più parti Baldassarre del Grasso alberghatore. Rende di mezzo: Grano istaia 36 Ispelda istaia 30 Panicho e seghale 10 Vino barili 10________________________________________ f. 14
8. Catasto 825 (Quartiere di San Giovanni, Gonfalone del Drago Verde), cc. 199r-200r 28 febbraio 1458224 Antonio di Cristofano di Guido tesse drappi. E nel primo Catasto ero nel Quartiere di Santo Spirito, Ghonfalone della Schala. Ebbi di catasto s. II Cinquina f. uno Valsente f. sette, s. diciotto, d. 4 Sustantie Una chasa dov’io abito co’ masseritie, posta luogho detto Piaza Padella, i’ sul canto al lato al Chiasso de’ Buoi, da primo e secondo via, da terzo l’erede di Filippo di Ser Brunellescho, da 4° l’erede di Baldo, la quale comprai a dì 28 di settembre 1428 da Carlo e Rinaldo
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Dovrebbe essere Elsa. In fondo alla carta 200v si legge: “Recò Benedetto suo figliuolo a dì 28 di febraio 1457”.
e Giovanni, frategli e figliuoli di Bindo degli Agli, e chostò f. 300, e quali avevo avere da Felice Brancacci e compagni setaiuoli, chome nel primo Catasto apare, carta fatta per Ser Nicholao Ser Mangieri. Uno podere in Valdarno di Sopra, posto nella Legha di Cascia, luogho detto a San Giovanale, confinato da più parti via e lle rede di Berto Carnesechi e Mariano di Stefano di Nese forbiciaio; lavoralo Tomaso di Gratia. Rende di mezo: Grano staia 36 Biada di più ragioni staia 12 Vino barili 15 Olio barili 2 À di prestanza co’ buoi f. 24_____________________ f. 249. 5. 9 Un altro poderetto pure in Valdarno di Sopra, luogho detto a Sancto Donato a Menzano, chon uno pezo di terra, posto luogho detto Piano di Scho, chonfina da primo via, da 2° e 3° e 4° Matteo di Salvuccio. Non à di prestanza alchuna chosa; lavoralo Pierazino.// Rende di mezo: Grano staia 24 Vino barili 15 Olio barili 2____________________________________ f. 214. 5. 9 Un altro poderetto posto nella Valdelsa, nel Chomune di Chastel Fiorentino, luogho detto a Chamiano, il quale podere ebbi da Degho e da Vicho Popoleschi e per denari avevo avere, il quale podere è sanza chasa, quasi chome cosa abandonata, funne roghato Ser Nicholò da Valentino a dì 7 di marzo 1439. Non à prestanza. Lavoralo Antonio. Rende di mezo: Grano staia 36 Vino barili [ ] Biade staia 36___________________________________ f. 200 // El quale poderetto è confinato da più parte lo Spedale della Schala e Baldassarre del Grasso setaiuolo. E perchè il lavoratore non à chasa d’abitare in sul detto podere, gli diamo £. dodici, per lla qual chosa pichola cosa rimane di rendita a me. Una terza chasa con 20 staiora di terra, luogho detto a Legnaia, nel Popolo di Santo Agnolo, confinata da primo via, da 2° e terzo el Munistero di Santa Felicita, da 4° lo Spedale di Santa Maria Nuova. El quale terreno ò in pegno da Giovanni di Bartolo detto Falsamostra, comendatore, per f. cento settanta, ò avere per resto della dote di Monna Pippa sua figliuola, la quale è maritata a Benedetto mio figliuolo; e quando mi darà detti f. 170 debbogli dare detta terza casa con detto terreno. Lavoralo Andrea detto el Ducha. E perché è circha di mesi 4 almeno, non so quello si rende, ma secondo mi dicie detto 71
Giovanni rende di mezo: Grano staia 15 Vino barili 15 Biade di più ragioni staia 3 Di frutte e orto £. 4 _________________________________ f. 170 Anchora debbo avere del Monte f. 38, sono per denari ò paghati in più volte che cerco di vendegli, e truovone f. 3__________ f. 7. 12 Anchora ò avere per fitto d’un boscho e castagni staia 3 1/2 di grano __________________________________________________ f. 9. 8. 2 Antonio d’età d’anni 77 _____________________________ f. 200 Mona Tadea mia moglie, 74 __________________________ f. 200 Giovanni mio figliuolo, 39 ____________________________ f. 200 Benedetto mio figliuolo, 26 ___________________________ f. 200 Mona Pippa, donna di Benedetto, d’anni 18 ______________ f. 200
9. Catasto 926 (Quartiere di San Giovanni, Gonfalone del Drago Verde), cc. 404r-404v 14 agosto 1469225 Monna Tadea, donna fu d’Antonio di Cristofano di Guido, tesse drappi, e Giovanni e Benedetto suoi figliuoli e figliuoli di detto Antonio e di detta Monna Taddea, cioè rede di detto Antonio, vi presentiamo nostre sustanzie e beni e incharichi. Al Chatasto del 1427 diceva in detto Antonio nel Gonfalone della Schala. Ebbe di chatasto _______________________________ f. -, s. 12 Ebbe di valsente nel Ghonfalone del Dragho, Santo Giovanni ______________________________________________ f. 7, s. 18, d. 4 Ebbe di catasto nel 1457 in detto Ghonfalone _____ f. -, s. 15, d. 9 Ebbe di ventina in detto Gonfalone _______________ f. -, s. 18 Sustantie Una chasa posta nel Popolo di Sancto Michele Berteldi, luogho detto Piaza Padella, che da primo via, a secondo detta piaza, a 3° l’eredi 225 Nelle Copie del Catasto dell’anno 1469, in relazione alla Portata di Taddea si legge: “Rechò Benedetto d’Antonio a dì 14 d’aghosto, all’abacho”. Cfr. ASF, Monte Comune o delle Graticole: Copie del Catasto 91, cc. 1035v e 1044r-1044v.
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di Filippo di Ser Brunellescho, da 4° Tomaso nipote di Pierganni. La quale chasa comprò detto Antonio da Charlo e Giovanni e Rinaldo, figlioli di Bindo degli Agli; la charta fe’ Ser Nicholò Bramangieri nel 1428. La quale chasa una parte ne tiene a pigione Guglelmo che sta per marrufino chon Messer Govanozo Pitti, e abianne f. undici l’anno, e un’altra parte tiene Ser Marcho prete e figliuolo di Baldo fabro, per pregio di f. 2 2/3, che vi tiene schuola di fanciulli. In tutto n’abiamo di pigione f. 13 2/3, benché finito el tempo ve torneremo entro prestanza. Uno podere posto nel Valdarno di Sopra, Piviere di Chascia, luogho detto a Santo Giovanale, chonfinato da più parte via e lle rede di Berto Carnesechi e lle rede di Mariano di Stefano di Nese. Lavoralo Maso di Gratia. A’ di prestanza cho’ buoi f. 24. Rende di mezo l’ano: Grano staia 36 Vino barili 15 Biade di più ragioni staia 15 Olio orcia 2 Un altro poderetto posto in Valdarno di Sopra, nel Piviere di Scho, Popolo di San Donato a Mezano, luogo detto a Bolognia, che da primo via, 2°, 3°, 4° Iachopo di Matteo di Salvuccio. Lavoralo oggi Giovanni di Stefano Rubini, non à prestanza. Rende di mezo: Grano staia 15 Vino barili 15 Olio orcia 1 1/2 Incarichi Mona Tadea d’età d’anni 80 o più ______________________ f. 200 Giovanni d’età d’anni 52, non ci è a Firenze____________ f. Benedetto d’età d’anni 40 ____________________________ f. 200 Mona Pippa, moglie di Benedetto, d’età d’anni 31 _________ f. 200 Tegnamo una parte d’una chasa a pigione, la quale è di Mona Tita, donna fu di Baldo linaiuolo, posta in sulla Piaza Padella, Popolo di Santo Michele Berteldi, che da 1°, 2° via, a terzo Tomaso nipote di Pierganni; paghianne f. 10. Dallo in questo, n° 439, avere apigionata detta chasa per f. 10 Mona Tita, do[nna] fu di Baldo ___________ ____________________________________________ f. 607. 7. 10 // Anchora dobbiamo dare a Lorenzo figliuolo di detto Antonio e fratello di detto Giovanni e Benedetto ciaschuno anno staia 30 di grano e barili 10 di vino e uno orcio d’olio, e questo lasciò Antonio detto 73
per testamento, fu roghato di detto testamento Ser Piero di Ser Andrea da Campi. Anchora dobbiamo dare a una fanculla del paese di Ragugia, la quale è stata circha d’anni 12 cho’ noi, la quale à nome Orsi, f. 30, e quali f. 30 lasciò per testamento detto Antonio che se gli dessino di dì in dì per maritarla. Beni alienati Uno podere posto in Valdelsa, luogo detto a Chamiano, Popolo di Santo Prospero, el quale s’ebbe da Degho e Vicho Popoleschi, e nel primo Chatasto à per una parte d’uno podere che diceva in Mona Cilia, donna fu di Bonachorso di Nicholò Latini, e fu roghato della nostra chompra Ser Nicholò Valentini. E certi pezi di terra di pichola stima, e quali decto Antonio si ripigliò per denari aveva avere da Giovanni di Simone e da’ figliuoli, di detto Popolo, e chostò f. 23; funne roghato Ser Nicholò di Ser Biagio da Chastello Nuovo. E certi pezi di terra di piccola stima, s’ebbono per denari detto Antonio aveva avere da Checho di Matteo, e chostò f. 25; funne roghato Ser Antonio di Ser Nicholò Lenzi. El quale podere cho’ detti pezi di terra vendemmo a dì 16 d’aprile 1468 a Bernardo Chambi per pregio di f. 250; funne roghato Ser Nastagio Vespucci226 . Uno pezo di terra lavoratia e ulivata posta nel Popolo della Pieve a Sco, la quale comperò Antonio detto da Chorso d’Adamo da Campiano, è circha 36 anni, e per righore d’una donagione nell’anno 1464 ci fu convinta da due sirochie, che l’una è maritata a Giovanni di Chafferello; funne roghato Ser Riciardo di Piero. Somma suo valsente_____________________________ f. 607. 7. 10 Abatti per 5% di f. 607. 7. 10 _________________ f. 30. 7. 5 Abatti per pigione di chasa di f. 10 l’ano _______ f. 142. 17. 3 Abatti per boche 3 _______________________________ f. 600 ______________ 773. 4. 8 Chomposto per partito degli Uficiali in s. quatordici; roghato Ser Nicholò Ferrini nostro chancelliere__________________ f. -, s. 14, -
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Cfr. Appendice 1, documento 29.
10. Catasto 1019 (Quartiere di San Giovanni, Gonfalone del Drago Verde), c. 488r 1480 Beni e posesori degli infrascripti beni che furono riportati nel Catasto 1470, c. 980, in nome di: Madonna Tadea, donna fu d’Antonio di Cristofano di Ghuido, tese drapi Un podere posto in Valdarno di Sopra, Piviere di Scho, Popolo di San Donato a Mezano, luogho detto a Bolongnia, che da primo via, 2°, 3°, 4° Francesco di Marco di Salvuccio. Lavoralo ogi Giovanni di Stefano Rubinio, non à sustanze, rende a mezo: Ghrano staia 15 Vino barili 15 Olio orcia 1 1/2 ____________ f. 174. 5. 9 Soma le sue sustanze f. CLXXIIII, s. V, d. VIIII ___ f. 174. 5. 9 Abatesi per 5 per cento, sono f. 8. 14. 3 __________ f. 8. 14. 3 ___________ f. 165. 11. 6 Resta sue sustanze f. 165. 11. 6 [...] a 7 per cento f. 11. 11. 10 Posto nel Drago, San Giovanni, primo, c. 617, in Madonna Andrea vedova.
11. Catasto 621 (Quartiere di Santa Maria Novella, Gonfalone del Leon Bianco), cc. 321r-321v 1442 Quartiere di Sancta Maria Novella, Gonfalone Leon Biancho Dinanzi da voi Signiori Dieci Uficiali della conservazione e umentazione della Città di Firenze, fovi fede delle sustanze di Giovanni di Bartolo di Giovanni, chomendatore de’ Signiori. Una meza chasa posta in Borgho San Friano, da prima via, da sechonda Istagio chalzaiuolo, da 1/3 Michele di Piero Ghuerucci, e da 1/4 Giuliano Branchacci, e detta chasa dice in Monna Orevole, donna del detto Giovanni. Tiella a pigione Cipriano dipintore. Danne l’anno f. otto. Rende di mezo, cioè f. 8 1/1______________ f. 8. 10 75
Un mezo pezzo di terra per non divisa chon Papi mio fratello, di staiora 4 a chorda, chon chasolari, posto nel Chomune di Ghanghalandi, luogho detto Poggio Ruberti, da prima e sechonda e 1/3 via, da 1/4 rede rimasono di Salvestro Pagnini. Rendemi l’anno in mia parte: Grano istaia _____1 1/1 _____________________________ f. 1, Tengho una chasa a pigione da Albizo di Piero ischarpellatore, posta nella Via dell’Amore, Popolo di San Lorenzo di Firenze, da prima e sechonda via, da terza la Chompagnia d’Ortosanmichele, da 1/4 Nicholò di Panuzio righattiere. Pagone l’anno f. 12. Ebbi io di cinquina __________________________________ f. 1 __________ f. 9. 10 // Giovanni di Bartolo sopradetto d’età d’anni quaranta, cioè d’anni 40 Monna Orevole sua donna Simone suo figliuolo d’età d’anni nove, cioè anni 9 Bartolomeo suo figliolo d’età d’ani 8 Piero suo figliuolo d’età d’ani 3 Pippa sua figliola
12. Catasto 674 (Quartiere di Santa Maria Novella, Gonfalone del Leon Bianco), c. 738r [febbraio] 1447 Giovanni di Bartolo di Giovanni Tinghi detto Falsamostra, chomendatore de’ Signori. Ebbe Bartolo suo padre del primo Chatasto_____ f. 3, era nel Ghonfalone della Ferza. Decina eb’io Giovanni ____________________________ f. 6, d. 8 Per dispiacente __________________________________ f. 6, d. 8 Un pezzo di terra chon chasa e chasolare e chorte chon albori, posta in Chomune di Ghanghalandi, luogho detto Poggio Ruberti, nel Popolo di San Martino a Ghaghalandi, da primo via, 1/2 via, 1/3 le rede di Salvestro Pagnini, 1/4 chiasso. Rende l’anno: Grano staia 6 Il detto pezzo della terra è mezo di Papi di Bartolo di Giovanni Tinghi, suo fratello __________________________________ f. -, s. 12 Una mezza chasa posta nel Popolo di San Friano di Firenze, da prima via, 1/2 Giuliano di Giuliano Branchacci, 1/3 Piero di Michele Gherucci, 1/4 le mura del chomune. La detta chasa chomperai dalle 76
rede di Michele di Niccholò Lapi vaiaio, la quale chasa abito per me e mia famiglia __________________________________________ f. Gl’incharichi Giovanni sopradetto d’età _________________________ d’anni 45 Monna Orevole sua donna _________________________ d’anni 28 Simone suo figliuolo ______________________________ d’anni 13 Bartolomeo suo figliuolo __________________________ d’anni 11 Pipa sua figliuola, non à dota ______________________ d’anni 9 Piero Antonio suo figliuolo ________________________ d’anni 8 Bice sua figliuola, non à dota _______________________ d’anni 4 Francescho mio figliuolo ______________________ d’anni 1 1/1
13. Catasto 795 (Quartiere di Santo Spirito, Gonfalone del Drago Verde), cc. 460r-460v [febbraio] 1458 Giovanni di Bartolo di Giovanni detto Falsamostra. E il Catasto dicieva in mio padre, cioè Bartolo di Giovanni Tinghi; era nel Quartiere detto, nel Gonfalone della Ferza. Aveva s. tre di Catasto. E di cinquina ebb’io Giovanni in detto Quartiere e in detto Gonfalone s. 3, d. 8. Valsente s. 2, d. 7 E’ beni ch’erano di mio padre gli tiene Papi da Ghanghalandi mio fratello. Sustantie Una chasa per mio abitare, posta in Borgho Sancto Friano, da primo via, da secondo Giuliano Brancacci, da terzo Piero di Matteo227 Guerrucci e da 4° le mura del Chomune. La quale casa mi lasciò la metà Mona Piera mia zia, donna fu di Core di Iacopo Berzi, la quale acquistò per parte di sua dote. La metà comprai dalla madre di Giovanni di Ser Luca Franceschi, la quale gli rimase per un lascio fece Michele di Nicholò Lapi. Una terza casa con staiora 20 di terreno posto nel Popolo di Sancto Agnolo a Legnaia, da primo via, da 2° e terzo el Munistero di Sancta 227
Probabilmente dovrebbe essere Piero di Michele.
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Felicita, da 4° Sancta Maria Nuova. El quale terreno mi lasciò Mona Piera predetta per resto di sua dote. El quale podere lavora Andrea chiamato il Duca. Rende di mezo: Grano staia 15 Vino barili 15 Biada staia 3 D’orto e frute £. 4 ______________________ f. 1, £. 6, s. 1, d. 6 E debbo avere dal Chomune di Firenze f. 170 dalla Chassa del Generale, e quali denari sono per la dote di Monna Pippa mia figliuola, che è circa a mesi 4 n’andò a marito. E perché è stato tolto gli asegniamenti a detta cassa e mandato a’ Consoli del Mare, e perciò non ò potuto averne denari e anche né spero averne_________ f. 170 296. 1. 6 Incharichi Prima ò in sudetta terza casa con staiora 20 di terreno f. 55 e gli debbo dare a Papi mio fratello per parte gli tochava di detta dote della detta Mona Piera, e quali gli debbo dare per di qui a 4 anni e 8 mesi, per vigore d’un lodo dato da’ miei magnifici Signori. E più debbo dare ogni anno per frutte di detto f. 55, £. otto al detto Papi. // Incharichi E di più detta terza casa con istaiora 20 di terreno è oblighata a Benedetto d’Antonio di Cristofano per f. [cento] settanta, sono per resto della dote di Mona Pippa, mia figliuola, moglie di detto Benedetto, e debbelo husufruttare tanto tenpo quanto pena avere detti f. CLXX, cioè tanto quanto pena a ritrarre e f. cento settanta che sono in sulla Camera, come nel capitolo passato è scritto. Dicho che ‘l detto Benedetto debba tenere detta terza casa con detto terreno tanto si ritralgha e detti f. 170, e diensi al detto Benedetto. Overo che Giovanni dia a detto Benedetto f. 170. Boche Giovanni predetto d’età d’anni __________ 60 ___________ f. 200 Mona Orrevole sua donna d’anni ________ 36 ___________ f. 200 Simone suo figliuolo d’anni _____________ 24 ___________ f. 200 78
Bartolomeo d’anni ___________________ 23 ___________ f. 200 Piero suo figluolo d’anni ______________ 17 ___________ f. 200 Francesco suo figluolo d’anni ___________ 12 ____________ f. 200 Giovanni Gualberti suo figliuolo _________ 8 ____________ f. 200 Lucha d’anni _________________________ 5 _____________ f. 200 Verano pur suo figluolo ________________ 3 ____________ f. 200 E anchora n’aspetto da mogliama, di dì in dì, un altro.
14. Catasto 907 (Quartiere di Santo Spirito, Gonfalone della Ferza), cc. 468r-468v. 1469/70 Figliuoli e Rede di Giovanni di Bartolo Tinghi da Ghanghalandi, vocato Falsamostra ... Sustanze Una chasa per Nostro abitare, posta in Firenze nel Popolo di Sancto Friano, nel Borgo di Sancto Friano detto, che da primo decta via, a II figliuoli e Rede di Giuliano Branchacci, a III Antonio di Giovanni di Maestro Antonio Mazinghi228, a IIII figliuoli di Piero Guerrucci ... Bocche Monna Orrevole nostra madre d’anni _________ 48 Simone di Giovanni detto anni _______________ 34 Bartolomeo di Giovanni detto anni ___________ 32 Piero di Giovanni detto anni ________________ 28 Francesco di Giovanni detto anni ____________ 23 Lucha di Giovanni detto anni _______________ 15 Bonda di Giovanni detto anni _______________ 11 Piera di Giovanni detto anni ________________ 11 // Beni alienati Vendemo a Domenicho di Iacopo Federici, Gonfalone Leon Rosso: Una chasa da lavoratore con staiora XX di terra lavoratia, posta nel
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Si tratta del nipote del noto maestro d’abaco Antonio di Giusto Mazzinghi: cfr. Ulivi [1996],
p. 108.
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Popolo di Sancto Michelagnolo a Legniaia, che da primo via, a II beni dello Spedale di Sancta Maria Nuova, a III Munistero di Sancta Felicita di Firenze ...
15. Catasto 1001 (Quartiere di Santo Spirito, Gonfalone del Drago Verde), cc. 248r-249r. 1480/81 Simone, Bartolomeo, Francesco e Lucha fratelli e figliuoli furono di Giovanni di Bartolo di Giovanni Tinghi da Ghanghalandi, detto el Falsamostra, fu comandatore della Signoria, del Popolo di San Friano di Firenze. Ebbono di Catasto l’anno del 1470 in detti nomi et in detto Gonfalone. Sustanze Una casa posta in Borgho San Friano, che a primo via, a II Giuliano Branchacci, a III l’heredi d’Antonio di Giovanni Mazinghi, a IIII via, laquale tenghono per loro habitare, che la prese Monna Orrevole nostra madre per sua dota ... //(c.249r) ... Un podere chon chasa da hoste e lavoratore e con terre lavoratie e vigniate, ulivate, alborate e fructate, in tutto di staiora 20, posto nel Popolo di San Giovanale, Piviere di Cascia, luogo detto San Giovanale, a I via, a II Salvestro Maruscelli, a III Masino di Baldo, a IIII fiume di Pilano, a V Francesco Angeni. El quale abbiamo avuto per la Chorte del Palagio del Podestà di Firenze, per sententia, e per la dota di Monna Pippa nostra sirochia e donna fu di Benedetto del’abacho. Rende l’anno in parte: Grano staia 45 Vino barili 15 Olio barili 3 _____________________________________ f. 237.17.3 Lavoralo Marcho Busi di detto Popolo; à di presta f. 10, tienvisi su un bue di stima di ___________________________________ f. 10 Boche Simone detto d’età d’anni 43, è stato di fuori anni 27 e più, e mai non è stato e non ci è Bartolomeo detto d’età d’anni 42, è comandatore de’ Signori Francesco detto d’età d’anni 32, Lucha detto d’età d’anni 26, danno la lana a panno ed è 3 anni non ànno fatto nulla 80
Monna Orrevole loro madre d’anni 62 Agnniola sta cho’ loro, d’anni 14, ànola a maritare e darle di dota £. 120 ...
Documento del fondo Decima Repubblicana 16. Decima Repubblicana 29 (Quartiere di San Giovanni, Gonfalone del Drago Verde), cc. 119r-119v [aprile1495] Andrea di Lorenzo di Antonio di Cristofano del Popolo di San Michele Visdomini. Dise la graveza de la Schala inchameratta de l’anno 1481 in Mona Andrea dona fu di Lorenzo di Antonio di Cristofano e mia madre, nel Gonfalone Drago. Sustanzie Una chasa in detto Popolo di San Michele Visdomini, ne la Via de’ Fibiai, per mio abitare, chonfini da prima detta via, da sichonda beni di Santa Maria degli Agnioli di Firenze, tenuti per fratte Gabrielo de l’ordine de’ Servi, a 1/3 Chosimo Fiorini, a 1/4 beni del detto Munistero tenuti per Mona Giuliana, stette già per serva, ora ghuarda le donne; la quale chasa ebe in pagamento dal Priore e Chonvento di Santa Maria degli Agnioli predetto per f. 160 larghi di grossi, scritta per mano di Ser Giovanni di Ser Marcho da Romena, sotto dì 25 di giugnio 1493; tengola per mio abitare. Uno poderuzo posto nel Popolo di Santo Donato a Menzano, luogo detto Bolongnia, da prima la via, da sichonda beni di Sanfele da Popi, a 1/3 burone, a 1/4 figlioli ed erede di Iachopo di Teo Salvucci, chiamato el Sordo, el quale poderuzo la mettà per non diviso Giovanni d’ Antonio di Cristofano dette in pagamento a detta Mona Andrea mia madre per f. cinquanta di sugelo, de l’anno 1480 e del mese di dicenbre di detto anno, di sua dotte, mano di Ser Giovanni da Romena229. La detta Mona Andrea, a dì 19 di marzo di detto anno, mi donò e dette la metà di detto poderuzo230; l’antra mettà di detto poderuzo fue
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Cfr. Appendice 1, documento 38. Ibidem, documento 39.
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giudichatto in pagamentto a Mona Antonia mia sorela per f. 45 di sugelo, parte di dotte de la detta Mona Andrea, de l’anno 1482 a dì 28 del mase di marzo di detto anno, per giudice del Quartiere di Santo Giovanni e Santa Maria Novela de la Chorte del Podestà di Firenze. E di poi detta metà di detto poderuzo mi fu agudichata per lodo rogato Ser Cetto di Bernardo da Lore, dato ne la Schala, inchamerata a dì 15 di gungnio 1482231 di detto anno 1481, per deta Mona Andrea mia madre Rende l’anno in parte: Grano staia otto _______________ barili 8 Vino barili dodici ______________ barili 12 Olio barili uno _________________ barili 1 _________ f. 11 // ... Al 1532 in Vincenzio di Andrea di Lorenzo Laurentini, Gonfalone detto di n° 66 .... Al 1532 in Giovanbatista d’Andrea di Lorenzo Laurentini, Gonfalone detto di n° 67 ...232
Documenti del fondo Notarile Antecosimiano 17. Notarile Antecosimiano 15194 (Ser Niccolò Mangeri), cc.141v142r 17 novembre 1418 Procura plurium de Montevarchi Item, dictis anno [1418], indictione, et die decima septima mensis novembris. Actum Florentie, in Populo Sancti Stefani Abbatie Florentine, presentibus Ser Iacobo Iohannis et Ser Iohanni Ser Mattei, notariis florentinis et aliis testibus, etc. Francischus olim Ser Bindi Francisci de Montevarchio ... ut maritus Domine Clare eius uxore et filie olim Ricci Santis ... et ut procurator et legiptimus administrator Mattei, Leonardi, Antonii et Checche, sive Francisce, et Antonie, filiorum et filiarum dicti Francisci ... et Laurentius olim Cechi alias Conte, de dicto Castro Montis Varchi, suo proprio nomine et ut maritus ... Domine Iohanne eius uxoris et filie olim Corsi Iacopi Buriani, et ut pater ... Angeli, Tholomee dette Mee, et Marie, suorum filiorum ... et quilibet ipsorum ..., fecerunt etc. procuratorem etc. // Ser Christofanum Andree de Laterino ad agendum, causandum etc. Item specialiter et nominatim ad nominandum
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Ibidem, documento 41: la data del rogito è in realtà 19 giugno 1482. Si fa in riferimento alla Decima Granducale del 1532/34: cfr. la nota 68.
... possessorem infrascriptorum bonorum Christofanum Guidonis de dicto Castro Varchi ... que bona sunt ista, videlicet: Unum petium terre, positum in Comune Montis Varchi, Comitatus Florentie, loco ditto in Bottaio, stariorum otto vel circha, cui a I Via di Bottaio, a II Pauli Bernardi, a III Nannis Lodovici, a IIII Magistri Iohannis, infra predictos confines vel alios veriores ...
18. Ibidem, c. 142v 18 novembre 1418 1418, indictione XII Procura Christofani de Monte Varchi Item dictis anno, indictione et die decima ottava mensis novembris. Actum Florentie, in Populo Sancti Stefani Abbatie florentine, presentibus testibus Antonio Francisci et Ser Nicholao Ghabrielli, civibus et notariis florentinis, et aliis testibus etc. Christofanus olim Guidonis de Castro Montis Varchi, Comitatus Florentie, omni modo etc. fecit etc. procuratorem etc. Ser Christofanum Andree de Laterino, Ser Talduccium Sandri et Ser [...] et Ser Paulum Iacobi de Laterino et quemlibet ipsorum etc. ...
19. Notarile Antecosimiano 15198 (Ser Niccolò Mangeri), c.n.n. 28 settembre 1428 Emptio Antonii Christofani ab Rainaldo de Aleis et fratribus Item, dictis anno [1428], indictione [VI], et die vigesima octava mensis sectembris. Actum Florentie, in Populo et Ecclesia Sancte Marie in Campo de Florentia, presentibus Piero Antonii orciolario de Bachereto, Comitatus Florentie, et Iuliano Antonii calzolario Populi Sancti Petri Maioris de Florentia, et aliis testibus ad infrascripta omnia et singula habitis et rogatis, et aliis. Rainaldus et Iohannes, fratres et filii olim Bindi de Aleis de Florentia, et quilibet ipsorum, eorum et cuiuslibet ipsorum propriis et privatis nominibus, ac etiam procuratores et procuratoriis nominibus Caroli, fratris eorum et filii dicti condam Bindi de Aleis, ut de ipsorum procura et mandato constat et apparet publicum instrumentum manu Ser Nichole Mangeri, notarii infrascripti, sub die vigesima 83
tertia presentis mensis settembris233, dicto procuratorio nomine et nominibus et quilibet ipsorum dictis modis et nominibus, et omni modo, via et iure quo et quibus potuerunt, iure proprio et imperpetuum dederunt, vendiderunt etc. Antonio Christofori, detto Rosso, testori drapporum de Florentia, Populi Sancte Lucie de Agnolis de Florentia, presenti, ementi et recipienti pro se et suis heredibus et quibus ius suum concessit, unam domum cum curia, puteo, terreno et aliis ad dictam domum pertinentiis, positam Florentie, in Populo Sancti Michaelis Berteldi de Florentia, in loco dicto Piaza Padella, cui domi a I dicta platea, a II via, a III Filippi Ser Brunelleschi, a IIII [ ], infra predictos confines vel alios veriores, cum omnibus que dicti confines habent super se etc., ad habendum, tenendum etc. Quam venditionem [...] dicti venditores fecerunt pro pretio et [...] pretii florenorum trecentorum auri nitidorum dictis venditoribus. Quod pretium et quantitatem florenorum trecentorum dicti venditores et quilibet ipsorum, dictis modis et nominibus, fuerunt confessi et contenti habuisse et recepisse a dicto emptori hoc modo, videlicet promissionem dicte quantitatis ab filiorum [ ] de Branchaccis et sotiorum setaiuolorum de Florentia, termino otto mensium. Quam quidem domum et bona dicte venditionis quilibet eorum in solidum, dictis modis et nominibus, promiserunt conservare precario nomine dicti emptoris tenere et possidere usque quo dictus emptor dictorum bonorum possessionem acceperit corporalem, quam accipiendi [...]. Et insuper // etiam promiserunt et solempniter [...] convenerunt dicti venditores et quilibet eorum, dictis modis et nominibus, super dicta bona lites non inferre [...] sed dicta bona defendere etc. ab omni persona etc. ...234.
20. Notarile Antecosimiano 19345 (Ser Matteo Sofferoni), c. 41r 20 luglio 1444 Finis generalis hospitalis Sancte Marie Nove et Antonii Christofani, testoris drapporum Item postea, eodem anno [1444], indictione [VII], et die XX mensis iulii. Actum ubi supra [Florentie, in Populi Sancte Marie in Campo], presentibus testibus Baroncello olim Leonardi Baroncelli dicti Populi, 233 Tale atto di procura si trova di fatto nello stesso notarile, alla carta precedente quella che contiene il rogito del 28 settembre. 234 Dopo il contratto di vendita, nella stessa carta, si trova anche una fideiussione di Francesco di Gerozzo degli Agli, fatta in data 11 ottobre e sempre relativa alla vendita della casa di Piazza Padella.
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et Ser Bindo Angeli de Staggia notario florentino, et Iohanne Antonii Martini cive florentino, et aliis. Venerabilis vir presbiter Andreas olim Simonis, rector et hospitalarius hospitalis Sancte Marie Nove de Florentia, heredis in solidum ex testamento Cambini Nicholai Cambini linaiuoli, ex parte una, et Antonius olim Christofani, testor drapporum Populi Sancti Michaelis Bertelde, suo nomine proprio et ut pater et tanquam pater et legiptimus administrator et pro vice et nomine Iohannis, eius filii, pro quo de rato promisit etc., ex parte alia, fecerunt sibi invicem, dicto nomine, finem generalem etc. de omni et toto eo quod pervenisse ad manum dictorum Antonii et Iohannis, vel alterius eorum, de pecunia, rebus et bonis dicti Cambini etc., et de omni et toto ei quod petere posset tam occaxione sui salarii ab hereditate dicti Cambini dicto Iohanni debita etc., quam alia quacumque occaxione etc. Et hoc ideo fecerunt etc. quia fuerunt confessi habuisse etc. omne id totum etc. finierunt etc. per acceptilationem etc. promiserunt etc., finem et rationem habere etc., et contra non facere etc., sub pena florenorum centum etc., obligaverunt etc., renuntiaverunt etc., guarantigia etc.
21. Notarile Antecosimiano 7977 (Ser Francesco di Iacopo da Romena), cc. 1r-1v 25 aprile 1457 In Dei nomine amen. Anno Domini ab eius salutifere incarnatione millesimo quadringentesimo quinquagesimo septimo, indictione VI et die 25 aprilis. Actum Florentie in Ecclesia Sancti Michaelis Berteldi, in cappella que dicitur la Chappella de’ Bechanugi, presentibus testibus ad habitis, vocatis et rogatis Guasparre Nicholai, Populi Sancte Felicitatis de Florentia, et Iacobo Antonii, Populi Sancti Laurentii de Florentia. Convocatis infrascriptis hominibus et personis Societatis Sancti Michaelis, que congregatur in Sancto Michaele Berteldi in loco eorum solite congregationis, de mandato ad requisitionem Pieri de Masseto, prepositi dicte societatis, quorum nomina sunt hic, videlicet: Pierus de Masseto, prepositus Michele Lodovici Gardi Iohannes Nicholai, ferraveterus, Chapitanei dicte Societatis, absente Matteo Tani, eorum college 85
Laurentius Pieri, choregiarius Bettinus Ser Antonii Ser Bandini Clemens Zanobii, legnaiuolus Pulidorus Parissis Archangiolus Dominici, choregiarius Consultores, absente Piero legnaiuolo, eorum college Francischus Fruosini Tommasus Francisci Stranatis Benedittus Antonii de arismetrica // Dominicus Laurentii et Dominus Nicholaus, rettor dicte Ecclesie Sancti Laurentii, Capitanei, consultores et corpus dicte societatis, asserentes se esse duas partes et ultra capitanei et consultores et corpus, et esse maiores partes hominum dicte societatis et se facere et representare dictam societatem, omni modo, via, iure et forma, quo et quibus magis et melius potuerunt, fecerunt, constituerunt, creaverunt et ordinaverunt eorum et dicte societatis sindicos et procuratores, actores, fattores et certos nuptius spetiales et quidquid melius dici et nominari potest, discretos et honestos viros Bettinum Ser Antonii ser Bandini et Benedittum Antonii, homines dicte societatis, ibidem presentes et dictam procurationem acceptantes, in omnibus et singulis etc. Idem ad recipiendum certam quantitatem pecunie a Santi del Mostaccio, polleauolo. Item ad faciendum chapi et chaptum ipsumque relapsari etc. Item ad petendum et de receptis finiendum etc. Item ad substitutionem et generaliter predictas permittere etc. Relevans etc. Et presens mandatum voluerunt datare per totum mensem mai proxime futurum. Rogans etc.
22. Notarile Antecosimiano 16778 (Ser Piero di Andrea da Campi), c. 106v 4 agosto 1460 Procuratio Item postea, dictis anno [1460], indictione VIII, die vero quarta mensis aughusti. Actum Florentie, in Populo Sancti Michaelis Berteldi de Florentia, presentibus testibus etc. Zenobio olim Daniellis spetiario Populi Sancte Marie Nepotecose de Florentia, [ ] vocato Tedeschino 86
de Alamania, habitatore in dicto Populo Sancte Marie predicte. Antonius Christofani Ghuidonis, testor drapporum Populi Sancti Michaelis predicti, omnimodo etc., non revocando etc., fecit etc. suum procuratorem etc. Benedictum eius filium, presentem et acceptantem, spetialiter et nominatim ad permutandum et seu permutari, summi et elevari petendum et faciendum omnes et quoscunque denarios Montis cantantes in dictum constituentem, cum eorum pagis, donis et interesse eidem constituenti debitos et debendos, et eos ponendum ad rationem et computum cuiuscunque etc., pro eo pretio et pretiis, de quo et seu quibus dicto procuratori videbitur et placebit, et propterea finiendum etc., et quascunque ghabellas solvendum etc. Et generaliter etc., dans etc., sub ypoteca etc.
23. Notarile Antecosimiano 18452 (Ser Antonio Salomoni), cc. 71r-71v 5 novembre 1462 Item postea, dictis anno [1462], indictione [X] et die quinto mensis novembris. Actum in Camera Comunis Florentie, presentibus Papio Laurentii, guardiano Camere predicte et Paulo Luce Buonaguide, familiare Chamere predicte, omnibus testibus etc. Pateat omnium evidenter quod Benedictus filius Antonii, magister abbachi, Populi Sancti Michaelis Berteldi de Florentia, cum consensu, verbo, licentia dicti Antonii, eius patris, ibidem presentis etc., non revocando propter hoc aliquem vel alios eius procuratores etc., omni modo etc. fecit etc. suum procuratorem etc., duraturum tam in vitam quam etiam post mortem, dicti [ ] nobilem virum Paulum Iacobi de Federigis de Florentia, specialiter et nominatim ad petendum et exigendum etc. a Comuni Florentie et a commissariis Camere dicti Comunis [...] casseriis summam et quantitatem florenorum auri centum septuaginta, eidem debitam et debendam pro dote et occasione dotis Domine Pippe, eius uxoris et filie Iohannis Bartoli, preceptoris Dominationis Florentie, virtute legis in eorum favorem facte et obtente pro eorum [...] conclusione in Consilio Centum sub die 30 mensis iunii 1462, seu alio veriori tempore. Et omnem alium eidem debitum et debendum a supradicto occurendum // pro dote etc. Et de hiis que exigeret etc. finem etc. Et generaliter etc. dans etc. prout etc., sub ypotheca etc. Et ultra predicta dedit dictus Benedictus, dicto consensu, licentia etc. quod de dicto credito florenorum 170 fiat et nunc voluntas dicti Pauli etc. Rogans etc. 87
24. Notarile Antecosimiano 16795 (Ser Piero di Andrea da Campi), inserto n° 26, cc. 69r-70r 19 novembre 1464 In Dei nomine amen235. Anno Domini ab eius salutifere incarnatione millesimo quadringentesimo sexagesimo quarto, indictione XIII et die XVIIII mensis novembris. Actum in Civitate Florentie, in Populo Sancti Michaelis Berteldi de Florentia, presentibus testibus ad infrascripta omnia et singula vocatis et habitis et ab infrascripto testatore proprio hore rogatis, videlicet presbitero Nicholao Petri cappellano in dicta ecclesia, Christofano Luce Dini textore drapporum Populi Sancti Ambrosii de Florentia, Fhilippo Ser Iohannis Ser Pieri textore drapporum Populi Sancti Michaelis predicti, et Baldassarre Antonii Ser Bernardi legnaiuolo Populi Sancti Pauli de Florentia, asserentibus etc. se infrascriptum testatorem cognoscere, et Sancte Angeli Sanctis legnaiuolo, etiam asserente infrascriptum testatorem cognoscere, et Iohanne del Pace legnaiuolo Populi Sancte Marie del Fiore de Florentia, et Francisco Laurentii legnaiuolo Populi Sancti Petri Maioris de Florentia. Quoniam nichil est certius morte et nichil incertius eius hora, hinc est quod prudens vir Antonius olim Christofani Guidonis, textor drapporum Populi Sancti Michaelis predicti, sanus per Dei gratiam mente, sensu, visu et intellectu, licet corpore languens, nolens intestatus decedere, suum sine scriptis nuncupativum condidit testamentum, per quod volumptatem suam disposuit et ordinavit in hunc modum et formam, videlicet. In primis namque animam suam omnipotenti Deo eiusque gloriose matri Virgini Marie humiliter et devote recommendavit. Sepulturam autem sui corporis elegit in Ecclesia Sancti Michaelis predicti, in eius sepulcro. Item iure legati reliquit et legavit Opere Sancte Marie del Fiore de Florentia et nove sacrestie eiusdem, ac etiam operi et constructioni murorum civitatis Florentie, in totum inter omnes, libras duas parvorum. Item amore Dei et pro remedio anime sue et suorum predecessorum, reliquit, voluit et mandavit quod per infrascriptos eius heredes fiat unum annuale in Ecclesia Sancti Michaelis predicti // quolibet anno, a die mortis dicti testatoris et per tres annos tantum et non ultra, cum cera, presbiteris et aliis requisitis, in quo annuali expendatur et expendi voluit anno quolibet dictorum trium annorum, inter omnia libre tres parvorum. 235
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In margine a sinistra si legge: “Publice restitutum ut hic dicto Benedicto”.
Item iure legati reliquit et legavit Domine Taddee, eius uxori et filie olim Dominici Pieri, in casu quo dotes suas non petierit et donec dotes suas non petet, durante tempore ipsius Domine et non ultra, usumfructum, redditum, habitationem et proventum omnium suorum bonorum mobilium et immobilium, una cum infrascriptis eius heredibus. Item reliquit et legavit Magdalene, nepoti dicti testatoris ex filio, et filie Luce olim filii legitimi et naturalis dicti testatoris, pro ipsa dotanda, florenos centum quinquaginta auri de bonis, cum hoc quod si ipsi infrascripti eius heredes imponerent tot credita Montis nomine dicte puelle super Monte Comunis Florentie, quod vulgariter dicitur delle fanciulle, ex quibus debito tempore ipsa efficiatur et sit creditrix in tanta quantitate florenorum centum quinquaginta auri de bonis, ipsa aliud non possit petere vigore presentis legati. Item iure institutionis reliquit et legavit Laurentio, eius filio legitimo et naturali, unum congium vini et sextaria triginta grani quolibet anno durante vita ipsius Laurentii, dandum eidem per infrascriptos eius heredes, et hoc in casu quo dictus Laurentius de predictis contentus esset. Et in casu quo dictus Laurentius de predictis contentus non esset, tunc et eo casu, loco dicti grani et vini et olei, reliquit eidem florenos centum quinquaginta auri, dandos eidem libere infra unum annum a die mortis dicti testatoris per infrascriptos eius heredes. Declarans dictus testator relinquere eidem Laurentio dicta sextaria triginta grani et unum condium et unum urceum olei, ipso volente et ipso non volente, loco grani et vini et olei, dictos florenos centum quinquaginta modis predictis, pro omni et toto eo quod dictus Laurentius petere posset tam iure nature // et seu legitime alio quocunque iure in hereditate vel bonis et seu hereditate dicti testatoris. Iubens et mandans dictus testator dictum Laurentium stare contentum predictis et nihil aliud petere posse in hereditate vel bonis et seu hereditate dicti testatoris. Item amore Dei et ad pias causas et pro remedio anime sue, reliquit et legavit Urse de partibus Rauge, ad presens serve ipsius testatoris, et seu eidem servienti, florenos triginta auri tempore nuptus dicte Urse, pro dote et seu in subsidium dotium suarum, dandos eidem Urse per infrascriptos eius heredes. In omnibus autem aliis suis bonis, mobilibus et immobilibus, iuribus, nominibus et actionibus, presentibus et futuris, heredes universales instituit, fecit et esse voluit Benedictum et Iohannem, etiam eius filios legitimos et naturales, et quemlibet eorum pro una dimidia. Et hanc dixit et asseruit dictus testator fuisse et esse suam ultimam volumptatem, quam valere voluit iure testamenti et si iure testamenti non valeret, valere voluit iure codicilli et si iure codicilli non valeret, 89
valere voluit iure donationis causa mortis vel alterius cuiuscunque ultime volumptatis, prout melius valere poterit et tenere. Capsans, irritans et anullans omne aliud testamentum et ultimam volumptatem actenus ab eo usque in presentem diem factam manu cuiuscunque notarii, non obstante quod in eo, ea vel eis essent apposita aliqua verba derogatoria, penalia vel precisa, etiam si talia forent de quibus in presenti testamento et clausula revocatoria expressa mentio fieri deberet, de quibus dixit se ad presens non recordari et omnino penituisse et penitere. Et voluit presens testamentum omnibus aliis ipsius testatoris testamentis et ultimis volumptatibus prevalere et nullo modo vel per aliquam revocationem tacitam vel expressam, generalem vel specialem, quoquo modo infringi, revocari aut modo aliquo irritari, sed totiens confirmari et de novo fieri quotiens appareret modo aliquo revocatum, nisi in tali revocatione contineretur et inserta esset tota oratio dominicalis, videlicet: Pater Noster etc., et tota series presentis testamenti. Rogans me Petrum notarium infrascriptum ut de predictis presens publicum conficerem instrumentum.
25. Ibidem, cc. 71v-72r 3 dicembre 1464 Item postea, dictis anno et indictione predicta, die vero tertia mensis decembris. Actum in Populo Sancti Michaelis predicti, presentibus testibus ad infrascripta omnia et singula vocatis et habitis et ab infrascripto codicillatore proprio hore rogatis, videlicet Stephano Iacobi Rosselli Populi Sancti Marci de Florentia, Philippo Boni Philippi testore drapporum Populi Sancte Marie Maioris de Florentia, Zenobio Baldi fabro Populi Sancti Michaeli predicti, Nicholao Dominici Benedicti pettinagnolo Populi Sancti Marci predicti, Iohanne Antonii Dominici Populi Sancte Marie del Fiore de Florentia, Antonio quondam alterius Antonii Ser Andree Bartholi Populi Sancti Simone de Florentia, et Amadore Iacopi Angeli Populi Sancti Laurentii de Florentia. Prefatus Antonius, codicillator predictus, cum suam mutaverit volumptatem quam usque ad finem vite ac finalis exitus immutare licet, advertens et considerans quod ipse Antonius codicillator post suum per me conditum testamentum et ultimam voluntatem suos condidit codicillos, per quos in effectum iure institutionis reliquit et legavit Laurentio eius filio dum vixerit et post eius mortem filiis masculis legitimis et naturalibus, tam natis quam nascituris dicti Laurentii, durante eorum et cuiuslibet vel alterius eorum vita, sextaria triginta grani et unum urceum olei et unum congium vini, dandos eidem vel 90
eisdem inter omnes, singula singulis congrue referendo post mortem dicti Antonii quolibet anno a die mortis predicte per Benedictum et Iohannem, eiusdem Antonii filios et heredes institutos in eius testamento modo, conditione et formis in dictos codicillos contentis et ibidem descriptis et narratis, prout de predictis codicillis et omnibus in eo contentis constat manu mei notarii infrascripti, sub die XX mensis novembris proxime preteriti. Addendo dictis codicillis voluit et disposuit quod dicti Benedictus et Iohannes, eius filii et heredes instituti predicti in dicto eius testamento teneantur solvere dictum granum, vinum et oleum modis et conditionibus et formis predictis, cum hoc quod dictus Laurentius dum vixerit, et post eius mortem dicti eiuis filii et quilibet vel alter eorum, cui vel quibus fieri deberet solutio dicti grani, vini et olei solvant de ipsorum et cuiuslibet vel alterius ipsorum propterea singula singulis congrue referendo, quolibet dictorum annorum, omnes expensas vecture et gabelle dicti grani, // vini et olei, et omnes expensas honerum et gravedinum tangentes bonis immobilibus tantumdem quolibet anno reddentes congruis temporibus dictis Benedicto et Iohanni, heredibus predictis aut cui vel quibus iura eorum concesserint vel predicta solvi mandaverint. Et cum hoc etiam quod dictus Laurentius et seu eius filii predicti teneatur et seu teneantur conservare indempnes et penitus sine dampno dictum Antonium codicillatorem et post eius mortem dictos Benedictum et Iohannem et quemlibet eorum ab omnibus et singulis promissionibus et obligationibus quarumcunque quantitatum florenorum, pecuniarum et rerum factis per dictos Antonium, Benedictum et Iohannem, et quamlibet vel alterum eorum pro dicto Laurentio cuicunque persone et seu personis, loco, Comuni, Collegio, Societate et Universitate, et tam de promissionibus huiusmodi factis quam de illis que in futurum usque in diem mortis dicti codicillatoris fierent, ad que in presentiarum vel in futurum dicti Antonius, Benedictus et Iohannes et quilibet vel alter eorum solvere tenentur et seu tenebuntur pro dicto Laurentio. Cetera autem in dicto suo testamento et codicillis predictis contenta, confirmavit et approbavit et per presentes codicillos plenam roborem, firmitatem habere voluit et mandavit, et hanc suam ultimam volumptatem asseruit esse et esse velle, quam valere voluit iure codicillorum vel alterius cuiuscunque ultime volumptatis, prout melius valere poterit et tenere. Item postea incontinenti, dictis anno, indictione, die et loco et coram dictis testibus, etc. Prefatus Antonius olim Christophani Ghuidonis omni modo etc., non revocando etc., fecit etc. suos procuratores etc. inrevocabiles et 91
duraturos etiam post mortem ipsius Antonii, eius hereditate adita vel non adita, apprehensa, iacentia et seu repudiata et quomodocunque sit, Dominam Taddeam, eius uxorem et filiam olim Dominici Pieri, nec non dictum Benedictum, filium ipsius Antonii, et quemlibet eorum in solidum et in totum, generaliter in omnibus litibus etc. ad agendum etc., item ad intrandum in tenutam et in solutum petendum etc. Item ad petendum et exigendum etc. et de exactis finiendum etc. Item ad faciendum capi etc. et relapsari etc. et staggiri etc. Item ad locandum etc. Item ad exigendum pagas Montis etc. Item ad substituendum etc. Item ad faciendum quamcunque compositionem etc. cum debitoribus dicti Antonii etc. Item ad faciendum celebrari et creari etc. super predictis contractus et instrumenta etc. et scripture publice quam private etc. Et generaliter etc. Dans etc., promictens etc. sub ypoteca etc. Rogans etc.
26. Notarile Antecosimiano 17847 (Ser Ricciardo di Piero), cc. 462r-462v 1° maggio 1465 Item postea, dictis anno [1465], indictione [XIII], die [I mensis maii]. Actum Florentie, in Populo Sancti Michaellis Berteldi de Florentia, presentibus [ ] // Domine Taddee vidue, filie olim Dominici Petri et uxori olim Antonii Christofori Ghuidonis, Populi Sancti Michaellis Berteldi de Florentia, presenti etc., dedi etc. in suum mundualdum Ser Pierum Ser Andree [...] Pantini etc., Macteo Tani, Bartolino legnaiuolo et Francisco Pasquini Nicholai, Populi [...]. Item postea, dictis anno, indictione, die et loco, et presentibus eiusdem testibus etc. Benedictus olim Antonii Christofani, textoris drapporum, suo nomine proprio et [in] perpetuo, et vice et nomine Iohannis, eius fratris carnalis et filii olim dicti Antonii Christofori, pro quo de rato et rati habitione promisit et se facturum et curaturum ita et taliter quod infra unum annum a die presentis venditionis ratificavit presentem contractum et se obligavit infrascriptam venditionem etc., alias de suo proprio observare etc., et quolibet dictorum modorum et nominorum simul et de per se, omni modo etc., iure proprio et in perpetuum etc., dedit et vendidit etc., Filippo olim Taccerini Laurentii Taccerini, Populi Sancti Andree a Pulicciano, Comitatus Florentie, et Iohanni olim Mei Simonis Pucci, Populi Plebis Sancte Marie a Scho, Comitatus Florentie etc., presentibus etc., ementibus etc., pro se et eorum heredibus etc., 92
infrascripta bona, videlicet unum petium terre laboratie, olivate, stariorum quinque vel circa, positum in Populo Sancte Marie a Scho, a I, 2° via, 3° bona Plebis Sancte Marie a Scho, 4° Nencii Angeli in parte et in parte Iacopi Chanchi, infra predictos confines. Que bona dictus Antonius Christofori, pater dicti venditoris, predicta emit a Domina Lucia vidua, filia olim Mattei Bruni etc. Ad habendum etc., cum omnibus etc., et cum omnibus etc. Que bona etc. constituit etc., insuper iussit etc. et fecit suum procuratorem etc. Ita etc. Benedictum venditorem etc. fecit pro pretio florenorum auri quadringentorum auri et medietatem fructuum presentis anni etc. Quod pretium dictus venditor confessus fuit habuisse et recepisse a dictis Filippo florenos viginti auri, a dicto Iohanne florenos auri quattuor et soldos sedecim ad aurum; residuum vero dictus Iohannes promisit etc. solvere hinc ad per totum mensem maii.
27. Notarile Antecosimiano 13441 (Ser Mattia di Cenni d’Aiuto), c. 126r 12 luglio 1465 Compromissum Item postea, dictis anno [1465], indictione [XIII] et die XII mensis iulii. Actum in Arte Alberghatorum, posita Florentie in Populo Sancti Andree, presentibus etc. Dominico Cionis et Francischo Ser Iohannis, famulis dicte artis, et aliis. Benedictus olim Antonii, magister artis metice Populi Sancti Michaelis Berteldi de Florentia, pro et vice et nomine Laurentii eius fratris carnalis, pro quo promisit de rato et quod ratificabit etc. infra octo dies proxime futuros etc., ex parte una, et Iacobus olim Antonii Carbonis, stufaiuolus, ex parte alia, omnes eorum dictis nominibus lites etc., comuni concordia etc., commiserunt et compromiserunt in providos viros Iohannem Rinaldi, stufaiuolum ad stufam Sancti Laurentii, et Iohannem Megli, stufaiuolum ad stufam que est posita in Via dell’Ariento de Florentia, ambos in concordia, dantes etc. dicte partes dictis eorum arbitris auctoritatem etc. laudandi etc. usque ad per totum presentem mensem iulii et interim continue. Et promiserunt dicte partes dictis modis et nominibus parere omni laudo etc., et ab eo non appellare etc. Et cum pacto etc. quod quicquid fuerit laudatum etc. intelligatur fuisse litem etc. Que omnia etc. promiserunt etc. adtendere etc., sub pena florenorum quinquaginta, que pena etc., qua pena etc., pro quibus etc. obligaverunt etc., renuntiantes etc. Rogantes etc. 93
28. Notarile Antecosimiano 16794 (Ser Piero di Andrea da Campi), cc. 217r-218r 23 agosto 1466236 In Dei nomine amen. Anno Domini ab eius salutifera incarnatione millesimo quadringentesimo sexagesimo sexto indictione XIIII et die XXIII mensis aughusti. Actum in Civitate Florentie, in Populo Sancti Michaelis Berteldi, presentibus testibus ad infrascripta omnia et singula vocatis, habitis et rogatis, videlicet Antonio Salimbenis Bartholomei legnaiuolo Populi Sancti Pauli de Florentia, et Antonio Iohannis Stefani, vocato Basso, habitatore in Populo Sancti Petri a Varlungho, Comitatus Florentie. Domine Taddee vidue, filie olim Dominici Pieri linaiuoli, et uxori olim Antonii Christofani Ghuidonis, textoris drapporum, habitatrici in Populo Sancti Michaelis predicti, presenti et petenti, ego Petrus, iudex ordinarius notariusque publicus infrascriptus, habens auctoritatem dandi mundualdum mulieribus et alia faciendi, de quibus in imperiali mihi indulto privilegio et statutis Comunis Florentie latius continetur, dedi et datum confirmari in eius et pro suo mundualdo legitimo et generali, Sanctem Zenobii Ribussati, legnaiuolum Populi Sancte Marie Novelle de Florentia, ibidem presentem et esse volentem cuius consensu, licentia et auctoritate dicta Domina possit se et sua bona obligare et omnia et singula sua negotia exercere et maxime infrascripta. Dicens eidem Sancti esto mundualdum hinc Domine, et in predictis et circa predicta, meam et Comunis Florentie quibus fungor auctoritatem interposui et decretum. Item postea dictis anno, indictione, die et loco, et coram dictis testibus ad infrascripta omnia et singula etiam vocatis, habitis et rogatis. Prefata Domina Taddea, cum consensu, verbo, licentia, parabola et auctoritate dicti Sanctis sui legitimi mundualdi ibidem presentis et eidem Domine in omnibus et singulis infrascriptis consentientis et consensum, licentiam, parabolam et auctoritatem dantis et prestantis expresse, certificata tamen, primo et ante omnia per me Petrum notarium iam dictum et infrascriptum de his que agebat et facebat et de iuribus et importantia presentis contractus et de beneficio velleani senatus consultus pro mulieribus introductus et de omnibus sibi competentibus quantum fuit expediens et de iuribus requiritur, de quibus omnibus dicta Domina dixit et asseruit se claram, certam et 236
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Una sintesi di questo rogito si trova nel Not. Antec. 16780, cc. 229r-229v.
advisatam fore ratificando et acceptando dotes suas per dictum olim Antonium et alios quoscunque confessatas, et ratificando etiam omnia et quecunque legata eidem Domine // per dictum Antonium olim eius virum in eius testamento facta, et Benedictus filio dicte Domine et dicti olim Antonii Christofani, suo nomine proprio et ut et tanquam heres pro una dimidia ex testamento dicti olim Antonii Christofani rogato manu mei notarii infrascripti, infrascriptam hereditatem pro dicta dimidia ad cautelam adeundo et quilibet dictorum Domine Taddee et Benedicti in solidum et in totum se obligando modis et nominibus quibus supra, omni meliori modo, via, iure et forma, causa et nomine quibus magis et melius potuerunt, vocaverunt et publice recognoverunt se ex causa veri et gratuiti mutui fuisse et esse veros et legitimos debitores nobili viri Boni Iohannis de Bonis campsoris, civi florentini, in summa et quantitate florenorum centum auri de sigillo, quos dixerunt et confessi fuerunt se habuisse et recepisse a dicto Bono. Quos florenos centum dicta Domina Taddea, dicto consensu, et dictus Benedictus modis et nominibus quibus supra, et quilibet dictorum Domine Taddee et Benedicti in solidum et in totum se obligando unica tamen solutione sufficiente, promiserunt et solepniter convenerunt dicto Bono licet absenti, et Iohanni eius filio et mihi notario infrascripto, ut publice persone, et quilibet nostrorum presentibus pro dicto Bono et eius heredibus et cui vel quibus iura sua concesserit recipientibus et stipulantibus, reddere, solvere et restituere hinc ad unum annum proxime futurum ab hodie, sine aliqua exceptione iuris vel facti, Florentie, Pisis, Senis, Luce, Bononie et ubique locorum et terrarum quacunque parte mundi fori privilegio non obstante, et huius debiti totius vel partis non opponere vel probare solutionem, absolutionem, terminum mutatum vel alium pactum per testes vel alio modo, nisi per publicum instrumentum finis vel solutionis vel per instrumentum sibi redditum, dampnatum vel legitime cancellatum. Que omnia et singula suprascripta, dicta Domina Taddea et Benedictus et quilibet eorum, modis et nominibus quibus supra, promiserunt et solepniter convenerunt eidem Bono, licet absenti, et dicto Iohanni eius filio, et mihi notario infrascripto, ut publice persone et cuilibet presentium et ut supra recipientium et stipulantium, actendere et observare et contra non facere vel venire per se vel alios, aliqua ratione, iure, modo vel causa, in iudicio sive extra, de iure vel de facto, sub pena florenorum ducentorum auri, que pena totiens commictatur et peti et exigi possit et valeat cum effectu quotiens in aliquo predictorum fuerit quomodolibet contrafactum vel ventum vel ut dictum est predicta omnia non fuerint totaliter observata, que pena commissa vel non, soluta vel non, seu etiam gratis remissa, nihilominus predicta et infrascripta omnia et 95
singula firma perdurent. Pro quibus omnibus et singulis observandis et firmis et ratis habendis et tenendis, et pro dicta pena solvenda si et quotiens commissa fuerint, obligaverunt dicta Domina Taddea et Benedictus et quilibet eorum // modis et nominibus quibus supra, se ipsos Dominam Taddeam et Benedictum et quemlibet ipsorum et cuiuslibet ipsorum dictis modis et nominibus, heredes et bona omnia et singula, presentia et futura. Renumptiaverunt in predictis omnibus et singulis dicti Domina Taddea et Benedictus, et quilibet eorum, exceptioni non sic facti et celebrati contractus, rei non sic geste, aliter actum quam scriptum fore, exceptioni non numerate pecunie, doli, mali, infacte actioni, conditioni indebite, sine causa et ex iniusta causa et beneficio de fideiussore et de pluribus reis debendum, et beneficio velleani senatus consultus pro mulieribus introductis, et omni alio iuris, legum et constitutionum auxilio et eisdem et cuilibet vel alteri eorum quomodolibet competentibus et competituris, et iuribus et legibus quibuscunque dicentibus generalem renuntiationem non valere vel non sufficere. Quibus quidem Domine Taddee et Benedicto et cuilibet eorum presentibus et predicta omnia et singula sic volentibus, facientibus et promictentibus, precepi ego Petrus, iudex ordinarius notariusque publicus infrascriptus, per guarentigiam nomine iuramenti, prout mihi licuit videlicet ex forma staturum et ordinamentorum Comunis Florentie de guarantigia loquentium, quatenus predicta omnia et singula supra per eos promissa facta et gesta, actendant, faciant et instrumentum observent in omnibus et per omnia prout et sicut superius promiserunt, continetur et scriptum est, et taliter me Petrum notarium infrascriptum rogatum ut de predictis publicum conficerem instrumentum.
29. Notarile Antecosimiano 21064 (Ser Anastasio Vespucci), fascicolo 4, cc. 47r-48r 16 aprile 1468 Data fides ut hic, Domina Ursia de Rausia Item postea dictis anno [MCCCCLXVIII], indictione [prima] et die XVI aprilis. Actum Florentie, in Populo Sancti Michaelis Berteldi de Florentia et in domo habitationis infrascripti contrahentis, presentibus testibus Sodo Laurentii del Sodo, sensale Populi Sancte Marie de Florentia, Baldassarre Iacobi Stefani, textore drapporum Populi Sancti Laurentii de Florentia. Domine Taddee filie olim Dominici Pieri, calzolari de Florentia, et 96
uxori olim Antonii Christofori Ghuidonis, textoris drapporum, presenti etc, dedi in mundualdum Filippum Dominici Augustini de Ghanuccis, variarum. Item postea incontinenti et coram dictis testibus, suprascripta Domina Taddea cum dicto consensu certificata, et Benedictus filius olim Antonii Christofori, usufructuarius, dicti Populi Sancti Michaelis Berteldi de Florentia // faciens dictus Benedictus pro se et suis heredibus etc., suo nomine proprio et pro et vice et nomine Iohannis, eius fratris carnalis et filii olim dicti Antonii Christofori Guidonis, pro quo de rato promisit, absentes et quilibet dictorum modis et nominibus etc., et quilibet eorum in solidum, insimul et de per se, eorum nominibus eorundem heredum et successorum et omni meliori modo, dederunt, vendiderunt etc., Bernardo olim Iohannis Dominicis de Chambis, civi et mercatori florentino emente pro se et suis heredibus et successoribus et seu pro nominandis eo etc., unam domunculam, cum palcho, turrem et aliis hedifitiis, positam in Comitatu Florentie et in Chastro Chamiani et in [...] Chastri Florentie, muratam ad terram, cui a primo via, a secundo Antonii Pauli de Chamiano, a III muro chastellano, a IIII Hyeronimi Silvestri. Item petium unum terre stariorum XII ad granum, loco dicto in Paule, a I vie, II dicti Bernardi emptori, a III flumen Else, a IIII Ieronimi Silvestri et nepotum. Item petium unum terre stariorum duorum vel circa, positum loco dicto alla Chapannetta, a I via, a II et III Hospitalis della Schala, a IIII via. Item petium unum terre stariorum otto vel circa, loco dicto al Prato, cum nonnullis vitibus, a I via, a II la Pestina, a III bona Ecclesie Sancti Prosperi, a IIII Domine Nanne olim Toni [...]. Item petium unum terre stariorum six vel circha, cum nonnullis vitibus, positum ultra flumen Else, a I via, a II flumen Else, a III heredum Mei Chambii, a IIII la Schala. Item petium unum terre stariorum trium vel circa, positum loco dicto alla Peschaia, cum nonnullis quercibus a capite, a I via, a secondo Baldassarre del Grasso, a III Ecclesie Sancti Prosperi, a IIII la Schala. Item petium unum terre stariorum octo vel circa, positum loco dicto Poggio di Monte, in parte laboratie et in parte sode, a I via, a II dicto Bernardi emptoris, a III et IIII Mactei Pintasso. Item petium unum terre sode, stariorum sex vel circa, posite loco dicto alle Docce, a I via, a II dicti Bernardi emptoris, a III Hieronimi Silvestri, a IIII dicti Bernardi emptoris. Item petium unum terre, loco dicto alla Vechia, in parte vineate et in parte laborate et in parte sode, stariorum XII vel circa, a I via, a II Societatis Chamiani, a III Hieronimi Silvestri, a IIII dicte Ecclesie Sancti Prosperi. Item petium unum terre, stariorum duorum vel circa, loco dicto Renaio, a I via, a II dicti Bernardi emptoris, a III heredum Mei Chambii, a IIII dicte Ecclesie Sancti Prosperi. Item petium unum stariorum sex vel circa, 97
positum loco dicto al Ponte verso Granaiuolo, a I via, a II fossato, a III via, a IIII la Schala. Item petium unum terre stariorum septem vel circa, loco dicto al Chastellare, a I via, a II fossato, a III la Schala, a IIII Bartolomei Moschini. Item petium unum terre, stariorum quinque vel circa, partim sode et partim laborate, loco dicto alla Palaia, a I via, a II heredum Antonii Bartholomei, a III la Schala, a IIII Tonini. Item petium unum terre sode, stariorum triginta vel circa, loco dicto al Poderano, a I via, a II Bartolomei Moschini, a III fossato, a IIII bona Monis [ ] et nepotum. Item petium unum terre stariorum unius cum dimidio vel circa, loco dicto al Ginestraio, a I via, a II et III Tonini [ ], a IIII Ecclesie Sancti Prosperi predicti, infra predictos confines. Item duas vegetes et unum tinum cum tres tinellis // cum omnibus et singulis etc., ad habendum etc. Constituentes etc. tenere etc. precario etc. donec etc., quam accipiendi etc. auctoritate propria etc. et fecerunt procuratorem [ ] ad dandum tenutam etc, et insuper etc. conservare iuris etc., promictentes dictam vendictionem [...] et eorum et cuiuslibet eorum [...]. Laurentius olim Antonii Christofori Guidonis, ut fideiuxor etc., constituens se principalis [...]. Que omnia etc. promiserunt observare etc. sub pena dupli pretii infrascripti etc. Que pena etc., qua pena etc. [...]. Et predictam venditionem fecerunt dicti venditores pro pretio florenorum ducentorum quinquaginta auri de sigillo, ad omnes expensas gabelle contractuum et aliarum dicti Bernardi emptoris. Quod pretium dicti venditores voluerunt et dimiserunt penes dictum emptorem hac lege et conditione quod deberet illud converti in quadam domo seu in emptione cuiusdam domus posite in urbe Florentie et in dicto Populo Sancti Michaelis, que olim fuit dicti Benedicti venditoris et fratrum, et que hodie tenetur et possidetur per Lottum Nicolai Lotti de Alliis et idem Lottus dicitur emisse a dictis Benedicto et fratribus, satisdandum per dictum Loctum per idoneum fideiussorem ad electionem dicti Bernardi emptoris; et cum pacto quod dicta domus sic ut supra vendita, stet et sit principaliter obnoxia pro defensione dictorum bonorum emptorum ut supra per dictum Bernardum etc. Pro quibus omnibus etc. obligaverunt etc. Renuntiantes etc. guarantigia etc. Rogantes etc. Laurentius olim Antonii Christofori de Guidonis fideiuxit et satisdedit pro dicto emptore.
30. Ibidem, c. 49r 22 aprile 1468 Item postea, dictis anno [MCCCCLXVIII], indictione [prima], et 98
die XX secunda mensis aprilis. Actum in urbe Florentie, in domo seu in Arte mercatorum del Chambio de Florentia, presentibus testibus etc. Mariano Andree Tocti de Mucello, dicte Artis del Chambio, et Michele olim Nicolai Iohannis de Ravenna, habitatore Florentie in Populo Sancti Florentii de Florentia. Lottus olim Nicolai Lotti de Aleis seu de Liberalibus, civis florentinus, per se et suos heredes et successores, iure proprio et imperpetuum, dedit, vendidit Beneditto et Iohanni, fratibus carnalibus, et filiis olim Antonii Christofori de Florentia, Populi Sancti Michaelis Bertelde, et predicto Benedicto presenti et pro se et dicto Iohanne eius fratre predicto absenti, et eorum et cuiuslibet eorum heredibus et successoribus et seu nominandis etc., ementi et recipienti etc., cum pacto quod infrascripta bona sint principaliter obligata Bernardo Iohannis Dominici de Chambis de Florentia et suis heredibus etc. antequam in dicto emptore aut eorum heredum etc, pro tuitione bonorum emptorum per dictum Bernardum a Domina Taddea et Benedicto, prout patet supra sub die 16 presentis mensis aprilis presentis anni etc., in omni casu evictionis etc., unam domum cum palchis, salis, cum puteo, volta, curte et stabulo et aliis edifitiis, positam in civitate Florentie et in dicto Populo Sancti Michaelis Bertelde et super platea vocata Piaza Padella, cui a I dicta platea, a II heredum Filippi de Brunelleschis seu Andreucci heredis dicti Filippi, III chiassetto mediante, a IIII bona Tommasi Iacobi Fini, infra predictos confines, ad habendum etc., pro pretio florenorum centum nonaginta octo, nitidorum ab omni expensa gabelle domus et aliorum bonorum venditorum. Quod pretium dictus venditor fuit confessus recepisse a dicto emptore in pecunia numerata et est contentus quod deponantur super bancho Antonii de Rabacta et sociis bancheriis de Florentia. Qui Antonius de Rabacta et socii teneantur et debeant retinere in eorum manibus dictum pretium florenorum 198 de sigilo usque quo per dictum venditorem expendatur in creditis Montium Comunis Florentie cum condicione quod dicta credita sint obligata prius Domine Benedicte, uxori dicti venditoris et filie Simonis Honofrii de Bonachursis, pro dotibus suis, antequam alicui cuicumque persone, et in casu quo ipsa domina superviverit possit de dictis crediti cum pagis computari sibi pro sua dote pro valore et pretio quo erit tempore mortis dicti Locti eius viri, aut convertantur in bonis immobilibus ad electionem et declarationem Bernardi Iohannis Dominici Chambii. Que bona sic emenda sint pro fundo dotali dicte Domine et ipsi domine prius obligata quam alteri cuicunque persone et non aliter. Et promisit dictus Lottus venditor principalis et eius precibus et mandato Honofrius eius frater carnalis et filius olim dicti Nicolai Lotti de Aleis, alias de Liberalibus, ut fideiussor constituens se principalis, 99
et quilibet in solidum promiserunt defensionem pro dato et facto tantum dicti Lotti venditoris, sub pena dupli pretii suprascripti.
31. Notarile Antecosimiano 5290 (Ser Ricciardo Ciardi), c. 484r 26 gennaio 1470 In Dei nomine amen. Anno Domini ab eius salutifera incarnatione millesimo CCCCLXVIIII, indictione III et die 26 ianuarii. Actum Florentie in Populo Sancti Michaelis Berteldi de Florentia, presentibus testibus etc., videlicet Matheo Tani Bartholomei legniaiuolo dicti Populi, et Bartholomeo Ser Francisci de Ambra, Populi Sancte Marie Maioris de Florentie, asserentibus cognoscere infrascriptam Dominam Taddeam etc. Domina Taddea, filia olim Dominici et uxor olim Antonii Christofori Guidonis, textoris drapporum Populi Sancti Michaelis predicti, constituta etc., petiit in suum mundualdum Iohannem Iuliani Laurentii, alias Grassina, ritagliatorem de Florentia, ac etiam ad cautelam cum consensu Benedicti Antonii Christofori, insegna l’abbaco, eius filii etc. eidem consensu in omnibus infrascriptis etc. Prefata Domina Taddea, dicto consensu etc., omni modo etc., advertens ad quandam scriptam factam de anno presenti 1469 et diem secundum ottobris proximo preteritum, per Ieronimum Vespini sensalem, in qua in effectu continetur qualiter Benedictus filius dicti olim Antonii Christofori, vendidit unam domum positam in dicto Populo Sancti Michaelis Berteldi, dicte Domine Taddee, pro pretio florenorum 1300 Montis Comunis Florentie, et promisit dictus Benedictus quod dicta Domina faciet instrumentum venditionis dicte domus Antonio Michaelis Fei Dini, promictenti et ementi pro Domina Angela, eius uxore et filia olim Bartholomei Nicholai de Stagnensibus. Unde dicta Domina Taddea, habens notitiam de dicta scriptura et contentibus in ea et dictis promissis pro ea per dictum Benedictum, ratificavit dictam scriptam et contenta in ea, et promisit observantiam omnium in dicta scripta contentorum per dictum Benedictum, et propterea obligavit se suosque heredes et bona etc.
32. Notarile Antecosimiano 1744 (Ser Antonio Bartolomei), c. 194r 19 febbraio 1470 Item postea, dictis anno [1469], indictione, et die decimo nono februarii. Actum in Arte etc., presentibus etc. Salvino Luce Salvini et 100
Pavolo Iohannis [...] et Francisco Marci [...]. Benedictus Antonii Christofori, Populi Sancti Michaelis Bertelde de Florentia, suo nomine et pro et vice et nomine Domine Taddee, eius matris et uxoris olim dicti Antonii, pro qua de rato promisit etc. et se facturum quod ratificabit infra decem dies proxime futuros, alias etc., de suo proprio etc. et omni modo etc., per se et suos et eorum heredes etc., vendidit Zenobius alterius Zenobii Nicholai del Cicha, presenti et pro se et suos heredes [...] unam domum cum curia, stabulo, palchis et orto [...] positam in Populo Sancti Michaelis Bertelde de Florentia, super Platea Pladella, cui a I et II via, a III Tommasi [...], a IIII Bernardi Pieri Cardinalis de Oricellaris, infra dictos confines, ad habendum etc. Que bona [...] et cessit etc., promisit defendere etc. et dare, renuntiare etc. et non molestare [...]. Quam venditionem [...] pro pretio florenorum auri ducentorum septuaginta sex [...] quod pretium dictus venditor confessus fut habuisse etc., videlicet quia dictus [...] promisit dare et solvere Francisco Vieri del Bene, presentem, florenos quadraginta octo per totum mensem aprilis proxime futurum, et florenos quinquaginta de sigillo et libras vigintiquinque parvorum Antonio Michaelis Fei [...].
33. Ibidem, c. 251r 2 aprile 1470 Item postea, dictis anno [1470], indictione, et die secundo aprilis. Actum in Arte etc., presentibus etc. Ser Andrea Manetti et Antonio [...] del Proconsolo. Certum et verum est quod die XVIIII februarii proxime preteriti Benedictus Antonii Christofori, Populi Sancti Michaelis Bertelde de Florentia [...] vendidit Zenobio Nicholai del Cicha pro se et seu nominandis etc. unam domum cum suis habituris positam in dicto Populo Sancti Michaelis, pro pretio florenorum ducentorum septuaginta sex auri, et promisit defensionem et de evictione etc. ut patet manu mei notarii infrascripti. Unde hodie dictus Zenobius volens agnoscere bonam fidem, nominavit in emptorem dictorum bonorum Antonium Iacobi Antonii aurificem, Populi Sancte Marie Maioris, presentem etc. [...] dictus Benedictus [...] recepit florenos vigintiquatuor etc. [...] et promisit observare sub pena florenorum quadringentorum etc., que pena etc., qua pena etc. [...] 101
34. Notarile Antecosimiano 16781 (Ser Piero di Andrea da Campi), c. 386r 17 ottobre 1471 In Dei nomine amen. Anno Domini ab eius salutifera incarnatione millesimo quingentesimo septuagesimo primo, indictione quinta et die XVII mensis octobris. Actum in civitate Florentie, in Populo Sancti Laurentii, presentibus testibus etc. Iacobo Bartholomei de Chorella, Comitatus Florentie, trechone ad Plateam Sancti Laurentii, et Davit Pieri del Savio, de Mosciano de Mucello, ambobus dicti Populi Sancti Laurentii, asserentibus se infrascriptum Francischum cognoscere, et Cristophoro Vive Cristophori de Caprese. Francischus olim Iohannis Naldi de Balneo ad Sanctam Mariam, Districtus Florentie, omni modo etc., ex parte una, et Benedictus olim Antonii Christophani Ghuidonis, Populi Sancti Michaelis Berteldi de Florentia, omni modo etc., ex parte alia, generaliter omnes eorum lites etc., commiserunt etc., et de eis et qualibet earum generale compromissum, duraturum hinc ad et per tres annos proxime futuros ab hodie fecerunt etc. in providum virum Pierum Donati Domini Leonardi de Brunis, civem florentinum, tanquam in eorum arbitrum etc. Dantes dicte partes dicto eorum arbitro baliam etc. laudandi etc. semel et pluries etc., de iure et de facto et de iure tantum et de facto tantum, die et seu diebus feriatis et non feriatis, sedendo etc., partibus citatis etc., una citata etc., partibus presentibus vel absentibus, una presente et alia absente, quolibet loco et tempore etc. Cum pacto etc. quod quicquid laudatum fuerit, intelligatur latum etc., promictentes etc. stare etc. omni laudo etc. et ab eo non appellare etc., sub pena florenorum ducentorum auri etc. que pena etc., qua etc., pro quibus etc. obligaverunt etc. Et cum pacto etc. quod presens compromissum transeat etiam in heredes dictorum compromictentium et cuiuslibet eorum etc. Renuntiantes etc., per guarantigiam etc.
35. Notarile Antecosimiano 20286 (Ser Tommaso di Niccolò Tommasi), c. 94v 5 luglio 1476 Locatio Item postea, dictis anno [1476], indictione [VIIII] et die V iulii. Actum Florentie in Offitio Honestatis, presentibus testibus etc. Andrea Banboci famulo Dominorum, et Stefano Sgodi famulo dicti Offitii, etc. 102
Benedictus quondam Antonii dell’abacho, Populi Sancti Michaellis Berteldi de Florentia, per se et suos heredes, omni modo etc., locavit ad pensionem Francische greche, publice meretrici in Chiasso Bobum de Florentia, presenti et cum consensu Pieri Francisci Chalchagni, becharii de Florentia, eius mundualdi etc., conducentis etc., partem cuiusdam domus, posite Florentie in Populo Sancti Michaellis Berteldi de Florentia, et in Chiasso Bobum, cui a I via, a II via, a III bona Societatis Orti Sancti Michaellis de Florentia, a IIII Bartholomei Nardi, et alios fines etc. Que domus dictus Benedictus conduxit a Capitaneis Orti Sancti Michaellis, sive a provisore eorundem, cum auctoritate alteri locandi ad habitandum, pro tempore duorum annorum et mensium quattuor, inceptorum die prima presentis mensis. Promixit dicto consensu dicto Benedicto etc. solvere nomine dicte pensionis quolibet anno libras quinquaginta quatuor, videlicet libras 54 parvorum, solvendorum Societati Orti Sancti Michaellis, sive eorum provisori vel sacrestano. Et promixit, durante dicto tempore, servare pensionem et eam manutenere et defendere etc., sub pena florenorum 4 auri etc., qua pena etc., que pena etc., totiens etc., quotiens etc., promixit etc., obligavit etc. Renuntians etc., guarantigia etc. Rogans etc. In presentia mei notarii et testium suprascriptorum. Que Francischa solvit ad presens, pro parte pensione, sacrestano Orti Sancti Michaellis, libras novem denariorum parvorum pro pensione duorum mensium237.
36. Notarile Antecosimiano 9635 (Ser Giovanni di Marco da Romena), c. 125r-125v 29 giugno 1479 Item postea, dictis anno [1479], indictione, et die XXVIIII iunii. Actum Florentie, in Populo Sancti Michaelis Vicedominorum, presentibus Antonio Iohannis Niccolai, filatorario dicti Populi, et Iohanne Pieri Antonii, sutore etiam dicti Populi, testibus etc. ... Domine Andree vidue, uxori olim Laurentii Antonii Christofori et filie olim Andree Dominici, habitatori Populi Sancti Michaelis Berteldi, presenti etc., ego Iohannes etc. dedi etc. in eius mundualdum Iohannem Baptistam Bartholomei Andree, Populi Sancte Marie Maioris de Florentia, ibidem presentem etc. ...
237 In una postilla scritta a sinistra del documento si legge “Restituit copiam Bartholomeo Berti procuratori, Tedeschino et dicta Francescha”.
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Aprehensio Domine Andree de bonis obligatis Item dictis anno, indictione, die, loco et cum dictis testibus, prefata Domina Andrea, cum consensu dicti sui mundualdi etc., certificata etc., sua propria auctoritate, vigore pacti dotalis de quo constare dixit in instrumento confessionis sue dotis tradite dicto olim Laurentio, eius viro et [...] de quibus ibidem fit mentio, prout constare dixit, manu Ser Niccolai Valentini quondam notarii et civis florentini, vel alicuius publici notarii, dixit et declaravit qualiter ipsa intendebat sibi satisfacere de infrascriptis bonis tanquam de bonis obligatis sibi pro dictis suis dotibus, quas fuisse florenorum centum auri de sigillo, et pro dictis suis animo et omni meliori modo quo potuit, protestata fuit se tenere et possidere dicta bona, de ipsis sibi satisfaciendo etc. Que bona sunt ista, videlicet: ...238
37. Notarile Antecosimiano 5112 (Ser Cetto di Bernardo da Loro), fascicolo 1480-1481, inserto 17 1° dicembre 1480 1480, indictione XIIII et die primo decembris Aditio hereditatis ex paterno testamento Iohannes olim Antonii Christofori Guidonis, testoris drapporum Populi Sancti Michaelis Berteldi de Florentia, florentinus civis, asserens et affirmans dictum Antonium, olim eius patrem, de anno millesimo quadringentesimo sexagesimo quarto et de mense novembris suum ultimum condidisse testamentum, scriptum et rogatum per Ser Petrum olim Ser Andree Mimuli de Campi, notarium publicum, et in ipso testamento inter alia sibi heredes universales instituisse dictum Iohannem et Benedictum eius fratrem, filios legitimos et naturales dicti testatoris, et successive infra paucum tempus mortuum esse et discessisse, nullo alio per eum condito testamento vel alia ultima voluntate saltim revocatoria predicti testamenti [...] et propterea hereditatem dicti Antonii sui patris, testatoris predicti, eidem Iohanni ex testamento predicto delatam fuisse et esse, et deferri et cognoscere et scire dictam hereditatem pro una dimidia ex testamento et pro omni parte
238
38.
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Vengono qui elencati i possedimenti più dettagliatamente descritti nel successivo documento
et iure et quomodocumque sibi deferente, omni meliori modo etc. adhibit et in ea se inmisit, protestans etc. Item postea, dictis anno, indictione et die et loco et coram dictis testibus, prefatus Iohannes, filius dicti olim Antonii Christofori Guidonis, testoris drapporum Populi Sancti Michaelis Berteldi de Florentia, florentinus civis, suo nomine proprio et ut heres et hereditario nomine dicti Antonii pro una dimidia et quolibet dictorum modorum et nominorum, in simul in solidum et de per se et omni meliori modo, via et iure etc. fecit eius procuratores etc. Ser Iohannem Ser Marci de Romena, Ser Migliorem Manecti Masini, Andream Laurentii Antoniii Guidonis, cartolarium, et Iohannem Baptistam Bartolomei Andree, Populi Sancte Marie Maioris de Florentia, et quilibet eorum in solidum etc., ad agendum etc., ad faciendum capi et tangi etc. ... Item ad promovendum etc. quamcumque litem movendam etc. ... Item ad substituendum etc. ...
38. Notarile Antecosimiano 9635 (Ser Giovanni di Marco da Romena), cc. 203v-204v 11 dicembre 1480 Datio in solutum pro Domina Andrea Item postea, dictis anno [1480], indictione [XIIII] et die undecima mensis decembris. Actum Florentie, in Populo Sancti Stefani Abbatie Florentine, presentibus Ser Bartolomeo Ser Iohannis de Fortinis et Ser Francisco [ ] Sini et Ser Cetto Bernardi Ser Cetti de Loro, notariis et civibus florentini, testibus etc. Certum esse dicitur quod de anno MCCCCXXXXprimo et de mense ianuarii dicti anni, vel alio veriori tempore, Antonius Christofori Guidonis, Populi Sancti Michaelis Berteldi de Florentia, testor drapporum, et Laurentius eius filius, cum consensu dicti Laurentii239 sui patris, et quilibet ipsorum fuerunt confessi et contenti se habuisse a Bartolomeo quondam Andree Dominici, solvente pro dote et nomine dotis Domine Andree, uxoris dicti Laurentii, florenos centum aurii inter res mobiles et denarios, quam dotem restituere promiserunt quilibet ipsorum in solidum, unica solutione sufficienti, in omni casu restituende dotis cum pactis, obligationibus et aliis in instrumento dicte dotis contentis, publice scriptis et rogatis manu publici notarii. 239
Dovrebbe essere “dicti Antonii”.
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Et certum esse dicitur quod dictus Antonius ut supra ad dictam dotem obligatus, iam sunt anni quindecim et ultra decessit, relictis et remanentibus post eum dicto Laurentio et Benedicto et Iohanne, eius filiis legitimis et naturalibus, prius per eum suo ultimo condito testamento, in quo inter alia sibi heredes universales instituit dictum Benedictum et Iohannem, eius filios, et quemlibet eorum pro dimidia, prout latius in publico instrumento dicti testamenti dicitur contineri. Et certum esse dicitur quod postea, et iam et annus elapsus et ultra, dictus Laurentius vir et maritus dicte Domine Andree, mortuus est et decessit, relicta et remanenda post eum dicta Domina Andrea eius uxore predicta, et quibusdam eius et dicte Domine Andree comunibus filiis, et quod propterea casus dicte restituende dotis evenit et stetit et est et stat. Et certum esse dicitur quod rationibus et causis predictis dicta Domina Andrea, per medium sui procuratoris, auctoritate Curie Comunis Florentie meruit habere et habuit tenutam et corporalem possessionem infrascriptorum bonorum, tanquam in bonis et de bonis sibi obligatis pro dictis suis dotibus, et in ipsa tenuta confirmata fuit ut dicitur contineri in actis et per acta presentis iudicis collateralis Quarteriorum Sancte Marie Novelle et Sancti Iohanni Curie Domini Potestatis Civitatis Florentie et eius proxime in Officio precessoris. Unde hodie, hac presenti suprascripta die, prefatus Iohannes, filius et heres dicti olim Antonii pro una dimidia ex [...] predicto et ad cautelam dicte hereditatis, pro dicta dimidia et pro omni parte et iure adeundo et in ea se inmiscendo, asserens et affirmans dimidiam infrascriptam bonorum ad se tanquam heredem predictum, pertinere etc., dicto hereditario nomine // et omni meliori modo etc. dedit et tradidit etc. dicte Domine Andree, presenti et recipienti etc. in solutum etc., pro dimidia dicte sue dotis, videlicet pro florenis quinquaginta ex dote predicta, medietatem integram pro indiviso omnium infrascriptorum bonorum. Que bona sunt ista, videlicet: Imprimis unum petium terre, stariorum duorum, laboratie et olivate et vineate, positum in Comuni Castri Franchi et seu in Populo Sancti Donati de Menzano, Vallis Arni superioris, Comitatus Florentie, loco detto al Solatìo, confinatum a I via, a II botrus, a III Iacobi Tei Salvini, a IIII etiam eiusdem Iacobi. Item unum petium terre laboratie, vineate, olivate, stariorum quatuor vel circa, cum domo pro laboratore, cellario, stabulo, furno et aliis suis pertinentiis, positum in dicto Comuni et seu Populo, loco detto a Bologna, confinatum a I via, a II, tertio et IIII dicti Iacobi Tei Salvini. Item unum petium terre vineate et pergolate, stariorum duorum vel circa, positum in dicto Comuni seu Populo et loco, confinatum a I via, a II heredum Iohannis de Guidettis, a III etiam dictorum heredum, 106
a IIII Abbatie de Strumi. Item unum petium terre castagnate, stariorum trium vel circa, positum in dicto Comuni Castri Franchi, loco detto la Radice, confinatum a primo fossatus Reschi, a II Plebis Sancte Marie de Scho, a III Blondi Laurentii. Item unum petium terre castagnate, positum in dicto Comuni, loco detto la Luodo, stariorum duorum vel circa, confinatum a primo via, a II heredum Iohannis Cechi, a III botrus, infra predictos confines vel alios si qui forent plures aut veriores, ad habendum, tenendum etc., confirmans pro dicta medietate dictorum bonorum dictam Dominam Andream in dicta tenuta etc., cum protestatione ad cautelam etc., quod ipse non intendit modo aliquo adire hereditatem Benedicti sui fratris vel bona aut iura hereditatis dicti Benedicti alienare etc., sed solum dictam medietatem dictorum bonorum ad se pertinentium ut heredem dicti sui patris pro dicta dimidia etc. Et insuper dictus Iohannes, pro defensione dictorum bonorum etc. cessit etc. omnia iuria etc. sibi competentia in dicta dimidia etc., et promisit etc. dicta bona etc. defendere etc. ab omni homine etc., et si qua lix etc., litem in se suscipere etc., infra otto dies etc., et si dicta dimidia dictorum bonorum etc. fuerit evicta etc., promisit etc. // restituere etc. dictos florenos quinquaginta etc. cum pena dupli etc., et omnes expensas etc. infra decem dies etc., cum pacto etc., quod notificatio facta domi sufficiat etc., remictens etc. omnem necessitatem appellandi etc., et cum pacto etc. quod si dicta dimidia dictorum bonorum ut supra adiudicatorum etc. fuerit dicte Domine Andree vel eius heredibus aut successoribus, ullo unquam tempore evicta vel abvocata, quod ei et suis heredibus et successoribus et cuilibet eorum liceat si voluerint redire ad iura dicte sue dotis etc., reservato sibi Domine Andree iure residui dicte sue dotis et dicte tenute pro aliis florenis quinquaginta etc., quibus preiudicare non intendit etc. Que omnia etc. promisit etc. habere firma etc., pro quibus etc. obligavit etc., renuntiavit etc., et dictam dationem in solutum etc. fecit dictus Iohannes pro dictis florenis qunquaginta per eum debitis ut heredem predictum dicte Domine Andree pro dicta dimidia dicte sue dotis, de quibus dicta Domina vocavit se bene contentam, reservans sibi, ut supra, ius residui dicte sue dotis pro aliis florenis quinquaginta sibi non solutis, quibus modo aliquo preiudicare non intendit, renuntians dictus Iohannes etc., cui etc., per guarentigiam etc.
39. Ibidem, cc. 223r-224v 19 marzo 1481 In Dei nomine amen. Anno Domini ab eius salutifera incarnatione 107
millesimo quadringentesimo octuagesimo, indictione XIIII et die decima nona mensis martii. Actum in populo Sancte Marie Maioris de Florentia. ... Prefata Domina Andrea ... confessa fuit se habuisse et recepisse etc. ab Andrea eius filio et dicti Laurentii eius olim viri, florenos auri quindecim largos pro expensis per eam factis pro exigenda eius dote florenorum centum ... Item postea ... prefata Domina Andrea, propter benemerita dicti Andree, eius filii, ... dedit et donavit dicto Andree eius filio ibidem presenti etc., dimidiam omnium infrascriptorum bonorum ... 240. Quam dimidiam dictorum bonorum ut supra donatam, dicta Domina Andrea, cum dicto consensu, asseruit se recepisse in solutum pro extimatione florenorum quinquaginta, pro parte dicte sue dotis florenorum centum, ab Iohanne filio et herede pro una dimidia Antonii sui olim soceri, obligati ad dictam dotem ... // Item postea ... prefata Domina Andrea asserens se esse veram et legitimam creditricem hereditatis eius olim viri et eius olim soceri, obligatorum ad dictam dotem in florenis quinquaginta de sigillo, pro residuo dicte dotis, et in expensis per eam factis pro exigendo dictam dotem, et habuisse et habere pro dicta eius dote nonnulla bona obligata et maxime dictam aliam dimidiam dictorum bonorum etc., et in dicta altera dimidia fuisse et esse in possessionem etc., et volens residuum dicte sue dotis et dictas expensas donare infrascripte Antonie eius filie, ut exinde facilius nubere et donari possit ... dedit et donavit etc. prefate Antonie ... ius et nomen petendi et exigendi dictos florenos quinquaginta, pro residuo dicte sue dotis ...
40. Notarile Antecosimiano 5106 (Ser Cetto di Bernardo da Loro), c. 6v 22 aprile 1482 Repudiatio hereditatis Item postea, dictis anno [1482], indictione [15] et die vigesima secunda mensis aprilis. Actum Florentie in Populo Sancti Stefani Abatie florentine, presentibus Dopno Christoforo Bartolomei, monaco professo Sancti Salvatoris de Septimo, ordinis cistercensis, et presbi-
240
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Cfr. il precedente documento.
tero Francisco Ducci Iohannis, Populi Sancti Petri Maioris de Florentia, testibus etc. Andreas olim Laurentii Antonii Christofori, cartolarius Populi Sancte Marie Maioris de Florentia, sciens dictum Laurentium eius patrem mortum esse et decessisse iam sunt anni duo, et ex eo remansisse Iacobo, Christofano, Andrea, Dompno Guidone, Petro alias fratre Laurentio, Dominico et Peregrino, filiis legitimis et naturalibus dicti Laurentii, et hereditatem dicti Laurentii pertinere pro septima parte, et sciens dictam hereditatem potius esse damnosam etc., idciro pro dicta septima parte et pro omni parte etc., dictam hereditatem repudiavit et ab ea se abstinuit, protestans etc., rogans etc.
41. Ibidem, cc. 10r-12r 19 giugno 1482 19 iunii 1482 Laudum Andree cartolarii et sororis In Dei nomine amen. Nos Iohannes olim Ser Marci Tommasi de Romena, civis et notarius florentinus, arbiter et arbitrator electus et asumptus ab Andrea olim Laurentii Christofori, cartolario, ex parte una, et a Domina Antonia, eius sorore et filia dicti olim Laurentii Christofori, et uxor Zenobii Iohannis Lapi, cartolarii, cum consensu dicti Zenobii sui legitimi mundualdi, ex parte alia (ut de compromisso in nos facto constat manu notarii infrascripti, sub die nona ferbruarii proxime preteriti), viso igitur dicto compromisso, auctoritate, potestate ... laudamus, sententiamus et arbitramur in hunc modum et formam, videlicet. In primis namque, cum inveniamus et nobis constet quod de anno Domini millesimo quadringentesimo octuagesimo et de mense martii dicti anni, vel alio veriori tempore, cum Domina Andrea // vidua, filia olim Andree Dominici et uxor olim Laurentii Antonii Christofori, habitatrix tunc in Populo Sancte Marie Maioris de Florentia, asserens se fuisse tunc creditricem hereditatis dicti Laurentii eius olim viri et dicti Antonii eius olim soceri in florenis quinquaginta de sigillo pro residuo dotium suarum, per dictos eius virum et socerum receptarum, et in expensis factis per eam pro exigendo dotem predictam, et volens residuum dotis et expensas predictas donare Antonie, eius filie ut exinde facilius nubere et dotari posset, dedit et donavit dicte Antonie, ius et nomen petendi et exigendi, dictos florenos quinquaginta et expensas predictas, prout latius continere vidimus in publico instrumento exinde per nos rogato. Ac etiam inveniamus quod postea 109
prefata Antonia, vigore dicte donationis et iurium predictorum, precedente valido et legictimo processu tam primi quam secundi decreti, accepit in solutum a Curia Domini Potestatis Civitatis Forentie, dimidiam omnium infrascriptorum bonorum pro indiviso cum Andrea eius fratre superius mentionato et pro extimatione florenorum quadraginta quinque de sigillo, que bona sunt ista, videlicet: ... 241 // Et viso et reperto quod ex confessione partium predictorum coram nobis facta, qualiter prefata Domina Antonia nupsit dicto Zenobio, eius viro et pro ea et eius dote sive partis dotis, dictus Andreas eius frater solvit dicto Zenobio eius viro summam et quantitatem florenorum octuaginta largorum ... Et viso et reperto quod dicta Domina Antonia, soror dicti Andree, non habet alia bona ex quibus possit comodius satisfieri dicto Andree eius fratri quam ex dictis bonis superius eidem Domine Antonie vigore dicte donationis eidem a dicta Domina Andrea eius matre adiudicata. Unde volentes dicto Andree satisfacere ... idcirco ... laudamus, sententiamus et arbitramur dictam Dominam Antoniam fuisse et esse veram et legitimam debitricem dicti Andree eius fratris in dicta summa et quantitate florenorum octuaginta. Pro cuius quantitatis solutione et satisfactione laudamus, pronumptiamus et arbitramur dictam dimidiam dictorum bonorum dicte Domine Antonie ut supra adiudicatorum ... fuisse et esse dandam et adiudicandam, ipsamque dimidiam bonorum predictorum hoc nostro presenti laudo et sententia, damus, concedimus et adiudicamus dicto Andree in solutum et pagamentum partis dicte quantitatis florenorum octuaginta, pro concurrenti quantitate valoris et extimationis dictorum bonorum. Que bona declaramus, pronumptiamus et arbitramur non fuisse nec esse minoris valoris florenorum quinquaginta, ad habendum, tenendum et possidendum et quicquid dicto Andree et eius heredibus et successoribus placuerit perpetuo faciendum ...
Documento del fondo Podestà 42. Podestà 5166, cc. 684r-688v 13 giugno 1480 Quarterium Sancti Spiriti Die martis, de sero, XIII iunii 1480 Ad petitionem et instantiam dicti Ser Andree olim Ser Angeli de 241
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Cfr. Appendice 1, documento 38.
Terranova, notarii et civis florentini, procuratoris et procuratorio nomine dictorum Bartholomei, Francisci et Luce, fratrum et quondam filiorum Iohannis Bartoli de Gangalandi, preceptoris Dominorum, Populi Sancti Fridriani de Florentia, heredum ab intestato, videlicet quilibet ipsorum pro tertia parte et inter omnes in solidum Domine Pippe, eorum sororis carnalis et uxoris olim Benedicti Antonii Christofari Guidonis, textoris drapporum Populi Sancti Micaellis Berteldi de Florentia, Paulus Andree, numptius publicus Comunis Florentie, retulit dicto Domino iudici collaterali et Curia et michi notario Curie suprascripto, se die ottava presentis mensis iunii, ex parte et mandato dicti iudicis et Curie, ivisse et perentorie citasse et requisivisse dictam hereditatem iacentem dicti olim Antonii Christofari Guidonis et Benedicti eius filii et cuiuslibet ipsorum, si et in quantum iaceat, et omnes et singulos heredes et bonorum possessores si qui sunt vel esse volunt dictorum olim Antonii et Benedicti et cuiuslibet ipsorum si et in quantum iacent, et omnes et singulos ad quos pertinet et expectat et delata est et defertur et pertinere et expectare dicitur prima vel secunda causa subcessionis dictorum olim Antonii et Benedicti et cuiuslibet ipsorum, et spetialiter et nominatim Iohannes Antonii Christofari Guidonis et fratrem carnalem dicti Benedicti, et Christofarum, Dominicum, Andream et Pellegrinum, fratres et quondam filios Laurentii Antonii Christofari Guidonis, Populi Sancti Micaellis Berteldi de Florentia, et Iacobum Laurentii Antonii Christofari predictum, textorem drapporum Populi Sancti Petri Maioris de Florentia, et quemlibet ipsorum, et omnes et singulos creditores et dicentes se esse creditores dictorum olim Antonii et Benedicti, et hodie dicte eorum hereditatis et heredum, et omnes et singulos alios volentes contradicere et seu hereditatem dictorum olim Antonii et Benedicti, et iuria eiusdem hereditatis et dictum Iohannem et alios suprascriptos quomodolibet defendere seu quomodolibet opponere aut sua dicere vel putare quomodolibet interesse, et omnes et singulos angniatos, congniatos, consortes, coniunctos, affines, amicos, vicinos et notos dictorum olim Antonii et Benedicti, et omnes et singulos volentes dicta vel de dictis bonis in solutum petitis per dictum Andream dicto nomine emere vel ea defendere aut dicere se in eis aliquod ius pretendere vel habere, et omnes et singulos alios in dicta causa nominatos et comprehensos, et quemlibet ipsorum quatenus ipsi et quilibet ipsorum legitime compareant coram dicto Domine iudice collaterali et Curia ad videndum et audiendum infrascriptam sententiam pronumptiatam, et expensarum // condepnationem et texationem, et bonorum in solutionem dationem et adiudicationem dandum et ferendum, et quam et seu quas dictus Dominus iudex collateralis dare et ferre intendit et vult in dicta 111
causa et questione dicte petitionis et libelli bonorum insolutorum, mota per dictum Ser Andream dicto nomine coram proxime precessore dicti Domini iudicis collateralis et Curiam, contra et adversus supra nominatos et quemlibet ipsorum inde copiam accipiendum, dicendum et opponendum contra si et quicquid volunt et possunt de iure et secundum formam Statutorum et Ordinamentorum Comunis Florentie, alias in dicto termino et postea quandocunque in predictis et causa et de iure procedetur et fiet ut iuris fuerit et ut dicto Domino iudici collaterali et Curie videbitur iuris esse, eorum vel alicuius eorum absentia vel contumacia non obstante. Et predictas citationes et omnia et singula suprascripta retulit dictus numptius se fecisse dicta et de dictis Iohanne et aliis suprascriptis, domi et ad domum ipsorum et cuiusque ipsorum habitationem et ecclesie et vicinis, et eisdem et cuilibet ipsorum dimisisse et cum dimissione cedule dicte citationis, affixionis et aplicationis ad et apud hostium dictorum domorum et cuiusque ipsorum, secundum formam statutorum et ordinamentorum Comunis Florentie et dicte et de dicta hereditate iacente dictorum olim Antonii et Benedicti, si et in quantum iaceat et de omnibus et singulis aliis suprascriptis, supra tam in genere quam in spetie citatis et cuilibet et de quolibet ipsorum, domi et ad domum habitationis dictorum Antonii et Benedicti, et in qua dicti Antonius et Benedictus tempore eorum et cuiuslibet ipsorum vite et mortis habitabant et soliti erant habitare et ecclesie et vicinis, ac etiam publice palam, alta et intelligibili voce in vicineam et per vicineam contratam et Populum dictorum olim Antonii et Benedicti, et in quibus dicti olim Antonius et Benedictus tempore eorum virte et mortis habitabant et soliti erant habitare, ac etiam in plateis et per plateas Dominorum Priorum libertatis et Vexilliferi iustitie Populi florentini Sancti Iohannis Baptiste Orti Sancti Micaellis, fori novi et veteri civitatis Florentie et ad et apud ianuam et fores palatii Comunis Florentie, residentie dicti Domini Potestatis Civitatis Florentie, et in omnibus et singulis aliis locis publicis, debitis, requisitis et consuetis dicte Civitatis Florentie et in quibus et prout solent et debent citari forenses et non habitantes nec domum et domicilium proprium habentes in Civitate, Comitatu et Districtu Florentie, et in dictis omnibus et singulis locis et quolibet eorum dimisisse et cum dimissione semper cedule dicte citationis affixione et aplicatione et maxime ad et apud hostium dictarum // domorum dictorum olim Antoniii et Benedicti et apud ianuam residentie dicti Domini Potestatis Civitatis Florentie, prout requiritur de iure et secundum formam Statutorum et Ordinamentorum Comunis Florentie. Et omnia et singula alia retulit dictus numptius se fecisse et observasse in predictis et circha predicta 112
necessaria, consueta, requisita et opportuna, de iure et secundum formam Statutorum et Ordinamentorum Comunis Florentie et stilum et consuetudinem dicte Curie. In Dei nomine amen. Nos Iohanfrancischus de Antinellis de Turdeto, legum dottor, iudex collateralis predictus, pro tribunali sedens ut supra ad nostrum solitum iuris banchum, ut moris est, visa quadam petitione et libello bonorum in solutum, coram nostro proxime precessore exhibita et porretta per dictum Ser Andream, dicto nomine, de mense februarii proxime preteriti, cuis quidem petitionis et libelli tenor talis est, videlicet: Coram vobis Domino iudice collaterali et curia reverenter exponit et dicit dictus Ser Andreas olim Ser Angeli de Terranova notarius et civis florentinus, procurator et procuratorio nomine dictorum Bartholomei, Francisci et Luce, fratrum et quondam filiorum Iohannis Bartoli de Gangalandi, preceptoris Dominorum, Populi Sancti Fridiani de Florentia et heredum ab intestato, videlicet quilibet ipsorum pro tertia parte et inter omnes in solidum, Domine Pippe eorum sororis carnalis et uxoris olim Benedicti Antonii Christofarii Guidonis, textoris drapporum Populi Sancti Micaellis Berteldi de Florentia, et de anno Domini ab eius incarnatione MCCCCLseptimo et mense decembris dicti anni vel alio veriori tempore, dictus Antonius olim Christofari Guidonis, textor drapporum Populi Sancti Micaellis Berteldi de Florentia, et dictus Benedictus filius dicti Antonii, cum consensu, verbo, licentia et auctoritate dicti Antonii sui patris, ibidem tunc presenti et eidem in omnibus et singulis infrascriptis consentientis et verbum et licentiam dantis et prestantis, et quilibet ipsorum in solidum et in totum obligandum, fuerunt confessi et contenti habuisse et recepisse a Domina Pippa, filia Iohannis Bartoli de Gangalandi, preceptoris Dominorum de Florentia, pro dote et nomine dotis dicte Domine Pippe, inter denarios et res, inter eos comuni concordia extimatos, florenos ducentos quinquaginta auri, retti ponderis et coni florentini, a dicto Iohanne eius patre, dante et solvente pro ea, et fecerunt donationes propter nuptias de libris quinquaginta florenorum parvorum. Quas dotes et donationes propter nuptias promixerunt et solepni stipulatione convenerunt dictus Antonius et Benedictus, dicto consensu, et cuilibet ipsorum in solidum dicto Iohanne Bartoli, tunc presenti, recipienti et stipulanti pro dicta Domina Pippa eius filia et eius heredibus, reddere et solvere et restituere in omni casu et eventu dicte dotis reddendi et restituendi et donationes //solvendi constante matrimonio vel soluto. Et pro predictis observandis, debitas promissiones et obligationes fecerunt et preceptum guarantigie in se et super se 113
legitime subsceperunt, prout predicta et alia plenius et latius constant et asserent in dicto publico instrumento dotis et donationis predicte, ad quod et contenta in eis dictus Ser Andreas dicto nomine se retulit et refert in omnibus et per omnia. Et quod dicta Domina Pippa et Benedictus fuerunt vir et uxor et veri et legitimi coniugales et matrimonium ad invicem contraxerunt et per carnalem coppulam consumaverunt. Et quod dicta Domina Pippa mortua est et decessit, et relictis et superviventibus post se dictis Bartholomeo, Francischo et Lucha, eius fratribus carnalibus suprascriptis, et nullis aliis relictis filiis vel aliquibus aliis qui haberent dictos Bartolomeum, Francischum et Lucham excludere ab hereditate dicte Domine Pippe vel cum eius in aliqua parte concurrere. Et quod dictus Benedictus eius vir etiam mortuus est et decessit, relicta et supervivente post se dicta Domina Pippa. Et quod dicti Bartolomeus, Franciscus et Lucas fuerunt et sunt veri et legitimi creditores dicte dotis et donationis, et eisdem vel alicui ipsorum non fuit nec est in aliquo solutum vel satisfactum. Et quod de presenti mense februarii, auctoritate Curie et Comunis Florentie, pro iuribus, rationibus et causis et quantitatibus suprascriptis, et pro suprascripta quantitate florenorum ducentorum quinquaginta pro dicta dote et librarum quinquaginta pro donatione predicta et pro expensis, Franciscus Iohannis Bartoli de Ghangalandi, suo nomine propio et pro et vice et nomine et ut procurator et procuratorio nomine dictorum Bartholomei et Luce, eius fratrum carnalium, meruit habere et missus fuit in tenutam et corporalem possessionem, per numptium publicum Comunis Florentie, infrascriptorum bonorum infra contentis et confinatis, videlicet: Imprimis unius predii, cum domo pro domino et laboratore et cum terris laborativis, vineatis, boscatis et fructiferis, stariorum triginta vel circha, in pluribus petiis terrarum ad unum tenere, positi in Comitatu Florentie et in Populo Sancti Tommè a Hostina, Plebatus Sancti Petri a Cascia, vallis Arni Superioris, Comitatus [Florentie], loco dicto a San Giovanale, cui a I via, a II heredum Francisci Berti de Carnesechis de Florentia, a III Silvestri Andree de Maruscellis de Florentia, a IIII Francisci Ser Ambrosii de Florentia, a V fiume del Rescho, a VI fiume di Pilano, a VII Masuli Baldi [...] // a VIII Geri del Buono de Florentia, a VIIII bona Capituli Sancti Laurentii de Florentia, a X bona Ecclesie Sancti Donati a Menzano, a XI Matiale Marci del Chofacia, dicti loci, a XII bona dicte Ecclesie Sancti Tomè a Hostina, infra predictos confines vel alii si qui forent pluries aut veriores. Et omnia alia petia terrarum cum dicto podere et bonis tenere et laborare consuetis, ubicumque positis et existentia, cum eorum vocabulis, confinibus et demostrationibus quibuscunque, tanquam bonoru, in bonis, de bonis 114
et super bonis dictorum Antonii Christofari et Benedicti eius filii et cuiuslibet ipsorum, et que per eos et quemlibet ipsorum, tempore dicte confessionis dotis et donationis, et antea et postea tenebantur et possidebantur, et tenta et possessa fuerunt, et que in eorum hereditate et bonis fuerunt et remanxerunt, et tanquam bonorum in bonis, de bonis et super bonis obligatis et ipotecatis dictis Bartholomeo, Francischo et Lucha, heredibus predictis et executionem patientibus pro iuribus, rationibus et causis et quantitatibus suprascriptis. Et dicta tenuta fuit facta relatio per numptium publicum Comunis Florentie, et quod predicta omnia et singula suprascripta fuerunt et sunt vera et veritate fulgiri, et ea non dicere vel petere animo calupnie, sed pro veritate tantum. Quare facto sic breviter exposito, petiit et petit dictus Ser Andreas, dicto nomine, per vos Dominum iudicem collateralem predictum et vestram Curiam, pronumptiari, sententiari, decerni et declarari predicta omnia et singula vera fuisse et esse, et quod inveniatis et inveniri faciatis bona et de bonis dictorum Antonii Christofari et Benedicti eius filii, et cuiuslibet ipsorum, et maxime bona suprascripta, supra contenta et confinata, et ipsis sic inventis ea vendatis et distrahatis et seu vendi et distrahi faciatis et de ipsorum pretio solvatis et satisfaciatis dictis Bartolomeo, Francischo et Lucha, dominis et principalibus dicti Ser Andree dicto nomine, de dictis florenis ducentis quinquaginta auri, pro dicta dote, et de dictis libris quinquaginta florenorum parvorum pro dicta donatione, singula singulis congrue referendum. Et si emptor non inveniretur, petiit et petit quod dicta bona extimatis et adpretiatis, et de eis dari et adiudicari in solutum et in pagamentum dicti Bartholomeo, Francischo et Lucha, pro concurrenti et usque in concurrenti quantitate dictorum florenorum ducentorum quinquaginta auri pro dicta dote, et librarum quinquaginta florenorum parvorum pro dicta donatione, et expensarum suprascriptarum et infrascriptarum, singula singulis congrue referendum secundum formam Statutorum et Ordinamentorum Comunis Florentie, et seu tamen lege et condictione // quod si contingerit dicta bona vel aliqua eorum parte evinci vel abvocari dictis Bartholomeo, Francischo et Lucha, heredibus predictis, dominis principalibus dicti Ser Andree dicto nomine vel eorum heredibus et cui vel quibus iura eorum concesserint, quod eis liceat et licitum sit redire ad dicta iura et actiones dictarum suarum dotium et donationum predictarum et eis uti quemadmodum poterant seu potuissent ante presentem dationem et adiudicationem in solutionem et pagamentum subsequendum ac si dicta in solutionem datio et adiudicatio facta non esset, et petit expensas factas et fiendas et tam gabelle Comuni Florentie solvende quam aliarum expensarum. Predicta quidem et quodlibet predictorum 115
dicit, proponit et petit dictus Ser Andreas, dicto nomine, simul coniunctim et divisim et ordine subcessivo, et in omni modo, via, iure, forma, causa et nomine, quo, qua et quibus magis et melius potuit et potest, salvo dicto nomine iure addendi, minuendi, mutandi et corrigendi et in melius reformandi petitionem et libellum predictum usque quo de iure sibi dicto nomine permictitur. Protestans quod se, dicto nomine, non adstringit ad aliquam probationem superfluam in predictis, sed solum ad necessaria offitium dicti iudicis et collegialis et Curiam, ubi et quatenus sibi dicto nomine locum vendicet in predictis inplorando, petens in tota causa et causis ius et iustitiam ministerii. Visa namque dicta petitione et libello et omnibus et singulis in dicta petitione et libello contentis, et visis citationibus et bapnis solempniter et rite factis ex parte, commissione et mandato nostri proximi precessoris, et ad petitionem dicti Ser Andree, dicto nomine de dictis omnibus et singulis in dictis citationibus et banpnis solempniter et rite factis ex parte, commissione et mandato nostri proximi precessoris, et ad petitionem dicti Ser Andree, dicto nomine, de dictis omnibus et singulis in dictis citationibus et bampnis nominatis, et ad dictam petitionem et libellum videndum et audiendum et opponendum contra et alia faciendum, que de iure fieri possunt et de quibus et prout in dictis citationibus et bampnis et eorum commissione et relatione latius continetur, et visis dictis citationibus et bampnis commissione et relatione, et omnibus et singulis in eis et quolibet eorum contentis; et visa quadam comparitione et intentione, positione et capitulis testium, inductione et productione et ipsorum testium citatione, comparitione et iuramento, notarii electione et commissione coram nostro proxime predecessore, exhibitis et porrettis per dictum Ser Andream, dicto nomine, cum citatione et relatione citationis partis adverse, et eorum absentia et contumacia. Et visa citatione facta de parte adversa ex parte et mandato dicti nostri proxime precessoris, ad eligendum pro eorum parte unum bonum et legalem hominem dicti Populi Sancti Tomè ad Ostina, in quo Populo posita sunt dicta bona, alias in eorum // defectu et contumacia, eligi, videndi et audiendum dictum bonum et legalem hominem dicti Populi pro Officiale Montis Comunis Florentie, et ad videndum et audiendum eligi per dictum Ser Andream, dicto nomine, et pro eius dicto nomine parte unum alium bonum et legalem hominem dicti Populi inventorem et extimatorem dictorum bonorum supra contentorum et confinatorum, et ad videndum et audiendum facere dictam extimationem et alia faciendum, de quibus in dicta citatione et relatione continetur et fit mentio. Et visa relatione, citatione dicte partis adverse et eius absentia 116
et contumacia, et visa electione facta in defectu et contumacia partis adverse et pro eius partes per Officiales Montis Comunis Florentie, de Taglino Marci Blasii, bono et legale homine dicti Populi Sancti Tomè a Hostina. Et visa relatione facta per dictum Ser Andream dicto nomine et existentia in dicto Populo et alia faciendi, de quibus in dicta eorum electione continetur et fit mentio. Et visa ipsorum inventionem et extimationem, citationem, comparitionem et iuramentum. Et visa commissionem eisdem, extimationem per nos et nostra Curiam factam de inveniendo, referendo et extimando dicta bona in solutione petita per dictum Ser Andream dicto nomine, et alia faciendum, de quibus in dicta commissione continetur et fit mentio. Et visa relatione dicte extimationis, qui retulerunt solempniter inter se invenisse et invenire, et dicta bona immmobilia supra in dicta petitione et libello contenta et confinata fuisse et esse dictorum olim Antonii et Benedicti et per eos et quemlibet ipsorum tempore eorum vite et mortis tenta et possessa fuerunt, et in eius hereditate et bonis fuisse et remansisse et posita et existentia in dicto eorum Populo, extimaverunt et valore dixerunt florenorum trecentorum triginta, videlicet ad libras quatuor et soldos duos pro quolibet dictorum florenorum. Et visis omnibus et singulis in predictis et circha predicta factis et gestis tam per nos et nostram Curiam quam per presentes numptios et dictos extimatores, singula singulis congrue referendo. Et visa quadam alia [...] et instrumentum actorum, statuta, iura, testium et adtestationes et alia producta et deposita et iuramenta petita coram nobis et nostra Curia, et etiam coram nostro proxime precessore exhibita et porrecta per dictum ser Andrea dicto nomine, cum citatione et relatione partis adverse et eius absentia // et contumacia; et omnibus et singulis in dicta comparitione contentis. Et visis omnibus et singulis actis et actitatis, factis et gestis in dicta causa ad petitionem dicti Ser Andree, dicto nomine, et tam per dictum Ser Andream, dicto nomine, quam per nostrum proxime precessorem, iudicem et Curiam, quam per nos et nostram Curiam, quam per numptios et alios predictos. Et visis omnibus et singulis infrascriptis et iuribus in dicta causa productis, usis et allegatis per dictum Ser Andream, dicto nomine; et visis testibus adtestationibus et eorum dictis in dicta causa inductis et productis per dictum Ser Andream, dicto nomine. Et demum visa suprascripta citatione ultimo loco, et per emptorem facta ex [...] parte et mandato de parte adversa ad hanc nostram presentem sententiam videndum et audiendum. Et visa relatione dicte citationis, et viso instrumento procuratoris et mandati dicti Ser Andree, et visa forma iuris, Statutorum et Ordinamentorum Comunis Florentie, et omnibus visis et consideratis que videnda et 117
consideranda fuerunt, Dei nomine repetito, pro tribunali sedentes ut supra, cum causa, cognitione et omni modo, via, iure, forma, causa et nomine quo, qua et quibus magis et melius possumus et debemus, in hiis scriptis pronumptiamus, sententiamus, decernimus et declaramus omnia et singula in dicta petitione et libello contenta, vera fuisse et esse et veritatis fulgere, dictaque bona immobilia dandi et adiudicandi fuisse et esse in solutionem et pagamentum dicto Ser Andree, dicto nomine, dicta bona immobilia pro dicta extimatione florenorum trecentorum triginta, ad rationem librarum quatuor soldorum 2 pro quolibet floreno. Et quod bona et quolibet ipsorum damus, concedimus et adiudicamus dicto Ser Andree, dicto nomine, in solutione et pagamento ex secundo decreto pro dicta extimatione florenorum 330, a £. 4, s. 2 pro quolibet floreno, pro concurrenti et usque in concurrentem quantitatem, primo et infrascriptarum expensarum infra per nos taxandarum et propterea subcessive dictorum florenorum ducentorum quinquaginta auri, recti ponderis et conii florentini, dotis predicte, et librarum quinquaginta florenorum parvorum pro donatione propter nuptias predictas, singula singulis congrue referendum, cum ista tamen lege et conditione quod si contigerit aliquo tempore dicta bona supra per nos data et adiudicata in solutum et pagamentum dicto Ser Andree, dicto nomine, vel aliquod ipsorum vel aliqua ipsorum pars eisdem Bartholomeo, Francischo et Luche, dominis et principalibus dicti ser Andree // dicto nomine, vel eorum hereditatibus vel habentibus ius vel causam ab eis et a quolibet vel alio ipsorum, evinci, vel advocari aut quod evinceretur vel advocarentur, liceat et licitus sit dictis Bartholomeo, Francischo et Luche, dominis et principalibus dicti Ser Andree, dicto nomine, vel eorum heredibus vel habituris ius vel causam ab eis redire ad dicta iura et actiones dictarum infrascriptarum expensarum et dotis et donationis predicte, singula singulis congrue referendum ut supram, et eis uti quemadmodum poterat et seu potuisset dicti Bartholomeus, Francischus et Lucas ante presentem dationem et adiudicationem in solutum et in pagamentum, et ac si dicta presens datio et adiudicatio facta non esset, dictasque hereditates iacentes, dictorum olim Antonii et Benedicti, et dicta bona et alios suprascriptos et quemlibet ipsorum in solidum et in totum unica tamen solutione sufficiente victos dicti Ser Andree dicto nomine victori, in expensis in causa factis et fiendis, et tam gabelle Comunis Florentie, solvendi quam in aliis expensis, condepnamus. Quas expensas ex nunc, habito colloquio cum quampluribus viris de predictis petitis, et maxime cum prudenti viro Ser Iohanne [...] Bartolomei, notario et cive florentino, taxamus fuisse et esse florenos quinque auri larghos et libras sexaginta et soldos quinque 118
florenorum piccioli. Et commictimus, inponimus et mandamus Bono Nardi, numptio publico Comunis Florentie, et cuilibet alio numptio dicti Comunis in solidum, quatenus vadat et ex dicti iudicis parte, commissione et mandato, ponat, mictat et inducat dictos Bartholomeum, Francischum et Lucam et quemlibet eorum procuratorem, in tenutam et corporalem possessionem dictorum bonorum ex secundo decreto. Quem Bonum numptium predictum et quemlibet alium numptium dicti Comunis in solidum adsumendum nostrum nostreque Curie et Comunis Florentie executores facimus et esse volumus in predictis et ad predicta. Lata, data, lecta et in hiis scriptis sententialiter fuit pronumptiata et promulgata dicta sententia, pronumptiatio in solutum, datio et adiudicatio et expensarum condepnatio et taxatio numptii, datio et remissio, et omnia et singula suprascripta facta fuerunt per dictum iudicem collateralem pro tribunali sedentem ut supra, presenti et predicta fieri petenti, et recipienti dicto Ser Andrea dicto nomine in parte et partibus pro eo dicto nomine facienti et iuranti ad Sancta Dei // scripturis corporaliter manu tactis sic et tantum et ultra ut supra, dictos Bartholomeum, Franciscum et Lucam, dominos et principales dicti Ser Andrea, in dicta causa et causis expendidisse. Et presentibus testibus ad hec vocatis, habitis et rogatis, Ser Tommasio Nicolai Tommasii et Ser Riciardo Ser Benedicti Ciardi, notariis et civibus florentinis, et aliis.
Documenti del fondo Mercanzia 43. Mercanzia 1370: Atti in Cause Ordinarie, c. 54r 23 novembre 1448 A dì 23 di novembre [1448] Dinanzi a voi Messer Ufficiale e Corte espone e dice Antonio di Cristofano, tessitore di drappi, che Calandro e Antonio di Piero Calandri, merciai, sono suoi debitori di lire 68, s. XVI di grossi per resto di magior somma di valuta e prezo di più drappi ebe da lui e per lui da Zanobi242 e compagni, sichome appare a libro di detto Zanobi e compagni, a c. [ ]. Et più volte aver cessato pagare contro
242 Si tratta di un certo Zanobi di Ser Iacopo, che compare in un atto precedente sempre del 23 novembre 1448, a c. 53v della stessa filza.
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ogni dovere. Et però detto Antonio domanda che vi piaccia condampnare detti Calandro e Antonio a dare e [...], in tutto, uno pagamento bastando a dare e pagare a llui [...] detta quantità di lire 68, s. 10, d. 4, e domanda [...]. Et produxe ad pruova delle sue ragioni detto libro di detto Zanobi e compagni [...]. Ad petitione di detto Antonio, Zuffulachio, messo di detta Corte, rapportò se aver richiesto detti Calandro e Antonio [...] a vedere detta petitione e domanda [...].
44. Mercanzia 7157: Sentenze de’ Sei e dell’Uffiziale di Mercanzia, c. 223v 17 dicembre 1448 A dì XVII di decembre [1448] Ad petitione di decto Antonio di Christofano, tesse drappi, Guelfo di Guido, messo di decta Corte, raportò se avere richiesto decto Calandro e Antonio di Piero Calandri, merciai, per lo primo dì vero e peremptorio, e poi per ogn’altro dì e hora, a udire sententia e dire e opporre contro al sopradetto. Et decta richiesta raportò avere facta a dì 29 di novembre proximo passato alla casa e bottegha, con cedola.
45. Mercanzia 1381: Atti in Cause Ordinarie, c. 86v 31 maggio 1451 Die ultimo madii 1451 Conparì dinanzi a voi Messer Ufficiale e Corte Antonio di Cristofano Rosso che tesse drappi, cittadino fiorentino, che Luca Demenico de Michele, che mercanta asini e sta in nella Corte d’Empoli, funne suo debitore di £. 13 per prezo d’una bestia asinina col poledo a lui venduti per lo detto Antonio da Camiano allora lavorante del detto Antonio insino dell’anno 1448 [...] // A petitione di detto Antonio, Nofrio di Gherardo, messo di detta Corte, raportò al detto Ufficio e Corte e a me notaio infrascritto sé da parte del detto Officiale e Corte avere richiesto detto Luca a vedere detta petitione e domanda e ciò che in essa si contiene, e torre copia etc. [...] a dì 28 di magio 1451, alla chasa di sua habitatione in persona della madre, con cedula. 120
46. Ibidem, cc. 118v-119r 7 giugno 1451 Die VII iunii 1451 Comparì davanti a voi, Messer Officiale e decta Corte Antonio di Cristofano, vocato Rosso, tessitore di drappi, cittadino fiorentino, e ciascun de loro [...] // suo figlio, che furo setaiuoli tutti, furono suoi debitori in lire 42, soldi 16, per resto di magior somma, per tessitura di drappi per esso Antonio tessuti al decto Piero, e di ciò apare a un quaderno di decto Antonio, fatto un saldo d’acordo col decto Piero e Adovardo a dì di genaio 144[2], per la quale esso Piero apare vero debitore di decto Antonio in lire 65 e soldi 10, de’ quali promette dare al decto Antonio soldi due in [...] per ciascuna lira, ogni anno, tanto l’avesse pagato di decte lire 65, s. 10, incominciando il primo pagamento de’ s. 2 per lira a dì 4 di genaio 1442 ... In caso che decto Piero non pagasse, el decto Adovardo s’obligò a esso Antonio per lo decto Piero, promise pagare la decta quantità in caso esso Piero non pagasse ... e più di pagare per subscriptione a piè fatta del decto saldo di decto Adovardo. Al quale quaderno e subscriptione decto Antonio si riferisce, e tutti produce, usa e allega denanzi a decto Officiale, e a prova delle sue ragioni e tutti depone di sotto, e domanda se di bisogno che ‘l decto libro sia aprovato per l’Officio de’ Sei, secondo la forma degli Statuti ... che decta quantità di lire 65, s. 10 esso Antonio n’à ‘uti lire 22, s.14, di che resta aver le decte lire 42, soldi 16. E di che più volte richiesti decti Piero e Adovardo, essi e qualunque di loro ànno sempre cessato pagare contro ogni debito di rascione. E pertanto decto Antonio domanda che vi piaccia per vostra sententia pronuntiare e declarare le soprascritte cose ... essere vere in nel modo e forma che di sopra si dice, e i decti Piero e Adovardo ... essere veri debitori detto Antonio di Cristofano in nelle decte lire 42 ... .
47. Mercanzia 1438: Atti in Cause Ordinarie, cc. 93r-93v 17 maggio 1465 Decto dì [17 maggio 1465] Dinanzi a voi Messer Ufficiale e nuntii, expone e dice Benedecto, figliolo et procuratore et procuratorio nomine, duraturo in vita et doppo la morte d’Antonio di Christofano di Guido, tessitore di drappi, suo padre, che gli heredi et possessori di beni di Lorenzo d’Agniolo da Terranova del Valdarno, distretto fiorentino, furon e sono suoi 121
debitori, modi e nomi veri e legittimi debitori, di fiorini X di sugello per parte di magior somma. E quali sono per denari pagati e che il decto per adrieto Antonio pagò per lo decto Lorenzo ad altri, et per altre cose che decti per adrieto Antonio e Lorenzo ebbono a fare insieme, come di tutto appare al libro di decto Antonio e di suoi heredi, detto c. 4. Et che più volte richiesto il decto Lorenzo mentre viveva e di poi i suoi heredi et heredità dal decto Benedetto, decti modi e nomi, sempre ànno ricusato pagarli et farli d’ogni debito di ragione. Il perché il decto Benedetto, decti modi e nomi, dimanda che per voi, Messer Ufficiale et vostri nuntii, si pronumptii, sententii e dichiari le predette cose essere state et essere vere, et il decto per adrieto Lorenzo, mentre viveva, et oggi i suoi heredi et heredità essere stati et essere veri et legittimi debitori del decto Benedetto, detti modi e nomi, della decta soprascripta quantità di fiorini dieci d’oro di suggello per parte di maggior somma. Et così dichiaro vi piaccia per vostra sententia condampnare e decti heredi, heredità e possessori di beni di decto per adrieto Lorenzo, a dare e pagare al decto Benedecto, decti modi e nomi, la decta soprascripta quantità di fiorini X d’oro di suggello per parte di maggior somma et per sorte, et in tutte le predette cose dimanda le spese della causa e ragione e iustitia. Et le predette cose et ciascheduna d’esse dice, propone, dimanda il decto Benedetto, decti modi e nomi, insieme congiunte e divise, e salva a lui la ragione dello agiugnere, sciemare etc., et salvo la regione della maggiore somma et ogni altra sua, decti modi e nomi, ragione. Et produsse decto Benedetto al [...] della sua persona, lo instrumento del suo mandato, e diposelo apresso a Ser Michele d’Antonio notaio. Item produsse il decto Benedetto ad prova della sua, decti modi e nomi, ragioni il decto libro del decto per adrieto Antonio, e dipuoselo apresso a Ser Michele d’Antonio, notaio fiorentino, e dimandò che sia approvato per l’Ufficio dei Sei Consiglieri. Ad petitione di decto Benedetto, decti modi e nomi, il decto Messer Ufficiale, sedente ut supra, veduta decta petitione etc., per vigore di suo officio etc., commisse etc. al Rena, messo di // decta Corte e di qualunche altro e di tutto che richiede, i decti heredi, heredità e possessori di beni di decto Lorenzo, a vedere la decta petitione e dimanda di ragione, e a dir contro, alias etc.
48. Mercanzia 1445: Atti in Cause Ordinarie, cc. 113v-114r 18 giugno 1466 Die 18 iunii [1466] 122
Dinanzi a voi, Messer Ufficiale e Corte, ‘spone e dice Domenicho di Gualberto, calzolaio, che Benedetto d’Antonio, maestro d’abacho, fu ed è suo vero debitore di lire [3], s. 18 piccioli per mercantia di bottega sua, a llui venduta e data, come di tutto appare al libro e quaderno ricordanze di decto actore, segnato D, c. 82. Et più volte richiesto, à cessato pagare contro ragione. Et però decto Domenicho dimanda che vi piaccia per vostra sententia condampnare decto Benedecto a dare e pagare a esso actore la decta quantità di £. 3, s. 18, e dimanda le spese [...]. Et produsse decto libro di che di sopra si fa mentione. Ad petitione del decto Domenicho il decto Messer Ufficiale sedente come di sopra, // veduto la decta dimanda e produtione di libro, commisse a Liena, messo di decta Corte [...], detto Benedetto a vedere la detta dimanda e produzione di libro [...]. Ad petitione del decto actore, Lliena, messo, rapportò al detto Ufficiale e Corte essere ito e avere richiesto decto Benedetto in persona a vedere la decta petitione e petitione di libro e a dare conto [...].
49. Mercanzia 11794: Depositi di denari, c. 210v 13 febbraio e 6 marzo 1467 MCCCCLXVI243 Lorenzo di Antonio di Cristofano, tessitore di drappi e Nicholò di Giovanni Davanzati depositarono a dì 13 di febbraio f. dieci perché si diano liberamente a Tomaso d’Agnolo Chorbinelli, per resto di f. 60 di sugiello, e quali sono per vigore di una scritta privata, fatta sotto dì 10 di dicembre 1465. A dì sei di marzo vene Tomaso Corbinegli sopradetto e licenziò detto deposito perché dise era pagato per altra via da’ sopradetti.
50. Mercanzia 1470: Atti in Cause Ordinarie, c. 106r 13 settembre 1471 Die 13 septembris 1471 Dinanzi a voi, Messer Ufficiale e Corte, ‘spone e dice Piero di 243 Qui ed in seguito, le date così riportate si trovano, nella carta contenente il documento, in alto al centro.
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Matteo ghalighaio Fioralisi che Maxo di Gratia del Popolo di Stia di Casentino e Benedecto di [ ] vocato del’abacho, suo malevadore, e qualunque di loro in tutto, furono e sono suoi veri e legitimi debitori di lire ventisei piccioli per vigore di scripta privata, per le ragioni e cagioni che nella deta scripta si dichono [...] alla quale il decto Piero in tutto e per tutto si riferisce e quella di sotto produce, usa e allega e depone apresso a Ser Michele d’Antonio da Santa Croce, notaio fiorentino. Et domanda che il decto Maxo di Gratia e Benedecto del’abacho, e qualunque di loro, siano richiesti ad quella risquotere infra tre dì proxime futuri. Et più volte richiesti che paghino sempre ànno cessato contra l’onore, et però domanda che per voi, Messer Ufficiale e vostra Corte si pronuntii, sententii e dichiari i detti sopradetti rei e qualunque di loro essere stati et essere suoi veri e legittimi debitori della detta soprascritta quantità per le soprascritte ragioni e cagioni. Et produxe la decta scripta, e quella, di mandato di decto Ufficiale, depose apresso al decto Ser Michele d’Antonio da Santa Croce. Item produxe il decreto pasato a dì 13, decto libro c. 106. Item produxe li Statuti et Ordini del Comune di Firenze e della Corte. El quale Messer Ufficiale ut supra, pro tribunali sedente, veduta la detta petizione e domanda, comisse, impose e comandò a Nicholò di [...], messo di detta Corte, e al Passignano, messo anchora di decta Corte, et qualunque di loro, a vedere la decta petizione e domanda, produzione di ragioni, e che infra tre [dì] proximi futuri [...]. El quale Passignano predecto [...] raportò al decto Messer Ufficiale e Corte e a me notaio infrascritto, avere richiesto decto Benedecto di [ ] de l’abacho a vedere la decta petitione e domanda, produzione di ragioni. Et infra II dì proxime futuri aparischino a ricognoscere la decta soprascritta domanda [...]244.
51. Mercanzia 7223: Sentenze de’ Sei e dell’Uffiziale di Mercanzia, cc. 438r-439r 23 dicembre 1471 A petizione di decti Lorenzo d’Antonio de Cristofano [...], Niccolò [...], messo di detta Corte, raportò al detto Ufficiale avere [...] al detto Messer Paulo de Napoli per questo dì stare a udire la infrascritta sentenza [...] e disse avere fatto ale piazze e lochi publici, cioè Merchato Vechio e Novo, al Palagio del Podestà [...]. 244 Nella Mercanzia 7223, cc. 82r-82v, è riportata la relativa sentenza, in data 26 ottobre 1471. Qui non viene però citato M° Benedetto.
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Al nome di Dio amen. Noi Piero Paulo [...] de volere, consiglio de’ nobili [...], cioè Lorenzo di Neri d’Agnolo [...] Rocco [...] Capponi Bernardo di Marcho Salvetti Antonio di Tomaso Antinori Francesco Carnesecchi Benci di Nicholò Benci Sei consiglieri insieme con noi [...] detto palazzo [...] per il nostro Ufficio esercitare [...], veduta una petizione di Lorenzo del 28 novembre passato [...] per la quale domandò che detto Messer Paulo fosse per sententia condannato [...] lire centodieci, s. 19 piccioli, per parte di maggiore somma. E veduto che in detta petitione si contenta [...] veduta la stima facta di quelli cavalli [...], // pronunziamo [...] e condanniamo il detto Messer Paulo per vero debitore di decto Lorenzo di decte lire novanta [...] e dieci cavalli, come di sopra stimati lire 90, doversi e potersi dare ... per questa nostra presente sententia condenniamo a dare e pagare a esso Lorenzo dette lire 90 per resto tuto quello è stato domandato ... .
Documenti del fondo Corporazioni Religiose Soppresse dal Governo Francese 52. Corporazioni Religiose Soppresse dal Governo Francese 86, 47 (Convento di Santa Maria degli Angeli), c. 118s 23 novembre 1474 MCCCCLXXIIII Un podere posto nel Popolo di San Piero a Monticielli con chase da llavoratori, chaneto e vignie e più alberi fruttiferi, che da primo via, a II e III beni del nostro Munistero e a IIII beni dell’Arte de’ Merchatanti, e a V [ ]. Ed è staiora 57, panora 7, pugnora 1, braccia 8, misurato per Benedetto d’Antonio di Christofano maestro d’abaco; el quale podere è de cinque poderi teneva a fitto Tano, in questo c. 12 __________________________________ st. 57, pa. 7, pu. 1. br. 8 El detto podere s’ è alloghato oggi questo dì 23 di novembre 1474 a Simone di Cambio di Lorenzo del detto Popolo per £. centocinquanta l’anno. E quali danari àne a pagare di lire nette e dando fiorini larghi. S’ànno a contare quello saranno disegniati all’Arte del Chambio, e con 125
patto paghino la metà per tutto dì 15 d’agosto e l’altra metà per tutto ottobre. E non paghando a detti tenpi sia allora licito a’ frati allora alloghare el detto podere a cchi a lloro parrà e piacierà. El detto aluogho dee incominciare a dì primo di novembre 1475. E per lui promisse Nicholò di Francesco legnaiuolo, vocato Nicolò delle tarsie. E di tutto fu rogato Ser Guglielmo di Vanni Merini da Prato, notaio nell’Arciveschovado di Firenze, detto dì ________________ f. -, £. 150
c. 118d 26 novembre 1474 MCCCCLXXIIII Un podere chon chasa da llavoratore chon suoi edifiti e terre lavoratie e vigniate e chaneto e più ragioni, frutti, posto nel Popolo di San Piero a Monticelli a piè del Munistero vecchio e a llato al chontrascritto podere, che da primo e II via, a III beni del nostro Munistero, a IIII Lorenzo Bencioni, el quale podere e n’è uno de’ cinque poderi teneva a fitto Tano, in questo c. 12. Ed è staiora cinquantadue, panora nove e pugnora sette, braccia undici _______ _______________________________________st. 52, pa. 9, br. 11, misurato per Benedetto d’Antonio di Cristofano maestro d’abacho. El detto podere s’è affittato questo dì 26 di novembre 1474 a Matteo di Domenico di Matteo, al presente lavoratore di Lorenzo Bencioni, per due anni inchominciati insino a dì primo di novembre detto 1474 per £. cientoquindici l’anno di lire nette. E volendo dare fiorini larghi s’abino a contare per quello saranno disegniati all’Arte del Chambio. E le dette £. centoquindici de’ paghare l’una metà per tutto dì 15 d’agosto, e ll’atra metà per tutto ottobre di ciaschuno anno. E per lui promisse Chresci di Marcho di Cresci, mugnaio al Ponte a Schandicci e Franchino di Giovanni di Franchino del Popolo di Sansepolcho, e Santi di Chimento Talani, Popolo di Santa Maria a Soffiano, e Vannino di Meo Cienfanelli del Popolo di Sansepolcho [...]. E in chaso non paghassino ai detti tenpi, sia licito al detto Munistero o Priore o Sindacho a lloro piacimento possino alloghare el detto podere a cchi a loro pererà e piacerà, come se fusse propio, finita detta allogagione. E non di mancho rimanendo ubrighati detti malevadori di quello restassi a paghare, che paghi loro______________________ f. -, £. 115 E di tutto roghato Ser Guglielmo de Prato nottaio in Veschovado, sotto detto dì, posto debitore del fitto in questo, c. 122. 126
53. Ibidem, c. 120s 22 gennaio-26 febbraio 1475 MCCCCLXXIIII Un podere posto nel popolo di San Piero a Monticielli cho’ chasa, corte, stalla, terreni, pozzo, palchi, con staiora [ ] di terre lavoratie, viti e chaneto e altri frutti, che da primo via, a II beni del nostro Munistero, a III beni dello Spedale di San Pagholo di Firenze, a IIII beni dello Spedale di Santa Maria Nuova, e staiora trentauno e panora dieci e pugnora uno e braccia uno a corda, misurati per Benedetto d’Antonio di Cristofano maestro d’abacho e in presenza di Bernardo di Ser Cetto di Ser Agnolo da Lloro. Un podere posto in detto Popolo e al lato al sopradetto podere cho’ chasa da lavoratore e terre lavoratie e vigniate e con più ragioni, frutti e chaneti, che da primo via, a sechondo el sopradetto podere, e a III in parte beni dello Spedale di San Pagholo di Firenze e in parte beni dell’Arte del Chambio, e a IIII beni dell’Arte de’ Notai, ed è staiora cinquantadue e panora tre e pugnora cinque e braccia dieci a corda, misurato per Benedetto d’Antonio di Cristofano maestro d’abaco e in presenza di Bernardo di Ser Cetto di Ser Agnolo da Lloro. Questo dì 22 di gienaio 1474 Frate Andrea di Iacopo del Lunigiana, come sindaco e prochuratore del detto Munistero, alloghò e sopradetti due poderi a Matteo e Piero frategli e figloli che furono di Domenicho di Palmieri Porcelli, lavoratori di terre, e a Francesco di Michele di Domenico Porcelli, lavoratore di terra, tutti del Popolo di Sant’Agnolo a Legnaia, per uno anno già incominciato insino a dì primo di novebre prosimo passato e da finire per tutto il mese d’ottobre 1475 prossimo ch’è da venire per £. dugiento, le quali £. dugiento debono paghare l’una metà per tutto dì [ ] del mese d’ago[sto] e l’altra metà per tutto ottobre 1475. E con patto che paghando f. larghi s’abino a contare quello saranno disegnati all’Arte del Chambio. E non paghando a detti tenpi, che allora el detto Munistero e suo prochuratore a sua volontà possi alloghare e detti poderi come a lloro parrà restando sempre hubrighati loro e loro malevadori di quello che restassino o fussino debitori, e per lloro promisse le sopradette quantità di denari Marcho di Domenico di Feo ferravecchio del Popolo di Santa Lucia d’Ognissanti fuori di Firenze, Francesco di Marcho di Domenico Porcielli del Popolo di San Piero a Monticielli, posti debitori in questo, c. 123 ____ _____________________________________________________ f. 200 Anchora detto dì el detto Frate Andrea in detto nome e modo 127
alloghò a’ sopradetti chondottori uno podere di sopra nominato, cioè quello di sopra di staia 31 e panora X e pugnora 1, braccia 1, per lire cento l’anno per anni quatro, cominciando a dì primo di novebre 1475 ____________________________________________________ £. 100 Fitto anchora parte dell’altro podere cioè dalla chasa verso el podere di sopra nominato cioè di staia trenta e panora cinque e pugnora quatro, bracia uno, che da primo via, a II beni di detto Munistero, a III beni dell’Arte del Chambio, a IIII beni di detto Munistero, cioè quella parte che si aluogha a Aghostino, delle quali staiora 30, panora 5, pugnora 4, braccia 1, e detti condottori di sopra nominati debono dare per cischuno anno, durante e detti quatro anni, £. sesantauno e s. diciasette, d. IIII l’anno, e con patto che paghino come di sopra nella prima alloghagione de’ II poderi interi, e chon quelle medesime patti e modi. E così e sopradetti Marcho di Domenicho di Feo ferravecchio e Francesco stettono mallevadori come di sopra ______________________________________ £. 61, s. 17, d. 4 E di tutto fu roghato Ser Cetto di Bernardo di Ser Cetto da Lloro. E Aghostino di Marcho di Puccio ne rimane staiora ventuno e panora dieci e pugnora uno e braccia nove, per £. cinquanta e s. II, d. otto colla casa, che da primo via, a II beni del nostro Munistero, a III beni dell’Arte del Cambio, a IIII beni dell’Arte de’ Notai. Questo 26 di febraio 1474 s’è allogato la sopradetta parte del podere al detto Aghostino per 4 anni, che debano inchominciare a dì primo di novebre 1475, per £. cinquanta, s. II, d. otto, con patto che debi paghare l’una metà per tutto aghosto e ll’altra metà per tutto ottobre per ciaschun ano durante detto aluogho, e con patto non paghando a detti tenpi, sie licito a detti frati alloghare a lloro piacimento, e con patto che dando f. larghi s’abi a contare per quello saranno disegnati all’Arte del Chambio. E uno de’ cinque poderi teneva a fitto Tano, in questo, c. 12 ______________________________ f. 50, s. 2, d. 8
54. Ibidem, c. 121s 1475 MCCCCLXXIIII Un podere chon chasa da lavoratore e con porticho, sale, camere terrene e cella e sale e palchi e altri edifici, pozzo, chapanna, con terre lavoratie, chaneti, vignie e alberi fruttiferi di più ragioni, posto nel Popolo di San Piero a Monticelli, che da primo via, a II beni dell’Arte de’ 128
Merchatanti di Firenze, a III beni del nostro Munistero, a IIII [ ]. Ed è uno de’ cinque poderi teneva a fitto Lucha di Tano. El quale podere e n’è staiora cinquantuno e panora sette, pugnora tre, braccia 6, insieme cholla chasa, cioè staiora 51, panora 7, pugnora tre, braccia 6, misurato per Benedetto d’Antonio di Cristofano maestro d’abaco e Bernardo di Ser Cetto. Tiello a fitto Aghostino di Marcho di Puccio di detto luogho per lire centoventicinque, e chosì l’à tenuto più tenpo fa; vuolsi ricondure, che poi lo lasciò Lucha non s’è ricondotto _____ f. 125 per l’anno 1475 E de’ dare per fitto di questo anno 1475 lire cinquantacinque e per una parte del podere ch’à lavorato pe ‘l pasato Salvestrino e da questo anno a lavorare abiano afittato tuto detto podere a Simone di Canbio per lire 150, come apare in questo, c. 117. Di questo mezo podere à essere debitore Augustino solo per questo anno 1475 ________________ _______________________________________ f. 55 per l’anno 1475 Posto al libro debitori e creditori segnato G245, a c. 24.
55. Ibidem, c. 131s 1478 1478 Chonto di certe spese fatte per Benedetto chome distesamente fieno scritte, cioè prima: Per la festa Al convento e per lui a Piero di Donato246 quando s’andò a batezzare la fanculla di Messer Bartolomeo Schala al libro segnato G, a c. 142 ________________________________________ f.-, £. 1, s. 2 Alla cucina per salina, c. 137 ___________________ f. -, £. -, s. 6 Al convento el dì della festa e per lui a Piero, c. 142 ____________________________________________ f.-, £.-, s. 7, d. 4 A lui detto e per [ ] a Sesto per huova £. 9, s. 5, de’ quali dette Piero f. 1 largo, e il resto Benedetto, c. 133 ________ f. -, £. 3, s. 10 Al convento e per lui a quello fece le chiave vechie £. 3, s. 13, de’ quali gli dette Piero £. 2 e il resto Benedetto, c. 142
245 246
Il “libro segnato G” è il Corpor. Rel. Soppr. dal Gov. Fran. 86, 200. Piero di Donato Bruni: cfr. Corpor. Rel. Soppr. dal Gov. Fran. 86, 200, c. 204s.
129
____________________________________________ f. -, £. 1, s. 13 Alla cucina per pesci £. 4, s. 8, de’ quali gli dette Piero £. 1, s. 8 e il resto Benedetto, c. 133 __________________________ f. -, £. 3 Al convento s. 2, dette a uno di Casentino che rechò huova, disse per paglia, c. 142 ______________________________ f. -, £. -, s. 2 Alla chanova del vino s. 14 per 2 fiaschi di vernaccia, c. 146 _____________________________________________ f. -, £. -, s. 14 Al convento £. 1, s. 8 per libre 12 di fune, c. 142 _____ f. -, £. 1, s. 8 Al convento e per lui a Piero s. 5, comprò chose, c. 157 __________ __________________________________________ f. -, £. -, s. 5, d. 0 Al convento detto e per lui a Messer Priore comperò chose, c. 157 __________________________________________ f. -, £. -, s. 8, d. 4 Al convento detto e per lui al fornaio di Santo Tomaso, c. 157 _____________________________________________ f. -, £. 1, s. 13 Al convento e per lui a Piero in 2 volte f. due larghi, e quali spese pel convento, c. 157 ____________________________________ f. 2 Al convento detto per perdita di f. 2 larghi, c. 157 _____ f. -, £. -, s. 6 Alla chucina e per lui a Meo247 dise per huova aveva comprato s. 10, c. 133 __________________________________________ f. -, £. 1 Al convento e per lui al Priore contanti f. 1, £. 2, s. 10 per ispese fece, c. 157 __________________________________ f. 1, £. 2, s. 10 Al convento e per lui a Piero s. 15 per comprare cose, c. 157 ______ ____________________________________________ f. -, £. -, s. 15 Conto di biada Benedetto debbe avere chome si vede per lo conto di sopra _________________________________________ f. -, £. 13, s. 6, d. 8 Al convento e per lui a quello che aveva fatto le chiave vechie, c. 157 _______________________________________________ f. -, £. 1 Al convento e per lui a Lorenzo248 calzolaio, c. 157___ f. -, £. 18, s. 15 Al convento per ispese quando andai a Puliciano, c. 157 ___ f. -, £. 1 Al convento e per lui quando fece le chiavi di nuovo, c. 157 _ f. -, £. 2 Alla cucina per 100 huova, c. 133 ______________ f. -, £. 1, s. 15 Alla infermeria per carne, c. [ ] ______________ f. -, £. - , s. 2 Al convento per perdita di 1 fiorino, c. 157 ______ f. -, £. -, s. 2 Al convento e per lui a Frate Mauro f. 1 larghi e £. 1, c. 157 _______ _______________________________________________ f. 1, £. 1 , 247 248
130
Meo di Fio, ortolano: ibidem, c. 2s. Lorenzo di Lorenzo: ibidem, c. 76s.
Al convento e per lui a Frate Mauro detto £. 13, s. 6, c. 157 _______ _____________________________________________ f. -, £. 13, s. 6 1. 52. 6. 8
c. 131d 1478 El conto della festa debbe avere f. 4 larghi, e quali s’ebbono da Simone di Matteo al libro segnato G, c. 159 ______________f. 4, E de’ avere, posto debbi dare in questo per conto di biada, c. 131 _________________________________________ f. -, £. 13, s. 6, d. 8 Benedetto de’ dare Dal convento per 25 staia d’orzo e 15 di fave a s. 12, d. 8 lo staio, c. 157 ___________________________________ f. -, £. 25, s. 6, d. 8 Dal Priore e per lui da Frate Mauro £. 1, s. 13, c. 158 ______________ ______________________________________________ f. -, £. 1, s. 13 Dal convento e per lui dal Priore f. 1 largo, c. 158 ______ f. 1, Dal convento detto e per lui dal Priore s. 9, 158 _____________ _______________________________________________ f. -, £. -, s. 9 Dal convento e per lui da quello della biada, c. 157 ______________ _____________________________________________ f. -, £. 13, s. 6 Dal convento e per lui dal Priore per resto d’uno fiorino gli rimase quando si comprò pesci, che si spese £. 4, s. 5, d. 4, che mi rimase £. 1, s. 7, d. 8, c. 158 _____________________ f. -, £. 1, s. 7, d. 8 1. 42. 2. 4 E de’ dare, posto debbi avere in questo a c. 132 __________________ ________________________________________ f. -, £. 10, s. 4, d. 4 E de’ dare s. 10 sono per una partita nel conto di sopra che dice £. una, v’era fuora vuol dire s. 10, e però nella charta 132 dirà £. nove, s. 14, d. 4 _____________________________________ f. -, £. -, s. 10
56. Ibidem, c. 132s 3 settembre-1°ottobre 1478 1478 Benedetto debba avere chome apare in questo a c. 132 per lo conto 131
passato __________________________________ f. -, £. 9, s. 14, d. 4 Al convento e a dì primo d’ottobre a Ser Tommaso, disse per dare al Monte, c. 157 ___________________________________ f. -, £. 3 Alla cucina e a dì detto a Sexto per 150 huova e portatura, c. 133 _________________________________________________ £. 2, s. 13 Al convento e a dì detto per due libre di candele e perdita d’un fiorino, c. 157 ___________________________________ f. -, £. -, s. 7, d. 4 Al convento insino a dì [3] di settenbre s. 8 dati a Michele, c. 157 _______________________________________________ f. -, £. -, s. 8 Al convento a dì detto per usura e partita per lo mio mantello, c. 157 ______________________________________ f. -, £. -, s. 8, d. 4 A Benedetto detto f. uno largo el quale paghò per me Gordano al libro segnato G, c. 142 __________________________________ f. 1 Alla cucina per 100 huova a dì 3 detto, c. 133 ______________________________________________ f. -, £. 1, s. 15 Alla cucina a dì 4 detto per 140 huova con la recatura, c. 133 ______________________________________________ f. -, £. 2, s. 16 Al convento a dì detto per granate, stoppa e una guaina per Meo, c. 157 _____________________________________ f.-, £. -, s. 9, d. 4 Al convento a dì 4 detto per lui a Don Piero249, disse per dare al fornaio, c. 157 _____________________________ f. -, £. -, s. 6, d. 8 Alla cucina a dì detto £. 1, s. 10 e per lui a Piero, disse per paghare quel di Luca, c. 133 ____________________________ f. -, £. 1, s. 10 Al convento a dì detto £. 20, chontando £. 2, s. 15 è debitore allo conto di Frate Mauro al libro segnato G a c. 157 __________________________________________________ f. -, £. 20 Alla chucina a dì detto per una libra di salina e 2 pani bianchi, c. 133 ______________________________________ f. -, £. -, s. 3, d. 4 Al convento a dì detto per due libre di candele, c. 157 _____________ __________________________________________ f. -, £. -, s. 5, d. 4 Alla cucina per 102 huova comperò Baldassarre, c. 133 ____________ ______________________________________________ f. -, £. 1, s. 14 Alla infermeria per charne per due volte, a dì 9 detto, c. 149 ______ __________________________________________ f. -, £. -, s. 5, d. 8 Alla cucina per 50 huova comperò Baldassarre, c. 133 ____________ __________________________________________ f.-, £. -, s. 16, d. 8 Alla cucina a dì 10 detto per 300 huova comprò Baldassarre, c. 133 ___________________________________________________ f. -, £. 5 Al convento a dì 13 detto a Don Piero in villa, c. 157 __________ ___________________________________________________ f.-, £. 3 249
132
Don Piero, Grasso: cfr. Corpor. Rel. Soppr. dal Gov. Fran. 86, 200, c. 157s.
Al convento detto a dì detto quando tornai a Firenze per la via, c. 157__________________________________________ f. -, £. -, s. 8 Al convento a dì 18 detto quando andai in villa, c. 157 _____________ _______________________________________________ f. -, £. -, s. 7 Al convento a dì detto s. 16 per salsicie e carne detti a’ veturali arechassino in villa, c. 157 ________________________ f. -, £. -, s. 16 Al convento a dì 19 detto £. 2, s. 15, chontanti in villa, c. 157 ______________________________________________ f. -, £. 2, s. 15 Al convento a dì 23 quando tornai per la via, c. 157 __________________________________________ f. -, £. -, s. 5, d. 4 Al convento insino a dì 22 £. 1, s. 8, spesi in villa in huova e polli per frati, e s. 4 detti a Mafio per pipioni, in tutto, c. 157 _____________ ______________________________________________ f. -, £. 1, s. 12 Alla cucina a dì 25 detto s. 1 per huova fresche, c. 133 ______________________________________________ f. -, £. -, s. 1 Ala infermeria per alodole a dì detto, c. 149 __________________________________________ f. -, £. -, s. 2, d. 4 Alla cucina per 33 huova a Sexto, c. 133 _______________________________________________ f. -, £. -, s. 13
c. 132d 1°-17 ottobre 1478 1478 Benedetto de’ dare a dì primo d’ottobre f. 5 larghi, ebbe da Gordano di Iacopo rigattiere, contanti un fiorino pagò per lui, c. 126 _________________________________________________ f. 5 larghi E de’ dare a dì 17 detto f. due larghi, ebbe da Fio250 chuocho, de’ quali ne diè f. uno largo a Pagholo muratore, resta a lui f. 1 che si chambiò, c. 159 ________________________________ f. 0, £. 5, s. 13 E de’ dare insino a dì 3 d’ottobre f. 4 larghi, ebbe da’ frati di Santa Maria Novella, e quali gli dettono per la Compagnia delle Laude di San Piero Martire, c. [ ] ____________________________ f. -, £. 23 5. 28. 13 1 ______________ 4 250
Fio di Luca: ibidem, c. 159s.
133
E de’ dare, posto debbi avere in questo a c. 133 ___ f. -, £. 9, s. 19, d. 8 5. 38. 12. 8
57. Ibidem, c. 133s 3-30 novembre 1478 1478 Benedetto debba avere, come apare in questo a c. 132, per lo conto passato _________________________________ f. -, £. 9, s. 19, d. 8 Alla canova del vino a dì 3 di novembre [1478] per uno fiascho di vincotto, c. 140 ______________________________ f. -, £. -, s. 6 Al convento a dì detto per uno cavallo per Monsignore, c. 157 ______________________________________________ f. -, £. 2, s. 16 Al convento a dì detto e per lui al veturale di Benedecto scharpellino, c. 157 ______________________________________ f. -, £. 2, Alla cucina a dì otto detto per lasagne, c. 133_____ f. -, £. -, s. 6, d. 8 Al convento a dì detto e per lui a Piero che andò al’ermo, c. 157 ___________________________________________________ f. -, £. 1 Al convento a dì detto d. 4 a uno rechò stivali, c. 157 ___________________________________________ f.-, £. -, s. -, d. 4 Alla infermeria per carne a dì detto, c. 149 __________________ _________________________________________ f. -, £. -, s. 10, d. 8 Alla cucina a dì detto per huova, c. 133 _____ f. -, £.-, s. 4, d. 8 Al convento a dì detto per 2 libre di candele, c. 157 ___________ _________________________________________ f. -, £. -, s. 4, d. 8 Alla cucina251 a dì 12 per charne, c. 133 ___ f. -, £. -, s. 8, d. 8 Alla cucina a dì 13 per 100 huova, c. 133 _______ f. -, £. 1, s. 16 A lui decto per chascio e portatura a dì detto, c. 133 ___________ __________________________________________ f. -, £. -, s. 6, d. 8 Al’orto a dì detto e per lui a Michele, e quali dette [...], c. 146 _______________________________________________ f. -, £. -, s. 13 Al convento a dì 14 detto e per lui ad Agnolo, presta cavagli, c. 157 _________________________________________________ f. 1, Alla cucina a dì 16 detto in huova e cascio, c. 133________________ _____________________________________________ f. -, £. 3, s. 2 A Piero Porcelli a dì detto s. 11 e per lui a Sandro messo, c. 109 _____________________________________________ f. -, £. -, s. 11 251
134
In margine a sinistra: “Alla infermeria”.
Al convento a dì 17 detto £. 2, s. 10 e per lui a uno presta cavagli, sta al lato a’ Rondinegli, c. 157 ___________________ f. -, £. 2, s. 10 A Mona Checca a dì detto f. 10 larghi, de’ quali n’ebbi f. 9 dal Priore e f. 1 detti de’ mia, in somma di f. 10 che n’ò ascrivere a me f. 1, c. 105 _______________________________________________ f. 1, £. Alla canova del vino a dì detto s. 5 per razese, c. 146 _____________ _______________________________________________ f. - £. -, s. 5 Alla infermeria a dì 18 detto per charne, c. 149 _________________ __________________________________________ f. -, £. -, s. 2, d. 8 A lei detto a dì 19 detto per caprone in più volte, c. 133 ___________ ______________________________________________ f. -, £. -, s. 14 Alla cucina a dì detto per huova e portatura, c. 133 ______________ ______________________________________________ f. -, £. 2, s. 3 Al convento a dì detto per due quaderni di fogli, c. 157 ____________ _______________________________________________ f. -, £. -, s. 8 Alla cucina a dì 20 detto s. 7 per lei a Piero, disse per pesce, c. 133 __________________________________________ f. -, £. -, s. 7 Alla canova del vino a dì detto per trebiano, c. 146 _______________ __________________________________________ f.- , £. -, s. 6, d. 8 Alla cucina a dì detto per huova e portatura, c. 133 ____f. -, £. 2 A ghabella d’olio a dì 21 detto s. 10, venne da Pozolaticho, c. [ ] ______________________________________________ f. -, £. -, s. 10 Alla infermeria a dì detto, portò Bartolomeo per charne, c. [...] _________________________________________ f. -, £. -, s. 1, d. 8 Al convento a dì detto e per lui al sarto per lavoro fatto al Priore, c. 157 ________________________________________ f. -, £. 2, s. 10 Al convento a dì 21 detto, portò Frate Antonio, disse gli voleva il Priore, c. 157 _______________________________________ f. -, £. 1 Alla cucina a dì 23 detto per huova, c. 133 __________ f. -, £. 2 Al’orto a dì detto e per lui a Michele disse per aconciare rastrelli, c. 146 ________________________________________ f. -, £. -, s. 5 A ghabella di fichi a dì 25 detto, portò Bartolomeo, c. [ ] ___________ _______________________________________________ f. -, £. -, s. 18 A Mona Checha f. 1 largo mi dette il Priore insino a dì 24 detto, c. 105 ________________________________________________ f. Alla infermeria per charne a dì 25, c. 139 ________ f. -, £. -, s. 10 Alla cucina a dì 27 per huova, c. 133 ___________ f. -, £. -, s. 10 Al convento a dì detto per candele _________ f. -, £. -, s. 2, d. 4 Al convento a dì 28 detto per rischotere la cintola della Pippa, c. 157 ____________________________________ f. -, £. 18, s. 11, d. 8 Alla cucina a dì detto s. 14 in tonnina, c. 157 ____ f. -, £. -, s. 14 A ghabella di vino venuta da Uzano £. 7, s. 5, cioè per barili 14 135
1/2 rechò [ ], c.- ______________________________ f. -, £. 7, s. 5 A Mona Checha a dì 30 detto s. 8 per lui a Nicholò suo figliuolo per legne, c. 137 _______________________________ f. -, £. -, s. 8
c. 133d 13-22 novembre 1478 1478 Benedetto de’ dare a dì 13 di novembre £. 1, s. 10, ebbe da Francesco charradore, c. 116 _____________________ f. -, £. 1, s. 10 Da Alexo rigattiere a dì 14 detto f. 2 larghi e per lui da Braccio suo compagno, c. 127 _________________________________ f. 2, Da Ser Giovanbatista d’Albizo a dì detto f. 1 largo e per lui a Francesco suo fratello, c. 160 _____________________ f. -, £. 5, s. 13 Da Maestro Antonio barbiere a dì detto £. 6, c. 4 _____ f. -, £. 6 Da Simone di Matteo a dì detto f. 2 larghi, c. 159 _________________ _____________________________________________ f. -, £. 11, s. 6 Da Piero Porcelli a dì 22 detto f. 2 larghi, c. [ ] _________________ ______________________________________________ f. -, £. 11, s. 6 Da Francesco ceraiuolo a dì detto f. 2 larghi de’ quali v’è £. 4, s. 10 dati a Piero, et £. 3, s. 3, d. 4, ebbe Bartolomeo, a me resta, c. 161 _________________________________________ f. -, £. -, s. 12, d. 8 Da Simone di Matteo a dì detto f. 4 larghi in grossoni a £. 5, s. 11 per fiorino, c. 159 __________________________ f. -, £. 22, s. 4 E de’ dare £. 6, s. 16, d. 4, posto debbi avere in questa, c. 134 _________________________________________ f. -,£. 6, s. 16, d. 4
58. Ibidem, c. 134s 3-12 dicembre 1478 1478 Benedetto de’ dare per questi denari avuti, cioè: Da quello della porta, cioè da Francesco caradore [...] contanti, c. 116 _________________________________________ f. -, £. 1, s. 10 Da Giordano a dì 3 di dicembre £. una, s. dieci contanti in sull’uscio suo, c. 126 ____________________________________ f. -, £. 1, s. 10 Da Rinaldo a dì 12 detto £. tre, rechò contanti, c. 127 _f. -, £. 3 Da Michele linaiuolo £. 4, s. 16 chontanti per resto di £. 20, c. 134 _____________________________________________ f. -, £. 4, s. 16 136
Dalla Compagnia del Bighallo f. 9 larghi e £. tre, s. 7, d. -, c. 161___________________________________________ f. 9, £. 3, s. 7 Da Francesco ceraiuolo f. uno largho per una immagine, c. 161 ________________________________________________ f. ...............
c. 134d 3-27 dicembre 1478 1478 Benedetto de’ avere come apare in questo a c. 124 _______________ ________________________________________ f. -, £. 6, s. 16, d. 4 Al chonvento a dì 3 di dicembre s. 6, dettonsi a uno arechò paglia, c. 157 _________________________________________ f. -, £. -, s. 6 A ghabella di vino a dì detto £. una, s. 10 per barili 3 vennono da Uzano, portò Nofri, c. 150 _______________________ f. -, £. 1, s. 10 Alla cucina a dì detto e per lei al pizichagnolo del Ponte Vecchio f. 2 larghi, e quali ebbi dal Priore, c. 133 _________________ f. ....... Alla infermeria a dì 3 detto per charne, c. 149 ____ f. -, £. -, s. 8 Al convento di Santa Croce f. 2 1/2 larghi e [ ] ______f. ................. Alla cucina e per lei a Bartolino pizicagnolo f. 1 largo, ebbi dal Priore _________________________________________ f. ................. Al convento per più chose avute cioè 3 fiaschi d’olio e 2 libre di chandele e 3 libre di salina e huova, in tutto, a dì 5 detto, c. 157 __________________________________________ f. -, £. 2, s. 3, d. 4 Alla cucina a dì 7 detto per huova, c. 133 __________________ _________________________________________ f. -, £. -, s. 14, d. 4 Al’orto a dì 8 detto per lui a Michele, disse per ferri, c. 146 _______________________________________________ f. -, £. -, s. 9 Antonio di Iacopo Matto vinattiere in Vinegia a dì detto £. una, s. 6, d. 8 per lui a Ser Luigi Ghambini per richiamo alla Mercatantia, c. 119 ____________________________________ f. -, £. 1, s. 6, d. 8 A ghabella di più cose e per loro al figliuolo di Michele di Mona Diana per ghabella di staia 4 1/2 di fichi, che n’ebbe dal Priore s. 7, d. 8, e da me s. 6, d. 4, c. 147 _______________ f. -, £. -, s. 6, d. 4 Al chonvento a dì 10 detto per una libra di chandele, c. 157 __________________________________________ f. -, £. -, s. 2, d. 4 Alla cucina a dì 11 detto per uno ochio di tonnino s. 5, c. 133 ______________________________________________ f. -, £. -, s. 5 A Nofri a dì detto f. 1 largho e £. 5, e quali denari ebbi dal Priore, c. [ ] ___________________________________________ f. 1, £. 5 Al convento a dì 12 detto s. 15 a Ser Piero dal Repole, c. 157 ______________________________________________ f. -, £. -, s. 15 137
Al convento a dì 14 detto s. 6, d. 8 e per lui a Piero spese in più cose, c. 157 _______________________________ f. -, £. -, s. 6, d. 8 Alla cucina a dì 16 detto s. 4, d. 4 per una tincha, c. 133 __________________________________________ f. -, £. -, s. 4, d. 4 Antonio di Iacopo matto s. 18, d. 8 per una sententia s’ebbe contro a detto Antonio alla Merchatantia, c. 119 _____ f. -, £. -, s. 18, d. 8 A Michele252 a dì 22 detto s. 5, d. 4, c. 153 _______ f. -, £. -, s. 5, d. 4 Alla cucina a dì 24 detto per salina, c. 133 ___________ f. -, £. -, s. 4 Al convento a dì detto per fune tolse Don Tomaso, c. 157 ________________________________________________ f. -, £. 1, s. 5 Al convento insino a dì 23 detto £. 3, s. 14 e per lui a Maso di Piero dell’Antella per vettura d’uno cavallo, c. 157 ___________ f. -, £. 3, s. 14 Al convento a dì 24 detto s. 7 e per lui a Piero per più cose comprò, c. 157 __________________________________________ f. -, £.- s. 7 Al convento dì detto per candele s. 4, d. 8, c. 157 _________________ _________________________________________ f. -, £. -, s. 4, d. 8 A Nofri a dì detto e per lui ad Agnolo di Mone da Marti, c. [ ] ____________________________________________________ f. 2, Al convento a dì detto e per lui Antonio da Ghagliano f. 2 larghi per parte di cera biancha, tolse el priore, c. 157 _____________ f. 2 Alla cucina a dì detto per huova e cascio e portatura, cioè £. 5, s. 11, d. - in huova e £. 3, s. 17, d. 8 in cascio e d. 8 per portatura, in tutto, c. 133 _______________________________ f. -, £. 9, s. 9, d. 4 A Giovanni Borghini a dì detto f. 3 larghi ebbi dal Priore, c. [ ] _____________________________________________________ f. ........ Al chonvento a dì 25 detto e per lui al Priore £. una per dare la mancia a Michele e a Govanni, c. 157 ____________ f. -, £. 1, A Michele a dì 27 detto s. 8, c. 153 ____________ f. -, £. -, s. 8 A ghabella di biada s. 5, d. 4, cioè panicho, arechò i’ fratello di Salvestrino, c. [ ] ________________________ f. -, £. -, s. 5, d. 4 Al convento a dì detto per inchiostro, c. 157 _____ f. -, £. -, s. 1 Al convento e per lui al notaio di Porta Santa Maria per trovare un contratto, c. 157 _____________________________ f. -, £. -, s. 3 A ghabella di farina £. una, s. 16 de’ quali ne pagai io £. una e il resto il Priore _____________________________________ f. -, £. 1 A Charlo insino a dì 23 detto f. uno largho e per lui a Marchionne sensale per panno gl’aveva venduto ________________________ f. 1 Benedetto debba avere posto debbi dare in questo a c. 35 ________ _________________________________________ f. -, £. 1, s. 16, d. 8 252
138
Michele di Simone de’ Moretti, ortolano: Cfr. Corpor. Rel. Soppr. dal Gov. Fran. 86, 200, c.153d.
59. Ibidem, c. 135s 9-19 gennaio 1479 1478 Benedetto de’ dare come apare in questo a c. 34__ f. -, £. 1, s. 16, d. 8 E de’ dare a dì 9 di genaio f. 8 larghi, £. 4, s. 12 e quali ebbi dalla Ghabella delle Porte e per loro da Francesco Baroncini, c. 128 ______________________________________________ f. 8, £. 4, s. 12 E de’ dare a dì 12 detto £. cinque, s. 18 in fiorino uno largo e s. quatro, ebbe da Rinaldo di Giovanni della Magna, c. 127 ______________________________________________ f. 1, £. -, s. 4 E de’ dare a dì 19 di gennaio £. 4 ebbe da Bartolomeo della Magna in questo a c. 127 ________________________________ f. -, £. 4, f. 9 larghi, £. 10. 12. 8
c. 135d 3 gennaio-27 aprile 1479 1478 Benedetto de’ avere a dì 6 di genaio per denari paghati e prima: A Marchione sensale a dì 3 di genaio per senseria, c. 157 _____________________________________________ f. -, £. 4, s. 10 Alla sacrestia a dì 6 di genaio s. 2, d. 8 per ostie _________________ __________________________________________ f. -, £. -, s. 2, d. 8 Alla infermeria a dì 7 detto per carne, c. 149 _______ f. -, £. -, s. 2, d. 4 Alla cucina a dì 9 detto per huova, c. 133 ______ f. -, £. 1, s. 12, d. 8 A lei detto a dì detto per cascio, c. 133 __________ f. -, £. 1, s. 10 Al convento a dì detto e per lui a [ ] Bardani253 per cera cioè per resto di cera si tolse già è più tempo da llui, c. 157 ______________________________________________ f. -, £. 3, s. 10 Al convento a dì detto e per lui al notaio di Ghabella s. 12 per una libra di chandele, c. 157 _________________________ f. -, £. -, s. 12 Al convento a dì detto per libre 3 di candele portò Piero, c. 152 ______________________________________________ f. -, £. -, s. 7 A Chimenti da Monte Loro a dì 10 detto f. otto larghi, e quali lasciai al Priore gliele mandassi quando andai in Val di Pesa, c. 90 253
Francesco Bardani, ceraiolo: ibidem, c. 157d.
139
______________________________________________________ f. 8 A Michele ortolano a dì 12 detto s. 7, disse aveva achatati da Don Mauro quando ebbe e denari del marroni a l’avanzo d’un fiorino che lo spese in chalze, c. 153 ________________________ f. -, £. -, s. 7 Al convento a dì detto £. una, s. 7 sono per più orciuoli e stoviglie chonprò Piero, c. 157 ___________________________ f. -, £. 1, s. 7 Alla cucina £. due, s. 11 oltra a f. uno largho, e quali denari sono per pesci si tolsono a dì 15 di genaio per Frate Mauro; et il fiorino paghò Charlo di Donato, c. 133 __________________ f. -, £. 2, s. 11 A Michele a dì 18 detto s. 5 chontanti, c. 153_____ f. -, £. -, s. 5 A Michele a dì 29 detto s. 5, disse per achonciare una marra, ebbe chontanti ______________________________________ f. -, £. -, s. 5 A tochatori a dì [ ] di genaio s. 10 per tochare Antonio vinattiere, c. [ ] ________________________________________ f. -, £. -, s. 10 A Michele a dì [ ] di genaio s. 5 per uno pennato, c. [ ] _________ _______________________________________________ f. -, £.-, s. 5 A Piero a dì 7 di genaio per 8 huova mandò per esse Piero a casa c. [ ] ___________________________________ f. -, £. -, s. 2, d. 8 A Michele a dì 12 detto per agli, c. [ ] _________ f. -, £. -, s. 4 Alla cucina a dì detto per pescie, disse Piero gli dessi, portò uno [...], c. [ ] ____________________________________ f. -, £. -, s. 8 A Michele a dì 14 detto per dare al Padre, c. 153 ______ f. -, £. -, s. 10 A Michele a dì 2 d’aprile s. 2 contanti, c. 153 ____ f. -, £. -, s. 2 Alla infermeria s. 2 per carne a dì 17 detto, c. [ ]_____ f. -, £. -, s. 2 Al convento £. una, s. 2 e per lui a [ ] Buoni per più cose si conprorono e lui prestò e denari __________________ f. -, £. 1, s. 2 Alla cucina s. 1, d. 4 in due volte a uno arechò cascio _____________ __________________________________________ f. -, £. -, s. 1, d. 4 A Michele nostro ortolano a dì 27 d’aprile £. una, e quali ebbe quando andò a San Godenzo, disse per uno paio di scarpette, c. 153 ___________________________________________________ f. -, £. 1 Al chonvento e per lui a Don Bernardino e per lui al notaio al Veschovado per richiamo di Marino, a dì 27, s. dodici __________ f. -, £. - s, 12
60. Corporazioni Religiose Soppresse dal Governo Francese 86, 48 (Convento di Santa Maria degli Angeli), c. 46d 1480 1480 Luca di Iacopo Migliorelli nostro pigionale nella Via de’ Fibbiai 140
nella casa dove stava già Benedetto dell’abaco de’ avere £. diciannove, s. X, posto debbi dare al libro nostro segnato G, c. 208 _______________ _________________________________________ f. -, £.19, s.10, d. -
c. 46s 30 novembre 1479-31 maggio 1481 Luca di Iacopo Migliorelli de’ dare a dì ultimo di maggio f. sei larghi, sono per la pigione finita da dì ultimo di novembre 1479 per insino a detto dì __________________________________ f. 6, £. - ... E de’ dare a dì ultimo di maggio 1481 f. dodici larghi, sono per la pigione d’uno anno finito da dì ultimo di maggio 1480 per insino a detto dì ________________________________________ f. 12, £. -
61. Ibidem, c. 49s 13 dicembre 1478 1480 Benedetto d’Antonio dell’abaco, per l’adrieto nostro factore, de’ dare f. centocinquanzette larghi e £. ducentocinquantuno, s. XI, d. II, posto li debbi avere al libro nostro segnato G, c. 212, per resto d’una sua ragione __________________________ f. 157, £. 251, s. 11, d. 2 E de’ dare, per insino a dì XIII di dicembre 1478, f. uno largo e £. 1, s. 4, ebbe per noi da Francesco di Nicolò di Panuntio, posto li debbi avere al libro nero segnato G, a c. 14 _____ f. 1, £. 1, s. 4, d.-
62. Ibidem, c. 52s 27 marzo 1480-27 febbraio 1481 1480 Il Piato contro a’ beni e possessori de’ beni di Benedetto, deono dare a dì XXVII di marzo 1480 £. ventinove, s. XV, come appare a uscita segnata H, c. 64 ___________________ f. -, £. 29, s. 15, d. E a dì VI d’aprile s. V, d. IIII, portò Marchionne per richieste, come appare a uscita segnata H, c. 64 ______________ f. -, £. -, s. 5, d. 4 E a dì XV detto £. una, s. VIII, d. VIII per la probatione del libro e richieste, come appare a uscita segnata H, c. 64 _____ f. -, £. 1, s. 8, d. 8 141
E a dì XVIIII detto s. V, d. IIII per richieste, come appare a uscita segnata H, c. 64 ___________________________ f. -. £. -, s. 5, d. 4 E a dì XXVI detto s. X, d. IIII per la copia della sententia e richieste, come appare a uscita segnata H, c. 65 ___________ f. -, £. -, s. 10, d. 4 E a dì XXIIII di maggio £. quatro, s. VIIII, portò Marchionne di Fhilippo, cioè £. una, s. III per la cassa e £. tre, s. VI per dare a Ser Giovanni Migliorelli per la copia della sententia, come appare in uscita segnata H, c. 65 ___________________________ f. -, £. 4, s. 9, d. E a dì XV di luglo s. XVI, sono per una lettera dagli Otto al Vicario di San Giovanni per examinare testimoni de’ poderi di Valdarno, come appare a uscita segnata H, c. 67 _____________ f. -, £. -, s. 16, d. E a dì XXVII detto £. due, demo a Piero di Donato per andare in Valdarno per fare examinare e lavoratori de’ poderi di Benedetto, come appare a uscita segnato H, c. 68 _____________ f. -, £. 2, s. E a dì XXVIII d’agosto £. una, demo a Bono di Nardo messo per andare a pigliare la tenuta di detti beni in Valdarno, come appare a uscita segnata H, c. 68 __________________________ f. -, £. 1, s. E a dì XVIII d’ottobre £. una e per lui a Bono di Marco, messo al Palagio del Podestà, per fare il comandamento dello sgombero, come appare a uscita segnata H, a c. 71 ___________ f. -, £. 1, s. E a dì III di dicembre £. una, s. IIII, portò [ ] messo per cedole, portò a’ detti beni come appare a uscita segnata H, a c. 73 ________________________________________ f. -, £,. 1, s. 4, d. E a dì XVIII detto £. una, s. VII, portò Piero di Donato per pagare alla Torre e a’ Banditori, come appare a uscita segnata H, a c. 73 _________________________________________ f. -, £. 1, s. 7, d. E a dì XXVII di febraio s. VI, portò Piero detto, disse per richiesta, come appare a uscita segnata H, a c. 77 _______ f. -, £. -, s. 6, d. -
63. Corporazioni Religiose Soppresse dal Governo Francese 86, 65 (Convento di Santa Maria degli Angeli), cc. 126r-126v Nota delle chase parteneano al Monisterio di Santa Maria degli Angioli ... // ... + Una chasa posta nella Via de’ Fibbiai, habitala Paolo di Santi, laquale chasa s’era venduta a Chavalino254 , tavolacino de’ Signiori, f.
254 Si tratta di Lorenzo di Piero d’Andrea detto Cavallino: la casa gli fu venduta il 26 febbraio 1485. Cfr. ASF, Corp. Rel. Soppr. dal Gov. Fran. 86, 49, c. 7v.
142
60 larghi. E perché detto Paolo vendé una casa in detta via al [...] f. 280 a tempo d’anni 6, riservandosi il dominio di detta casa, non avendo di poi hoservato detto paghamento, il detto Paolo ci sta in detta casa per detta chagione; e nelle chase comprate del detto v’entra in tenuta la moglie del fratello di detto Paolo per la dota di f. 210 ... . La chasa che di sopra segnata + si comprò nel modo detto di sopra f. 280, a tempo d’anni 6. Et poiché in detto tempo morì Lodovicho, fratello di detto Paolo, la donna sua è entrata, e auta la sententia che per la sua dote di f. 210 entri in due chase sul chalto dela Via de’ Fibbiai, i’ nelle qua’ chase, in una è Chavalino tavolacino, e nel’altra dove già stete Benedetto dell’abacho è Giovanni cieraiuolo, el quale stava prima a pigione nella chasa in sul chato de’ Servi ...255.
64. Corporazioni Religiose Soppresse dal Governo Francese 86, 96 (Convento di Santa Maria degli Angeli), c. 96r 28 febbraio 1479 Al nome di Dio a dì XXVIII di febraio 1478 Sia nota a cciascuna persona come questo dì ventotto di febraio 1478 sopradetto el venerabile religioso Don Lionardo di Donato di Lionardo Bruni, Priore e sindaco del nostro Monasterio, considerato che el sopradetto Monasterio à debito con più persone mediante le imposte e le guerre, per miglior partito vendé e dette e trasferì e concedé a Martino di Giovani Dannono, d’età d’anni quarantazei, di Lombardia, presente e comperante per sé e Mona Margherita sua donna d’età d’anni quaranta, e vita di loro due e di chi di loro sopraviverà, una casa posta nel Popolo di San Michele Visdomini di Firenze e che da primo via, a II e III beni del nostro Monasterio, a IIII l’heredi di Giovanni da Gaviola, o più veri confini che veri si trovassino. E così i sopradetti Martino e Mona Margherita sono tenuti a mantenere la casa e ogni acconcime o miglioramento vi facessino dopo la vita loro non possi mai essere adomandato. E la sopradetta casa vendemo loro f. cinquanta di sugello messi a entrata segnato G, c. 5, dal Convento nostro. E così il sopradetto Don Lionardo Priore promette a’ sopradetti Martino e Mona Margherita la difesa di detta
255 Tale documento 63, non datato, è sicuramente posteriore al 1495, in quanto nella Decima Repubblicana di quell’anno Giovanni di Giuliano di Iacopo Benintendi ha ancora in affitto una bottega di ceraiolo dai frati degli Angeli, situata sull’angolo di Via dei Servi: ASF, Decima Repub. 10, c. 353v.
143
casa se per alcuno tempo fussi loro molestata a ogni spesa del nostro Monasterio. E così i sopradetti non possono mai per alcuno tempo vendere o impegnare o apigionare la detta casa sanza licentia del Priore del nostro Monasterio che per tempi saranno. E di detta compera ànno una scripta in bambagia di mano di Benedetto nostro factore, soscripta di mano del sopradetto Don Lionardo Priore e d’Arrigo di Bernardo Tornaquinci e di Giuliano di Piero di Philippo della Fioraia. Et perché il sopradetto Martino di Giovanni e Mona Margherita ànno speso di poi vendemo la soprascritta casa circa di £. centocinquanta o più e così ànno animo di spendervi, vogliamo e così comendiamo a chi verrà dopo di noi che dopo la vita loro sia pregato i’ Dio per l’anime loro e che sieno partecipi de’ beni e dell’orationi si fanno continuamente in detto Monasterio come nostri benefattori a’ quali a Dio piaccia alla loro fine fare loro verace perdono e di condurgli alla gloria di vita etterna.
65. Corporazioni Religiose Soppresse dal Governo Francese 86, 200 (Convento di Santa Maria degli Angeli)256, c. 5d 1475 MCCCCLXXV Podere di Pozolaticho de’ avere ... El podere di rinpetto de’ avere £. cento ottanta due, s. tredici, sono per braccia 600 di divelto chol muro a s. cinque il braccio, il quale divelto si fecie fare in su detto podere, e opere quarantacinque misse Antonio Ma[r]tini e Fantapié, e opere quindici messe da più persone, e per braccia cinquantacinque di fossa posta e fognata a formelle cinque di puntoni, monta in tutto, posto debbi dare in questo, c. 131 __________________________________________ f. -, £. 182, s. 13 f. 182, £. 6, s. 0, d. 4 che tanti si sono paghati, e ‘l resto n’è creditore Benedetto in questo perché tanti n’achordò e fattore di dette opere, c. [ ].
256 Rileviamo che nell’inventario dell’ASF questa filza viene erroneamente registrata tra quelle del Convento di Sant’ Agata del Monte San Savino, che fu annesso al Convento di Santa Maria degli Angeli.
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66. Ibidem, c. 7s 17 gennaio 1476 MCCCCLXXV Spese di casa per mangiare e altre spese minute cotidiane .... E deono dare a dì 17 [di gennaio] detto £. sei, s. sette per cacio comperò Benedetto, a uscita segnata EE, c. 159 _____ f. -, £. 6, s. 7
67. Ibidem, c. 9s 8 aprile-9 novembre 1476 MCCCCLXXVI Benedetto chontraschritto de’ dare a dì 6 di luglo f. uno larghi, ebbe di me contanti per parte di sua ragione, come appare a uscita segnato EE, a c. [ ] __________________________________ f. 1, s. 4, d. E de’ dare a ddì 8 d’aprile 1476 fiorini quatro, soldi uno, denari undici a oro di sugello per una promessa fecie per noi Giovanni di Bonaiuto Lorini nostro pigionale, come apare al libro bianco segnato DD, c. 109 ____________________________ f. 4, s. 1, d. 11 a oro E de’ dare a dì 17 di maggio £. una, ebbe lui contanti, a uscita segnato EE, c. 167 ________________________________ f. -, £, 1, s.E de’ dare a dì primo di giugno £. una , s. dieci, portò lui contanti, a uscita segnato EE, c. 169 ______________________ f. 1, £. 1, s. E de’ dare a dì 12 detto £. due, s. dodici, d. otto, ebbe da Giordano nostro pigionale in somma di £. sei, a uscita segnato EE, c. 170_ ________________________________________ f. -, £, 2, s. 12, d. 8 E de’ dare a dì 10 di luglio fiorini sei larghi, ebbe lui chontanti a uscita segnato EE, c. 170 ________________________ f. 7, s. 4 a oro E de’ dare a dì 7 di settembre f. uno larghi, ebbe d’ Antonio del Maza, posto Antonio avere, c. 25 __________________ f. 1, s. 4 a oro E de’ dare a dì 6 d’ottobre f. uno largho ebbe d’Antonio detto in questo a c. 25 _____________________________________ f. 1, s. 4 E de’ dare a dì 9 di novembre f. uno largho ebbe d’Antonio del Maza, posto Antonio habbi dato in questo a c. 25 ___ f. 1, s. 4 a oro E de’ dare a dì 11 d’ottobre £. tre, s. 10 di piccioli, sono per tanti 145
fatti buoni a Rinaldo257 tessitore di pannilini, posto Rinaldo habbi dato in questo a c. 56 ________________________ f. -, £. 3, s. 10 a oro Posto la chasa debbi avere _______ f. 17 larghi et £. 4, s. 2, d. 8 in questo a c. 132
c. 9d 1476 MCCCCLXXVI Benedetto d’Antonio chontro ascritto de’ avere f. quindici, s. - a oro, posto debbi dare in questo a c. 72 ___________ f. 15, s. 0 a oro E de’ avere £. venti paghate a più operai per lo podere da Pozolaticho, in questo apare a c. 5 dalla somma di f. 3 larghi e £. 61 insino in £. 182, s. 13 _______________________________ f. 1, £. 20
68. Ibidem, c. 25d 4 maggio 1476-30 aprile 1477 MCCCCLXXVI Antonio del Maza orafo chontraschritto dee avere ... E de’ avere a ddì 4 di maggio f. uno largho, recò Benedetto a entrata EE, c. 44 ________________________________________ f. 1, s. 4 ... E de’ avere a ddì 21 di gugno f. uno largho, recò Benedetto a entrata EE, c. 46 _________________________________________ f. 1, s. 4 E de’ avere a ddì 7 d’agosto f. due larghi, recò Benedetto a entrata EE, c. 47 _________________________________________ f. 2, s. 8 E de’ avere a ddì 7 di settenbre f. uno largho fece buono a Benedetto, posto Benedetto debbi dare in questo a c. 9 _______________ f. 1, s. 4 E de’ avere a ddì 16 d’ottobre f. uno largho fattogli buono da Benedetto, posto Benedetto debbi dare in questo a c. 9 __________ f. 1, s. 4 E de’ avere a dì 9 di novenbre f. uno largho el quale dette a Benedetto, posto Benedetto nostro fattore debbi dare in questo a c. 9 ______________________________________________ f. 1, s. 4 ...
257
146
Rinaldo di Giovanni di Rinaldo della Magna (cc. 56, 127).
E de’ avere a dì 15 di dicenbre f. uno largho ebbe Benedetto, posto ebbi dare in questo a c. 9 ____________________________ f. 1, s. 4 E de’ avere a dì 8 di genaio f. uno largho ebbe Benedetto, posto Benedetto habbia avuto in questo a c. 78 ______________ f. 1, s. 4 E de’ avere dì 8 di febraio f. uno largho ebbe Benedetto, posto Benedetto habbia avuto in questo a c. 79 ______________ f. 1, s. 4 E de’ avere a dì 18 di marzo f. uno largho ebbe Benedetto, posto debbi dare in questo a c. 79 __________________________ f. 1, s. 4 E de’ avere a dì 26 d’aprile f. uno largho, ebbe Benedetto, posto debbi dare in questo a c. 79 __________________________ f. 1, s. 4 E de’ avere a dì 30 detto f. uno largho, ebbe Benedetto fattore, posto Benedetto habbia avuto in questo a c. 79 _________ f. 1, s. 4
69. Ibidem, c. 29s 15 luglio e 5 ottobre 1476 MCCCCLXXVI Nicholò contraschritto dee dare a dì 15 di luglio f. due larghi, ebbe in due volte, portò lui chontanti Benedetto a uscita EE, c. 171 ________________________________________________ f. 2 larghi E deono dare a dì 5 d’ottobre f. due larghi, portò Benedetto per resto di detta ragione ________________________________ f. 2 larghi
c. 29d 15 luglio 1476 MCCCCLXXVI Nicholò, treccone in Merchato Vechio, dee avere insino a dì 15 di luglio £. diciassette, s. cinque per huova, zuche e bietole, tolse da llui Benedetto pel convento insino detto dì d’accordo co’ lui ______________________________________________ f. -, £. 17, s. 5
70. Ibidem, c. 32d 10-13 luglio 1476 MCCCCLXXVI Bartolomeo Bartolini e chompagni, banchiere, de’ avere ... 147
E de’ avere a dì 10 [di luglio] detto f. undici larghi rechò Benedetto nostro fattore a entrata, c. 49 _________________________ f. 11 ... E de’ avere a dì [13] detto f. sei larghi rechò Benedetto a entrata segnata EE a c. 49 _____________________________________ f. 6
71. Ibidem, c. 42d 3 settembre 1478 1476 Maestro Antonio258 chontro ascritto de’ avere ... E de’ avere a dì III di septembre 1478 ... E de’ avere £. nove per noi a Benedetto nostro factore, cioè £. cinque per uno paio di vangaiuole e £. quatro dati in duo volte a Mona Pippa, donna del detto Benedetto, posto gli debbi dare innanzi, c. 172 _______________________________________________ f. -, £. 9, s. -
72. Ibidem, c. 43d 24 settembre 1478 1476 Matteo di Pagholo Martini de’ avere ... E de’ avere, per insino dì XXIIII di septembre 1478, s. X, diè a Benedetto nostro factore quando andò lasù, posto gli debbi dare in questo, c. 172 ____________________________ f. -, £. -, s. 10, d. -
73. Ibidem, c. 45d 11 maggio-6 luglio 1476 1476 Giovanni259 chontro ascritto debba avere f. quatro, s. 1, d. 11 a oro, e quali paghò per Benedetto a Bartolomeo Lapi e compagni, posto Benedetto abbia avuto in questo a c. 9 ____________ f. 4, s. 1, d. 11 E de’ avere a dì 11 di maggio f. quatro larghi, arrechò Benedetto 258 259
148
Antonio di Giovanni Francioso, barbiere (c. 42s). Giovanni di Bonaiuto Lorini (c. 45s).
a entrata, c. 44 _____________________________________ f. 4, s. 16 E de’ avere a dì 22 di gugno ... E de’ avere per più spese fatte insino al detto dì d’achordo chon Benedetto __________________________________________ f. 25 ... E de’ avere f. 2 larghi in grossoni, arechò Benedetto a entrata, posto debbi dare, c. 172 _______________________________ f. 2 larghi ... E de’ avere f. due larghi, s. XVI, d. XI e per noi a Benedetto nostro factore per insino a dì VI di luglio quali aveva avuti in un partita di f. quatro larghi, s. III, d. VIII, come appare al libro bianco segnato A, c. 8. E del resto ne gli à facto creditore qui di sopra di f. uno largho e £. due piccioli, siché, come si vede, gli restò in mano di contanti in detti f. due larghi s. XVI, d. XI, posto detto Benedetto debbi dare innanzi, c. 172 _____________________ f. 2, s. 16, d. 11 a oro larghi
74. Ibidem, c. 48s giugno 1476-febbraio 1479 1476 Domenico di Zanobi del Giochondo de’ dare ... E de’ dare f. trentatre, s. XII, d. VIII, sono per tanti facto creditore al ricontro in tre partite, cioè la prima di f. XVI, s. XIIII, d. VIII e la seconda di s. 18 a oro e la terza di f. sedici, i quali Benedetto per l’adrieto nostro factore aveva acconcio, cioè i f. XVI, s. XIIII, d. VIII per acconcimi facti alla bottega di giugno 1476, a tempo la teneva detto Domenico, ed esi feciono dette spese di febraio 1478, nel tempo la teneva Andrea d’Antonio del Giocondo, e lui ce n’à debitore al libro bianco, libro c. [ ]. E di mano di Benedetto à uno quadernuccio di detto Andrea segnato A, c. 54, e s. XVIII a oro mette di contanti e pel conto loro non appare, e più i f. sedici di sugello dice avere avuti Bartolomeo Bartolini e compagni banchieri in drappi di Domenico del Giocondo; nonn’ è cosa alcuna, perché Domenico non ce ne fa debitore, né Bartolomeo Bartolini creditore, siché evidentemente si vede detto Benedetto fraudatamente l’avea acconce solo per dare colore alla verità e che il nostro Priore non se ne potesse avedere. Imperò che lui avea facto fare a detto Andrea una promessa a Bartolomeo Strinati di f. venzei e s. VI, d. VIII a oro larghi, come a ricontro ne gli fo creditore, sotto dì XVII di maggio 1478, e fecela fare in nostro nome, sanza ne sapessimo cosa alcuna. E tutto poteva fare perché lui era sindaco nostro a potere fare ogni cosa ___________________________________________ f. 33, s. 12. d. 8 149
c. 48d 14 giugno 1476-29 maggio 1478 1476 Domenico contro ascritto de’ avere ... E de’ avere a dì XIIII di giugno 1476 f. quatro, s. III, d. XI, sono per once otto 3/4 di raso verde, levò Benedetto disse per la Marietta, sirochia del Priore, ma ebbelo Carlo di Donato Bruni, posto gli debbi dare innanzi, c. 179 ____________________________ f. 4, s. 3, d. 11 E de’ avere a dì IIII d’aprile 1478 ... E de’ avere a dì XXIIII detto f. due larghi e per noi a Benedetto nostro factore, posto gli debbi dare in questo innanzi a c. 172 e i quali ebbe per Domenico d’Andrea d’Antonio del Giocondo __________ f. 2, s. 8, d. E de’ avere a dì XVII di maggio f. ventitre larghi e un terzo e per noi a Benedetto nostro factore, i quali ebbe d’Andrea detto, e furono per una promessa fece in nome della casa come fece acconciare detto Benedetto a Bartolomeo Strinati banchiere in Mercato Vechio, i quali Benedetto ebbe dal detto Bartolomeo, posto detto Benedetto d’Antonio gli debbi dare innanzi, c. 172 ___________________ f. 23, s. E de’ avere a dì XXVIIII detto f. tre, s. XV a oro larghi, sono per braccia tre di raso verde levò Benedetto per Carlo di Francesco Tuccerelli, posto debbi dare in questo innanzi c. 124, e il detto drappo s’ebbe d’Antonio detto _________________________ f. 4, s. 10, d -
75. Ibidem, c. 51d 4 febbraio 1479 1476 Rede260 contro ascritto deono avere ... E deono avere a dì IIII di febraio 1478 f. tre di sugello e per loro da Guasparre Spinelli e compagni, dettono per noi a Benedetto nostro factore, posto gli debbi dare in questo, c. 172_____________ f. 3, -
260
150
Gli eredi di Matteo di Lorenzo, orafo (c. 51s).
76. Ibidem, c. 56d 9 novembre 1476 1476 Rinaldo261 chontro ascritto de’ avere ... E de’ avere a dì 9 di novenbre ... E de’ avere a dì detto £. 3, s. 10 per tanti gli fa buoni Benedetto fattore, posto Benedetto habbia avuto in questo a c. 9 __________ f. -, £. 3, s. 10
77. Ibidem, c. 60d 10 giugno 1478 1476 Rede d’Albizo262 chontro ascritto de’ avere ... E deono avere a dì X di giugno [1478] f. duo larghi, ebbe Benedetto factore, e per loro da Baldo dipintore, come appare al libro suo, c. 53 a entrata, posto Benedetto gli debbi dare innanzi, c. 172 ____________________________________________ f. 2 larghi, £. -
78. Ibidem, c. 61d 8 giugno 1476-8 maggio 1479 1476 Bartolomeo263 chontro ascritto de’ avere ... E de’ avere a dì VIII di gugno 1476 ... E de’ avere f. 3 larghi, e quali dette per noi a Benedetto, posto Benedetto debbi dare in questo a c. 172 ____________ f. 3, s. 12 ... E de’ avere insino a dì 14 d’aghosto f. quatro larghi, sono per panno ebbe Benedetto, posto debbi dare in questo a c. 172 _______ f. 4. 16 E de’ avere a dì 8 di maggio 1479 f. sette, s. 5, d. 4 a oro di sugello per panno s’ebbe da lloro per Benedetto, posto Benedetto debbi dare in questo, c. 172 __________________________________ f. 7. 5. 4 ...
261 262 263
Cfr. la nota 257. Albizzo da Fortuna (c. 60s). Bartolomeo Ciacchi (c. 175d).
151
E deono avere per tanti fatti buoni da Benedetto f. 4, s. 18, d. 8 per panno, posto Benedetto debbi dare in questo a c. 172 ______ f. 4. 18. 8
79. Ibidem, c. 65s 23 maggio 1478 1476 Bartolomeo e compagni chontro ascritti deono dare ... E deono dare f. quatordici, s. V, d. X a oro larghi a dì XXIII di maggio 1478, e quali ebbono da Benedetto nostro factore, posto gli debbi avere innanzi, c. 172, per resto di questa ragione ______________ _____________________________________________f. 14, £. 1, s. 13
c. 65d 31 luglio 1476-24 gennaio 1477 1476 Bartolomeo di Lionardo Bartolini e chompagni264 deono avere ... E de’ avere a dì 31 di luglio f. quatro larghi, rechò Benedetto a entrata, c. 47 _________________________________________ f. 4 ... E de’ avere a dì 24 di settenbre arechò Benedetto f. due larghi e £. nove, s. 1, e quali [...], posto Benedetto gli debbi dare innanzi a c. 172 ______________________________________ f. 1, s. 9, d. 1 ... E de’ avere a dì 24 di genaio f. tredici larghi, dette per noi a Benedetto nostro fattore, posto Benedetto habbia vuto in questo a c. 79 _________________________________________________ f. 13 ... E de’ avere f. nove larghi per tanti facto debitore di contro, avuti in duo volte da Bartolomeo Ciacchi e così creditore detto Bartolomeo indrieto, c. 61, e lui non gli avere pagati ma dati a Benedetto in altri modi, come apare al libro loro segnato A, c. 7. Inperò n’abbiamo a fare debitore Benedetto d’Antonio, posto gli debbi dare innanzi, c. 172 __________________________________________________ f. 9, £. -
264
152
banchieri (c. 32d).
80. Ibidem, c. 71s 23 marzo-12 maggio 1477 1476 Messer lo Priore nostro Don Lionardo chontro ascritto de’ dare ... E de’ dare a dì 23 di marzo f. uno largho, ebbe in prestito da Benedetto, posto debbi avere in questo el detto Benedetto, in questo, c. 79 __________________________________________ f. -, £. 5, s. 14 E de’ dare a dì 12 di maggio 1477 f. uno largho, ebbe da Benedetto, lo riebbe da Don Francesco scritto i’ nome del Priore, a uscita c. 82 ______________________________________________ f. -, £. 5, s. 14
c. 71d 1476 1476 Messer lo Priore nostro Don Lionardo de’ avere ... E de’ avere, per saldo fatto per Benedetto d’Antonio fattore, £. novanta, s. due, d. 8, chome apare a l’uscita a c. 187 ________________ ________________________________________ f. -, £. 90, s. 2, d. 8 E de’ avere per saldo fatto per detto Benedetto, chome apare a uscita segnata EE, a charta 189 _____________ f. -, £. 70, s. 2, d. 9
81. Ibidem, c. 72s 6 settembre 1476-gennaio 1477 1476 Benedetto d’Antonio fattore del nostro chonvento de’ dare chome apare in questo a c. 9 _____________________ f. 15, s. 10, d. 3 a oro E de’ dare a dì 6 di settembre £. una, s. 10, ebbe chontanti a uscita segnato EE a c. 175 ____________________________ f. -, s. 6, d. 8 E de’ dare per tanti posti per errore della prima partita di sopra che vuol dire f. 15, s. 10, d. 3 a oro che v’è per errore s. 14 a oro _____________________________________________ f. -, s. 14, d. E de’ dare a dì 28 di settembre s. 24, ebbe chontanti a c. 177 ______________________________________________ f. -, s. 5, d. 4 E de’ dare a dì 26 d’ottobre f. uno largho, ebbe chontanti, c. 180 153
___________________________________________________ f. 1, s. 4 E de’ dare a dì 15 di dicembre f. uno largho, ebbe d’Antonio del Maza, posto habbi dato in questo a c. 25 ______________ f. 1, s. 4 E de’ dare a dì 15 di dicembre £. due, s. 16, sono per 1/2 f. largho ebbe dal Priore a uscita segnato EE a c. 28 _____________ f. -, s. 12 E de’ dare a dì [ ] di genaio f. uno largho, ebbe d’Antonio del Maza, posto Antonio habbi havere in questo a c. 25 _____ f. 1, s. 4
c. 72d 1476 1476 Benedetto chontro a scritto de’ avere posto debbi dare in questo a c. 79 ________________________________ f. 20, s. 10, d. 0 a oro
82. Ibidem, c. 79s 26 dicembre 1476-31 giugno 1477 1476 Benedetto d’Antonio nostro fattore de’ dare chome apare in questo, posto debbi avere, c. 72 ___________________ f. 20, s. 10, d. 3 a oro E de’ dare insino a dì 26 di dicembre £. una, ebbe chontanti a uscita a c. 183 ___________________________________ f. -, s. 4, d. 5 a oro E de’ dare a dì 8 di febraio f. uno largho, ebbe d’Antonio del Maza, posto Antonio habbia avere in questo a c. 25 ___________ f. 1, s. 4 E de’ dare insino a dì 24 di gennaio f. tredici larghi, ebbe da Bartolomeo Bartolini, posto Bartolomeo habbi avere in questo a c. 65 ________________________________________________ f. 15, s. 12 E de’ dare a dì 17 detto s. 7 picioli a uscita, c. 184 ________________ _________________________________________ f. -, s. 1, d. 6 a oro E de’ dare insino a dì 25 di genaio f. uno largho, c. 184 ____ f. 1, s. 4 E de’ dare a dì 15 di marzo f. uno largho ebbe d’Antonio del Maza, posto Antonio habbi dato in questo a c. 22 ____________ f. 1, s. 4 E de’ dare a dì 26 d’aprile f. uno largho ebbe d’Antonio del Maza, posto habbi dato in questo a c. 22 ____________________ f. 1, s. 4 E de’ dare a dì 30 d’aprile f. uno largho d’Antonio del Maza, posto habbi dato in questo, c. 25 __________________________ f. 1, s. 4 E de’ dare a dì 8 di maggio s. 10 piccioli chome apare a uscita segnato G, c. 82 _______________________________ f. -, s. 2, d. 2 154
E de’ dare a dì 12 detto s. 8 perché ebbe chontanti a uscita segnato G, c. 82 _______________________________________ f. -, s. 1, d. 9 E de’ dare a dì 2 di gugno £. una , s. 10, ebbe contanti a uscita segnato G, a c. 83 _____________________________ f. -, s. 6, d. 8 E de’ dare a dì 7 di gugno £. una, portò chontanti a uscita segnato G, c. 83 _______________________________________ f. -, s. 4, d. 5 E de’ dare a dì 14 detto f. uno largho el quale ebbe dalle rede d’Albizo da Fortuna e per lui a Giovanni Richoveri, posto le rede dette debino avere in questo a c. [ ] ______________________ f. 1, s. 4 E de’ dare insino a dì 12 di giugno s. 12, portò contanti, c. 83 ______________________________________________ f. -, s. 2, d. 7 E de’ dare a dì 16 detto s. 11, d. 8, portò chontanti, c. 83 _______________________________________________f. -, s. 2, d. 7 E de’ dare a dì 31 detto £. una, s. 8, portò contanti, c. 83 ______________________________________________ f. -, s. 6, d. 3
c. 79d 1° novembre 1476-30 aprile 1477 1476 Benedetto chontro ascritto de’ avere per suo salario insino a dì primo di novenbre, che sono mesi nove a f. tre larghi il mese, f. venzette larghi che sono ____________________________________ f. 32, s. 8 E de’ avere per salaro di mesi tre insino a dì primo di febraio a f. due larghi el mese, f. sei larghi che sono, e f. uno largho el mese si mette per pigione della casa che gl’anno dato e frati ___________________________________________________ f. 7, s. 4 E de’ avere per salario di mesi uno finiti a dì primo di marzo, f. due larghi ________________________________________ f. 2, s. 8 E de’ avere per salario di 2 mesi finiti a dì ultimo d’aprile, f. quatro __________________________________________________ f. 4, s. 16 E de’ avere insino a dì 23 di marzo f. uno largho prestò al Priore, posto el Priore debbi dare in questo, c. 72 _____________ f. 1, s. 4 E de’ avere s. otto, d. 7, posto debbi avere in questo a c. 88 _____________________________________________ f. 3, s. 10, d. 3
155
83. Ibidem, c. 88s 21 giugno 1477-12 dicembre 1478 1477 Benedetto d’Antonio nostro fattore de’ dare dì 21 di gugno f. uno largho el quale ebbe d’Antonio del Maza, posto Antonio habbi dato in questo a c. 83 _____________________________________ f. 1, E de’ dare s. otto, d. 7 a oro di sugello chome apare in questo a c. 79, che sono a f. larghi ___________________ f. -, s. 7, d. 2 a oro E de’ dare a dì 5 di luglio f. due larghi, portò chontanti, c. 83 _____________________________________________________ f. 2, E de’ dare a dì 17 detto f. uno largho, portò contanti, c. 84 _______________________________________________________ f. 1 E de’ dare a dì 2 d’aghosto f. uno largho, £. 3, s. 13 a uscita segnata G, c. 84 ______________________________________ f. 1, s. 13 a oro E de’ dare a dì 3 d’aghosto s. quaranzei di piccioli a uscita, c. 85 ______________________________________________ f. -, s. 8, d. 1 E de’ dare insino adì 8 di maggio 1477 f. quatro laghi, ebbe per noi da Giovanni di Chiricho Pepi e compagni e per lui gli paghò alla Compagnia del Bigallo, posto Giovanni debbi avere in questo, c. 88 _________ f. 4 E de’ dare a dì 11 d’ottobre f. 5 larghi, ebbe chontanti a uscita, c. 86 _________________________________________________ f. 5 E de’ dare a dì detto £. una, s. 15, d. 4, ebbe contanti per resto di uno fiorino, c. 86 ____________________________ f. -, s. 6, d. 2 E de’ dare a dì 19 di genaio f. uno largho, ebbe contanti, c. 92 ______________________________________________________ f. 1 E de’ dare ... E de’ dare f. tre, s. 15, d. 2 a oro per tanti avuti d’Antonio del Maza orafo, posto debbi avere in questo a c. 89 ____________ f. 3. 15. 2 E de’ dare insino a dì 28 di marzo 1478 s. 30 a uscita, c. 94 ___________________________________________________ f. -, 5. 5 E a dì 23 di maggio £. due, portò chontanti, c. 96 ____ f. -, 7. 3 E de’ dare insino a dì 15 d’aghosto f. due larghi, ebbe d’Antonio del Maza in questo, c. 89 _______________________________ f. 2 E de’ avere insino a dì 12 di dicembre £. 11, s. 14 piccioli, e quali ci fa buoni per Rinaldo della Magna tessitore, posto Rinaldo debbi avere in questo a c. 127 per lavorio fatto___________ f. 2, s. -, d. 11 E de’ dare posto debbi avere in questo a c. 142 ____ f. 24, s. 15, d. 3 Messer Lorenzo contro ascritto de’ dare f. 64 larghi per errore che debba essere in questo a c. 93. 156
c. 88d 1° novembre 1477-31 ottobre 1478 1477 Benedetto chontro ascritto de’ avere per salario di 6 mesi finiti a dì primo di novembre 1477 f. dodici larghi e per resto, in questo a c. 79, f. 3, s. 10, d. 13 ________________________ f. 15, s. 10, d. 3 E de’ avere per la pigione d’un terreno di sotto per f. 3 larghi l’anno per uno anno che n’ànno la pigone _________________________f. 3 E de’ avere per lo suo salario di 6 mesi finiti a dì ultimo d’aprile 1478 ________________________________________________ f. 12. E de’ avere f. uno largho el quale è scritto per debitore in questo a c. 79, el quale fiorino non ebbe, e però lo pongho creditore _______________________________________________________ f. 1 E de’ avere insino a dì 14 d’aghosto f. due larghi, £. 9, s. 10 prestò a Don Francesco insino di gugno, a entrata segnata G, c. 4 ____________ ________________________________________________f. 3, 12 a oro E de’ avere insino a dì detto f. due larghi dati a [ ] Bruni per denari aveva fatti prestare al Priore _____________________________ f. 2 E de’ avere per salario di 6 mesi finiti a dì ultimo d’ottobre 1478 ______________________________________________________ f. 12 E de’ avere per errore che £. 20 sono messe per f. 3, s. 10 a oro di sugello e debbono dire f. 1, s. 1, d. 8 che mancha s. 9 a oro, et più s. 7, d. 2 a oro per la partita di f. 7, d. [ ] a oro che dice per resto e va a dire chosì ______________________ f. -, s. 16, d. 2 a oro
c. 88s 24 gennaio 1478 Giovanni di Chiricho Pepi e cchompagni chontro ascritti deono dare... E de’ dare a dì 24 di genaio £. otto di piccioli, e quali dette per lui el Priore a Do’ Francesco, le quali £. otto el detto Don Francesco l’aveva pagate a Benedetto nostro fattore per una ragione d’arrechare a un dì, posto el Priore debbi avere in questo a c. 71 ___________ f. 1, s. 8, d. 1
c. 88d 17 maggio 1477 Giovanni di Chiricho Pepi e chompagni banchieri deono avere a 157
dì 17 di maggio ... E de’ avere a dì detto f. quatro larghi, e quali diè per noi a Benedetto nostro fattore e per lui alla Compagnia del Bighallo, posto Benedetto debbi dare in questo, c. 88 ______________________________ f. 4
84. Ibidem, c. 89s 24 maggio-21 giugno 1476 1476 Antonio del Maza orafo de’ avere a dì 24 di maggio f. uno largho el quale dette per noi a Benedetto nostro fattore, posto Benedetto habbia avuto in questo a c. 88 __________________________ f. 1 ... E de’ avere insino a dì 21 di gugno f. uno largho per noi a Benedetto, posto Benedetto debbi dare in questo a c. 8 ______ f. 1
c. 89d - 15 agosto 1477 1477 Antonio chontro ascritto de’ avere ... E de’ avere f. tre, s. 15, d. 2 a oro, gl’avuti Benedetto, posto debbi dare in questo c. [ ] ________________________________ f. 3.15.2 E de’ avere f. uno largho el quale si dette per convento al libro per una cintola della donna di Benedetto aveva prestato al Priore per Piero, posto el convento debbi dare in questo a c. 121 _____________ f. 1 E de’ avere insino a dì 15 d’aghosto f. due larghi e per lui a Benedetto, posto Benedetto debbi dare in questo a c. 88 ____ f. 2 ... E de’ avere f. sei larghi dette per noi a Benedetto, posto Benedetto debbi dare in questo a c. 142 _____________________________ f. 6 E de’ avere f. sei larghi, dette per noi a Benedetto nostro fattore e per lui a Gino Ginori, posto detto Benedetto gli debbi dare in questo innanzi, c. 172 __________________________________________ f. 6
158
85. Ibidem, c. 98d 20 agosto 1478 1477 Giovanni di Matteo265 chontro scritto de’ avere ... E de’ avere a dì XX d’agosto 1478 £. quarantadue per noi a Benedetto nostro factore, e quali ebbe per lui da Piero di Nicolò Masini a entrata c. [ ], e posto Benedetto gli debbi dare innanzi, c. 172 _____________________________________________ f. -, £. 40 E de avere a dì [ ] per insino a dì V detto £. otto, diè per noi al detto, posto il detto, c. 172 ________________________ f. -, £. 8 E de’ avere adì VII detto £. dua, diè per noi al detto, posto il detto, c. 172 ___________________________________________ f. -, £. 2
86. Ibidem, c. 105s 17-24 novembre 1478 1477 Mona Checha266 chontro ascritta de’ dare ... E de’ dare a dì 17 di novenbre [1478] f. 10 larghi de’ quali ebbe da Benedetto f. uno e il resto per grano venduto, scritti al conto di Benedetto al libro segnato DD267 , a c. 133 ________________ f. 10 E de’ dare a dì 24 detto f. uno largo a detto chonto, c. 133 _____________________________________________________ f. 1, -
87. Ibidem, c. 107d 29 ottobre 1477 1477 Valerio di Andrea di Berto e compagni268 deono avere a dì 29 d’ottobre f. [ ], e quali sono per tanti è creditore di Benedetto
265 266 267 268
Giovanni di Matteo di Masino (c. 98s). Vedova di Vieri di Filippo Bancozzi (c. 105d). Il “libro segnato DD” è il Corp. Rel. Soppr. dal Gov. Fran. 86, 47. ritagliatori (c. 28d).
159
d’Antonio nostro fattore, et per lui al detto convento gl’impromette, e quali si debbano pagare secondo che apare al libro richordanze segnato A, c. 27 ______________________________________ f. [ ] Nicholò di Giovanni di Sandro269 lanaiuolo de avere f. otto di sugello, e quali denari si paghano per Benedetto d’Antonio nostro fattore, e quali s’ànno a pagare chome apare al libro di ricordi segnato G, a c. 27, posto Benedetto gli debi dare in questo innanzi, c. 172 ____________________________________ f. 6, s. 13 d. 4 a oro larghi
88. Ibidem, c. 109s 16 novembre 1478 MCCCCLXXVII Piero Porcelli270 chontro ascritto de’ dare ... E de’ dare per l’anno finito ... 1478 ... E deono dare s. 11 a dì 16 di novenbre e per lui a Sandro messo, a chonto di Benedetto al libro segnato DD a c. 133 ________ f. -, £. -, s. 11
89. Ibidem, c. 111d 1477 1477 Adovardo di Lorenzo dello Stechuto de’ avere f. dieci, s. 10 a oro di sugello, chon quelli modi e a que’ tenpi chome apare al libro richordi segnato G, a c. 30. E quali denari paghiamo per Benedetto d’Antonio nostro factore, come appare a dette ricordanze segnate G, c. 30, posto gli debbi dare innanzi a c. 172 ______ f. 10, s. 10 a oro di sugello
90. Ibidem, c. 116s 14 e 19 novembre 1477 1477 Mona Checha chontro ascritta de’ dare ... 269 270
160
Nicolò di Giovanni del Barbigia (c. 172d). Piero di Domenico Porcelli, affittuario (c. 41).
A dì 14 di novenbre f. due larghi, sono per uno chatasto di legna si chonperarono da [ ], portò Benedetto, c. 89 _________ ch. 1 ... A dì 19 di novenbre £. 1, s. 6 per due some di fraschoni, portogli e denari Benedetto, ebbegli la fante, a uscita in somma di £. 2, s. 16, c. 89 _______________________________________________ so. 2 ... A dì 19 di novenbre £ una, s. 10 per una soma di bracie, portogli e denari Benedetto, c. 89 ___________________________ so. 1 bracie
c. 116d 23 gennaio 1478-19 novembre 1480 1477 Francesco271 e figliuoli contro ascritti deono avere a dì 23 di gennaio £. 10, rechò Benedetto, ebbegli dall’Opera di Santo Spirito per loro, c. 3 __________________________________ f. -, £. 10 ... E de’ avere a dì 23 di novenbre £. tre al conto di Benedetto, c. 133 ___________________________________________________ f. -, £. 3 E de’ avere a dì [ ] £. tre al detto conto, c. 134 ____ f. -, £. 3 E de’ avere a dì XI di dicenbre 1479 ... E de’ avere f. quatro e mezo larghi, posto el convento nostro li debbi dare innanzi a c. 213, i quali lasciò loro il nostro Priore amore Dei perché loro dicevano restare avere, de’ sopradetti due anni, ducati undici larghi, e secondo noi restavano avere ducati due, ma loro dicevano che Benedetto, per l’adrieto nostro factore, aveva detto restavano a dare ducati trenta e il simile dicevano avea detto el Priore. Ma el Priore se ne raportava a Benedetto. E di poi avemo da lloro ducati quarantuno: siché, non si potendo chiarire perchè Benedetto è morto e il simile detto Francesco, ora siamo d’acordo con Santi e Stuagio suo figluoli dove restavano avere ducati due n’abbino avere, con questi quatro, sei e mezo, e così ne siamo rimasti d’acordo oggi questo dì XVIIII di novembre 1480 ______________ f. 4, £. 2, s. 18
91. Ibidem, c. 119s 9 dicembre 1478 1478 Antonio di Iachopo vinattiere in Vinegia de’ dare ... 271
Francesco di Cambio, carradore (c. 116s).
161
E de’ dare a dì 9 di dicenbre £. 1, s. 6, d. 8, e quali dette a Ser Luigi per lo richiamo se gli fece al conto di Benedetto, al libro segnato DD, c. 134 _______________________________ f. -, £. 1, s. 6, d. 8
c. 119d 29 gennaio-15 maggio 1479 1478 Antonio di Iachopo vinattiere in Vinegia de’ avere ... E de’ avere a dì XXVIIII di gennaio £. sette, dette per noi a Benedetto d’Antonio nostro factore, posto gli debbi dare innnanzi, c. 172 e a entrata, c. [ ]__________________________ f. -, £. 7, d. E de’ avere a dì primo di febraio f. uno largo di £. quatro, s. XIIII dette per noi a Benedetto, posto gli debbi dare innanzi, c. 172 _________________________________________ f. 1, £. 4, s. 14, d. E de’ avere a dì XX d’aprile 1479 f. uno largho, dette per noi al detto, posto gli debbi dare innanzi a c. 172 ____________ f. 1, £. E de’ avere a dì XV di maggio f. uno e mezo largho, dette per noi al detto, posto gli debbi dare innanzi, c. 172 _______ f. 1 1/2, £. -
92. Ibidem, c.126d 8 e 29 settembre 1478 1478 Giordano272 chontro ascritto de’ avere ... E de’ avere a dì VIII di settembre 1478 f. cinque larghi diè per noi a Benedetto d’Antonio dell’abaco e per lui li ebbe in duo volte da Piero di Nuto barbiere, cioè tre detto dì e due a dì XXVIIII detto, posto detto Benedetto li debbi dare innanzi c. [ ] __________f. 5, £.-, ...
c. 126d 1478 1478 Rede d’Aghostino273 detto deono avere ... 272 273
162
Giordano di Iacopo, rigattiere (c. 126s). Agostino di Marco di Puccio (cc. 34d, 126s).
E deono avere £. diciannove, s. XII dette per noi a Benedetto nostro factore per resto dell’anno 1478, e posto gli debbi dare c. 171 a entrata c. [ ] _____________________________________ f. 19, s. 12, d. -
93. Ibidem, c. 127d 14 novembre 1478 1478 Alexo274 contro ascritto de’ avere a dì 14 di novenbre f. 2 larghi, ebbe Benedetto al conto suo al libro segnato DD, a c. 133 ______________________________________________________ f. 2 .......................................................................................................................................
12 dicembre 1478-1479 Rinaldo275 chontro ascritto de’ avere per più panno fatto a Benedetto insino a dì 12 di dicenbre 1478, £. 11, s. 14, d’acordo posto Benedetto debbi dare in questo a c. 88 ___________________________ _____________________________ f. 2 larghi, £. -, s. -, d. 11 a oro ... E de’ avere a dì 12 di genaio £. sei in f. 1 largho e s. 4, ebbe Benedetto a detto conto, c. 135 __________________ f. 1, s. -, d. 7 E de’ avere £. dieci, s. X e per noi a Benedetto d’Antonio, sono per braccia quarantadue di pannolino grosso a s. V il braccio, dato al detto, posto gli debbi dare innanzi, c. 172 ____________ f. -, £. 10, s. 10, d. E de’ avere £. tre, s. IIII e per noi a Benedetto detto, sono per la valuta di libre quatro di cera bianca avamo avere di due anni, cioè del 1478 e 1479, posto Benedetto gli debbi dare in questo innanzi, c. 172 __________________________________________ f. -, £. 3, s. 4, d. E de’ avere f. uno largho dette per noi a Benedetto detto quando tornò dal Poggio Imperiale, posto debbi dare in questo innanzi, c. 172 __________________________________________________ f. 1, £. ..........................................................................................................................................
274 275
Alesso di Iacopo, rigattiere (c.127s). Cfr. la nota 257.
163
21-29 gennaio 1479 Bartolomeo chontro ascritto de’ avere £. dieci, le quali à dato in due volte, una di £. 6 sotto dì 21 di genaio 1478 che l’ebbe il Priore, e una di £. quatro sotto dì 29 detto che gl’ebbe Benedetto chontanti __________________________________________________ f. -, £. 10 E le sopradette £. sei àne avute il Priore sono a entrata segnata G, c. 5, e le £. quatro àne avute Benedetto n’è debitore a uno conto da parte al libro bianco segnato DD, c. 135.
94. Ibidem, c. 128d 9 gennaio 1479 1478 Ghabella della Porta deono avere, a dì 9 di gennaio, f. otto larghi, £. 4, s. 12 al conto di Benedetto, al libro segnato DD, a c. 135 ________________________________________ f. 8 larghi, £. 4, s. 12
95. Ibidem, c, 132s 1478 1478 La chasa nostra de’ avere ... E de’ avere f. 17 larghi e £. 5, s. 2, d. 8, paghati a Benedetto nostro fattore, chome apare in questo a c. 9 ________ f. 17, £. 5, s. 2, d. 8
96. Ibidem, c. 133s - 15 agosto 1478 1478 La chucina nostra de’ dare ... E de’ dare a dì [ ] per lui a Bartolino pizzicagnolo, portò Benedetto, c. 102 __________________________________________ f. 2 ... E de’ dare insino a dì 15 d’aghosto per salina a chonto di Benedetto, al libro segnato DD, a c. 131 _____________________ f. -, £.-, s. 6 E de’ dare a dì detto allo Sexto per huova, che ne dette Piero f. 164
uno largho e Benedetto £. 3, s. 10, a detto conto, £. 3, s. 10, d. -, c. 131 _______________________________________ f. 1, £. 3, s. 10 ...
97. Ibidem, c. 134d 12 dicembre 1478-5 marzo 1479 1478 Michele di Lorenzo linaiuolo de’ avere ... E de’ avere a dì 12 di dicenbre £. 4, s. 16 chontanti, ebbe Benedetto al chonto suo al libro segnato DD, a c. 134 _____ f. -, £. 4, s. 16 ... E de’ avere a dì V di marzo f. uno largho e per noi a Benedetto nostro factore, e per lui Adovardo di Lorenzo dello Steccuto, posto detto Benedetto lo debbi dare in questo, c. [ ] _____________ f. -, £. 5, s. 14, d. -
98. Ibidem, c. 137s 30 novembre 1478 1478 Mona Checa de’ dare ... E de’ dare a dì 30 di novenbre s. otto, ebbe Nicholò suo figluolo, disse per legne, a conto di Benedetto, al libro segnato DD, a c. 133 ________________________________________________ f. -, £. , s. 8
99. Ibidem, c.140d 1478 1478 La chasa nostra de’ avere ... E de’ avere f. 4 larghi per tanti dati a Benedetto nostro fattore, chome apare in questo a c. 72 ______________________ f. 4, £. - ... E de’ avere f. 8, s. 16, d. 4 sugello a oro per tanti dati a Benedetto nostro fattore, chome apare a parte in questo a c. 79 ___ f. 7, £. 1, s. 19
165
100. Ibidem, c. 142s 23 agosto-1° ottobre 1478 1478 Benedetto chontro ascritto de’ dare a dì 23 d’aghosto £. una, portò chontanti, c. 100 ____________________________________ f. -, £. 1 E de’ dare £. due s. 15 per tanti avuti chontanti da Frate Mauro a uscita, c. 101 _________________________________ f. -, £. 2, s. 15 E de’ dare a dì primo d’ottobre f. uno largho ebbe da Gordano chome apare al conto suo a libro segnato DD a c. 132 _______ f. 1 E de’ dare a dì primo di maggio f. 6 larghi, ebbe d’Antonio del Maza per una promessa fece per detto Benedetto, posto Antonio debbi avere in questo a c. 89 ___________________________________ f. 6 E de’ dare f. nove larghi, sono per nove mesi che lui s’à facto creditore di f. venzette larghi e non à avere se none diciotto perché non gli davamo se none f. due larghi il mese, però lo facciamo debitore de’ detti f. nove larghi, come appare detto errore indrieto, c. 79 __________________________________________________ f. 9, £. E de’ dare f. venti larghi e s. XII, d. VIII di piccioli, posto gli debbi avere innanzi, c. 172, sono per resto di questa ragione _______________ _______________________________________ f. 20, £. -, s. 12, d. 8 f. 36 larghi, £. 4. 7. 8
c. 142d 1° maggio 1479 1478 Benedetto d’Antonio nostro fattore de’ avere, come apare in questo a c. 88, f. 24, s. 15, d. 3 a oro larghi, e de’ avere per salario di 6 mesi finiti a dì primo di maggio 1479 ________________________ f. 12
101. Ibidem, c. 143d 13 dicembre 1478 [1478] Francesco di Nicolò di Panuntio de’ avere a dì XIII di dicembre 1478 ... 166
E de’ avere a dì detto f. uno largho, £. 1, s. 4, diè per noi a Benedetto d’Antonio nostro factore, posto lo debbi dare al libro giallo segnato H, a c. 49 ________________________________ f. 1, £. 1, s. 4, d. -
102. Ibidem, c. 146s 15 agosto 1478 1478 La chanova del vino de’ dare ... E de’ dare insino a dì 15 d’aghosto s. 14 per due fiaschi di trebiano a conto di Benedetto, al libro segnato DD, a c. 131 _____ f. -, £. -, s. 14 ...
103. Ibidem, c. 153s 22 e 27 dicembre 1478 1478 Michele nostro ortolano de’ dare ... E de’ dare a dì 22 di dicenbre s. 5, d. 4, ebbe da Benedetto chontanti, a conto di detto Benedetto, al libro segnato DD, a c. 134 __________________________________________ f. -, £. -, s. 5, d. 4 E de’ dare a dì 27 detto s. 8, portò chontanti, c. 134 ___ f. -, £. -, s. 8 E de’ dare s. 7 disse aveva achatatti da Frate Mauro per resto d’un fiorino aveva avuto di marroni, che è debitore di f. 1 largho, e detti s. 7 aveva dati Benedetto perché gli rendé a Frate Mauro, et £. 5, s. 8 sono posti per creditore el convento, in questo a c.157 _______________________________________________________ f. 1
104. Ibidem, c. 158s 8 dicembre 1478 1478 Messer Don Lionardo di Donato di Messer Lionardo de’ avere ... E de’ avere a dì 8 di dicenbre s. 7, d. 8, e quali prestò al convento, al conto di Benedetto al libro segnato DD a c. 134, in soma di s. 6, 167
d. 4 cavate fuora __________________________ f. -, £. -, s. 7, d. 8 Messer Don Lionardo di contro de’ dare f. sei larghi, sono per tanti n’era creditore indrieto, c. 71, aveva pagati a Guasparre bichieraio e non era vero, per errore ch’avea preso Benedetto nostro factore __________________________________________________ f. 6, £. -
c. 158d 27 dicembre 1478 1478 Messer Don Lionardo di Donato di Messer Lionardo, al presente Priore, debbe avere ... E de’ avere s. 16 a dì 27 di dicenbre, e quali dette alla Ghabella di farina in somma di £. 1, s. 16, che £. una è al chonto di Benedetto al libro segnato DD, c. 134 ______________________ f. -, £. -, s. 16 E de’ avere f. 1 largho e £. 2, s. 2, chome apare al conto di Benedetto al libro segnato DD a c. 131, che glene dette 2 partite el Priore, e l’ altra Fra’ Mauro _______________________________ f. 1, £. 2, s. 2 E de’ avere f. uno largho, el quale dette a Benedetto, che si spese in pesto £. 4, s. 5, d. 4 et il resto ebbe Benedetto, al detto conto a c. 131 _________________________________________________ f. 1
105. Ibidem, c. 159d 17 ottobre 1478 1478 Fio276 chontro ascritto de’ avere a dì 17 d’ottobre f. 2 larghi, de’ quali ne dette f. uno a Pagholo muratore, posto concimi di fuora debbino avere in questo a c. [ ] f. 1 largho, e f. uno largho dette a Benedetto al conto suo al libro segnato DD a c. 132 _______ f. 2
276
168
Cfr. la nota 250.
106. Ibidem, c. 160d 14 novembre 1478-3 giugno 1479 1478 Ser Giovanbatista e Francesco e Lucha277 suo frategli deono avere ... E deono avere a dì 14 di novembre f. 1 largo ebbi da Ser Giovanbatista al conto di Benedetto, al libro segnato DD, a c. 133 __________________________________________________ f. 1, -, ... E deono avere f. uno larghi e £. -, s. XVIIII, e per noi a Benedetto d’Antonio nostro factore, posto gli debbi dare innanzi, c. 172, i quali ebbe da Ser Giovanni e Francesco detto per insino a maggio 1479 _________________________________________ f. 1, £. 0, s. 19, d. E deono avere a dì XXII di maggio 1479 £. quatro, dettero per noi a Benedetto d’Antonio nostro factore, posto gli debbi dare innanzi, c. 172, i quali ebbe da Luca d’Albizo _____________ f. -, £. 4, s. E deono avere a dì XXVIIII detto £. 3, s. XV e per noi a Benedetto detto, posto gli debbi dare innanzi, c. 172, i quali ebbe da Francesco _______________________________________ f. -, £. 3, s. 15, d. - ... E deono aver per insino a dì III di giugno 1479 £. 1, s. X, dettono per noi a Benedetto nostro factore, posto debbi dare innanzi, c. 172, sono che tanti n’ebbe contanti da Francesco detto _______________________________________ f. -, £. 1, s. 10, d. - ...
107. Ibidem, c. 161d 7 gennaio-19 giugno 1479 1478 Francesco di Giuliano ceraiuolo de’ avere ... E de’ avere a dì VII di gennaio f. 1 largo e £. quatro, diè per noi a Benedetto d’Antonio, posto gli debbi dare innanzi c. 172, sono messi in una somma di f. due larghi e £. IIII, come appare al quadernuccio di detto Francesco, delle portate, segnato A, c. 31, di mano di Benedetto, perché vi mette f. uno largo, facto creditore qui di sopra per una immagine data a Michele nostro ortolano, resta in tutto dati a Benedetto il detto f. uno largho e £. 4 _______________ f. 1, £. 4 277
Giovanbattista, Francesco e Luca d’Albizzo da Fortuna.
169
E de’ avere a dì primo di febbraio £. tre e per noi a Benedetto d’Antonio, posto debbi dare innanzi, c. 172 _________ f. -, £. 12, E de’ avere a dì XVIIII di giugno £. tre, sono per libre 5 di candele di cera, dette per noi a Ser Franco Cappellano di San Michele Visdomini, posto la detta chiesa debbi dare indrieto, c. 86 _______________________________________________ f. -, £. 3, s.............................................................................................................................................
1476-dicembre1478 La Chompagnia del Bigallo de’ avere a dì [ ] di dicenbre al conto di Benedetto al libro segnato DD a c. 134 _________ f. 9, £. 3, s. 17 E deono avere £. ventitré, s. VIII e per noi a Benedetto d’Antonio nostro factore, posto gli debbi dare innanzi, c. 172, sono che tanti s’avea ritenuti in mano in tre anni, cioè del 1476 e 1477 e 1478, come si vede, che ogn’ano faceva debitore la detta Compagnia di £. 56, e ella avea a essere debitore di £. sexantatré, s. XII col retenimento, siché s’à ritenuto in mano di nostro, come si vede, le sopradette £. 23, d.8 ne’ sopradetti tre anni _________________________ f. -, £. 23, s. 8
108. Ibidem, c. 172s 2 ottobre 1476-15 maggio 1479 1479 Benedetto d’Antonio che fu nostro factore de’ dare a dì V d’agosto 1478 £. otto, ebbe per noi da Giovanni di Matteo di Masino nostro fictaiuolo, come apare indrieto c. 98 ______________ f. -, £. 8, d. E de’ dare a dì VII detto £. dua, ebbe per noi dal detto, come apare, c. 98 _________________________________________ f. -, £. 2, d. E de’ dare a dì XX detto £. quaranta, ebbe per noi dal detto, come apare c. 98 ___________________________________ f. -, £. 40, s. E de’ dare £. diciannove, s. dodici, ebbe per noi da rede di Francesco d’Agostino, come apare indrieto c. 126 ______________ f. -, £. 19, s. 12 E de’ dare per insino a dì XVI di luglo 1478 f. uno largo, ebbe per noi da Giordano rigattiere, come apere indrieto a conto di Giordano, c. 126 ___________________________________ f. 1, £. E de’ dare a dì XXIX di gennaio £. due, s. cinque, ebbe dal detto come apare c. 126 _______________________________ f.-, £. 2, s. 5 170
E de’ dare a dì XIII di marzo f. uno largo, ebbe dal detto come apare c. 126 _______________________________________ f. 1, £. E de’ dare a dì XXX detto £. tre, s. VI, ebbe dal detto come apare c. 126, disse per un paio di calze _________________ f. -, £. 3, s. 6 E de’ dare per insino a dì X di giugno 1478 f. duo larghi, ebbe per noi da rede d’Albizo da Fortuna, come apare indrieto c. 60, e per loro da Baldo dipintore ______________________________ f. 2, £. E de’ dare a dì XXIX di gennaio £. sette, ebbe per noi da Antonio di Iacopo vinattiere, come apare indrieto c. 119 _____ f. -, £. 7, s. E de’ dare a dì primo di febbraio f. uno largo et £. quatro, s. XIIII, ebbe per noi da Antonio di Iacopo detto, come apare c. 119 _____________________________________________ f. 1, £. 4, s. 14 E de’ dare a dì XX d’aprile 1479 f. uno largo, ebbe per noi dal detto, come apare c. 119 ____________________________ f. 1, £. E de’ dare a dì XV di maggio f. uno e mezo largo, ebbe per noi dal detto, come apare c. 119 _________________ f. 1 1/1, £. 2, s. 18 E de dare f. quatro larghi sono che tanti n’à facto creditore Antonio del Maza orafo, come apare al conto del detto Antonio indrieto c. 25. I quali denari il detto Benedetto ci à fraudati perché li à rimessi da piè e in mezo d’una faccia all’entrata segnata EE c. 49 e c. 50; l’una mette a dì 2 d’ottobre 1476 e l’altra a dì due di novembre 1476. E i detti denari non appariscono pel libro delle portate del detto Antonio, ma uno fiorino per volta, in altri tempi che in quelli che lui gli à messo a cconto di detto Antonio e così all’entrata segnato EE ___________________________________________________ f. 4, £. E de’ dare per insino a dì XXIIII di maggio 1477 f. uno larghi, ebbe per noi da Antonio del Maza orafo, come apare in questo indrieto c. 89, il quale dice aversene facto debitore a c. 88, e di poi non l’à facto ___________________________________________________ f. 1, £. E de’ dare ducati due, s. V, d. 6 a oro larghi, ebbe per noi d’ Antonio del Maza orafo, posto gli debbi avere, indrieto c. 89 _______________________________________ f. 2, £. 1, s. 11, d. 7 E de’ dare ducati sei larghi, ebbe per noi da Antonio del Maza orafo, pagò per noi a Gino Ginori, posto detto Antonio gli debbi avere indrieto __________________________________________ f. 6, £. E de’ dare f. tre larghi, ebbe per noi da Bartolomeo Ciacchi, come apare indrieto a conto di detto Bartolomeo, c. 61 ______ f. 3, £. E de’ dare per insino a dì XIIII d’agosto f. quatro larghi, ebbe per noi dal detto, indrieto c. 61 ___________________________ f. 4, E de’ dare a dì otto di maggio 1479 f. sette, s. V, d. IIII di sugello, ebbe per noi dal detto indrieto, c. 61 _________ f. 6, £, -, s. 6, d. 7 E de’ dare f. quatro, s. XVIII, d. VIII di sugello, ebbe per noi dal 171
detto, indrieto c. 61 ___________________________ f. 4, £. -, s. 13 E de’ dare f. tre di sugello per insino a dì IIII di febbraio 1478, ebbe per noi da rede di Matteo di Lorenzo orafo e per loro da Guasparre Spinelli e compagni, come apare in questo indrieto c. 51 ______________________________________________ f. 2, £. 2, s. 17 E de’ dare f. uno largo, factone creditore Bartolomeo Ciacchi, sotto dì due di gennaio 1476, chiamando l’ entrata segnata EE, c. 51, et vedesi quivi la partita rimessa e per loro conto non si truova abbino mai dato uno fiorino ma maggiore somma e in altri tempi, ma metteva variati perché noi potessimo vedere le ragioni raguagliate, posto detto Bartolomeo debbi avere, indrieto c. 61 _________________ f. 1, £. E de’ dare f. quindici, s. XIII, d. IIII a oro larghi, e per lui a Bartolomeo Ciacchi e compagni lanaiuoli, posto gli debbino avere, in questo innanzi c. 175, per resto di f. quarantuno larghi cioè sono f. dieci larghi, per braccia otto e mezo di pagonazo, come apare al libro loro giallo segnato A, c. 91, e f. diciannove, s. 9, d. 7 a oro larghi per bracia quatordici di panno nero di perso, come apare al detto libro c. 108, e f. undici, s. XIII, d. IIII larghi per braccia dodici di pano tane, come apare a detto libro c. 108. El panno pagonazo ebbe a dì XII di maggio 1477 e il panno nero di perso ebbe a dì XXIIII d’ottobre 1477 e il panno tane ebbe a dì XII di novembre 1478, come apare al detto libro giallo, e in tutto montano detti panni f. quarantuno, s. II, d. XI a oro larghi, de’ quali n’abbiano facti buoni a detti Bartolomeo Ciacchi e compagni in sei partite f. ventiquatro larghi, s. XVIIII, d. 7, piccioli in questo indrieto c. 61; la prima di f. uno largo e l’ultima di f. quatro, s. XVIIII, d. otto di suggello, benché i detti Bartolomeo Ciacchi e compagni non ce n’abbino debitori in quel modo gli abbiano creditori. Et il resto facciamo loro buoni innanzi c. 175, come di sopra si dice ________________________________ f. 15, £. 3, s. 16 larghi E de’ dare £. nove e per lui a Maestro Antonio di Giovanni Francioso barbiere, posto gli debbi avere in questo indrieto c. 42 _______________________________________________ f. -, £. 9, s. E de’ dare a dì V di marzo 1478 f. uno largo, ebbe per noi da Michele di Lorenzo linaiuolo nostro pigionale il quale dette, per detto Benedetto, a Adovardo di Lorenzo dello Steccuto, come apare a conto di detto Michele indrieto c. 134 ____________________ f. 1, £. E de’ dare per insino a dì XXVI di gennaio 1477 £. otto, s. XV, ebbe per noi dallo Spedale di Santa Maria Nuova, posto debbi avere in questo innanzi c. 180 _________________________ f. -, £. 8, s. XV E de’ dare per insino a dì XIII di febbraio 1478 £. diciassette, s. IIII, ebbe per noi dallo Spedale di Santa Maria Nuova, posto debbi avere in questo innanzi c. 180 ___________________ f. -, £. 17, s. 4 172
E de’ dare per insino a dì XXIIII di marzo 1478 f. due larghi, ebbe per noi dallo Spedale di Santa Maria, posto debbino avere innanzi c. 180 _______________________________________________ f. 2, £. E de’ dare per insino a dì primo detto f. uno largo, come appare a uscita segnata G, c. 103 ____________________________ f. 1, £. E de’ dare a dì XIII detto £. una, portò contanti a uscita c. 104 ______________________________________________ f. -, £. 1, s. E de’ dare per insino a dì VIIII di giugno 1478 f. due larghi, ebbe per noi dalla Compagnia delle Laudi di Sanzanobi, come appare indrieto a c. 50, i quali lui avea mesi con una partita d’uno fiorino largo, messi a entrata segnata G, c. 4, sotto dì nove di marzo 1477, e qua[li] lui, come si vede, si ritenne a sé ______________ f. 2, £. E de’ dare £. dieci, s. X, ebbe per noi da Rinaldo della Magna nostro pigionale, in sul conto della Via de’ Fibiai, in braccia quarantadue di pannolino, come appare indrieto c. 127 _____ f. -, £. 10, s. 10, d. E de’ dare £. tre, s. IIII, ebbe per noi da Rinaldo detto, come appare indrieto c. 127 _____________________________ f. -, £. 3, s. 4, d. -
c. 172d 1476-31 maggio 1479 1479 Benedetto d’Antonio di contro de’ avere per insino a dì XXIII di maggio 1478 f. quatordici, s. V, d. X a oro larghi e per noi a Bartolomeo di Lionardo Bartolini e compagni banchieri, posto gli debbino dare in questo indrieto c. 65 __________________ f. 14, £. 1, s. 13, d. E de’ avere f. venti larghi e s. XII, d. VIII di piccioli posto gli debbi dare indrieto c. 142, sono per resto di quella ragione ________________________________________ f. 20, £. -, s. 12, d. 8 E de’ avere £. quatro, s. X per insino a dì XXVIII di novembre 1478, avuti da Francesco di Giuliano ceraiuolo, scritti Benedetto in una somma di f. due larghi e £. due avere ricevuto contanti, che n’ebbe Piero £. IIII, s. 10, che si spesono in casa, posto el convento debbi dare innanzi, c. 188 _______________________ f. -, £. 4, s. 10, d. E de’ avere per insino a dì XXVIIII di dicembre 1478 f. uno largo, recò contanti come appare a entrata segnata G, c. 5 _____ f. 1, £. E de’ dare a dì X di maggio 1479 f. cinque larghi, recò contanti come appare a entrata segnata G, c. 6 _________________ f. 5, £. E de’ dare per insino a dì XXII detto £. quatro, sono per tanti n’è debitore, qui da piè avuti da Luca d’Albizo, e gli aveva recati Piero 173
di Donato come appare a entrata segnata G, c. 6, in nome di Ser Giovanni d’Albizo ______________________________ f. -, £. 4, s. E de’ avere f. centotrentotto, £. ducentoquarantanove, s. XVIIII, d. II, posto gli debbi dare in questo innanzi c. 212, sono per resto di questa ragione _______________________ f. 138, £. 249, s. 19, d. 2 178, £. 260. 14. 10 E de’ dare f. uno largo, ebbe per noi da Rinaldo della Magna, come appare indrieto c. 127 ______________________________ f. 1, £. E de’ dare £. ventitre, s. VIII, ebbe per noi dalla Compagnia della Misericordia, come appare in questo indrieto c. 161, sono che tanti s’avea ritenuti in tre anni sanza assegnarne alcuno conto, cioè 1476 e 1477 e 1478; e perchè noi non ce ne avedessimo non faceva debitore la Compagnia se non è di £. cinquantasei, che abbiamo avere ogni anno f. XIIII di sugello, che in questi tre anni, col ritenimento ci fanno, ci tornono ogni anno f. sexantatre, s. XVI, o più o meno secondo le valute, ma noi mettiamo questi tre anni secondo gli riscose l’anno 1476 benché l’anno 1479 ne abbiamo ritratto f. undici larghi, £. III, s. XII _________________________________________ f. -, £. 23, s. 8, d. E de’ dare f. otto a oro di sugello e per lui a Nicolò di Giovanni del Barbigia lanaiolo, posto gli debbi avere indrieto c. 107, per panno avuto da llui _____________________________ f. 6, £. 3, s. 17, d. E de’ dare f. dieci, s. [ ] a oro di sugello e per lui a Adovardo di Lorenzo dello Steccuto, posto gli debbi avere indrieto, c. 111 _________________________________________ f. 8, £. 4, s. 6, d. E de’ dare f. tre e mezzo di sugello e per lui a Iacopo di Iacopo Sangalletti, posto gli debbi avere innanzi, c. 182 ___________________ _________________________________________ f. 2, £. 5, s. 5, d. E de’ dare f. dieci, s. II, d. VIIII a oro larghi e per lui a Valerio d’Andrea di Berto e compagni, posto debbino aver indrieto a c. 107 _______________________________________ f. 10, £. -, s. 16, d. E de’ dare per insino a dì XXIIII di septembre 1478 s. dieci, ebbe per noi da Matteo di Pagolo Martini da Pulicciano, posto gli debbi avere indrieto, c. 43 _______________________ f. -, £. -, s. 10, d. E de’ dare f. nove larghi, sono che tanti n’avea facto debitore Bartolomeo di Lionardo Bartolini banchiere in Mercato Vechio, indrieto c. 65, avuti da Bartolomeo Ciachi e compagni lanaiuoli, i quali non aveano pagati, ma avevongli facti buoni a Benedetto per suo conto in altre somme, come appare pel quaderno segnato A, c. 7 di detto Bartolomeo Ciachi __________________________________ f. 9, £. E de’ dare per insino a dì VII di septembre 1476 £. nove, s. 1, ebbe 174
per noi da Bartolomeo Bartolini e compagni, postogli debbino avere indrieto, c. 65 _____________________________ f. -, £. 9, s. 1, d. E de’ dare per insino a dì XXIIII d’aprile 1478 f. due larghi e per noi d’Andrea d’Antonio del Giocondo, per conto di Domenico del Giocondo, posto gli debbi avere indrieto c. 48 __________ f. 2, £. E de’ dare a dì XVII di maggio 1478 f. ventitre larghi, s. sei, d. VIII larghi e per noi d’Andrea detto per conto di detto Domenico, posto gli debbi avere indrieto, c. 48 ________ f. 23, £. 1, s. 18, d. E de’ dare a dì XXII di maggio 1479 f. ventitre e 1/3 larghi e per noi da Nicolò di Domenico del Giocondo, posto debbi avere innanzi, c. 190 ________________________________ f. 23, £. 1, s. 18, d. E de’ dare f. venticinque larghi sono per la pigione della casa teneva da noi nella Via de’ Fibiai per f. 12 larghi l’anno, da dì ultimo d’aprile 1477 per insino a dì ultimo di maggio 1479, posto pigioni e ficti debbino avere innanzi, c. 191 _______________________ f. 25, £. E de’ dare per insino a dì XXVIII di novembre 1478 f. due larghi e £. due, ebbe per noi da Francesco di Giuliano ceraiuolo, posto gli debbi avere indrieto, c. 161 ______________________ f. 2, £. 2, s. E de’ dare a dì VII di gennaio f. uno largo e £. quatro, ebbe per noi dal detto, posto debbi avere indrieto, c. 161 ____ f. 1, £. 4, s. E de’ dare a dì primo di febbraio £. tre, ebbe per noi dal detto, posto debbi avere indrieto, c. 161 _________________ f. -, £. 3, s. E de’ dare a dì XVII d’aprile 1479 £. dodici ebbe per noi dal detto, posto debbi avere indrieto, c. 161 ________________ f. -, £. 12, s. E de’ dare adì XII di maggio £. una, s. XII ebbe per noi dal detto, posto debbi avere indrieto, c. 161 _____________ £. 1 -, s. 12, d. E de’ dare f. due larghi e per noi da Giovanni di Lorino, posto debbi avere indrieto, c. 45_________________________________ f. 2, £. E de’ dare f. due larghi, s. XVI, d. 10 a oro larghi, ebbe per noi da Giovanni detto, posto debbi avere indrieto, c. 45 _________________________________________ f. 2, £. 4, s. 16, d. 10 E de’ dare £. nove, s. III, d. II e per lui a Mariotto di Marco spetiale alla Palla, posto gli debbi avere innanzi, c. 182, in una somma di £. 550 sono per medicine e altre cose avute da llui __________________________________________ f. -, £. 9, s. 3, d. 2 E de’ dare £. quindici, s. XVII e per lui a Giuliano d’Arrigo calzolaio, posto gli debbi avere indrieto, c. 135, in un somma di £. trecentotrenta per lavorio avuto da llui _____ f. -, £. 15, s. 17, d. E de’ dare f. uno largo di £. 0, s. XVIIII, ebbe per noi da Ser Giovanni e Francesco d’Albizo, posto gli debbi avere indrieto, c. 160 _________________________________________ f. 1, £. 0, s. 19, d. E de’ dare per insino a dì XXII di maggio 1479 £. quatro ebbe per 175
noi da Luca d’Albizo, posto gli debbi avere indrieto a conto de’ detti, c. 160 _________________________________________ f. -, £. 4, s. E de’ dare a dì XXVIIII detto £. tre, s. XV ebbe per noi da Ser Giovanni e Francesco d’Albizo, posto gli debbino aver indrieto, c. 160 _________________________________________ f. -, £. 3, s. 15, d. -
109. Ibidem, c. 173d 19 maggio 1479 1479 Benedetto Gori de’ avere a dì XVIIII di maggio 1479 f. quindici larghi, recò Benedetto d’Antonio, come appare a entrata segnata G, c. 7 ____________________________________________ f. 15, £. - ...
110. Ibidem, c. 175d 1479 1479 Bartolomeo Ciacchi e compagni lanaiuoli deono avere f. quindici, s. XIII, d. IIII a oro larghi e per noi a Benedetto d’Antonio dell’abaco, posto gli debbi dare indrieto, c. 172, per resto ogni ragione avessi avuto a fare detto Benedetto co’ detti _________ f. 15, s. 13, d. 4 a oro larghi
111. Ibidem, c. 180d 26 gennaio 1478-24 marzo 1479 1479 Spedale di Sancta Maria Nuova de’ avere £. otto s. XV per insino a dì XXVI di gennaio 1477 e per noi a Benedetto d’Antonio nostro factore, posto gli debbi dare indrieto, c. 172, i quali denari sono per parte di ritratto delle pigioni delle boteghe di Michelozo del Bambo, come apare al libro bianco segnato DD, c. 67 ______________ f. -, £. 8, s. 15, d. E deono avere a dì XIII di febraio 1478 £. diciassette, s. IIII, dati per noi a Benedetto d’Antonio nostro factore, posto gli debbi dare indrieto, c. 172, i quali denari sono per parte di ritracto di dette botteghe _______________________________ f. -, £. 17, s. 4, d. - ... 176
Spedale di contro de’ avere per insino a dì XXIIII di marzo 1478 f. due larghi e per noi a Benedetto d’Antonio nostro factore, posto gli debbi dare indrieto, c.172 _________________________ f. 2, s. -
112. Ibidem, c. 182d 9 marzo 1478 1478 Iacopo di Iacopo Sangalletti de’ avere per insino a dì VIIII di marzo 1477 f. tre e mezo di sugello, e quali li diamo per Benedetto d’Antonio nostro factore, come appare alle ricordanze segnate G, c. 31, posto Benedetto gli debbi dare indrieto, c. 172 ____________ f. 2, £. 5, s. 5, d. -
113. Ibidem, c. 188s 28 novembre 1478-7 dicembre 1479 1479 El Convento nostro de’ dare ... E de’ dare per insino a dì XXVIII di novembre 1478 £. quatro e s. X e per lui da Benedetto d’Antonio, posto gli debbi avere indietro, c. 172, sono che tanti si spesono pel Convento, e debbonsi da Francesco ceraiuolo, e Benedetto gli scrisse avere ricevuti lui contanti in una partita di f. due larghi e £. due, de’ quali ne l’abbiamo debitore indrieto, c. 172 ___________________________ f. -, £. 4, s. 16, d. E de’ dare a dì VII di dicembre 1479 £. quatro, s. XVI e per lui a Francesco di Giuliano ceraiuolo, posto debbi avere innanzi c. 192, sono per libre otto di cera, sei per uno uficio facemo fare a San Michele Visdomini per la benedetta anima di Benedetto d’Antonio nostro factore, e libre una per dare al notaio di dogana e una a quello del Bigallo _________________________________ f., £. 4, s. 16, d. - ... E de’ dare f. sexantasei larghi, s. XVIII, d. III a oro larghi, sono che tanti ce n’à debitore Benedetto fu nostro factore indrietro in più luoghi, cioè c. 79, c. 88, c. 142, sono per resto di salario d’anni tre e mesi tre a f. ventiquatro larghi, che montano ducati septantotto, ma del resto n’è debitore el Convento, indietro c. 140, in duo partite, una di f. 4 larghi, di f. 7, s. 1, d. 9 ____________ f. 66, £. 4, s. 5, d. 177
114. Ibidem, c. 190d 22 maggio 1479 1479 Nicolò di Domenico del Giocondo de avere per insino a dì XXII di magio 1479 f. ventitré e 1/3 a oro larghi e per lui d’Andrea d’Antonio del Giocondo, sono per una impromessa facta pel convento sanza nostra saputa, ma per commessione di Benedetto d’Antonio nostro factore e sindaco a Bartolomeo Strinati banchiere in Merchato Vechio, i quali denari dette a Benedetto d’Antonio detto, posto gli debbi dare indrieto, c. 172 _____________ f. 23, s. 6, d. 8 a oro larghi E de’ avere a dì detto f. tredici e 1/3 larghi, sono per spese facte nella bottega, come ne rimase d’accordo con Benedetto, de’ quali denari se n’à a scontare ogni anno el quarto, posto concimi di fuori debbino dare indrieto, c. 143 ______________ f. 13, s. 6, d. 8 a oro
115. Ibidem, c. 192d 7 dicembre 1479 1479 Francesco di Giuliano ceraiuolo de’ avere ... E de’ avere a dì VII di dicembre £. quatro, s. XVI, sono per libre otto di cera, cioè libre sei a Ser Franco capellano di San Michele per uno ufficio facemo fare per la benedetta anima di Benedetto d’Antonio per l’adrieto nostro factore, e più libre due, cioè una al nottaio di dogana e una al nottaio del Bigallo, posto el convento debbi dare indrieto, c. 188 __________________________ f. -, £. 4, s. 16, d. -
116. Ibidem, c. 208d 1° dicembre 1479 1479 Luca di Iacopo Migliorelli nostro pigionale nella casa che noi comperamo da Lodovico e Pagolo di Sancti, sellai, de’ avere £. sedici, recò Piero di Donato contanti, come apare a entrata segnata G, c. 6 _____________________________________________ f. -, £. 16, s. E de’ avere a dì primo di dicenbre £. tre, s. X, sono che tanti pagò per noi a Maestro Donato imbiancatore per imbiancare la sala e la 178
camera della casa tengono da noi, posto el convento li debbi dare innanzi, c. 210 __________________________ f. -, £. 3, s. 10, d. -
117. Ibidem, c. 212s 21 ottobre 1477-29 settembre 1478 [1479] Benedetto d’Antonio dell’abaco per l’adrieto nostro factore de’ dare f. centotrentotto larghi e £. dugentoquarantanove, s. XVIIII, d. II, posto li debbi avere indrieto, c. 172, sono per resto d’una sua ragione _____________________________________ f. 138, £. 249, s. 19, d. 2 E de’ dare per insino a dì VIII di septembre 1478 f. cinque larghi, ebbe per noi da Giordano rigattiere, posto li debbi avere indrieto, c. 126 e per lui li ebbe in due volte da Piero di Nuto barbiere, in due volte, cioè tre a dì VIII detto e due a dì XXVIIII detto ____ f. 5, £.E de’ dare per insino a dì XXI d’ottobre 1477 f. quatordici larghi e £. una, s. XII e per lui Antonio Gerini e compagni lanaiuoli in San Martino, portò Piero di Donato Bruni contanti, come appare a uscita segnata G, c. 108 _______________________ f. 14, £. 1, s. 12, d. -
c. 212d 1479 1479 Benedetto di contro de’ avere f. centocinquanzette larghi e £. dugentocinquantuno, s. XI, d. II, posto li debbi dare al libro giallo segnato H, c. 49 ______________________ f. 157, £. 251, s. II, d. 2
118. Corporazioni Religiose Soppresse dal Governo francese 86, 217 (Badia del Sasso) c. 5v 1479 MCCCCLXXVIIII Spesi £. una, s. otto per parte di Ghabella di vino, portò Salvadore di Bartolomeo del Quercia a dì 4 d’aprile 1479 _______________ £. 1, s. 8 Spesi nella venuta a Ffirenze quando era il padre a Sancto Ghodenzo £. 1, s. [...], d. sei, detti a Don Piero Ghini negli Agnioli e per 179
me £. una e a Benedetto dell’abacho s. undisci. E el Priore mi disse volere venire alla Badia e per fargli honore conperai fiaschi due di trebiano, tenevano tre, chostornomi s. sedisci, e più chonperai due chapretti, uno da Llazero della Perghola, l’altro da Bartolino della Villa, chostorno £. ventidue, e più chonperai sei bichieri e due ghuastade, costorno s. 4, e più chonperai 1/2 oncia di pepe e 1/2 oncia di spezie dal Mancino, costò s. tre, d. otto, in tutto £. 5, s. sei, d. 8, prestomegli Girolamo mio chogniato, non tutti ma £. tre di moneta ____________________________________________ £. 5. s. 6, d. 8 Spesi a dì 12 di gugno 1479 ...
Documento del fondo Otto di Guardia e Balia della Repubblica 119. Otto di Guardia e Balia della Repubblica 56, c. 14v 15 luglio 1480 Die XV iulii 1480 Vicario Sancti Ioannis littere Quod faciat omnem diligentiam inveniendi omnes res supillictilia et recollecta que spectabant et pertinebant ad Benedictum Antonii Christophori et maxime id intelligat ab Iacobo Tei et filius de Menzano, exceptis rebus que cepisset, pro dote Domine Pippe olim uxoris dicti Benedicti, Bartholomeus Ioannis Falsamostra et fratres eius et mittat copiam ad nos et riscribat de omnibus facto fieri inventario de rebus predictis.
Documenti del fondo Compagnia poi Magistrato del Bigallo 120. Compagnia poi Magistrato del Bigallo 730, c. 55v 1400-1412278 Una chasa con fondacho di sotto in volta e con palchi di sopra, posta in su la Via di Calimala e in sulla Piazza d’Ortosanmichele, posta 278
180
Tali date si leggono all’inizio del volume.
nel Popolo do Sa’ Michele in Orto, dal primo la Via di Calimala, dal secondo le rede di Nicholò di Bartolo Cini, dal terzo la Piazza d’Ortosamichele, e dal quarto la Compangnia d’Ortosamichele. La quale si comprò da Iacopo di Latino de’ Pilgli e dall’Acorri di Geri de’ Pilgli, e ciascuno s’obrighò in solido con tutto, e le loro donne dierono la parola. E mallevadore fu in tuto Chappone di Neri Chapponi, chome appare carta di tutte queste cose per mano di Ser Nofri di Ser Paolo Nemi nostro notaio, rogata dì VIII di genaio anni MCCCCII279 ; e Mateo d’Angnolo Cavalcanti, detto Malatesti, nostro camarlingho, per stanziamento de’ nostri Capitani, paghò a detti Iachopo e Acorri fiorini millecentoventicinque, che così ne demmo a lloro netti, posto Matteo debbi avere a’ libro dell’alogagioni, a c. 147 _______________________________________________ f. MCXXV
121. Compagnia poi Magistrato del Bigallo 747, c. 22s aprile-1° novembre 1448 MCCCCXLVIII Una chasa atta a squola, posta in Orto Sancto Michele, cho’ sua chonfini, sopra al nostro fondacho280, levata da’ libro segnato I, c. 17, tiella a pigione: Maestro Nicholò di Giovanni da Chatalongna, Maestro Iachopo di Simone da Terni, per lire sesanta l’anno, chon questo, che lire otto si trae da Bartolomeo detto Larciano, filatolaio, perch’à l’entrata per la nostra schala; posto che debi dare in questo, c. 19, le lire 8 l’ano, e’ sopradetti n’ànno a dare a ragione di lire 52. E per loro sodò Piero di Bartolomeo, spetiale al Chapello, chome apare a libro d’Antonio di Perticino, segnato G, c. 20. Restano a dare per tutto aprile 1448 lire settanta, s. 13 piccioli ____________________________________________ f. -, £. 70, s. 13 E deono dare per la pigione di sei mesi, che finisce per tutto ottobre 1448 ____________________________________________ f. -, £. 26. Alloghamo la detta bottegha per a dì primo di novembre 1448 a Maestro Benedetto d’Antonio di Cristofano, chome apare in questo c. 27. 279
ASF, Not. Antec. 14943, cc. 67v-68r. Nel precedente volume 745 della Comp. poi Mag. del Big., a c. 19s, viene precisato: “posta sopra e’ nostro fondacho di Chalimala”. 280
181
c. 22d Maestro Nicholò di Giovanni e Maestro Iachopo di Simone chontrascritti deono avere ... E deono avere lire dieci, i quali spese Bettino di Ser Antonio da Romena in detta chasa, chome partitamente apare in una scritta in filza, che sono per II usci e per ammattonare, posto spese dare in questo, c. 143 _________________________________________ f. -, £. 10 ...
122. Ibidem, c. 27s 1° novembre 1448-ottobre 1449 MCCCCXLVIII Una chasa atta a squola, posta in Orto Sa’ Michele, cho’ sua chonfini, sopra al nostro fondacho, la quale è scritta in questo, c. 22, in Maestro Nicholò di Giovanni e altri; e a dì XI di dicembre l’aloghamo per anni tre, che chominci il tenpo insino a dì primo di novembre passato 1448, per lire cinquantadue l’anno; e oltre a quelle abiamo lire 8 di pigione l’anno da Ser Apollonio281, dell’entratura della schala, che chosì facemo di patto, aloghamola a Maestro Benedetto d’Antonio di Cristofano a £. 52 l’anno, charta fatta per mano di Ser Matteo Sofferroni, e a pagare di sei mesi in sei mesi. E suo mallevadori ci stanno Antonio di Cristofano suo padre, e Bettino di Ser Antonio da Romena, e ongnuno in tutto. Resta a dare per tutto ottobre 1449 lire cinquantadue ____ f. -, £. 52
c. 27d Posto a libro segnato M, a c. 25, resta a dare per tutto ottobre 1449 lire cinquantadue piccioli.
281 Ser Apollonio di Francesco Cascesi, cappellano della Cappella di San Cristoforo nella Chiesa di San Firenze: cfr. ad es. Comp. poi Mag. del Big. 6, fasc. I, c. 18v.
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123. Ibidem, c. 143s 1448 MCCCCXLVIII Spese universale della nostra Chompagnia deono dare ... E deono dare £. dieci per più spese fatte per Bettino di Ser Antonio da Romena chome apare in questo, c. 22, a chonto di M° Nicholò e M° Iachopo, nella schuola ____________________________ f. -, £. 10
124. Compagnia poi Magistrato del Bigallo 748, c. 25s 1° novembre 1448-1° aprile 1450 1449 Una chasa atta a sschuola posta in Ortosamichele chon sua chonfini levato dal libro segnato L, a c. 27, tiela a pigione: Maestro Benedetto d’Antonio di Cristofano per £. cinquantadue l’anno. E aloghò per tre anni, inchominciati a dì primo di novembre 1448, intendendo che debi dare £. 52, oltre a lire otto abiamo di pigione l’anno da Ser Apolonio d’una entratura di detta chasa, chome in questo a c. 21, e de’ pagare di sei mesi in sei mesi, charta per mano di Ser Matteo Sofferroni; e suo malevadori istà Antonio di Cristofano suo padre e Bettino di Ser Antonio da Romena. E ongnuno in tutto chome apare al libro segnato L, a c. 27. Resta a dare per tutto ottobre 1449 £. cinquantadue, chome apare al libro segnato L, a c. 27 ____________________ f. -, £. 52, s. -, d.-
c. 25d Maestro Benedetto d’Antonio di Cristofano de’ avere a dì primo d’aprile 1450 £. undici, s. 16, per noi a Simone Formichoni. Rechò a entrata a c. 3, posto debi dare in questo a c. 163; portò Bolognino282 ____________________________________ f. -, £. 11, s. 16, d.Posto al libro segnato N, c. 25, e resta a dare £. quaranta, s. 4 per tutto otobre 1449.
282 Nello stesso volume, alle cc. 156s-156d, si legge: Piero di Vicho detto Bolognino, famiglio della Compagnia.
183
125. Ibidem, c. 163s 1° aprile 1450 Simone di Giorgio Formichoni, kamarlingo della nostra Compagnia, de’ dare ... E de’ dare a dì primo d’aprile 1450 £. undici, s. sedici, per noi da Maestro Benedetto d’Antonio maestro d’abacho, posto debbi avere in questo detto Maestro Benedetto, c. 25_______ f.-, £. 11, s. 16, d. -
126. Compagnia poi Magistrato del Bigallo 749, c. 22s 1° novembre 1448-1° novembre 1451 MCCCCLI Una chasa atta a schuola posta inn Ortosantomichele, cho’ suoi chonfini, levata dal libro segnato N, c. 25, tiell’a pigione Maestro Benedetto d’Antonio di Cristofano per lire cinquantadua di piccioli l’anno. Alloghossi per tre anni, inchominciati a dì primo di novembre 1448 e finiti chome seghue. Intendendo che ci debba dare £. 52, holtr’a £. otto che ci dà Ser Apollonio d’una entrata d’ una schala tiene di detta chasa, come apare in questo, charta per mano di Ser Matteo Sofferroni, e ssuo mallevadore Antonio di Cristofano suo padre e Bettino di Ser Antonio da Romena, chome apare al libro segnato N, a c. 25. Resta a dare per tutto hottobre 1450 £. settantadue, s. IIII piccioli ______________________________________________ f. -, £. 72, s. 4 E de’ dare per tutto ottobre 1451 £. cinquantantadua, per la pigione di deto anno __________________________________ f. -, £. 52, s. E finita la sopradetta alloghagione a dì primo di novembre 1451, v’è tornato Ser Lucha d’Antonio da San Gimingnano, maestro di schuola di gramaticha, chome apare in questo, c. 32.
c. 22d 3 novembre 1450-10 luglio 1452 MCCCCLI Maestro Benedetto d’Antonio di Cristofano, maestro d’abacho, de’ avere a dì III di novenbre £. sette, s. XVII piccioli, per noi a Mariotto Lippi chamarlingo, posto debbi dare in questo c. 184, rechò Piero di Vicho a entrata c. 3 ________________________________ £. 7, s. 17 184
E de’ avere a dì VII di dicenbre £. quindici, s. XVI, per lui da Bettino di Ser Antonio da Romena, per noi a Mariotto Lippi chamarlingo, posto debbi dare in questo, c. 186, rechò Bolognino a entrata c. 3 _________________________________________ f. -, £. 15, s. 16 E de’ avere a dì XXIIII d’aprile 1452 £. dicasette, s. XVI di piccioli, per noi a Monte di Iachopo di Monte chamarlingho, posto debbi dare in questo a c. 192, a entrata c. 4 ________________ f. -, £. 17, s. 16 E a dì X di luglio £. ottantadue, s. XV larghi, posto che debbi dare al libro segnato P, a c. 107 ________________ f. -, £. 82, s. 15, d.-
127. Ibidem, c. 32s 1° novembre 1451 MCCCCLI Una chasa atta a uso di schuola, posta in Ortosanmichele, cho’ suoi chonfini, tiella a pigione: Ser Lucha d’Antonio da Sangimingnano, maestro di schuola di gramaticha, per £. cinquantadua di piccioli l’anno per tre anni che chominciano a dì primo di novenbre 1451, la quale chasa teneva per l’adrieto Maestro Benedetto d’Antonio di Cristofano, maestro d’abacho, chome apare in questo, c. 22 ...
128. Ibidem, c. 184s 3 novembre 1451 MCCCCLI Mariotto di Ghinozo di Stefano Lippi chamarlingo de’ dare ... E de’ dare a dì III di novenbre ... E de’ dare a dì detto £. sette, s. XVII piccioli per noi da Maestro Benedetto d’Antonio di Cristofano, maestro d’abacho, posto debbi avere in questo c. 22, a entrata c. 3 _______________ f. -, £. 7, s. 17
129. Ibidem, c. 186s 7 dicembre 1451 MCCCCLI Mariotto di Ginozo di Stefano Lippi chamarlingo de’ dare ... 185
E de’ dare, dì VII di dicenbre ... E de’ dare a dì detto £. quindici, s. XVI di piccioli per noi da Maestro Benedetto d’Antonio, per lui da Bettino di Ser Antonio, posto debbi avere in questo c. 22, a entrata c. 3 _____ f. -, £. 15, s. 16, -
130. Ibidem, c. 192s 24 aprile 1452 MCCCCLII Monte di Iachopo di Monte chamarlingo de’ dare ... E de’ dare a dì XXIIII d’aprile ... E de’ dare a dì detto £. dicasette, s. XVI piccioli, per noi da Maestro Benedetto d’Antonio di Cristofano, maestro d’abacho, posto debbi avere in questo c. 22, a entrata c. 4 ______________ f. -, £. 17, s. 16
131. Compagnia poi Magistrato del Bigallo 6, fasc. V, cc. 21r e 22r 16 giugno 1451 Die XVI mensis iunii 1451 Transmissio debitores Societatis ad speculum ... //... Magister Benedictus Antonii Cristofani, c. 25.
132. Compagnia poi Magistrato del Bigallo 750, c. 100s 1455 [MCCCCLV] Monna Benedetta283 d’Antonio di Cristofano, maestro d’abacho, de’ dare lire sessantasette, s. uno, levato dal libro segnato R, c. 85 ________________________________________ f. -, £. 67, s. 1, d. Tenuto per lui Antonio di Cristofano suo padre e Bettino di Ser Antonio da Romena. 283 Qui e nel successivo documento è erroneamente scritto “Monna Benedetta” anziché “Maestro Benedetto”.
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c. 100d Posto al libro segnato T, c. 99. 133. Compagnia poi Magistrato del Bigallo 751, c. 91s 1456 MCCCCLVI Monna Benedetta d’Antonio di Cristofano, maestro d’abacho, de’ dare lire sesantasette, s. uno, levato da’ libro segnato B, c. 100 ________________________________________ f. -, £. 67, s. 1, d Tenuto per lui Antonio di Cristofano suo padre, e Betino di Ser Antonio da Romena.
c. 91d MCCCCLVI Posto debi dare al libro segnato V a c. 85 __ f. -, £. 67, s. 1, d -
134. Compagnia poi Magistrato del Bigallo 752, c. 105s 1465 1465 Maestro Benedetto d’Antonio di Cristofano de’ dare f. sesanzette, s. 1 per una sua ragione levata dal libro rosso, c. 354 _____________________________________________ f. -, £. 67, s. 1
c. 105d Posto debi dare al libro azuro segnato BB, c. 200.
135. Compagnia poi Magistrato del Bigallo 753, c. 200s 1468 MCCCCLXVIII Maestro Benedetto d’Antonio di Cristofano de’ dare £. sesanzette, s. 1 per una sua ragione al libro segnato AA, c. 105 ______________________________________________ f. -, £. 67, s. 1 187
c. 200d 1473 MCCCCLXXIII Maestro Benedetto di Cristofano de’ avere £. LXVII, s. 1, posto debbi dare al libro giallo segnato GG, c. 175 ______ f. -, £. 67, s. 1
136. Compagnia poi Magistrato del Bigallo 754, c. 174s 1473 MCCCCLXXIII Maestro Benedetto d’Antonio di Cristofano de’ dare £. sesantazette e s. 1, posto debbi dare al libro azurro segnato BB a c. 200 _ f. -, £. 77, s.1 Posto al libro biancho a c. 83.
c. 174d Maestro Benedetto d’Antonio di Cristofano de’ avere £. setantasette, s. uno per raguaglio di questa ragione posta al libro biancho segnato DD, c. 83 ____________________________________ f. -, £. 77, s. 1
137. Ibidem, c. 353s ottobre-12 dicembre 1477 MCCCCLXXVI Romiti di Santa Maria delgli Angnoli di Firenze deono dare ... E a dì XII di dicembre 1477 f. dodici di suggello, per loro a Benedetto d’Antonio dell’abacho, portò e’ deto contanti, sono per lascio a loro fatto per Monsignor Fantini per dire una messa ongni dì per l’anima sua, per il mese d’ottobre 1477 sino a dì 29 di novembre, rogato Ser Domenicho di Ser Santi notaio de’ Capitani, come a uscita di Mattio di Ser Niccholò di Feo Dini camarlingo, c. 28, posto creditore in questo c. 365 ___________________________ f. 10, £. E a dì detto f. dua di suggello per loro a Benedetto detto portò contanti, sono per lascio a loro fatto per Monna Lisabetta di Cervagio per dire la messa di martori per l’anima sua e per il mese d’ottobre 1477 sino a dì detto, dì rogato il detto, come a uscita di Mattio detto, camarlingo, 188
c. 28, posto debbi avere in questo c. 365 _____________ f. 1, £. 3, s. 16
138. Compagnia poi Magistrato del Bigallo 755, c. 83s 1479 MCCCCLXXVIIII Maestro Benedetto d’Antonio di Christofano de’ dare, posto debbi avere al libro giallo e a c. 175 a una sua ragione dove restava debitore ______________________________________________ f. -, £. 77, s. 1
c. 83d MCCCCLXXVIIII Maestro Benedetto di Christofano de’ avere, posto debba dare al libro bianco segnato GG, c. 14, per resto _________ f. -, £. 77, s. 1
Documenti del fondo Ufficiali di Notte e Conservatori dell’onestà dei Monasteri 139. Ufficiali di Notte 3, cc. 6v-7r 1° settembre 1453 Die 1° mensis settembris 1453 Aperte fuerunt tambura Offitialium Noctis in quo reperte fuerunt infrascripte tamburationes, videlicet: In tamburo Sancti Petri Scheradi ... // Benedictus Antonii sodomitavit Antonium filatoriarum.
140. Ibidem, c. 7v 3 dicembre 1453 Die 3 decembris 1453 In tamburo Sancte Reparate ... 189
Benedictum Antonii, docet abacum cum Mariano, sodomitavit [ ] Amerigi dello Scelto.
141. Ibidem, c. 8r 2 gennaio 1454 Die secundo januarii 1453 Aperte fuerunt tambura Offitialium Noctis ... In tamburo Sancti Petri Scheradii ... Benedictum, stat in bottega Mariani dell’abaco, quem sodomitavit Piergiovanni Andree Bindacci de Ricasoli.
142. Ibidem, c. 15v 11 luglio 1455 Die XI julii 1455 Apertum tamburum Sancti Petri Scheradii et invente fuerunt infrascripte tamburationes: ... Benedictus Antonii tessitori drapporum sodomitavit Francischum Fruosini bottarium.
143. Ufficiali di Notte 12, c. 25v 7 marzo 1468 Die VII dicti mensis martii [MCCCCLXVII] Iohannes Andree de Salutatis, Populi Sancti Fridiani de Florentia, etatis annorum quatuordecim vel circa, constitutus in presentia Francisci Gentilis et Mei Pauli etc., suo iuramento testificando dixit, asseruit et confessus fuit qualiter Benedictus [ ], magister artismetricis ipsum sodomitavit hodie in eius orto posito contra hospitale Scalarum, ex parte anteriore.
190
144. Ibidem, c. 90r 17 marzo 1468 Die XVII martii [MCCCCLXVII] Prefati Officiales, absentibus Nerio del Benino et Simone Mattii, eorum collegiis, visa quadam notificatione facta coram Noctis Officialibus de infrascriptis et diligenter examinata, et quia non invenerunt ipsos vel aliquem eorum culpabiles, ipsos et quemlibet eorum absolverunt etc., quorum nomine sunt ista, videlicet, c. 25: Pierus Iohannis Imperio, molendimarius, Laurentius pizicagnolus, Benedictus arismetricus, Valigia miserus, Andreas gualcherarius, Andreas cimator, Dimitius orbus et Masinus Iohannis Masini, de quibus supra, c. 25, c. 26.
Documenti del fondo Ospedale di Santa Maria Nuova 145. Ospedale di Santa Maria Nuova 4513, c. 161v 3 luglio 1476 1476 A’ ffrati di Santa Maria degli Angnoli f. cinque e s. X a oro, portò Benedetto d’Antonio dell’abacho loro sindacho e proccuratore per mano di Ser Piero d’Antonio da Vinci, sotto dì 3 di luglio 1476, portò in f. 4 larghi e £. III, s. III. A libro chreditori segnato C, c. 30; D, c. 26 ____________________________________________ f. 4. 3. 3
146. Ospedale di Santa Maria Nuova 4514, c. 109v 21 marzo 1478 Mercoledì a dì 18 di marzo [1477] A Piero di Simone del Querciuola vetturale a dì 21 ... A’ frati di Santa Maria degli Angnoli a dì detto f. cinque e mezzo di sugello, portò Benedetto dell’abaco loro sindacho e procuratore, a libro creditori segnato C a c. 249 ...
191
147. Ibidem, c. 167r 24 marzo 1479 Mercoledì a ddì XXIIII [marzo 1478] ... A’ frati di Santa Maria degli Angnoli f. duo d’oro larghi, portò Benedetto del’abacho loro rischottitore, posti a loro chonto al libro segnato C a c. 249; D, c. 98 ...
Documenti del fondo Operai di Palazzo 148. Operai di Palazzo1: Deliberazioni e stanziamenti degl’operai del Palazzo e della Sala del Consiglio dal 1469 al 1477, cc. 5v-6r 29 agosto 1475 Scripta Dominici da Prato, cum pretiis dandis magistris palcorum Al nome di Dio a dì 29 d’agosto 1475 Dinanzi da voi, Signori operarii del Palagio di Signori, si rapporta il pregio di palchi et di tetti nuovamente facti in decto palagio, de’ quali voi ci desti comissione che noi scrivessimo. In primo il palco della Sala del Consiglio, sicondo mio parere, merita il braccio quadro lire septe, il braccio quadro misurando a piano da l’uno cornicione al’altro, cioè _____________________ lire septe Il cornicione di decto palco merita il braccio andante lire dodici, cioè _____________________________________________ £. XII // Il decto palco, cioè la parte di sopra, co’ legni armati et forbici et catene et ogn’altra cosa appartenente a decto palco, merita il braccio quadro lire due, cioè ___________________________________ £. 2 Il palcho dell’Udienza merita il braccio lire nove, faccendo braccia quadre dello architravato come del palco, cioè _____________ £. 9 Il palco della sala dove mangia la Signoria fo il braccio lire octo, cioè il braccio quadro, misurando a piano da l’uno cornicione al’altro, cioè _________________________________________________ £. 8 Il cornicione di decto palco, con tutto l’architrave, fo il braccio lire nove, misurando a braccia quadre _________________________ £. 9 Il palcho decto, cioè la parte di sopra et così el di sopra di quello dell’udienza, fo il braccio soldi [ ], cioè ____________________ £. [ ] Il palcho semprice, ch’è sopra l’Udienza, s. sei il braccio ___________________________________________________ £. -, s. 6 Il braccio del tecto a padiglione, il braccio quadro soldi dodici __________________________________________________ £. -, s. 12 192
Io Domenico di Domenico ho facto questa scripta da me, perché non essendo noi d’acordo insieme facemmo d’acordo che ciaschuno di noi facessi la sua scripta, e po’ l’ò facta sicondo la mia coscientia e sicondo il mio parere.
149. Ibidem, c. 6v 18 dicembre 1475 Mensura et pretium palcorum Die XVIII decembris 1475 Vigore cuiusdam deliberationis facta sub die secunda presentis mensis decembris, Dominicus Dominici de Prato elexit Antonium Salimbenis Bancholini de Florentia, legnaiolum, et etiam apud eorum voluerunt Lucam [ ] legnaiolum, et mensuram posuerunt rem pro re, secundum scriptam datam per dictum Dominicum. Et cum eis etiam habuerunt Benedictum magistrum abbaci in re bene peritum, qui posuit mensuram infrascriptis rebus modo infrascripto, videlicet: La Sala del Consiglio feciono braccia 929 7/16, che a lire septe il braccio fa la somma di _______________________________ £. 6506.1.3 Il cornicione feciono braccia 129 7/10, che a lire XII il braccio fa la somma di _____________________________________ £. 1556.8.0 La ‘mpalcatura di sopra braccia 1085, a lire dua il braccio ___ £. 2170 Udienza braccia 366 7/8, a lire nove il braccio, fanno ______________ _____________________________________________ £. 3301. 17. 6 Cornicione braccia 114 3/8, a lire nove il braccio, fanno __________ ________________________________________________ £. 1029. 7.6 Fregio et architrave braccia 183 1/5, a £. 9 braccio, fanno __________ ________________________________________________ £. 1648. 16 Il palcho sopra l’Udienza braccia 450 1/8, a £. 1, fanno ___________ ________________________________________________ £. 450. 2. 6 Il palcho feriale braccia 396, a s. 6 il braccio, fanno _______________ ___________________________________________________ £. 113.16 Il tecto braccia 1230, a s. XII il braccio, fanno __________________ ___________________________________________________ £. 738.3 __________________ 17519. 11. 9
193
150. Ibidem, c. 8v 24 febbraio 1477 Die XXIIII februarii 1476 Spectabiles viri Operarii Opere Palatii Populi Florentie, congregati pro eorum officio exercendo in audientia et loco Artis Mercatorum Civitatis Florentie et servatis servandis etc., omni modo etc., bonis et iustis rationibus moti, ordinaverunt et deliberaverunt quod ... Ac etiam stantiaverunt et deliberaverunt quod Ieronimus Antonii Martelli, depositarius eorum officii, de pecunia dicte Opere det et solvat Dominico Dominici de Prato, legnaiuolo, et Dominico [ ], et Benedicto [ ] dell’abbaco pro eorum mercede et labore pro mensurando palcum et ornamenta sale Dominationis, florenum unum largum et libras 4 hoc modo, videlicet: Dominico de Prato florenum 1 largum Dominico [ ] libras duas, et Magistro Benedicto abbaci libras duas _________ f.1 largum, £. 4
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Appendice 2 Abacisti fiorentini, Famiglie di abacisti, Scuole d’abaco a Firenze.
I prospetti riportati sono stati costruiti sulla base di una vastissima documentazione rinvenuta in Archivi e Biblioteche di Firenze, da noi parzialmente pubblicata in questo e in precedenti lavori. Essendo il risultato di una ricerca da tempo avviata e in fase conclusiva, ma ancora in corso, i dati contenuti sono suscettibili di ampliamenti e modifiche. Abbiamo inserito in parentesi quadre quelle notizie che, benché probabili, non sono suffragate da documenti specifici che permettano di stabilirle con assoluta certezza.
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Abacisti fiorentini Presentiamo qui un elenco degli abacisti attivi a Firenze tra l’ultimo ventennio del XIII secolo ed il primo quarantennio del XVI. Per la maggior parte furono maestri d’abaco284. L’individuazione di questi ultimi è possibile in quanto, nei documenti, il loro nome è generalmente seguito dalla qualifica: “dell’abaco”, “maestro d’abaco”, “maestro di aritmetica”, o da equivalenti locuzioni. Spesso è preceduto dal titolo di Maestro; non infrequente, essenzialmente nei secc. XIII-XIV, era anche l’uso del titolo di Ser285 che spettava di regola ai notai e ai preti286 . L’elenco è compilato in ordine cronologico rispetto alla prima data di riferimento287. Iacopo288 Puccio Gherardo di Chiaro289 Moro Ranieri o Neri di Chiaro [Vanni Berto di Moro Diedi di Vanni Davizzo dei Corbizzi Francesco di Berto Peruzzo di Cino Piero di Franco Tommaso di Cino Astolfo di Vanni Tommaso290 Gherardino291
1283-1334 1284 1285-1327 1294 1294-1304 1305] 1305-m.1311/13 1305-1323 1309-1331 1310-m.1322/60 1316-1353 1318 1319 1320-1329 1322-m.1329 1323
284 Su alcuni maestri d’abaco che insegnarono in altre località italiane e che, nei documenti relativi, si dicono “da Firenze” (ma dei quali in Firenze non abbiamo trovato traccia), cfr. Ulivi [2002]. 285 Lo stesso titolo venne attribuito, soprattutto nel Quattrocento, anche ai maestri di scuola elementare e di grammatica. Cfr. in proposito Klapisch-Zuber [1984], p. 774; inoltre qui la nota 159. 286 Negli schemi abbiamo mantenuto il titolo Ser solo per i notai e per un prete. 287 I nomi accompagnati da un asterisco sono quelli di abacisti (accertati o presunti) che quasi sicuramente non furono maestri d’abaco. Per le notazioni usate nello schema si veda anche la nota 26. 288 Rileviamo che i corrispondenti documenti, da noi rintracciati, potrebbero riferirsi a maestri d’abaco diversi, di nome Iacopo. Un maestro Iacopo da Firenze fu insegnante d’abaco comunale a Lucca negli anni 1345-1347, e passò poi ad insegnare a Pisa: cfr. Barsanti [1905], pp. 55, 236. 289 Nel 1312 chiese la nomina a maestro d’abaco e misuratore del Comune di Siena, che gli venne accordata: cfr. Davidsohn [1956-1968], vol. VII (1965), pp. 217-218. 290 Probabilmente Tommaso di Cino. 291 Forse Gherardo di Chiaro.
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Paolo Gherardi Paolo di Piero dell’abaco Iacopo di Duccio Piero292 Alesso Giovanni di Davizzo [dei Corbizzi] Tommaso di Davizzo dei Corbizzi293 Biagio “il vecchio” [Giovanni di Piero Giovanni Antonio di Giusto Mazzinghi Michele di Gianni Biagio di Giovanni Luca di Matteo Matteo di Giusto Don Agostino di Vanni Giovanni di Bartolo Bernardo di Tommaso dei Corbizzi Bonagio Bartolomeo di Francesco Piero di Lapo Foraboschi294 Cristofano di Tommaso dei Corbizzi Verozzo di Giovanni Giraldi295 Domenico d’Agostino Cegia* Mariano di M° Michele Orlando di Piero Tedaldo di Vanni Bonacquisti296 Frate Grazia de’ Castellani* Giovanni del M° Luca Antonio di Salvestro dei Micceri da Figline Lorenzo di Biagio da Campi Bettino di Ser Antonio da Romena Calandro di Piero Calandri Taddeo di Salvestro dei Micceri 292 293
1328 1329-m.1367 1334 1334-m.1338/42 1338 1339-1344 1339-m.1374/75 m.c.1340 1342-m.1364/67] 1350 n.1350/55-m.1385/91 1351-m.1413 1354-m.1397 n.1356-m.1433/36 n.c.1360-m.1430/31 1363-m.1372/75 n.c.1364-m.1440 1365-m.1374/96 1367-1375 1371 1373-1395 1374-1389 1375-1387 n.1386-m.1451/55 n.1387-m.1458 1389 n.c.1391-1438 1392-m.1401 n.1395-m.1436 n.1413/17-m.1445 n.1414-m.1472/80 n.1415/20-1480 n.1419-m.1468 n.1419/22-m.1492
Il padre di Paolo dell’abaco; era forse Piero di Franco. Nel 1339 ebbe l’incarico di maestro d’abaco dal Comune di Siena: cfr. Zdekauer [1894], p.
14.
294 Insegnava privatamente a Venezia nel 1383: cfr. Bertanza, Dalla Santa [1907], pp. 125-128. Fu inoltre maestro d’abaco pubblico a Lucca nel 1386 e probabilmente anche a Genova nel 1394: cfr. Barsanti [1905], pp. 55, 239 e Petti Balbi [1979], p. 67. 295 Negli anni 1382-1383 ebbe un incarico come maestro d’abaco presso il Comune di Lucca: cfr. Barsanti [1905], pp. 55, 239. 296 Nel 1435 era insegnante comunale a San Gimignano e nel 1438 a Volterra. Cfr. Vichi Imberciadori [1980], p. 77 e Battistini [1919], p. 124.
197
Giovanni del Sodo Antonio da Città di Castello Frate Mariotto di Ser Giovanni Guiducci [Francesco di Carlo Macigni*297 Benedetto di Antonio da Firenze Banco di Piero Banchi [Niccolò di Stefano Iacopo di Antonio Grassini298 [Francesco di Donato Michelozzi* Niccolò di Lorenzo [Matteo di Niccolò Cerretani* [Piero di Domenico [Antonio di Taddeo dei Micceri [Santi di Paolo Niccolò di Taddeo dei Micceri Raffaello di Giovanni Canacci Pier Maria di Calandro dei Calandri [Antonio di Iacopo Grassini* Taddeo di Francesco Filippo Maria di Calandro dei Calandri [Puccio di Francesco Giovanni Maria di Iacopo Grassini Marco di Iacopo Grassini Piero di Zanobi [Giuliano di Benedetto da Maiano* Ser Filippo (prete) Bartolomeo di Iacopo Francesco di Leonardo Galigai Giuliano di Buonaguida della Valle Antonio Giovanni del Rosso
297
n.1419/23-m.1500/18 m.p.1427 n.1427-1447 n.1428/31-1458] n.1429-m.1479 n.1433-m.1479 n.c.1435-m.1522] n.1438/40-1497 n.1439/43-m.1525] n.c.1443-m.1475/80 n.1443/45-1495] 1449-m.p.1478] n.c.1450-m.1495/1532] n.c.1452-m.p.1518] n.c.1453-m.1527/32 n.1456-m.1496/1532 n.1457-m.1533/36 n.c.1461-1480] 1462 n.1467-1512 1470] n.c.1470-1503 n.c.1475-1514 n.1478-m.1525 n.1492-m.1527?] 1495-1499 m.1504 c.1505-m.1537 1508-m.1527/38 attivo nel primo trentennio del sec. XVI m.1533
Già dal febbraio 1458 risulta residente a Venezia. Fu maestro d’abaco pubblico a Volterra tra il 1464 ed il 1495. Seguirono il figlio Giovanni Maria nel 1497 e probabilmente anche il figlio Marco nel 1507. Cfr. Battistini [1919], pp. 29, 124. 298
198
Famiglie di abacisti Nella tavola seguente sono evidenziate alcune genealogie familiari di abacisti fiorentini, ossia famiglie che vantarono due o più abacisti.
Chiaro
M° Gherardo
Cino di Bencino
M° Ranieri o Neri
M° Peruzzo
[M° Tommaso]
M° Moro [M°] Vanni
M° Berto M° Francesco
M° Diedi
M° Astolfo M° Bartolomeo
M° Piero [di Franco]
[M°] Giovanni
M° Paolo
199
M° Davizzo dei Corbizzi
M° Tommaso
M° Bernardo
[M° Giovanni]
M° Cristofano
Gianni M° Michele
M° Mariano
una figlia Filippa, moglie di Lorenzo di Niccolò M° Niccolò
200
Matteo di Niccolò Pelacane
M° Luca
Checca, moglie di Piero di Mariano Calandri
M° Giovanni
M° Calandro
Leonarda, moglie di M° Antonio di Salvestro dei Micceri
M° Pier Maria
M° Filippo Maria
Salvestro di Piero dei Micceri
M° Antonio
M° Taddeo
M° Niccolò
[M°] Antonio
Antonio di Giovanni (Grassino)
M° Iacopo
Antonio
M° Giovanni Maria
M° Marco
201
Scuole d’abaco a Firenze Forniamo qui una lista delle scuole d’abaco fiorentine attualmente note ed attive tra la prima metà del Trecento e il primo trentennio del Cinquecento. Abbiamo ritenuto opportuno seguire una classificazione topografica, suddividendole per Quartieri, Gonfaloni e Popoli. I nomi delle singole scuole sono stati attribuiti in base alla loro ubicazione. Per ciascuna è riportata la sequenza dei relativi maestri con l’indicazione del periodo durante il quale si svolse – o si ritiene si sia svolto – il loro insegnamento.
QUARTIERE DI SANTA MARIA NOVELLA GONFALONE DELL’UNICORNO POPOLO DI SANTA TRINITA
- Scuola di Santa Trinita299 [Biagio “il vecchio” e Paolo di Piero [Paolo [Paolo e Michele di Gianni Don Agostino di Vanni Antonio di Giusto Mazzinghi [e Michele] Antonio Antonio [e Giovanni di Bartolo]
?- c.1340] c.1340-1364] 1365-1367/68] 1368-1372/73 [1372/73-1375] [1375-c.1382] [c.1383-1385/91]
Giovanni di Bartolo
1391-[c.1433]
Giovanni e Lorenzo di Biagio da Campi
[c.1433]-1440
Lorenzo
1440-1441/42
299
202
Cfr. qui le pp. 38-39, 44.
Nel 1442 la teneva in affitto un albergatore Mariano di M° Michele e Taddeo di Salvestro dei Micceri
1447 [1443/45-p.1451]
Almeno dal 1451 divenne una bottega di legnaiolo - Scuola del Lungarno300 [Biagio “il vecchio” e Paolo di Piero [Paolo
?-c.1340] c.1340-1364]
[Paolo e Michele di Gianni301
1365-1367/68]
[Biagio di Giovanni e Michele
1367/68-1371]
[Biagio di Giovanni, Michele e Antonio Mazzinghi
1371-1372/73]
[Biagio di Giovanni
1372/73-1385]
[Biagio di Giovanni e Michele
1386-1387]
[Biagio di Giovanni
1387-1388]
Biagio di Giovanni e Luca di Matteo Luca Luca e Giovanni del M° Luca Giovanni del M° Luca Calandro di Piero Calandri
1389-1397 1397-[c.1415] [c.1415]-1427/30 1431-c.1436 1436/40-1442/45
300
Cfr. qui le pp. 39-40, 47. Come si vede, i nomi di Biagio “il vecchio”, Paolo dell’abaco e Michele di Gianni, figurano in relazione allo stesso arco di tempo sia nella Scuola di Santa Trinita che in quella del Lungarno. Benché Paolo dell’abaco sia stato finora sempre associato alla Bottega di Santa Trinita, allo stato attuale delle indagini e sulla base di alcuni documenti, non si può escludere che la sua attività - e quella di altri due maestri a lui legati, Biagio e Michele - si sia invece svolta, durante il suddetto periodo, nella Scuola del Lungarno. 301
203
Tra il 1443 ed il 1445 i locali della scuola furono acquistati da Antonio di Dino Canacci ed incorporati nella sua abitazione - Scuola di Via dell’Inferno Marco di Iacopo Grassini
1514
POPOLO DI SANTA LUCIA D’ OGNISSANTI
- Scuola di Santa Maria della Scala302 Benedetto di Antonio da Firenze
1468 [1458-1469]
GONFALONE DELLA VIPERA POPOLO DEI SANTI APOSTOLI
- Scuola dei Santi Apostoli303 [Michele di Gianni e Luca di Matteo
1375-1385]
[Luca
1386-1387]
[Michele e Luca
1387-1388]
Michele e Orlando di Piero
1389-[c.1405]
Michele e Mariano di M° Michele
[c.1405]-1413
Mariano
1413-1442
Antonio di Salvestro dei Micceri
1442-1445
[Mariano Mariano e Banco di Piero Banchi Mariano, Benedetto di Antonio da Firenze [e Banco] 302 303
204
Cfr. qui le pp. 45-46, 49. Ibidem, pp. 43-45, 49.
1445-1450] 1451 1451/53-1454
Mariano, Banco [e Benedetto]
1454-1457/58
Banco [e Niccolò di Lorenzo]
1458-1479
Taddeo di Salvestro dei Micceri e Niccolò di Taddeo dei Micceri
1480-1492
Niccolò dei Micceri
1492-1519
Niccolò dei Micceri e Piero di Zanobi
1519-1525
Niccolò dei Micceri e Giuliano di Buonaguida della Valle
1525-1527
POPOLO DI SANTA MARIA SOPRA PORTA
- Scuola di Piazza dei Pilli304 Calandro di Piero Calandri
d.1447-1452, d.1452-1461/63
Nel 1447 la teneva in affitto il pittore Giovanni di Giovanni, detto Scheggia La scuola venne chiusa prima dell’agosto 1469
GONFALONE DEL LEON ROSSO POPOLO DI SAN MINIATO TRA LE TORRI
- Scuola della Corticina dell’abaco305 Calandro di Piero Calandri [Benedetto di Antonio da Firenze Pier Maria di Calandro dei Calandri [e Filippo Maria di Calandro dei Calandri]
1463-1468 1469-1479] p.1480-1506
Nel febbraio del 1507 la bottega fu venduta ai Capitani di Parte Guelfa 304 305
Ibidem, pp. 47-48. Ibidem, pp. 48-49.
205
POPOLO DI SANTA MARIA DEGLI UGHI
- Scuola di Via dei Ferravecchi306 Giovanni del Sodo
1493-1500
La scuola cessò la propria attività prima del settembre 1502
QUARTIERE DI SANTA CROCE GONFALONE DEL CARRO POPOLO DI ORSANMICHELE
- Scuola di Orsanmichele307 Benedetto di Antonio da Firenze [e Bettino di Ser Antonio da Romena]
1448-1451
Fino all’ottobre del 1448 e dal novembre 1451 fu una scuola di grammatica POPOLO DI SAN PIERO SCHERAGGIO
- Scuola di Piazza del Vino308 Niccolò di Taddeo dei Micceri
GONFALONE DELLE RUOTE POPOLO DI SANTA MARIA E STEFANO ALLA BADIA
- Scuola della Badia fiorentina309 306 307 308 309
206
Ibidem, p. 51. Ibidem, pp. 41-42. Cfr. la nota 164. Cfr. qui p. 42.
1475
Bettino di Ser Antonio da Romena e Lorenzo di Biagio da Campi
1452-1456
POPOLO DI SAN PIER MAGGIORE310
- Scuola verso Borgo Pinti311 Francesco di Leonardo Galigai e Giuliano di Buonaguida della Valle
1519-1522
GONFALONE DEL LEON NERO POPOLO DI SAN ROMEO (o REMIGIO)
- Scuola verso Piazza Peruzzi Iacopo
1334
- Scuola di Via dei Rustici312 Antonio [di Taddeo dei Micceri]
primo trentennio del sec. XVI
QUARTIERE DI SAN GIOVANNI GONFALONE DEL VAIO POPOLO DI SANTA MARGHERITA DE’ RICCI
- Scuola di Santa Margherita313 Antonio di Giusto Mazzinghi, Tommaso di Davizzo dei Corbizzi e Bernardo di Tommaso dei Corbizzi
1370-1371
310 Segnaliamo che il Popolo di San Pier Maggiore faceva parte anche del Quartiere di San Giovanni. 311 Cfr. la nota 189. 312 Cfr. la nota 164. 313 Cfr. la nota 141.
207
Tommaso, Bernardo [e Cristofano di Tommaso dei Corbizzi]
1371-1376
POPOLO DI SANTA MARIA DEGLI ALBERIGHI
- Scuola al Canto de’ Ricci314 di Giovanni Canacci [ Raffaello e Marco di Iacopo Grassini Iacopo di Antonio Grassini [e Marco]
1493-1494] 1495-?
GONFALONE DEL DRAGO VERDE POPOLO DI SAN MICHELE BERTELDI
- Scuola di Piazza Padella315 [Benedetto di Antonio da Firenze
1452-1464]
Nel 1469 era una scuola di primo livello Nel 1470 la casa che aveva ospitato la scuola fu acquistata da Antonio del Pollaiolo
QUARTIERE DI SANTO SPIRITO GONFALONE DEL DRAGO VERDE POPOLO DI SAN FREDIANO
- [Scuola di Via San Salvatore]316 [Lorenzo di Biagio da Campi
314 315 316
208
Ora Canto di Croce Rossa. Cfr. qui p. 49. Cfr. la nota 157.
1458-1469]
GONFALONE DEL NICCHIO POPOLO DI SAN IACOPO SOPR’ ARNO
- Scuola di Borgo San Iacopo Raffaello di Giovanni Canacci
1495
GONFALONE DELLA SCALA POPOLO DI SANTA MARIA SOPR’ ARNO
- Scuola di Via de’ Bardi317 Ser Filippo
317
1495-1499
Cfr. la nota 187.
209
Elenco delle sigle AOIF: AOSMFF: ASF: BANLR: BAV: BCS: BCUNY: BLO: BMLF: BMV: BNF: BNP: BNR: BRF: BUB:
210
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Indice dei nomi di persona
Adovardo, setaiolo, 17, 121 Agli (degli), famiglia, 17, 25, 47, 49 Agli (degli), Carlo di Bindo, 15, 47, 67, 69, 70, 73, 83 Agli (degli), Francesco di Gerozzo, 84 Agli (degli), Giovanni di Bindo, 15, 47, 67, 69, 71, 73, 83 Agli (degli), Lotto di Niccolò di Lotto, 25, 98, 99, 100 Agli (degli), Niccolò di Lotto, 99 Agli (degli), Onofrio di Niccolò di Lotto, 99 Agli (degli), Rinaldo di Bindo, 15, 47, 67, 69, 70, 73, 83 Agnola, presso la famiglia Tinghi, 81 Agnolo, presta cavalli, 134 Agnolo di Mone da Marti, 138 Agostino di Marco di Puccio, 128, 129, 162 Agostino di Vanni, don, maestro d’abaco, 39, 197, 202 Aiuto (d’), Francesca di Cenni, 44 Aiuto (d’), Mattia di Cenni, notaio, 93 Alberti (degli), Calvo, 8 Albizzo di Piero, scalpellatore, 76 Alesso, maestro d’abaco, 197 Alesso di Iacopo, rigattiere, 136, 163 Amadore di Iacopo di Angelo, 90 Ambra (da), Bartolomeo, di Ser Francesco, 100 Ammannati, Lorenzo di Ridolfo, abate di S. Baronto, 27, 156 Andrea, cimatore, 191 Andrea, gualchieraio, 191 Andrea (detto il Duca), lavorante di terre, 71, 78 Andrea di Andrea di Domenico, 19, 20, 24, 30, 75, 81, 82, 103, 105, 106, 107, 108, 109, 110 Andrea di Ser Angelo da Terranova, notaio, 110, 111, 112, 113, 115, 116, 117, 118, 119 Andrea di Domenico, 103 Andrea di Iacopo di Lunigiana, frate, 127 Andrea di Lorenzo di Antonio di Cristofano, cartolaio, 19, 20, 21, 24, 26, 30, 81, 103, 105, 109, 110, 111 Andrea di Manetto, notaio, 101 Andrea di Simone, presbitero, 85 Andrea di Stefano, 46 Angelo di Lorenzo di Cecco, 82 Angeni, Francesco, 80 Antella (dell’), Tommaso di Piero, 138 Antinelli (degli), Giovanfrancesco da Turdeto, dottore in legge, 113 220
Antinori, Antonio di Tommaso, 125 Antonia di Francesco di Ser Bindo, 82 Antonia di Lorenzo di Antonio di Cristofano, 19, 20, 24, 30, 82, 109, 110 Antonio, filatoiaio, 189 Antonio, frate, 135 Antonio, maestro d’abaco, 45, 198 Antonio, prete di San Donato a Menzano, 64 Antonio (Zuffulacchio), messo del Tribunale della Mercanzia, 120 Antonio da Città di Castello, maestro d’abaco, 198 Antonio da Gagliano, 138 Antonio da Rabatta, banchiere, 99 Antonio del Pollaiolo: v. Benci Antonio di Andrea, 68, 71 Antonio di Antonio di Ser Andrea di Bartolo, 90 Antonio di Bartolomeo, 98 Antonio di Cristofano di Guido (detto il Rosso), tessitore, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 22, 23, 24, 25, 29, 30, 31, 42, 47, 56, 57, 62, 63, 65, 66, 67, 69, 70, 72, 73, 74, 75, 83, 84, 85, 87, 88, 90, 91, 92, 93, 94, 95, 97, 99, 100, 101, 104, 105, 106, 111, 112, 115, 117, 118, 119, 120, 121, 122, 182, 183, 184, 185, 186, 187 Antonio di Francesco, notaio, 83 Antonio di Francesco di Ser Bindo, 82 Antonio di Giovanni (detto Grassino), 201 Antonio di Giovanni di Niccolò, filatoiaio, 103 Antonio di Giovanni di Roselli d’Arezzo, maestro di grammatica, 43 Antonio di Giovanni di Stefano (detto il Basso), 94 Antonio di Guglielmo da Torre di Valdipesa, 43 Antonio di Iacopo (detto il Matto), vinattiere, 137, 140, 161, 162, 171 Antonio di Paolo da Camiano, 97, 120 Antonio di Perticino, 181 Antonio di Reddito, pettinaio, 64 Antonio di Salimbene di Bartolomeo (o di Bancolino), legnaiolo, 94, 193 Arcangiolo di Domenico, correggiaio, 86 Argiropulo, Giovanni, 8 Astolfo di Vanni, maestro d’abaco, 196, 199 Baldassarre, dipendente del Monastero di Santa Maria degli Angeli, 132 Baldassarre del Grasso, setaiolo o albergatore, 67, 68, 70, 71, 97 Baldassarre di Antonio di Ser Bernardo, legnaiolo, 88 Baldassarre di Iacopo di Stefano, tessitore, 96 Baldino, prete di San Iacopo a Montecarelli, 66 Baldo, fabbro, 73 Baldo, linaiolo, 73 Baldo, pittore, 151, 171 Baldo di Bartolomeo, 62, 64, 65 Baldo di Simone, linaiolo, 25, 67, 70 Bambo (del), Michelozzo, 176 Bambocci, Andrea, famiglio della Signoria, 102 Banchi, Agostino di M° Banco di Piero, 44 Banchi, Andrea di M° Banco di Piero, notaio, 44 Banchi, Banco di Piero, maestro d’abaco, 43, 44, 45, 53, 198, 204, 205 Banchi, Gianna di M° Banco di Piero, 44 221
Banchi, Maria di M° Banco di Piero, 44 Banchi, Piero di M° Banco di Piero, 44 Bancozzi, Niccolò di Vieri, 136, 165 Barbigia (del), Niccolò di Giovanni di Sandro, lanaiolo, 27, 160, 174 Bardani, Francesco, ceraiolo, 139 Bardi (dei), Gualtiero, 64 Bardi (dei), Iacopo, 15, 63 Bardi (dei), Piero, 64 Baroncelli, Baroncello di Leonardo, 84 Baroncini, Francesco, 139 Bartolini, Bartolomeo di Leonardo, banchiere, 27, 147, 149, 152, 154, 173, 174, 175 Bartolino, legnaiolo, 92 Bartolino, pizzicagnolo, 137, 164 Bartolomei, Antonio, notaio, 100 Bartolomei, Giovanni, notaio, 118 Bartolomeo, 135, 136 Bartolomeo, (detto Larciano), filatoiaio, 181 Bartolomeo di Andrea di Domenico, 19, 105 Bartolomeo di Berto, 103 Bartolomeo di Francesco, maestro d’abaco, 197, 199 Bartolomeo di Iacopo, maestro d’abaco, 198 Bartolomeo di Nardo, 103 Benci, Antonio di Iacopo, 26, 101, 208 Benci, Benci di Niccolò, 125 Benci, Giovanni di Iacopo, 26 Benci, Piero di Iacopo, 26 Bencioni, Lorenzo, 126 Bene (del), Francesco di Vieri, 101 Benedetta (vedova di Lodovico di Santi), 29 Benedetto, maestro d’abaco a Brescia, 8 Benedetto, scalpellino, 134 Benedetto di Domenico Pialla, pittore, 45 Benino (del), Neri, Ufficiale di Notte, 191 Benintendi, Francesco di Giuliano, ceraiolo, 28, 136, 137, 169, 173, 175, 177, 178 Benintendi, Giovanni di Giuliano di Iacopo, ceraiolo, 29, 143 Benozzi, Gino, pittore, 45 Bernardino, don, 140 Bernardo del M° Galileo, 70 Bernardo di Ser Cetto di Ser Agnolo da Loro, notaio, 127, 129 Berto di Moro, maestro d’abaco, 196, 199 Berzi, Core di Iacopo, 77 Bettini, Lisabetta di Banco, 32, 188 Biagio “il vecchio”, maestro d’abaco, 39, 40, 53, 197, 202, 203 Biagio di Giovanni, maestro d’abaco, 40, 53, 197, 203 Bicci di Lorenzo, pittore, 42 Biondo di Lorenzo, 107 Bisticci (da), Vespasiano, 43 Bonacquisti, Tedaldo di Vanni, maestro d’abaco, 197 222
Bonagio, maestro d’abaco, 197 Bonaparte, Luigi, 47 Boni (dei), Bono di Giovanni, cambiavalute, 25, 95, 140 Bono di Nardo (o di Marco), messo, 119, 142 Borghini, Giovanni, 138 Botticelli, Sandro, 45 Braccio, rigattiere, 136 Bramangeri: v. Mangeri Brancacci, compagnia, 17, 84 Brancacci, Felice, setaiolo, 17, 62, 64, 65, 68, 71 Brancacci, Giuliano di Giuliano, 75, 76, 77, 79, 80 Brunelleschi, Filippo, 15, 16, 63, 67, 69, 70, 73, 84, 99 Bruni, Carlo di Donato, 140, 150 Bruni, Leonardo, 26, 27 Bruni, Leonardo di Donato di Leonardo, priore, 27, 130, 131, 135, 137, 138, 139, 143, 144, 149, 150, 153, 154, 155, 157, 158, 161, 164, 167, 168, 180 Bruni, Lucia di Matteo, 93 Bruni, Marietta di Donato di Leonardo, 150 Bruni, Piero di Donato di Leonardo, 26, 27, 102, 129, 142, 173, 174, 178, 179 Buonaccorsi, Benedetta di Simone di Onofrio, 99 Buono (del), Geri, 114 Buriani, Giovanna di Corso di Iacopo, 82 Busi, Marco, lavorante di terre, 80 Calandri, famiglia, 47, 48 Calandri, Antonio di Pier Maria, 48 Calandri, Antonio di Piero di Mariano, merciaio, 17, 119, 120 Calandri, Calandro di Pier Maria, 48 Calandri, Calandro di Piero di Mariano, maestro d’abaco, 7, 17, 38, 39, 40, 43, 47, 48, 49, 53, 58, 119, 120, 197, 201, 203, 205 Calandri, Filippo Maria di Calandro, maestro d’abaco, 40, 48, 198, 201, 205 Calandri, Mariano di Calandro, 40 Calandri, Pier Maria di Calandro, maestro d’abaco, 13, 40, 48, 49, 51, 198, 201, 205 Calandri, Piero di Mariano, 201 Calandri, Selvaggia di Calandro, 40 Calcagni, Piero di Francesco, beccaio, 103 Cambi, Bernardo di Giovanni di Domenico, mercante, 25, 74, 97, 98, 99 Cambini, compagnia, 19 Cambini, Cambino di Niccolò, linaiolo, 19, 85 Canacci, Antonio di Dino di Francesco, 47, 204 Canacci, Raffaello di Giovanni, maestro d’abaco, 198, 208, 209 Canchi, Iacopo, 93 Capponi, Cappone di Neri, 41, 181 Capponi, Gino, 41 Capponi, Neri di Gino, 41 Capponi, Rocco, 125 Carboni, Iacopo di Antonio, stufaiolo, 33, 93 Carlo, tessitore, 138 Carnesecchi, Berto, 65, 66, 68, 69, 71, 73 Carnesecchi, Francesco di Berto, 114, 125 223
Carnesecchi, Giovanni di Niccolò, 62, 64 Cascesi, Apollonio di Francesco, cappellano, 41, 182, 183, 184 Castellani (de’), Frate Grazia, teologo ed abacista, 38, 53, 197 Caterina (moglie di Andrea di Girolamo Laurentini), 24 Caterina di Francesco di Santi, 50 Cavalcanti, Andrea di Lazzaro (detto il Buggiano), 16, 99 Cavalcanti, Matteo di Angelo (detto Malatesti), 41, 181 Cefferello (di), Giovanni, 74 Cegia (o Ciegia o Del Cegia), famiglia, 49 Cegia, Agostino di Domenico, vaiaio, 49, 50 Cegia, Caterina di Domenico, 50 Cegia, Domenico d’Agostino, vaiaio ed abacista, 12, 49, 50, 52, 58, 59, 197 Cegia, Filippo di Domenico, vaiaio, 49, 50, 97 Cegia, Francesco d’Agostino, 49 Cepperello (da), Benedetto, notaio, 8 Cerretani, Matteo di Niccolò, 198 Cervagio di Agnolo, 32, 188 Cetto di Bernardo di Ser Cetto da Loro, notaio, 82, 104, 105, 108, 128 Checca (vedova di Vieri di Filippo Bancozzi), 135, 136, 159, 160, 165 Checca del M° Luca di Matteo, 17, 39, 201 Checco di Matteo, 16, 74 Chiaro (padre dei maestri Gherardo e Ranieri), 199 Chimenti da Monte Loro, 139 Chini, Niccolò, 50 Ciacchi, Bartolomeo, lanaiolo, 27, 37, 151, 152, 171, 172, 174, 176 Ciacchi, Tommaso di Scolaio, 50 Ciardi, Ricciardo di Benedetto, notaio, 100, 119 Cicca (del), Zanobi di Zanobi di Niccolò, 26, 101 Cienfanelli, Vannino di Meo, da Sansepolcro, 126 Cilia (vedova di Buonaccorso di Niccolò Latini), 74 Cini, Niccolò di Bartolo, 181 Cino di Bencino, 199 Cipriano, pittore, 75 Clara di Ricco di Santi, 82 Clemente di Zanobi, legnaiolo, 86 Cofacia (del), Maziale di Marco, 114 Corbinelli, Tommaso di Agnolo, 20, 123 Corbizzi (dei), Bernardo di Tommaso, maestro d’abaco, 39, 197, 200, 207, 208 Corbizzi (dei), Cristofano di Tommaso, maestro d’abaco, 197, 200, 208 Corbizzi (dei), Davizzo, maestro d’abaco, 196, 200 Corbizzi (dei), Tommaso di Davizzo, maestro d’abaco, 39, 197, 200, 207, 208 Corda di Michele, lavorante di drappi, 64 Corso di Adamo da Campiano, 16, 74 Costanza [moglie di Pier Maria Calandri], 48 Cresci di Marco di Cresci, mugnaio a Scandicci, 126 Cristofano di Andrea da Laterino, notaio, 82, 83 Cristofano di Antonio di Cristofano, 15, 18, 24, 63, 65 Cristofano di Guido (o Guidone), 14, 24, 61, 62, 83 Cristofano di Guido di Torello, 14 Cristofano di Lorenzo di Antonio di Cristofano, 19, 24, 109, 111 224
Cristoforo di Bartolomeo, monaco di San Salvatore a Settimo, 108 Cristoforo di Viva di Cristoforo, di Caprese, 102 Dannono, Martino di Giovanni, di Lombardia, 28, 143, 144 Davanzati, Niccolò di Giovanni, 20, 123 Dei, Benedetto, 46 Deti, famiglia, 38, 40 Diedi di Vanni, maestro d’abaco, 196, 199 Dimizio (detto Orbo), 191 Dini, Antonio di Michele di Feo, 26, 34, 100, 101 Dini, Cristofano di Luca, tessitore, 88 Dini, Matteo di Ser Niccolò di Feo, camarlingo della Compagnia del Bigallo, 188 Domenico, 194 Domenico, frate, 63 Domenico di Cione, dell’Arte degli Albergatori, 93 Domenico di Domenico da Prato, legnaiolo, 36, 192, 193, 194 Domenico di Gualberto, calzolaio, 25, 34, 123 Domenico di Lorenzo, 86 Domenico di Lorenzo di Antonio di Cristofano, 19, 24, 109, 111 Domenico di Michelino, 8 Domenico di Niccolò, rettore della Chiesa di San Lorenzo, 86 Domenico di Piero, calzolaio o linaiolo, 15, 94, 96 Domenico di Ser Santi, notaio, 188 Donato, imbiancatore, 178 Donato di Salvuccio di Guido, lavorante di terre, 62, 64, 65, 68 Enclide, 51 Fantappié, 144 Fantini, monsignore, 32, 188 Fazi, Simone di Ser Antonio, merciaio, 64 Federici, Domenico di Iacopo, 79 Federigi (dei), Paolo di Iacopo, 33, 87 Ferrini, Niccolò, notaio, 74 Filippa (nipote di M° Michele), 200 Filippo, prete, maestro d’abaco, 51, 198, 209 Filippo di Bono di Filippo, tessitore, 90 Filippo di Ser Giovanni di Ser Piero, tessitore, 88 Fini, Tommaso di Iacopo, 99 Fio di Luca, cuoco, 133, 168 Fioraia (della), Giuliano di Piero di Filippo, 144 Fiordalisi, Piero di Matteo, galigaio, 25, 34, 123, 124 Fiorini, Cosimo, 81 Foraboschi, Piero di Lapo, maestro d’abaco, 197 Formiconi, Simone di Giorgio, camarlingo della Compagnia del Bigallo, 183, 184 Fortini, Bartolomeo di Ser Giovanni, notaio, 105 Fortuna (da), Albizzo, 151, 155, 171 Fortuna (da), Francesco d’Albizzo, 28, 169, 175, 176 Fortuna (da), Giovanbattista d’Albizzo, notaio, 27, 28, 136, 169, 174, 175, 176 Fortuna (da), Luca d’Albizzo, 169, 173, 176 Francesca, greca, meretrice, 34, 103 Francesca o Checca di Francesco di Ser Bindo, 82 Franceschi, Giovanni di Ser Luca, 77 225
Francesco, araldo, 8 Francesco, don, 153, 157 Francesco d’Agostino, 170 Francesco di Ser Ambrogio, 114 Francesco di Berto, maestro d’abaco, 196, 199 Francesco di Ser Bindo di Francesco, da Montevarchi, 82 Francesco di Cambio, carradore, 136, 161 Francesco di Duccio di Giovanni, presbitero, 109 Francesco di Ser Feo d’Arezzo, maestro di grammatica, 43 Francesco di Gentile, 190 Francesco di Giovanni (detto il Francione), 36 Francesco di Ser Giovanni, dell’Arte degli Albergatori, 93 Francesco di Lorenzo, legnaiolo, 88 Francesco di Marco, 101 Francesco di Marco di Salvuccio, 75 Francesco di Niccolò di Panunzio, 141, 166 Francesco di Pasquino di Niccolò, 92 Franchino di Giovanni di Franchino, da Sansepolcro, 126 Francioso, Antonio di Giovanni, barbiere, 136, 148, 172 Franco, cappellano di San Michele Visdomini, 28, 170, 178 Frosini, Francesco, bottaio, 86, 190 Gabriele, frate dei Servi di Maria, 81 Gabrielli, Niccolò, notaio, 83 Gaiole (da), Giovanni, 36, 143 Galigai, Francesco di Leonardo, maestro d’abaco, 51, 56, 198, 207 Gambini, Luigi, notaio, 27, 137, 161 Ganucci, famiglia: v. Cegia Gardi, Michele di Lodovico, 85 Gasparre, bicchieraio, 168 Gasparre di Niccolò, 85 Gerini, Antonio, lanaiolo, 27, 179 Geronimo di Salvestro, 97 Gherardi, Paolo, abacista, 197 Gherardino, maestro d’abaco, 196 Gherardo di Chiaro, maestro d’abaco, 196, 199 Ghini, don Piero, del Monastero di Santa Maria degli Angeli, 35, 179 Gianfigliazzi, famiglia, 47 Gianni (padre di M° Michele), 200 Ginevra (moglie di Giovanbattista di Andrea Laurentini), 24 Ginori, Gino, 157, 171 Giocondo (del), Andrea di Antonio, tessitore, 27, 149, 175, 178 Giocondo (del), Domenico di Andrea di Antonio, 150, 175 Giocondo (del), Domenico di Zanobi, tessitore, 27, 149, 150 Giocondo (del), Niccolò di Domenico, 175, 178 Giordano di Iacopo, rigattiere, 37, 136, 145, 162, 166, 170, 179 Giovanni, fornitore del Monastero di Santa Maria degli Angeli, 138 Giovanni, maestro, 83 Giovanni, maestro d’abaco, 197 Giovanni del M° Luca di Matteo, maestro d’abaco, 40, 197, 201, 203 Giovanni di Antonio di Cristofano, 15, 17, 18, 19, 23, 24, 29, 30, 31, 63, 65, 226
66, 67, 69, 72, 73, 81, 85, 88, 91, 92, 97, 99, 104, 105, 106, 107, 111, 112 Giovanni di Antonio di Domenico, 90 Giovanni di Bartolo, maestro d’abaco, 38, 39, 42, 52, 53, 197, 202 Giovanni di Bernardo, 68 Giovanni di Cecco, 17 Giovanni di Davizzo, maestro d’abaco, 197, 200 Giovanni di M° Giovanni (detto Scheggia), pittore, 205 Giovanni di Giuliano di Lorenzo (detto il Grassina), ritagliatore, 100 Giovanni di Ser Matteo, notaio, 82 Giovanni di Matteo di Masino, 159, 170 Giovanni di Niccolò, ferravecchio, 85 Giovanni di Pace, legnaiolo, 88 Giovanni di Piero (fratello di Paolo dell’abaco), 197, 199 Giovanni di Piero di Antonio, calzolaio, 103 Giovanni di Rinaldo, stufaiolo, 93 Giovanni di Simone, 16, 74 Giovanni Battista di Bartolomeo di Andrea, 103, 105 Giraldi, Verozzo di Giovanni, maestro d’abaco, 197 Girolamo (cognato di Don Piero di Iacopo), 180 Giugni, Francesco di Antonio, 26 Giuliana, serva, 81 Giuliano di Antonio, calzolaio, 83 Giuliano di Arrigo, calzolaio, 175 Giunta di Lippo da Montegonzi, 61, 62 Gori, Benedetto, 176 Grassini, Antonio di Iacopo, 198, 201 Grassini, Giovanni Maria di Iacopo, maestro d’abaco, 198, 201 Grassini, Iacopo di Antonio, maestro d’abaco, 198, 201, 208 Grassini, Marco di Iacopo, maestro d’abaco, 198, 201, 204, 208 Guardi, Battista di Ser Francesco, notaio, 57, 58, 59 Guardi, Benedetto di Ser Francesco, banchiere, 57, 58, 59 Guardi, Bernardo di Guardi, lanaiolo, 57, 58, 59 Guardi, Francesco, notaio, 58 Guardi, Guido di Ser Francesco, 58 Guelfo di Guido, messo del Tribunale della Mercanzia, 120 Guerrucci, Michele di Piero, 75 Guerrucci, Piero di Michele, 76, 77, 79 Guglielmo, marruffino, 25, 73 Guidetti, Giovanni, 106 Guido (bisnonno di M° Benedetto), 24 Guido di Antonio di Cristofano, 15, 18, 24, 63, 65 Guido, o Guidone, di Lorenzo di Antonio di Cristofano, monaco, 19, 20, 21, 24, 109 Guiducci, Giovanni, notaio, 14, 61 Guiducci, Frate Mariotto di Ser Giovanni, maestro d’abaco, 14, 53, 198 Guittone d’Arezzo, fra’, 27 Iacopo, maestro d’abaco, 196, 207 Iacopo di Antonio, 85 Iacopo di Antonio di Cristofano, 15, 18, 24, 63, 65 Iacopo di Bartolomeo, di Corella, treccone, 102 227
Iacopo di Duccio, maestro d’abaco, 197 Iacopo di Giovanni, notaio, 82 Iacopo di Lorenzo di Antonio di Cristofano, 19, 20, 24, 109, 111 Iacopo di Matteo di Salvuccio o Salvino (detto il Sordo), 73, 81, 106, 180 Iacopo di Simone da Pesaro (oTerni), maestro di grammatica, 43, 181, 182, 183 Imperio, Piero di Giovanni, mugnaio, 191 Istagio, calzolaio, 75 Lapi, Bartolomeo, 148 Lapi, Michele di Niccolò, vaiaio, 77 Lapi, Zanobi di Giovanni, cartolaio, 20, 24, 109, 110 Latini, Buonaccorso di Niccolò, 70, 74 Laurentini, famiglia, 21 Laurentini, Andrea di Giovanbattista, 24 Laurentini, Andrea di Girolamo, 24 Laurentini, Andrea di Paolo, 24 Laurentini, Francesca di Giovanbattista, 24 Laurentini, Francesca di Paolo, 24 Laurentini, Francesco di Vincenzo, 24 Laurentini, Giovanbattista di Andrea, 20, 21, 24, 30, 82 Laurentini, Giovanni di Girolamo, 24 Laurentini, Girolamo di Andrea di Giovanbattista, 24 Laurentini, Leonardo di Paolo, 24 Laurentini, Paolo di Andrea di Giovanbattista, orafo, 21, 24 Laurentini, Vincenzo di Andrea, 20, 21, 24, 30, 82 Laurentini, Zanobi di Girolamo, 24 Lenzi, Antonio di Niccolò, notaio, 74 Leonarda di M° Giovanni, 40, 201 Leonardo di Francesco di Ser Bindo, 82 Leonardo di Ser Piero da Vinci, 7, 8, 35, 52 Liberali, famiglia: v. Agli Liena, messo de Tribunale della Mercanzia, 123 Lippi, Mariotto di Ginozzo, camarlingo della Compagnia del Bigallo, 184, 185 Lodovico di Santi, sellaio, 29, 143, 178 Lorenzo, pizzicagnolo, 191 Lorenzo di Ser Agnolo da Terranova, notaio, 18, 121, 122 Lorenzo di Antonio di Cristofano, tessitore, 15, 17, 19, 20, 23, 24, 29, 30, 31, 33, 63, 65, 66, 73, 89, 90, 91, 93, 98, 103, 105, 106, 108, 109, 111, 123, 124, 125 Lorenzo di Biagio da Campi, maestro d’abaco, 39, 42, 43, 53, 197, 202, 207, 208 Lorenzo di Cecco da Montevarchi (detto il Conte), 82 Lorenzo di Lorenzo, calzolaio, 130 Lorenzo di Niccolò, 200 Lorenzo di Piero, correggiaio, 86 Lorenzo di Piero di Andrea (detto Cavallino), tavolaccino, 142 Lorenzo di Neri di Agnolo, 125 Lorenzo Monaco, fra’, 27 Lorini, Giovanni di Bonaiuto, 145, 148, 175 Luca, legnaiolo, 193 Luca di Antonio da San Gimignano, maestro di grammatica, 43, 184, 185 Luca di Antonio di Cristofano, 15, 18, 23, 24, 63, 65, 66, 67, 69, 89 Luca di Donato di Salvuccio, lavorante di terre, 68 228
Luca di Matteo Pelacane, maestro d’abaco, 39, 40, 44, 48, 53, 197, 201, 203, 204 Luca di Tano, 129 Luca Domenico di Michele, mercante di asini, 17, 120 Lucrezia di Ser Agnolo da Terranova, 40 Macigni, Francesco di Carlo, 198 Maddalena (moglie di Girolamo Laurentini), 24 Maddalena di Luca di Antonio, 18, 24, 89 Maffeo, fornitore del Convento di Santa Maria degli Angeli, 133 Magna (della), Bartolomeo, 139 Magna (della), Rinaldo di Giovanni di Rinaldo, tessitore, 27, 136, 139, 146, 151, 156, 163, 173, 174 Maiano (da), Benedetto di Leonardo, 36 Maiano (da), Giuliano di Benedetto, 36, 198 Maiano (da), Giuliano di Leonardo, 36 Mancini (dei), Antonio: v. Micceri, 53 Mancino, speziale, 180 Mangeri, Niccolò, notaio, 14, 68, 71, 73, 82, 83 Manzoni, Alessandro, 47 Marchionne di Filippo, sensale, 138, 141, 142 Marco di Baldo, prete, 25, 47, 49, 73 Marco di Domenico di Feo, ferravecchio, 127, 128 Margherita (moglie di Martino di Giovanni Dannono), 28, 143, 144 Margherita di Zanobi da Gagliano, 24 Maria di Lorenzo, stagnaio, 50 Maria di Lorenzo di Cecco, 82 Mariano di Andrea di Totto, del Mugello, 99 Mariano di M° Michele di Gianni, maestro d’abaco, 39, 43, 44, 45, 53, 56, 190, 197, 200, 203, 204, 205 Mariano di Stefano di Nese, forbiciaio, 62, 64, 65, 66, 68, 69, 71, 73 Marino, 140 Mariotto di Marco, speziale alla Palla, 27, 175 Marmocchi, Carlo, 8 Marsuppini, famiglia, 12, 55 Marsuppini, Carlo, 27 Marsuppini, Iacopo di Lorenzo di Iacopo, 55 Martelli, Geronimo di Antonio, 194 Martini, Antonio, 144 Martini, Giovanni di Antonio, 85 Martini, Matteo di Paolo da Pulicciano, 148, 174 Maruscelli, Salvestro di Andrea, 80, 114 Masaccio, 17 Masi, Bartolomeo, calderaio, 51 Masini, Masino di Giovanni, 191 Masini, Migliore di Manetto, notaio, 105 Masini, Piero di Niccolò, 159 Masino di Baldo, 80, 114 Maso di Grazia: v. Tommaso Maso di Piero dell’Antella, 138 Masolino da Panicale, 17 Masolo di Baldo, 114 229
Matteo di Domenico di Matteo, lavorante di terre, 126 Matteo di Francesco di Ser Bindo, 82 Matteo di Giusto, maestro d’abaco, 197 Matteo di Lorenzo, orafo, 27, 150, 172 Matteo di Niccolò, lavorante di drappi, 64 Matteo di Niccolò Pelacane, 201 Matteo (o Teo), di Salvuccio di Guido, lavorante di terre, 62, 64, 65, 66, 68, 69, 71 Matteo di Tano di Bartolomeo, legnaiolo, 85, 92, 100 Mauro, frate, 130, 131, 132, 140, 166, 167, 168 Mazza (del), Antonio, orafo, 27, 28, 145, 146, 154, 156, 158, 166, 171 Mazzinghi, Antonio di Giovanni del M° Antonio, 79, 80 Mazzinghi, Antonio di Giusto, maestro d’abaco, 39, 40, 52, 53, 56, 79, 197, 202, 203, 207 Medici (de’), Cosimo di Giovanni, 27 Medici (de’), Giuliano di Lorenzo, 49 Medici (de’), Giuliano di Piero, 49 Medici (de’), Lorenzo di Piero, 27, 46, 49 Medici (de’), Nannina di Piero, 46 Megli, Giovanni, stufaiolo, 93 Meo di Cambio, 97 Meo di Fio, ortolano, 130, 132 Meo di Paolo, 190 Mellini, Francesco, 58 Merini, Guglielmo di Vanni, notaio, 126 Micceri (dei), famiglia, 48, 53 Micceri (dei), Antonio di Salvestro, maestro d’abaco, 14, 39, 40, 44, 53, 197, 201, 204 Micceri (dei), Antonio di Taddeo, 198, 201, 207 Micceri (dei), Niccolò di Taddeo, maestro d’abaco, 45, 198, 201, 205, 206 Micceri (dei), Salvestro di Piero, 201 Micceri (dei), Taddeo di Salvestro, maestro d’abaco, 39, 44, 45, 53, 197, 201, 203, 205 Michael Scotus, 42 Michele di Antonio, notaio, 122, 124 Michele di Monna Diana, 137 Michele di Gianni, maestro d’abaco, 39, 40, 44, 53, 56, 197, 200, 202, 203, 204 Michele di Lorenzo, linaiolo, 27, 136, 165, 172 Michele di Niccolò di Giovanni, da Ravenna, 99 Michelozzi, Francesco di Donato, 198 Migliorelli, Giovanni, notaio, 142 Migliorelli, Luca di Iacopo di Piero, 28, 29, 140, 141, 178 Mimuli, Pietro di Ser Andrea, notaio, 104 Monciatto, Francesco, 36 Mone, proprietario di terre a Cambiano, 98 Monte di Iacopo di Monte, camarlingo della Compagnia del Bigallo, 185, 186 Moretti (de’), Michele di Simone, ortolano, 132, 134, 135, 137, 138, 140, 167, 169 Moro, maestro d’abaco, 196, 199 Moschini, Bartolomeo, 98 230
Mostaccio (del), Santi, pollaiolo, 86 Nacchianti, Andrea di Cristofano, notaio, 51 Nacchianti, Cristofano di Piero, 51 Naldi, Francesco di Giovanni, 26, 102 Nanna di Iacopo, 20, 24 Nanna di M° Michele di Gianni, 43 Nanna di Toni, 97 Nanni di Lodovico, 83 Nannina (moglie di Vincenzo di Andrea Laurentini), 24 Nemi, Nofri di Paolo, notaio, 181 Nencio di Angelo, 93 Neri: v. Ranieri Neri di Bicci, pittore, 42 Niccolò, messo del Tribunale della Mercanzia, 124 Niccolò, rettore dalla Chiesa di San Lorenzo, 86 Niccolò, treccone in Mercato Vecchio, 147 Niccolò di Ser Biagio da Castelnuovo, 74 Niccolò di Domenico di Benedetto, pettinaio, 90 Niccolò di Francesco (Niccolò delle tarsie), legnaiolo, 126 Niccolò di Giovanni da Catalogna, maestro di grammatica, 43, 181, 182, 183 Niccolò di Lorenzo, maestro d’abaco, 45, 198, 200, 205 Niccolò di Panunzio, rigattiere, 76 Niccolò di Pietro, cappellano della Chiesa di San Michele Berteldi, 88 Niccolò di Stefano, 198 Nobili (dei), Francesco di Bartolomeo, 47 Nobili (dei), Zanobi di Bartolomeo, 47 Nofri, 137 Nofri di Gherardo, messo del Tribunale della Mercanzia, 120 Orlando di Piero, maestro d’abaco, 44, 197, 204 Orrevole (moglie di Giovanni di Bartolo Tinghi), 22, 75, 76, 77, 79, 80, 81 Orsa di Ragusa, 18, 74, 89 Pace (del), Giovanni, legnaiolo, 88 Pacioli, Luca, 12, 52 Pagnini, Salvestro, 76 Pantini, Piero di Ser Andrea, 92 Paolo, medico, 8 Paolo, muratore, 133, 168 Paolo da Napoli, messer, 20, 124, 125 Paolo di Andrea, messo, 111 Paolo di Bernardo, 83 Paolo di Giovanni, 101 Paolo di Iacopo da Laterino, 83 Paolo di Luca di Buonaguida, famiglio della Camera del Comune, 87 Paolo di Piero, maestro d’abaco, 39, 40, 52, 53, 56, 197, 199, 202, 203 Paolo di Santi, sellaio, 29, 142, 143, 178 Papi di Lorenzo, guardiano della Camera del Comune, 87 Parissi, Polidoro, 86 Passignano, messo del Tribunale della Mercanzia, 124 Pazzi (dei), Maria di Uguccione, 50 Pelacane (del): v. Galigai 231
Pellegrino di Giovanni da Rimini, maestro di grammatica, 43 Pellegrino di Lorenzo di Antonio di Cristofano, 19, 24, 109, 111 Pepi, Giovanni di Chirico, banchiere, 27, 156, 157 Perello Filiziano di M° Perello da Zigole, maestro di grammatica, 43 Pergola (della), Lazzaro, 180 Peruzzo di Cino di Bencino, maestro d’abaco, 196, 199 Piera (vedova di Core di Iacopo Berzi), 77, 78 Pieraccino, lavorante di terra, 71 Piergianni, 73 Pierino di Guidotto, lavorante di terre, 68 Piero, 129, 130, 132, 134, 135, 138, 139, 140, 158, 164, 173 Piero (detto Grasso), don, 132 Piero, legnaiolo, 86 Piero (padre di Paolo dell’abaco), maestro d’abaco, 197, 199 Piero, setaiolo, 17, 121 Piero del Pollaiolo: v. Benci Piero del Repole, 137 Piero di Ser Andrea da Campi, notaio, 74, 86, 88, 90, 94, 96, 102 Piero di Antonio da Bacchereto, orciolaio, 83 Piero di Antonio da Vinci, notaio, 35, 191 Piero di Barnaba da Orvieto, maestro di grammatica, 43 Piero di Bartolomeo, speziale al Cappello, 181 Piero di Domenico, 198 Piero di Franco, maestro d’abaco, 196, 197, 199 Piero di Iacopo, don, Priore della Badia del Sasso, 35 Piero di Masseto, 85 Piero di Nuto, barbiere, 37, 162, 179 Piero di Vico (detto Bolognino), famiglio della Compagnia del Bigallo, 183, 184, 185 Piero di Zanobi, maestro d’abaco, 45, 198, 205 Piero Paolo, 125 Pietro di Lorenzo di Antonio di Cristofano (Frate Lorenzo), 19, 24, 109 Pigli: v. Pilli Pilli (dei), famiglia, 41 Pilli (dei), Accorri di Geri, 41, 181 Pilli (dei), Iacopo di Latino, 41, 181 Pintasso, Matteo, 97 Pisano, Leonardo, 10, 12, 42, 51, 52, 53, 54 Pitti, Giovannozzo, 25, 73 Poliziano, 27 Popoleschi, Diego, 16, 68, 71, 74 Popoleschi, Vico, 16, 68, 71, 74 Porcelli, Domenico di Palmieri, 127 Porcelli, Francesco di Marco, lavorante di terre, 127, 128 Porcelli, Francesco di Michele, lavorante di terre, 127 Porcelli, Matteo di Domenico, lavorante di terre, 127 Porcelli, Piero di Domenico, lavorante di terre, 127, 134, 136, 160 Proconsolo (del), Antonio, 101 Pucci, Giovanni di Meo di Simone, 25, 92, 93 Puccio, maestro d’abaco, 196 232
Puccio di Francesco, 198 Quercia (del), Salvatore di Bartolomeo, 179 Querciuola (del), Piero di Simone, vetturale, 191 Ranieri (o Neri ) di Chiaro, maestro d’abaco, 196, 199 Rena, messo del Tribunale della Mercanzia, 122 Ribussati, Santi di Zanobi, legnaiolo, 94 Ricasoli (dei), Piergiovanni di Andrea di Bindaccio, 190 Ricciardo di Piero, notaio, 74, 91 Ricoveri, Giovanni, 155 Romena (da), famiglia, 33 Romena (da), Bettino di Ser Antonio, maestro d’abaco, 33, 42, 43, 53, 86, 182, 183, 184, 185, 186, 187, 197, 206, 207 Romena (da), Francesco di Iacopo, notaio, 85 Romena (da), Giovanni di Ser Marco, notaio, 81, 103, 105, 109 Rondinelli, famiglia, 135 Rosselli, Stefano di Iacopo, 90 Rossi (dei), Guerrieri di Tribaldo, 51 Rossi (dei), Tribaldo d’Amerigo, 51 Rosso (del), Giovanni, maestro d’abaco, 198 Rubini, Giovanni di Stefano, lavorante di terre, 73, 75 Rucellai, famiglia, 56 Rucellai, Bernardo di Giovanni, 46 Rucellai, Bernardo di Piero di Cardinale, 26, 59, 101 Rucellai, Girolamo di Piero di Cardinale, 12, 26, 56, 59 Salomoni, Antonio, notaio, 87 Salutati, Giovanni di Andrea, 32, 45, 190 Salvestrino, lavorante di terre, 129, 138 Salvetti, Bernardo di Marco, 125 Salvini, Salvino di Luca, 100 Sandro, messo, 134, 160 Sandro da Montegonzi, 61 Sanfele da Poppi, 81 Sangalletti, Iacopo di Iacopo, 174, 177 Santi di Angelo di Santi, legnaiolo, 88 Santi di Domenico d’Arezzo, maestro di grammatica, 43 Santi di Francesco di Cambio, 161 Santi di Lorenzo da Dicomano, maestro di grammatica, 43 Santi di Paolo, 198 Savio (del), Davide di Piero, di Mosciano del Mugello, 102 Scala, Alessandra di Bartolomeo, 27 Scala, Bartolomeo, 27, 129 Scala, Lucrezia di Bartolomeo, 27 Scelto (dello), Amerigo, 190 Sesto, fornitore del Monastero di Santa Maria degli Angeli, 129, 132, 133, 164 Sgodi, Stefano, famiglio dell’Ufficio dell’Onestà, 102 Simone di Antonio di Cristofano, 15, 18, 24, 63, 65 Simone di Cambio di Lorenzo, 125, 129 Simone di Francesco, maestro di grammatica, 43 Simone di Matteo, 131, 136 Simone di Matteo, Ufficiale di Notte, 191 233
Sini, Francesco, notaio, 105 Sodi (o Del Sodo), famiglia, 50 Sodo (del), Cosa di Giovanni, 50 Sodo (del), Giovanni di Sodo, maestro d’abaco, 50, 51, 52, 198, 206 Sodo (del), Lorenzo di Giovanni, 50 Sodo (del), Pierantonio di Giovanni, 50 Sodo (del), Sodo di Lorenzo, sensale, 49, 50, 96 Sofferoni, Matteo, notaio, 84, 182, 183, 184 Soldanieri, famiglia, 38, 40 Spinelli, Gasparre, 150, 172 Spini, famiglia, 40, 47 Staggia (da), Bindo di Angelo, notaio, 85 Stagio di Francesco di Cambio, 161 Stagnesi (degli), Angela di Bartolomeo di Niccolò, 26, 34, 100 Steccuto (dello), Adovardo di Lorenzo, 160, 165, 172, 174 Stranati, Tommaso di Francesco, 86 Strinati, Bartolomeo, banchiere, 27, 149, 178 Taccerini, Filippo di Taccerino di Lorenzo, 25, 92, 93 Taddea di Domenico di Piero, 14, 15, 18, 22, 23, 24, 25, 26, 30, 34, 35, 47, 49, 63, 67, 69, 72, 73, 75, 89, 92, 94, 96, 99, 100, 101 Taddeo di Francesco, maestro d’abaco, 198 Taglino di Marco di Biagio, 117 Talani, Santi di Chimento, 126 Talduccio di Sandro, 83 Talento di Antonio, lavorante di drappi, 64 Tano, lavorante di terra, 125, 126, 128 Tano, legnaiolo, 64 Tasso (del), Domenico, 36 Tasso (del), Giuliano, 36 Tasso (del), Marco, 36 Tedeschino, 86, 103 Tegghiacci, famiglia, 47 Tinghi, Bartolo di Giovanni, 76, 77 Tinghi, Bartolomeo di Giovanni, 22, 30, 35, 76, 77, 79, 80, 111, 113, 114, 115, 118, 119, 180 Tinghi, Bice di Giovanni, 22, 77 Tinghi, Bonda di Giovanni, 22, 79 Tinghi, Francesco di Giovanni, 22, 30, 35, 77, 79, 80, 111, 113, 114, 115, 118, 119 Tinghi, Giovanni di Bartolo (detto Falsamostra), comandatore della Signoria, 22, 23, 32, 71, 72, 76, 77, 78, 79, 87, 113 Tinghi, Giovanni Gualberto di Giovanni, 22, 79 Tinghi, Luca di Giovanni, 22, 30, 35, 79, 80, 111, 113, 114, 115, 118, 119 Tinghi, Papi di Bartolo, 76, 77, 78 Tinghi, Piera di Giovanni, 22, 79 Tinghi, Piero Antonio di Giovanni, 22, 76, 77, 79 Tinghi, Pippa di Giovanni, 22, 23, 24, 26, 28, 29, 30, 32, 35, 71, 72, 73, 76, 77, 78, 80, 87, 111, 113, 114, 135, 148, 180 Tinghi, Simone di Giovanni, 22, 35, 76, 77, 78, 79, 80 Tinghi, Verano di Giovanni, 22, 79 234
Tita (vedova di Baldo di Simone, linaiolo), 25, 73 Tolomea (o Mea) di Lorenzo di Cecco, 82 Tommasi, Tommaso di Niccolò, notaio, 102, 119 Tommaso, di Piazza Padella, 101 Tommaso (nipote di Piergianni), 73 Tommaso, don, 138 Tommaso, maestro d’abaco, 196, 199 Tommaso, prete di San Lorenzo da Cascia, 62, 64, 66 Tommaso, ser, 132 Tommaso di Cino, maestro d’abaco, 196 Tommaso (o Maso) di Grazia, lavorante di terre, 25, 34, 71, 73, 124 Tonino, proprietario di terre a Cambiano, 98 Tornaquinci, Arrigo di Bernardo, 144 Toscanelli, Paolo dal Pozzo, 27 Traversari, Ambrogio, 27 Tuccerelli, Carlo di Francesco, 150 Valentini, Niccolò, notaio, 68, 71, 74, 104 Valerio di Andrea di Berto, ritagliatore, 27, 159, 174 Valigia, miserabile, 191 Valle (della), Giuliano di Buonaguida, maestro d’abaco, 45, 51, 198, 205, 207 Valori, Bartolomeo, 27 Vanni, [abacista], 196, 199 Verdi, famiglia, 47 Vespini, Geronimo, sensale, 100 Vespucci, Anastasio, notaio, 74, 96 Villa (della), Bartolino, 180 Zanobi di Baldo, fabbro, 90 Zanobi di Daniele, speziale, 86 Zanobi di Ser Iacopo, 17, 119
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Indice dei luoghi, monumenti e istituzioni
Alemannia, 87 Antella, 40, 43, 138 Arezzo, 43 Bacchereto, 83 Balneo di Santa Maria (Distretto di), 26, 102 Berti, località di Montevarchi, 62 Bologna, 95 Bologna, località di S. Donato a Menzano, 16, 62, 64, 65, 73, 75, 81 Bottaio, località di Montevarchi, 14, 83 Bottaio (Via di), 83 Brescia, 8 Cambiano, 16, 67, 68, 70, 74, 97 Camiano: v. Cambiano Camiano (Società), 97 Campi, 39, 42, 53, 74, 86, 88, 102, 104, 197, 202, 207, 208 Campiano, 16, 74 Capannetta, località di Cambiano, 16, 97 Caprese, 102 Cascia (Lega, Pieve o Piviere di), 16, 62, 63, 64, 65, 66, 68, 69, 71, 73, 80 Casentino, 33, 34, 35, 124, 130 Castelfiorentino (Comune di), 16, 67, 70, 71 Castelfranco di Sopra (Comune di), 16, 62, 63, 65, 66, 69, 106, 107 Castellare, località di Cambiano, 16, 98 Castelnuovo, 74 Catalogna, 43, 181 Cavriglia (Piviere di), 14 Città di Castello, 198 Corella, 102 Dicomano, 43 Docce, località di Cambiano, 16, 97 Egitto, 17 Elsa, 70, 97 Empoli (Corte di), 120 Eresco o Resco, fiume di S. Giovenale, 62, 114 Figline, 39, 53, 197 Firenze: – Abaco (Corticina o Via dell’), 48 – Abaco (Scuola della Corticina dell’), 48, 49, 205 – Acciaiuoli (Lungarno), 43, 44 – Agli (Piazza degli), 26 – Albergatori (Arte degli), 33, 93 236
– Alfani (Via degli), 26 – Alighieri, Dante (Via), 42 – Altoviti (Chiasso degli), 43, 44 – Amore (Via dell’), 23, 76 – Ariento (Via dell’), 93 – Badia fiorentina: v. S. Maria e Stefano alla Badia – Badia fiorentina (Scuola della), 42, 206 – Bardi (Scuola di Via de’), 51, 209 – Bardi (Via de’), 51 – Beccanugi (Cappella dei), 32, 85 – Belle Donne (Via delle), 50 – Bigallo (Capitani del), 41, 181, 188 – Bigallo (Compagnia del), 27, 31, 32, 41, 42, 43, 137, 156, 158, 170, 178, 183, 184, 186 – Buoi (Chiasso dei), 16, 26, 34, 70, 103 – Calimala (Arte di), 41, 45, 125, 128, 129, 194 – Calimala (Via), 41, 180, 181 – Calimaluzza (Via), 50 – Cambio (Arte del), 99, 125, 126, 127, 128 – Camera del Comune, 33, 78, 87 – Canto de’ Ricci (Scuola al), 208 – Canto dei Sassetti, 51 – Canto di Croce Rossa, 208 – Capitani di Parte Guelfa, 205 – Carraia (Ponte alla), 40 – Carro (Gonfalone del), 50, 206 – Cassa del Generale, 33, 78 – Catasto, 14, 15, 18, 19, 22, 23, 25, 30, 43, 44, 46, 47, 67, 68, 69, 70, 72, 74, 75, 76, 77, 80 – Catasto (Ufficiali del), 23, 30, 35, 63, 65, 74, 75 – Cestello (Monastero di), 20, 51 – Chiesa (Via della), 42, 44 – Cocomero (Via del), 33 – Comune, 33, 63, 65, 66, 77, 78, 87, 106, 111, 112, 114, 115, 117, 118, 119, 124 – Comune (Via del), 63 – Consiglio (Sala del), 192, 193 – Consiglio dei Cento, 33, 87 – Consoli del Mare, 78 – Cornina (Via), 50 – Corso (Via del), 17 – Croce al Trebbio (Via della), 50 – Decima Granducale, 21, 30 – Decima Repubblicana, 19, 20, 26, 30, 46, 50, 51, 143 – Drago Verde (Gonfalone del): Quartiere di San Giovanni, 15, 20, 30, 63, 65, 66, 67, 69, 70, 72, 75, 81, 208 – Drago Verde (Gonfalone del): Quartiere di Santo Spirito, 23, 77, 80, 208 – Duomo (Piazza del), 16 – Ferravecchi (Scuola di Via dei), 51, 206 – Ferravecchi (Via dei), 51 237
– Ferza (Gonfalone della), 76, 77, 79 – Fibbiai (Via dei), 20, 21, 26, 28, 29, 37, 81, 140, 142, 173, 175 – Fiesolana (Via), 20 – Gabella del Vino, 179 – Gabella della Farina, 168 – Gabella delle Porte, 139, 164 – Gianfigliazzi (Palazzo), 47 – Granducato, 21 – Grano (Piazza del), 45 – Guelfa (Via), 50 – Inferno (Scuola di Via dell’), 204 – Innocenti (Ospedale degli), 21 – Lamberti (Via de’), 41 – Laudi di San Piero Martire (Compagnia delle), 133 – Laudi di Sanzanobi (Compagnia delle), 27, 173 – Leon Bianco (Gonfalone del), 23, 50, 75, 76 – Leon Nero (Gonfalone del), 207 – Leon d’Oro (Gonfalone del), 15 – Leon Rosso (Gonfalone del), 79, 205 – Lungarno (Scuola del), 40, 46, 47, 203 – Lungarno (Via di): Lungarno Corsini, 40, 47 – Mangano (Chiasso del), 48 – Mercanzia (Tribunale o Corte della), 17, 20, 25, 34, 119, 120, 121, 122, 123, 124 – Mercanzia (Ufficiale della), 119, 120, 121, 122, 123, 124 – Mercatanti (Arte dei): v. Calimala – Mercato Nuovo, 124 – Mercato Vecchio, 124, 147, 150, 174, 178 – Misericordia (Compagnia della), 27, 31, 41, 174 – Monte Comune o delle Graticole, 23, 72, 89, 92, 99, 100 – Monte Comune (Ufficiale del), 116, 117 – Mozzi (Piazza dei), 15, 16, 63 – Neri (Via de’), 45 – Nicchio (Gonfalone del), 209 – Ninna (Via della), 45 – Notai (Arte dei), 127, 128 – Nuova (Via), 45 – Onestà (Ufficio dell’), 34, 102 – Operai di Palazzo, 36, 192, 194 – Orsanmichele (Chiesa di), 41, 103 – Orsanmichele (Compagnia o Società di), 25, 34, 76, 103, 181 – Orsanmichele (Piazza di), 41, 180, 181 – Orsanmichele (Popolo di), 41, 112, 181, 182, 183, 184, 206 – Orsanmichele (Scuola di), 41, 42, 43, 44, 46, 47, 48, 181, 182, 183, 184, 185, 206 – Orti Oricellari (Accademia degli), 46 – Orti Oricellari (Via degli), 45 – Otto di Guardia e Balia della Repubblica, 29, 142 – Padella (Piazza), 15, 16, 17, 18, 23, 25, 26, 34, 47, 49, 63, 67, 69, 70, 72, 73, 84, 99, 101 – Padella (Scuola di Piazza), 49, 208 238
– Palazzuolo (Via), 50 – Pellicceria (Via), 48 – Peruzzi (Scuola verso Piazza), 207 – Pietrapiana (Via), 39 – Pilli (Corte o Piazza dei), 48 – Pilli (Scuola di Piazza dei), 47, 48, 205 – Pinti (Borgo), 51 – Pinti (Porta a), 44 – Pinti (Scuola verso Borgo), 51, 207 – Podestà (Corte del), 26, 29, 30, 80, 82, 106, 110, 111, 112, 113, 114, 115, 117, 119 – Podestà (Palazzo del), 80, 124, 142 – Poggio Imperiale, 163 – Polverosa (Via), 45 – Por Santa Maria (Via), 138 – Porta Rossa (Via), 39 – Prestanze, 15 – Priori di Libertà, 112 – Quattro Nazioni (Albergo delle), 47 – Ricasoli (Via), 33 – Ripoli (Via di), 45 – Rosa (Via della), 21 – Ruote (Gonfalone delle), 206 – Rustici (Scuola di Via dei), 45, 207 – Rustici (Via dei), 45 – S. Agata (Convento di), 40, 47 – S. Ambrogio (Popolo di), 88 – S. Andrea (Popolo di), 93 – S. Apostoli (Borgo), 44 – S. Apostoli (Popolo dei), 43, 204 – S. Apostoli (Scuola dei), 43, 44, 45, 46, 49, 51, 204 – S. Caterina (Via), 21 – S. Cecilia (Popolo di), 50 – S. Cristoforo (Cappella di), 41, 182 – S. Croce (Chiesa e Convento di), 58, 137 – S. Croce (Quartiere di), 15, 41, 44, 45, 50, 51, 57, 206 – S. Egidio (Via), 33 – S. Felice in Piazza (Popolo di), 44 – S. Felicita (Monastero di), 71, 77, 78, 80 – S. Felicita (Popolo di), 50, 85 – S. Firenze (Chiesa di), 41, 182 – S. Firenze (Popolo di), 50, 99 – S. Frediano (Borgo), 23, 75, 77, 79, 80 – S. Frediano (Popolo di), 42, 45, 51, 76, 79, 80, 111, 113, 190, 208 – S. Giovanni (Piazza), 50 – S. Giovanni (Quartiere di), 15, 20, 26, 29, 30, 33, 39, 44, 45, 50, 63, 65, 66, 67, 69, 70, 72, 75, 81, 82, 106, 207 – S. Giovanni (Vicario di), 29, 142, 180 – S. Iacopo (Scuola di Borgo), 209 – S. Iacopo Sopr’Arno (Popolo di), 209 239
– S. Lorenzo (Chiesa di), 86, 114 – S. Lorenzo (Piazza), 102 – S. Lorenzo (Popolo di), 21, 76, 85, 90, 93, 96, 102 – S. Lucia degli Angeli: anche de’ Bardi o dei Magnoli (Popolo di), 15, 62, 84 – S. Lucia d’Ognissanti (Popolo di), 45, 50, 127, 204 – S. Marco (Popolo di), 90 – S. Margherita (Scuola di), 39, 207 – S. Margherita de’ Ricci (Popolo di), 39, 207 – S. Maria (Via), 44 – S. Maria degli Alberighi (Popolo di), 208 – S. Maria degli Angeli (Monastero di), 20, 21, 26, 27, 28, 29, 32, 35, 36, 37, 81, 125, 126, 127, 128, 129, 142, 143, 144, 177, 188, 191 192 – S. Maria degli Innocenti (Ospedale di), 21 – S. Maria degli Ughi (Popolo di), 51, 206 – S. Maria del Carmine (Chiesa di), 17, 39 – S. Maria del Fiore (Chiesa di), 23 – S. Maria del Fiore (Opera di), 88 – S. Maria del Fiore (Popolo di), 20, 88, 90, 96 – S. Maria della Scala (Ospedale di), 29, 45, 67, 68, 70, 71, 97, 98, 190 – S. Maria della Scala (Scuola di), 45, 46, 49, 204 – S. Maria e Stefano alla Badia (Abbazia di), 42 – S. Maria e Stefano alla Badia (Popolo di), 42, 82, 83, 105, 108, 206 – S. Maria in Campo (Chiesa di), 83 – S. Maria in Campo (Popolo di), 83, 84 – S. Maria Maddalena de’ Pazzi (Chiesa di), 51 – S. Maria Maggiore (Popolo di), 20, 90, 100, 101, 103, 105, 108, 109 – S. Maria Nipotecosa (Popolo di), 44, 86 – S. Maria Novella (Chiesa di), 133 – S. Maria Novella (Popolo di), 94 – S. Maria Novella (Quartiere di), 15, 23, 38, 40, 45, 50, 51, 75, 76, 82, 106, 202 – S. Maria Nuova (Ospedale di), 19, 25, 27, 51, 71, 78, 80, 84, 85, 127, 172, 173, 176, 177 – S. Maria Sopra Porta (Popolo di), 48, 205 – S. Maria Sopr’Arno (Popolo di), 51, 209 – S. Martino (Via), 42, 179 – S. Michele (Società di), 32, 33, 42, 85 – S. Michele Berteldi (Chiesa di), 18, 20, 26, 32, 34, 85, 88 – S. Michele Berteldi (Popolo di), 15, 20, 33, 34, 63, 65, 66, 67, 69, 72, 73, 84, 85, 86, 87, 88, 90, 92, 93, 94, 96, 97, 98, 99, 100, 101, 103, 104, 105, 111, 113, 208 – S. Michele Visdomini o S. Michelino (Chiesa di), 27, 28, 29, 170, 177, 178 – S. Michele Visdomini (Popolo di), 20, 26, 44, 81, 103, 143 – S. Miniato tra le Torri (Popolo di), 48, 205 – S. Orsola (Convento di), 47 – S. Paolo (Ospedale di), 127 – S. Paolo (Popolo di), 88, 94 – S. Pier Maggiore (Chiesa di), 40 – S. Pier Maggiore (Popolo di), 20, 21, 39, 83, 88, 111, 207 – S. Piero Scheraggio (Popolo di), 45, 189, 190, 206 240
– S. Reparata (Popolo di), 189 – S. Romeo, o Remigio (Popolo di), 45, 207 – S. Salvatore (Scuola di Via), 208 – S. Salvatore (Via), 42 – S. Simone (Popolo di), 90 – S. Spirito (Chiesa e Convento di), 27, 38 – S. Spirito (Opera di), 161 – S. Spirito (Quartiere di), 15, 23, 42, 44, 45, 51, 62, 67, 69, 70, 77, 79, 80, 110, 208 – S. Tommaso (Via di), 130 – S. Trinita (Chiesa di), 40 – S. Trinita (Piazza), 39 – S. Trinita (Ponte), 40 – S. Trinita (Popolo di), 40, 202 – S. Trinita (Scuola di), 38, 39, 44, 202, 203 – SS. Annunziata (Piazza), 26 – Scala (Gonfalone della), 15, 62, 67, 69, 70, 72, 209 – Scala (Via della), 45, 46 – Sei (Ufficio dei), 121, 122, 125 – Servi (Via dei), 28, 143 – Signoria, 33, 80, 87, 192 – Signoria (Palazzo della), 7, 36, 192 – Sitorno (Via di), 44 – Spini (Piazza degli), 39 – Strozzi (Via degli), 51 – Teatina (Via), 16 – Terme (Via delle), 39 – Trebbio (Via del), 50 – Udienza (Sala dell’), 192, 193 – Ufficiali di Notte, 32, 45, 189, 190, 191 – Ufficiali di Torre, 142 – Unicorno (Gonfalone dell’), 202 – Università, 38 – Vacchereccia (Via), 50 – Vaio (Gonfalone del), 26, 207 – Vecchio (Ponte), 137 – Vergine Maria (Chiasso della), 43, 44 – Vescovado, 126, 140 – Vessillifero di Giustizia, 112 – Vinegia (Via), 137, 161, 162 – Vino (Piazza del), 45 – Vino (Scuola di Piazza del), 45, 206 – Vipera (Gonfalone della), 204 Gagliano, 24, 138 Gaiole, 36, 143 Gangalandi (Comune di), 22, 76, 79, 80, 111, 113, 114 Genova, 197 Ginestraio, località di Cambiano, 16, 98 Giogoli, 50 Granaiolo, località di Cambiano, 16, 98 241
Laterino, 82, 83 Lombardia, 27, 71, 143 Loro, 82, 104, 105, 108, 127, 128 Lucca, 95, 132, 96, 197 Lunigiana, 127 Luodo, località di S. Donato a Menzano, 16, 107 Maiano, 36, 198 Mantignano, 50 Marti, 138 Menzano, 16, 30, 66, 70, 180 Montecarelli, 66 Montegonzi, 61 Monte Loro, 139 Monte San Savino, 144 Montevarchi (Comune, Corte di), 14, 61, 82, 83 Mosciano in Mugello, 102 Mugello, 50, 102 Napoli, 20 Orvieto, 43 Padule, località di Cambiano, 16, 97 Palaia, località di Cambiano, 16, 98 Panicale, 17 Pesaro, 43 Pescaia, località di Cambiano, 16, 97 Pestina, località di Cambiano, 16, 97 Pilano, fiume di S. Giovenale, 62, 64, 69, 80, 114 Pisa, 95, 196 Poderano, località di Cambiano, 16, 98 Poggio di Monte, località di Cambiano, 16, 97 Poggio Ruberti, località di Gangalandi, 76 Ponte verso Granaiolo, località di Cambiano, 16, 98 Poppi, 81 Pozzolatico, 135, 144, 146 Prato, 97, 127, 192, 193, 194 Prato, località di Cambiano, 16, 97 Pulicciano, 130, 174 Rabatta, 99 Radice, località di S. Donato a Menzano, 16, 62, 70, 107 Ragusa, 18, 74, 89 Ravenna, 99 Renaio, località di Cambiano, 16, 97 Resco, fossato di S. Donato a Menzano, 107 Rimini, 43 Romena, 33, 42, 53, 81, 86, 103, 105, 109, 182, 183, 184, 185, 186, 187, 197, 206, 207 Romena (Castello di), 33 S. Agata di Monte San Savino (Convento di), 144 S. Agostino (Ordine di), 38, 53 S. Andrea a Pulicciano (Popolo di), 92 S. Angelo o S. Michelangelo a Legnaia (Popolo di), 23, 71, 77, 80, 127 242
S. Baronto, 27 S. Donato a Menzano (Chiesa di), 144 S. Donato a Menzano (Popolo di), 16, 29, 30, 62, 64, 65, 68, 69, 71, 73, 75, 81, 106 S. Gimignano, 43, 184, 185, 197 S. Giovenale, 16, 29, 30, 34, 35, 62, 64, 65, 66, 68, 69, 71, 73, 80, 114 S. Giusto a Campi (Popolo di), 50 S. Godenzo, 140 S. Iacopo a Montecarelli, 66 S. Lorenzo a Cascia, 62, 64, 66 S. Maria a Sco (Plebe e Popolo di), 25, 92, 93, 107 S. Maria a Soffiano (Popolo di), 126 S. Martino a Gangalandi (Popolo di), 76 S. Martino a Pontifogni, 30 S. Piero a Monticelli (Popolo di), 36, 125, 126, 127, 128 S. Pietro a Cascia (Popolo di), 114 S. Pietro a Varlungo (Popolo di), 94 S. Prospero a Cambiano (Chiesa di), 97, 98 S. Prospero a Cambiano (Popolo di), 16, 25, 68, 74 S. Quirico a Marignolle, 50 S. Salvatore a Settimo (Badia di), 20, 108 S. Stefano a Campi (Popolo di), 40, 50 S. Tommaso d’Ostina (Chiesa di), 114 S. Tommaso d’Ostina (Popolo di), 16, 62, 64, 114, 116, 117 Sansepolcro (Popolo di), 12, 126 Sasso (Badia del), 35, 180 Scandicci (Ponte a), 126 Scarperia, 50 Sco (Piano o Piviere di), 16, 66, 68, 70, 71, 73, 74, 75 Servi di Maria (Ordine dei), 81 Siena, 95, 196, 197 Solatìo, località di S. Donato a Menzano, 16, 106 Solicciano, 42 Sparquatoio, località di Montevarchi, 61 Staggia, 85 Stia (Popolo di), 34, 124 Strumi (Abbazia di), 107 Terni, 43, 181 Terranova, 18, 40, 111, 113, 121 Torre di Valdipesa, 43 Turdeto, 113 Uzzano, 135 Valdarno di Sopra, 14, 16, 29, 30, 62, 63, 65, 66, 68, 69, 71, 73, 75, 106, 114, 121, 142 Valdelsa, 16, 68, 71 Valdipesa, 43, 139 Vecchia, località di Cambiano, 16, 97 Venezia, 12, 197, 198 Vinci, 7, 35, 191 Volterra, 197, 198 Zigole, 43 243
IL GIARDINO DI ARCHIMEDE Un Museo per la Matematica
La matematica antica su CD-rom Uno dei maggiori problemi nell’insegnamento e nella ricerca in Storia della matematica consiste nella difficoltà di accedere alle opere originali dei matematici dei secoli passati. Ben pochi autori, in genere solo i più importanti, hanno avuto edizioni moderne; nella maggior parte dei casi occorre rivolgersi direttamente alle edizioni antiche, presenti solo in poche biblioteche. Questa situazione è particolarmente gravosa nei centri privi di biblioteche importanti, dove anche lo svolgimento di una tesi di laurea in storia della matematica è ritardato dai tempi a volte lunghissimi necessari per procurarsi fotocopie o microfilms delle opere necessarie, ma sussiste anche nei centri maggiori, dove in ogni caso l’accesso ai volumi antichi è sottoposto a controlli e limitazioni. Per ovviare almeno in parte a questi inconveniente, e permettere una maggiore diffusione della cultura storico-matematica, il Giardino di Archimede ha preso l’iniziativa di riversare su CD-rom e diffondere una serie di testi rilevanti per la storia della matematica. Ogni CD contiene circa 5000 pagine (corrispondenti a circa 15-20 volumi). I testi sono disponibili in formato PDF, e possono essere letti direttamente su ogni personal computer o stampati utilizzando software reperibile in rete. La qualità delle immagini è largamente sufficiente per una agevole lettura anche dei testi più complessi e non perfettamente conservati. Il prezzo di ogni CD è di 130 Euro. Per l’abbonamento a 10 CD consecutivi il costo è di 1040 Euro. Per maggiori informazioni si può consultare il sito web http://www.math.unifi.it/archimede Ancient mathematics on CD-rom One of the main problems in teaching and researching the history of Mathematics consists in the difficulty in gaining access to original works by mathematicians of centuries past. Very few authors, usually only the most important - have been published in modern times. In most cases it is necessary to turn to old editions, which are only available in few libraries. This situation is especially annoying in towns without major libraries, where even the production of a degree thesis in the history of Mathematics is delayed by the often lengthy procedures necessary to obtain photocopies or microfilms of the works. Even in larger urban centers access to old volumes is subjected to checks and limitations. To get round these difficulties and to make the sources for the History of Mathematics available to a wider public, the Garden of Archimedes has realized a series of CD-rom with texts relevant to the history of Mathematics. Each CD contains about 5000 pages (corresponding to 15-20 volumes). The texts are contained in PDF files, and can be read directly on your personal computer or printed using freely distributed software. The quality of the images, even when the originals are far from being perfect, is adequate for a comfortable reading even of the most complex texts. The price of each CD is 130 Euros. It is also possible a subscription to ten CD at the price of 1040 Euros. More information is available from the web site http://math.unifi.it/archimede Per ordini rivolgersi a: Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali© casella postale n. 1 - succursale n. 8 - 56123 Pisa. Tel. +39 050878066 (5 linee r.a.) - Fax +39 050878732 - e-mail:
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Fabio Bellissima
BOLLETTINO DI STORIA DELLE
SCIENZE MATEMATICHE
Anno XXIII · Numero 1 · Giugno 2003
PISA · ROMA
ISTITUTI EDITORIALI E POLIGRAFICI INTERNAZIONALI MMIV
La Sectio canonis di Euclide e il suo errore logico
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Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche Vol. XXIII · (2003) · fasc. 1
Sommario Fabio Bellissima, La Sectio Canonis di Euclide e il suo errore logico
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Sandro Caparrini, Guido Fubini e la trasformata di Laplace: storia di un manoscritto inedito
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Iolanda Nagliati, Giuliano Frullani: la formula, gli integrali definiti e le serie Appendice 1. Carteggio inedito di Giuliano Frullani Appendice 2. Opere a stampa di Giuliano Frullani Appendice 3. Prospetto del carteggio di Giuliano Frullani Appendice 4. I programmi d’insegnamento di Giuliano Frullani
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Charles W. Groetsch, The Delayed Emergence of Regularization Theory 105 Michela Malpangotto, Sul commento di Pappo d’Alessandria alle Sferiche di Teodosio
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La Sectio canonis di Euclide e il suo errore logico
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Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche Vol. XXIII · (2003) · fasc. 1
La Sectio Canonis di Euclide e il suo errore logico Fabio Bellissima*
Introduzione La Sectio Canonis (nome latino con cui oggi è generalmente indicata la Katatome Kanonos, letteralmente ‘divisione del monocordo’) è una breve opera, tradizionalmente attribuita ad Euclide, il cui scopo principale è quello di fornire una veste sistematica e rigorosa ai due problemi che costituiscono il nucleo della teoria musicale pitagorica: la divisione del tono e la definizione dei rapporti numerici corrispondenti agli intervalli musicali. Sia per gli intenti che si pone, sia per i metodi che impiega, l’opera costituisce uno dei momenti di massima razionalizzazione della teoria armonica. Nella dimostrazione dell’enunciato più importante vi è un errore logico: un postulato del tipo α→β è impiegato nella forma ¬α→¬β. Paul Tannery, che nel 1904 scoprì questo ‘paralogismo’, lo giudicò una ragione sufficiente per negare che l’opera fosse di Euclide. In effetti, si tratta di un errore grave. Tuttavia Tolomeo, nella sua Armonica, riporta fedelmente la dimostrazione incriminata senza notare l’errore, e l’autenticità di quest’ultima opera non è in dubbio. Inoltre, in virtù della grande diffusione del testo tolemaico, il passo in questione è stato, nel corso di secoli, letto e commentato da numerosi matematici, senza che l’errore venisse rilevato. Lo scopo principale di questa nota è quello di dimostrare che tutto ciò è accaduto per la presenza di numerosi fattori che hanno mimetizzato quello che, nei termini in cui lo abbiamo esposto, sarebbe un banale errore di logica proposizionale. Questi fattori non dipendono dalla singola dimostrazione, ma riguardano la struttura e gli intenti dell’intera opera, che deve quindi essere analizzata nella sua completezza. Abbiamo pertanto diviso il lavoro nel modo seguente: nel primo paragrafo abbiamo esposto il contenuto delle prime sedici proposizioni della Sectio, che costituiscono la parte teorica e originale dell’opera, al culmine della quale, nella Proposizione 11, vi è l’errore logico. Nel secondo paragrafo ci siamo concentrati su tale errore, indicandone le modalità, le * Dipartimento di Matematica - Università di Siena, Via del Capitano 15, Siena.
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cause e i riflessi sul resto dell’opera. Il terzo paragrafo è stato dedicato alla terminologia musicale ed aritmetica impiegata nella Sectio, e il quarto alla traduzione del testo, con un commento rivolto prevalentemente agli aspetti logici e matematici. Nella Conclusione, infine, abbiamo tentato un giudizio complessivo sull’opera e sulla sua attribuzione ad Euclide.
1. Il contenuto La Sectio Canonis è costituita da un breve proemio e da venti proposizioni, altrettanto brevi. 1 Le considerazioni sulla natura del suono, contenute nel proemio, sono conformi all’impostazione data alla materia da Archita. Molto importante, per il suo legame con le dimostrazioni successive, è l’ultima frase del proemio: Stando così le cose, ne consegue che i suoni consonanti, poiché si fondono entrambi in un unico suono, stanno tra loro in quei rapporti numerici indicati con un solo nome, cioè o multipli o epimori.
È quello che in seguito chiameremo Principio di Consonanza: Se un intervallo è consonante allora il rapporto corrispondente è multiplo o epimorio.
In altri termini, il principio afferma che se due corde (di uguale tensione e sezione) producono un intervallo consonante, allora il rapporto tra la lunghezza p della corda più lunga e la lunghezza q della corda più corta deve essere un rapporto multiplo, cioè p/q = m/1, o epimorio, cioè p/q = (m+1)/m, con m > 1. Questo assioma venne formulato in seguito alla scoperta, di scuola pitagorica, che le tre consonanze fondamentali dell’armonia greca, cioè gli intervalli di ottava (ad esempio, Do-do), di quinta (DoSol) e di quarta (Do-Fa), si ottengono da coppie di corde i cui rapporti di 1. Lo studio più dettagliato è costituto dal volume The Euclidean division of the Canon. Greek and Latin sources, di André Barbera (v.[1]), a cui rimandiamo per approfondimenti filologici. La più importante edizione critica della Sectio, a cui ci siamo riferiti per la nostra traduzione, è di Karl von Jan [9]. In essa sono elencati circa venti manoscritti e testi in cui l’opera compare. Di questi, tre sono manoscritti anteriori al XV secolo (due dei quali in Italia, uno a Venezia: Venetus Marcianus appendicis classis VI, n.3, che comprende la Sectio alle pagine 9-17, e uno a Roma: Vaticanus Gr.191, che contiene due volte il testo, ai fogli 292 e 393), e cinque del XV secolo (tre dei quali in Italia: uno a Napoli: Neapolitanus III C2, uno ancora a Roma: Vaticanus Reginensis 169, e uno ancora a Venezia: Venetus Marcianus 322). I due testi fondamentali su cui si basa l’edizione dello Jan sono i due antichi manoscritti italiani. La prima edizione greca con traduzione latina è del 1557, ad opera di Jean Pena. Seguirono altre edizioni tra cui quella oxoniense di David Gregory del 1703. L’ultima traduzione latina (con testo greco a fronte) è quella di Henricus Menge (1916) [7]. La prima traduzione in inglese, fortemente incompleta, è di Charles Davy (1787), cui ha fatto seguito una traduzione di Thomas Mathiesen (1975) [10] e quella di Andrew Barker (1989) [2]; il traduttore francese è stato Charles-Emile Ruelle (1884). La prima traduzione italiana, del 1990, è di Maria Luisa Zanoncelli [21]. La traduzione del Proemio compare inoltre come appendice al terzo volume dell’opera Pitagorici. Frammenti e testimonianze, di Maria Timpanaro Cardini [17].
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lunghezza sono rispettivamente 2/1, 3/2 e 4/3, e cioè un rapporto multiplo e due rapporti epimori. Il passo citato, tuttavia, non fa riferimento a questa genesi empirica, ma basa il Principio di Consonanza su un’analogia: poiché le consonanze fondono i due suoni in un solo suono, a loro devono corrispondere quei rapporti che si esprimono ‘con un solo nome’, che sono i rapporti multipli e quelli epimori. Per capire il motivo per cui a questi rapporti sia attribuita questa strana caratteristica è necessario fare riferimento al modo in cui i Greci classificavano quelle che noi oggi chiamiamo frazioni improprie, cioè quelle in cui il numeratore p supera il denominatore q. Supponiamo di ridurre p/q a fattori primi. Allora la frazione può assumere una delle seguenti forme: m/1, con m > 1; in tal caso il rapporto era detto multiplo; (m+1)/m, con m > 1; in tal caso il rapporto era detto epimorio. (m+h)/m, con m > 1 e 1 < h < m; in tal caso il rapporto era detto epimerio; (km+1)/m, con m > 1 e k > 1; in tal caso il rapporto era detto multiplo-epimorio. (km+h)/m, con m > 1, 1 < h < m e k > 1; in tal caso il rapporto era detto multiploepimerio.
Dalla precedente classificazione si vede come nei primi due casi intervenga la sola variabile m, mentre nei restanti tre intervengano due variabili (m e h) o tre (m, k, e h). È questo il motivo della strana caratteristica attribuita a multipli ed epimori: per definire tali rapporti basta il solo nome di m. Un rapporto multiplo era infatti definito di doppio, triplo, quadruplo, etc. a seconda che m fosse 2, 3, 4; nel caso dei rapporti epimori i nomi erano sesquialtero, sesquiterzo, sesquiquarto, e in generale, per la frazione (m+1)/m, ‘sesqui’ seguito dall’ordinale di m. Per gli altri tipi di rapporto il nome era invece necessariamente più composito. 2 Secondo il punto di vista pitagorico, questa caratteristica dei multipli e degli epimori indicava un più stretto legame (una maggiore ‘consonanza’) tra numeratore e denominatore, e quindi rendeva tali rapporti gli unici idonei a rappresentare le consonanze musicali, nelle quali appunto i due suoni sono strettamente legati tra loro. Le venti proposizioni dell’opera si dividono piuttosto nettamente in tre gruppi. Le prime nove presentano risultati puramente aritmetici sui numeri naturali, le successive sette sono un’applicazione di quei risultati ai fondamenti della teoria musicale, le ultime quattro forniscono indicazioni per accordare il monocordo. Le prime sedici proposizioni, cioè i 2. Riteniamo tuttavia che l’attenzione non debba tanto esser rivolta all’espressione linguistica in senso stretto quanto al contenuto matematico soggiacente, rappresentato dal numero delle variabili in gioco.
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primi due gruppi, contengono il nucleo della teoria armonica greca; sono fortemente connesse tra loro, e il primo gruppo è rigorosamente funzionale al secondo. Le ultime quattro proposizioni, invece, riguardano problemi più specifici e, in parte, si contraddicono vicendevolmente. In questo paragrafo analizziamo il contenuto delle prime sedici proposizioni, e rimandiamo al Paragrafo 4 per il testo ed il commento delle restanti quattro. Il gruppo dei nove teoremi aritmetici può essere ulteriormente suddiviso. Le Proposizioni 1-5 hanno carattere più generale. Indicando con B,C e D dei numeri naturali, esse asseriscono che: Proposizione 1. Se C:B=B:D e B è multiplo di C allora D è multiplo di C. Proposizione 2. Se C:B=B:D e D è multiplo di C allora B è multiplo di C. Proposizione 3. Se C/D è un rapporto epimorio allora non esiste B tale che C:B = B:D. Proposizione 4. Se C:B=B:D e B non è multiplo di C allora D non è multiplo di C e D/C non è un rapporto epimorio. Proposizione 5. Se C:B=B:D e D non è multiplo di C allora B non è multiplo di C.
La Proposizione 3 è la più significativa del gruppo, in quanto ha come immediata conseguenza l’impossibilità di ottenere l’intervallo di semitono mediante rapporti razionali, essendo il rapporto di tono espresso dal rapporto epimorio 9/8. Tale proposizione è dovuta ad Archita, e questo fatto ha una notevole rilevanza storica in quanto, come osserva lo Heat (v.[8]), facendo riferimento ai teoremi che in essa vengono impiegati si ha un quadro dello sviluppo dell’aritmetica del V secolo. 3 Le Proposizioni 1-2-4-5 hanno, da un punto di vista logico, un significativo rapporto tra loro. La Proposizione 2 è l’inversa della Proposizione 1: insieme ci dicono che, se C:B = B:D, allora B è multiplo di C se e solo se D è multiplo di C. La Proposizione 5, poi, è la Proposizione 1 espressa in forma contronominale, e una situazione analoga si ritrova tra le Proposizioni 2 e 4 (salvo il riferimento di quest’ultima ai rapporti epimori). Indicando con α e β rispettivamente le espressioni «B è multiplo di C» e «D è multiplo di C», otteniamo questo quadrato di proposizioni: diretta (Proposizione 1: α→β), inversa (Proposizione 2: α→β), contraria (Proposizione 4: ¬α→¬β) e contronominale (Proposizione 5: ¬β→¬α). In una tale situazione due proposizioni sono sempre superflue: infatti, la contronominale è logicamente equivalente alla diretta, e la contraria alla inversa (di cui, mediante la legge della doppia negazione, è la controno3. Proprio basandosi su ciò che tale proposizione presuppone, ed anche su analoghe carenze di tipo logico, van der Waerden [19] sostiene che, per quanto concerne i contenuti, sia l’intera Sectio che l’VIII Libro degli Elementi sono opera della scuola di Archita. Sui problemi di attribuzione torneremo comunque in §5.
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minale). Si tratta quindi, da un punto di vista logico, di una esposizione ridondante e pertanto eccepibile. 4 Alla luce di quanto osservato, il contenuto di queste cinque proposizioni si può sintetizzare in due asserti: la Proposizione 3, che in seguito chiameremo Teorema degli Epimori, e il teorema costituito dalle restanti quattro proposizioni, che chiameremo Teorema dei Rapporti Multipli e che rappresentiamo in questo modo: Sia B la media geometrica tra D e C; C è multiplo di D se e solo se B è multiplo di D.
Contrariamente alle Proposizioni 1-5, che hanno carattere generale, le Proposizioni 6-9 riguardano rapporti numerici particolari. Proposizione 6. se m:n = 3:2 e n:s = 4:3 allora m:s = 2:1. Proposizione 7. se m:n = 2:1 e n:s = 3:2 allora m:s = 3:1. Proposizione 8. se m:n = 3:2 e s:n = 4:3 allora m:s = 9:8. Proposizione 9. se m:m2= m2 :m3 = m3 :m4 = m4 :m5 = m5 :m6= m6 :n = 9:8 allora m > 2 n.
È significativo il fatto che in un’opera attribuita ad Euclide appaiono dei numeri: in tutti gli Elementi non si incontrano mai numeri ‘individuali’, ma solo sotto forma di variabili, e questo nonostante che i libri VII, VIII e IX, i cosiddetti ‘libri aritmetici’, siano esclusivamente dedicati ai numeri naturali. 5 In tal modo la Proposizione 9 della Sectio, che impiega uno dei più significativi teoremi del Libro VIII degli Elementi, 6 costituisce anche il primo esempio numerico che abbiamo di tale teorema. La Proposizione 10 segna la svolta, l’inizio delle proposizioni musicali. Proposizione 10. L’ottava è un rapporto multiplo. Proposizione 11. La quinta e la quarta sono rapporti epimori. Proposizione 12. L’ottava è un rapporto doppio [2:1], la quinta è un rapporto sesquialtero [3:2] e la quarta sesquiterzo [4:3]. Proposizione 13. Il tono è un rapporto sesquiottavo [9:8].
Queste quattro proposizioni sviluppano un’unica dimostrazione; più precisamente, le Proposizioni 10 e 11 sono dei lemmi della Proposizione 4. Anche l’Euclide degli Elementi ama i quadrilateri di proposizioni e riserva dimostrazioni specifiche per ciascuna delle proposizioni coinvolte. Formano un tale quadrato, ad esempio, le Proposizioni 7,8,9 e 10 del Libro V, oppure la Proposizione 9 del libro X, il cui enunciato da solo contiene tutte e quattro le forme e la cui dimostrazione è divisa in quattro parti; e ancora il V postulato e le Proposizioni 17, 27-28 e 29 del Libro I, dove piccole variazioni formali sono dovute ai risultati conseguiti nelle proposizioni intermedie, allo stesso modo in cui, nella Sezione, la Proposizione 3 è causa del riferimento aggiuntivo della Proposizione 4 ai rapporti epimori. La struttura di questa parte iniziale è quindi, almeno dal punto di vista dell’organizzazione logica, decisamente euclidea. 5. L’unico numero diverso dall’unità che compare, il due, viene chiamato diade, quasi a nascondere il suo stato di numero. 6. Proposizione VIII.2: Trovare quanti si voglia numeri in proporzione continuata, che siano i più piccoli possibile a stare tra loro in un rapporto dato.
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12, e la Proposizione 13 ne è un corollario. La Proposizione 11 è quella che contiene l’errore logico. La prima parola dell’enunciato della Proposizione 10 è anche il primo termine non aritmetico incontrato nell’opera: diapason, ottava. A questo punto, infatti, tutta l’aritmetica necessaria è stata dimostrata, e interviene il mondo della musica. Dalla teoria musicale vengono prese queste quattro proprietà: (a) la doppia ottava è consonante; (b) la doppia quinta e la doppia quarta sono dissonanti; (c) la quarta e la quinta sono consonanti; (d) l’ottava è costituita da una quinta e una quarta. È importante osservare che, ad esempio, la quinta è considerata consonante non perché sia espressa dal rapporto 3:2 (fatto che verrà dimostrato) ma perché suona bene, o comunque perché tale era considerata nella tradizione musicale greca. Il mondo della musica si presenta insomma nella sua antica purezza, così come era prima della ‘scoperta’ di Pitagora (non si dimentichi che all’inizio del V Secolo la teoria musicale greca era ormai ben consolidata). Queste proprietà non vengono dichiarate preventivamente, ma enunciate come dati di fatto al momento della loro applicazione. Questo non deve esser visto come un elemento antieuclideo. Negli Elementi nessuna delle proprietà logiche impiegate nelle dimostrazioni è enunciata esplicitamente, in quanto la logica è trattata come un sottofondo consolidato su cui basare la dimostrazione. Nella Sectio, anche la musica ha questo ruolo, e da essa è quindi possibile attingere senza preavviso. In entrambe le opere solo la matematica in senso stretto è trattata in modo formale. Per legare tra loro questi due contesti, un’aritmetica priva di suoni e una musica priva di numeri, sono impiegate, nel corso della dimostrazione, due proprietà: la prima è il Principio di Consonanza, e la seconda è la seguente: Se un intervallo Y è il doppio di un intervallo X e se Y è espresso dal rapporto m/ n allora X è espresso dal rapporto p/n, dove p è il medio proporzionale di m e n.
La chiameremo Principio del medio proporzionale. In termini moderni, asserisce che se si somma un intervallo a se stesso allora il rapporto corrispondente all’intervallo dovrà essere moltiplicato per se stesso. Il principio esprime quindi un caso particolare della relazione logaritmica che sussiste tra le operazioni tra intervalli e le corrispondenti operazioni tra i rispettivi rapporti. 7 Questo legame tra intervalli e rapporti è implicito nel linguaggio della Sectio ma non è enunciato in alcuna forma, e sembra trascendere il potere espressivo del linguaggio matematico gre7. Qui di seguito riportiamo una specie di prontuario: a sinistra l’operazione tra intervalli, a
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co, che non parla mai di prodotti tra frazioni ma solo di composizione di rapporti. 8 Esso costituirà a lungo una fonte di insidie e di errori, ma non nella Sectio, dove invece è impiegato in modo matematicamente corretto. Vediamo ora la struttura della dimostrazione: la doppia ottava è consonante (proprietà a). Quindi è un rapporto multiplo o epimorio (per il Principio di Consonanza). 9 Ma non può essere epimorio; infatti i rapporti epimori non hanno medio proporzionale (per il Teorema degli Epimori), mentre l’ottava è medio proporzionale della doppia ottava (Principio del medio proporzionale). Quindi è multiplo, e allora (per il Teorema dei Rapporti Multipli) anche il suo medio proporzionale, cioè l’ottava, è multiplo (e si è conclusa la Proposizione 10). Poi: la doppia quinta è dissonante (proprietà b); quindi non è un rapporto multiplo o epimorio (ecco l’errore: si usa l’implicazione «se X non è consonante allora il rapporto corrispondente non è multiplo o epimorio», che equivale all’inverso del Principio di Consonanza). Pertanto il suo medio, la quinta, non sarà multiplo (per Teorema dei Rapporti Multipli). Ma è consonante (proprietà c), quindi è epimorio (per il Principio di Consonanza). Una dimostrazione analoga vale per l’intervallo di quarta (e si è conclusa la Proposizione 11). Infine, poiché il rapporto di ottava è multiplo (per la Proposizione 10) sarà o doppio o più che doppio. Ma l’ottava è composta da una quarta e una quinta (proprietà IV), le quali sono distinte e corrispondono a rapporti epimori (per la Proposizione 11). E poiché il rappordestra la corrispondente operazione tra i rispettivi rapporti. Somma Differenza Moltiplicazione per n Divisione in n parti uguali Media aritmetica
Prodotto Quoziente Potenza n-esima Radice n-esima Media geometrica
La terminologia di sinistra, quella relativa agli intervalli musicali, viene definita additiva, in quanto parte dalla somma; quella della colonna di destra è invece moltiplicativa. 8. Si veda, ad esempio, questo tentativo di Porfirio, autore del III Secolo d.C: «Secondo Aristosseno ciò che è contenuto tra due suoni di diversa altezza è un intervallo (diastema). Ma altri lo giudicarono diverso dall’intervallo. Eratostene infatti sostiene che l’intervallo è qualcosa di diverso dal rapporto (logos).[...] È la differenza (diafora) che fa l’intervallo. E la differenza è diversa dal rapporto. Infatti tra sei e tre la differenza è tre, il rapporto due. Inoltre, tra i numeri sei e due, il rapporto è triplo e la differenza quattro; ma tra 20 e 16 la differenza è ancora quattro ma il rapporto è sesquiquarto. Quindi che la differenza differisca dal rapporto è manifesto. Tuttavia mostriamo come il rapporto, e la complessione tra loro dei termini comparati, sia detto anche intervallo. Troviamo infatti Intervallo al posto di Rapporto comunemente tra gli antichi [vengono elencati molti nomi tra cui Archita e il Platone del Timeo, e per ultimo compare il riferimento alle Proposizioni 6 e 3 della Sectio]. Euclide inoltre dice che l’Intervallo doppio è composto dei due massimi intervalli epimori, e che in un intervallo epimorio non cade nessun medio proporzionale.» [12], pp. 266-267. 9. Per brevità identifichiamo gli intervalli con i rapporti corrispondenti.
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to di doppio è il prodotto dei due distinti massimi rapporti epimori (Proposizione 6), all’ottava non può corrispondere un rapporto più che doppio. Quindi è di doppio, cioè 2:1. Ciò conclude la parte centrale della dimostrazione, che da questo punto prosegue in modo ovvio associando, con l’impiego delle Proposizioni 8 e 9, alla quinta il rapporto 3:2, alla quarta 4:3, alla dodicesima 3:1, alla doppia ottava 4:1 e al tono 9:8. Il gruppo successivo di proposizioni contiene quello che è forse il più complicato dei problemi della teoria musicale greca: la divisione del tono. Proposizione 14. L’ottava è minore di sei toni. Proposizione 15. La quarta è minore di due toni e mezzo. Proposizione 16. Il tono non è divisibile in parti uguali.
Ciò che emerge già dagli enunciati è un’apparente incongruenza tra la Proposizione 15 e la Proposizione 16. La prima parla di mezzo tono (emitonion), la seconda afferma che non esiste. Questo contrasto è una manifestazione della contraddizione di fondo che ha pesato sulla filosofia pitagorica dopo la scoperta degli irrazionali. Infatti, naturalmente, nella Proposizione 16 si parla di esistenza ‘razionale’. Tale proposizione, che è una immediata applicazione del Teorema degli Epimori e ne costituisce forse la sua principale ragione d’essere, afferma che non vi è numero naturale che sia medio proporzionale tra due numeri che stiano nel rapporto 9:8; in altri termini, enuncia l’irrazionalità di
9 3 , cioè di , 8 2 2
e quindi di 2 . La Proposizione 15, invece, si esprime in termini che potremmo dire geometrici, e fa riferimento al segmento medio proporzionale tra 8 e 9, che individua il semitono. La variazione di linguaggio tra la Proposizione 15 e la Proposizione 16 esprime quindi il passaggio dalle grandezze in generale alle grandezze commensurabili; quello stesso che, negli Elementi, intercorre tra il Libro V e i Libri VII, VIII e IX. Ma richiama anche un’altra, diversa, distinzione: quella tra Armonici 10 e Pitagorici. Ecco una testimonianza di Plutarco: Uno degli intervalli è quello chiamato tono, la cui misura esprime di quanto la quinta è maggiore della quarta. Gli Armonici ritengono di riuscire a dividerlo a metà e di farne due intervalli, che chiamano ambedue semitoni. Ma i Pitagorici riconobbero impossibile la divisione in due parti uguali, e delle due parti disuguali chiamarono la minore leimma (resto), perché resta al disotto della metà. 11
Le parti disuguali di cui parla Plutarco hanno origine proprio dalle relazioni espresse dalle Proposizioni 14 e 15. Infatti, per la Proposizione 15, 10. Con questo termine si indicavano i teorici musicali non appartenenti alla Scuola Pitagorica, che ebbero in Aristosseno il principale rappresentante. 11. Plutarco, de an. procr. in.Tim. c. 17 p.1020.
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la quarta è minore di due toni e mezzo. Quindi la ‘differenza’ 12 tra una
FI HK
4 9 2 28 256 ) è minore della metà del / = 5 = 3 8 3 243 tono, e venne chiamata semitono minore, o diesis, o ancora, come riporta quarta e due toni (che è
9 256 37 2187 = = Plutarco, lemma. La ‘restante’ parte del tono, cioè / , 8 243 211 2048 prese il nome di semitono maggiore, o apotome. Nella Sectio non compaiono né questi nomi, né direttamente questi valori. Tuttavia: la ‘differenza’ tra semitono maggiore e semitono minore, che è
2187 256 312 531411 / = = 2048 243 219 524288
H , dove H e A sono i numeri riportati 2A nella Proposizione 9, che è la base aritmetica della Proposizione 14. In H 2 effetti, l’ottava è costituita da una quarta ed una quinta, cioè / da due A 1 quarte e un tono, e pertanto, poiché una quarta è costituita da due toni e un semitono minore, l’ottava risulta essere cinque toni e due semitoni minori. La ‘differenza’ tra sei toni e un’ottava, e cioè, è quindi proprio di un comma. Questo valore, quello numericamente più complicato circa la suddivisione del tono, è presente nella Sectio. 13 L’opera potrebbe concludersi a questo punto: avremmo un testo fortemente teorico sul problema delle accordature, non direttamente funzionale ad alcuna di esse ed incentrato su due problemi fondamentali: la determinazione astratta dei valori delle consonanze e la divisione del tono. E in effetti termina qui quanto riportato da Porfirio. Le ultime quattro proposizioni segnano un brusco cambio di tono, che diventa molto più ‘pratico’. e viene detta comma, è uguale a
Proposizione 17. Come trovare per consonanza la prima nota mobile di ciascun tetracordo. Proposizione 18. Le seconde note mobili di ciascun tetracordo non dividono gli intervalli in cui cadono in parti uguali.
12. Mettiamo tra virgolette i termini che indicano operazioni aritmetiche riferite ad intervalli musicali, per ricordare che queste operazioni sono il corrispondente logaritmico delle operazioni da compiere sui rapporti che corrispondono agli intervalli stessi. 13. Osserviamo che 6
H 2A , cioè la ‘sesta parte’ del comma, costituisce la ‘differenza’ tra il tono
di 9/8 e il tono della nostra scala temperata, che ‘divide’ l’ottava (la quale continua ad essere il rapporto 2:1) in dodici semitoni, e quindi sei toni, ‘uguali’.
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Proposizione 19. Come dividere il monocordo secondo il Sistema Immutabile. Proposizione 20. Come determinare i suoni mobili.
Un’analisi di queste ultime proposizioni è necessaria per formulare un giudizio complessivo dell’opera, ma non per comprenderne il nucleo logico-matematico. Per un commento rimandiamo alle note del Paragrafo 4, in sede di traduzione.
2. L’errore logico della Proposizione 11 In questo secondo paragrafo, che per chiarezza espositiva dividiamo in sottoparagrafi, ci concentriamo sull’errore logico della Proposizione 11. La prima domanda che ci poniamo è, ovviamente, se davvero si tratti di un errore.
2. 1. Vi è un errore? Secondo la ricostruzione che abbiamo fatto nel paragrafo precedente, non vi è dubbio che nel corso della Proposizione 11 sia stato commesso un errore logico. Al posto del Principio di Consonanza, che per comodità indichiamo con Cons. → (Mult. ∨ Ep.), è stata impiegata la forma ¬Cons. → ¬(Mult. ∨ Ep.), che è equivalente a (Mult. ∨ Ep.)→ Cons., cioè all’inverso del principio stesso. Vi è tuttavia una certa distanza tra la nostra ricostruzione ed il testo originale dell’opera (che riportiamo in §4). In quest’ultimo, ad esempio, non viene fatto alcun riferimento esplicito alla relazione logaritmica tra le operazioni tra intervalli e quelle tra i corrispondenti rapporti numerici, ed inoltre tutti i dati puramente musicali, come la consonanza o dissonanza di certi intervalli (che nella ricostruzione abbiamo indicato come proprietà (a)–(d)) non sono dichiarati preventivamente. Non potrebbe allora essere accaduto che anche l’inverso del Principio di Consonanza sia stato assunto tacitamente? Riteniamo di no. L’asserto (Mult. ∨ Ep.)→ Cons., oltre ad essere assolutamente falso per ogni ragionevole significato del termine consonante, è alieno alla teoria musicale greca. Vi è stato un tentativo di superare l’errore ipotizzando che l’implicazione (Mult. ∨ Ep.)→ Cons. debba essere considerata limitatamente ai numeri della tetraktys, e cioè che i rapporti che si considerano debbano coinvolgere solo numeri appartenenti all’insieme {1,2,3,4} (v.[1]). Tuttavia, se è vero che in tal caso tutti i rapporti multipli o epimori che si ottengono corrispondono a intervalli consonanti, è altrettanto vero che tutti i rapporti che si ottengono sono multipli o epimori. Accettare quest’ipotesi vorrebbe dire banalizzare le definizioni. Si potrebbe ancora osservare che, nella Proposizione 11, non viene impiegata l’implicazione (Mult. ∨ Ep.)→ Cons., ma solo Mult. → Cons.
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(nella forma contronominale ¬Cons. → ¬ Mult.). Ma anche con questa restrizione l’enunciato è falso da un punto di vista musicale: già il rapporto 5/1 corrisponde all’intervallo di diciasettesima, che i Greci non consideravano consonante. 14 Non riusciamo insomma a trovare alcuna ipotesi plausibile che giustifichi l’uso consapevole dell’inverso del Principio di Consonanza, e quindi pensiamo che quello della Proposizione 11 sia, al di là di ogni ragionevole dubbio, un chiaro errore di logica.
2. 2. Chi ha rilevato l’errore, e chi non lo ha fatto L’errore è stato scoperto nel 1904 da Tannery (v. [16]), anche se lo storico francese ritiene di essere stato preceduto già dagli antichi: La Proposizione 11 contiene un paralogismo (in luogo di un postulato esposto nel preambolo, viene impiegato il reciproco di tale postulato). Sebbene questo paralogismo non abbia fatto battere ciglio a Porfirio, che ha riportato pressoché tutto l’opuscolo [la Sectio] nel suo Commento all’Armonica di Tolomeo, esso è stato notato nell’antichità, e si è tentato di dimostrare altrimenti la medesima proposizione, come si può vedere in Boezio (Ist.Mus.,II,21-22).
In effetti, nel suo De Istitutione Musica Boezio riporta fedelmente, nel Libro IV, il proemio e le prime nove proposizioni della Sectio, e si arresta proprio alla Proposizione 10, dove ha inizio la dimostrazione incriminata. Le Proposizioni 10, 11 e 12 sono invece riportate a parte nel Libro II, ma con una dimostrazione completamente diversa (e piuttosto confusa). Alla luce di questo, le due ipotesi avanzate da Tannery, che il cambiamento derivi dalla scoperta dell’errore e che tale scoperta non sia da attribuire a Boezio, sono entrambe piuttosto plausibili, anche se nessun riferimento esplicito è emerso a riguardo. Tuttavia, Tannery non osserva un fatto che riteniamo fondamentale: la dimostrazione incriminata è riportata integralmente e fedelmente anche nell’Armonica di Tolomeo, il quale, come Porfirio, ‘non batte ciglio’. Eppure non possiamo supporre che Tolomeo sia stato distratto o benevolo nei confronti dei Pitagorici (a cui attribuisce la dimostrazio14. Se anche questa volta ci restringiamo all’insieme {1,2,3,4}, l’asserto diventa vero ma non banalmente vero, dal momento che è possibile con tali numeri ottenere rapporti che non sono multipli quali 3/2 e 4/3. Inoltre, considerare 4/1 come rapporto massimo significa limitarsi ad intervalli che siano all’interno della doppia ottava, che è un limite ragionevole per una musica che era eminentemente vocale. Vi sono tuttavia seri ostacoli ad accettare questa ipotesi; ci sembra assolutamente improbabile che sia stata impiegata, in modo consapevole, una distinzione tra epimori e multipli e, all’interno di questi, tra maggiori e minori di 4, il tutto senza alcuna esplicita menzione. È vero, e l’abbiamo osservato, che alcune proprietà sono state impiegate senza essere state preventivamente enunciate, ma si trattava di asserti di altro genere, appartenenti alla piattaforma di conoscenze acquisite e tradizionali su cui la teoria armonica si fonda. Un asserto come il precedente, invece, si pone nei confronti della dimostrazione allo stesso livello del Principio di Consonanza, e al pari di quello sarebbe stato esplicitato.
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ne), in quanto rivolge alla loro impostazione numerose e precise critiche. La prima di esse, molto semplice, mette in luce un’oggettiva difficoltà del Principio di Consonanza: l’intervallo di undicesima è consonante ma il rapporto che lo esprime, che è 8:3, non è né multiplo né epimorio. Il modo in cui i Pitagorici tentarono di superare questa difficoltà fu drastico: negarono lo stato di consonanza all’intervallo di undicesima. In tal modo però dovettero contraddire il principale fondamento della teoria musicale, cioè che l’aggiunta di un’ottava non altera la consonanza di un intervallo; infatti l’undicesima è costituita da una quarta più un’ottava, e la quarta è consonate. La seconda critica di Tolomeo è la seguente: Un altro problema cruciale è costituito dal fatto che essi associano le consonanze solo a quei rapporti epimori e multipli [4/3, 3/2, 2/1, 3/1, 4/1] e non con gli altri, ad esempio 5/4 e 5/1, sebbene anche questi esprimano il rapporto tra i loro termini con un solo nome. ([18], Libro I, Cap. 6).
In altre parole, se è la caratteristica di esser esprimibile ‘con un sol nome’ ciò che rende i multipli e gli epimori degni di essere associati alle consonanze (v. §1), perché tale ventura capita solo ad alcuni di essi mentre la caratteristica è posseduta da tutti? Questa nuova critica si pone su un piano diverso rispetto alla precedente, poiché non è relativa al Principio di Consonanza, ma al suo inverso. Non è infatti il Principio, cioè l’implicazione Cons. → (Mult. ∨ Ep.), che costringe ad inserire 5/1 o 5/4 tra le consonanze, ma è l’implicazione opposta (Mult. ∨ Ep.) → Cons. Come interpretare allora questa critica? La risposta immediata sembrerebbe questa: Tolomeo attribuisce ai Pitagorici il Principio nella forma della doppia implicazione Cons. ↔ (Mult. ∨ Ep.), riservando una critica a ciascuna delle due direzioni. Questa risposta spiegherebbe anche il perché Tolomeo non abbia rilevato l’errore giacché, con questo rafforzamento degli assiomi del sistema, l’errore non sussisterebbe. Dalla lettura del testo tolemaico emerge tuttavia una situazione diversa. La seconda critica non rivela il fatto che per Tolomeo il Principio dei Pitagorici avesse la forma della doppia implicazione (nella quale, ripetiamo, è musicalmente assurdo), quanto il fatto che avrebbe dovuto averla per esser coerente ai presupposti su cui si fonda; pertanto, indirettamente, rivela che Tolomeo deve esser annoverato tra quelli che non hanno scoperto l’errore della Proposizione 11. E furono davvero tanti. Infatti, apparendo la dimostrazione incriminata nell’Armonica di Tolomeo, anche i traduttori e i commentatori di quest’opera sono da aggiungere a coloro che si sono trovati di fronte all’errore della Proposizione 11. Tra essi vi è John Wallis, uno dei grandi matematici inglesi del ‘600. Il suo ruolo in questa vicenda non è margi-
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nale, essendo sua non solo la prima traduzione latina dell’Armonica di Tolomeo, ma anche la traduzione del Commento all’Armonica di Tolomeo di Porfirio. Wallis ha quindi tradotto la dimostrazione della Proposizione 11 per ben due volte. Ciononostante, nella corposa appendice che egli pone a commento dell’opera tolemaica e in cui tra l’altro rileva vari errori di natura matematica, non fa alcun riferimento al nostro errore. Tornando ancora a Tannery, è interessante osservare come egli abbia, prima del 1904, incontrato la Sectio e scritto su di essa senza rilevare alcun problema; ciò accade non solo nella fondamentale Geometrie greque del 1887 ma anche nel più specifico studio Du role de la musique grecque dans le développment de la mathématique pure del 1902. Infine, tra coloro che non hanno riconosciuto l’errore della Proposizione 11 vi sono quelli che potremmo chiamare gli incoreggibili, cioè coloro che disconoscobbero l’errore pur consapevoli della segnalazione di Tannery. Tra questi ricordiamo Charles Ruelle (v.[14]), il primo traduttore francese della Sectio, e Henricus Menge (v.[7]). Anche in questo caso, come già per Tolomeo e Wallis, non possiamo negare ad uno dei più famosi traduttori di Euclide la consapevolezza di che cosa sia una dimostrazione. Eppure è bastato un banale fraintendimento, l’aver scambiato un undici per un due romano, perché egli giudicasse Tannery nel torto. 15 A questo punto, la folta schiera di coloro che hanno studiato la Sectio o parti di essa senza rilevare l’errore 16 induce a pensare che possa esistere qualche fattore specifico che giustifichi tanta disattenzione.
2. 3. Le ragioni della disattenzione Senza dubbio, il passaggio da una implicazione ad una equivalenza è uno degli errori logico-proposizionali più diffusi nel parlare comune. Bisogna anche rilevare che, con ogni probabilità, se l’implicazione errata avesse avuto la forma (Mult. ∨ Ep.)→ Cons. l’errore non sarebbe stato commesso o comunque sarebbe subito stato riconosciuto. Ciò che trae in inganno è la forma contronominale ¬ Cons. → ¬ (Mult. ∨ Ep.). Chiunque abbia insegnato i primi rudimenti di logica proposizionale sa quanto poco convincente, se si ragiona in termini astratti e non su un esempio particolare, risulti di primo acchito l’equivalenza tra ¬α→¬β e β→α, e quan15. Menge lesse il numero 11 nel testo di Tannery relativo alla proposizione incriminata come un due romano, e quindi corresse Tannery dicendo che la Proposizione in cui il Principio di Consonanza viene impiegato non è la 2 ma la 10 (v.[7], VIII, prolegomena XXXVII-LIV). In effetti, nella Proposizione 10 il Principio viene impiegato, e correttamente, ma la segnalazione di Tannery non è stata sufficiente a mettere il Menge in guardia nei confronti dell’errore della successiva Proposizione 11. 16. Chi scrive questa nota non ritiene significativo includere se stesso in questo elenco.
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to invece appaia più plausibile stabilire un’equivalenza tra ¬α→¬β e α→β. Tuttavia, nel caso della Proposizione 11 non abbiamo a che fare con giovani studenti, e neppure con simboli proposizionali non interpretati: ci troviamo di fronte ad autori matematicamente colti e ad una dimostrazione concreta. Siamo perciò convinti che vi siano delle ragioni locali, specifiche della dimostrazione in oggetto o dell’opera in cui si trova, che hanno occultato l’errore. La prima ragione che ci sembra di individuare è legata al fatto che il Principio di Consonanza è falso: come rileva Tolomeo, e come era ben noto ad ogni teorico musicale, l’intervallo di undicesima è consonante (e tale era riconosciuto dai Greci), ma il corrispondente rapporto 8:3 non è né multiplo né epimorio. Ora, sappiamo quanto l’interpretazione dei termini e degli assiomi che compaiono in una teoria sia un buon antidoto contro gli errori logici; l’esistenza di un modello consente infatti di affiancare alle categorie sintattiche ‘dimostrabile’ – ‘non dimostrabile’ le categorie semantiche ‘vero’ – ‘falso’. Ma questo vale, ovviamente, se gli assiomi sono veri nel modello. Al contrario, se un assioma è consapevolmente falso, il riferirsi al modello in cui ciò accade non è di alcun aiuto, in quanto la presenza di un enunciato falso nel corso di una dimostrazione non è più una prova di un errore commesso. Nel caso della Sectio il modello è costituito dalle consonanze musicali, ma in esso l’assioma del Principio di Consonanza è falso. Questa situazione costituisce una novità nella matematica greca: la geometria ha come unico modello lo spazio ‘euclideo’, dove i postulati dei libri geometrici sono veri, e l’aritmetica ha come unico modello i numeri naturali, dove le proprietà assunte nei Libri Aritmetici sono altrettanto vere. A parità d’attenzione logica, quindi, il rischio di commettere errori all’interno della Sectio è molto più alto di quanto non lo sia all’interno degli Elementi. Una seconda ragione che contribuisce ad occultare l’errore è che ci troviamo di fronte ad una dimostrazione anomala, non nella struttura logica (errore a parte), ma per gli scopi che si prefigge. Ricostruendone la storia, abbiamo già osservato come alla base di tutto vi sia stata la scoperta empirica del fatto, fisico, che le consonanze di ottava, quinta e quarta corrispondono ai rapporti 2:1, 3:2 e 4:3. Del resto, la tradizione secondo la quale Pitagora sarebbe giunto alla scoperta ascoltando i suoni prodotti da un fabbro che colpiva con un martello incudini di diversa grandezza, pone l’accento proprio sul dato sperimentale e casuale. Lo scopo della Proposizione 12 è invece quello di dimostrare questa scoperta fisica, e a tal fine viene impiegato un assioma, il Principio di Consonanza, che è una generalizzazione della scoperta stessa. Accade spesso che un
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postulato, ottenuto per estrapolazione da un certo insieme di eventi, sia impiegato per dimostrare anche quegli stessi eventi; il fatto anomalo è che, nel caso della Sectio, ciò costituisce il suo unico scopo. È questa stranezza di fondo, questa apparente totale inutilità, che disorienta chiunque affronti la dimostrazione e abbassa il suo livello di attenzione nei confronti della struttura logica. 17 In realtà, la dimostrazione della Sectio ha uno scopo, tutt’altro che banale: affrancare la musica dall’esperienza. Infatti, dimostrando il legame tra numeri e consonanze mediante il Principio di Consonanza, e fondando il Principio con l’analogia ‘buoni numeri per buoni suoni’, tutto diventa, alla fine, conseguenza delle proprietà intrinseche dei numeri coinvolti. È importante osservare che questo superamento del dato sperimentale non si realizza eliminando il contenuto sonoro dalla teoria musicale, cioè definendo le consonanze in termini numerici e riducendo la musica all’algebra; questa impostazione, di facile comprensione per chi, come noi moderni, è assuefatto all’idea di sistema formale, è estranea all’ideologia della Sectio. Ciò che si vuol fare è dimostrare le proprietà dei suoni impiegando solo le proprietà dei numeri che li rappresentano. 18 E questo ci conduce verso la terza ragione. Tale impostazione, presente nella scuola pitagorica e rafforzatasi nell’idealismo platonico, comporta una sorta di simbiosi tra i numeri e la realtà che essi rappresentano, e quindi, nel nostro caso, tra gli intervalli musicali e i rapporti che li esprimono. Per quanto concerne il Principio di Consonanza, se la sua origine sperimentale giustifica l’implicazione Cons. → (Mult. ∨ Ep.) con cui è stato enunciato e con cui è rimasto nella tradizione musicale greca, le nuove ragioni poste a suo fondamento, basate esclusivamente su proprietà dei numeri, conducono verso l’implicazione inversa (e questo giustifica la seconda critica di Tolomeo). Nella Sectio, che di questo atteggiamento 17. Per taluni, questo è anche un motivo di fascino, simbolo di rigore formale; del resto, tra i significati dell’aggettivo ‘formale’ vi è pure quello di ‘inutile’. Si osservi ad esempio il commento di Karl von Jan [9], uno dei più importanti editori della Sectio: «Che la maggior parte di questo libello sia stata scritta dallo stesso principe dei matematici appare manifesto. Non è infatti opera di un ingegno mediocre trovare una via così lunga, che attraverso undici proposizioni pervenga a ciò che l’autore si propose, e cioè che l’ottava è contenuta nel rapporto 2:1, ed è composta dei due rapporti 3:2 e 4:3. Lo stesso tipo di pensiero si manifesta in questo libretto della Sezione musicale e negli Elementi di geometria.» 18. A tale riguardo è ben noto il passo della Repubblica in cui i musicisti che tentano di trovare ad orecchio l’intervallo di semitono vengono paragonati a dei curiosi che spiano i vicini. «Infatti, misurando i rapporti fra gli accordi e i suoni ad orecchio, si fa […] un lavoro inutile». «E anche ridicolo, per gli dèi! – esclamò –. Infatti, volendo definire certe quali sfumature delle note e tendendovi l’orecchio come se cercassero di captare la voce dei vicini, gli uni dicono di cogliere una ulteriore nota intermedia che sarebbe la più piccola unità di misura dei suoni; gli altri ribattono che le due note risuonano allo stesso modo. È chiaro che si presta più fede all’orecchio che all’intelligenza.» (Repubblica, 531A-B).
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ideologico è una espressione forte, è quindi presente una costante pressione che porta il lettore ad identificare le consonanze con i rapporti multipli ed epimori, e quindi a leggere il Principio non come una implicazione ma come una equivalenza. In una parola, tutto spinge verso l’errore. Il fatto poi che questo passaggio dall’implicazione all’equivalenza non sia avvenuto in modo conscio, è dovuto alla schiacciante falsità empirica dell’implicazione inversa (anche se, come rivela la prima critica di Tolomeo, anche nella forma tradizionale il Principio è musicalmente falso, pur se in misura meno vistosa), ed è un segno della resistenza che il riferimento empirico continuò ad esercitare, anche all’interno della teoria musicale pitagorica, nei confronti di una impostazione più idealistica o misticheggiante. A riprova di questa contraddizione di fondo osserviamo che un’analoga situazione, consistente in un principio dichiarato in forma implicativa ed impiegato in forma di doppia implicazione, si presenta anche nell’Armonica di Tolomeo. Il problema non riguarda più gli intervalli consonanti bensì gli intervalli melodici, cioè quelli che intercorrono tra un grado e l’altro di una scala musicale. Il principio enunciato è che «ogni intervallo melodico deve essere espresso da un rapporto epimorio», e quindi ha la forma Mel. → Ep. Tuttavia, come abbiamo dimostrato in [3], Tolomeo e i teorici greci che lo hanno preceduto hanno impiegato (sotto certe condizioni) tutte le scomposizioni in intervalli epimori matematicamente possibili, indipendentemente dal loro valore acustico; la condizione di esser epimorio è stata quindi considerata non solo necessaria ma anche sufficiente per la melodicità di un intervallo, e ciò significa che il principio, pur essendo stato enunciato in forma implicativa, è stato utilizzato (anche se, questa volta, non in ambito dimostrativo bensì normativo) come doppia implicazione.
2. 4. Il valore della dimostrazione Dopo quanto osservato nel paragrafo precedente, pensiamo di poter concludere che l’errore logico nella dimostrazione della Proposizione 11 non sia, da solo, una ragione sufficiente per dichiarare falsa l’attribuzione ad Euclide della Sectio. Quelle ragioni che hanno portato Tolomeo, e insieme con lui una vasta schiera di commentatori, a non accorgersi dell’errore, possono avere indotto anche un matematico valente a commetterlo. Può allora essere opportuno, per raccogliere ulteriori elementi di giudizio per l’attribuzione dell’opera, cercare di stabilire il ‘valore’ della dimostrazione delle Proposizioni 10-13, mettendone il più possibile in luce la struttura dimostrativa.
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Qui di seguito ne ricostruiamo il percorso in una traduzione moderna, impiegando operazioni tra frazioni al posto delle composizioni di rapporti. Risulta così più facile evidenziare i punti salienti della dimostrazione euclidea, purché si ricordi che, in tal modo, non viene resa la reale difficoltà di alcuni passaggi. Come abbiamo osservato, la Proposizione 10 è il punto della Sectio dove l’aritmetica che è stata sviluppata nelle proposizioni precedenti s’incontra con il mondo della musica tradizionale, quella senza numeri, ben strutturata e radicata già prima di Pitagora. Da questo mondo vengono prese tutte le proprietà sonore che servono alla dimostrazione. Il punto di partenza è costituito dal fatto che gli intervalli di quarta, quinta e ottava sono consonanti. Se indichiamo tali intervalli con Qa, Qi e O, e con C l’insieme degli intervalli consonanti, il dato musicale assunto è quindi che (1) Qa,Qi,O ∈ C. Come abbiamo visto in §1, le proprietà che legano musica e matematica, o meglio, intervalli e rapporti, sono sostanzialmente due. Una è il principio secondo il quale se si sommano due intervalli musicali allora i relativi rapporti si moltiplicano: (PL) Per ogni coppia di intervalli X e Y, f(X+Y) = f(X) ⋅ f(Y).
L’altra è il Principio di Consonanza, che, come a questo punto ben sappiamo, dobbiamo considerare unitamente al suo inverso per poter concludere correttamente la dimostrazione. Se poniamo M = {n : n ≥ 2} e E = {(n+1)/n : n ≥ 2} (cioè se indichiamo con M ed E rispettivamente l’insieme dei rapporti multipli e dei rapporti epimori) allora abbiamo: (DPC) {f(X) : X ∈ C} = M ∪ E.
(Naturalmente, al Principio di Consonanza corrisponde l’inclusione {f(X) : X ∈ C} ⊆ M ∪ E, mentre il suo inverso dà luogo all’inclusione M ∪ E ⊆ {f(X) : X ∈ C}). Il problema della Sectio consiste nell’attribuire a quarta, quinta e ottava i rapporti corrispondenti, cioè trovare i valori di f(Qa), f(Qi) e f(O), che per comodità indichiamo con qa, qi e o. Tra le proprietà aritmetiche è stato dimostrato (Proposizione 6) che l’unico caso in cui il prodotto di due rapporti epimori ha come risultato un rapporto multiplo è quello in cui gli epimori sono 3/2 e 4/3 e il multiplo 2/1. In simboli: (P6) Se x,y ∈ E, z ∈ M e x×y = z allora x = 3/2, y = 4/3 (o viceversa) e z = 2.
Il punto P6 è quello che determina la strategia dell’intera dimostrazione.
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Poiché abbiamo (anche questo è un dato musicale) che (2) Qa + Qi = O
segue, per (PL), che qa ⋅ qi = o. Quindi, in virtù di (P6), è sufficiente dimostrare che qa, qi ∈ E e o ∈ M per ottenere che a quarta e quinta corrisponderanno 3/2 e 4/3 e all’ottava corrisponderà 2/1. Inoltre, poiché da (1) e da (DPC) segue che qa,qi, o ∈ M ∪ E, tutto si riduce nel decidere a quale, tra E ed O, appartengano qa , qi ed o. È solo questo lo scopo delle Proposizioni 10 e 11. Per raggiungerlo bisogna trovare allora qualche proprietà che distingua quarta e quinta da un lato e ottava dall’altro; essa dovrà essere di tipo musicale, naturalmente, ma dovrà potersi convertire in proprietà numeriche, e poiché gli unici ponti di collegamento tra numeri e suoni sono (PL) e (DPC), dovrà necessariamente trattare di composizioni di intervalli e di consonanza o dissonanza dei risultati ottenuti. La proprietà scelta dall’autore della Sectio è stata la seguente: sommando un’ottava a se stessa si ottiene un intervallo consonante, mentre sommando una quinta o una quarta a se stesse si ottengono intervalli dissonanti; cioè, in simboli: (3) Qa + Qa ∉ C, Qi + Qi ∉ C e O + O ∉ C. Da (3), mediante (PL) e (DPC), segue che (4) qa2 ∉ M ∪ E, qi2 ∉ M ∪ E e o2 ∈ M ∪ E. (Osserviamo che per ottenere o2 ∈ M ∪ E è stato impiegata l’inclusione {f(X) : X ∈ C} ⊆ M ∪ E, cioè il vero Principio di Consonanza, mentre negli altri due casi si è dovuta impiegare l’inclusione inversa).
Questa catena di passaggi ci ha condotto a ricercare delle proprietà di tipo aritmetico che consentano di distinguere il comportamento di M e E nei confronti dei quadrati. Tali proprietà sono proprio le Proposizioni 1 e 2 (il Teorema dei Rapporti Multipli) e la Proposizione 3 (il Teorema degli Epimori). Le formalizziamo nell’ordine come segue, dove x è un qualunque rapporto: (P1) x ∈ M → x2 ∈ M (P2) x2 ∈ M → x ∈ M (P3) x2 ∉ E. Da (P3) segue o2 ∉ E, e quindi, per (4), o2 ∈ M, da cui deriva, per (P2), che o ∈ M. Invece, poiché qa ∈ M ∪ E e qa2 ∉ M ∪ E abbiamo, per (P1), che qa ∈ E. Analogamente per qi. Ciò conclude la dimostrazione.
Dalla ricostruzione emerge la notevole organicità della struttura dimostrativa; mediante la progressiva conversione delle proprietà sonore in proprietà
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aritmetiche (non si dimentichi che ci troviamo di fronte ad un teorema di fisica, per quanto anomalo esso sia), e poi delle proprietà aritmetiche particolari in proprietà aritmetiche più generali, tutto viene convogliato verso il Teorema dei Rapporti Multipli e il Teorema degli Epimori, la cui funzione è quella di distinguere tra loro epimori e multipli mediante l’impiego di proprietà numeriche che siano la traduzione di proprietà musicali. L’impianto della dimostrazione ci sembra pertanto davvero non banale (anche con le ipotesi rafforzate) e non attribuibile a un ‘minore’. Ma dalla ricostruzione fatta emerge anche come sia impossibile ottenere il risultato voluto senza l’inverso del Principio di Consonanza. Se al posto di (DPC) prendiamo solo l’inclusione {f(X) : X ∈ C} ⊆ M ∪ E, cioè se richiediamo che le consonanze siano multiple o epimorie senza richiedere che le dissonanze non lo siano, allora vi sono infinite possibili attribuzioni di valori alle tre consonanze fondamentali che rispettano tutte le relazioni musicali. Infatti, se attribuiamo a f(Qa), f(Qi) e f(O) tre valori qa, qi e o che siano numeri naturali maggiori di 1 (cioè appartenenti a M) tali che qa < qi e qa ⋅ qi = o (ad esempio f(Qa) = 2, f(Qi) = 3 e f(O) = 6) abbiamo, essendo M chiuso rispetto al prodotto, che a composizioni di ottave, quinte e quarte corrisponderanno sempre valori appartenenti ad M; l’implicazione Cons. → (Mult. ∨ Ep.) non potrà in tal caso essere falsificata, poiché il fatto che alcune composizioni di consonanze siano dissonanti è logicamente compatibile con essa. Il programma della Sectio, e quindi la riduzione dell’armonia alla matematica con i soli mezzi che i Greci ritenevano lecito impiegare, è irrealizzabile.
3. Il linguaggio della Sectio La traduzione di un testo che coinvolge simultaneamente universi molto differenziati, quali sono oggi la teoria dei numeri e la musica, non può non presentare problemi terminologici. Nel nostro caso, poi, troviamo, l’uno di fronte all’altro, due dei più famosi grovigli notazionali. Da un lato la nomenclatura musicale greca che, pur subendo l’attrazione dell’ottava (chiamata diapason, con chiaro riferimento alla completezza che essa rappresenta), continuò a considerare il tetracordo come unità di riferimento; dall’altro la teoria dei rapporti tra numeri naturali che, pur di non incorrere nel peccato tutto ideologico di frazionare l’unità, si impiglio in una notazione laboriosa e contorta. A peggiorare le cose c’è infine il problema, ben più insidioso, della relazione logaritmica che lega le operazioni tra intervalli e quelle tra i rapporti numerici che li esprimono. Prima di affrontare la traduzione chiariamo quindi le due nomenclature e il loro rapporto, limitandoci per entrambe ai concetti che interven-
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gono nella Sectio. In tal modo la parte propriamente aritmetica si riduce ai nomi dei rapporti tra numeri naturali in cui il numeratore sia maggiore del denominatore, ai nomi cioè degli antenati dei numeri razionali maggiori di uno, mentre quella propriamente musicale può essere limitata ai nomi delle note (fortunatamente nella Sectio non interviene il concetto armonico di ‘modo’!). Cominciamo da questi ultimi. Per noi la molecola che costituisce l’universo musicale è l’ottava. Due note ad intervallo di un’ottava sono considerate equivalenti e ricevono lo stesso nome; i nomi sono quindi sette. 19 Le ottave vengono poi combinate in modo congiunto, nel senso che l’ultima nota di una ottava coincide con la prima nota dell’ottava successiva. 20 Quando è necessario distinguere note aventi lo stesso nome e appartenenti ad ottave diverse, si usano degli indici o degli apici (p. es., al modo italiano, Do, do1, do2 etc.). Per i Greci, invece, l’unità di base era il tetracordo, cioè un insieme di quattro note con le note esterne ad un intervallo di quarta. Se, a parte questa differenza di base, tutto fosse proceduto in modo analogo al nostro, allora i nomi greci delle note sarebbero stati tre. Ma questi nomi, oltre a contenere una indicazione sul tetracordo di appartenenza (l’analogo del nostro indice), variavano dai tetracordi acuti a quelli gravi. Inoltre – ed è questo il grande elemento di disturbo – i tetracordi non venivano combinati solo in modo congiunto, ma anche in modo disgiunto, cioè con l’ultima nota del primo tetracordo a distanza di un tono dalla prima del tetracordo successivo. Data la presenza di due modi distinti di comporre i tetracordi, i Greci stabilirono alcune combinazioni fisse cui diedero il nome di sistemi. Questi erano: la settima, composta da due tetracordi congiunti; l’ottava, composta due tetracordi disgiunti; il Sistema perfetto minore, costituito da tre tetracordi congiunti più una nota al grave a distanza di un tono; il Sistema perfetto maggiore, costituito da due coppie disgiunte di tetracordi congiunti, più una nota al grave; e infine il Sistema perfetto immutabile, ottenuto sovrapponendo il Sistema perfetto minore al Sistema perfetto maggiore (si osservi la forza d’attrazione dell’ottava, anche in una teoria fondata sui tetracordi: la complicata combinazione del sistema maggiore, e quindi di quello immutabile, ha lo scopo di ottenere una doppia ottava. Eppure bisognerà ancora attendere più di mille anni perché i nomi delle note siano dati modulo sette!). A complicare ulteriormente le cose vi è il fatto che i tetracordi erano di vario tipo. Mentre le due note esterne erano, in ogni caso, ad un intervallo di quarta 19. A meno, naturalmente, delle alterazioni. 20. Questa è la ragione per cui, ad esempio, l’intervallo di doppia ottava è un intervallo di quindicesima e non di sedicesima.
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e pertanto erano chiamate fisse, le due note interne potevano variare la loro posizione, ed erano dette mobili. Un tetracordo di tipo diatonico era diviso in tono + tono + semitono (e quindi l’ottava che seguiva da due tetracordi disgiunti era, come per noi moderni, divisa in tono, tono, semitono, tono, tono, tono, semitono); un tetracordo enarmonico era diviso in ditono + quarto di tono + quarto di tono; infine un tetracordo cromatico era diviso in semiditono 21 + semitono + semitono. 22 Ora, nelle ultime due proposizioni della Sectio si determinano i suoni del Sistema perfetto maggiore. Tuttavia (ed è solo una delle anomalie contenute nella parte finale dell’opera) questo sistema viene chiamato «immutabile», e talvolta i nomi delle note e la distinzione tra note fisse e mobili sono quelle del sistema minore. Analizziamo dapprima i nomi delle note del Sistema perfetto maggiore, il più vicino alla nostra concezione, e già per Tolomeo l’unico a cui spettasse l’attributo di «perfetto». I quattro tetracordi, partendo come i Greci dall’acuto, erano detti «dei suoni più elevati» (hyperbolaion), «dei suoni separati» (diezeugmenon, in riferimento al fatto che tale tetracordo si trovava al di sopra del tono di separazione dei due tetracordi centrali), «dei suoni di mezzo» (meson), e «dei suoni estremi» (hypaton). I tre nomi delle note dei due tetracordi acuti erano «estrema», «quasi estrema» e «terza» (nete, paranete, trite), quelli dei due tetracordi gravi erano «indice» (il riferimento è al dito che suonava quella corda nella lira), «quasi suprema» e «suprema» (lykanos, parhypate, hypate); le note dove avveniva la disgiunzione erano dette «media» e «vicino alla media» (mese e paramese), e infine la nota aggiunta al grave era chiamata «aggiunta» (proslambanomenos). 23 I nomi rimanevano costanti, qualunque tipo di accordatura venisse adottato. Ora, mentre la proslambanomenos e le note estreme di ogni tetracordo erano fisse (nella tabella successiva le abbiamo sottolineate), le altre, come abbiamo detto, erano mobili, e la loro altezza relativa rispetto alle note fisse variava secondo il tipo di tetracordo impiegato; pertanto i loro nomi indicavano semplicemente la posizione e non l’altezza relativa. L’attribuzione dei nomi moderni alle note greche avviene inquadrando la doppia ottava da la1 a la3. 24 Riportiamo di seguito la 21. Cioè un tono e mezzo. 22. Le indicazioni dei vari tipi di tetracordo erano qualitative, nel senso che ogni teorico sceglieva l’ampiezza da dare al tono e alle sue frazioni, e anche se dare ai due toni del tetracordo diatonico la stessa ampiezza o ampiezza diversa. Il tetracordo diatonico pitagorico, che troviamo in filolao e Platone e che incontreremo nelle due ultime proposizioni della Sectio, aveva entrambi i toni di 9/8 e quindi il semitono di 256/243, cioè di ampiezza pari al risultato di (4/3)/(9/8)2. 23. Sia in sede di commento che di traduzione, citeremo i nomi greci delle note costantemente al nominativo, e li considereremo femminili. 24. Naturalmente, non c’è pervenuto nessuno strumento con l’indicazione delle note prodotte; e facendo riferimento ai pochi e problematici frammenti musicali giunti fino a noi, sarebbe più corretto inquadrare la doppia ottava dal fa1 al fa3, o dal fa#1 al fa#3. Il motivo della scelta del la è
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traduzione. Per quanto osservato, tale traduzione è sensata solo se ci si riferisce ad una accordatura diatonica; nel caso di accordatura enarmonica o cromatica, la traduzione resta valida per le note fisse ma è fuorviante per le note mobili. Ad esempio, la prima nota mobile di un tetracordo cromatico è a un tono e mezzo dalla nota fissa che la precede: in tal modo la lycanos meson non sarebbe un sol ma un fa#; nel caso di un tetracordo enarmonico la stessa nota sarebbe addirittura un fa. Questo problema si presenterà nella più controversa tra le proposizioni della Sectio, la diciottesima, e verrà discusso dettagliatamente. Le due proposizioni finali, invece, propongono una accordatura diatonica, e quindi in tal caso la seguente tabella è valida. nete hyperbolaion paranete hyperbolaion trite hyperbolaion nete diezeugmenon paranete diezeugmenon trite diezeugmenon paramese mese licanos meson parypate meson hypate meson lichanos hypaton parypate hypaton hypate hypaton proslambanomenos
la3 sol3 fa3 mi3 re3 do3 si2 la2 sol2 fa2 mi2 re2 do2 si1 la1
Il Sistema perfetto minore variava, rispetto a quello maggiore, nella parte acuta, dove al posto dei tetracordi «dei suoni più elevati» e «dei suoni separati» del sistema maggiore vi era un unico tetracordo, detto «dei suoni congiunti» (synemmenon), il quale appunto era congiunto e non disgiunto dalla mese, con la conseguente scomparsa della paramese. questo: come abbiamo visto, la doppia ottava del Sistema perfetto maggiore non era pensata come un insieme di due ottave, ma come un’ottava centrale (il sistema di due tetracordi disgiunti) con un tetracordo congiunto all’acuto un tetracordo congiunto al grave, più una nota. Ora, considerando i tetracordi accordati in modo diatonico, la divisione dell’ottava in toni e semitoni risultava la seguente: TTSTTTS. Questa sarebbe la divisione del nostro modo maggiore, se non fosse che le scale greche, come osservato, erano discendenti, dall’acuto al grave. E volendo, su una tastiera moderna, fare una scala discendente con quella successione di toni e semitoni che impieghi solo tasti bianchi, è necessario partire dal mi (infatti la scala ascendente di do maggiore, guardando la tastiera allo specchio, viene vista come una scala discendente mi re do si la sol fa mi, che, tra l’altro, non è né una scala di mi maggiore, né di mi minore, ma è nel modo greco per eccellenza, il dorico). È solo per evitare nomi di note alterati da diesis e bemolli, quindi, che l’ottava centrale è stata inserita dal mi al mi, e, di conseguenza, la doppia ottava che la incorpora è stata inserita dal la al la.
La Sectio canonis di Euclide e il suo errore logico nete synemmenon paranete synemmenon trite synemmenon mese licanos meson parypate meson hypate meson lichanos hypaton parypate hypaton hypate hypaton proslambanomenos
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re do sib la sol fa mi re do si la
Infine, il Sistema perfetto immutabile si otteneva sovrapponendo il sistema minore a quello maggiore. Poiché nell’ottava grave i due sistemi coincidono, e poiché il tetracordo più acuto è presente solo nel sistema maggiore, le diversità tra il sistema immutabile e quello maggiore si trovano all’acuto della mese, dove il tetracordo congiunto del sistema minore si contrappone al tetracordo disgiunto del sistema maggiore. 25 Terminiamo questo paragrafo con un cenno sulla nomenclatura matematica. Come abbiamo già visto nel §1, il nome dei singolo rapporti multipli, quelli che ridotti a fattori primi danno luogo ad un numero naturale, indicava appunto tale naturale: duplo per il rapporto tra 2 e 1, ma anche per quello tra 4 e 2, tra 6 e 3, etc; triplo per il rapporto tra 3 e 25. Nel caso (e solo in quello) che i tetracordi siano accordati al modo diatonico pitagorico (con entrambi i toni di 9/8 e quindi con il semitono di 256/243), la situazione si presenta come nella seguente figura:
Infatti, il tono di disgiunzione D è di 9/8 per ogni accordatura. Per avere la coincidenza della trite diezeugmenon del sistema maggiore con la paranete synemmenon del sistema minore è necessario che valga D+C = B+C, e cioè B = D; inoltre, affinché la paranete diezeugmenon coincida con la nete synemmenon è necessario che sia A = B. Pertanto una accordatura soddisfa entrambe le uguaglianze se e solo se A = B = 9/8.
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1, tra 6 e 2 etc., quadruplo per quello tra 4 e 1, e così via. Per gli epimori, invece, si considerava il rapporto nella forma ridotta ai minimi termini (n+1)/n ed il nome attribuito era sesqui (epi in greco) seguito dall’ordinale di n. Ad esempio, il rapporto tra 5 e 4, così come quello tra 10 e 8 etc., era detto sesquiquarto (epitetartos); il rapporto tra 4 e 3, ma anche quello tra 8 e 6, tra 12 e 8 etc., era sesquiterzo (epitrito); il rapporto tra 3 e 2 era sesquialtero (emiolio). 26 Tutti questi termini sono aggettivi del generico sostantivo «rapporto». Non è quindi opportuno sostituirli, in sede di traduzione, con la moderna nomenclatura frazionaria che tratta ogni singolo rapporto (3/2, 5/4 etc.) come un sostantivo, poiché in tal modo verrebbe alterata l’intera struttura della frase. Ma vi è un motivo anche più grave che rende inopportuna tale traduzione: benché i termini sesquialtero, sesquiterzo etc. siano aggettivi del sostantivo «rapporto», nelle opere di teoria musicale come la Sectio vengono anche impiegati come aggettivi del sostantivo «intervallo». Abbiamo quindi una sovrapposizione tra la notazione musicale e quella matematica e questo fatto, stante il rapporto logaritmico che le lega, è una possibile fonte di confusione. Ad esempio, la Proposizione 8 asserisce che «se da un intervallo sesquialtero si toglie un intervallo sesquiterzo si ottiene un intervallo sesquiottavo». Traducendo i termini sesquialtero, sesquiterzo, sesquiottavo con 3/2, 4/3, 9/8, otterremmo: «se da 3/2 togliamo 4/3 otteniamo 9/8», e quindi 3/2 – 4/3 = 9/8. Per evitare simili assurdità potremmo allora tradurre l’operazione tra intervalli con la sua immagine antilogaritmica, nel modo seguente: «se dividiamo 3/2 per 4/3 otteniamo 9/8», e quindi (3/2)/(4/3) = 9/8, ma questa espressione, benché corretta, ha ormai snaturato il testo. Abbiamo quindi tradotto tutti i termini in modo letterale, rinunciando ad ogni forma di «correzione». 27 Del resto, il fatto che ancora oggi si faccia uso del termine «intervallo» e della relativa nomenclatura additiva ha motivi più profondi del protrarsi di un errore terminologico, o dell’ossequio ad una tradizione millenaria. La nostra intuizione percepisce la relazione tra due suoni come un salto, e quindi la identifica con tale salto. Questo tipo di rappresentazione è stato definitivamente consolidato dall’immagine della tastiera del pianoforte, in cui ad intervalli omonimi corrispondono spazi uguali. Non è solo per 26. Per una trattazione dettagliata della nomenclatura dell’aritmetica greca si veda [11]. 27. Per i nomi delle frazioni, abbiamo italianizzato la traduzione latina dei termini originali, salvo che per «epimorio» ed «epimerio»; in tal caso infatti i corrispondenti termini latini «superparticolare» e «superparziale», benché siano la traduzione letterale del termine greco e stiano a significare che il numeratore supera il denominatore di una particula (cioè di un divisore; infatti p/q = (n+1)/n se p = q+d dove d è un divisore di q) o di una parte, assumono in italiano un significato fuorviante.
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fedeltà al testo, quindi, che abbiamo rinunciato a tradurre i termini greci con il loro reale significato matematico: così facendo l’opera sarebbe risultata, oltretutto, molto più difficile alla lettura.
4. Il testo Forniamo ora la traduzione italiana della Sectio Canonis di Euclide.
La sezione del canone Proemio Dove c’è quiete e immobilità, c’è silenzio; e se c’è silenzio e non si muove nulla, nulla si ode. Perché si possa dunque udire qualcosa è necessario che prima vi sia stata una percossa e un movimento. Perciò, dal momento che tutti i suoni avvengono quando qualcosa è stato percosso, il che non accade se prima non vi è stato un movimento – e tra i movimenti alcuni sono più frequenti, altri più radi, e i più frequenti producono suoni più acuti, e i più radi suoni più gravi – è necessario che alcuni suoni siano più acuti, allorquando sono prodotti da moti frequenti e numerosi, ed altri più gravi, quando sono composti da moti più radi e scarsi. 28 E così i suoni che sono troppo acuti si correggono con una diminuzione del moto, allentando le corde, mentre quelli troppo gravi si correggono con un accrescimento del moto, tendendo le corde. E perciò bisogna dire che i suoni siano composti di particelle, dal momento che si correggono per aggiunzione e detrazione. 29 Ma tutte le cose che sono composte di particelle stanno tra loro in un certo rapporto numerico, cosicché diciamo che è necessario che pure i suoni stiano tra loro in tali rapporti. Tra i numeri, d’altra parte, alcuni sono detti in rapporto multiplo, altri in rapporto epimorio, altri ancora in rapporto epimerio, cosicché, necessariamente, anche i suoni stanno tra loro nei medesimi rapporti. Di questi, i multipli e gli epimori vengono indicati con un solo nome. Sappiamo anche che alcuni suoni sono tra loro consonanti, altri dissonanti, e consonanti sono quelli che si fondono in un solo suono, dissonanti quelli che non lo fanno. 30 Stando così le cose, ne consegue che i suoni consonanti, dal momento che si fondono entrambi in un
28. Sono particolarmente forti le analogie con la teoria sul suono di Archita, come riportata da Armonico. (v.[17], II, 359-369). 29. Questa è una forte dichiarazione di atomismo pitagorico, che conferma ulteriormente la matrice architea di questo proemio. 30. Questa definizione, perfettamente condivisibile da un moderno, è particolarmente significativa se si pensa che i Greci consideravano gli intervalli soprattutto in modo melodico (due suoni in successione) e non armonico (due suoni simultanei).
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unico suono, stanno tra loro in quei rapporti numerici indicati con un solo nome, cioè o multipli o epimori. 31 1. Se un intervallo multiplo è composto due volte, ciò che si ottiene sarà ancora un intervallo multiplo. 32 Sia BΓ un intervallo, 33 sia B multiplo di Γ, e Γ stia a B come B sta a ∆. 34 Dico che ∆ è multiplo di Γ. Infatti, poiché B è multiplo di Γ, Γ divide B. Ma Γ stava a B come B sta a ∆, perciò Γ divide anche ∆. Quindi ∆ è multiplo di Γ. 2. Se un intervallo composto due volte produce un intervallo multiplo, allora esso stesso sarà multiplo. 35
Sia BΓ un intervallo, e Γ stia a B come B sta a ∆. Sia ancora ∆ multiplo di Γ. Dico che anche B è multiplo di Γ. Infatti, poiché ∆ è multiplo di Γ, Γ divide ∆. Abbiamo visto che se quanti si voglia numeri sono in proporzione e il primo divide l’ultimo, allora il primo divide i medi. 36 Perciò Γ divide B e quindi B è multiplo di Γ. 3. In un intervallo epimorio non vi sono né uno né più medi proporzionali. 37 Sia BΓ un intervallo epimorio. Siano ∆Z e Θ i minimi termini che stanno 31. L’interpretazione di degli ultimi tre periodi è tuttora oggetto di controversia (si veda ad esempio [5]). Tuttavia il loro contenuto è ormai chiaro: enunciano il Principio di Consonanza e lo fondano mediante una analogia tra suoni e numeri. 32. Un rapporto multiplo elevato al quadrato è ancora un rapporto multiplo; cioè, se Γ :B = B :∆ e B è multiplo di Γ allora ∆ è multiplo di Γ. Se si considera l’asserto in questa forma: se B=nΓ e ∆=nB allora ∆=n2Γ, allora si vede come esso costituisca un caso particolare della proposizione: se B è multiplo di Γ e ∆ di B allora ∆ è multiplo di Γ. Tuttavia, come abbiamo osservato, le proposizioni aritmetiche della Sectio sono strettamente funzionali alla parte più propriamente musicale. 33. Il termine «intervallo BΓ » deve esser inteso come «rapporto B su Γ ». 34. E quindi ∆/Γ = (B/Γ)2. 35. Abbiamo osservato come i numeri siano sempre da intendersi naturali. E in questo caso, contrariamente al precedente, questa condizione è necessaria. 36. Il risultato a cui ci si riferisce con l’espressione «abbiamo visto» è la Proposizione VIII.7 degli Elementi: Se si danno quanti si voglia numeri in proporzione continuata, ed il primo divide l’ultimo, esso dividerà anche il secondo. 37. Se G/D è un rapporto epimorio allora non esiste B tale che Γ :B = B :∆. Boezio, nel De institutione musica. iii.11, riporta questo risultato, con dimostrazione molto simile, attribuendolo ad Archita. Il teorema si limita a mostrare che se un rapporto epimorio è ridotto ai minimi termini allora diventa del tipo (n+1)/n; in altre parole, esso giustifica la definizione ‘moderna’ di rapporto
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tra loro come B e Γ. 38 L’unico divisore comune tra ∆Z e Θ è quindi l’unità. Si prenda HZ uguale a Θ. Poiché ∆Z è in rapporto epimorio con Θ, la parte restante ∆H è un divisore di ∆Z e di Θ. 39 Quindi ∆H è l’unità e tra ∆Z e Θ non vi sarà alcun medio proporzionale. Esso infatti dovrebbe essere minore di ∆Z e maggiore di Θ, e in tal modo si dividerebbe l’unità, il che è impossibile. Quindi non esisterà alcun medio proporzionale tra ∆Z e Θ. Ma tra due numeri che stanno in un certo rapporto vi sono tanti medi proporzionali quanti ve ne sono tra i minimi termini che stanno nel medesimo rapporto. Ma non ve ne è nessuno tra ∆Z e Θ, e quindi non ve ne sarà nessuno tra B e Γ. 4. Se un intervallo non multiplo è composto due volte, 40 l’intervallo risultante non sarà né multiplo né epimorio. 41 Sia BΓ un intervallo non multiplo, e Γ stia a B come B sta a ∆. 42 Dico che ∆ non è né multiplo di Γ, né in rapporto epimorio con esso. Supponiamo epimorio. Perché questo teorema sia significativo è fondamentale quindi che i rapporti epimori vengano definiti nel modo originario, come quelli in cui il numeratore è uguale ad denominatore più un divisore di questi. Anche considerando ciò, comunque, il peso della dimostrazione viene a gravare su un risultato, citato come noto, che corrisponde alla Proposizione VIII.8 degli Elementi: Se fra due numeri vengono ad interporsene altri in proporzione continuata, altrettanti se ne potranno interporre in proporzione continuata fra due altri numeri che abbiano tra loro lo stesso rapporto dei primi due. Lo Heath [8] osserva che vengono presupposti anche altri risultati che compaiono negli Elementi, quali la Proposizione VII.20: I numeri più piccoli fra quanti abbiano tra loro a due a due lo stesso rapporto, sono equisottomultipli dei numeri che hanno tra loro a due a due lo stesso rapporto, rispettivamente il numero maggiore del maggiore e quello minore del minore; la Proposizione VII.33: Dati quanti si voglia numeri, trovare i numeri più piccoli tra quelli che abbiano il loro stesso rapporto; e la Proposizione VII.22: I numeri più piccoli tra quanti abbiano tra loro a due a due lo stesso rapporto, sono primi fra loro. L’attribuzione di questo teorema ad Archita è quindi importante, sempre secondo lo Heat, in quanto mostra che «esisteva, almeno già dai tempi di Archita, un trattato di qualche tipo sugli Elementi di Aritmetica in forma simile a quello euclideo, e contenente molte delle proposizioni in seguito inglobate da Euclide nei libri aritmetici dei suoi Elementi.» [8], p.216. Più drastico il punto di vista di van der Waerden [19], il quale ritiene addirittura che sia l’intero contenuto del Libro viii sia quello della Sectio siano da attribuire ad Archita o alla sua scuola. 38. ∆Z/Θ è la frazione B/Γ ridotta ai minimi termini. Si osservi che mentre con BΓ si intende il rapporto B/Γ, con ∆Z si intende il singolo numero il cui segmento corrispondente ha estremi ∆ e Z. Usualmente, i segmenti-numeri vengono indicati con una sola lettera, tranne i casi in cui si individuano nuovi punti interni al segmento. 39. Un rapporto è epimorio quando il numeratore è uguale ad denominatore più un divisore di questi; e in questo caso ∆Z = ∆H+HZ, cioè ∆H + Θ. 40. Cioè se un rapporto è elevato al quadrato. 41. Sia Γ :B = B :∆. Se B non è multiplo di Γ allora ∆ non è multiplo di Γ e ∆/Γ non è un rapporto epimorio. Per i rapporti tra questa proposizione e la Proposizione 2 si veda la nota alla dimostrazione successiva. 42. E quindi ∆/Γ = (B/Γ)2.
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dapprima che sia multiplo di Γ. Ma abbiamo visto che se un intervallo composto due volte produce un intervallo multiplo, anche l’intervallo stesso è multiplo (Prop.2); 43 pertanto B sarebbe multiplo di Γ, il che è falso. Quindi è impossibile che ∆ sia multiplo di Γ. Ma non è nemmeno in rapporto epimorio con esso, in quanto in un intervallo epimorio non vi sono medi proporzionali (Prop.3). Ma B è il medio tra ∆ e Γ. Quindi è impossibile che D sia in rapporto multiplo o epimorio con Γ. 5. Se un intervallo composto due volte non costituisce un intervallo multiplo, allora anche l’intervallo stesso non sarà multiplo. 44 Sia BΓ un intervallo, e Γ stia a B come B sta a ∆. Sia ∆ non multiplo di Γ. Io dico che anche B non sarà multiplo di Γ. Infatti, se B fosse multiplo di Γ, anche ∆ sarebbe multiplo di Γ (Prop.1). Il che è falso. Quindi B non sarà multiplo di Γ. 6. L’intervallo doppio è composto dai due massimi rapporti epimori, il sesquialtero e il sesquiterzo. 45 Sia BΓ in rapporto sesquialtero con ∆Z, e sia ∆Z in rapporto sesquiterzo con Θ. Dico che BG è il doppio di Θ. Si prenda ZK uguale a Θ, e ΓΛ uguale a ∆Z. Allora, poiché BΓ è in rapporto sesquialtero con ∆Z, BΛ è la terza 43. Abbiamo aggiunto, come consuetudine, i riferimenti alle proposizioni del testo. 44. Questa proposizione è la Proposizione 1 espressa in forma contronominale, e le è quindi logicamente equivalente. Nella dimostrazione pertanto non hanno alcun ruolo i contenuti specifici degli enunciati, e tutto si riduce alla ‘dimostrazione’ di una legge logica (la Regola della Contronominale) mediante un’altra legge logica (l’Assurdo). Infatti, ponendo α : B è multiplo di β e : ∆ è multiplo di Γ, abbiamo che la tesi ¬β→¬α si ottiene dal fatto che α∧¬β e α→β (in questo caso la Proposizione 1) sono contraddittorie, e questo vale qualunque siano α e β. Un rapporto un po’ più complesso lega le Proposizioni 2 e 4. Senza il riferimento di quest’ultima ai rapporti epimori la situazione sarebbe identica alla precedente, cioè la Proposizione 4 sarebbe la Proposizione 2 in forma contronominale. In tal modo invece, definendo α e β come prima e ponendo γ : ∆ è in rapporto epimorio con Γ, abbiamo che la Proposizione 2 è β→α mentre la Proposizione 4 è ¬α → (¬β ∧ ¬γ). Questa è equivalente a (β ∧ γ) →α, e quindi implica la Proposizione 2. 45. Se m:n = 3:2 e n:s = 4:3 allora m:s = 2:1. Esprimendoci in termini di frazioni, (3/2)⋅(4/3) = 2. Poiché 2/1 non è considerato tra i rapporti epimori, i massimi tra questi sono 3/2 e 4/3. Fatto piuttosto insolito, del teorema vengono date due dimostrazioni: la prima, più geometrica, si basa sul frazionamento dei segmenti al fine di trovare un fattore comune; la seconda, più aritmetica, impiega numeri e proporzioni. Le dimostrazioni delle successive Proposizioni 7 e 8 saranno nello stile di questa seconda.
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parte di BΓ e la metà di ∆Z. E ancora, poiché ∆Z è in rapporto sesquiterzo con Θ, ∆K è la quarta parte di ∆Z e la terza parte di Θ. Poiché ∆K è la quarta parte di ∆Z e BΛ la metà di ∆Z, ∆K sarà perciò la metà di BΛ. Ora, BΛ era la terza parte di BΓ : dunque ∆K è la sesta parte di BΓ. Ma ∆K era la terza parte di Θ : quindi BΓ è il doppio di Θ. 46 In altro modo: sia A in rapporto sesquialtero con B, e B in rapporto sesquiterzo con Γ. Dico che A è il doppio di Γ. Poiché A è in rapporto sesquialtero con B, allora A e uguale a B più una metà di questo. Per cui due A è uguale a tre B. E ancora, poiché B è in rapporto sesquiterzo con Γ, B è uguale a Γ più un terzo di questo. Per cui tre B sono uguali a quattro Γ. Ma tre B sono uguali a due A, per cui due A sono uguali a quattro Γ, e A è uguale a due Γ. Quindi A è il doppio di Γ. 7. Da un intervallo doppio e uno sequialtero si ottiene un intervallo triplo. 47 Sia A il doppio di B, e sia B in rapporto sesquialtero con Γ. Dico che A è il triplo di Γ. Poiché A è il doppio di B, A è uguale a due B. E ancora, se B è in rapporto sesquialtero con Γ allora B contiene Γ e una metà di questo. Pertanto due B sono uguali a tre Γ. Ma due B sono uguali ad A, e allora A è uguale a tre Γ. Quindi A è il triplo di Γ. 8. Se da un intervallo sesquialtero togliamo un intervallo sesquiterzo, ciò che resta è un intervallo sesquiottavo. 48 Sia A in rapporto sesquialtero con B, e Γ in rapporto sesquiterzo con B. 46. I numeri riportati nella figura, e così in molte delle figure successive, non sono i numeri minimi che stanno in quel rapporto. Ovviamente, ciò è tanto manifesto da non poter essere attribuito ad errore, nè alla mancata conoscenza della Proposizione VIII.4 degli Elementi. Più probabilmente, i numeri 6, 8, 9 e 12 della quaterna armonica fondamentale divennero per i Greci un riferimento privilegiato. 47. Se x/y = 2 e y/z = 3/2 allora x/z = 3. In altri termini: 2 ⋅ (3/2) = 3. Nel testo di Porfirio questa è l’ottava proposizione, in quanto dopo la Proposizione 6 è inserita la proposizione: «Il solo rapporto multiplo che sia prodotto di rapporti epimori è il rapporto doppio», che non compare nella Sectio. 48. In termini di frazioni, (3/2)/(4/3) = 9/8 (infatti, alla differenza di intervalli corrisponde il quoziente dei rapporti).
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Dico che A è in rapporto sesquiottavo con Γ. Poiché A è in rapporto sesquialtero con B, allora A contiene B e una metà di questo. Pertanto otto A sono uguali a dodici B. E ancora, se Γ è in rapporto sesquiterzo con B, allora Γ contiene B e un terzo di questo. Pertanto nove Γ sono uguali a dodici B. Ma dodici B sono uguali a otto A; pertanto otto A sono uguali a nove Γ. Quindi, A è uguale a G più un ottavo di questo, per cui A è in rapporto sesquiottavo con Γ. 9. Sei intervalli sesquiottavi sono maggiori di un intervallo doppio. 49 Sia A un numero, B in rapporto sesquiottavo con A, G in rapporto sesquiottavo B, D in rapporto sesquiottavo con G, E in rapporto sesquiottavo con D, Z in rapporto sesquiottavo con E, e H in rapporto sesquiottavo con Z. Dico che H è maggiore del doppio di A. Poiché abbiamo visto come trovare sette numeri ciascuno maggiore di un ottavo, siano A,B,Γ,∆,E,Z,H i numeri trovati: 50 A = 262144 B = 294912 Γ = 331776 ∆ = 373248 E = 419904 Z = 472392 H = 531441 ed abbiamo che H è maggiore del doppio di A. 10. L’intervallo di ottava è multiplo. Sia A la nete hyperbolaion (la3), B la mese (la2) e Γ la proslambanomenos (la1). 51 Allora l’intervallo AΓ, essendo una doppia ottava, è consonante. Quindi è o epimorio o multiplo. Ma non è epimorio, poiché in un intervallo epimorio non vi è alcun medio proporzionale (Prop.3); 52 quindi è multiplo. E poiché due intervalli uguali AB, BG composti tra loro danno un intervallo multiplo, anche AB è un intervallo multiplo (Prop.2). 49. (9/8)6 > 2 (infatti, sommare n volte a se stesso un intervallo significa elevare ad n il rapporto corrispondente). 50. Questo problema si ritrova negli Elementi, Proposizione VIII.2: «Trovare quanti si voglia numeri in proporzione continuata, che siano i più piccoli possibile a stare tra loro in un rapporto dato». La soluzione, che Euclide esemplifica per il caso di quattro numeri ma che ha valenza generale, è la seguente: se il rapporto comune è p/q, con p e q primi tra loro, e i numeri da trovare sono m, essi sono qm, qm-1p, qm-2p2,...,pm. Nel nostro caso, A=86, B=85 ⋅ 9, Γ=84 ⋅ 92 etc., fino a H=96. 51. Per i nomi delle note si veda il §3. 52. Al contrario, B, che con A e con Γ costituisce intervalli di ottava, soddisfa la proporzione A:B = B :Γ ed è quindi medio proporzionale tra A e Γ.
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11. Gli intervalli di quarta e di quinta sono epimori. Sia A la nete synemmenon (re3), 53 B la mese (la2) e Γ l’hypate meson (mi2). L’intervallo AΓ, essendo una doppia quarta, è dissonante, e perciò non è multiplo. 54 In tal modo, poiché i due intervalli uguali AB e BΓ composti tra loro non producono un intervallo multiplo, allora AB non è multiplo (Prop.5). Ma è consonante; quindi è epimorio. La stessa dimostrazione per l’intervallo di quinta. 12. L’intervallo di ottava è doppio [quello di quinta è sesquialtero, quello di quarta sesquiterzo, quello di dodicesima è di triplo e quello di doppia ottava è di quadruplo]. 55 Abbiamo dimostrato che l’intervallo di ottava è multiplo (Prop.10). Quindi è o doppio, o più che doppio. Ma poiché abbiamo dimostrato che l’intervallo doppio è composto dai due massimi intervalli epimori 56 (Prop.6), allora, se l’intervallo di ottava è maggiore di quello doppio, non è costituito da due soli intervalli epimori, ma da un numero maggiore. Invece esso è costituito da due intervalli consonanti, la quinta e la quarta, 57 per cui l’ottava non sarà un intervallo più che doppio, e quindi è doppio. Ma poiché l’intervallo di ottava è doppio, e l’intervallo doppio è composto dai due massimi intervalli epimori, segue che l’ottava è costituita da un intervallo sesquialtero e da uno sesquiterzo, che sono i massimi epimori. Ma è anche costituita da una quinta e da una quarta, che sono intervalli epimori (Prop.11). Quindi la quinta, che è la maggiore, deve essere l’intervallo sesquialtero e la quarta il sesquiterzo. 53. Questa nota viene chiamata nete synemmenon, con il nome che ha nel Sistema perfetto minore (v. §3). 54. L’errore. 55. Come visto i §3, i termini sesquialtero e sesquiterzo indicano i rapporti 3/2 e 4/3. La parte tra parentesi non è compresa nell’enunciato, ma viene dimostrata nel corso della proposizione. In Porfirio invece questa parte e la relativa dimostrazione costituiscono due proposizioni autonome, una relativa a quarta e quinta, l’altra a dodicesima e doppia ottava. Osserviamo qui come l’autore, in ossequio al Principio di Consonanza, incorra nella difficoltà rilevata da Tolomeo (v.§2.2): tra le consonanze nell’ambito della doppia ottava egli cita la dodicesima, espressa dal rapporto 3/1, ma non l’undicesima, espressa dal rapporto 8/3, né multiplo né epimorio. Ciò è musicalmente assurdo, dal momento che questi due intervalli sono ottenuti aggiungendo una ottava rispettivamente ad una quinta e ad una quarta, e l’aggiunta di una ottava non varia la consonanza. Del resto, nell’Introductio harmonica dello Pseudo-Euclide, così come in altre opere non rigidamente pitagoriche, troviamo l’undicesima (diapason+diatessaron) e la dodicesima (diapason+diapente) inserite in modo paritetico tra le consonanze. 56. Qui, come in seguito, bisogna intendere i due intervalli epimori distinti tra loro. 57. Che sono epimori (Prop.11).
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Ed è pertanto manifesto che una ottava e una quinta producono un intervallo triplo (Prop.7). Infatti abbiamo dimostrato che l’intervallo doppio e quello sesquialtero producono l’intervallo triplo (Prop.7). La doppia ottava è un intervallo quadruplo. È stato quindi dimostrato, per ciascuna delle consonanze, in quale rapporto si trovino i suoni che la producono. 13. Non resta che discutere dell’intervallo di tono, che è sesquiottavo. 58 Abbiamo osservato che se da un intervallo sesquialtero si toglie un intervallo sesquiterzio, ciò che resta è un intervallo sesquiottavo (Prop.8). D’altra parte, se da una quinta si toglie una quarta ciò che resta è un intervallo di tono. Quindi l’intervallo di tono è sesquiottavo. 14. L’ottava è minore di sei toni. 59 Abbiamo dimostrato che l’intervallo di ottava è doppio (Prop.12) e che quello di tono è sesquiottavo (Prop.13). Ma sei intervalli sesquiottavi sono maggiori di uno doppio (Prop.9). Quindi l’ottava è minore di sei toni. 15. La quarta è minore di due toni e un semitono, e la quinta di tre toni e un semitono. Sia B la nete diezeugmenon (mi3), Γ la paramese (si2), ∆ la mese (la2) e Z l’hypate meson (mi2). 60 Allora l’intervallo Γ∆ è un tono, e BZ, che è una ottava, è minore di sei toni (Prop.14). Quindi gli intervalli restanti, e cioè BΓ e ∆Z, che sono uguali, 61 sono, insieme, minori di cinque toni. Quindi l’intervallo BΓ, che è una quarta, è minore di due toni e mezzo e B∆, che è una quinta, di tre toni e mezzo. 62
58. Il termine sesquiottavo indica il rapporto 9/8. 59. Questa proposizione, con le due successive, verte intorno al problema della suddivisione del tono. Il valore numerico che esprime quanto un’ottava sia minore di sei toni è riportato nella H 531411 , cioè . Questo valore venne detto comma, ed esprime anche la Proposizione 9, ed è 2 A 524288 ‘differenza’ tra tono maggiore e tono minore. 60. Ciò che interessa ai fini dimostrativi e che i numeri B, Γ, ∆ e Z siano tali che Γ/B = Z/∆ = 4/3 e ∆/G = 9/8. 61. La loro uguaglianza deriva dal fatto acustico che ciascuno di essi è una quarta. 62. La differenza tra una quarta ed una quinta è infatti di un tono.
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16. Il tono non è divisibile in due parti uguali, né in più parti uguali. Abbiamo dimostrato che è un intervallo epimorio (Prop.13), e in un intervallo epimorio non cadono né uno né più medi proporzionali (Prop.3). Quindi il tono non potrà essere diviso in parti uguali. 63 17. Le paranete e le lykanos si determinano per mezzo di consonanze come segue. 64 Sia B la mese. Si salga di una quarta fino a Γ, e quindi si scenda di una quinta fino a ∆. B∆ è pertanto un tono. E ancora, da ∆ si salga di una quarta fino a E, e quindi si scenda di una quinta fino a Z. Z∆ è pertanto un tono. Dunque ZB 65 è un ditono e quindi Z è la lichanos. 66 Le paranete si ottengono allo stesso modo. 18. Le parhypate e le trite non dividono il pyknon in parti uguali. 67 Sia B la mese, Γ la lychanos e ∆ l’hypate. Da B si salga di una quinta fino a Z. Z∆ è pertanto un tono. Quindi, da Z si scenda di una quarta fino a 63. A questo punto termina quanto riportato da Porfirio, e termina anche la parte più teorica e generale del testo. 64. Le paranete sono le prime (dall’alto) note mobili dei due tetracordi acuti, le lycanos dei due tetracordi gravi. Al di là dei termini, ciò che la Proposizione 17 mostra è come ottenere un intervallo di ditono. Ma contrariamente a quanto avverrà nelle due proposizioni finali e a quello che ci si attenderebbe da quanto precede, non si tratta di un procedimento aritmetico o geometrico per individuare un determinato segmento, bensì di un modo puramente musicale per intonare questo intervallo. Il metodo proposto, infatti, consiste nel ripetere per due volte l’operazione di salire di una quarta e scendere di una quinta, e consente di intonare un intervallo ‘difficile’ mediante consonanze più facili. Si tratta quindi di una accordatura ‘ad orecchio’, che è aliena all’impostazione pitagorico-platonica del resto dell’opera e che ricorda invece chiaramente i metodi di Aristosseno. Le paranete e lycanos ottenute con il metodo proposto nella dimostrazione sono ad un intervallo di ditono dalla prima nota fissa di ciascun tetracordo. Poiché tali note sono le prime note mobili del tetracordo, dovrebbero distare, se fossimo in una accordatura diatonica, un tono dalla nota fissa che le precede. Il fatto che la distanza sia invece di un ditono dimostra che si sta considerando una accordatura enarmonica, la quale appunto divide il tetracordo in ditono + quarto di tono + quarto di tono. In tal modo si è in aperto contrasto con le due proposizioni finali, le quali, come vedremo, contengono le istruzioni per accordare il monocordo in modo diatonico. 65. L’ordine con cui, nelle ultime quattro proposizioni, vengono ordinate le coppie di lettere, sia quando indicano gli estremi di un segmento sia quando esprimono un rapporto, non è sempre alfabetico, né sembra seguire alcun altro criterio. 66. In questa proposizione, come nella successiva, non abbiamo messo tra parentesi i nomi moderni delle note in quanto, trovandoci in una accordatura enarmonica, sarebbero fuorvianti (v. §3). 67. La nomenclatura impiegata rivela che anche nella Proposizione 18, come già nella precedente, viene considerata un’accordatura enarmonica. L’enunciato asserisce che le parhypate e le trite non dividono il pyknon in parti uguali. Ora, il termine pyknon indica l’intervallo tra la prima nota mobile e la seconda nota fissa di ciascun tetracordo (si veda la parte in neretto della figura), ma solo nel caso di accordatura cromatica o enarmonica.
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E. L’intervallo BE è, come Z∆, un tono. Ad entrambi aggiungiamo ∆Γ. Quindi ZE è uguale a ∆B. Ma ZE è una quarta, per cui non è divisa da alcun medio proporzionale essendo un intervallo epimorio (Propp. 3 e 11). Ora, ∆B è uguale a ZE; perciò non esiste alcun medio in ∆Γ, cioè tra l’hypate e la licanos. Quindi la parhypate non divide il pyknon in parti uguali. 68 Per lo stesso motivo neppure la trite. 19. Come suddividere il monocordo secondo il cosiddetto sistema immutabile. 69 Sia AB la lunghezza del monocordo, cioè della corda, e si divida in quattro parti uguali in Γ, ∆, E. Quindi BA, essendo il tono più grave, sarà
enarmonico
cromatico
diatonico
Dalla dimostrazione, poi, si comprende che il rapporto tra le estremità del pyknon è (4/3)/(9/8)2 = 256/243, cioè il semitono minore, e quindi che il tetracordo considerato è enarmonico. Per quanto riguarda il tipo di accordatura proposta, Proposizioni 17 e 18 sono pertanto concordi tra loro, e in contraddizione con le due proposizioni finali. 68. La Proposizione 18 pone a nostro avviso un problema. Ciò che si vuole dimostrare è che nel pyknon enarmonico pitagorico, che ha l’ampiezza di una quarta ‘meno’ un ditono, non cade medio proporzionale (che sia esprimibile mediante numeri naturali, naturalmente). Poiché 256/ 243 non è un rapporto epimorio, il Teorema degli Epimori non può essere immediatamente applicato. In termini figurati (e additivi!) la dimostrazione procede allora in questo modo: invece di togliere un intero intervallo di doppio tono dall’intervallo di quarta, si toglie un tono per parte (v. figura). In tal modo il pyknon rimane ‘al centro’; e poichè l’intervallo di quarta è epimorio, per il Teorema degli Epimori non ammette medio (geometrico, e pertanto aritmetico nella corrispondente immagine musicale), e quindi non ammetterà medio neppure un intervallo posto ‘simmetricamente’ intorno al suo centro, dal momento che i due medi dovrebbero coincidere.
Sarebbe tutto molto intuitivo, se davvero potessimo procedere in termini additivi. Si tratterebbe infatti di una applicazione della seguente ovvia proprietà: il medio aritmetico tra A e B coincide con il medio aritmetico tra A+X e B-X. Ma, come sappiamo, in ambito musicale quella additiva è solo una immagine di una realtà moltiplicativa. La proprietà che realmente viene impiegata, altrettanto vera ma non altrettanto ovvia, è quindi la seguente: il medio geometrico tra A e B coincide con il medio geometrico tra A×X e B/X. Ma, per la prima volta nella Sectio, non ci sembra che questa proprietà si trovi negli Elementi. Infatti, anche cercando di rimanere il più possibile aderenti al linguaggio dei libri aritmetici, otteniamo l’enunciato «Se A:C = D:B allora Y è medio proporzionale tra A e B se e solo se è medio proporzionale tra C e D», e negli Elementi non troviamo proposizioni a cui essa si possa collegare in modo immediato. Probabilmente, questa proposizione è un regalo (che potrebbe essere inconsapevole se, come pensiamo, la Proposizione 17 è stata scritta da mano diversa da quella delle prime sedici proposizioni) fatto dal modello additivo degli intervalli musicali all’aritmetica moltiplicativa dei rapporti corrispondenti. 69. Le Proposizioni 19 e 20 sono quelle che danno il titolo all’opera; descrivono infatti il metodo per dividere il canone, cioè il monocordo. Ciò che si ottiene è una doppia ottava diatonica accordata al modo pitagorico di Filolao e Platone (ricordiamo che l’ottava pitagorica ha i seguenti intervalli: 9/8, 9/8, 256/243, 9/8, 9/8, 9/8, 256/243); la Proposizione 19 ha lo scopo di determinare le note fisse (più il re), la Proposizione 20 quelle mobili. Il metodo impiegato evidenza la
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la nota bassa. 70 Ora, AB è in rapporto sesquiterzo con ΓB, cosicché ΓB produce con AB una consonanza di quarta verso l’acuto. E poiché AB è la proslambanomenos (la1), ΓB sarà la hypaton diatonos (re2). 71 E ancora, poiché AB è il doppio di BD, BD produce con AB una consonanza d’ottava e sarà la mese (la2). E ancora, poiché AB è il quadruplo di EB, questa sarà la nete hyperbolaeon (la3). Dividiamo GB in due parti uguali nel punto Z. ΓB sarà il doppio di ZB, e produce quindi con questa una consonanza d’ottava; ZB è quindi la nete synemmenon (re3). 72 Togliamo da ∆B un suo terzo ∆H. ∆B sarà quindi in rapporto sesquiterzo con HB, e quindi ∆B produrrà con HB una consonanza di quinta. Pertanto HB sarà la nete diezeugmenon (mi3). Se poniamo HΘ uguale a HB, 73 ΘB produrrà con HB una consonanza di ottava, e ΘB sarà la hypate meson (mi2). Prendiamo ΘK uguale alla terza parte di ΘB. ΘB sarà in rapporto sesquialtero con KB, e così KB è la paramese (si2). Poniamo LK uguale a KB, 74 e in tal modo ΛB sarà la hypate bareia (si1). 75 Avremo così determinato tutti i suoni fissi 76 del sistema immutabile.
‘pitagoreicità’ di tale accordatura: le sole operazioni che si richiedono sono infatti divisioni e moltiplicazioni per multipli di 2 e di 3. 70. Letteralmente: «...sarà bombix.» Questo termine indicava un espediente per abbassare il tono del flauto. La nota a cui ci si riferisce è la proslambanomenos. 71. Il nome di hypaton diatonos è alternativo a quello di lychanos hypaton (si veda ad esempio l’Introductio armonica dello Pseudo-Euclide, in [7]). Vi è comunque una anomalia. In questa proposizione il re2, cioè la lychanos hypaton, è considerata tra le note fisse, mentre è una nota mobile rispetto a qualunque sistema. La spiegazione che sembra più plausibile è che la ricerca di un metodo efficace per dividere il monocordo abbia costretto il suo autore a ‘razionalizzare’ il sistema, sostituendo la stabile ottava all’instabile tetracordo. Il sistema maggiore infatti è trattato davvero come una doppia ottava e non come una combinazione di quattro tetracordi congiunti e disgiunti. Ad esempio, la proslambanomenos (il la1), il cui nome significa ‘aggiunta’ in quanto è una nota fuori dal sistema dei tetracordi, è invece la prima nota ad essere ottenuta, in qualità di nota grave dell’ottava grave. Analogamente la lychanos hypaton, nonostante sia una nota mobile del tetracordo grave, risulta essere, trovandosi ad una quarta dalla nota grave dell’ottava grave, tra le note ottenute dalla prima operazione. In tal modo viene innalzata, contro ogni consuetudine, al rango di nota fissa. 72. Questa nota viene chiamata nete synemmenon: è il nome che ha nel Sistema Perfetto Minore, ed è uno dei due nomi, nel caso accordatura diatonica pitagorica, che ha nel Sistema Perfetto Immutabile. Il nome è quindi coerente sia con l’enunciato della proposizione, che parla di Sistema Immutabile, sia con il fatto che questa nota venga considerata tra le note fisse, ma è in contrasto con l’assenza nella Sectio della trite synemmenon, il sib, l’unica nota del Sistema Immutabile (diatonico pitagorico) che non coincida con alcuna nota del Sistema Maggiore. Nonostante venga chiamato immutabile, quindi, il sistema descritto nella Sectio è il Sistema Perfetto Maggiore: il più razionale, quello in cui l’ottava prevale sul tetracordo, e che in virtù di questo fatto evolverà in modo naturale nella moderna accordatura. 73. Con Q compreso tra H ed A. 74. Con L compreso tra K ed A. 75. Questo nome è alternativo a hypate hypaton.
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20. Non rimane altro che determinare i suoni mobili. 77 Dividiamo EB in otto parti uguali, e poniamo EM uguale ad una di loro, 78 cosicché MB sia in rapporto sesquiottavo con EB. Ancora, dividiamo MB in otto parti uguali, e poniamo NM uguale ad una di loro. In tal modo NB sarà più grave di un tono rispetto a BM, e MB di un tono rispetto a BE, cosicché NB sarà la trite hyperbolaeon (fa3) e MB la hyperbolaeon diatonos (sol3). 79 Prendiamo la terza parte di NB e poniamo NΞ in modo che ΞB sia in rapporto sesquiterzo con NB e sia quindi più grave di una quarta; ΞB sarà in tal modo la trite diezeugmenon (do3). Ancora, prendiamo la metà di ΞB e poniamo ΞO in modo che OB sia in consonanza di quinta con ΞB. Quindi OB sarà la parhypate meson (fa2). Prendiamo OΠ uguale a ΞO, cosicché ΠB diventerà la parhypate hypaton (do1). Infine, prendiamo ΓP uguale alla quarta parte di BΓ, cosicché PB diventerà la meson diatonos (sol2). 80
5. Conclusione Prima di trarre alcune conclusioni circa l’autenticità e il valore dell’opera, ripercorriamo le opinioni a tale riguardo di alcuni tra i più autorevoli
76. L’aggettivo «fissi» è stato aggiunto dallo Jan, in quanto non compare nei manoscritti. In effetti, dal momento che vengono determinate solo alcune note, e poiché l’enunciato della proposizione successiva fa riferimento ai suoni mobili, l’aggiunta è molto ragionevole, nonostante che, come abbiamo osservato, vi sia l’inserzione della hypaton diatonos. 77. La Proposizione 20 definisce le note mobili, e cioè, in assenza del re (v. nota alla proposizione precedente), le note di sol, fa e do. Il metodo è il seguente: partendo dalla nota fissa più acuta, il la3, si aumenta di un ottavo la sua lunghezza, scendendo così di un tono verso il grave ed ottenendo il sol3 ; la stessa operazione si compie sul sol3 ottenendo il fa3. A questo punto il do3 viene ottenuto scendendo di una quarta dal fa3, ed il sol2, il fa2 e il do2 scendendo di una ottava dai loro omonimi. Il modo in cui vengono ottenuti il sol3 e il fa3 è, da un punto di vista matematico, davvero poco economico. Si parte, in modo molto tradizionale, dalla nota fissa del tetracordo e si scende di un tono fino alla prima nota mobile, e poi da questa ancora di un tono per ottenere la seconda nota mobile. Questo metodo, cambiando l’ampiezza degli intervalli, è applicabile ad ogni tipo d’accordatura. Ma nel diatonico pitagorico il sol è di una quarta più acuto del re, mentre il fa è di una quinta più grave del si, ed sia il re che il si sono già stati ottenuti. Pertanto, invece di dividere due diversi segmenti ogni volta per 8, sarebbe stato possibile ottenere il sol3 riducendo di un quarto la corda di re3 ed il fa2 aumentando di un terzo la corda di si2. Globalmente, quindi, il metodo impiegato nelle Proposizioni 19 e 20 presenta, accanto a momenti in cui l’elemento razionale prende il sopravvento su quello tradizionale, alcune procedure in cui le caratteristiche matematiche del diatonico pitagorico non vengono affatto sfruttate. Anche questo costituisce un elemento di disomogeneità, che si aggiunge ai molti che abbiamo incontrato in queste ultime quattro proposizioni e che porta a dubitare della loro autenticità. 78. Con M compreso tra E ed A. 79. Questo nome è alternativo a paranete hyperbolaion. 80. Questo nome è alternativo a lychanos meson. In molti manoscritti compare, a questo punto, un diagramma con i nomi ‘comuni’ del Sistema perfetto maggiore (non quelli alternativi impiegati sovente nel testo), così come li abbiamo riportati in §3.
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studiosi della Sectio. 81 Dobbiamo innanzi tutto premettere che le testimonianze del fatto che Euclide abbia scritto di musica sono varie e attendibili. Nel Commento al I Libro degli Elementi di Euclide, Proclo afferma: Esistono di questo autore molte altre opere matematiche, dotate di mirabile esattezza e speculazione scientifica. Tali sono l’Ottica, la Catottrica, tali anche gli Elementi di Musica e inoltre il piccolo libro Sulle divisioni. Ma lo si ammira soprattutto per i suoi Elementi di Geometria [...]. 82
Lo stesso termine «Elementi di Musica» si trova anche in Marino e in Teodoro Metochita. Inoltre Porfirio, nel suo Commento all’Armonica di Tolomeo, riporta pressoché integralmente i primi sedici teoremi della Sectio attribuendoli esplicitamente ad Euclide, anche se non fa alcun cenno al nome dell’opera. D’altro canto, i manoscritti musicali a nome di Euclide che ci sono pervenuti sono relativi a due opere: la Sectio Canonis e l’Introduzione armonica. Poiché è certo che quest’ultima non sia di Euclide, rimane da determinare l’autenticità della Sectio e il suo rapporto con gli Elementi di musica. Riguardo a questo secondo problema, sia il Menge che lo Jan concordano nel ritenere che la Sectio sia troppo esigua per configurarsi come un trattato di elementi. Tuttavia, mentre per lo Jan «è lecito supporre che Euclide, dopo avere esposto più diffusamente [la teoria musicale] in un altro libro, abbia riportato nella Sectio gli argomenti principali», 83 per il Menge «questo genere di riduzione sarebbe inconciliabile con gli usi e i costumi di Euclide». 84 Lo stesso Menge riporta tuttavia l’opinione di E.F.Bojsen, che nel suo De armonica scientia Graecorum (Hafniae 1833) ritiene che la Sectio possa essere un libro di elementi di musica e che quindi le due opere possano coincidere; egli osserva infatti che la Sectio «contiene i teoremi musicali organizzati e dimostrati in modo non meno accurato di quanto non lo siano quelli geometrici nei celeberrimi Elementi». Riguardo all’autenticità della Sectio, il primo autore a negarla è stato Paul Tannery, nel citato articolo Inautenticité del 1904 (v.[16]). Prima di lui l’opera era stata concordemente ritenuta di Euclide, e tra costoro vanno annoverati Heiberg, Jan (che tuttavia ritiene non euclideo il pro-
81. Per un resoconto più dettagliato si veda [1]. 82. [13], p. 74. 83. [9], p. 118. 84. [7], Vol VIII, p. XXXVIII.
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emio), e lo stesso Tannery fino a quella data. Alla base di questo suo ripensamento vi è appunto la scoperta dell’errore della Proposizione 11 e dell’incompatibilità delle due proposizioni finali (che propongono un’accordatura diatonica) con le due immediatamente precedenti (che fanno riferimento ad una accordatura enarmonica). Il Tannery ritiene che le due proposizioni finali siano state aggiunte al tempo di Eratostene e che la parte restante appartenga al tempo di Platone. A questa posizione si è opposto Charles-Emile Ruelle (v.[14]), il traduttore francese dell’opera. In una comunicazione tenuta nel 1905 egli sostiene che «il trattato forma un tutto omogeneo e il proemio stesso non deve essere staccato, come invece tenta di fare Karl von Jan». Il Menge, dopo aver passato minuziosamente in rassegna le opinioni dei suoi predecessori, conclude: A questo punto ciascuno giudichi secondo il suo arbitrio. Da parte mia oso dichiarare che la Sectio, nella forma in cui c’è pervenuta, non è dello stesso Euclide ma piuttosto è stata estratta da quei più generali Elementi di musica di cui riferiscono Proclo e Marino da un autore non del tutto sagace e diligente. 85
Più netta è la posizione di van der Waerden (v.[19]). Egli ritiene che il contenuto dell’opera sia, insieme al Libro VIII degli Elementi (di geometria) sul quale la Sectio si basa, da attribuirsi ad Archita (del quale rileva l’intuito matematico insieme alla carenza di rigore logico), con Euclide nel ruolo di curatore di materiale preesistente: Una lettura critica del Libro VIII degli Elementi e della Sectio Canonis ci rileva un Archita in affanno di fronte alla richiesta di rigore logico e di esposizione lineare avanzata dai matematici della sua epoca ([19], p.150).
E ancora: Così come i libri aritmetici VII e IX, queste parti [i libri V, X, XII e XIII degli Elementi] sono di livello matematico molto alto, altre parti, specialmente il Libro VIII e la correlata Sectio Canonis, sono molto al di sotto di esso. Contengono errori logici e la formulazione degli enunciati è spesso confusa. Sembra che il livello di Euclide sia determinato da quello dei predecessori dai quali attinge. Quando è guidato da un autore eccellente, come Teeteto o Eudosso, egli stesso è eccellente; ma quando copia da un autore meno eminente, egli stesso è meno eminente ([19], p.197).
Nel passo precedente, insomma, invece di elevare la Sectio ad Euclide, si abbassa Euclide alla Sectio. Venendo a tempi più recenti, Barker (v.[2]) sostiene che «non vi sono buone ragioni per negare l’attribuzione ad 85. [7], Vol. VIII, prolegomena, XXXVII-LIV.
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Euclide della principale parte del trattato, almeno di quella riportata da Porfirio [cioè le prime sedici proposizioni]» ed anzi ritiene che l’intera opera sia di un solo autore; Barbera [1] giudica che non vi siano dati sufficienti per assumere una posizione determinata mentre la Zanoncelli [21] ritiene l’errore della Proposizione 11 una ragione sufficiente per negare che Euclide sia l’autore della Sectio. A nostro avviso, è chiaro che il contenuto delle prime sedici proposizioni dell’opera sia di scuola pitagorica ed abbia accenti che noi oggi definiamo platonici; esso è quindi compatibile con la sua attribuzione ad Euclide, che apparteneva ad una scuola platonica e che scrisse per ogni disciplina del quadrivio pitagorico. Le contraddizioni e lo stile delle quattro proposizioni finali fanno invece pensare ad un’aggiunta successiva. Una volta stabilita questa compatibilità di base, il più grande ostacolo per attribuire ad Euclide la parte centrale dell’opera è, ovviamente, l’errore della Proposizione 11. D’altronde, non riteniamo possibile porre l’errore da un lato e l’impostazione generale della Sectio dall’altro, attribuendo questa ad un autore nobile (Archita o Euclide che sia) e quello ad un minore che avrebbe rielaborato materiale preesistente. Come abbiamo dimostrato, l’impiego dell’inverso del Principio di consonanza è irrinunciabile per raggiungere gli obiettivi che l’opera si pone, e quindi l’errore forma un corpo unico con il resto della Sectio. Tuttavia, abbiamo anche visto come tale errore avvenga in un contesto che prima spinge verso di esso e poi tende a nasconderlo, identificando la realtà con i numeri, e quindi le consonanze con rapporti numerici. Certamente, l’errore della Sectio è più grave delle incongruenze deduttive che si riscontrano nel Libro VIII degli Elementi. Ma la Sectio è un’opera diversa, di matematica applicata all’acustica, e quindi di fisica, e diverso può esser il metro di valutazione. Alla luce di tutto questo, pensiamo che l’errore della Proposizione 11 non sia sufficiente per negare che l’opera sia di Euclide. Di più; riteniamo che la sua presenza non sia neppure sufficiente a sottrarre all’opera la sua bellezza, che invece riscontriamo nella sua struttura (una parte matematica attentamente calibrata sulle applicazioni musicali), nell’impiego della teoria dei numeri (parti sostanziali del VII e dell’VIII libro degli Elementi) e nell’audacia degli intenti (eliminare dalla musica il ricorso all’esperienza senza però privarla del suo contenuto acustico). La Sectio non è opera di un minore. E se il contenuto può esser attribuito ad Archita, la sapiente scansione con cui si succedono i risultati delle prime sedici proposizioni (prima i teoremi generali sui numeri, poi i teoremi particolari sui numeri, infine l’applicazione di tali risultati ai suoni) fa pensare ad un autore attento agli aspetti didattici, quale Euclide
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senza dubbio era e quale Archita pare non fosse. Anche fattori più particolari, quali l’amore (anti-logico) per i quadrati di proposizioni e l’ingresso dei numeri il più possibile ritardato, rimandano allo stile euclideo. Infine, che la Sectio coincida in parte con gli Elementi di Musica di cui parla Proclo, o li abbia preceduti, o ancora sia stata estratta da essi da un autore successivo, non può essere determinato con ragionevole fondamento solo in base al contenuto e alla struttura logica dell’opera (e neppure, a quanto sembra, in base ad argomenti filologici). Tuttavia, lo studio delle altre opere greche d’armonia rivela chiaramente che se la Sectio è un estratto degli Elementi di Musica, allora è un estratto sapiente, che non deve fare troppo rimpiangere ciò che è stato eventualmente tralasciato. Le sue prime sedici proposizioni costituiscono infatti il nucleo fondamentale dell’applicazione della matematica alla musica nella cultura greca, e si pongono, per contenuto e per struttura, ben al di sopra di ogni altra opera greca di teoria musicale, anche della stessa Armonica di Tolomeo, che alla loro ideologia sostanzialmente si adegua e che da esse parte per proporre nuove alternative numeriche al problema dell’accordatura. E questo rende lo studio della Sectio una tappa indispensabile non solo per comprendere il rapporto tra la musica e la matematica, ma anche le caratteristiche e i limiti del programmi pitagorico e platonico, cioè di una parte fondamentale del pensiero greco.
La Sectio canonis di Euclide e il suo errore logico
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Guido Fubini e la trasformata di Laplace
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Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche Vol. XXIII · (2003) · fasc. 1
Guido Fubini e la trasformata di Laplace: storia di un manoscritto inedito Sandro Caparrini*
1. Introduzione Tra i molti contributi dati da Guido Fubini (1879-1943) 1 alla matematica, sia pura che applicata, ce n’è uno che non gli è ancora stato riconosciuto e che merita di esserlo per le ragioni che mi accingo a mostrare. Si trova in un’opera rimasta inedita, un manoscritto di 80 pagine dedicato ad una trattazione elementare delle trasformate di Laplace, molto simile, nella struttura, ai testi moderni per gli studenti di ingegneria elettronica o elettrotecnica. La redazione di questo manoscritto fu così raccontata nel 1979, in occasione delle celebrazioni promosse all’Accademia delle Scienze di Torino nel centenario della nascita di G. Fubini e F. Severi, da Aldo Ghizzetti 2 (1908-1992), che fu dapprima allievo di Fubini, poi suo assistente al Politecnico di Torino dal 1930 al 1938: Vengo infine a parlare di un lavoro di Fubini che, sfortunatamente, non è mai stato pubblicato. Nell’anno 1935 Fubini cominciò a interessarsi del calcolo simbolico degli elettrotecnici e del suo inquadramento nell’ambito delle trasformate di Laplace e su tale argomento tenne una conferenza nel gennaio 1936. 3 Visto il mio vivo interesse per quest’argomento, Fubini mi propose di scrivere in collaborazione un libro, con una prima parte (di Sua redazione) sulla teoria della trasformazione di Laplace ed una seconda (da me redatta) sulle applicazioni alle reti di circuiti elettrici. Il lavoro si svolse negli anni 1936 e 1937 e, nei primi [giorni] 4 del 1938, spedimmo il manoscritto al Consiglio Nazionale delle Ricerche per la sua pubblicazione nella Collana di monografie matematiche edite dal C.N.R. Pochi mesi dopo vennero emanate le leggi razziali che provocarono il trasferimento della famiglia Fubini negli Stati Uniti e la comunicazione da parte del C.N.R. che il nostro libro non poteva essere pubblicato perché uno degli Autori era ebreo. D’altra parte era impossibile pubblicare, da solo, il testo da me scritto a causa dei continui riferimenti alla parte scritta da Fubini. Dopo molte incertezze tenendo conto che nel frattempo era comparso il libro di G. Doetsch, * Dipartimento di Matematica, Università di Torino, via C. Alberto 10, 10123 Torino. Ricerca eseguita nell’ambito del progetto ‘Storia delle Scienze Matematiche’ miur, unità di Torino. 1. Per un elenco aggiornato di scritti sulla vita e sull’opera di G. Fubini si veda Fava 1999. 2. Notizie sulla vita accademica e sulla produzione scientifica di A. Ghizzetti si possono trovare in Fichera 1994. 3. Cfr. in Bibliografia Fubini 1936. 4. Nell’originale, per evidente lapsus, è scritto «anni».
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mi decisi a fare il tentativo di riscrivere completamente la mia parte, aggiungendovi il minimo indispensabile delle nozioni teoriche mancanti e facendo riferimento al libro di Doetsch. Ciò richiese un lungo lavoro, svolto nel triennio 1939-41; il C.N.R. accettò la pubblicazione del nuovo testo e fu così che nel 1943 comparve il mio libro Calcolo simbolico. 5 Nel 1948 l’edizione era esaurita, ma non mi sentii di stamparne una seconda senza fare numerose aggiunte e profondi cambiamenti (fra cui l’uso sistematico dell’integrale di Lebesgue). La nuova stesura si protrasse per molti anni e, soltanto dopo aver associato al mio libro l’amico Alessandro Ossicini, è comparsa nel 1971. 6 Mai ho potuto dimenticare tutto quello che devo a Fubini per la realizzazione di questo lavoro. Ho conservato con cura, per oltre quarant’anni, una copia del manoscritto della parte da Lui redatta; credo che sia giunto il momento di restituirlo alla Famiglia oppure depositarlo presso questa Accademia affinché resti il ricordo del grave torto che è stato fatto al nostro grande Maestro. 7
Ghizzetti donò il manoscritto all’Accademia delle Scienze di Torino, dove è tuttora conservato. 8 Per capire la sua importanza è necessario esaminare brevemente la storia della trasformata di Laplace e dei metodi matematici per lo studio dei circuiti elettrici.
2. La trasformata di Laplace e il calcolo simbolico di Heaviside La storia della trasformata di Laplace 9 non inizia con Pierre Simon de Laplace, come si potrebbe ragionevolmente pensare, ma con i tentativi di Euler e di J. L. Lagrange di risolvere le equazioni differenziali ordinarie lineari per mezzo di opportune trasformazioni integrali. A Laplace si devono alcune lunghe memorie in cui si cercano le soluzioni di equazioni alle derivate parziali lineari del secondo ordine sotto forma di integrali definiti, pubblicati tra il 1782 e il 1812. Il lettore moderno ritrova con difficoltà, in mezzo alla gran quantità di calcoli complicati, un equivalente della trasformata di Laplace come la si conosce oggi; in effetti in questi suoi lavori Laplace non stabilisce una teoria sistematica di questo tipo di operazione, e adopera diversi tipi di trasformazione integrali a seconda delle necessità del momento. Per comprendere lo sviluppo storico successivo della questione è ne5. Si veda Ghizzetti 1943. 6. Si veda, in Bibliografia, Ghizzetti & Ossicini 1971. 7. Ghizzetti 1982, p. 19. 8. Collocazione: Ms. 2797. 9. Esistono degli eccellenti studi storici per gli argomenti che formano lo sfondo di questa ricerca. Deakin ha ricostruito lo sviluppo della trasformata di Laplace (v. Deakin 1981, 1982, 1992) e Lützen ha descritto i vari tentativi di rendere rigoroso il calcolo simbolico di Heaviside (Lützen 1979). Per l’inquadramento storico può anche essere utile lo studio di Koppelman sulla storia del calcolo simbolico (Koppelman 1972). Quanto segue non è altro che un riassunto dei punti per noi più importanti di questi articoli a cui si potrà far riferimento per informazioni più complete.
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cessario a questo punto distinguere fra trasformazione e trasformata di Laplace. 10 La prima è un procedimento per la ricerca di soluzioni di un’equazione differenziale sotto forma di integrali definiti. Nelle trattazioni della seconda metà dell’Ottocento questi integrali furono generalizzati al campo complesso ed assunsero la forma
z
e spψ (s)ds
C
dove C è un opportuno contorno nel piano di Gauss e ψ è una funzione da determinare. La trasformata di Laplace, invece, è un algoritmo di calcolo, che associa ad una funzione assegnata f(t) una funzione trasformata F(p), secondo la relazione +∞
z
F ( p) = e− pt f (t)dt 0
Concettualmente la trasformata di Laplace stabilisce una relazione tra spazi di funzioni. 11 Conviene perciò introdurre la notazione F ( p) = L f (t ) che mette in evidenza l’aspetto funzionale. Dal punto di vista del calcolo la trasformata di Laplace è utile per abbassare l’ordine di difficoltà delle operazioni poiché trasforma la derivazione nella semplice moltiplicazione per un numero reale e la integrazione in una divisione. Valgono infatti le relazioni
af
af a f
L F ' t = pL F t − F 0 ,
L O 1 LMz F (t)dt P = L F (t) N Q p t
0
che si dimostrano facilmente con una integrazione per parti. Chiarita questa distinzione, possiamo dire che la trasformazione di Laplace fu studiata in campo reale nell’Ottocento in svariati lavori di J. Fourier, 12 S. D. Poisson, 13 S. F. Lacroix, 14 A.-L. Cauchy, 15 N. H. Abel, 16 J. Liouville, 17 ed altri matematici minori. 18 Essa fu poi in un certo senso 10. Cfr. Deakin 1992, p. 266. 11. Questa idea fondamentale si deve a S. Pincherle: si veda Amaldi, Pincherle 1901, p. V. 12. Deakin 1981, p. 362. 13. Deakin 1981, p. 363. 14. Deakin 1981, pp. 360-361. 15. Deakin 1981, pp. 364-368. 16. Deakin 1981, pp. 368-369. 17. Deakin 1981, pp. 369-371. 18. Quali, ad esempio, J. A. Grunert, R. Murphy, R. Lobatto, J. Petzval, S. Spitzer. I loro contributi sono tutti discussi in Deakin 1981
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riscoperta, a partire dal 1880 circa, da H. Poincaré e da S. Pincherle, che ne stabilirono le proprietà nella sua forma complessa. 19 La trasformata di Laplace, invece, fu usata forse per la prima volta da H. Bateman nel 1910. 20 Il suo sviluppo successivo è dovuto soprattutto a G. Doetsch, che vi dedicò gran parte dei suoi scritti e ne diede una trattazione generale nella sua Theorie und Anwendung der Laplace-Transformation (1937). 21 Da quel momento essa rimpiazzò definitivamente la precedente trasformazione di Laplace. Il calcolo simbolico per la risoluzione dei circuiti elettrici ebbe uno sviluppo in gran parte indipendente dalla teoria della trasformata di Laplace. Esso fu creato dal fisico matematico inglese O. Heaviside in una serie di lavori pubblicati tra il 1881 e il 1892, e consiste essenzialmente in un ‘calcolo algebrico’ di operatori differenziali. 22 Per risolvere un circuito elettrico percorso da correnti variabili Heaviside sostituisce ad ogni elemento del circuito una ‘pseudo-resistenza’. Denotata con la lettera p la derivata rispetto al tempo d/dt (in modo da poter operare con la derivata come se fosse un simbolo algebrico), Heaviside associa ad una induttanza L la ‘resistenza’ pL e ad una capacità C la ‘resistenza’ C/p, mentre una vera resistenza R mantiene il suo valore. Fino a questo punto, come si vede, non si è ancora aggiunto nulla di sostanzialmente nuovo, poiché non si è fatto altro che introdurre una sorta di stenografia per la scrittura delle equazioni differenziali del circuito. Si è però trasformato il circuito originale in una rete puramente ohmica fittizia, a cui si possono applicare le ordinarie regole di calcolo basate sulle leggi di Kirchhoff. Le equazioni a cui si arriva con questo procedimento, che dovrebbero fornire il valore della corrente istante per istante, sono in realtà relazioni tra operatori. Per interpretarle Heaviside propose una regola, basata su uno sviluppo in serie di queste formule, detta expansion theorem. Essa forniva risultati corretti, ma le sue basi teoriche erano a dir poco oscure. Heaviside non era membro di alcuna università, e i suoi metodi sembravano poco più che una collezione di regole empiriche, prive di una vera giustificazione teorica. Non sorprende perciò che esse abbiano riscosso poco successo per circa vent’anni. I primi tentativi di rendere rigoroso il calcolo di Heaviside furono fatti da J. T. I’A. Bromwich e da H. Jeffreys attorno al 1916, usando integrali nel campo complesso; le loro formulazioni, seppure ingegnose, urtarono 19. Cfr. Deakin 1982, pp. 352-357. 20. Cfr. Deakin 1982, pp. 369-370. 21. Sulla vita e le opere di Gustav Doetsch (1892-1977) si vedano Wagner 1952, Sartorius 1963, Remmert 1999a, 1999b, 1999c, 2001. 22. Cfr. Lützen 1979, pp. 162-175.
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contro difficoltà di vario tipo. È un fatto sorprendente, ma innegabile, che per circa un quarto di secolo nessuno si sia accorto che si poteva interpretare tutto il procedimento di ‘algebrizzazione’ delle equazioni del circuito come un passaggio alle trasformate di Laplace delle correnti e delle forze elettromotrici, e che l’expansion theorem riassumeva le regole per calcolare la antitrasformata delle funzioni elementari. Il collegamento tra il calcolo di Heaviside e la trasformata di Laplace fu indicato per la prima volta nel volume Electric Circuit Theory and the Operational Calculus di J. R. Carson 23 (1926). In realtà fu Bateman ad accorgersi di questo fatto: egli lo segnalò in una lettera a Carson, il quale fece uso di questa osservazione in alcuni punti della trattazione. 24 Carson non applicò in modo sistematico la trasformata di Laplace, ma si limitò a verificare la validità del metodo su esempi specifici. Quando il suo libro fu tradotto in tedesco nel 1929, Doetsch ne fece oggetto di una recensione al vetriolo, 25 in cui lo accusava di non aver posto fin dal principio su basi rigorose il calcolo simbolico. Da questo momento in poi si può dire che fosse chiara la strada da seguire per formalizzare il calcolo di Heaviside. Restava ormai solo da preparare una esposizione generale in cui fossero illustrati questi nuovi sviluppi.
3. Il manoscritto di Fubini Dopo questo breve excursus storico, siamo ora finalmente in grado di comprendere il significato del trattato di G. Fubini e A. Ghizzetti: in sostanza doveva essere il primo libro di testo in cui le trasformate di Laplace venivano sistematicamente applicate alla risoluzione dei circuiti elettrici. Secondo gli storici, questo primato spetterebbe ad un testo dell’americano McLachlan, pubblicato nel 1939, 26 ma il volume di Fubini e Ghizzetti era ultimato nel gennaio del 1938 e avrebbe dovuto uscire già alla fine del 1938 ed è quindi precedente. Nel tener conto delle date è necessario essere precisi: in questo campo lo sviluppo e la diffusione della teoria, quando risultò chiaro il legame tra il calcolo di Heaviside e la trasformata di Laplace, furono a dir poco rapidissimi. Nel 1930 pochi analisti erano al corrente della questione, ma già nel 1950 un giovane 23. John Renshaw Carson (1886-1940) si laureò in ingegneria elettrica a Princeton nel 1909, dove insegnò fino al 1914. Divenne poi ricercatore nell’industria, dapprima presso la American Telephone and Telegraph Company e dal 1925 fino alla morte presso i Bell Telephone Laboratories. Le sue ricerche hanno un ruolo importante nello sviluppo della teoria delle reti elettriche. Negli archivi dell’università di Princeton si conserva parte del suo epistolario. 24. Lützen 1979, p. 198. 25. Doetsch 1930. Cfr. anche Deakin 1992, sect. 3. 26. McLachlan 1939.
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ingegnere elettrotecnico doveva conoscere piuttosto bene questi nuovi metodi matematici. 27 Il lavoro di Fubini è anche il primo testo divulgativo sulle trasformate di Laplace. Si tenga presente che l’autorevole trattato di Doetsch è del 1937, e che il primo lavoro elementare sull’argomento fu pubblicato solo nel 1939. 28 Non è un merito da poco il tentativo di Fubini: all’epoca la trasformata di Laplace era ancora un argomento della matematica più astratta e non era un compito facile riuscire a spiegarlo in modo semplice. Per valutare correttamente l’importanza del volume di Fubini e Ghizzetti è necessario confrontarlo con le opere dello stesso tipo pubblicate in quegli anni, vale a dire con gli articoli ed i libri sul calcolo simbolico e sulla teoria dei circuiti. Nella seconda metà degli anni ’20 furono pubblicati diversi articoli sulla rigorizzazione dei metodi di Heaviside, e in alcuni di essi veniva mostrato in modo più o meno esplicito il collegamento con le trasformate di Laplace. 29 Queste trattazioni, però, erano assai lontane dalle esposizioni moderne: il loro livello matematico era talvolta assai elevato e vi si faceva uso di vari tipi di trasformazioni integrali. Inoltre esse erano poco adatte agli scopi degli ingegneri, poiché il calcolo di Heaviside veniva studiato insieme ad altri tipi di calcolo simbolico e non era considerata in dettaglio l’applicazione ai circuiti elettrici. Un discorso analogo vale per i libri di testo pubblicati fra il 1926 e il 1940. Escludendo quelli che non tengono conto dei nuovi risultati, bisogna considerare solo i testi di J. R. Carson (1926), V. Bush (1929), P. Humbert (1934) e N. W. McLachlan (1940). Anche in questo caso le differenze con i manuali moderni si vedono immediatamente. Carson si limita ad accennare all’uso della trasformata di Laplace, senza applicarla in modo sistematico; in effetti, come si è detto, essa fu aggiunta solo quando il piano dell’opera era già deciso. Lo stesso problema si ritrova nel volume di Bush. Il lavoro di Humbert mostra come le regole di base del calcolo simbolico si possano spiegare per mezzo dello ‘integrale di Carson’ (una versione della trasformata di Laplace), senza applicare il metodo allo studio dei circuiti o ai sistemi di equazioni differenziali; in sostanza si tratta di una breve introduzione (31 pagine) ai metodi generali di calcolo simbolico. Il testo di McLachlan è di livello matematico piuttosto elevato: la prima parte (circa un terzo del volume) è una trattazione 27. Cfr. Deakin 1992, p. 272. 28. Droste 1939. È un testo di sole 35 pagine, con un’introduzione di Doetsch. 29. Ad esempio i metodi di T. J. I’ A. Bromwich, H. Jeffreys e B. van der Pol. I loro lavori sono discussi in Lützen 1979, pp. 175-180.
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della teoria delle funzioni di variabile complessa; inoltre la trasformata di Laplace è spiegata accanto ad altri tipi di trasformate integrali. Passiamo ora ad esaminare il manoscritto di Fubini. È intitolato Parte prima, redatta da Guido Fubini. Preliminari matematici, e si divide nei seguenti 14 capitoli, o paragrafi: 1 Lemmi di calcolo integrale, p. 1; 2 La trasformazione di Laplace, p. 2; 3 Proprietà algoritmiche della L-trasformazione, p. 8; 4 Alcune conseguenze delle formole precedenti, p. 14; 5 Le frazioni razionali, p. 15; 6 Le funzioni impulsive, p. 22; 7 Una prima applicazione della L trasformazione, p. 30; 8 Applicazione a certi sistemi di equazioni differenziali, p. 37; 9 Il calcolo simbolico, p. 46; 10 Sviluppi in serie ed esempii, p. 58; 11 Cenno sulle funzioni di Bessel, p. 63; 12 Proprietà asintotiche della L-trasformazione, 30 65; Appendice alla parte prima. 13 La antitrasformata di una funzione ϕ(p), 70; 14 Alcune proprietà della funzione φ(t), p. 76.
Il testo si presenta nella sua forma ormai definitiva, con pochissime correzioni; in effetti, secondo quanto riferiva sopra Ghizzetti, era già stato consegnato per la stampa. 31 L’indice dei capitoli è sufficiente di per sé a chiarire la spirito generale dell’opera. Fubini si propone di stabilire i concetti fondamentali della trasformata di Laplace mantenendosi ad un livello elementare, che presuppone in sostanza solo la conoscenza dell’analisi matematica fornita da un primo corso di una facoltà scientifica. Egli punta direttamente allo scopo senza nessun fronzolo, limitandosi a stabilire al principio un minimo di teoremi sulla convergenza degli integrali impropri e trasferendo agli ultimi capitoli le questioni più elevate. Non vengono discussi altri tipi di trasformate integrali oltre a quella di Laplace. Un intero capitolo è dedicato alla risoluzione di alcuni particolari sistemi di equazioni differenziali, che formalizzano le equazioni che si presentano nello studio dei circuiti a costanti concentrate. 32 Il capitolo sul calcolo simbolico si limita 30. Il § 11 è stato redatto dal Dott. Ghizzetti (nota di Fubini). 31. Questo lavoro potrebbe essere pubblicato senza problemi così com’è; sarebbe forse un modo non banale per onorare la memoria di Guido Fubini e rimediare in parte al torto che gli fu fatto. Non mi soffermo sulla questione degli effetti delle leggi razziali sull’ambiente dei matematici italiani; si vedano al riguardo Guerraggio & Nastasi 1993 ed Israel & Nastasi 1999. 32. In un circuito elettrico reale le resistenze, le capacità, le induttanze sono distribuite lungo il circuito, e la loro trattazione porta ad equazioni alle derivate parziali. Nei casi più semplici si può schematizzare la situazione supponendo che queste proprietà siano concentrate in alcuni punti del circuito. Si parla allora di costanti concentrate, e si usano equazioni differenziali ordinarie.
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a descrivere brevemente le linee essenziali del metodo di Heaviside: esso è infatti un procedimento ormai superato, essendo stato sostituito dalla sistematica applicazione delle trasformate di Laplace alle equazioni dei circuiti. 33 Tutte queste caratteristiche distinguono il lavoro di Fubini dai testi precedenti sullo stesso argomento. Coerentemente con l’impostazione elementare da lui scelta, Fubini considera quasi esclusivamente il caso di funzioni reali di variabile reale; solo nei capitoli finali vengono introdotte le funzioni di variabile complessa. A rigore sarebbe necessario impostare sin dal principio tutta la questione in campo complesso, poiché solo così si può arrivare alla formula di inversione della trasformata. È chiaro però che in tal modo si uscirebbe dal dominio degli interessi di un ingegnere, al quale, in un primo approccio è più che sufficiente una tabella di antitrasformate. Vale la pena di notare anche il capitolo sulle funzioni impulsive. Fubini le definisce semplicemente come il limite di integrali definiti. Sia I(t, h) una funzione «che conservi uno stesso segno nell’intervallo α
0) e negli altri punti sia nulla», e sia (a,b) un intervallo contenente (α,α+h); allora vale la relazione b
z
Lim I (t, h)ψ (t)dt = jψ (α ), h→0
a
α +h
essendo ψ(t) una generica funzione continua e j =
z
I (t, h) dt un valore
α
che «si tiene fisso». Si può ora definire una «funzione impulsiva di impulso j» V(t,a) mediante la relazione b
z a
V (t, α )ψ (t ) =
RS0 Tj
se α è esterno all'intervallo (a,b) se α è interno ad (a,b) ψ (α )
Secondo Fubini «abbiamo così delle funzioni definite non già assegnando i loro valori, ma quelli di alcuni integrali. Esse in sostanza, dal punto di vista fisico, coincidono con le precedenti funzioni I, quando h è estremamente piccolo». 34 Fubini chiarisce poi il significato delle funzioni impulsive (che noi chiameremmo, seguendo Dirac, funzioni delta) per mezzo di esempi tratti dalla meccanica. 33. Ecco, ad esempio, lo incipit del capitolo: «Il lettore frettoloso può omettere la lettura di questo §» (Ms. di Fubini, p. 46). 34. Ms. di Fubini, p. 24.
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Oggi una simile impostazione può sembrare insufficiente e un po’ ingenua, ma per l’epoca era considerata rigorosa e forniva una sistemazione a tutta una serie di problemi sugli integrali discontinui sorti da almeno un secolo. 35 Essa venne elogiata da M. Picone, ed era in effetti una novità per i testi di ingegneria di quel periodo. 36 Chi voglia avere un’idea abbastanza precisa del lavoro di Fubini può leggere la prima parte del volume pubblicato nel 1943 da Ghizzetti. 37 Un confronto tra i due testi mostra infatti notevoli somiglianze nell’impostazione generale. Ghizzetti si limitò in sostanza a riordinare e a parafrasare l’opera di Fubini, mantenendone intatta la struttura. Sarebbe stato assai difficile fare diversamente, se si tiene conto dello stretto legame tra le parti scritte dai due autori e della semplicità ed immediatezza della formulazione di Fubini. Il cambiamento più importante apportato da Ghizzetti consiste forse nell’aver introdotto fin dall’inizio le funzioni di variabile complessa e nell’aver ampliato in più punti la trattazioni con esempi ed osservazioni.
4. I contributi di Fubini e dei suoi collaboratori alla teoria dei circuiti elettrici Per quale motivo Fubini si interessò dell’applicazione della trasformata di Laplace alla teoria dei circuiti? Secondo quanto scrisse Ghizzetti si potrebbe pensare che vi sia stato spinto dallo stesso Ghizzetti. In realtà è oggi possibile ricostruire l’evoluzione degli interessi di Fubini in modo più preciso, seguendo i lavori pubblicati in quel periodo da Fubini e dai suoi collaboratori. Si può ad esempio individuare con esattezza il periodo in cui Fubini si rese conto del collegamento tra il calcolo di Heaviside e la trasformata di Laplace. Il 19 febbraio 1934 egli tenne a Torino una conferenza sul calcolo simbolico in cui non accennò minimamente alla trasformata di Laplace, limitandosi ad osservare che i metodi simbolici per la risoluzione dei circuiti elettrici erano un altro esempio della continua tendenza verso la generalizzazione dei risultati matematici: Ma si dirà: È corretto tutto questo? La risposta è molto semplice. Anche senza 35. Sulla storia delle funzioni impulsive si vedano Lützen 1981 e Laugwitz 1992. La prima definizione astratta, ovvero indipendente da una rappresentazione come limite di funzioni ordinarie, della funzione delta si trova in un lavoro inedito, risalente circa al 1830, dell’astronomo e matematico italiano Giovanni Plana; si veda in proposito Caparrini 2000, pp. 167-170. 36. Si veda l’introduzione di Picone al volume pubblicato da Ghizzetti: «Notevole, nella prima parte dedicata alla teoria, la trattazione delle funzioni impulsive, che può essere accettata dal matematico più esigente» (Ghizzetti 1943, p. V). Il primo matematico italiano che considerò seriamente le funzioni impulsive fu probabilmente G. Peano; cfr. Peano 1913, p. 569. 37. Ghizzetti 1943.
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giustificare le singole trasformazioni, basta osservare che allo stesso identico risultato si giunge applicando i metodi della equazione caratteristica che si insegnano nel primo biennio delle nostre facoltà. Niente di nuovo, salvo il modo nuovo di concepire le formole: modo che potrà piacere o spiacere a seconda del gusto personale dello studioso. Nonostante l’eleganza del metodo, io, da analista del tempo antico, direi che preferisco i metodi classici, i quali sembrano assai più efficaci del metodo simbolico. Quest’ultimo richiede infatti, come abbiamo visto, che resistenze, capacità, induttanze siano invariabili col tempo, ciò che, almeno in teoria, non è richiesto dai metodi classici. Ma il lato curioso ed elegante della questione sorge quando si applica l’expansion theorem a formole i= ΘE ove Θ è una funzione di ∆, che non è più un quoziente di polinomii. È questo lecito? In generale no; ma molto spesso Heaviside, senza curarsi del rigore logico, è giunto per tale via a risultati esatti. Il matematico deve spiegare sia il perché si giunga spesso a risultati giusti, sia perché si giunga invece talvolta a risultati erronei. 38
Questa citazione mostra come Fubini non avesse ancora le idee chiare sul contenuto matematico del calcolo di Heaviside. Forse egli pensava che esso si potesse rendere rigoroso usando la trasformata di Fourier; 39 questo era in effetti, il parere di diversi autori tra i quali B. van der Pol e N. Wiener. 40 L’opinione di Fubini cambiò però nel giro di qualche mese. In una conferenza del 27 gennaio 1936 sullo stesso argomento egli mostrò in dettaglio che il calcolo di Heaviside non era altro che una serie di regole per l’applicazione della trasformata di Laplace al calcolo dei circuiti. Fin dall’inizio egli citò la recensione di Doetsch al libro di Carson: Lo scopo che mi propongo è quello di mostrare su esempi semplici e concreti come si possa maneggiare ed interpretare il calcolo simbolico, cercando naturalmente di evitare gli errori così frequenti nei libri e nelle ricerche che si occupano di tale metodo, assai più gravi e molteplici di quelli che talvolta si incontrano nei libri che trattano di altri capitoli delle matematiche applicate. Per chi desideri conoscere qualcuno di questi errori è assai consigliabile la lettura del bell’articolo del Prof. Doetsch in Jahresb. d. d. Mathem. Verein., 1930. 41
È probabile che Fubini sia venuto a conoscenza dei lavori di Doetsch tramite il suo amico e collega F. G. Tricomi, allora professore di Analisi alla Facoltà di Scienze matematiche fisiche e naturali di Torino. 42 In quel periodo Tricomi si stava occupando intensamente della trasformata di Laplace, seguendo con attenzione i lavori che andava via via pubblicando Doetsch. 43 L’11 aprile 1935 egli tenne a Torino una conferenza su que38. Fubini 1934, p. 147. 39. Cfr. Fubini 1934, p. 149. 40. Cfr. Lützen 1979, sect. II-IV. 41. Fubini 1936, p. 141. 42. Per un elenco aggiornato di scritti sull’opera di Tricomi si veda Skof 1999. 43. Cfr. Tricomi 1936, p. 51, e Tricomi 1967, p. 42.
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st’argomento, in cui citava la recensione del libro di Carson ed enunciava molto chiaramente i legame tra il calcolo simbolico e la trasformata di Laplace: Come si vede la trasformazione di Laplace presta gli stessi servigi del metodo simbolico di Heaviside – tanto giustamente caro agli elettrotecnici – con dei vantaggi essenziali rispetto a quello, e cioè principalmente: a) La eliminazione di ogni speciale simbolismo […] b) La possibilità di tener conto […] dei cosiddetti fenomeni transitorii. c) La possibilità di poter talvolta considerare anche equazioni a coefficienti dipendenti da t. d) La facilità di delimitare il campo dei risultati ottenuti. Per tali ragioni convengo perfettamente col Doetsch nel ritenere ormai superfluo il metodo simbolico di Heaviside, perché tutto quello che questo può dare e altro ancora, può anche ottenersi, per via altrettanto semplice e suggestiva ma molto meglio fondata e convincente, per mezzo della trasformata di Laplace. 44
Tricomi però non approfondì nella sua conferenza questo aspetto della questione, preferendo occuparsi delle applicazioni alla matematica pura. 45 Si noti che Ghizzetti, nella citazione riportata all’inizio, indica proprio il 1935 come l’anno in cui «Fubini cominciò a interessarsi del calcolo simbolico degli elettrotecnici e del suo inquadramento nell’ambito delle trasformate di Laplace». Si potrebbe a questo punto logico pensare che Fubini abbia trattato del calcolo simbolico anche in qualche memoria, oltre che nel lavoro con Ghizzetti e nelle conferenze sopra ricordate. Invece, curiosamente, lasciò questo compito a due persone che gli erano molto vicine. Nel volume dei Rendiconti del circolo matematico di Palermo per il 1937 compaiono tre memorie sull’applicazione delle trasformate di Laplace al calcolo dei circuiti elettrici; due di esse sono di Eugenio Fubini Ghiron, figlio di Guido, 46 la terza è di Ghizzetti. Il tema comune è il problema dei valori iniziali da attribuire alle grandezze variabili del circuito (cariche, correnti, forze elettromotrici). In effetti questo è il punto in cui le prescrizioni del calcolo simbolico lasciavano maggiormente in dubbio. I due autori affrontarono aspetti diversi del problema, in un certo senso complementari. 44. Tricomi 1936, p. 42. 45. Il 18 febbraio 1937 Tricomi tenne a Torino una seconda conferenza sulla trasformata di Laplace, senza però occuparsi questa volta dei suoi legami con il calcolo simbolico (Tricomi 1938). Inoltre il 27 aprile 1936, pochi mesi dopo la seconda conferenza di Fubini, vi fu a Torino una conferenza di Giovanni Giorgi interamente dedicata al calcolo di Heaviside (Giorgi 1936). 46. Eugenio Fubini Ghiron (1912-1997) si laureò in fisica nel 1933 e collaborò con il gruppo di Fermi. Nel 1938 fuggì con il resto della famiglia negli Stati Uniti, dove iniziò una prestigiosa carriera di consulente per le questioni scientifiche, sia per il governo che per istituzioni private, arrivando a diventare Assistant Secretary of Defense e Deputy Director of Defense Research.
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Confrontando le regole date da Heaviside con i risultati ottenuti per mezzo delle trasformate di Laplace si vede che, implicitamente, Heaviside supponeva che le correnti iniziali fossero tutte nulle. Questa ovviamente è una restrizione molto arbitraria, che diventa talvolta un’impossibilità fisica; 47 sembra logico pensare che essa debba portare nella pratica ad errori notevoli. Per risolvere la questione Eugenio Fubini classifica i sistemi di equazioni differenziali che si presentano nella risoluzione dei circuiti elettrici, e dimostra che i risultati ottenibili con le regole del calcolo simbolico hanno, nella maggior parte dei casi, un significato fisico anche quando le grandezze iniziali non sono tutte nulle. Ghizzetti si riallaccia alla classificazione di Eugenio Fubini per studiare il caso in cui le funzioni incognite del sistema di equazioni differenziali del circuito (che rappresentano fisicamente la quantità di carica) siano discontinue all’istante iniziale, ovvero il caso in cui i due limiti lim Q(t ), lim Q(t ), t → 0−
t → 0+
per le cariche Q(t) e i due limiti lim I (t ), lim I (t ), t → 0−
t → 0+
per le correnti I(t) esistono entrambi ma sono diversi. Anche in questo caso si arriva alla conclusione che per una larga classe di sistemi l’esistenza di discontinuità è riconducibile a semplici teoremi generali. Non sappiamo fino a che punto Fubini abbia collaborato a questi lavori. Egli inserì un accenno a questi risultati nel suo manoscritto. 48 Nel volume pubblicato da Ghizzetti nel 1943 essi vengono citati in modo più ampio. 49 Negli stessi anni in cui lavorava al suo manoscritto, Fubini collaborava con G. Albenga alla stesura del trattato in due volumi La matematica dell’ingegnere e le sue applicazioni, che fu anch’esso bloccato dalle leggi razziali e venne pubblicato dopo la guerra. 50 Chiaramente l’applicazione della matematica a problemi tecnici fu per lui un interesse profondo in quel periodo. 51 Nel secondo volume del trattato si trova una breve trattazione del calcolo sim-
47. Basta considerare il caso di un trasformatore ideale; si veda Fubini Ghiron 1937a, p. 2. 48. Ms. di Fubini, p. 42. 49. Ghizzetti 1943, p. 79, 84, 114. 50. Fubini & Albenga 1950-54. 51. Nella prefazione al secondo volume Albenga scrive: «Ho dovuto introdurre pochissime varianti anche nei capitoli essenzialmente tecnici da Lui scritti: pochi matematici conobbero le materie dei corsi di ingegneria come Guido Fubini, che seguì con passione gli studi dei suoi figli.» (Fubini & Albenga 1950-54). Bisogna anche ricordare le diverse memorie di Fubini sulla teoria dell’elasticità.
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bolico, in cui però non viene fatto alcun uso della trasformata di Laplace. Ecco come Fubini giustifica in questo caso la validità del metodo: 52 Questa proposizione di Heaviside (che in sostanza è soltanto una definizione utile nei problemi di elettrodinamica) equivale al cosiddetto expansion theorem. In sostanza le formole a cui è arrivato per tal via Heaviside sono le stesse a cui si può arrivare per via semplice anche senza ricorrere al calcolo simbolico. L’importanza di questo risiede in ciò, che si può dare significato ad una espressione f(D)v(x), (la quale sia utile nelle applicazioni) anche in molti altri casi, anche cioè in casi in cui f(D) non è un quoziente di polinomii nella D. Ma in questo libro non ci possiamo occupare di queste questioni generali.
È probabile che Fubini avesse in mente la trattazione per mezzo delle trasformate di Laplace contenuta nel suo lavoro inedito. Egli sembra considerare la formulazione esatta del calcolo simbolico una questione tanto difficile da dover essere omessa da un trattato in cui si discute, ad esempio, delle equazioni della teoria dell’elasticità. Come abbiamo visto, questa situazione cambiò nel giro di pochi anni.
5. Conclusione La storia del manoscritto del manoscritto di Fubini è già interessante di per sé, ma potrebbe essere inserita in un quadro storico più ampio. È esistita una scuola italiana di studiosi della trasformazione di Laplace, iniziata con Pincherle e proseguita almeno fino agli anni ’30. 53 Inoltre nella prima metà del ’900 diversi matematici italiani (S. Pincherle, G. Giorgi, P. Straneo, R. Serini, D. Graffi, F. Sbrana, L. Fantappié, L. Amerio) si occuparono della formalizzazione del calcolo simbolico. 54 L’interesse di Fubini e Ghizzetti per questi temi non nacque dunque casualmente, ma fu determinato anche da una ben consolidata tradizione di ricerca.
52. Fubini & Albenga 1950-54, vol. II, p. 910. 53. Cfr. Deakin 1982, sect. 4. 54. Cfr. Giorgi 1934.
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Giuliano Frullani: la formula, gli integrali definiti e le serie
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Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche Vol. XXIII · (2003) · fasc. 1
Giuliano Frullani: la formula, gli integrali definiti e le serie Iolanda Nagliati* «L’esame delle sue pubblicazioni mi ha convinto che il contributo del Frullani al progresso della scienza non si limita alla scoperta della importante formola e che tale contributo sarebbe stato certamente maggiore se le occupazioni inerenti alla sua carica non l’avessero distolto dagli studi matematici e se la morte non l’avesse colto ancor giovane»: così Amedeo Agostini scrive del matematico toscano Giuliano Frullani 1 (Livorno, 23 febbraio 1795 - Firenze, 25 maggio 1834), generalmente ricordato, oltre che per la citata formula integrale, per una nota polemica epistolare con Paolo Ruffini in merito all’uso delle serie infinite. 2 Vari motivi di interesse si ritrovano però anche negli altri suoi scritti, non altrettanto noti: nel complesso si tratta di un volume e sette articoli, principalmente dedicati proprio agli sviluppi di funzioni in serie trigonometriche e agli integrali definiti, campi di ricerca tra i più moderni e interessanti dell’epoca. Il calcolo degli integrali definiti si presenta in modo naturale in vari contesti, e in particolare Frullani ne sottolinea l’impiego per l’eliminazione della variabile ausiliaria introdotta nell’integrazione di equazioni differenziali; vi si riconduce la determinazione dei coefficienti delle serie di Fourier, e hanno un ruolo centrale nella teoria degli integrali ellittici studiati tra la fine del ‘700 e i primi decenni dell’800 da Legendre. 3 * Via Alberti 11, 44100 Ferrara. E-mail: [email protected]. 1. Il brano citato è in A. Agostini, Matematici e fisici, Direttori e Professori della Scuola Normale Superiore di Pisa, Pisa, Pacini Mariotti, 1934, pp. 6-7. Su Frullani esiste una sola nota biografica, G. Rosini, Elogio del cav. Frullani, Pisa, Capurro, 1835, peraltro ampiamente dedicata al più celebre padre Leonardo (1750-1824), Ministro del Granducato di Toscana; brevi osservazioni sulla sua opera si trovano in G. Sansone, Algebristi, analisti, geometri differenzialisti, meccanici e fisici-matematici ex-normalisti del periodo 1860-1929, Pisa, Scuola Normale Superiore, 1977; altre indicazioni bio-bibliografiche si possono reperire nei principali repertori, in particolare Montferrier, Dizionario delle scienze matematiche pure ed applicate, 1.ma ed. italiana, Firenze, Batelli e compagni, 1838-49, 9 voll., V, p. 207; J. C. Poggendorff, Biographisch-literarisches Handworterbuch zur Geschichte der exacten Wissenschaften, Leipzig, Barth, 1863, 2 voll. (ristampa anastatica Israel, Amsterdam, 1970), I, c. 813. 2. Il carteggio con Ruffini (1765-1822), relativo agli anni 1817-21, è pubblicato e commentato da Sansone nelle Opere matematiche di Ruffini, a cura di E. Bortolotti, Roma, Cremonese, tomo iii, Carteggio matematico, 1954, pp. 163-203. 3. Adrien Marie Legendre (1752-1833), ai cui Exercises de calcul intégral sur divers ordres de trascendent, Paris, Courcier, 1811-17, 3 voll fa ampio riferimento una lettera di Giovanni Plana (1781-1864); su Plana si veda ad esempio S. Caparrini, I manoscritti di Giovanni Plana nell’Accademia delle Scienze di Torino, Torino, crisis, 2000.
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Frullani mostrò un costante aggiornamento rispetto agli sviluppi in corso, 4 unito alla consapevolezza dell’esigenza di ripensare i concetti principali legati alla convergenza delle serie nella direzione di un maggior rigore; vi si può rilevare il significativo contributo fornito intorno al 1830 all’accettazione e alla diffusione in Italia e particolarmente nell’ambiente toscano della risposta che a questa esigenza diedero le idee della «moderna analisi» proposte nello stesso periodo da Augustin L. Cauchy 5 con il quale, oltre alla conoscenza delle sue opere a stampa, ebbe probabilmente contatti tramite l’allievo e amico Guglielmo Libri 6 (1802-1869). Scopo di questo articolo è di esaminare la produzione scientifica di Frullani per metterne in luce i temi di maggiore interesse, anche attraverso l’apporto di manoscritti inediti: nel seguito sono trascritte un gruppo di 19 lettere di vari matematici, tra cui Siméon Denis Poisson, 7 Plana, Libri, che contribuiscono ad illustrare la genesi di alcuni dei concetti sviluppati nelle memorie. 8 Frullani iniziò gli studi letterari presso l’Università di Pisa (negli anni di diretta appartenenza della Toscana all’Impero francese, 1808-1814, come Dipartimento dell’Ombrone), ma passò presto alla matematica sotto la direzione di uno dei più noti studiosi italiani dell’epoca, il professore di ‘Matematiche sublimi’ Pietro Paoli, 9 e conseguì nel 1811 il 4. Tra i numerosi studi sull’analisi matematica nei primi decenni dell’Ottocento si possono consultare U. Bottazzini, Il calcolo sublime: Storia dell’analisi matematica da Eulero a Weierstrass, Torino, Boringhieri, 1981; I. Grattan-Guinness, Convolutions in French Mathematics 1800-1840, Basel, Birkhauser, 1990, 3 voll. ; M. Kline, Storia del pensiero matematico, edizione italiana a cura di Alberto Conte, Torino, Einaudi, 1991, 2 voll. Un esame dettagliato degli scritti di Frullani si trova in I. Nagliati, Le radici della scuola matematica pisana. La matematica nell’Università di Pisa dal 1799 al 1860, Tesi di Dottorato, VI ciclo, cap. IV. 5. Nella vastissima bibliografia concernente Cauchy (1789-1857) si veda ad esempio B. Belhoste, Augustin-Louis Cauchy: A Biography, trad. F. Ragland, New York, Springer, 1991. 6. Libri era in rapporto con Cauchy fin dalle sue prime pubblicazioni, intorno al 1820. Inoltre una lettera di Cauchy a Libri del 21 luglio 1829, trascritta al termine del Carteggio inedito di Frullani, si riferisce all’invio di scritti matematici ad una persona il cui nome può essere letto in modo plausibile come Frullani. Tale lettera, segnalata da A. Procissi in Sopra una questione di teoria dei numeri di Guglielmo Libri, ed una lettera inedita di Agostino Cauchy, B. U. M. I. s. III, anno II, 1947, pp. 46-51, è pubblicata in traduzione inglese in B. Belhoste, Augustin-Louis Cauchy: a biography, cit. 7. Si veda su Poisson (1781-1840) il volume Siméon Denis Poisson et la science de son temps, ed. Ecole Polytechnique, Palaiseau, 1981. 8. Le lettere sono conservate nelle Carte Ombrosi-Frullani presso la Biblioteca Moreniana di Firenze (nel seguito BMoF), in cui si trovano i principali fondi relativi alla famiglia Frullani: oltre a questo, vi si trovano il Fondo Frullani, acquisito nel 1879 e consistente di 43 manoscritti dei secoli IX-XIX e gli Autografi Frullani, acquisito nello stesso anno e composto da 11 scatole contenenti 1995 inserti di carte con lettere varie; le Carte Ombrosi-Frullani, acquisite nel 1984, si compongono di 60 filze di carte con un inventario provvisorio e sono brevemente descritte nella nota biografica di Leonardo Frullani nel Dizionario Biografico degli Italiani, 42, a cura di R. Pasta. Ringrazio la Direttrice della Biblioteca dott. ssa Ognibene per avermi consentito la consultazione del Fondo e per i preziosi suggerimenti fornitimi. Tra le lettere di Giuliano Frullani rintracciate non ve ne sono di contenuto matematico.
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baccellierato alla Facoltà di scienze; ammesso nel 1813 alla Classe di Scienze della Scuola Normale, vi venne eletto ripetitore. 10 Dall’anno successivo sostituì Paoli, 11 divenuto Sovrintendente agli Studi del Granducato, nell’insegnamento dell’Algebra (che con Geometria completava le cattedre di matematica) nel ripristinato Collegio Medico-Fisico. Chiamato a far parte della Commissione per il Catasto 12 nel 1817, lasciò nel 1820 l’insegnamento universitario conservando il titolo di Professore emerito e si stabilì a Firenze, come Direttore degli Uffici del Catasto e dei Ponti e Strade. Fu sostituito nell’insegnamento dall’abate Giovanni Pieraccioli, 13 da qualche anno assistente di algebra e in precedenza suo maestro per gli studi elementari; durante il corso del suo insegnamento, fondato inizialmente sulla teoria lagrangiana, passò all’impostazione data da Cauchy, presumibilmente su indicazione dello stesso Frullani. Nel 1825 entrò a far parte dell’istituendo Consiglio direttivo del Corpo degli Ingegneri 14 insieme a Gaetano Giorgini. 15 I numerosi incarichi tec9. Sulla vita e l’opera di Paoli (1759-1839) si vedano L. Pepe, Sulla trattatistica del calcolo infinitesimale in Italia nel secolo XVIII, in L. Grugnetti, O. Montaldo (a cura di); La storia delle matematiche in Italia, Atti del convegno, Cagliari, 1984, pp. 145-227; I. Nagliati, Le radici della scuola matematica pisana, cit. 10. Pisa era sede di una delle sezioni dell’Università Imperiale, articolata in Accademie abilitate al conferimento dei gradi, di cui il baccellierato è il primo. La Scuola Normale, istituita in Francia nel 1810 con l’intento di formare gli insegnanti al termine di un corso biennale, funzionò a Pisa solo dal novembre 1813 al luglio 1814. Gli studenti di matematica dovevano seguire i corsi di calcolo differenziale ed integrale, astronomia, fisica teorica e sperimentale, oltre al corso comune di letteratura francese; il ripetitore aveva il compito di ‘ripetere’ le lezioni universitarie e di organizzare le ‘conferenze’ interne, una forma di tirocinio per la futura professione. Sull’Università di Pisa si veda la Storia dell’Università di Pisa 1737-1860, Pisa, Edizioni Plus, 2000. 11. Nel proporne al Granduca la nomina come professore (minuta del 10 novembre 1814, in BMoF, carte Ombrosi Frullani, ins. Paoli) Paoli ricordò anche di essere già stato supplito da Frullani, che mantenendone il metodo avrebbe garantito continuità nell’insegnamento. Indicazioni sul suo programma di insegnamento si possono desumere dagli appunti preparatori per gli esami universitari di matematica di Libri, studente a Pisa dal 1816, trascritti in Appendice; i contenuti ripercorrono gli Elementi di algebra, testo pubblicato da Paoli nel 1784 e in seconda edizione nel 1803 e che fu tra i manuali più diffusi in Italia nella prima metà dell’Ottocento. 12. Paoli ebbe la Presidenza della Deputazione incaricata del censimento delle terre, e tutti i principali matematici toscani furono chiamati a farne parte; alle vicende toscane dei primi decenni del xix secolo è dedicato il volume di R. P. Coppini, Il Granducato di Toscana dagli anni francesi all’unità, Torino, utet, 1993, in particolare sul Catasto si veda pp. 247 segg.; i lavori della Commissione terminarono dopo la morte di Frullani. 13. Pieraccioli (Prato - m. 1843) viveva a Pisa presso la famiglia Frullani, e fu in costante contatto epistolare con Giuliano dopo il suo trasferimento a Firenze; su Pieraccioli si veda F. Corridi, Lode del professor Pieraccioli, Prato, Aldina, 1843. 14. Tre anni dopo la creazione del Corpo degli ingegneri una riorganizzazione degli studi universitari voluta da Paoli, con l’istituzione di una specifica laurea in matematica, conferì notevole importanza agli aspetti applicativi della disciplina attraverso corsi di meccanica ed idraulica. Sulla figura dell’ingegnere nell’Ottocento si veda Coppini, cit., p. 250. 15. Giorgini (1795-1874) fu Provveditore dell’Università di Pisa dal 1840 e Sovrintendente agli Studi del Granducato dal 1848, e fu uno degli artefici delle riforme dell’Università che le diedero un assetto
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nici assunti da Frullani corrispondono ad una sua predilezione per gli aspetti applicativi delle matematiche. 16 Oltre che dalla breve esistenza e dai numerosi impegni amministrativi la sua attività scientifica fu però costantemente condizionata dalle precarie condizioni di salute, che gli imposero anche frequenti soggiorni in località termali lontane dai centri della ricerca. 17 Fu consulente dell’Antologia per la matematica e segretario, poi presidente, della Società toscana di geografia, statistica e storia naturale patria. 18 Fu membro della Società Italiana dei XL dal 1825, cavaliere di S. Stefano dal 1823 e corrispondente dell’Accademia delle Scienze di Bruxelles. Nella prima opera matematica di Frullani, il volume pubblicato nel 1816 Ricerche sopra le serie e sopra l’integrazione delle equazioni a differenze parziali [1], 19 si ritrovano i temi su cui si svilupperà la sua attività di ricerca, e numerose osservazioni epistemologiche. Punto di partenza del suo lavoro nell’ambiente matematico pisano, ancora centro secondario della ricerca scientifica e strettamente legato alla Francia anche dopo la fine dell’esperienza napoleonica, sono le opere dei maggiori ‘geometri’ francesi e di Leonhard Euler (1707-1783). Le nuove ricerche compiute su un argomento già lungamente studiato da altri matematici sono motivate osservando che le serie, metodo di approssimazione di espressioni di vario genere, sono facilmente trattabili dal punto di vista del calcolo, e l’attenzione è rivolta in particolare agli integrali definiti, al cui calcolo vengono ricondotti i problemi in esame e che costituiscono quindi «oggetto di specialissima applicazione per i Geometri dei nostri giorni». Le proprietà rispetto alla differenziazione delle funzioni trigonometriche ne fanno poi l’oggetto di un interesse specifico. Ampio risalto è dato al
moderno nella prima metà del XIX secolo. Matematico di un certo valore, soprattutto nel campo della meccanica, fu amico di Frullani, e ne ricevette in eredità i manoscritti matematici, di cui manifestò l’intenzione di pubblicare alcune parti inedite (lettere al fratello Emilio Frullani, BMoF); tra le carte Giorgini, conservate al Gabinetto Viesseux di Firenze, non compare tuttavia alcuno dei documenti citati. 16. Testimonianza a questo riguardo è offerta ad esempio da quanto scrive a Guglielmo Libri, all’epoca in Francia, nel maggio del 1824 l’amico Jacopo Mazzei, in contatto a Firenze con Frullani, riferendo che questi ritiene le applicazioni «l’unico mezzo per fare qualche cosa, come [si] rileverebbe dalla Storia delle Scienze» (in BMoF, fondo Palagi-Libri, ins. 433. 15). 17. A questo si riferisce frequentemente la corrispondenza con la madre ed i fratelli. 18. Sul progetto di Gino Capponi per la scelta nel dicembre del 1819 dei consulenti dell’Antologia, pubblicata dal 1821 al 1833, si veda Coppini, cit., p. 239, n. 3; sulla rivista sono anche registrati i resoconti dell’attività della Società. 19. Si veda in Appendice l’elenco delle opere a stampa di Frullani. Questi fece pervenire l’opera, dedicata a Paoli, a vari matematici da cui ebbe accoglienza molto favorevole; tra essi V. Brunacci (1768-1818) e S. F. Lacroix (1765-1843), le cui lettere sono trascritte nel seguito. Brunacci non viene citato nell’opera, ma Frullani era in possesso di sue opere sulle equazioni a differenze parziali (ex-libris, in collezione privata).
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calcolo di sviluppi in serie di seni e coseni di archi multipli per funzioni di seni e coseni, tema comune al lavoro di molti matematici del tempo. Frullani si inserisce quindi negli studi che nei primi decenni dell’Ottocento si sviluppano in varie direzioni per indagare il concetto di funzione e chiarire il significato da attribuire alla nozione di integrale per funzioni non regolari. Particolarmente importante al riguardo è l’opera di Jean Baptiste Fourier 20 nei cui studi sulla propagazione del calore, culminati con la pubblicazione nel 1822 della Théorie analytique de la chaleur, ebbero un ruolo centrale le serie trigonometriche. Non ci sono riferimenti espliciti agli studi di Fourier nelle opere di Frullani, ma questi gli erano presumibilmente noti, osservando le frequenti menzioni fatte da Libri nelle Mémoires de mathématiques et de physique. 21 La diffusione delle Ricerche lo portò ad una interessante corrispondenza con altri matematici impegnati su questi temi, tra cui i citati Poisson e Plana, con i quali discusse soprattutto il valore da attribuire agli integrali di funzioni trigonometriche. Nel corso dell’opera si trova la prima osservazione sulla reale fondatezza di quanto proposto, oltre al calcolo esplicito dei coefficienti dello sviluppo e alla ricerca di qualche applicazione finora proposti: Prima peraltro di applicar questo metodo a qualsivoglia funzione è necessario assicurarsi della possibilità di ridurla in serie della forma assegnata; poiché, omettendo questa precauzione, si troverebbero spesso, per i coefficienti dei coseni degli archi multipli, valori infiniti, o imaginarj, appunto come accade nei casi in cui la serie di Taylor è in difetto. (§ 31)
Dal paragrafo successivo si trova quindi l’esplicita indicazione della effettiva convergenza della serie ottenuta nello sviluppo, mediante il confronto con opportune serie numeriche convergenti. Nelle applicazioni alla «generale Teoria delle serie» si esprimono i differenziali di qualunque ordine di una funzione mediante un integrale definito. Si situa a questo punto la già ricordata controversia con Ruffini, dal 1816 Presidente della Società Italiana, alle cui Memorie Frullani aveva inviato due articoli, Sopra la dipendenza fra i differenziali delle funzioni e gli integrali definiti dx [2] e Sopra la integrazione della formola , tra i limiti (1 + 2qx cos ϕ + q2 x 2 ) n −1 20. Su Fourier si veda ad esempio I. Grattan Guinness-J. R. Ravetz, Joseph Fourier, 1768-1830, Cambridge Mass., mit Press, 1972. 21. Il primo quaderno fu pubblicato a Pisa dall’editore Prosperi nel 1827, ristampato con nuove memorie a Firenze nel 1829; la prima edizione si compone delle Mémoire sur quelques formules génerales d’analyse, Mémoire sur la théorie de la chaleur, e Mémoire sur les fonctions discontinues, e le ultime due contengono i riferimenti ricordati. 22. Secondo il Regolamento della Società le Memorie dei non Soci dovevano essere presentate da un Socio, il cui nome compare alla pubblicazione accanto a quello dell’autore, e sottoposte
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1 x = 0, x = e tra i limiti x=0, x=1 [3], presentati da Paoli. 22 Ruffini mani0 festò i propri dubbi circa l’impiego di serie che possono divergere, 23 ma le sue obiezioni vennero contestate da Paoli e Frullani; questi non intese affatto minimizzare l’importanza dell’argomento o giustificare l’uso di serie divergenti, tema di cui era come si è visto ampiamente consapevole, affermando che i problemi da lui studiati riguardavano «soltanto le proprietà dei coefficienti e dei rapporti che essi hanno con la funzione primitiva o generatrice». 24 I chiarimenti di Frullani sui punti specifici contestati da Ruffini nelle due memorie non ne eliminarono le perplessità, anche se la pubblicazione avvenne senza correzioni. La prima di queste Memorie si presenta come una esposizione di ulteriori riflessioni sugli argomenti e i risultati esposti nelle Ricerche sulle serie, alcuni dei quali vengono generalizzati; in questo studio Frullani fu tra i primi a rilevare l’esistenza per ogni funzione di diversi sviluppi in serie di seni e coseni, con diverse possibilità di utilizzo, esaminando i criteri per identificare tra questi il particolare sviluppo poi detto ‘di Fourier’. Nella seconda memoria oggetto del carteggio con Ruffini, Frullani osserva che tra gli studi condotti da Euler sugli integrali definiti, non viene trattata estesamente la formula: 25 ∞ dx 2 2 n −1 dx ; 0 (1 + 2qx cos ϕ + q x )
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si propone quindi di analizzarla in modo più completo e di esporne alcuni usi nella teoria delle serie, per alcuni casi particolari dell’esponente n, mediante gli usuali sviluppi in serie trigonometriche. A questi studi sugli integrali definiti segue un’applicazione nell’articolo Sopra una nuova maniera per rappresentare le coordinate dei pianeti nel movi-
ad una forma di approvazione del Presidente. La seconda memoria risulta approvata da Ruffini, non riveduta come la precedente. Anche l’uso di questi termini ebbe un ruolo nella polemica; la dizione approvata, preferita da Frullani, era comune agli altri articoli di matematici non membri della Società. Frullani divenne membro della Società nel 1825, presumibilmente dopo un tentativo compiuto tre anni prima (a cui accenna in una lettera a lui diretta nel gennaio del 1822 l’amico Giovanni Santini (1787-1877), matematico e astronomo e dal 1813 direttore dell’Osservatorio di Padova, anch’egli in precedenza allievo di Paoli a Pisa; le lettere di Santini, del periodo 1817-32, sono conservate in BMoF, carte Ombrosi-Frullani). 23. Sull’uso delle serie infinite si veda ad esempio Kline, cit., vol. II, pp. 1122 segg. Sulle memorie in questione, oltre al citato commento di Sansone, si veda F. Cattelani Degani, Paolo Ruffini e l’esigenza del rigore in analisi, in corso di stampa sugli Atti e Memorie dell’Accademia Nazionale di Scienze, Lettere e Arti di Modena. 24. Lettera a Ruffini del 12 settembre 1818, in Ruffini, cit., pp. 177 segg. 25. Verso la metà dell’articolo viene introdotta la notazione con gli estremi dell’integrale, che Frullani adotterà sempre in seguito; tale notazione, introdotta da Fourier nel 1816, si diffuse dopo la pubblicazione nel 1823 del Résumé des leçons données à l’École Royale Polytechnique di Cauchy.
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mento ellittico [4]; l’astronomo Francesco Carlini 26 pubblicò uno studio 27 sulla convergenza delle serie che servono per la soluzione del ‘Problema di Kepler’, cioè gli sviluppi trigonometrici delle anomalie delle orbite dei pianeti; la nuova maniera proposta riconduce tali studi a formule integrali definite. Le serie trigonometriche trovano una particolare attenzione da parte di quasi tutti i matematici interessati a problemi di astronomia poiché presentano periodicità come i fenomeni celesti. Frullani scrive nell’articolo di aver comunicato la formula trovata a Poisson, 28 e di voler correggere un errore nel risultati pubblicato da questi, 29 ottenuto utilizzando metodi diversi. Nella successiva Memoria, tra le più importanti di Frullani, è ottenuta la formula integrale che porta il suo nome, 30 Sopra gli integrali definiti [5]. Il punto di partenza di queste ricerche sono gli studi di Euler sulla formula ∞ sin ϕdϕ trascendente . Per il calcolo dell’integrale Frullani suddivide 0 ϕ l’intervallo di integrazione in infinite parti di lunghezza π, ottenendo una π serie infinita e convergente che dà il valore ; in seguito utilizza i risultati 2 discussi negli anni precedenti nel carteggio con Poisson, 31 tra cui: ∞ ∞ 1 cos r ϕdϕ = ∞, sin r ϕdϕ = , 0 0 r attraverso i quali il calcolo è generalizzato a funzioni continue e finite, il cui integrale indefinito contiene una costante, determinata integrando un’equazione differenziale del primo ordine. L’uso di procedimenti di passaggio al limite e inversione tra somme infinite e integrali è ancora condotto senza particolari verifiche sull’ammissibilità di tali passaggi. Tale pratica costituiva nello stesso periodo oggetto di critica, e la determinazione delle condizioni sotto cui certi processi sono leciti trovò nell’opera di Cauchy una prima sistemazione; negli scritti successivi di
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26. La lettera con cui Carlini (1783-1862) ringrazia per il riconoscimento di Frullani e tratta brevemente degli studi in merito di Poisson è trascritta nel Carteggio. 27. Ricerche sulla convergenza delle serie che servono alla risoluzione del problema di Keplero, in Effemeridi di Milano, 1818. 28. Questi, nella sua lettera di risposta da Parigi datata 29. 9. 1819 (trascritta nel Carteggio con altre due) e citata da Frullani, definì la formula trovata interessante perché più semplice delle precedenti. 29. Sur une nouvelle manière d’exprimer les coordonnés des planètes dans les mouvements elliptiques, in Connaissance des temps, 1825 p. 384. 30. Si veda al riguardo Grattan-Guinness, cit. pp. 1041-2; Frullani afferma (p. 460) di aver ottenuto il risultato nel 1821 (la Memoria è giunta alla Società il 21 novembre 1829, anche se il volume è datato 1828) e di averlo comunicato a Giovanni Plana, ma ne riconosce la presenza nel citato Résumé di Cauchy, pp. 335 e 339, dove è indicato come «integrale singolare definito». 31. In particolare si veda la lettera del 29 settembre 1819.
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Frullani si rileva una maggiore cautela sulla questione. La formula ottenuta 32 è ∞ F (bx ) − F (ax ) a dx = F (0)log 0 b x In risposta alla comunicazione di questo risultato, Poisson manifestò 33 apprezzamento per il suo metodo di decomposizione dell’intervallo di integrazione, ritenendolo simile al proprio di approssimazione numerica. Nella memoria seguente, Sopra l’uso di alcune serie nella determinazione degli integrali definiti [6], lo scopo è la rappresentazione per serie dell’integrale completo e indefinito di alcune formule differenziali, per poterle esprimere quando l’integrale diventa definito. Gli esempi sono scelti tra quelli da cui «discendono varie riduzioni già dai geometri riconosciute sussistere tra le trascendenti, e che sono particolari casi di più generali du trasformazioni». La prima formula studiata è , che viene svia − log u luppato con la sostituzione x = a – log u e integrato, con la sostituzione u = eiϕ e il confronto separato delle parti reale e immaginaria di quanto ottenuto, metodo applicato a varie altre formule e di cui si discute l’applicazione fatta da altri matematici, tra cui Bidone 34 e Laplace, 35 del cui metodo scrive che è fondato «per induzione sul passaggio dal reale all’immaginario», ma che volle anche ricavare da un metodo diverso, fondato sull’alternativa delle integrazioni in un integrale doppio, per sopperire ai possibili problemi del primo; al riguardo osserva come Legendre 36 avesse già adoperato come ‘artifizio di calcolo’ il far variare i limiti dell’integrale, ottenendo una equazione lineare del secondo ordine, integrabile con i metodi noti, da cui la formula in esame dipende; viene infine ricordato il contributo di Poisson, citato anche nella memoria precedente, a cui Frullani rimanda.
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32. La si trova ripresa (con una dimostrazione che segue dal teorema di inversione dell’ordine di integrazione) e commentata, tra gli altri, da Ulisse Dini (1845-1918) nelle Lezioni di analisi infinitesimale, vol. 2 Calcolo Integrale, Nistri, Pisa, 1908, nella sezione X – Applicazioni varie dei processi di derivazione e d’integrazione sotto il segno, e in precedenza anche in J. Bertrand, nel Traité de calcul différentiel et de calcul intégral, Paris, Gauthiers-Villars, 1870, deuxième partie – calcul intégral, pp. 221 segg. 33. Lettera del 29 settembre 1819, cit. 34. Giorgio Bidone (1781-1839), nella memoria Sur diverses intégrales definies, in Mem. Ac. Torino XX, 1813, attraverso gli sviluppi in serie di potenze crescenti e decrescenti. 35. Pierre Simon de Laplace (1749-1847); il lavoro citato è Mémoire sur les suites pubblicato nelle Mémoires de l’Académie des Sciences, 1779/82, pp. 207-309, ora in Oeuvres complètes, 14 voll., 18781912; 10, 1-89. 36. A questo argomento si riferisce la prima lettera di Plana, del 17 febbraio 1821.
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La parte più rilevante della Memoria consiste nelle successive Osservazioni sopra la convergenza delle serie: nei paragrafi precedenti la deduzione dell’integrale definito di una formula dal suo sviluppo era stato condotto tenendo presente che la convergenza delle serie nell’intervallo di integrazione era facilmente verificabile negli esempi particolari trattati, poiché in caso contrario non si sarebbe potuto contare sull’esattezza delle formule ottenute: Infatti, e per servirmi della adequata espressione di alcuni illustri geometri, una serie divergente non ha somma: 37 ovvero ciò che viene allo stesso, manca di limite: e quindi tornerebbe fallace ogni conseguenza che si traesse dalla supposta esistenza o cognizione di quel limite.
Rimanda per questo a Poisson e Cauchy, 38 e vi aggiunge alcune osservazioni per sempre meglio convincerne, che senza rischio di cadere in errore non potranno mai nel calcolo integrale ammettere le serie, se prima non siasi certi della loro convergenza e della loro estensione.
Data la funzione generatrice di una equazione differenziale, Laplace ha dato il metodo per calcolarne l’integrale; Frullani ne sottolinea i possibili errori, 39 che discendono appunto dalla possibilità che una serie usata non converga. Vengono quindi proposti altri casi simili, con le opportune osservazioni per evitare errori: tra questi la ‘nota’ serie (una delle infinite serie di seni per sviluppare ax ): ax sin 2ax sin 3ax sin 4ax = sin ax − + − + ecc. 2 2 3 4 per la quale si dimostra «rigorosamente» che converge per x nell’intervallo
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e diverge al di fuori di esso; se quindi si considera x nell’intervallo (0, ∞) si incorre nell’errore segnalato. Per Frullani «Converrà pertanto ricorrere ai noti criteri della convergenza e della estensione delle serie», in particolare il criterio del rapporto. Infine sono esaminate altre riduzioni di funzioni composte da funzioni circolari. La trattazione termina osservando che nella dottrina degli integrali definiti non tanto consiste il pregio dell’opera nella molteplice esposizione di singoli casi che l’esercizio del calcolo talvolta somministra spontanei; come piuttosto nel comprendere sotto forme meno particolari estese classi di trascendenti; delle quali così risulti palese il legame e la dipendenza. 37. Frullani si riferisce qui all’espressione usata da Cauchy nel Cours d’Analyse, e da questi definita con altre «un peu dures au premier abord». 38. Non si trovano invece, nelle opere e nei manoscritti di Frullani, riferimenti agli studi di Niels Abel (1802-1829) sul tema del rigore in analisi. 39. Si veda al riguardo anche l’ultima lettera a Ruffini, cit. pp. 202-3.
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Nell’ultima Memoria di Frullani che appare nel volume, Sopra la riduzio-
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ne di alcune trascendenti [7], è studiato z i dzF (cos z ) = y i dove F è una 0 funzione qualsiasi, dispari, del coseno di z, e i è un intero pari, oppure F è pari rispetto a cos z, e i è dispari. Si ottiene in queste ipotesi una relazione tra i numeri di Bernoulli, anche se questo metodo di calcolo è reputato solo curiosità, in quanto essi sono già completamente noti dall’indice. L’ultimo articolo pubblicato da Frullani, Sopra alcune formole integrali [8] 40 trae origine da uno scritto di Gabrio Piola 41 in cui, oltre al modo di esprimere mediante integrali definiti il termine generale di alcune serie, è ripresa la formula 1.2.3... n π f ( n) x = f ( x + αe y −1 )e − ny −1 dy . n − π 2πα Frullani, nelle sue Osservazioni sulla convergenza delle serie aveva rilevato una «imperfezione» nella dimostrazione ad opera di Laplace 42 senza però giudicare falsa la formula stessa, come sostenuto invece da Piola, e intende ora dimostrarla nuovamente con i propri metodi, per ribadire come essa sia vera e rigorosa, poiché «le condizioni ch’ella esige per esser tale sono generalmente conseguibili», mentre il metodo di Laplace resta in generale inammissibile. In particolare Frullani mostra la necessità di opportune restrizioni sull’intervallo a cui appartiene α, che reputa implicite nelle trattazioni di Poisson e Cauchy. 43 Osservando che è possibile calcolare l’integrale definito come differenza dell’integrale indefinito agli estremi solo se tra tali estremi l’integranda è continua e finita, Frullani propone in conclusione il metodo di Cauchy, ritenendo necessario che esso venga inserito nei trattati sul calcolo integrale, con cui l’integrale è visto come limite di una somma di integrali calcolati su una partizione la cui ampiezza diviene infinitesima, e che consentirebbe un «completo e generale sviluppo» della questione.
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40. L’articolo (datato 17 settembre 1832, un anno e mezzo prima della morte) è pubblicato sotto forma di lettera a Giovanni Santini. Questi lo informò in alcune lettere delle vicende della pubblicazione, e in seguitò si occupò della distribuzione di alcune decine di copie della memoria a vari studiosi, fra i quali menziona Carlini e l’astronomo viennese Littrow (BMoF, carte Ombrosi-Frullani, ins. Santini). 41. Matematico milanese, Piola (1791-1850) fu a contatto con Cauchy durante la sua permanenza in Italia, a Torino tra il 1830 e il 1833, ed ebbe un ruolo rilevante nel farne conoscere le opere in Italia, soprattutto con la pubblicazione degli Opuscoli di matematica e fisica, di cui uscirono due annate nel 1832 e 1834. Sulla figura e l’opera in questo campo di Piola si veda U. Bottazzini, I matematici italiani e la ‘moderna analisi’ di Cauchy, in Archimede, 41, 1988, n. 1, pp. 15-29 ; l’articolo in questione fu pubblicato sugli Opuscoli nel 1832. 42. Frullani si riferisce all’articolo 21 della Théorie analytique de la probabilité del 1812. 43. In particolare si riferisce per Poisson alla Mémoire sur l’intégration des équations linéaires aux différences partielles, in Journal de l’Ecole Polytechnique, quaderno 19. mo, 12 (1823), pp. 215-248, art. 74 e 79, di cui si trova menzione anche nel carteggio.
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Appendice 1 Carteggio inedito di Giuliano Frullani 1. Sylvestre François Lacroix a Giuliano Frullani, in Pisa. Parigi, 8 luglio 1817. BMoF, O. F. ins. Lacroix Paris ce 8 Juillet 1817 Monsieur J’ai reçu dans le temps les intéressantes recherches sur les séries et sur l’intégration des équations differentielles partielles. 44 J’ai différé jusqu’ici de vous adresser tous les remerciemens que je vous dois, pour l’honneur que vous m’avez fait de me les envoyer, parce qu’il me semblait que le paquet avait été remis chez moi par quelque’un qui se proposait de repasser, ou que je pourrais rencontrer pour m’informer de lui comme je pourrait vous faire parvenir ma réponse. Engagé maintenant dans la réimpression de l’un de mes traités élémentaires, en ayant plusieurs cours à faire, il ne m’a pas été possible de lire votre ouvrage avec toute l’attention que le sujet démande en mérite; mais quand je reprendrai ces matières pour la 2e édition du Traité des différences et des séries, qui forme le 3e volume de mon Traité du Calcul Différentiel et Intégral je m’empresserai d’étudier avec soin les recherches dont vous avez eu la bonté de me faire part. 45 Agréez s’il vous plait, Monsieur, mes remerciemens et l’assurance de la considération très distinguée avec laquelle j’ai l’honneur de vous ofrir mes salutations S F Lacroix A’ Monsieur // Monsieur Giuliano Frullani // Professeur des Mathématiques // Supérieures à l’Université Ie et Re // de Pise // à Pise (Toscane)
44. Frullani, Ricerche sulle serie, cit. 45. Si tratta della seconda edizione del Traité du calcul différentiel et du calcul intégral, Paris, Courcier, 1810-19, 3 voll. ; prima edizione 1797. Nel terzo tomo l’opera di Frullani è indicata tra le fonti per le applicazioni del calcolo alle differenze alla somma delle serie, pp. 133 segg.
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2. Vincenzo Brunacci a Giuliano Frullani, in Firenze. Pavia, 9 maggio 1817. BMoF, O. F. ins. Brunacci Pavia 9. Maggio 1817 Sig. Prof. Stimat.o Da cinque mesi la mia ostinata malattia di dolori lombari mi impedisce di scrivere e quasi anche di leggere, onde Ella vede che quasi niuna parte ho nelle cose Matematiche del Giornale; 46 dissi quasi niuna perché ne so quel poco che i bravi Giovani compilatori delle cose matematiche me ne dicono. In aggiunta della mia malattia mi è sopravvenuta una fiera scarlattina che mi ha prostrato e tolta quasi ogni forza, onde a fatica io posso dettare queste due righe. Le dirò adunque che non soddisfece il dire 47 che dx ϕ cioè che la relazione tra il seno e l’arco sia =2 sin ϕ 1 + 2 x cos ϕ + x 2 espressa da quell’integrale definito preso tra i limiti x = 0; x = 1; e ciò perché integrando quella differenziale con frazione trinomiale secondo le regole dette da Eulero, e da tutti in seguito, si trova che quest’integrale è il doppio di un arco, il quale ha una certa tangente funzione di ϕ e di x, quest’arco essendo moltiplicato per un certo coefficiente funzione di ϕ : estendendo poi questo integrale tra i limiti voluti, si trova eguale a 2 moltiplicato per un arco che ha per tangente una certa funzione di sin ϕ ϕ ; ed una semplice trasformazione trigonometrica fà vedere che tale arco
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è eguale appunto a
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. 2 Ella continui con fervore i suoi Studj; abbia più gradito chi mostra schiettezza e buona fede nel giudicare, ancorché possa talvolta il giudizio comparire un poco severo. Ognuno ha in se’ stesso il criterio per conoscere ciò che può diventare; consiste questo nell’ascoltare di buon animo le critiche degli amici. Mi perdoni se io forse gli comparisco troppo presuntuoso nel dargli consigli, ma lo faccio, perché sono intimamente persuaso che se Ella continuerà così come ha cominciato, sarà un giorno uno de’ Sostegni della Gloria Matematica Italiana; del resto, essendo Ella Allievo del nostro Paoli, di cui pure io ho avuto le Lezioni, 48 e mi pare perciò di avere 46. Si tratta del Giornale di Fisica, Chimica, Storia Naturale, pubblicato a Pavia; nel Tomo X del 1817 Brunacci recensì il testo di Frullani. 47. Frullani, Ricerche sulle serie, cit.; la formula in questione è trattata da p. 28. 48. Brunacci, nato a Firenze, si laureò a Pisa nel 1788 in medicina, seguendo anche i corsi di Paoli; vi insegnò per alcuni mesi nel 1800.
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qualche legame con Lei. Io dunque le dico, che mi sarà grato che tal legame consista in una amicizia. Intanto pieno di stima mi dico Suo Servitore ed A. Brunacci Al Sig. Frullani Pubblico // Profes.e di Matematiche // Superiori all’Università di // Pisa 3. Guglielmo Libri a Giuliano Frullani [in Firenze]. Pisa, 14 gennaio 1820. BMoF, O. F. ins. Libri Pregiatissimo Sig.re Professore Profittando della dilei bontà le invio una parte de’ miei lavori numerici 49 sui quali la prego di gettare uno sguardo; un’altra volta qualor ella mel permetta, le invierò il rimanente: io mi lusingo d’aver dimostrato, in una memoria che son per terminare, uno dei piu’ bei teoremi di Waring 50 rimasto sino ad ora senza dimostrazione, cioè Che ogni numero è composto di nove cubi al più: ma non sarò sicuro d’aver conseguito il mio intento, sinché ella non me ne avrà accertato. 51 Nel terzo tomo di Lacroix ho veduto citata la di lei bell’opera sulle serie, ciò mi ha fatto infinito piacere vedendo che ancora in Francia si comincia a sentire il merito de’ dotti Italiani. Pregandola a perdonare l’incomodo ch’io le arreco mi do l’onore dirmi Suo Devotis.mo ed Obblig.mo Servo Guglielmo Libri Pisa 14 Gennajo 1820 4. Guglielmo Libri a Giuliano Frullani, in Firenze. Pisa, aprile 1820. BMoF, O. F. ins. Libri Pisa Aprile 1820 Pregiatissimo Sig.re Professore Ho ricevuto per mezzo del Sig.re [nome illeggibile] la lettera ch’ella mi ha inviato: le sono gratissimo della bontà colla quale ella ha letto la mia Memoria e tanto più le sono obbligato che ella passava dalle due Memorie di Poisson alla mia. 52 Non la posso abbastanza ringraziare pelle giustissime osservazioni ch’ella vi ha aggiunte. 49. G. Libri, Memoria sopra la teoria dei numeri, Firenze, Ciardetti, 1820. 50. E. Waring (1734-98), in Miscellanea analytica de aequationibus algebraicis et curvarum proprietatibus, Cambridge, 1762. 51. Si veda al riguardo L. Dickson, History of the theory of numbers, New York, Stechert, 3 voll. (1. a ed. 1934), 1971. 52. Libri, cit.
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Trovo verissimo ciò ch’ella mi dice sui Teoremi da me enunciati; talché io penso di dimostrare i più interessanti e di sopprimere gli altri. a + bx + cx 2 + & Le son gratissimo d’avermi rammentato l’equazione y = a' + b' x + c ' x 2 + & risoluta in numeri interi da Lagrange, e ch’io avea tralasciata: anzi l’avermela ella ridotta alla mente mi ha fatto osservare che può, col metodo stesso risolversi in numeri interi l’altra equazione assai più generale ( Ay n ± By n−1 ± ... ± P)(βz m ± γz m−1 ± &... ± ρ )(ϕur ± χur −1 ± &...a)... = a + bx + cx 2 + & = a' + b' x + c ' x 2 + & purché nel denominatore esista qualche altro termine oltre il primo a’, e che il numeratore non sia un multiplo del denominatore indipendentemente dal valore d’x. Io pure avea giudicato non esser necessario che tutti i valori che risolvono la risultante dal prodotto dell’equazioni simultanee, servano ancora a ciascuna separatamente di quest’ultime; ma non ho nella memoria abbastanza spiegato ciò, com’ella ottimamente m’avverte. Riguardo all’insolubilità dell’equazione 216x3+1=z4 in numeri interi, e positivi menoché nel caso evidente d’x = 0 ecco com’io credo poter dimostrare la mia asserzione per mezzo dell’equazioni simultanee. È chiaro che abbiamo z 5 = 216x 3 + 1 = 6 3 x 3 + 1 = (6x + 1)
RS (6 x + 1) + 3(6 x − 1) UV , ora i due fattori (6x+1), (6 x + 1) + 3(6 x − 1) non 4 4 T W potendo avere comun divisore, ciascuno di loro sarà una potenza 5 : ed 2
2
2
2
ta
avremo le due equazioni simultanee 216x3+1=z5, 6x+1=u5, ed in conseguenza otterremo (216x3+1)(6x+1)2=R5, ma quest’ultima non può risolversi in numeri interi, e positivi, dunque a maggior ragione la proposta è insolubile. perciò si vede la causa la causa 53 per cui ho scelto l’equazione particolare 216x3+1=z5, mentre i fattori che risultano dall’equazione X3+1=Y5 ponno aver per fattor comune il 6 e non servono all’uopo. Potremmo in egual modo dimostrare che l’equazione 216x3+1=zn è insolubile in numeri interi, e positivi allorché n>1. Una traslazione d’apice fatta al § 9 nella copia della Memoria che io le avea inviata è la causa per cui ella non potea trovar vero ciò che in esso si contiene; ecco dunque come può, corretto l’errore, schiarirsi quel passo. 53. Ripetuto nel testo.
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Date due forme Fifi composte d’un numero qualsivoglia d’incognite, e d’un grado qualunque il lor prodotto può ognor ridursi alla forma ax2+by2+cz2+ψ purché sia risolubile l’equazione ax2+by2+cz2=0. Poiché noi abbiam dimostrato (§ 8) che, se l’equazione am2+bn2+cr2=0 è risolubile, lo sarà ancora l’altra ax2+by2+cz2=d qualunque sia d; facendo dunque d=Ff–ψ, sarà ax2+by2+cz2=Ff–ψ, ossia ax2 + by2 + cz2 + ψ = Ff. Le mie nuove ch’ella ha l’urbanità di richiedermi non son molto buone, forse a causa del terribile inverno che abbiamo avuto; godo peraltro di sentire ch’ella stia perfettamente. Mi onori de’ suoi comandi, e mi creda con alta stima Suo Devotis.mo Servo ed Amico Guglielmo Libri Al Nobil Uomo // Il Sig.re Professor Giuliano Frullani // Firenze 5. Guglielmo Libri a Giuliano Frullani, in Firenze. Pisa, 21 novembre 1823. BMoF, O. F. ins. Libri Pisa 21 9mbre 1823 Amico Pregiatissimo Il desiderio che ho di ricever lettere dalle persone che mi son care fa si’ ch’io vi scriva, lusingandomi che voi vorrete procurarmi il piacere d’avere da voi stesso le vostre nuove, le quali finora vostro fratello Emilio mi ha assicurato esser buone. Io vi ringrazio infinitamente che oltre l’avermi fatto aver la Cattedra, 54 voi mi abbiate insegnato il modo di starvi; se son tante le piccole gare, le gelosie e i puntigli che mi trovo a fronte ora che mi perdo nella folla, cosa sarebbe stato se avessi fatto l’innovatore? Ho saputo che il mio cugino Del Rosso, che è apprendista nell’Uffizio cui presiedete, anderà sotto l’Andreini; io vi sarei gratissimo se poteste fargli ottenere in questo cambiamento una piccola pensione; in qualunque caso io ve lo raccomando caldamente, e vi ringrazio anticipatamente di tuttociò che farete per lui. Son molto contento di potervi dar buone nuove di vostro fratello; tutti me ne dicon bene; io l’ho pregato a volermi favorire qualche volta la sera, e mi lusingo che lo farà.
54. Libri ebbe nell’anno 1823-24 la cattedra di fisica teorica generale; aspirava però a quella di Matematiche superiori.
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Vi prego di fare i miei complimenti in famiglia, egualmente che al Consiglier Fossombroni. 55 Intanto mi dichiaro Vostro Affz.mo Amico Guglielmo Libri P. S. Lo Sproni Brigadiere m’incarica di salutarvi. Al Chiarissimo // Signor Cavalier Giuliano Frullani // Firenze 6. Guglielmo Libri a Giuliano Frullani, in Firenze. Pisa, 19 febbraio 1824. BMoF, O. F. ins. Libri Pisa 19. Febbraio 1824 Amico Carissimo Profitto del ritorno dello Sproni per darvi le mie nuove: io ho passato l’inverno, poiché qui si può dir quasi finito, molto meglio di quello che mi sarei aspettato: ed in generale mi sembra che la mia salute vada ogni giorno a ristabilirsi: so da vostro fratello che voi pure state benissimo e ciò mi fa infinito piacere. Fra otto o dieci giorni io spero di venir costà in compagnia d’Emilio, ed allora noi ci abbracceremo ingrassati e impaffuti. V’è nulla di nuovo in fatto di scienze? Già voi avrete veduto il quinto tomo della Meccanica Celeste: 56 a me sembra che Lagrange scrivesse la storia de’ metodi e delle scoperte meglio di quello che faccia Laplace. L’Arciduca mi ha dato a leggere la Fisica di Scinà di cui voi conoscete l’introduzione fatta pubblicare molti anni indietro: a me sembra che essa sia un perfetto modello del metodo di Bacone. Vi prego di fare i miei ossequi in famiglia ed al Consiglier Fossombroni e di credermi Vostro Affz.mo Amico Guglielmo Libri Al Chiarissimo // Signor Cavalier Giuliano Frullani // Firenze
55. Vittorio Fossombroni (1754-1844), funzionario di primo piano dell’amministrazione granducale, all’epoca Consigliere di Stato. 56. Laplace, Traité de mécanique céleste, Paris, 1799, 5 voll.
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7. Guglielmo Libri a Giuliano Frullani, in Firenze. Pisa, 31 marzo 1824. BMoF, O. F. ins. Libri Pisa 31. Marzo 1824 Carissimo Amico L’Arciduca mi scrive che vorrebbe mandare una copia della mia Memoria Sur divers points d’analyse 57 a Gauss a Gottinga; ora il solo esemplare che esista in Toscana è presso di voi: potrei io chiedervi il favore di rendermi quello promettendovi di rendervela prestissimamente, appena mi verranno gli altri da Torino? Nel caso in cui non mi neghiate il piacere che vi domando, vi prego di consegnare al latore di questa lettera quell’esemplare; perché l’Arciduca m’aggiunge che lo deve spedire a posta corrente. Tito mi ha scritto tutto penetrato della bontà colla quale l’avete accolto: io vi ringrazio anticipatamente di tutte le premure che vi darete per lui. Io ho ricevuto il Resumé delle lezioni di Cauchy: 58 se non l’avete ancora veduto volete che ve lo porti per Pasqua unito ai Supplementi di Laplace? 59 Ditemene qualcosa. Crediatemi con tutta la stima in fretta Vostro Affz.mo Amico Guglielmo Libri Al Chiarissimo // Signor Cav. Giuliano Frullani // subito in grazia // Firenze 8. Guglielmo Libri a Giuliano Frullani, in Firenze. Pisa, 28 aprile 1824. BMoF, O. F. ins. Libri Pisa 28. Aprile 1824 Amico Pregiatissimo Il mio buon amico Mazzei vi rimetterà un foglio di calcoli che io vi prego di leggere per dirmene poi il vostro pensiero: ne’ io vi avrei incomodato per cosa si’ tenue, se non mi fosse sembrato il mio articolo in manifesta opposizione colla Teoria che per ogni equazione a differenze finite o infinitesime assegna un numero di costanti eguale all’ordine dell’equazione stessa e temo qualche paralogismo ma non so trovarne il bandolo, onde mi volgo a voi 57. Libri, Mémoire sur divers points d’analyse, in Memorie dell’Accademia delle Scienze di Torino, 28, (1823), pp. 251-280. 58. A. Cauchy, Resumé des leçon sur le calcul infinitésimal, 1823, in Oeuvres, IV, (2) pp. 1-261. 59. Numerosi articoli di Laplace portano l’indicazione di Supplément; la maggior parte si trova nelle Oeuvres, cit.
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“Come lo mio maestro, e ‘l mio autore” pregandovi di trovarmi l’intoppo facendomi sapere se ho trovato alcuna cosa nuova, o se veramente son caduto in errore; e di ciò vi sarò gratissimo. Mi lusingo che tutti di casa vostra stiano bene; fate loro i miei complimenti non menoché allo Sproni ed a Fossombroni e credetemi Vostro Affz.mo Amico Guglielmo Libri P:S: Vi prego di non dimenticarvi il povero Angiolini. Al Chiarissimo // Signor Cavalier Giuliano Frullani // Firenze 9. Guglielmo Libri a Giuliano Frullani, in Firenze. Pisa, 7 maggio 1824. BMoF, O. F. ins. Libri Pisa 7. Maggio 1824 Mio Caro Amico Seppi prima di sera l’orrenda catastrofe 60 e volli profittare dell’infausta notizia per prepararvi il povero Emilio; Pieraccioli 61 poi ricevé un espresso ma non seppe o non volle dir nulla ed io ho dovuto eseguire il triste ufficio. Io non ho quasi mai abbandonato Emilio da ieri in quà; egli ancora non sa il tutto, ma ne teme. Stamani dopo il corriere è entrato in gravissima smania ed ha sofferto assai; ora sembra più abbattuto; ricusava ogni sollievo, ma poi Pieraccioli ha fatto venire un medico che gli ha ordinato pediluvi e calmanti, lo che è stato eseguito. Egli volea ad ogni costo venir costà, ma io l’ho trattenuto e gli ho promesso d’accompagnarlo fra pochi giorni. Credete voi che possa venire? io dubito assai che gli sia possibile il prender l’esame. Io lo porterei volentieri meco in campagna per qualche giorno, ma non ho alcuna autorità di farlo oltre l’amicizia e la riconoscenza per voi, e temo d’importunare chi lo ha in custodia; se credete scrivetemi qualcosa. Non vi posso esprimere, mio caro amico, quanto io soffra del vostro dolore. Se non credessi meglio fatto l’assistere Emilio verrei ad abbracciarvi, non per recarvi parole inette di consolazione, ma per pianger con voi; ed io amo assai mia Madre per poterlo fare. Ora torno da Emilio. Addio; amate il vostro Affz.mo Amico G Libri Al Chiarissimo // Signor Cavalier Giuliano Frullani // Firenze 60. Si tratta della morte di Leonardo Frullani, padre di Giuliano. 61. Giovanni Pieraccioli (m. 1843), professore di matematica a Pisa dal 1806 al 1840.
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10. Francesco Carlini a Giuliano Frullani, in Firenze. Milano, 20 agosto 1823. BMoF, O-F, ins. Carlini Pregiatissimo Signore, Le faccio i miei più vivi ringraziamenti tanto pel pregiato dono del suo dotto opuscolo sul problema di Keplero, 62 quanto per la menzione che in esso Ella ha avuto la bontà di fare d’un mio antico abozzo di calcolo 63 sopra a questo medesimo argomento. Io mi compiaccio poi di aver ottenuto lo scopo che mi era allora principalmente prefisso, cioè di richiamare l’attenzione de’ valenti matematici d’Europa sopra l’utilità che può nascere dal considerare sotto forma complessa i coefficienti dati dallo svolgimento dell’equazione del centro in serie di seni dei multipli dell’anomalia. 64 L’introduzione degli integrali definiti dà, come assai bene osserva il signor Poisson, 65 la soluzione la più semplice e la più naturale d’un tal problema. Mi ha fatto per altro meraviglia il vedere come quest’Autore, pubblicando quale cosa nuova le sue formule, abbia potuto ignorare le ricerche pubblicate sin dall’anno 1818 dal cel. Bessel 66 nel Giornale intitolato: Zeitscrhift für Astronomie etc. herausgegeben von B. von Lindenau. Il Bessel fin d’allora era giunto all’espressione 1 − ee cos(ie − ie sin r ) Ai = dr . (vol. 5 pag. 369 del citato giornale). 1 − e cos r iπ Avvalendomi dell’occasione ch’Ella mi ha graziosamente offerta mi pregio di dichiararmi con vera ed altissima stima Suo dev.mo ed obbl.o Servo F. Carlini
z
Milano 20 Agosto 1823 Al Chiarissimo Signore // Il Sig. Professore // Giuliano Frullani // Firenze 62. Sopra una nuova maniera per rappresentare le coordinate dei pianeti nel movimento ellittico, in Antologia, v. X, 1823, II parte, pp. A164-172. 63. F. Carlini, Ricerche sulla convergenza delle serie che servono alla risoluzione del problema di Keplero, in Effemeridi di Milano, 1818. 64. Frullani cerca qui il modo di ridurre il problema alla ricerca di un integrale definito che rappresenti il termine generale di quella serie ordinata per i seni dei multipli dell’anomalia media del Pianeta, operando direttamente sulle equazioni trascendenti dalle quali il Problema dipende; oltre al termine generale della serie di Kepler, il metodo di Frullani consente di esprimere con formule integrali definite anche quello della serie che dà il raggio vettore e l’anomalia eccentrica, ordinate una per i coseni e l’altra per i seni della stessa anomalia media, fornendo così la nuova maniera del titolo. 65. Sur une nouvelle manière d’exprimer les coordonnés des planètes dans les mouvements elliptiques, in Connaissance des temps, 1825 (pubblicato nel 1822), pp. 379-385. 66. Friedrich Bessel (1784-1846); il riferimento è Über die Entwicklung der Mittelpunktsgleichung, Zeitscrhift für Astronomie, 1818.
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11. Denis Siméon Poisson a Giuliano Frullani, in Pisa. Parigi, 21 giugno 1817. BMoF, O. F. ins. Poisson Paris ce 21 juin 1817 Monsieur Au retour d’un voyage assez long que j’ai été obligé de faire hiers j’ai trouvé chez moi l’ouvrage 67 que vous avez bien voulu m’envoyer. Quelques occupations arrièrés m’ont empeché de le lire aussitot que je l’aurois desiré, et maintenant que j’en ai achevé la lecture, je m’empresse de vous remercier du présent que vous m’en avez fait. Je pense aussi, comme vous, que la théorie des linées, et celle des intégrales définies mèritent d’être cultivées avec ardeur, tant pour elles-mêmes qu’à raison des applications qu’on en peut faire à la solution des questions les plus importantes de la physique mathématiques. Malheureusement dans cette partie de l’analyse on est circonscrit dans un circle bien étroit et le nombre des intégrales qu’on peut obtenir, qui paroitroit devoir etre très considerable, je trouve au contraire bien limité. C’est sans doute pour ce la que nous nous sommes rencontrés dans la recherches de quelques intégrales logaritmiques, que l’on trouve dans votre ouvrage, et qui se trouvent aussi dans mon mémoire sur les intégrales définies, inserie dans le 17e cahier du journal de l’école polytechnique. 68 Agréez de nouveau, Monsieur, tous mes remerciements, et l’assurance des sentiments de consideration, avec les quels j’ai l’honneur d’être Votre obéissant Serviteur Poisson A Monsieur // Monsieur Frullani // Professeur de mathématiques // de l’Université // à Pise 12. Denis Siméon Poisson a Giuliano Frullani, in Pisa. Parigi, 29 settembre 1819. BMoF, O. F. ins. Poisson Paris, ce 29 7bre 1819 Monsieur Depuis près de deux mois j’étois occupé à des examens qui m’otaient toute ma liberté. Ils sont finis d’hier, et je profite de mon affranchissement pour repondre à la lettre que vous m’avez fait l’honneur de m’écrire. 67. Frullani, Ricerche sulle serie, cit. 68. Si tratta delle Mémoire sur les intégrales définies, apparse sul Journal de l’Ecole Polytechnique in tre parti: quaderno 16. mo, 9 (1813), pp. 215-246, 17. mo, 10 (1815), pp. 612-631, 18. mo, 11 (1820), pp. 295-341.
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Vous observez avec raison que l’intégrale ∫ cos axdx (x = 0, x = ∞) peut 1 être regardé comme la limite de ϕ (bx ) cos axdx relative à b , et que ϕ0
z
la fonction ϕ (bx) peut être tout ce qu’on voudrai pourvu seulement qu’elle soit nulle à la limite x=∞. Il paroitroit resulter delà une sorte d’indétermination dans la valeur de ∫ cos axdx, considerée sous ce point de vue; mais je crois que la reponse à cette difficulté est que la limite de 1 ϕ (bx ) relative à b est toujours la même quelle que soit la fonction
z
ϕ0 ϕ (bx); dans ce cas je ne connais aucun example où cela soit autrement.
Ainsi en prenant 69 ϕ (bx ) =
1 1 2 , b + x 1 + b2 x 2 2
on a cosaxdx x − ab = e 1 + b 2 x 2 2b resultat au quel on peut parvenir par des méthodes qui ne supposent pas connue l’intégrale ∫ cos axdx. Or si l’on fait b=0, on a spécialement ϕ0
z
1 − ab e =0 bm −
a
à cause que l’exponentielle e b decroit plus rapidement que toute puissances positive m de b, lorsque b diminue; on aura donc aussi ∫ cos axdx=0. Soit encore ϕ (bx) = e
− b2 x 2
on aura pour une formule connue
z
2
e
− b2 x 2
x − ab2 cos axdx = e 2
et leurs limites sont
z
z
1 cos axdx = , sin axdx = 0 0 ere 70 En multipliant la 1 intégrale (2) pour da intégrant en suite par rapport à a il vient 1 è barrata. b2 + x 70. La numerazione manca nel testo. 69. La frazione
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z
sin ax a dx = arc (tang = ) + c ; 0 x b la constante c doit être nulle, parce que cette intégrale s’evanouit evidémment quand a=0 ; on a donc simplement sin ax a e − bx dx = arc (tang = ) b x Si l’on passe à la limite par rapport à b on a π π sin ax dx = , = 0, = − 2 x 2 e − bx
z z
selon que a est positif, nul ou négatif; on a alors les trois valeur de
F H
arc tang =
I K
F H
I K
1 1 0 , arc (tang=0), arc tang = − 0 . Si l’on eût passé à la limite
par rapport à b avant [una parola illeggibile] par rapport à a, c’est-à-dire si l’on eût multiplié l’eq.on ∫ cos axdx=0 par da, et qu’on eût intégrée directement par rapport à a, on auroit obtenue 1 sinax dx = c 0 x
z
ce qui est exact; mais on n’auroit pas pu déterminer la constante c, parce
z
1
que l’eq.on cosaxdx = 0 , d’où l’on est parti n’a pas lieu par a=0. Ces 0
details suffisent pour montrer qu’on sera dû parôitre toutes les difficultés, que les intégrales (1), et généralment les intégrales des quantités périodiques, peuvent presenter, en les considérant non pas isolement, mais comme les limites d’autres intégrales de quantités decroissantes. 71 En général, pour éviter de commetre des erreurs dans le calcul des intégral définies, il faut n’admettre que que les résultats qui seroient verifiables approximativement en nombres, et les expressions qui sont implicitement les limites de semblables résultats. C’est là un principe dont je crois qu’il est important de ne jamais s’écarter. Pour cette raison, j’aime beaucoup votre manière de parvenir directement à la valeur de sinax , en la decomposant en un nombre d’intègral pris l’intégral x dx dépuis x = 0 jusqu’à x =π : ce procédé est en effet l’imitation du calcul numerique qu’il faudroit faire pour obtenir les valeurs approchées de l’intégral entre les limites zéro et infini. 71. Questo passo è riportato da Frullani nella Memoria Sopra gli integrali definiti.
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La difficulté que présente l’intégrale cosaxdx , 1 + x2 1 prise aussi depuis x = 0, jusqu’à x = (pour laquelle on trouve duex 0 valeurs essentiellement différentes), exigeroit trop de développements pour être éclercie dans une simple lettre. Le 18e cahier du journal de l’école polytechnique, qui va paroitre avant la fin du mois, renferme un 3e mémoire de moi sur les intégrales definies où j’ai considéré ces deux valeurs et je crois que vous y trouverez l’explication complètte de ce paradoxe, je desirerois, Monsieur, vous offrir un des exemplaires de ce journal qui seroit à ma disposition, mais je manque d’occasion pour vous le faire passer. Je desirerois que vous m’indiquessez un moyen commode et sûr pour vous envoyer ce volume et pour la suite d’autre imprimés, si j’en avois que je crois pouvoir vous être agréables. Le calcul des intégrales définies est la clef des applications de l’analyse aux questions de Physique les plus importantes. Tous les efforts des géomètres doivent tendre à en éclaircir les difficultés, et à en étendre les resultats. Vous entrez dans un champ bien fecond, et vous serez bien recompensé de vos travaux en en faisant l’objet special de vos recherches. Je viens d’achever la rédaction d’un mémoire sur l’intégration des eq.s aux dér.ees partielles 72 par le moyen des intégrales définies. Je suis parvenue à une intégrale très simple de l’eq.on générale d’où dépendent les vibrations des fluides élastiques. M. Lacroix a inseré ce résultat dans le 3e volume de son grand [così nel testo] quantité qui s’évanouit également quand on fait b=0, je ne connais pas d’autre exemple de cas où l’on puisse obtenir la valeur de 1 ϕ (bx )cos axdx
z
ϕ0
z
mais je pens que si l’on eu trouvé d’autres par la suites, la valeur qu’on obtiendroit deviendroit toujours nulle pour b=0. Quand je dis que je ne
z
1
connais pas d’autres exemples, j’oublie l’intégrale e − bx cos axdx que j’avait 0
citée dans ma 1ere lettre, 73 et toutes celles qui se deduisent des intégrales
72. Mémoire sur l’intégration des équations linéaires aux différences partielles, in Journal de l’Ecole Polytechnique, quaderno 19. mo, 12 (1823), pp. 215-248. 73. Non conservata nel fondo.
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précédentes en les différentiant une ou plusieurs fois par rapport à a ou à b. Vous parvenez par un procédé particulier à ce résultat π a cos ax (e + e − a ); ( x = 0, x = ∞) 2 dx = 1+ x 4 la méthode qui vous y conduit peut souffrir quelque difficulté; mais le résultat n’est point inéxact, et je crois que les géomètres seront satisfait de l’interpretation que j’en donne dans mon 3.e mémoire sur les intégrales définies qui fait partie du 18.e cahier du journal de l’école polytechnique. Il est deja assez longtemps que l’impression de ce volume est achevée. Des feuilles qu’un des auteurs a fait changer ont empeché qu’il parût; on espère avoir des exemplaires dans le mois d’octobre, et j’aurai l’honneur de vous en faire parvenir un aussitôt qu’on m’en aura remis. La formule que vous me communiquez relativement à l’expression de l’anomalie vraie par moyen de l’anomalie moyenne est très intéressante. 74 Je crois qu’elle donne la solution la plus simple du problème de Kepler; mais je vous engage à voir si elle n’a pas quelque rapport avec un mémoire de Parseval, 75 imprimé dans le 1r volume des mémoires presentés à l’institut par des savans étrangers. Cette personne s’était proposé de resoudre les eq.ons transcendentes par des intégral définies, et il a considéré en particulier la formule de l’anomalie. Je n’ai pas actuellement son mémoire sous la main, pour parler de ce qu’il peut y avoir de commune entre ses essais et votre travail; mais je crois me rappeler que Parseval n’etoit pas parvenu à une formule aussi élégante que celle que vous m’avez communiquée. Je receverai avec bien du plaisir l’envoi
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74. La formula a cui si riferisce, e da Poisson attribuita a Frullani nel proprio articolo, p. 2 1 − e2 π cos n(u − e sin u) 384 è pn = du , dove u è l’anomalia eccentrica, v l’anomalia vera, x 0 nπ 1 − e cos u l’anomalia media di un pianeta, e l’eccentricità dell’orbita; lo sviluppo cercato diventa sin 2 x sin 3x v = 2 sin x − + − ecc. + p1 sin x + p2 sin 2 x +...+ p n sin nx + ecc. e quindi v–x = p1 sin x 2 3 +p2 sin 2x + ... + pn sin nx + ecc. Con lo stesso metodo si ottengono gli altri sviluppi cercati; tra questi sono citati da Poisson u – x = q1 sin x + q2 sin 2x + ... +qn sin nx + ecc., e2 e2 1 π 1 π (1 − e cos u)2 du = 1 + , r = 1 + − s1 sin x + s2 sin 2 x +...+ sn sin nx + ecc. Questa s= rdx = 2 2 π 0 π 0 e2 formula presenta una differenza con quella ottenuta da Poisson, in cui manca il termine ; questo 2 discende dall’ipotesi di sviluppabilità di 1 – r in serie senza un termine costante, giustificata da Laplace nella Mecanique celeste, 1823. 75. Marc Antoine Parseval (1755-1836); pubblicò sul primo volume della raccolta Savans étrangers, apparso nel 1806, cinque memorie su metodi generali per integrare le equazioni differenziali. Nel 1797 si era occupato del problema di Keplero in una Lettera.
z
FG H
z
IJ K
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que vous m’annoncez de deux de mémoires, et je vous prie d’en agréer davance tous mes remerciements. J’ai l’honneur d’être avec les sentiments de considération les plus distingués Monsieur, Votre divoué Serviteur Poisson P. S. Je suis bien sensible au souvenir de Monsieur de Fossombroni et je vous prie de lui faire agréer l’hommage de mon respect A Monsieur // G. Frullani professeur // à l’Université de Pise // à Florence 13. Denis Siméon Poisson a Giuliano Frullani [in Pisa]. Parigi, 1 marzo 1820. BMoF, O. F. ins. Poisson Paris, ce 1er mars 1820 Monsieur On vient enfin de me remettre plusieurs exemplaires du nouveau volume de l’école polytechnique; l’impression en était achevée depuis prés du 1er mars, mais une planche qu’on avait omis et d’autres détails l’ont empeché de paroitre plus tôt. Je joins à ce que je vous adresse, un mémoire de moi qui fait partie du volume de l’académie des sciences pour l’année 1818, actuellemet sous presse. En examinant le procédé qui vous a conduit au résultat cos ax. dx π x − x = (e + e ) 1 + x2 4 1 je crois que l’erreur vient du developpement de 2 suivant les puis1 x + sances de x2, qui est une série essentiellement divergente dans les limites de l’intégration. L’emploi des séries est dangereux, quand elles ne sont pas convergentes et non seulement les résultats auxquelles elles conduisent ne sont bien démontrés, mais le plus souvens ils sont inexacts, et j’en ai de mon côté beaucoup d’autres exemples. Lorsqu’on fait cos ax. dx y= 1 + x2 on en
z
z
2
∂ y 2 +y=0 ∂x
à cause de ∫ cos axdx = 0; mais comme cette valeur de ∫ cos axdx n’a pas
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Iolanda Nagliati
lieu pour a=0, on ne doit pas supposer davance que ce cas particulier soit compris dans la valeur y = Ae − a + A' e a résultante de l’intégration; et par consequant il ne serait pas rigoureuse ∂y qui correspondent à a=0, à la deterd’en prendre les valeurs d’y et ∂x mination des deux constantes arbitraires A et A′. Ainsi, la seule manière de determiner ces constantes qui soit excepte de difficultés est celle que j’ai employée à la page 340 du volume ci-joint, et l’on doit modifier à cet égard ce que j’avais dit à la page 224 de mon 1er mémoire. Je persiste toujours à regarder les valeurs de l’intégral ∫ cos axdx et de toutes celles qui en dérivent comme les limites d’autres intégrales plus générales et renferment une indeterminée b que l’on y fait décroitre indéfiniment. L’exception que semble faire l’exemple
z
(sin ax + ax cos ax )e
− bx sin ax
e − bx sin ax dx = − +c b
que vous me citez, tient à ce que l’exponentielle e − bx sin ax ne devient pas 1 l’unité à la limite 0 ; lorsque b est supposé infiniment petit ou nulle, en 1 sorte que la valeur de cette intégrale, n’a pas réelment lieu pour ce cas b particulier. Vous savez aussi qu’il y a un grand nombre d’intégrales définies qui ont lieu pour toutes les valeurs d’une quantité contenue sous la ligne ∫, excepte pour la valeur zéro, ou pour quelques autres valeurs particulieres. Ainsi par exemple on a entre les limites zéro et infini, π sin. bx x sin. bx π − bx dx = , = e , x 2 1 + x2 2 excepte pour b=0, valeur pour la quelle ces intégrales définies sont nulles quels que soient les limites [una parola illeggibile]. L’intégrale ∫(sin.ax + ax cos.ax)dx soit la limite de ϕ (bx) ∫ (sin.ax + ax cos.ax)dx, il faut donc que la valeur de cette seconde intégrale ait été trouvé pour un moyen qui n’exclut pas le cas de b=0, comme il arrive pour la détermination de la constante c dans votre exemple. J’ai l’honneur d’être avec les sentiments de considération les plus distingués Monsieur, Votre divué Serviteur Poisson
z
z
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Giuliano Frullani: la formula, gli integrali definiti e le serie
P. S. M. Cauchy a lu à l’académie un mémoir intéressant sur la manière de resoudre les eqons par le moyen des intégrales définies. D’après l’idée que j’ai pu prendre de son travail à cette simple lecture, je vois qu’il a pour ainsi dire renversé la méthode d’integration des fractions rationelles. En Pdx effet, pour intégrer la fraction il faut employer les racines de l’eqon Q Q = 0; reciproquement il suppose qu’on ait calculé les valeurs de l’inPdx tégrale entre les limites qu’il assigne, et au moyen de ces valeurs, Q il exprime les racines de l’eq.on Q = 0 ; à cette raison, il a reconnu, grâce à vous, que la formule que M. Parseval a donnée, est tout-à-fait insignifiante. Ayez la bonté, je vous prie, de presenter l’hommage de mon respect à Monsieur de Fossombroni
z
14. Giovanni Plana a Giuliano Frullani [in Firenze]. Torino, 17 febbraio 1821. BMoF, O. F. ins. Plana Torino 17 febbraio 1821 Stimatissimo Sig.r Professore Ho ricevuto la pregiatissima sua del 23. passato Gennajo, insieme all’Esemplare della sua Memoria che mi ha favorito. 76 La prego di aggradire i miei più sinceri ringraziamenti, e di essere persuaso, ch’io tengo in gran pregio le sue produzioni scientifiche. A suo tempo ho ricevuto l’altra sua Memoria intitolata Ricerche sopra le serie etc, e gliene rendo qui le dovute grazie. Mi riesce grato il desiderio ch’Ella dimostra di entrare in corrispondenza con me. Sebbene io sappia, che dal canto mio non potrà trarre che pochissimo o nessun profitto, non voglio privare me stesso di quello che potrò ricevere da Lei; ond’è ch’io non esiterò ad animarla, perché non cessi di compartirmi quest’onore, al quale mi ingegnerò di corrispondere come meglio il saprò. La sua lettera mi ha fatto pensare sopra quel metodo, che il Sig.r Poisson ha esposto alla pagina 340 dell’11.mo fascicolo del Giornale della Scuola Politecnica; ma debbo confessarle, che quel modo di determinare la costante A non vale ad appagare chi volesse una completa evidenza del 2 risultato particolare di cui si tratta. Dire che a 2 b + c −1 + x 2 si riduce ad x2 quando a diventa infinitamente piccolo, non è cosa vera nel senso
d
i
76. Presumibilmente si tratta di Sopra la dipendenza fra i differenziali delle funzioni e gli integrali definiti, cit.
90
Iolanda Nagliati
assoluto stante la presenza dell’immaginario, e per vedere come sia vero l’ultimo risultato, conviene fare una serie di tacite riflessioni sopra il meccanismo delle operazioni del calcolo, che col fatto rendono scabrosa x questa dimostrazione. Si potrebbe opporre inoltre, che il mutare in a x significa, che si fa ax = z; ed in questo caso, ad x = 0 corrisponde bensì z = 0; ma ad x = ∞ corrisponde un valore di z che non si crede chiaramente dover essere infinito nel caso attuale in cui a è infinitamente piccolo, poiché supposto z quantità finita rimane infinito il valore di x, z ossia a . Intendo, che a queste objezioni si può dare conveniente risposta; ma questa non è ovvia, e diventa il soggetto di una dimostrazione altrettanto difficile quanto la cercata. Queste considerazioni mi hanno indotto a cercare una dimostrazione diretta di questo risultato, e mi prendo la libertà di communicargliela qui, ed ella saprà dirmi se merita o no’ di essere tenuta in qualche conto. dx cos ax Sia y = l’integrale da prendersi entro i limiti x = 0, ( b + c −1 ) 2 + x 2 x = ∞: Svolgendo il quadrato, e moltiplicando numeratore e denominatore per x 2 + b2 − c 2 − 2bc −1, egli è evidente, che si ha dx cos ax y = (b 2 − c 2 − 2bc −1) 4 + 2 2 x + 2 x (b − c 2 ) + (b 2 + c 2 ) 2
z
z
x 2dx cos ax x 4 + 2x 2 (b2 − c 2 ) + (b2 + c 2 )2 Ora, posto b = ncos Θ, c = nsin Θ ne risulta +
z
dx cos ax x 2dx cos ax + x 4 + 2n 2 x 2 cos 2Θ + n 4 x 4 + 2n 2 x 2 cos 2Θ + n 4 Ho dimostrato in quella mia memoria sopra gli integrali definiti, che questi due Integrali di Legendre si potevano trovare senza passare dal reale all’immaginario; dunque coll’applicazione di quelle formole si avrà: y = n 2e −2θ
y=
πe −2Θ
−1
z
z
− 1 − an cos Θ
e 2n sin 2Θ
sin(Θ + an sin Θ) +
πe − an cos Θ sin(Θ − an sin Θ). 2n sin 2Θ
Sostituendo ai seni le formole esponenziali si trova, dopo la riduzione y=
π
2
− a b+c e d
−1
e
− e −3Θ −1 2n −1 sin 2Θ
Θ i e
−1
j
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Giuliano Frullani: la formula, gli integrali definiti e le serie Questo valore di y dà: π − a b+ c y= e d 2
−1
ossia: π
y = e − a(b+c 2
−1 )
RS −1 U T sin −1 sinΘ cos 3Θ VW RS cos Θ − cos Θ + −1(sinΘ − sin Θ) UV n −1 sin Θ cos 3Θ T W
i cos Θ − cos 3Θ + (sin Θ + sin 3Θ)
π
y = e − a(b+ c 2
d
3
3
id
−1 )
(c + b −1) −1(b2 + c 2 )
i
Ma (b2 + c 2 ) −1 = b + c −1 c + b −1 , dunque si ha finalmente π
− a b+c e d
−1
i
2 y= b + c −1 A questa dimostrazione si farà il rimprovero di essere troppo lunga; ma in questo punto non trovo nulla di meglio. Ad ogni modo, a me basta l’avere dimostrato con ciò il desiderio che ho di trattenermi con Lei sopra questa materia. Ora sono tutto occupato nella teoria della Luna, 77 e poco tempo mi rimane per pensare sopra altri argomenti. Aggradisca la piccola memoria che le mando, per la Posta, la quale contiene un’idea del lavoro fatto dal Sig.r Carlini e da me. Ho l’onore di professarmi coi sentimenti della più alta stima Suo Dev.mo Servitore Giovanni Plana 15. Giovanni Plana a Giuliano Frullani, in Firenze. Torino, 20 giugno 1821. BMoF, O. F. ins. Plana Torino 20 Giugno 1821 Stimatissimo Sig.e, ed Amico Preg.mo Ho ricevuto la pregiatissima sua dell’8 Maggio e ho letto con piacere ed istruzione le cose d’analisi in essa contenute. È mia intenzione di studiarle in altro tempo; ma intanto non voglio differire per comunicarle le seguenti idee, onde rispondere almeno in parte alla sua lettera.
77. Plana e Carlini effettuarono varie misurazioni astronomiche, di cui si parla in altri passi del carteggio, e pubblicò numerose memorie sui risultati ottenuti; l’elenco delle opere di Plana si trova in Caparrini, cit. pp. 181-207.
92 Iolanda Nagliati Di buon grado convengo con Lei, che non tutte le dimostrazioni fino π dx ad ora pubblicate dell’integrale sin nx = , x = 0; x = ∞ possano x 2 aversi per esatte. Chi riflette al pari di Lei sulla natura intrinseca delle dimostrazioni ha ben motivo di non essere pienamente contento. Ond’io penso per esempio che non gli anderà a genio, quella data alla pag. 360 del 1o Volume di Legendre (Exercises de C. I. 78) La dimostrazione da Lei ideata mette certamente questo punto in più chiara luce, e forse io mi inganno credendo che ancora vi manchi qualche cosa per far tacere, direi così, ogni cavillazione. Pare a me, che il dividere l’intervallo dei limiti nelle parti (0, π), (π, 2π), (2π, 3π), ... sia cosa non affatto consentanea colla legge di continuità, stante che, per tal modo, il secondo limite dell’integrale, cioè l’infinito, viene a essere necessariamente espresso per un multiplo intero del numero π. Si potrebbe pertanto opporre che cessa il rigore del raziocinio, quando si accresca questo infinito di una quantità minore di π. Del qual fatto se ne ha un esempio molto semplice nell’integrale ∫ dxcosnx x = 0, x = ∞, il quale è evidentemente espresso per sin nx , quando l’integrale incomincia con x=0. Così che si ha dx cos nx = n π 2π 3π π π ∫ dxcosnx = 0, per tutti i valori x = , , ,... ∞ . Ma, fatto x = ∞ ne n n n n n sin nx sin nx cos ∞π , ossia: dx cos nx = ± risulta dx cos nx = . n n Ella vede, a prima giunta, quale e quanta sia la indeterminazione che qui si presenta. Tuttavia, si assume comunemente ∫ dx cos nx = 0 entro i dati limiti, senza far parola di queste difficoltà. E questo silenzio si può concedere, se si osserva, che nella applicazione di questa formola non v’ha condizione che impedisca di fingere il limite ∞ espresso in quella maniera che dà appunto ∫ dx cos nx = 0. Ciò premesso le dirò qui in qual maniera io mi era una volta dissipate queste nubi dalla mente. Non mi pare possibile di conseguire nitidamente la verità delle due dx equazioni ∫ dx cos nx = 0; sin nx = 0 ; x = 0, x = ∞ senza collocare x questi oggetti in maggior distanza, e considerarli siccome limiti delle dx formole P = ∫xb–1dx cos nx; Q = x a sin nx facendo variare la quantità x b–1, ed a, in modo che diventino sempre più prossime al zero. Ella mi
z
z
z
z
z
z
78. Si tratta degli Exercises de calcul intégral sur divers ordres de trascendent, Paris, Courcier, 181117, 3 voll.
Giuliano Frullani: la formula, gli integrali definiti e le serie
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accorderà la possibilità di dimostrare chiaramente che nei dati limiti si ha 1 cos bπ 1 2 P= dx Log x b
I K
b −1
1 sin aπ 1 2 Q= dx Log a x n
I K
a −1
F H
z z
F H
, x = 0, x = 1
, x = 0, x = 1
Ora osservo che nel caso di a, b-1 piccolissime frazioni si può, fatto c=0, ... prendere
z
F H
RSπ T1 z dxFH Log 1x IK = a1 − c + RSTπ1
dx Log
1 x
I K
b −1
= 1 + c (1 − b) +
2
2
a −1
2
UV W 1 U + c Va 2 W
1 + c 2 (1 − b) 2 2 2
2
giusto quanto si legge alla pag. 289 del 1o Volume di Legendre (Exercises de C. I. ). Si ha adunque 1 cos bπ π2 1 2 2 P= ⋅ (1 + c (1 − b) + 2 + c (1 − b) 2 ) 1 2 n
RS T 1 sin aπ R 1 Fπ 2 = S −c+G Q= n Ta H 1 a
2
2
UV W 1 I U + c J aV 2 K W 2
Queste formule fanno vedere di qual natura sia la funzione di b, che rappresenta P, e di qual natura sia la funzione di a, che rappresenta Q nel caso di a e b–1 piccole frazioni. Presentemente, se noi vogliamo supporre unico il valore di ∫ dx cos nx dobbiamo supporlo tale, che sia vicinisimo a quello di ∫ xb–1 dx cos nx, quando b–1 diventa quantità piccolissima; Dunque questo unico valore sarà quello che riceve la funzione di b indicata con P, quando vi si fa b=1; lo stesso raziocinio dimostra che l’unico valore dx sin nx deve essere quello che riceve la funzione Q di a quando a=0. di x Senza premettere quest’unità di valore, e senza accordare, che nei dati
z
casi sarà realmente concesso di sostituire agli integrali ∫ dx cos nx,
94 Iolanda Nagliati dx sin nx gli integrali P, Q siccome valori indefinitamente approssimax ti, non saprei ridurre a perfetta chiarezza l’esistenza dei due risultati: π dx sin nx = ∫ dx cos nx=0, x 2 Ella vedrà inoltre, che il valore di Q dà
z
z
z
RS T
FG H
IJ UV KW
ndx 1 1 π2 1 2 ( nx ) sin nx = sin aπ − c + 2 + c a nx 2 a 2 1 a
e che per conseguenza questo valore è indipendente dalla costante n. In un’altra mia le parlerò degli altri interessanti risultati contenuti nella sua lettera. Prima di fare questo voglio esortarla ad attendere alla salute, moderando lo studio, perché procederà probabilmente da questa causa il mal d’occhi che ha avuto, e del quale ho piacere di saperla ora liberato. Se io stesso avessi ascoltato questo consiglio non sarei soggetto ai mali di nervi che mi cagionano sovente intensi dolori di capo. Non so se vi sia genere di vita più capace di far provare tutti quanti i mali descritti nel Libro Morbus litteratorum, che quello dell’Analista e del geometra. Mi creda sempre colla più alta stima Suo Dev.mo Servo ed Amico G. Plana 16. Giovanni Plana a Giuliano Frullani, in Firenze. Torino, 29 luglio 1821. BMoF, O. F. ins. Plana Stimatissimo Sig.e ed Amico Preg. mo, A suo tempo mi è stata recapitata la sua del 27 Giugno, nella quale ho letto con piacere le sue riflessioni sopra i due integrali ∫ dx sin nx, ∫ dx cos ax presi nei limiti x = 0, x = ∞. Queste sue ricerche, e le altre da lei fatte sopra gli integrali definiti somministrano la materia di una assai interessante Memoria, 79 degna di essere pubblicata. Ed ove voglia pubblicarla negli Atti dell’Accademia di Torino, non vi sarà la minima difficoltà; anzi, Ella farà cosa grata a quest’Accademia, dando con questo suo Componimento un maggior merito al Volume si cui sarà stampato. Basterà, ch’Ella faccia pervenire il suo Manoscritto al Segretario, Sig.r Vassali-Landi, con una breve lettera per manifestare la sua intenzione. E come sarà decisa la stampa della sua Memoria, assumerò volentieri io stesso l’incarico di rivedere i fogli di stampa perché riesca corretta. Per il restante di quest’anno, mi mancherà il tempo di occuparmi di 79. Si tratta presumibilmente di uno dei due articoli poi pubblicati nelle Memorie della Società Italiana che furono oggetto del carteggio con Ruffini.
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cose di pura analisi, dovendo viaggiare nelle montagne della Savoja. Dai due rispettivi Governi è stata data a Carlini ed a me l’incombenza di eseguire le operazioni astronomiche che debbono accompagnare le operazioni Geodetiche atte a somministrare una compiuta triangolazione della parte dell’Alpi che si estende, lungo il parallelo, da Torino a Chambery. Abbiamo intenzione di approfittare di quest’occasione per misurare, sopra questi monti, la lunghezza del pendolo che batte il secondo, e di fare le opportune osservazioni, per esplorare il quantum dell’effetto proveniente dall’attrazione di questa massa. L’esperienza dovrebbe riuscire più decisiva di quella fatta, anni sono, nelle montagne della Scozia, da Maskeline. Io nutro inoltre la speranza di trovare, da questa vita un poco strapazzata, il vantaggio di migliorare la mia salute, liberandomi, almeno in parte, dai mali di nervi. La prego di aggradire un Esemplare di una mia Nota recentemente stampata, che le inoltro col mezzo della Posta. Desidero sinceramente che Ella trovi in questo piccolo Scritto alcuna cosa degna della sua approvazione. Io penso, al pari di Lei, che nel purissimo senso analitico, ed astrazione fatta da ogni applicazione, debbano aversi per quantità indeterminate i due integrali
z
z
∞
0
z
∞
dx cos ax, dx sin ax . Ella è cosa inconcessa che 0
z
sin ax cos ax 1 dx cos ax = + , quando si suppone nullo , dx sin ax = − a a a l’integrale nel primo limite x =0. Ora, chi dice: fate x = ∞, non fissa in verun modo i valori di ax, cos ax, e per conseguenza il carattere dell’indeterminazione è [una parola illeggibile] a questi due integrali così considerati. Resta adunque da cercare, ∞ ∞ 1 se i risultati ottenuti assumendo dx cos ax = 0, dx sin ax = , siano o 0 0 a no quali sono d’ordinario conosciuti. Ora, io non saprei individuarne uno, ove vi sia del falso, perché in quei casi la surrogazione di ∫e–bxcos axdx, ∫e–bxsin axdx, era forse più necessaria di quello che si crede. Per altra parte, per siffatti casi, parmi che vi sia qualche cosa di inesatto nel modo di considerare i limiti di una funzione. Per esempio, egli è chiaro che cos ax è il limite di e–bx nella evanescenza della costante b ; ma non è cosa chiara, chiarissima (siccome anch’io lo credeva altra volta) che si debba assumere ∫ dx cos ax per limite di ∫ e–bx cos ax. Mi manca il tempo per estendermi maggiormente sopra questa materia. Finisco pertanto coi soliti immutabili sentimenti di verace stima ed amicizia Suo Dev.mo servo ed Amico G. Plana Al Chiarissimo Signore // Il Sig.r Prof.e G. Frullani // Firenze
z
z
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Iolanda Nagliati
17. Giovanni Plana a Giuliano Frullani, in Firenze. Torino, 23 gennaio 1822. BMoF, O. F. ins. Plana Torino 23 Gennajo 1822 Preg.mo Sig.e ed Amico Stimatissimo Con singolar piacere ho ricevuto la sua del 15 cor.e. Godo di sapere convalidata la sua salute mediante l’uso dei Bagni. Prudentemente la esorto a conservarla, non facendo eccessi ne’ suoi studj. Chi, da giovane, ha la fortuna di mordere in queste scienze e di gustarle, vi si abbandona d’ordinario con una passione smoderata. Ma ragion vuole di pensare un poco all’economia delle nostre forze morali, onde ne sia maggiore il prodotto allungando il tempo. Il viaggio scientifico che ho fatto nelle montagne della Savoja in compagnia del mio Amico Sig.e Carlini mi è stato pure di sommo giovamento per la salute, e penso di non ridurmi più sotto la maligna influenza delle affezioni nervose. Ella mi pose in grave imbarazzo, proponendomi di darmi quella pubblica testimonianza della sua stima. Non è che io non gli sia gratissimo di questa sua intenzione; ma parmi di valere tanto poco, da non meritare siffatto onore. Ma, siccome l’amicizia può bastare per voler dare un simile contrassegno, la prego di scrivermi le sue belle lettere siccome ad un amico che coltiva la medesima scienza, senza darmi veruna lode. In questo senso nessuno potrà biasimar Lei di aver voluto indirizzare a me anzi che ad altri le sue ricerche: E io son contento di accrescere così ad un tempo l’amicizia e la stima che le professo. Ora sono occupato in lavori relativi alle osservazioni fatte sulle montagne, ed alle estremità dell’arco misurato nel 1767 dal P. Beccaria. Ella vedrà che in questa parte d’Italia la figura della Terra non può adattarsi 1 a quell’Ellissoide che ha di schiacciamento. Vi sono perfino 20" di 310 deviazione fra la linea reale che segue lo zenit e quella fittizia dell’Ellissoide. Non è adunque meraviglia se le latitudini astronomiche sono in molti casi diverse, di più secondi, da quelle latitudini geodetiche fondate sulla misura dei triangoli, e calcolate nell’ipotesi dell’Ellissoide. Mi creda sempre pieno della più perfetta stima e verace amicizia Suo Dev.mo Servo ed Amico G. Plana Al Chiarissimo Signore // Al Sig. Giuliano Frullani // Firenze
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18. Giovanni Plana a Giuliano Frullani, in Firenze. Torino, 31 ottobre 1822. BMoF, O. F. ins. Plana Torino, 31 8bre 1822 Stimatissimo Sig.e, Valendomi della bontà sua verso di me, mi faccio lecito di raccomandarle il Sig.r Barone Maurice, che avrà l’onore di presentarle questa mia lettera. Egli è un distintissimo Coltivatore delle Matematiche, già da gran tempo, Membro dell’Istituto di Francia; ond’è che io mi persuado di farle cosa grata col farglielo conoscere nell’occasione che passa per Firenze. Crederei inutili più parole a questo riguardo. Sono pochi giorni, che sono d’intorno alla spedizione in Savoja per l’oggetto della triangolazione. Carlini è ancora qui, e siamo occupatissimi nell’esecuzione dei calcoli atti a ridurre le osservazioni: sarà cosa lunga. In breve però riprenderò lo studio dell’analisi. Come avrà ozio, la prego di darmi delle sue notizie, e di credermi sempre Suo Dev.mo Servo e Amico G. Plana Al Chiarissimo Signore // Il Sig. Professore Giuliano Frullani // Firenze 19. Giovanni Plana a Giuliano Frullani, in Firenze. Torino, 10 aprile 1827. BMoF, O. F. ins. Plana Torino, li’ 10 Aprile 1827 Preg. mo Sig.e ed Amico Ho ricevuto l’onoratissimo di Lei foglio, in data del 5. passato febbrajo, insieme col Diploma che mi qualifica Socio Corrispondente della Società di Geografia, Statistica e Storia naturale recentemente stabilita in Toscana. È questo un segnalato onore per me, e ben vorrei poterlo assumere degnamente, facendo qualche lavoro che potesse riuscire gradito alla Società. Ma non so quando mi sarà concesso di aggiungere qualche cosa a quel poco che ho fatto in questo genere, all’occasione della triangolazione eseguita in Savoja ed in Piemonte. Intanto abbia Ella la bontà di esprimere alla Società i sensi della mia gratitudine per l’onore compartitomi. Riceverò molto volentieri la Memoria sopra la Dottrina delle trascendenti ch’Ella mi scrive di avere in pronto. Sono persuaso che questo suo lavoro sarà utile al progresso dell’Analisi, e sarà per me un gradito ed onorevole incarico quello di offrirlo a questa Accademia delle Scienze. E non dubito punto che sarà approvato per la Stampa.
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Iolanda Nagliati
Mi creda sempre pieno di quell’alta stima che da gran tempo le professo sinceramente Suo Dev.mo Servitore ed Amico Giovanni Plana Al Chiarissimo Signore // Il Sig.r Cav.e Frullani // Segretario della Società di Geografia // e Statistica, etc etc // Firenze Augustin Louis Cauchy a Guglielmo Libri, in Firenze. Parigi, 21 luglio 1829. BMoF, P. L. ins. 431. 76 Monsieur, J’ai reçu les intéressantes mémoires 80 que vous avez eu la bonté de m’envoyer. Je serai charmé de les lire, et je vous prie d’agréer à ce sujet tous mes remerciements. J’ai regretté que les personnes qui s’étaient chargées de vous transmettre de ma part les exercises des mathématiques 81 ne vous aient fait parvenir que les 17 premiers numéros, et pour réparer ce retard je viens de faire adresser à M. Freddoni 82 les numéros suivants jusqu’au 39e, avec quelques mémoires imprimés separément. Je désire qu’ils vous paroissent dignes de quelque intêret. Les formules que renferme la 39e livraison sont nouveau, et qui sont relatives aux torsions des verges electriques rectangulières 83 viennent d’être confirmée tout recemment par les experiments d’un de plus celèbres physicien. Les nombres trouvé par la théorie et par l’observation s’accordent avec une précision extraordinaire. Je saisis avec empressement cette occasion pour vous prier d’agréer le nouvel hommage de ma consideration distinguée A. C. Cauchy Paris ce 21 juillet 1829 A Monsieur // Monsieur Guillaume Libri // A Florence
80. Potrebbe trattarsi della raccolta Mémoires de mathématiques et de physiques, Pisa, Prosperi, 1827, la cui seconda edizione è del 1829. 81. Cauchy pubblicò personalmente tra il 1826 e il 1830 gli Exercises des mathématiques, raccogliendo in questi fascicoli i risultati trovati. 82. Così trascritto da Belhoste in Augustin-Louis Cauchy: a biography, cit., p. 324, ma si tratta invece presumibilmente di Frullani. 83. Il riferimento è presumibilmente all’articolo Sur la torsion et les vibrations tournantes d’une verge rectangulaire, nel n. 39 degli Exercises.
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Appendice 2 Opere a stampa di Giuliano Frullani 1. Ricerche sopra le serie e sopra l’integrazione delle equazioni a differenze parziali, Firenze, Malgheri da Badia, 1816, p. 168. 2. Sopra la dipendenza fra i differenziali delle funzioni e gli integrali definiti, «Memorie di Matematica e Fisica della Società Italiana» XVIII, pt. II, 1820, pp. 448-517 dϕ 3. Sopra la integrazione della formola tra i limiti 0 e 2 2 ( 1 2 cos ) qx q x ϕ + + 1 0 e tra i limiti 0 e 1, «Memorie di Matematica e Fisica della Società Italiana» XIX, pt. matematica, fasc. I, 1821. 4. Sopra una nuova maniera per rappresentare le coordinate dei pianeti nel movimento ellittico, «Antologia», v. X, pp. A164-172, Firenze, 1823 5. Sopra gli integrali definiti, «Memorie di Matematica e Fisica della Società Italiana» XX, pt. matematica, fasc. II, 1828, pp. 448-467 6. Sopra l’uso di alcune serie nella determinazione degli integrali definiti, «Memorie di Matematica e Fisica della Società Italiana» XX, pt. matematica, fasc. II, 1828, pp. 663-711 7. Sopra la riduzione di alcune trascendenti, «Memorie di Matematica e Fisica della Società Italiana» XX, pt. matematica, fasc. II, 1828, pp. 712734. 8. Sopra alcune formole integrali, «Memorie dell’Istituto di Milano» II, 1832, pp. 257-272.
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Appendice 3 Prospetto del carteggio di Giuliano Frullani Sigle utilizzate: BMoF = Biblioteca Moreniana, Firenze, carte Ombrosi-Frullani ASA = Archivio di Stato di Arezzo, Archivio Fossombroni 84 BNCF = Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze Lettere a G. Frullani MITTENTE Brunacci Vincenzo Carlini Francesco Lacroix S. François Franchini Pietro Franchini Pietro Franchini Pietro Franchini Pietro Franchini Pietro Franchini Pietro Franchini Pietro Franchini Pietro Franchini Pietro Franchini Pietro Franchini Pietro Franchini Pietro Franchini Pietro Franchini Pietro Giorgini Gaetano Libri Guglielmo Libri Guglielmo Libri Guglielmo Libri Guglielmo Libri Guglielmo Libri Guglielmo Libri Guglielmo Plana Giovanni Plana Giovanni Plana Giovanni Plana Giovanni Plana Giovanni Plana Giovanni Poisson Siméon Denis
LUOGO Pavia Milano Parigi Lucca Lucca Lucca Lucca Lucca Lucca Lucca Lucca Lucca Lucca Lucca Lucca Lucca Lucca Lucca Pisa Pisa Pisa Pisa Pisa Pisa Pisa Torino Torino Torino Torino Torino Torino Parigi
DATA COLLOCAZIONE 9 maggio 1817 BMoF O. F., ins. Brunacci 20 agosto 1823 BMoF O. F., ins. Carlini 8 luglio 1817 BMoF O. F., ins. Lacroix 18 marzo 1825 BMoF O. F. ins. Franchini 18 ottobre 1824 BMoF O. F. ins. Franchini 3 marzo 1818 BMoF O. F. ins. Franchini 1 febbraio 1821 BMoF O. F. ins. Franchini 27 giugno 1822 BMoF O. F. ins. Franchini 3 gennaio 1818 BMoF O. F. ins. Franchini 15 gennaio 1818 BMoF O. F. ins. Franchini 20 ottobre 1824 BMoF O. F. ins. Franchini 16 gennaio 1817 BMoF O. F. ins. Franchini 24 marzo 1817 BMoF O. F. ins. Franchini 16 maggio 1817 BMoF O. F. ins. Franchini 5 febbraio 1817 BMoF O. F. ins. Franchini 23 maggio 1817 BMoF O. F. ins. Franchini 9 marzo 1817 BMoF O. F. ins. Franchini 30 settembre 1832 BNCF C. V. 445, 43 14 gennaio 1820 BMoF O. F., ins. Libri 21 novembre 1823 BMoF O. F., ins. Libri 19 febbraio 1824 BMoF O. F., ins. Libri 31 marzo 1824 BMoF O. F., ins. Libri 28 aprile 1824 BMoF O. F., ins. Libri 7 maggio 1824 BMoF O. F., ins. Libri aprile 1820 BMoF O. F., ins. Libri 17 febbraio 1821 BMoF O. F., ins. Plana 20 giugno 1821 BMoF O. F., ins. Plana 29 luglio 1821 BMoF O. F., ins. Plana 23 gennaio 1822 BMoF O. F., ins. Plana 31 ottobre 1822 BMoF O. F., ins. Plana 10 aprile 1827 BMoF O. F., ins. Plana 21 giugno 1817 BMoF O. F., ins. Poisson
84. L’Archivio Fossombroni è descritto nell’Appendice di S. Camerani al volume Vittorio Fossombroni nel primo centenario della morte, Accademia Petrarca, Arezzo, 1947, pp. 105-120.
Giuliano Frullani: la formula, gli integrali definiti e le serie Poisson Siméon Denis Poisson Siméon Denis Poletti Geminiano Santini Giovanni Santini Giovanni Santini Giovanni Santini Giovanni Santini Giovanni Santini Giovanni Santini Giovanni Santini Giovanni Santini Giovanni Santini Giovanni
Parigi Parigi Modena Padova Padova Padova Padova Padova Padova Padova Padova Padova Padova
101 101
29 settembre 1819 BMoF O. F., ins. Poisson 1 marzo 1820 BMoF O. F., ins. Poisson 23 luglio 1824 BMoF O. F., ins. Poletti 15 agosto 1817 BMoF O. F., ins. Santini 25 agosto 1820 BMoF O. F., ins. Santini 26 gennaio 1822 BMoF O. F., ins. Santini 13 marzo 1827 BMoF O. F., ins. Santini 26 marzo 1827 BMoF O. F., ins. Santini 22 agosto 1832 BMoF O. F., ins. Santini 12 settembre 1832 BMoF O. F., ins. Santini 24 novembre 1832 BMoF O. F., ins. Santini 4 dicembre 1832 BMoF O. F., ins. Santini s. d. (15 aprile 1834) BMoF O. F., ins. Santini
Lettere di G. Frullani DESTINATARIO Capponi Gino Fossombroni Vittorio Fossombroni Vittorio Fossombroni Vittorio Fossombroni Vittorio Fossombroni Vittorio Fossombroni Vittorio Fossombroni Vittorio Fossombroni Vittorio Fossombroni Vittorio Fossombroni Vittorio Fossombroni Vittorio Fossombroni Vittorio Fossombroni Vittorio Fossombroni Vittorio Fossombroni Vittorio Libri Guglielmo Libri Guglielmo Viesseux Gian Pietro Viesseux Gian Pietro Viesseux Gian Pietro Viesseux Gian Pietro Viesseux Gian Pietro Viesseux Gian Pietro Viesseux Gian Pietro
LUOGO DATA s. l. [1822] ill. 8. 9. s. a. s. l. 28. 7. s. a. s. Salvi? 9. 5. s. a. s. l. 26. 7. s. a. di casa s. d. Firenze 31. 8. s. a. Firenze 31. 12. 1803 segret. 28. 11. 1823 di finanze Firenze 20. 12. 1823 s. l. 1. ?. 1824 di casa 30. 6. 1825 Firenze 25. 9. 1827 Firenze 9. 12. 1828 s. l. 6. 12. 1828 s. l. 26. 12. 1828 Firenze s. d. Firenze s. d. Firenze 11. 9. 1826 Firenze 29. 9. 1826 Firenze 29. 9. 1826 Firenze 2. 10. 1826 Firenze 9. 12. 1826 Firenze s. d. - 1826 [Firenze] 8. 2. s. a.
COLLOCAZIONE BNCF Capponi, VII, 16 ASA Foss. f. 4 ASA Foss. f. 4 ASA Foss. f. 4 ASA Foss. f. 4 ASA Foss. f. 4 ASA Foss. f. 4 ASA Foss. f. 4 ASA Foss. f. 4 ASA Foss. f. 4 ASA Foss. f. 4 ASA Foss. f. 4 ASA Foss. f. 4 ASA Foss. f. 4 ASA Foss. f. 4 ASA Foss. f. 4 BMoF Palagi-Libri 431. 129 BMoF Palagi-Libri 431. 129 BNCF Viesseux 37, 72 BNCF Viesseux 37, 73 BNCF Viesseux 37, 74 BNCF Viesseux 37, 75 BNCF Viesseux 37, 76 BNCF Viesseux 37, 77 BNCF Viesseux 37, 78
102
Iolanda Nagliati
Appendice 4 I programmi d’insegnamento di Giuliano Frullani Dai documenti riguardanti gli anni universitari di Guglielmo Libri 85 si possono trarre alcune indicazioni sugli argomenti trattati da Frullani nei suoi corsi che qui di seguito riportiamo. Temi per il 1o esame delle scienze fisiche e matematiche (1818) Temi d’esame di matematica 1. Qual è l’equazione della linea retta sopra un piano e che consequenze si possono dedurre generalmente dalla combinazione di più equazioni di linee rette. 2. Indicare le trasformazioni generali delle coordinate relativamente al cangiamento d’origine ed alla direzione degli assi. 3. Indicare la trasmutazione delle coordinate nella trasformazione generale dell’equazione della linea del secondo ordine, quindi dedurre i criteri delle diverse specie delle curve di quest’ordine. 4. Trarre le relazioni che passano fra tutte le linee trigonometriche, ed indicare come ciascuna si può esprimere per una qualunque di esse. 5. Assegnare le formule trigonometriche per la risoluzione di tutti i casi dei triangoli rettilinei. 6. In quanti casi due triangoli possono essere eguali o simili, e che proprietà hanno essi nell’ipotesi di somiglianza; e dedurre da questi principi i principali Teoremi della geometria Piana. 7. Risoluzione della generale equazione di secondo grado ed esaminare la diversa indole delle radici. 8. Teoria dell’eliminazione delle incognite tra l’equazioni di primo grado. 9. Sviluppare un binomio elevato a una potenza intera e positiva ed assegnarne il termine generale. 10. Dimostrare la formula del binomio nel caso dell’esponente fratto, ed applicarla all’estrazione delle radici. 11. Ricerca del massimo comun divisore di due termini d’una frazione. 12. Dare un’idea delle figure isoperimetre, de’ massimi e de’ minimi
85. Biblioteca Moreniana, Firenze; Nuovo Fondo Libri, Scatola 6, ins. 20, cc. 45. Una breve descrizione del fondo si trova in S. Giuntini, Le carte Libri conservate alla Biblioteca Moreniana di Firenze, Atti del convegno Pietro Riccardi (1828-1898) e la storiografia delle matematiche in Italia, Modena, 1987, p. 239-253.
Giuliano Frullani: la formula, gli integrali definiti e le serie
103 103
relativi alla medesima e dedurre i principali teoremi elementari. 13. Qual è la maniera di misurare la superficie dei fusi sferici, dei triangoli, e dei poligoni sferici. Teorema relativo al numero degli angoli solidi e degli spigoli d’un poliedro qualunque e delle sue faccie; Teorema relativo alla somma degli angoli piani che formano gli angoli solidi d’un poliedro. 14. Come si misura la superficie del circolo? Come si trova il rapporto prossimo della circonferenza al diametro? 15. Metodo per misurare la superficie della sfera o d’una zona sferica qualunque. 16. Metodo per misurare la solidità della sfera, o d’un settore sferico. Teoremi relativi alla superficie ed alla solidità della sfera e del cillindro Circonscritto. Temi del 2do esame di Matematica pell’Anno 1819 1. Calcolo delle differenze finite. 2. Applicazioni del calcolo delle differenze finite alla somma delle serie. 3. Principi del calcolo differenziale e differenziazione delle funzioni d’una sola variabile. 4. Differenziali delle funzioni di più variabili. 5. Applicazioni del calcolo differenziale allo sviluppo delle funzioni in serie. 6. Applicazioni del calcolo differenziale alla teoria delle curve. 7. Applicazioni del calcolo differenziale ai massimi e minimi. 8. Applicazioni del calcolo differenziale alla risoluzione delle frazioni. 9. Integrazione delle formule differenziali d’una sola variabile. 10. Teoria generale dell’integrazione dell’equazioni differenziali. 11. Criteri d’integrabilità dell’equazioni differenziali. 12. Integrazione dell’equazioni differenziali a due variabili del primo ordine. 13. Integrazione dell’equazioni differenziali a due variabili del secondo ordine. 14. Soluzioni particolari. 15. Equazioni che non soddisfanno ai criteri d’integrabilità. Pervenuto in redazione il 27 maggio 2002.
The Delayed Emergence of Regularization Theory
105
Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche Vol. XXIII · (2003) · fasc. 1
The Delayed Emergence of Regularization Theory Charles W. Groetsch*
1. Introduction The first decade of the last century saw the publication of a number of fundamental papers on the theory of integral equations. These papers were motivated by problems in mathematical physics and they formed the foundation of a new field of functional analysis – the theory of linear operators on Hilbert space. The impetus for this work was mainly existential: a desire to prove general existence theorems for certain problems of mathematical physics, notably the Dirichlet problem for Laplace’s equation of potential theory. The path to these theoretical results in infinite dimensional Hilbert space was taken by passing to the limit from the finite realm, yet ironically for Fredholm integral equations of the first kind, the reverse steps back through the finite domain to affect practical numerical solutions were taken slowly, uncertainly, and not without some stumbling. Mathematics does not necessarily develop chronologically in a strictly logical fashion. Instead the development of mathematics is sometimes influenced by historical and cultural forces. We give a specific instance of this in the present paper. Thousands of papers and dozens of books on the theory of regularization for ill-posed inverse problems have been published in recent decades. The origins of the theory is normally traced to a publication by A.N. Tikhonov [26] in 1963. We show that the basics of the theory could have been easily developed from the work of Picard that appeared a half century earlier and we suggest that the reason for the delayed development of the theory was that the need for the theory (the solution of inverse problems in technology) and the means for the realization of the theory (the digital computer) arose only in the new technologies that stemmed from the second world war. The indepen* Department of Mathematical Sciences, McMicken College of Arts and Sciences - University of Cincinnati, Cincinnati, 45221-0025. Email: [email protected]. The results of this paper have been presented at the First Joint Meeting of the ams/umi, Pisa, June, 2002. Research supported in part by the Charles Phelps Taft Memorial Fund.
106
Charles W. Groetsch
dent and nearly simultaneous contributions of two mathematicians to the birth of the theory of regularization is also assessed.
2. Origins The theory of integral equations is rooted in physical investigations. As early as 1908 Bôcher [3] remarked that «... it may be well to say explicitly that like so many other branches of analysis, the theory was called into being by specific problems in mechanics and mathematical physics.» The mechanical problem that led to the birth of integral equations goes back, at least, to Galileo’s study of distance, time and velocity for a particle descending without resistance under the influence of a constant vertical gravitational force. If such a particle descends along a given curve, then the velocity attained at the lowest point is independent of the particular shape of the curve, but the time of descent is a function of the shape (Galileo speculated, erroneously, that the curve giving the smallest descent time is a circular arc; the problem of finding the true shape of the so-called brachistochrone was formally posed by Johann Bernoulli in 1696). In a paper published in 1826 Abel [1] showed that, with suitable scaling and parameterizations, the descent time g as a function of the initial height x satisfies g ( x) =
z
x
0
( x − y ) −1/2 f ( y )dy
where f is a certain function specifying the shape of the curve. The solution of Abel’s integral equation then constitutes a solution of the inverse problem of determining the shape from a given time-of-descent function. In 1837 Liouville [16], motivated by a problem in Fourier’s analytical theory of heat, formulated an initial value problem for a second order linear ordinary differential equation in terms of what is now known as a Volterra integral equation of the second kind, that is, an equation of the form
z
x
f ( x ) − k( x, y ) f ( y )dy = g ( x ) 0
Abel’s equation is an instance of a Volterra integral equation of the first kind
z
x
k( x, y ) f ( y )dy = g ( x )
0
In both cases the given function k(·,·) is called the kernel (Hilbert coined «kern» in 1904) of the integral equation. Volterra initiated systematic studies of such equations near the end of the nineteenth century (see [3] and the works cited therein).
The Delayed Emergence of Regularization Theory
107
Volterra integral equations are special cases (when k(x,y)=0 for y>x ) of the equations
z
b
k( x, y ) f ( y )dy = g ( x )
a
(1)
and
z
b
f ( x ) − k( x, y ) f ( y )dy = g ( x ) a
(2)
which are known as Fredholm integral equations of the first and second kinds, respectively. Fredholm’s analysis of equation (2) was motivated by the desire to prove general existence theorems for the Dirichlet problem for Laplace’s equation [10]. He represented the required harmonic function in terms of a density, the double layer potential, on the boundary of the region. This density was then shown to satisfy an equation of type (2) where g is the specified trace of the harmonic function on the boundary and the kernel k(·,·) depends on the boundary. Therefore, the existence of a solution of the original Dirichlet problem is assured for any region for which the kernel and the boundary function satisfy the hypotheses of some existence theorem for (2). The essential theme of Fredholm’s work was the analogy between the integral equation and a system of linear algebraic equations. Weyl [32] put it well: Fredholm’s discovery has always seemed to me one that was long overdue when it came. What could be more natural than the idea that a set of linear equations connected with a discrete set of mass points gives way to an integral equation when one passes to the limit of a continuum? But the fact that in simpler cases a differential rather than an integral equation results in the limit riveted the mathematicians’ attention for two hundred years on differential equations!
Later Hilbert and Schmidt would push analogies with finite-dimensional space to the limit in developing the theory of infinite dimensional Hilbert space. Fredholm [11] assumed that the kernel was integrable but might contain certain singularities. In the early years of the twentieth century Hilbert (see [2]) treated the same equation with a continuous kernel and based his analysis on the theory of quadratic forms in spaces of infinitely many dimensions. Hilbert’s student Erhardt Schmidt studied square integrable kernels and laid the foundation of the ‘geometric’ theory of Hilbert space in his 1905 dissertation and subsequent papers on integral equations [23], [24]. Schmidt’s theory of singular functions, which provided a spectral theory for nonsymmetic operators, turned out to be the key to Picard’s analysis of Fredholm integral equations of the first kind.
108
Charles W. Groetsch
Fredholm’s major achievement in the 1903 paper [11] is the theorem that bears his name: the Fredholm Alternative. This result is best explained in terms of modern operator notions (this is quite different from Fredholm’s approach, see [22], p.143), that is, the equation (2) is expressed as (I – K) f = g where f, g ∈ L2[a,b], I is the identity operator, and K : L2[a,b] → L2[a,b] is the compact linear operator generated by the square integrable kernel k(·,·) :
z
b
Kf ( x ) = k( x, y ) f ( y )dy . a
For compact operators K the range of I–K, R(I–K), is closed and N(I–K), the null space of I–K, and N(I–K*) have the same finite dimension, where K* is the adjoint of K. Furthermore, I–K has a bounded inverse if and only if N(I–K) = {0} (see e.g., [22]). The Fredholm Alternative may now be expressed as: Either N(I–K)={0}, in which case (2) has a unique solution f = (I–K)–1g for each g ∈ L2[a,b] and the solution f depends continuously on g or N(I–K*) ≠ {0}, in which case (2) has a solution if and only if g ∈ N(I–K*)⊥. Here ⊥ indicates the orthogonal complement. The first alternative has the surprising interpretation, uncommon for infinite-dimensional problems, that uniqueness, a relatively easy property to verify, implies existence and continuous dependence of solutions – prized attributes that are usually much harder to come by. For this reason Fredholm integral equations of the second kind are considered to be very friendly creatures. The same can not be said of Fredholm integral equations of the first kind.
3. Picard’s Criterion The very last phrase in Smithies’ book on integral equations [25] is «... linear integral equations of the first kind behave very differently from those of the second kind.» And Tricomi [28] has remarked that «Some mathematicians still have a kind of fear whenever they encounter a Fredholm integral equation of the first kind ...» What are these differences and why this fear? The essential differences between Fredholm integral equations of the first and second kinds was uncovered by Picard [21] in 1910. His basic tool
109
The Delayed Emergence of Regularization Theory
was Erhardt Schmidt’s theory of singular functions and within his analysis lurked a computational poltergeist whose noisy disturbances would emerge in the computer age to haunt numerical solutions of Fredholm integral equations of the first kind. The difference in behavior of solutions of Fredholm integral equations of the first and second kinds arises from the basic difference in the forms of the equations. In Fredholm equations of the first kind the function g inherits some of the smoothness and regularity of the kernel k(·,·), almost irrespective of the nature of f, while in Fredholm integral equations of the second kind the term associated with the identity operator essentially prevents g from being any more regular than f. Indeed, the form of the Fredholm integral equation of the second kind requires that the function g is simply f plus a very smooth layer of frosting in the form of the function –Kf. Therefore the existence of a solution for a Fredholm integral equation of the first kind requires very stringent conditions on g, while for Fredholm integral equations of the second kind, existence of a solution may be bought with the cheap currency of uniqueness. Picard’s existence criterion is phrased in terms of Schmidt’s singular functions. In modern terminology and notation, Schmidt’s results imply that if K: H1→H2 is a compact linear operator from a Hilbert space H1 into ∞ a Hilbert space H2, then there is a singular system u j , v j ; µ j for K,
n
ns
s
∞
j =1
⊥
ns
∞
meaning that u j j=1 is a complete orthonormal system for N(K) , v j j=1 is a complete orthonormal system for N(K*)⊥, and the singular vectors are related by Kuj = µjvj, K*vj = µjuj
n s
where µ j
∞
j =1
is a sequence of positive numbers, called the singular values
n
2 of K, which satisfies µj → 0 as j → ∞. Put another way, u j ; µ j 2 ∞ j µ j j =1
s
∞ j =1
and
nv ; s
are eigensystems for the symmetric operators K*K and KK*, respectively. A singular system then assumes the role for nonsymmetric operators that an eigensystem plays for symmetric operators. Any function f ∈ H1 then has a representation ∞
f = PN ( K ) f + ∑ 〈 f , u j 〉u j j=
where PN(K) is the orthogonal projector of H1 onto N(K) and 〈·,·〉 is the inner product. By Bessel’s inequality
110
Charles W. Groetsch ∞
∑ 〈 f ,u 〉
2
j
≤ f
2
j =1
but if f is a solution of the first kind equation Kf = g, then the relationships that define the singular system imply that
(3)
〈 f , u i 〉 = µ −j 1 〈 f , µ j u i 〉 = µ −j 1 〈 f , K * v j 〉 = µ −j 1 〈 g, v j 〉 and hence a necessary condition for the existence of a solution f of (3) is: ∞
∑µ
2
−2 j
〈 g, v j 〉 < ∞ .
j =1
(4)
On the other hand, if (4) is satisfied, then the function ∞
f = ∑ µ −j 1 〈 g, v j 〉u j
(5)
j =1
is a well-defined member of H1 and a solution of (3). Hence, a necessary and sufficient condition for (3) to have a solution in H1 is g ∈ N ( K *) ⊥ and
∞
∑µ
−2 j
2
〈 g, v j 〉 < ∞. (PC)
j =1
This condition is known as Picard’s Criterion (actually, Picard [21] assu-
ns
∞
kp
med that v j j=1 was complete in the entire space, i.e., that N ( K *) = 0 ). It is instructive to contrast Picard’s result with the corresponding situation for Fredholm integral equations of the second kind. For second kind equations the condition g ∈ N(I – K*)⊥ alone is sufficient to guarantee the existence of a solution, while for Fredholm equations of the first kind, the condition g ∈ N(K*)⊥ must be supplemented with the additional condition in (PC) that requires rapid decay of the singular coefficients . For example, in the Fredholm integral equation of the first kind modeling temperature distributions in a bar at prior times the singular coefficients 2 of the present temperature distribution must have order O(e–j ) for the existence of a solution (see e.g., [13], p.16), a very stringent condition indeed. It might seem that with Picard’s Criterion the story for Fredholm integral equations of the first kind has been told and the book may be closed and returned to the shelf. While this is certainly so with respect to existence, the proof of the criterion is more than just an existential exercise. It contains within itself a constructive characterization of the normal solution (the solution which is orthogonal to N(K) ) in the form
The Delayed Emergence of Regularization Theory
111
of the representation (5). And this representation, irrespective of any method for approximating solutions, portends rough sailing for those who need to actually solve (3) numerically. The trouble is as easy to spot: since µj → 0 as j → ∞, any inaccuracies in the higher order singular coefficients , whether due to numerical approximations or measurement errors in g, will doom the solution represented in (5). Yet, as we show in Section 5, a means of addressing the stability problem, namely the methodology that has since become known as regularization theory, was just a short step beyond Picard’s work of 1910. It was only a lack of need that prevented this step from being taken. In the next section we trace some of the experiences of early practitioners who faced this difficulty as the demands of technology and the availability of computers in the middle part of the last century made the numerical solution of (3) both necessary and possible.
4. The Interlude For decades after Picard’s work his criterion was just an existential tool. But then urgent technological requirements led to problems in which the actual practical solution of (3) became necessary. Another development of the mid-century, the digital computer, made realistic numerical solutions of (3) possible for the first time. Volterra explicitly noted the analogy between first kind Volterra equations and systems of linear algebraic equations in 1896 and Nyström [19] suggested that the solution of a Fredholm integral equation of the first kind could be approximated by the solution of a linear algebraic system obtained by quadrature, but he did not indicate that difficulties could arise from the inherent instability of the equation. Serious attempts at solving the first kind Fredholm equation by solving a derived linear algebraic system of many equations had to await the invention of the electronic computer simply because the solution of large systems of linear algebraic equations was humanly impracticable in Picard’s time. Without the digital computer Picard’s work would have remained a pretty piece of existential mathematics. And without the demands of modern technology that arose in problems of indirect measurement, there would have been little need for practical solutions of (3). Many of the technical problems that arose in the middle part of the last century involved indirect measurement of some inaccessible function f. Such problems belong to the class of problems known today as inverse problems (see, e.g. [14], Chapter 1 for an historical discussion of inverse problems). These problems include temperature probes in nuclear reactors and assessment of atmospheric profiles from satellite measurements to name just two. A direct measurement of f would
112
Charles W. Groetsch
consist of a point evaluation, which itself can be modeled by an integral equation with a ‘delta’ function kernel:
z
f ( x ) = k( x, y ) f ( y )dy, k( x, y ) = δ ( x − y ) In real linear measuring instruments a less concentrated kernel k(·,·), called the point spread function of the instrument, representing the degradation of the signal inherent in the measuring process and specific to the instrument, gives rise to an observed entity g satisfying an equation of the form
z
b
g ( x ) = k( x, y ) f ( y )dy. a
The challenge is then to reconstruct the true signal f from the observed data g. Many inverse problems of indirect measurement therefore lead to Fredholm integral equations of the first kind (see, e.g., [33] and [13], Chapter I). Beginning in mid-last century those who used the power of the new computers to solve the large linear systems involved in analyzing inverse problems of the type described above with data containing measurement noise nearly always reported unsatisfactory results. We give a few examples. In using a numerical solution of a Fredholm integral equation of the first kind arising in geophysics, with the notational form k = Lψ, Kreisel [15] noted «Since rapidly oscillating ψ have very small k, and since measurements of k are necessarily uncertain within nonzero limits of experimental error, very different ψ are consistent with any given set of measurements of k. Thus ψ is not determined by measurements of k.» Fox and Goodwin [9] remarked that «Treatment, both theoretical and practical, of Fredholm’s equation
z
1
k( x, y ) f ( y )dy = g ( x )
0
is difficult and complicated.» They noted that in using a refined quadrature rule, with the goal of obtaining a more accurate solution, «These solutions, obtained at a smaller interval than the former, are much less accurate, bearing little resemblance to the true solution.» In [17], where the Fredholm integral equation of the first kind is phrased as f = Kφ, one finds «We have then to investigate the conjecture that if f (n)(x) and K(n)(x, s) are arbitrary functions tending (in a suitable sense) to f(x), K(x,s), then the solutions φ(n)(s) of f ( n ) ( x ) =
z
b
z
b
a
K ( n ) ( x, s)φ ( n ) ( s)ds tends to a solu-
tion φ(s) of f ( x ) = K ( x, s)φ ( s)ds . The comparable statement regarding a the Fredholm II is substantially correct, and figure implicitly in a number of treatments of that equation. ... on the other hand, the above conjecture
113
The Delayed Emergence of Regularization Theory
is false». A study of X-ray spectrometry [7] involved the Fredholm integral equation
z
m
r
f (V ) = (2πhE ) −1/2 exp − (V − E ) 2 / 2hE g ( E )dE of the first kind. The authors conclude that “even if one satisfies the 2 criterion f (V ) − f n (V ) dV < ε , where ε is an arbitrarily chosen positive number, and fn(V) is the transform of gn(E), there is still the possibility that gn(E) may bear little resemblance to the true solution.” In an early paper applying mathematical programming techniques to integral equations Douglas, Jr. [6] notes that «The numerical solution of integral equations of the first kind by replacement of the integral equation by a system of algebraic equations can lead to difficulties ... The major difficulty being observed ... is the instability of the solution of the integral equation and the consequent instability of the solution of the algebraic analogue.» Finally, in a paper [5] concerning nuclear instrumentation, where the first kind equation is expressed as y = N σ, one finds, «... small distortions in y may be reflected as large non-significant deviations in σ » (Some have indicated that this paper deserves part of the priority for the discovery of regularization theory, but this claim is questionable as [5] cites the Phillips’ paper [20] which will be discussed in the next section).
zl
q
5. Regularization Arrives By the early sixties of the last century the main problem with numerical solution of Fredholm integral equations of the first kind – instability – was well-recognized. The problem is very clear in Picard’s representation (5): since µj → 0 as j → ∞, any error at all in higher order singular coefficients will be greatly amplified in the solution. The corresponding high order singular components are typically highly oscillatory functions and hence the numerical solution will contain large amplitude, high-frequency numerical noise. This behavior is inbred in the equation itself and is independent of the particular numerical method used to solve the equation approximately. David Lowell Phillips [20], a member of the scientific staff of the Argonne National Laboratory in Illinois was the first to publish an approach to the instability problem based on balancing fidelity to the solution of (3) with the imposition of smoothness (to suppress high frequency noise) on the approximate solution. Methods which strive to reach a useful compromise between fidelity and smoothness are now known as regularization methods (see, e.g., [26], [8], [12]). Recognizing the errors involved, Phillips suggests seeking approximate solutions of the problem
114
Charles W. Groetsch
z
b
k( x, y ) f ( y )dy = g ( x ) + ε ( x )
a
where ε(x) represents an error function, and choosing among such approximate solutions one which minimizes
z
b
a
( f ''( y ))2 dy
as a means of suppressing oscillations. By applying a quadrature rule and collocating at the quadrature points Phillips produced a linear system of equations Af = g + ε where A is an n × n matrix. He assumes that A is invertible and seeks to minimize with respect to ε (as a discrete version of (6)) the quantity 2
2 Df = DA −1 ( g + ε ) , where ⋅ is the Euclidean norm and D is the second difference operator
(Df )i = fi+1 – 2fi +fi–1, subject to the constraint ε 2 = δ 2 where δ is a given positive number (an estimate of the size of the errors). Since f = A-1g + A-1ε, this results, on introduction of a Lagrange multiplier γ-1 in the condition γ–1ε + (A–1)*D*Df = γ–1(Af – g)+(A–1)*D*Df = 0
where * denotes the matrix transpose. The solution of this discrete problem depends on γ and δ and will be denoted fγδ. Setting B=(A-1)*D*D the solution is then determined by the conditions (A + γB)fγδ = g and 2
Afγδ − g = δ 2 where g is a vector of discrete approximate data. Twomey [29] soon pointed out the equivalent formulation (A*A + γD*D)fγδ = A*g
(7)
which does not require A to be square, nor does it require explicit computation of B, where again the parameter is chosen to satisfy 2
(8) Afγδ − g = δ 2 To sum up, Phillips’ method consists of a discretization followed by a choice of approximate solution of the form (7) depending on a parameter
115
The Delayed Emergence of Regularization Theory
that is introduced to impose a certain smoothness on the approximate solution and is chosen automatically, based on the estimated size of the errors in the data, by (8). His work is mainly intuitive and does not address questions of convergence, nor does it anticipate the development of a wider theory. Independently of Phillips’ work of 1962, Tikhonov [26] published a similar method in 1963 and in subsequent years he and his school developed an extensive general theory of regularization (see e.g., [27], [12], [8]). Tikhonov’s approach is best expressed in operator terms. Given a bounded linear operator K: H1 → H2 and an estimate gδ of a vector g ∈ H2 satisfying g − gδ 2 ≤ δ , where ⋅ 2 is the norm in H2, Tikhonov proposed finding an approximate solutio fαδ ∈ H1 by minimizing the augmented least squares functional Ψα ( z; g
δ
) = Kz − g δ
2 2
+α z 1
2
(9)
where ⋅ 1 is the norm in H1, and α is a positive “regularization” parameter. The vector z = fαδ minimizing (9) is characterized as the solution of the second kind equation (K*K + αI)fαδ = K*gδ
(10)
where the operator K*K + αI has a bounded inverse and therefore fαδ exists, is unique, and depends continuously on gδ. Tikhonov then proves a convergence theorem, namely, if the regularization parameter α is chosen as a function of the error level δ in such a way that α = α(δ) → 0 as δ → 0, while < c ≤ δ /α ≤ c for some constants c1 and c2, then f αδ(δ ) − f → 0 as 1
δ
→0
(11)
where f is the normal solution of (3). While Tikhonov’s arguments apply in the generality given above, he chose specific Hilbert spaces, namely he used L2[a,b] for H2 and for H1 he used the Sobolev space W1,2[a,b]. Therefore, the convergence in the Sobolev space indicated in (11) implies uniform convergence. Also, the operator adjoints indicated in (11) are with reference to the pairing of the Sobolev space and the L2 space which results in a reformulation of (10) in terms of L 2 adjoints as an integro-differential equation (see, e.g. [12]). Tikhonov also gave a convergence theorem for the discrete analog of the integro-differential equation that characterizes the regularized approximation, replacing the derivatives by finite differences and the integral by a quadrature rule.
116
Charles W. Groetsch
Tikhonov’s a priori condition on the regularization parameter is not as suitable for computations as the data-driven condition (8) of Phillips. However, in 1966, Morozov [18] published his discrepancy principle, namely that the condition
Kfαδ − gδ 2 = δ δ uniquely determines a parameter α = α(δ) and that f α (δ ) − f 1 → 0 as δ → 0, thus providing a rigorous basis for the choice of the regularization parameter by (8) in the Hilbert space context (Morozov was also unaware of Phillips’ work). Phillips and Tikhonov knew that the data gδ in the inverse problems they investigated were unlikely, owing to experimental, modeling and measurement error, to lie in the range of the operator K. They therefore sought a least squares solution of (3), that is a function f that minimizing 2 the quantity Kf − g δ . This is equivalent to solving the symmetric Fredholm integral equation of the first kind
K*Kf = K*gδ. For this equation Picard’s solution (5) is ∞
∑ j =1
−2
µj
∞
〈 K * g δ , u j 〉u1 = ∑ j =1
µj 2
µj
〈 g δ , v j 〉u j
Again, since µj → 0, the stability problem is apparent, as is a simple expedient for mitigating this problem that would have suggested itself in Picard’s time had the problem only been recognized. A simple fix consists of introducing a positive regularization parameter α and forming the approximate solution ∞
f αδ = ∑
µj
〈 g δ , v j 〉u j
(12) +α This is easily seen to be equivalent to Tikhonov’s formulation (10) and the basic theory of regularization consists of working out the relationship between the data gδ, the regularization parameter α and the operator K and its various discretizations. All of these developments could have proceeded logically from Picard’s paper of 1910. It is also interesting to note that the representation (12) for the case when K is a finite matrix and the data are error-free (δ = 0) was essentially obtained by den Broeder and Charnes [4] in 1957, but they made no connection between it and the solution of unstable inverse problems. 2 j =1 µ j
The Delayed Emergence of Regularization Theory
117
It is instructive to contrast the approaches of Phillips and Tikhonov to the regularization problem. Phillips immediately discretized the problem and worked formally with the regularized version (7) of the discrete problem. On the other hand, Tikhonov regularized the problem in function space and provided a rigorous convergence analysis of the infinite dimensional regularization method before considering discretizations. That is, Phillips discretized first and then regularized, while Tikhonov regularized first and then discretized. Tikhonov’s approach was then much more amenable to analytical treatment. A convergence theory for Phillips’ method is further complicated by the fact that he chose to regularize with a semi-norm
z
b
a
( f ''( s))2 ds
while Tikhonov used a very strong norm indeed, the Sobolev norm, for the regularization term of his functional (9). Finally, while Tikhonov originally used an a priori condition for the choice of the regularization parameter, Phillips suggested the a posteriori data-derived choice (8). However, Morozov soon provided a complete theory for a similar a posteriori choice of the regularization parameter in a Hilbert space setting.
6. Assessment and Conclusion The differences between Fredholm equations of the first and second kinds are more than purely mathematical. While Fredholm equations of the second kind are certainly more tractable mathematically than Fredholm equations of the first kind, Picard’s work of 1910 provided a completely satisfactory mathematical treatment of first kind equations. But the major motivation for careful study of first kind equations arose nearly a half century after that for second kind equations. Fredholm equations of the second kind were motivated from the beginning by theoretical problems of mathematical physics, while the primary motivation for first kind equations arose in practical problems of technology, many of which emerged from (hot and cold) war experience. At about the same time that the need for solving such problems arose, the means for solving them, the digital computer, became available. Regularization theory therefore emerged from a confluence of needs and means. When the computer was rolled out to solve the linear algebraic equations arising from discretizations of Fredholm integral equations of the first kind, disturbing instabilities, that could have been predicted from Picard’s work, arose in the numerical approximations. Phillips was the first
118
Charles W. Groetsch
to propose a methodology to handle these instabilities, but his work was lonely and intuitive. Phillips’ publication of 1962 was soon followed in 1963 by a rich, rigorous independent mathematical theory of regularization developed by Tikhonov and his large and powerful school. There appears to be no evidence that Tikhonov or any member of his school was aware of Phillips’ contributions at the time of their early publications on regularization theory. While Tikhonov certainly deserves the major credit for regularization theory as we know it today, it can be argued that, in recognition of Phillips prior independent contribution, an appropriate name for the methodology is Tikhonov-Phillips regularization.
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Charles W. Groetsch
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Sul commento di Pappo d’Alessandria alle Sferiche
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Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche Vol. XXIII · (2003) · fasc. 1
Sul commento di Pappo d’Alessandria alle Sferiche di Teodosio Michela Malpangotto*
1. Introduzione 1.1. Gli ‘Elementi sferici’ di Teodosio Presso tutti i popoli e in tutti i tempi, dai più remoti a quelli a noi più vicini, lo studio dei fenomeni naturali, condotto con elevatezza di vedute e rigore di metodo, fu uno stimolo potentissimo alla ricerca puramente scientifica. Tale fenomeno generale si è verificato anche presso i Greci, che si sentirono attratti dalla nobile aspirazione di scoprire la struttura e il meccanismo del cosmo o almeno da quella più modesta, ma non meno utile alla società, di determinare la grandezza e la forma del nostro pianeta. La nascita dei modelli astronomici assegna una forma al cosmo e alla Terra. La conferma della validità del modello deriva allora dalla capacità dei fenomeni osservati di sottostare alla geometria della figura su cui si ipotizza che essi si realizzino. Quindi la conoscenza della geometria della figura-modello è un requisito necessario ed essenziale alla formulazione del modello stesso. Le documentazioni storiche relative alla antica Grecia diventano attendibili a partire dal IV secolo a. C. e permettono di capire che in quel tempo, al termine di un lungo processo evolutivo, era stato raggiunto un buon livello di accordo sui fondamenti della cosmologia. Per la maggior parte degli astrologi e filosofi greci, dal iv secolo in avanti, la Terra era una minuscola sfera sospesa e ferma nel centro geometrico di una sfera molto più grande e ruotante che portava le stelle. Il Sole si muoveva nel vasto spazio fra la Terra e la sfera delle stelle. Al di fuori della sfera esteriore non c’era nulla: né spazio, né materia, nulla. Questa non fu nell’antichità la sola teoria dell’universo, ma fu quella che ebbe più seguaci. Si tratta dell’universo a due sfere: una sfera interna per l’uomo ed una sfera esterna per le stelle. La sua origine è oscura, ma la fonte della * Il presente lavoro sviluppa l’ultima parte della tesi di laurea: Gli ‘elementi sferici’ dall’antichità al Rinascimento, discussa presso il Dipartimento di Matematica dell’Università di Genova. Indirizzo elettronico dell’autore: [email protected]
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Michela Malpangotto
sua forza persuasiva non lo è. Non è nostro interesse descrivere le argomentazioni addotte in favore dell’universo sferico, ma è importante notare che esse furono tali che nessuno abbandonò mai l’ipotesi di un cosmo e di una Terra sferici. La ‘geometria della sfera’, disciplina speciale detta dagli antichi sferica, è allora strumento essenziale per l’astronomia, per la geografia, per la navigazione, per l’indicazione dell’ora e per la stesura dei calendari. A quanto asserisce Pappo, i più antichi scritti che si possiedono sulla sferica sono dovuti ad un contemporaneo di Euclide, nato sulle coste dell’Asia Minore: Autolico di Pitane. Ma la più cospicua delle opere superstiti sull’argomento è dovuta a Teodosio da Tripoli. Di questo autore, come di molti autori della classicità greca, ci sono pervenute le opere, ma poche sono le notizie relative alla vita. Dalla Geografia di Strabone sappiamo che Teodosio nacque in Bitinia, regione situata nella parte settentrionale dell’Asia Minore e visse in un periodo compreso tra il 107 e il 43 a. C. Un passaggio dell’Architettura di Vitruvio fa supporre che Teodosio si sia occupato di astronomia e in particolare di gnomonica. 1 Le opere di Teodosio che ci sono pervenute sono tre: De habitationibus, De noctibus ac diebus, Sphaericorum libri III. Gli Sphaericorum libri III sono l’opera più importante, 2 essa esamina le proprietà delle linee determinate sulla superficie di una sfera dall’intersezione con un piano. Si divide in tre libri i cui argomenti sono così descritti da Maurolico: 3 il primo esamina i poli e i cerchi che si intersecano ad angolo retto; il secondo tratta dei cerchi tra loro tangenti e paralleli; il terzo si occupa del confronto tra archi di cerchi della sfera. Con quest’opera Teodosio volle fornire una esposizione logicamente strutturata dei fondamenti dell’astronomia, coordinando delle proposizioni destinate a facilitare lo studio dell’astronomia pratica. Per questo motivo la sfera viene da lui considerata solo dal punto di vista delle linee che possono essere tracciate su di essa trascurando le proprietà della sfera stessa. Questa scelta di Teodosio si inserisce perfettamente nella tradizione antica, secondo la quale la sfera, unica figura di cui la natura ci ha dato una intuizione geometrica, apparteneva all’astronomia piuttosto che alla geometria, in modo che una teoria della sfera propriamente detta non era mai stata sviluppata al di fuori 1. Vitruvio attribuisce a Teodosio un quadrante solare ‘per tutti i climi’. 2. Tutti i riferimenti alle Sferiche che verranno attribuiti a Teodosio si basano sull’edizione critica delle Sferiche (ed. J. L. Heiberg, Weidmann Berlino, 1927) che fornisce anche la versione latina del testo greco. 3. F. Maurolico: lettera a Vega dell’8 agosto 1556. F. Napoli trascrisse questa lettera e la pubblicò sul Bollettino di Boncompagni (IX, 1876 pagg 23 - 40).
Sul commento di Pappo d’Alessandria alle Sferiche
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delle teorie cosmogoniche; questo è il motivo per cui tale teoria, che certamente esisteva, 4 non compare nemmeno negli Elementi di Euclide. L’ottimo livello dell’opera di Teodosio, la rende paragonabile agli Elementi di Euclide e le ha permesso di costituire un testo fondamentale per lo studio della geometria e trigonometria sferiche. La testimonianza più antica pervenutaci sulle Sferiche si trova nel VI libro della Collezione di Pappo d’Alessandria. 5
1.2. Il VI libro della ‘Collezione’ di Pappo La Collezione (Συναγωγ) fu composta da Pappo d’Alessandria, intorno al 320 d. C. ed è formata da otto libri, dei quali il primo e parte del secondo sono andati perduti. Quest’opera fornisce una preziosa documentazione storica concernente alcuni aspetti della matematica greca che altrimenti non ci sarebbero pervenuti. Inoltre la Collezione contiene dimostrazioni alternative e lemmi supplementari relativi a teoremi di Euclide, Archimede, Apollonio, Teodosio e Tolomeo. Infine il trattato presenta nuove scoperte e generalizzazioni che non si trovano in opere precedenti. Il commento di Pappo alle Sferiche di Teodosio si trova nel VI libro della Collezione, che viene così intitolato dall’autore stesso: Continet theorematum difficilium, quae sunt in minore collectione astronomicorum, solutiones, ossia contiene le soluzioni dei teoremi più difficoltosi presenti nella Piccola Collezione Astronomica. 6 Pappo esamina solo alcune delle opere di tale Collezione: Sphaericorum libri III di Teodosio, De sphaera quae movetur di Autolico, De noctibus ac diebus di Teodosio, De magnitudinibus et distantiis solis et lunae di Aristarco, Optica e Phaenomena di Euclide. Nell’analisi delle Sferiche di Teodosio, Pappo concentra l’attenzione esclusivamente su due proposizioni: quinta e sesta del terzo libro. La sua trattazione non è lineare, ma presenta digressioni, che solo una lettura accurata può rivelare. Si nota allora che gli enunciati possono essere idealmente divisi in due categorie, l’una formata dai teoremi collegati direttamente alle 4. Platone nel Timeo rivela che la scuola pitagorica aveva studiato i poliedri regolari e la loro proprietà di poter essere inscritti in una sfera. È allora impossibile che una teoria della sfera non precedesse tali studi. 5. Le citazioni latine di questo paragrafo sono tratte dall’edizione critica della Collezione di Pappo (Hultsch, 1877) e costituiscono la versione del testo greco. 6. La Piccola Collezione Astronomica contiene le seguenti opere: Sphaericorum libri III di Teodosio da Tripoli; Data, Optica, Catoptrica, Phaenomena di Euclide; De habitationibus e De noctibus ac diebus di Teodosio da Tripoli; De sphaera quae movetur e De ortu atque occasu stellarum inerrantium libri II di Autolico di Pitane; De magnitudinis ac distantiis solis ac lunae di Aristarco di Samo; De ascensionibus di Ipsicle di Alessandria; Sphaericorum libri III di Menelao.
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Michela Malpangotto
proposizioni di Teodosio: in parte lemmi utili per la nuova versione che Pappo vuole dare di quelle proposizioni e in parte generalizzazioni delle due proposizioni stesse; la seconda categoria è formata dai teoremi introdotti da Pappo per generalizzare gli enunciati che fanno parte della prima categoria. I paragrafi che seguono vogliono chiarire il rapporto diretto Pappo-Teodosio e non semplicemente descrivere il commento di Pappo a Teodosio; per questo motivo non verranno menzionate le proposizioni della seconda categoria, che renderebbero confusa la trattazione. Ne diamo però qui di seguito una breve descrizione. L’analisi di Pappo a (5, III Sph) si sviluppa nelle proposizioni dalla 1 alla 11 del vi libro della Collezione. Le proposizioni 1, 2, 3 presentano proprietà dei triangoli sferici e sono ognuna necessaria alla successiva (fanno parte della prima categoria). La proposizione 4 fornisce una generalizzazione di (3, VI Coll) (rientra nella seconda categoria). (5, VI Coll) ha lo stesso enunciato di (5, III Sph), ma Pappo lo dimostra utilizzando i triangoli sferici e in particolare (3, VI Coll). Le proposizioni dalla 6 alla 9 presentano due dimostrazioni alternative di uno stesso enunciato, che generalizza (5, III Sph); mentre 10 e 11 sono l’una un viceversa e l’altra un corollario di (5, III Sph). (Le proposizioni dalla 5 alla 11 rientrano nella prima categoria). L’analisi di (6, III Sph) si sviluppa nelle proposizioni dalla 12 alla 27 del VI libro della Collezione. Pappo ha come obiettivo l’esame di tutti i casi che si possono avere eliminando una ipotesi dall’enunciato di Teodosio. Egli nel paragrafo XIX e nelle proposizioni 21 e 22 confuta tutte le argomentazioni che possono essere addotte in favore della necessità di quell’ipotesi. Una volta fatto ciò, può procedere con l’esame esaustivo di tutte le situazioni che si possono creare eliminando quella condizione e lo fa nelle proposizioni dalla 23 alla 27. Pappo deve gettare le basi per quest’ultima parte della discussione in una serie di proposizioni che egli stesso introduce col titolo Lemmi per la discussione del VI teorema del III libro delle Sferiche e sono le proposizioni dalla 12 alla 16; solo dopo può analizzare in maniera fondata la casistica suddetta. Le proposizioni 12, 13, 14 sono veri e propri lemmi; 15 e 16 sono il supporto dimostrativo dell’analisi finale. In mezzo, le proposizioni dalla 17 alla 20 sviluppano i contenuti degli enunciati che le precedono (fanno parte della seconda categoria).
2. Il commento di Pappo a (5, III Sph) L’analisi relativa alle Sferiche di Teodosio comincia con una dimostrazione alternativa della proposizione (5, III Sph.), che sfrutta i triangoli sferici.
Sul commento di Pappo d’Alessandria alle Sferiche
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Essa viene presentata nel (5, VI) della Collezione ed è preceduta da quattro proposizioni in cui vengono esposte alcune proprietà dei triangoli sferici e delle quali è la (3, VI Coll.) ad essere utilizzata direttamente nella dimostrazione di (5, VI Coll.). Per completezza riportiamo la proposizione (3, VI Coll.) e le due che la precedono, con le relative dimostrazioni.
2.1. Premesse alla dimostrazione di Pappo di (5, III Sph) Proposizione (1, VI) Se tre cerchi massimi di una sfera si intersecano, formando tre archi, ognuno dei quali è minore di un semicerchio, allora la somma di due qualsiasi di tali archi è maggiore del restante. «Si in sphaerica superficie tres maximorum circulorum circumferentiae se secent, quarum unaquaeque semicirculo minor sit, binae maiores sunt reliqua, quomodocunque sumptae». Siano α, β, γ tre punti in cui si intersecano tre circonferenze di cerchi massimi della sfera. Si deve provare che la somma di due qualsiasi dei tre archi, è maggiore del rimanente. Dimostrazione Sia δ il centro della sfera ⇒ ⇒ δ è anche centro dei cerchi αβ, βγ, γα Si traccino δα, δβ e δγ 7 (20, XI Eucl.) La somma di due angoli fra ang αδβ, ang βδγ, ang γδα è maggiore del restante angolo. Gli angoli suddetti sottendono rispettivamente arc αβ, arc βγ, arc γα ⇒ (33, VI Eucl.) 8 ⇒ la somma di due fra tali archi è maggiore del restante. Proposizione (2, VI) Se in un triangolo sferico, si considerano due archi di cerchi massimi 7. La somma di due qualsiasi fra tre angoli piani che delimitano un angolo solido, è maggiore del restante angolo piano. 8. In cerchi uguali, gli angoli al centro conservano il rapporto fra gli archi da loro sottesi; lo stesso vale per gli angoli alla circonferenza.
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innalzati su di uno stesso lato; allora la loro somma è minore della somma dei restanti lati del triangolo sferico. «Si in uno latere trianguli sphaerici duae maximorum circulorum curcumferentiae intra constituantur, hae reliquis duobus trianguli lateribus minores erunt». Sia αβγ un triangolo sferico Sia βγ un suo lato Siano βδ, δγ due archi di cerchi massimi, innalzati su βγ, internamente al triangolo αβγ
Si deve provare che arc βδ + arc δγ < arc βα + arc αγ Dimostrazione (1, VI Coll) arc γε + arc εδ > arc γδ ⇒ ⇒ arc γε + arc εδ + arc δβ > arc γδ + arc δβ ⇒ ⇒ arc γε + arc εβ > arc γδ + arc δβ (1, VI Coll) arc βα + arc αε > arc εβ arc βα + arc αε + arc εγ > arc εβ + arc εγ ⇒ ⇒ arc βα + arc αγ > arc εβ + arc εγ ⇒ (1) ⇒ arc βα + arc αγ > arc γδ + arc δβ
(1)
Proposizione (3, VI) 9 Siano αβ, αβ, αδ tre archi di cerchi massimi, minori di un quadrante, (1) che intersecano la circonferenza di un cerchio massimo βδ in β, γ e δ rispettivamente, in modo tale tale che arc βγ = arc γδ (2)
9. Pappo non ne dà l’enunciato generico e noi seguiamo la sua scelta.
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Si deve provare che arc βα + arc αδ > 2 arc αγ. Dimostrazione (1) (11, i Sph.) 10 (20, i Sph.) 11 (2) (3, iii Sph.) 12 (28, iii Eucl.) 13 (1, vi Coll) (3) (4)
Sia arc γε = arc αγ arc γε è minore di un quadrante ⇒ ⇒ arc αε è minore di un semicerchio Il cerchio αδ non passa per ε Sia εδζ il cerchio massimo per ε e δ δε = αβ ⇒ ⇒ arc αβ = arc δε arc αδ + arc δε > arc αε, ma arc αε = arc αγ + arc γε arc αδ + arc αβ > 2 arc αγ
(3)
(4)
2.2. La dimostrazione di Pappo di (5, III Sph) Esaminiamo la dimostrazione di (5, VI) della Collezione, che Pappo introduce così: «His praemissis propositum sit quintum theorema tertii Theodosii sphaericorum libri aliter demonstrare». 14 Riportiamo l’enunciato della proposizione (5, III) delle Sferiche, anche se Pappo non lo riporta: Si polus circulorum parallelorum in ambitu circuli maximi positus est, et hunc duo circuli maximi ad rectos angulos secant, quorum alter unus ex parallelis est, alter autem ad parallelos obliquus, et a circulo obliquo aequales arcus deinceps abscinduntur ad easdem partes maximi parallelorum, per puncta autem ita orta circuli paralleli describuntur, a circulo maximo ab initio posito arcus inaequales abscindent inter eos positos et proximam quamque maximo parallelorum remotiore maiorem.
Sulla sfera si consideri un cerchio massimo passante per i poli dei cerchi paralleli e si considerino due cerchi massimi ortogonali ad esso, dei quali uno è il massimo dei paralleli e l’altro è inclinato sui paralleli. Su quest’ul10. I cerchi massimi della sfera si dividono reciprocamente in parti uguali. Il riferimento a (11, I Sph.) è in una nota di Hultsch. 11. Descrivere un cerchio massimo passante per due punti dati sulla superficie di una sfera. 12. Da uno dei punti di intersezione di due cerchi massimi della sfera si considerano due archi uguali su ognuno dei cerchi massimi, allora i due segmenti che congiungono gli estremi di due archi che stanno su cerchi diversi, sono uguali. 13. In cerchi uguali, corde uguali determinano archi uguali: il maggiore uguale al maggiore e il minore al minore. 14. «Lo scopo di queste premesse è quello di dimostrare in modo alternativo il quinto teorema del terzo libro delle Sferiche di Teodosio.»
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timo si segnino due archi uguali e consecutivi, dalla stessa parte rispetto al massimo dei paralleli e per gli estremi di tali archi si traccino tre cerchi paralleli. Essi determinano sul primo cerchio massimo considerato due archi disuguali, dei quali il più vicino al massimo dei paralleli è sempre maggiore del più lontano. Proposizione (5, VI) Sia α un polo di cerchi paralleli. Sia αβγ un cerchio massimo contenente α.
(1)
Siano βγ e εζ due cerchi massimi. ortogonali a αβγ. (2) βγ è uno dei paralleli. εζ è inclinato sui paralleli. Siano arc ηθ e arc θχ due archi consecutivi di εζ, dalla stessa parte di βγ arc ηθ = arc θχ (3) Siano µν, ξο, πρ cerchi paralleli a βγ, passanti per ξ, θ e η Si deve provare che arc πξ > arc ξµ Dimostrazione Siano αχ, αθ, αη cerchi massimi per α e per χ, θ e η (2)(13, I Sph) 15 Gli archi di αχ, αθ, αη che vanno da α a βγ sono quadranti ⇒ ⇒ arc αχ, arc αθ, arc αη sono minori di un quadrante ⇒ 15. Se sulla sfera un cerchio massimo taglia ortogonalmente un cerchio qualsiasi, lo divide a metà e passa per i suoi poli.
Sul commento di Pappo d’Alessandria alle Sferiche (3)(3,VI Coll) ⇒ arc χα + arc αη > 2 arc αθ (1) arc αχ = arc ασ = arc ατ ⇒ ⇒ arc αχ + arc ατ = 2 arc ασ Sottraendo (5) a (4) si ha arc τη > 2 arc σθ (10, II Sph.) 16 arc τυ = arc σθ Sottraendo arc υη > arc τυ Ma arc υη = arc πξ e arc τυ = arc µξ allora arc πξ > arc ξµ
129 (4) (5)
È innegabile che questa dimostrazione sia più elegante rispetto a quella data da Teodosio. Essa offre lo spunto per una breve digressione. Alla fine della (1, VI Coll.) Pappo dice: «Eiusmodi figuram Menelaus in sphaericis trilaterum appellat». 17 Risulta chiaro che la prima opera in cui si definiscono queste figure della superficie sferica è l’opera omonima a quella di Teodosio, scritta da Menelao di Alessandria un secolo dopo quest’ultimo. La trigonometria e i triangoli sferici erano già noti prima di Teodosio: si ha notizia della risoluzione di problemi astronomici e della conduzione di calcoli, che richiedevano una buona conoscenza di tali argomenti, da parte di Ipparco di Nicea vissuto circa un secolo prima di Teodosio. Con le Sferiche di Menelao si ha la sistemazione formale di tali argomenti, già noti in precedenza e certamente noti a Teodosio, che però scelse di non farne uso nelle sue Sferiche probabilmente per non perturbare l’ordine logico delle sue proposizioni introducendo figure le cui proprietà non erano ancora state completamente dedotte.
2. 3. Generalizzazione di (5, III Sph) Le proposizioni successive a (5, VI) della Collezione generalizzano la proposizione (5, III) delle Sferiche considerando il caso in cui i due archi siano non consecutivi. Tale caso non era stato esaminato da Teodosio («id quod Theodosius omisit»); l’unica proposizione della quale Teodosio ha dato una estensione agli archi non consecutivi è (6, III Sph). 18 16. Si considerino sulla sfera dei cerchi paralleli e dei cerchi massimi passanti per i loro poli. Gli archi di circonferenza dei cerchi paralleli compresi tra i cerchi massimi, sono simili; gli archi di cerchi massimi compresi tra i paralleli sono uguali. 17. «Menelao chiama trilatero sferico una figura come quella.» Noi oggi definiamo triangolo sferico la superficie sferica racchiusa da tre archi di cerchi massimi a due a due consecutivi. 18. (6, III Sph): Si consideri un cerchio massimo della sfera, inclinato su un altro cerchio massimo. Sul cerchio inclinato si considerino due archi uguali e consecutivi, contenuti in uno dei
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La generalizzazione di (5, III Sph) viene dimostrata da Pappo in due modi: il primo è sviluppato in (6, VI Coll) e utilizza i triangoli sferici; il secondo è sviluppato nelle proposizioni 7, 8 e 9 del VI libro e dimostra la tesi nel caso in cui l’arco che separa i due archi uguali è commensurabile con essi e poi la dimostra per assurdo nel caso in cui tale arco è incommensurabile con essi, analogamente a quanto fatto da Teodosio nella generalizzazione di (6, III Sph). Questa proposizione aggiunta da Pappo alle Sferiche originali di Teodosio, compare nella versione delle Sferiche dovuta a Platone da Tivoli 19 come nona proposizione del terzo libro. La dimostrazione che compare in Platone da Tivoli è identica a quella sviluppata nelle proposizioni 7, 8 e 9 del VI libro della Collezione. In questa versione compaiono anche i casi di archi non consecutivi corrispondenti a (7, III) 20 e (8, III) 21 delle Sferiche di Teodosio, casi che vengono analizzati nelle proposizioni 9 e 10 del terzo libro della versione di Platone da Tivoli. 22 quadranti incipienti in uno dei punti di intersezione delle circonferenze dei due cerchi massimi considerati. I cerchi massimi passanti per i poli dei cerchi di base e per gli estremi di tali archi, determinano archi disuguali sul cerchio di base, dei quali è maggiore quello più lontano dal punto di intersezione dei due cerchi massimi. La generalizzazione di questo teorema si trova in (9, III Sph): Si consideri un cerchio massimo della sfera, inclinato su un altro cerchio massimo. Sul cerchio inclinato si considerino due archi uguali, non consecutivi, contenuti in uno dei quadranti incipienti in uno dei punti di intersezione delle circonferenze dei due cerchi massimi considerati. I cerchi massimi passanti per i poli dei cerchi di base e per gli estremi di tali archi, determinano archi disuguali sul cerchio di base, dei quali è maggiore quello più lontano dal punto di intersezione dei due cerchi massimi. 19. Nella prima metà del XII secolo Platone da Tivoli tradusse in latino un manoscritto arabo delle Sferiche di Teodosio. La sua traduzione circolò manoscritta per più di trecento anni, finchè fu stampata, anonima, nel 1518, in una raccolta di trattati sulla sfera (Sphaera cum commentis in hoc volumine contentis ...Venezia, 1518). 20. Si consideri sulla sfera un cerchio massimo tangente due cerchi uguali e paralleli. Si consideri un altro cerchio massimo tangente due cerchi paralleli ai precedenti e maggiori di essi; siano i punti di tangenza sul primo cerchio massimo considerato. Su quest’ultimo cerchio massimo si prendano due archi uguali, consecutivi e dalla stessa parte rispetto al massimo dei paralleli; per i loro estremi si descrivano tre cerchi paralleli ai precedenti. Essi determinano sul primo cerchio massimo considerato due archi disuguali, dei quali è maggiore quello più vicino al massimo dei paralleli. 21. Si consideri sulla sfera un cerchio massimo tangente due cerchi uguali e paralleli. Si consideri un altro cerchio massimo tangente due cerchi paralleli ai precedenti e maggiori di essi; siano i punti di tangenza sul primo cerchio massimo considerato. Su quest’ultimo cerchio massimo si stacchino due archi uguali, consecutivi, dalla stessa parte dei massimi paralleli; per i loro estremi si traccino dei cerchi massimi tangenti il primo parallelo considerato, tali da determinare archi simili sui paralleli e così che i loro semicerchi, incipienti nei punti di tangenza e contenenti gli estremi degli archi per cui passano, non intersechino il semicerchio del primo cerchio massimo considerato, incipiente nel suo punto di tangenza e contenente il punto di tangenza del secondo cerchio considerato, in un punto compreso tra il polo apparente e il massimo dei paralleli. Tali cerchi determinano sul massimo dei paralleli archi disuguali, dei quali il più vicino al primo cerchio massimo considerato è sempre maggiore del più lontano. 22. Le affermazioni fatte riguardo alle Sferiche di Teodosio si basano, come in tutto l’articolo,
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3. Il commento di Pappo a (6, III Sph) Il commento che Pappo fa di (6, III Sph) 23 di Teodosio si apre con i ‘Lemmata ad disceptationem de VI theoremate libri III Sphaericorum spectantia’ che noi esamineremo tra breve addentrandoci nei dettagli della discussione; solo alla fine di questi Pappo fa le sue osservazioni alla (6, III Sph) dalle quali è opportuno incominciare. Si in circumferentia maximi circuli, inquit Theodosius sphaer, 3, 6, sit polus parallelorum, eumque circulum secent duo maximi circuli, quorum alter sit unus parallelorum, alter autem obliquus ad parallelos, atque ab obliquo circulo aequales circumferentiae deinceps ad easdem partes maximi illius paralleli abscindantur, et per puncta quae ita fiunt ac per polum maximi circuli describantur, hi inaequales circumferentias a maximo parallelo abscindent, et maior quidem semper erit ea quae propior est primario maximo circulo, quam illa quae remotior.
In questo passo Pappo afferma che se il polo di cerchi paralleli si trova sulla circonferenza di un cerchio massimo; se due cerchi massimi, di cui uno è uno dei paralleli e l’altro è obliquo sui paralleli, tagliano questo cerchio massimo (*); se sul cerchio obliquo si considerano due archi uguali e consecutivi, dalla stessa parte rispetto al massimo dei paralleli e si tracciano i cerchi massimi passanti per i punti così ottenuti e per i poli dei paralleli, essi determinano sul massimo dei paralleli due archi disuguali, dei quali quello più vicino al cerchio massimo tracciato per primo sarà continuamente maggiore di quello più lontano. Questo enunciato differisce, come Pappo stesso sottolinea, da quello di (6, III Sph) di Teodosio perché manca in (*) la condizione ‘ad angolo retto’ , ossia l’ipotesi di ortogonalità tra il cerchio massimo inclinato sui paralleli e quello passante per i loro poli.
sull’edizione critica di Heiberg. Le ricerche da noi condotte fino ad oggi, non permettono di dire con certezza se tale casistica fosse stata completata, magari seguendo il suggerimento di Pappo, da matematici greci e perciò comparisse già nei manoscritti greci tradotti dagli Arabi; oppure se essa sia stata aggiunta da matematici arabi. 23. Si polus parallelorum in ambitu circuli maximi positus est, et hunc duo circuli maximi ad rectos angulos secant, quorum alter unus ex parallelis est, alter autem ad parallelos obliquus, ab obliquo autem circulo arcus aequales deinceps abscinduntur ad easdem partes maximi parallelorum, et per puncta ita orta polumque circuli maximi describuntur, a maximo parallelorum inaequales arcus abscindent inter eos positos et proximum quemque circulo maximo ab initio posito maiorem remotiore. Se il polo di cerchi paralleli si trova sulla circonferenza di un cerchio massimo; se due cerchi massimi, di cui uno è uno dei paralleli e l’altro è obliquo sui paralleli, tagliano questo cerchio massimo ad angolo retto; se sul cerchio obliquo si considerano due archi uguali e consecutivi, dalla stessa parte rispetto al massimo dei paralleli e si tracciano i cerchi massimi passanti per i punti così ottenuti e per i poli dei paralleli, essi determinano sul massimo dei paralleli due archi disuguali, dei quali quello più vicino al cerchio massimo tracciato per primo sarà continuamente maggiore di quello più lontano.
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3.1. Analisi della ‘pars destruens’ Nel paragrafo XIX vengono passati in rassegna i motivi che possono far ritenere necessaria la condizione di perpendicolarità. Il primo motivo in favore della perpendicolarità in (*) è che la dimostrazione di (6, III Sph) che compare in Teodosio sfrutta la (5, III Sph), la quale non può essere dimostrata omettendo tale ipotesi. Infatti Pappo spiega nella sua (21, VI) che i cerchi paralleli βδ passanti per gli estremi θ, η, ζ degli archi uguali di αεγ, non sempre intersecano αβ : lo intersecano solo se αε è un quadrante. Allora, spiega Pappo, l’ipotesi ‘αγ ortogonale a αδ’ serve a garantire che
αε sia un quadrante.
Pur concordando sulla necessità di tale ipotesi in (5, III) delle Sferiche, Pappo ritiene ingenua («ineptum est») questa argomentazione in favore della ortogonalità in (*) e controbatte così: «minime ex quinto, ubi opus erat ea verba apponere, sextum theorema demonstres necesse est; nam sine dubio alia etiam demonstratio, quae non innitatur superiore theoremate, efficiet id quod propositum est», cioè non è per nulla necessario dimostrare il sesto teorema usando il quinto, nel quale quella ipotesi è necessaria; infatti anche una dimostrazione diversa, che non sfrutta il quinto teorema, conduce senza dubbio alla conclusione. Altri due motivi che possono essere addotti in favore della ortogonalità in (*), sono legati ad una seconda proposizione utilizzata nella dimostrazione di (6, III Sph) che Pappo non numera, ma che corrisponde alla prima del terzo libro delle Sferiche. Poiché in (21, VI Coll) Pappo descrive brevemente la dimostrazione di Teodosio e in modo non del tutto corretto, ricordiamo le linee essenziali della dimostrazione di (6, III Sph), prima di esaminare le parole di Pappo.
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La figura è quella presente nell’edizione di Heiberg. Per omogeneità con l’edizione di Hultsch, le lettere che nella figura di Heiberg sono maiuscole, sono state convertite in minuscole, ma non sono state modificate.
Proposizione (6, III Sph.) Teodosio Sia α uno dei poli dei paralleli. Sia αβγ un cerchio massimo, passante per α. Siano βζγ, δζε due cerchi massimi, ortogonali a αβγ. βζγ è uno dei paralleli. δζε è inclinato sui paralleli. Siano ηθ, θκ due archi consecutivi su arc δζ arc ηθ = arc θκ. Si traccino αηλ, αθµ, ακν passanti per α e per η, θ e κ.
(1)
(2)
Si deve provare che arc λµ > arc µν Dimostrazione
(5, III Sph.) 24 (10, II Sph.) 25
Si traccino ξηο, πθρ, σκτ paralleli a βγ e passanti per η, θ, κ rispettivamente arc σπ > arc πξ arc σπ = arc υθ e arc πξ = arc θφ allora arc υθ > arc θφ ⇒ ⇒ sia χ un punto di arc υθ tale che arc θφ = arc θχ ⇒
(2) (3, III Sph) 26 ⇒ ηφ = χκ Sia ϖχψω il cerchio parallelo a βγ, passante per χ (1) (15, I Sph) 27 αψκν taglia ϖχψω a metà e ad angolo retto ⇒ ⇒ ϖχψω ⊥ αψκν 24. Cfr. paragrafo 2.2. 25. Cfr. nota 16. 26. Cfr. nota 12. 27. Un cerchio massimo passante per i poli di un cerchio della sfera lo divide a metà e gli è ortogonale.
134 (16, XI Eucl) 28 (11, I Sph) 29
Michela Malpangotto Le rette di intersezione dei piani paralleli ϖχψω e βγ, con αψκν sono parallele tra loro Ma l’intersezione di αψκν con βζγ è un diametro di αψκν
(1, III Sph.) 30
(3) (6, I Sph.) 31 (10, II Sph.) 32
Allora la retta di intersezione di αψκν con ϖχψω è parallela a un diametro di αψκν ⇒ ⇒ tale retta divide αψκν in due parti disuguali; su di essa è innalzato, ortogonalmente a αψκν, l’arco contenente arc χψ e la circonferenza di tale arco è divisa in due parti disuguali in χ, delle quali arc ψχ è la minore Allora χψ è il più piccolo dei segmenti da χ a arc ψκν ⇒ ⇒ χψ < χκ ⇒ ⇒ χψ < ηφ Il cerchio χψω è maggiore di ξηφο allora arc χψ < arc ηφ arc χψ ~ arc µν e arc ηφ ~ arc λµ allora arc λµ > arc µν
Affrontiamo ora la descrizione che dà Pappo dei passaggi della (6, III Sph) di Teodosio da lui criticati. Modifichiamo le lettere di (21, VI) della Collezione mantenendo quelle della figura precedente, per rendere più semplice il confronto con la dimostrazione sopra riportata. Pappo dice: «una volta tracciati i cerchi paralleli e segnati due archi uguali φθ, θχ e descritto il cerchio parallelo χι passante per χ, si dice che δζε e βζγ tagliano αβγ ad angolo retto ⇒ ⇒ arc βζ è uguale ad un quadrante, di conseguenza arc χι è minore di un quadrante» (1) 28. Le intersezioni di un piano con due piani paralleli sono parallele. 29. Cfr. nota 10. 30. Su una corda, che non è un diametro di un cerchio di base, è innalzato ortogonalmente un segmento di cerchio, non maggiore di un semicerchio; un punto divide tale arco di circonferenza in due parti disuguali. La corda che sottende l’arco minore è la più piccola di tutti i segmenti che cadono dal punto all’arco minore della circonferenza di base. Se la corda su cui è innalzato l’arco di cerchio, è un diametro del cerchio di base e tutte le restanti ipotesi restano uguali, allora la corda che sottende l’arco minore è la più piccola di quelle che cadono dal punto di divisione dell’arco, alla circonferenza del cerchio di base; la corda che sottende la parte maggiore dell’arco ortogonale al cerchio di base è la più grande. 31. I cerchi della sfera che passano per il suo centro sono massimi; tra gli altri sono uguali quelli che distano ugualmente dal centro della sfera e sono minori quelli che distano maggiormente da esso. I cerchi massimi della sfera passano per il centro di essa; tra gli altri, quelli uguali distano ugualmente dal centro della sfera, quelli minori distano maggiormente da esso. 32. Cfr. nota 16.
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«Dicono 33 ciò per poter dire che: poiché δε è elevato perpendicolarmente a χι, sulla retta di intersezione di χι con δε e poiché si è detto» in (1) «che χ divide la circonferenza dell’arco contenente arc χι, innalzato su δι, in due parti disuguali, di cui χι è la minore, ne segue χι che è la più corta di tutte» (2). Pappo procede sottolineando che l’ipotesi di ortogonalità in (6, III Sph.) è stata usata per garantire che arc χι sia minore della metà dell’arco di χι innalzato su δε. 34 Ma ciò a detta di Pappo è assurdo, poiché dimostra in (22, VI Coll.) che ovunque sia χ, la corda χι è minore di tutte quelle che cadono da χ all’arco di circonferenza di δε compreso tra ι e il diametro di δε parallelo all’intersezione di δε con χι. Con queste argomentazioni Pappo mostra che anche in questo secondo ed ultimo punto l’ortogonalità di δε e αβγ è usata, ma non necessaria. 35 33. Pappo sta descrivendo le motivazioni addotte da coloro che sostengono la necessità dell’ipotesi di ortogonalità nell’enunciato di (6, III Sph). 34. Passaggio (1). 35. Il passo riportato traduce le edizioni latine di Commandino e Hultsch, che coincidono nel contenuto. La figura riproduce fedelmente quella che compare nell’edizione critica di Hultsch e differisce da quella presente nell’edizione di Commandino, riportata qui sotto. Pare che Commandino abbia modificato la figura di Pappo, aggiungendo un parallelo che era presente in Teodosio.
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Prima di lasciarsi convincere dalle parole di Pappo è opportuno confrontare attentamente il riassunto che lui fa di (6, III Sph) di Teodosio, con quello fedele a Teodosio da noi riportato. La figura propone una sovrapposizione delle figure di (6, III Sph) di Teodosio e di quella di (21, VI) di Pappo e riporta tratteggiate le linee che sono presenti in Teodosio e che in Pappo mancano. Tale omissione non creerebbe problemi, se dallo schema della dimostrazione di (6, III Sph.) dato in (21, VI) della Collezione non emergesse chiaramente che l’autore non li ha semplicemente tralasciati, ma li ha fatti coincidere con quelli tracciati: Pappo identifica il punto ψ, che in Teodosio è intersezione delle circonferenze di ακν e del parallelo per χ, con il punto ι, che è punto di intersezione del parallelo per ψ, con δε. Se si provasse a ripercorrere la dimostrazione riportata da Pappo sulla figura originale, si arriverebbe a concludere arc λµ > arc µω, relazione che non permette di esprimere la disuguaglianza tra arc λµ e arc µν che è la tesi dell’enunciato. Facendo così si commetterebbe comunque un errore, infatti il problema più grave che toglie ogni validità a questo ragionamento di Pappo è la affermazione errata di ortogonalità di δε su χι. Secondo Pappo l’ortogonalità di δε su αβ garantiva a Teodosio che arc χι fosse minore della metà dell’arco di χι innalzato ortogonalmente su δε e ciò autorizzava Teodosio ad applicare la (1, III Sph.) a tali cerchi. In realtà Teodosio applica la (1, III Sph.), ma non ai cerchi indicati da Pappo, che non sono ortogonali tra loro, bensì all’arco contenente arc χιψ, innalzato ortogonalmente (per 15, I Sph.) sul cerchio αψκν.
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Pappo sostiene che si possa omettere tale ipotesi (di ortogonalità di δε su αβ) perché, anche quando arc χι fosse maggiore di metà arco, il suo (22, VI Coll) garantirebbe che χι è il minore dei segmenti da χ ai punti di un arco della circonferenza di δε (anche se poi non specifica con quale segmento vada confrontato χι per giungere alla tesi). Ma anche tra le ipotesi di (22, VI Coll) vi è che i due cerchi devono essere ortogonali tra loro e δε non è ortogonale a χι (per ipotesi δε è inclinato sui paralleli). Quindi, che χι sia o meno minore di metà arco, non è possibile applicare né la (1, III) delle Sferiche, né la (22, VI) della Collezione ai cerchi indicati da Pappo. A questo punto risulta chiaro che questa parte della critica a (6, III Sph.) perde tutto il suo valore.
3.2. Analisi della ‘pars construens’ Passiamo ora ad esaminare la parte ‘costruttiva’ del commento di Pappo alle Sferiche. In essa vengono analizzate le relazioni che intercorrono tra gli archi di un cerchio di base, corrispondenti ad archi uguali e consecutivi considerati su un cerchio massimo inclinato rispetto a quello di base, al variare delle posizioni di questi ultimi su tutto un semicerchio. Le premesse su cui poggia questa ultima parte di analisi si trovano nei «Lemmata ad disceptationem de VI theoremate libri III Sphaericorum spectantia», che si sviluppano nelle proposizioni dalla 12 alla 20 del VI libro della Collezione.
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Tra di essi quelli direttamente utilizzati nell’analisi finale sono contenuti nelle proposizioni 14, 15 e 16. Pappo non ne dà un enunciato generico, ma li espone facendo riferimento alla figura. Proposizione (14, VI) Siano αβγ e βεγ due cerchi massimi della sfera, che si intersecano in β e γ. Sia δ un polo di αβγ. Siano arc βε = arc γη. (1) Siano δζ e δθ due cerchi massimi passanti per δ e per ε e η. Si deve provare che δε = δη Dimostrazione
(1) (2) (3)(vicev. 9, II Sph) 36 (15, I Sph.) 37 (12, II Sph.) 38
Sia κ il punto medio di arc εη Sia δκλ il cerchio massimo passante per κ e per δ arc βκ = arc κγ ⇒ ⇒ δκλ passa anche per i poli di βεγ ⇒ ⇒ δκλ ⊥ βεγ δε = δη
(2) (3)
36. Hultsch osserva che questo passaggio poggia sul viceversa di (9, II Sph.), come già Commandino aveva notato. Si veda Hultsch 1877 pag. 493 (nota). 37. Cfr. nota 27 38. Sui diametri di due cerchi uguali sono elevati ortogonalmente due archi di cerchio, sulle
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Proposizione (15, VI) Siano αβγ e βεηγ due cerchi massimi della sfera. Sia δ un polo di αβγ. Siano δεζ, δκλ, δηθ tre cerchi massimi passanti per δ tali che κ sia il punto medio di arc εκη. Si deve provare che
(A) arc βε = arc ηγ ⇒ arc ζλ = arc λθ (B) arc βε > arc ηγ ⇒ arc ζλ > arc λθ (C) arc βε < arc ηγ ⇒ arc ζλ < arc λθ
Dimostrazione (A) arc βε = arc ηγ, allora per (14, VI Coll) δε = δη ⇒ ⇒ il cerchio di polo δ, passante per ε, passa anche per η Sia tale cerchio εµη ; esso è parallelo a αβγ Poiché εµη e εκη si intersecano e δκλ passa per δ, polo di ηµε, e per κ, punto medio di arc εη, si ha arc εµ = arc µη per (9, ii Sph.) 39 Ma arc εµ ~ arc ζλ e arc µη ~ arc λθ allora arc ζλ ~ arc λθ ⇒ ⇒ arc ζλ = arc λθ, poiché stanno su uno stesso cerchio.
cui circonferenze si segnano due archi che abbiano come estremi quelli dei diametri e che siano minori della metà dell’arco cui appartengono e che siano uguali tra loro. Se sulle circonferenze di base si segnano due archi uguali, aventi come estremo quello del diametro, allora i segmenti che congiungono gli estremi dei due archi così individuati, con i precedenti, sono uguali. 39. Un cerchio massimo della sfera passante per i poli di due cerchi della sfera che sono tra loro secanti, divide a metà gli archi in cui i due cerchi si dividono. Sembra che nell’originale Pappo facesse riferimento alla figura precedente. Risulta chiaro, però dalla prima riga della dimostrazione, che compaiono lettere diverse (ξ al posto di η). Fu forse Commandino il primo che introdusse la figura riportata sopra, che rende più chiara la situazione in esame. Si veda Hultsch pag. 495.
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Pappo dimostra (B) nella proposizione (16, VI) in modo molto rigoroso e complesso. Proposizione (16, VI) Dimostrazione (B) Sia arc βε > arc ξγ Sia arc γµ = arc βε allora per il lemma (14, VI) δε = δµ ⇒ ⇒ il cerchio di polo δ passante per ε passa anche per µ. Sia esso εσµ. οδ è perpendicolare a εσµ e passa per il centro π di εσµ. Si prolunghino εµ e οξ ; essi si incontrino in τ.
Si conducano εο, ορκ, πρ, ρσ, πη, ητ . Poiché π, ρ e σ giacciono su εσµ, π, ρ e σ stanno nello stesso piano. οδ giace su κδλ, perciò π sta nel piano di δκλ. ορκ sta in tale piano.
Allora ρ, σ, π stanno nel piano di δκλ e in quello di εσµ, perciò ρ, σ, π sono allineati. Analogamente π, η, τ sono allineati. arc εκ = arc κξ ⇒ ang εοκ = ang κοξ ⇒ ⇒ εο : οτ = ερ : ρτ Ma a noi interessa il confronto tra arc ζλ e arc λθ, che è lo stesso tra arc εσ e arc ση, gli archi corrispondenti agli angoli επρ e ρπτ Cioè se il rapporto επ : πτ è maggiore uguale o minore di ερ : ρτ . 40 Si è provato ερ : ρτ = εο : οτ , allora cerchiamo se il rapporto tra εο e οτ > è maggiore uguale o minore di επ : πτ 41 ⇔ εο : οτ < επ : πτ ⇔
⇔ εο : επ
> <
οτ
> <
οπ
⇔ εο − επ : επ
⇔ οπ : επ
: πτ ⇔
> <
οτ − πτ : πτ ⇔
: πτ ,
cioè cerchiamo in che rapporto stanno πτ e επ , o equivalentemente cerchiamo di sapere se τπ è maggiore, uguale o minore di επ επ ερ : ? πτ ρτ 41. Nella traduzione latina di Hultsch si trova scritto: (…) ergo quaeram, quae sit εο : επ οτ πτ
40. Nella traduzione latina di Hultsch si trova scritto: Ergo quaenam est ratio
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Ma πε = πη e πη < πτ (per costruzione) ⇒ 2 2 2 2 ⇒ πτ > πε ⇒ οπ : επ > οπ : πτ ⇔ ⇔ οπ : επ > οπ : πτ ⇔ οπ + επ : επ > οπ + πτ : πτ εο = επ + πο e το = τπ + πο
allora εο : επ > οτ : πτ , permutando
εο : οτ > επ : πτ ⇒
⇒ εο :οτ > επ : πτ ma ερ :ρτ = εο :οτ allora ερ :ρτ > επ : πτ Risulta quindi che ang επσ > ang σπτ ⇒ ⇒ arc ε σ> arc ση Ma arc εσ ~ arc ζλ e arc ση ~ arc λθ allora arc ζλ > arc λθ. Pappo non esplicita la dimostrazione della tesi (C), tale caso è infatti simmetrico a (B). Passiamo ora all’analisi finale contenuta nei paragrafi che vanno dal XXI al XXVI del sesto libro della Collezione. Il paragrafo XXI si apre con queste parole: «His igitur praemissis demonstrandum est theorema, in quo per polum et per terminos aequalium circumferentiarum ab obliquo circulo abscissarum maximi circuli describuntur». 42 Le figure da noi usate non presentano le stesse lettere di quelle della Collezione ciò al fine di rendere meglio le linee generali del ragionamento. Proposizione (23, VI) Sia α un polo dei cerchi paralleli. Sia αβγ un cerchio massimo della sfera passante per α. Siano βγ, δε due cerchi massimi; βγ è uno dei paralleli, δε è inclinato sui paralleli. 42. «Con queste premesse si dimostra il teorema nel quale vengono descritti i cerchi massimi passanti per un polo e per gli estremi di archi uguali appartenenti al cerchio inclinato.»
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La circonferenza di δε interseca αβγ in δ e ε. La circonferenza di δε interseca βγ in κ e λ. Siano arc θη, arc ηζ due archi uguali appartenenti a arc δκ Siano αµ, αν, αξ i cerchi massimi passanti per α e per θ, η, ζ rispettivamente. Se δκε è ortogonale a αβγ, allora arc µν > arc νξ. Infatti arc δκ = arc δλ sono quadranti ⇒ ⇒ arc λθ > arc ζκ ⇒ ⇒ arc µν > arc νξ per (16, VI Coll) Quella riportata in (23, VI Coll.) non è altro che una dimostrazione alternativa di (6, III) delle Sferiche (si noti che non utilizza 5, III Sph.). Si passa ora al paragrafo XXII: «Iam dico, non additis verbis ‘ad rectos angulos’ non in omni casu id contingere quod propositum est». 43 Pappo passa quindi ad esaminare le situazioni che si possono avere quando δκε non è ortogonale a αβγ Proposizione (24, VI) Se arc κδ è minore di un quadrante, allora arc µν > arc νξ Infatti arc κλ è un semicerchio e arc κδ è minore di un quadrante. Allora arc λδ è maggiore di un quadrante ⇒ 43. «Ora si vedrà che se non si aggiunge ad angolo retto non si ha sempre la tesi.»
Sul commento di Pappo d’Alessandria alle Sferiche
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⇒ arc λθ è maggiore di un quadrante. Allora arc λθ > arc ζκ ⇒ ⇒ arc µν > arc νξ per (16, VI Coll.). Proposizione (25, VI) Se arc κδ è maggiore di un quadrante Sia σ il punto di κδ tale che arc κσ è un quadrante I due archi uguali e consecutivi di δκ possono essere in uno stesso fra i due quadranti determinati da σ, oppure ognuno in un quadrante diverso. Siano arc θη, arc κζ in due quadranti diversi (ossia σ ≡ η), allora arc µν = arc νξ. Infatti arc κσλ è un semicerchio e arc κσ è un quadrante ⇒ arc λσ è un quadrante allora arc λθ = arc ζκ ⇒ arc µν = arc νξ per (15, VI Coll). Proposizione (26, VI) Siano arc θη, arc ηζ in arc δσ (ossia σ ≡ ζ) allora arc µν < arc νξ. Infatti arc κζ è un quadrante. Allora arc ζκ > arc λθ ⇒ arc µν < arc νξ per (16, III Coll).
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Michela Malpangotto
Proposizione (27, VI) Siano arc θη, arc ηζ in arc σκ (ossia σ ≡ θ) allora arc µν > arc νξ. Infatti arc κθ è un quadrante. Allora arc λθ > arc ζκ ⇒ ⇒ arc µν > arc νξ per (16, VI Coll). Nel paragrafo xxvi Pappo riassume i risultati ottenuti: Abbiamo così dimostrato in primo luogo che se δε è ortogonale a αβ si ha la tesi proposta, se invece δε non è ortogonale a αβ : se arc δκ è minore di un quadrante si ha la tesi; se invece arc κδ è maggiore di un quadrante non si ha sempre la tesi. Se gli estremi degli archi sono ugualmente distanti da σ 44 allora gli archi su βγ sono uguali tra loro; se i due archi uguali stanno su arc σδ, l’arco di βγ più vicino a αδ è minore dell’altro; se i due archi uguali stanno su arc σκ, si ha la tesi proposta. Quindi, se δε non è ortogonale a αβ, non si ha sempre la tesi indicata.
Termina così il commento di Pappo alle Sferiche di Teodosio. Quest’ultima parte dell’analisi di Pappo, riassunta nel commento finale sopra riportato, suggerisce le seguenti osservazioni: il cerchio massimo cui il massimo dei paralleli e quello inclinato sui paralleli, sono ortogonali, esiste sempre perché è il cerchio massimo passante per i poli di entrambi; l’ipotesi di ortogonalità è perciò inutile, poiché sempre verificata. Tale cerchio ha solo una funzione di linea ausiliaria, o meglio serve a fissare un sistema di riferimento ‘canonico’ sulla sfera e in esso Teodosio decise di esprimere la tesi della sua (6, III Sph). 44. Punto tale che arc κσ sia un quadrante.
Sul commento di Pappo d’Alessandria alle Sferiche
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L’analisi condotta nelle proposizioni dalla 23 alla 27 del sesto libro della Collezione, non fa altro che considerare lo stesso problema analizzato da Teodosio, ma in un riferimento ‘non canonico’. Se la si legge da questo punto di vista, l’analisi di Pappo non fa altro che confermare la correttezza dell’enunciato di Teodosio. Il meridiano che esprime le coordinate ‘canoniche’, ossia il cerchio massimo usato da Teodosio, è quello ortogonale a entrambi i due cerchi massimi del suo enunciato. Esso è unico perché l’ortogonalità con i due cerchi massimi implica il suo passaggio per i poli di entrambi 45 e per due
45. In virtù di (15, I Sph.).
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Michela Malpangotto
Fig. 1. (23, VI Coll)
Fig. 2. (24, VI Coll)
punti della superficie sferica passa un unico cerchio massimo. Passando per i poli di entrambi, in virtù di (9, II Sph.) 46 divide a metà i semicerhci in cui δε e βγ si tagliano 47 e pertanto passerà per σ, punto di δε tale che arc κσ sia un quadrante. Quindi ασ sarà, nelle figure seguenti, il meridiano ‘canonico’. Il meridiano del riferimento usato da Pappo sarà αδβ, essendo δ il punto in cui esso interseca il cerchio κε. I casi analizzati in (23, VI Coll) e (24, VI Coll) in realtà coincidono:
Fig. 3. (25, VI Coll)
Fig. 4. Figura 3 ruotata nel riferimento ‘canonico’
46. Un cerchio massimo della sfera passante per i poli di due cerchi che sono tra loro secanti, divide a metà gli archi in cui i due cerchi si dividono. 47. (11, I Sph.): due cerchi massimi della sfera si dividono a metà.
Sul commento di Pappo d’Alessandria alle Sferiche
Fig. 5. (26, VI Coll)
147
Fig. 6. Figura 5 ruotata nel riferimento ‘canonico’
In (23, VI) Pappo sceglie lo stesso riferimento di Teodosio, e entrambi esaminano arc θη e arc ηζ appartenenti a arc σκ. In (24, VI Coll) cambia riferimento, ma arc θη e arc ηζ sono scelti su arc δκ, che è un arco contenuto in arc σκ e perciò fanno parte di quelli esaminati in (6, III Sph.). In 25, 26 e 27, VI Pappo esamina la posizione di arc θη e arc ηζ, in relazione al punto σ e ciò indica che anche lui, implicitamente, si riferisce al sistema ‘canonico’. In (25, III Coll) gli archi vengono considerati nei due quadranti. Si noti che tale caso non è contemplato nell’enunciato di (6, III Sph) Teodosio.
Fig. 7. (27, VI Coll)
Fig. 8. Figura 7 nel riferimento ‘canonico’
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Michela Malpangotto
Il caso esaminato in (26, VI Coll) ricade nuovamente nell’enunciato di (6, III) delle Sferiche, infatti se lo si riporta nel riferimento ‘canonico’ (fig. 6), si vede che si può applicare la (6, III) delle Sferiche a arc θη e a arc ηζ poiché giacciono dalla stessa parte di βγ e nel quadrante arc λσ e allora si ha che arc νξ, essendo più vicino a ασ, è maggiore di arc µν, cioè arc µν < arc νζ, ma ciò concorda con (26, VI) della Collezione. Anche il caso analizzato in (27, VI Coll) rientra nelle ipotesi di (6, III) delle Sferiche: arc θη e arc ζη giacciono da una stessa parte di βγ e sul quadrante arc κσ, allora, (6, III Sph) dice che, essendo arc νµ più vicino a ασ, esso è maggiore di arc νξ, cioè arc νµ > arc νζ, che è la stessa relazione ottenuta da Pappo. Come si vede quindi, tutta la casistica esaminata da Pappo è soggetta a (6, III) delle Sferiche, poiché Pappo non ha apportato nessuna modifica alla struttura dei cerchi esaminati, ma ha semplicemente eseguito un cambiamento di coordinate. Pervenuto in redazione il 30 luglio 2002.
composto, in carattere dante monotype, impresso e rilegato in italia dalla accademia editoriale®, pisa · roma
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La matematica antica su cd-rom Uno dei maggiori problemi nell’insegnamento e nella ricerca in Storia della matematica consiste nella difficoltà di accedere alle opere originali dei matematici dei secoli passati. Ben pochi autori, in genere solo i più importanti, hanno avuto edizioni moderne; per la maggior parte occorre rivolgersi direttamente alle edizioni antiche, presenti solo in poche biblioteche. Questa situazione è particolarmente gravosa nei centri privi di biblioteche importanti, dove anche lo svolgimento di una tesi di laurea in storia della matematica è ritardato dai tempi a volte lunghissimi necessari per procurarsi fotocopie o microfilms delle opere necessarie, ma sussiste anche nei centri maggiori, dove in ogni caso l’accesso ai volumi antichi è sottoposto a controlli e limitazioni. Per ovviare almeno in parte a questi inconvenienti, e permettere una maggiore diffusione della cultura storico-matematica, il Giardino di Archimede ha preso l’iniziativa di riversare su cd-rom e diffondere una serie di testi rilevanti per la storia della matematica. Ogni cd contiene circa 5000 pagine (corrispondenti circa a 15-20 volumi) in formato pdf. La qualità delle immagini è largamente sufficiente per una agevole lettura anche dei testi più complessi e non perfettamente conservati. Il prezzo di ogni cd è di 130 euro. Per acquisti o abbonamenti a dieci o più cd consecutivi viene praticato uno sconto del 20%. Per ulteriori informazioni si può consultare il sito del Giardino di Archimede: www.archimede.ms Per ordinazioni: Il Giardino di Archimede Viale Morgagni 67/a 50134 Firenze Tel. ++39-055-4237119, Fax ++39-055-4222695 e-mail: [email protected]fi.it Indice degli ultimi cd pubblicati GdA 15 • Campolini, Giacomo, Propositioni aritmetiche. Venezia, Tramontin, 1700 • Castelli, Benedetto, Risposta alle opposizioni. Firenze, Giunti, 1615 • Considerazioni dell’Accademico incognito sopra il Discorso di Galilei. Pisa, Boschetti, 1612 • Cozzando, Leonardo, De magisterio antiquorum philosphorum. Genève, De Tournes, 1684 • Craig, John, Methodus figurarum quadraturas determinandi. London, Pitt, 1685 • Craig, John, De figurarum curvilinearum quadraturis. London, Smith & Walford, 1693 • Cremonini, Cesare, Disputatio de coelo. Venezia, Baglioni, 1613 • Dalla Porta, Giovan Battista, De distillatione. Roma, Camera Apostolica, 1608 • Dalla Porta, Giovan Battista, Della chirofisionomia. Napoli, Bulifon, 1677 • Dalla Porta, Giovan Battista, Della fisionomia ridotta in tavole sinottiche. Roma, Mascardi, 1637 • Dalla Porta, Giovan Battista, Della magia naturale libri XX. Napoli, Bulifon, 1677 • Dalla Porta, Giovan Battista, I tre libri de’ spirituali. Napoli, Carlino, 1606 • Dalla Porta, Giovan Battista, La magie naturelle. Lyon, De la Roche, 1678 • Dalla Porta, Giovan Battista, Pneumaticorum libri tres. Napoli, Carlino, 1601
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Danesi, Luca, Opere. Ferrara, Bolzoni, 1670 Dati, Carlo, Lettera a Filateti. Firenze, Stella, 1663 De Angelis, Agostino, Lectiones meteorologicae. Roma, Carbi, 1664 De Dominis, Marco Antonio, De radiis visus et lucis. Venezia, Baglioni, 1661 De la Chambre, Marin, La lumière. Paris, D’Allin, 1662 De la Chambre, Marin, Observations et coniectures sur l’iris. Paris, D’Allin, 1662 Del Borro, Alessandro, Il carro di Cerere. Lucca, Ciuffetti, 1699 Delle Colombe, Lodovico, Discorso apologetico. Firenze, Pignoni, 1612 Del Papa, Giuseppe, Se il fuoco e la luce siano una cosa medesima. Firenze, Bonardi e Luti, 1675 Del Papa, Giuseppe, Della natura dell’umido e del secco. Firenze, Vangelisti, 1681 De Riso, Domenico, Orbis terrarum machinis motus. Napoli, Raillard, 1682 Descartes, Réné, Geometria. Amsterdam, Elzevier, 1659-61 Descartes, Réné, Epistolae. Amsterdam, Blaev, 1682 Descartes, Réné, Geometria. Leyden, Maire, 1649 Di Grazia, Vincenzo, Considerazioni sopra’l Discorso di Galileo. Firenze, Pignoni, 1613 Galilei, Galileo, Discorso intorno alle cose che stanno in sù l’acqua. Firenze, Giunti, 1612 Schoock, Martin, Admiranda Methodus Philosophiae R. Des Cartes. Utrecht, Van Waesberg, 1643.
GdA 16 • Canterzani, Sebastiano, Osservazioni sul valor cardanico. Bologna, Istituto delle Scienze, 1787 • Canterzani, Sebastiano, Osservazioni sopra il ritorno delle serie. Mem. Soc. Ital. 5 (1790) • Capello, Angelo, Astrosophia numerica. Venezia, Mora, 1733-1737 • Caracciolo, Giovanni Battista, De lineis curvis. Pisa, Carotti, 1740 • Caracciolo, Giovanni Battista, Geometria algebrica. Roam, Salomoni, 1759 • Carmagnini, Filippo, Della quadratura del circolo. Firenze, Viviani, 1751 • Carrara, Francesco, La caudta del velino nella Nera. Roma, Casaletti, 1779 • Cassini, Jacques, Éléments d’astronomie. Paris, Imprimerie Royale, 1740 • Cassini Jacques, Tables astronomiques. Paris, Imprimerie Royale, 1740 • Castel, Louis, Mathématique universelle. Paris, Simoni, 1728 • Castel, Louis, Le vrai système de physique de Newton. Paris, Simoni, 1743 • Cavallo, Tiberio, History and practice of aerostation. London, Dilly, 1785 • Cavallo, Tiberio, Trattato completo d’elettricità. Firenze, Cambiagi, 1779 • Cheseaux, Jean Philippe, Traité de la comète. Lausanne, Bousquet, 1744 • Clairaut, Alexis Claude, Elementi di geometria. Roma, Monaldini, 1771 • Clairaut, Alexis Claude, Figure de la Terre. Paris, Durand, 1743 • Cocoli, Domenico, Dissertazione sopra le teoria delle acque. Brescia, Pasini, 1783 • Cocoli, Donenico, Elementi di geometria. Brescia, Pasini, 1792 • Condorcet, Marie Jean, Esquisse d’un tableau historique. Paris? 1795 • Corradi d’Austria, Domenico, De’ calcoli differenziale e integrale. Modena, Torri, 1743-1744 • Cosatti, Lelio, Riflessioni sopra il sistema dei tre matematici. Roma, Bernabò e Lazzarini, 1743 • Cossali, Pietro, La controversia analitica. Verona, Moroni, 1786 • Deidier, Elemens des principales parties des mathématiques. Paris, Jombert, 1745 • Deidier, La mechanique génerale. Paris, Jombert, 1741 • Deidier, Le parfait ingenieur francois. Paris, Jombert, 1742
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Anno XXIII · Numero 2 · Dicembre 2003
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SOMMARIO Djamil Aissani, Dominique Valerian, Mathématiques, commerce et société à Béjaïa (Bugia) au moment du séjour de Leonardo Fibonacci (XIIe-XIIIe siècle)
9
Raffaella Franci, Leonardo Pisano e la trattatistica dell’abaco in Italia nei secoli XIV e XV
33
Roshdi Rashed, Fibonacci et le prolongement latin des mathématiques arabes
55
Luigi Pepe, Leonardo Pisano nel Settecento
75
Charles Burnett, Fibonacci’s ‘method of the Indians’
87
Ivo Schneider, The solution of the two main problems concerning games of chance in the late European Middle Ages and the possibility of Islamic sources
99
Marina Montesano, Cultura e prospettive mediterranee nella società genovese al tempo di Fibonacci 109
Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche · Vol. XXIII · (2003) · Fasc. 2
mathématiques, commerce et société à béjaïa
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Djamil Aissani · Dominique Valerian MATHÉMATIQUES, COMMERCE ET SOCIÉTÉ À BÉJAÏA (BUGIA) AU MOMENT DU SÉJOUR DE LEONARDO FIBONACCI (XII e-XIII e SIÈCLES) . Introduction
Le Liber Abaci a fait l’objet de plusieurs centaines de travaux. Parmi les aspects qui ont été cernés avec précision, on peut citer les sources musulmanes du Liber Abaci et la manière judicieuse avec laquelle Leonardo Fibonacci les a utilisées, les rapports du Liber Abaci avec les textes traduits en Espagne au milieu du XIIe siècle, ses apports dans le domaine des mathématiques, et les apports possibles de la pratique marchande aux mathématiques à la fin du XIIIe siècle et réciproquement. Mais rares sont les études qui se sont attachées à analyser les liens entre le milieu dans lequel le jeune Fibonacci a vécu, notamment le milieu marchand pisan à Béjaïa, et la formulation de son savoir mathématique. La ville de Béjaïa a eu en effet le privilège d’accueillir à la fin du XIIe siècle le jeune Leonardo de Pise. Nous le savons grâce à son propre témoignage dans le Liber Abaci, datant aujourd’hui de huit cent ans. Lorsque mon père fut nommé, loin de la patrie, scribe officiel à la douane de Béjaïa (Bugia), en mission pour les commerçants de Pise, il me fit venir auprès de lui alors que j’étais enfant, et ayant réfléchi aux intérêts et avantages futurs que je pourrais en tirer, il voulut que je reste pendant quelques temps pour étudier l’abaque et en recevoir l’instruction. Là, initié grâce à un enseignement admirable dans le savoir faire au moyen des neufs figures indiennes, la science de cet art me plut à un point plus élevé que tout le reste et j’appris pour mieux le reconnaître, tout ce qu’on pouvait étudier d’elle en Egypte, en Syrie, en Grèce, en Sicile et chez les habitants de Provence, selon les façons propres à chacun. 1
Le jeune Leonardo vit alors aux côtés de son père dans un milieu marchand, habitué aux affaires, et donc aux calculs. C’est vraisemblablement à Béjaïa qu’il entre pour la première fois en contact avec l’héritage mathématique des Pays de l’Islam. Cela suppose évidemment qu’il était en mesure de suivre et de comprendre cet enseignement. Son niveau d’éducation à son arrivée à Béjaïa est difficile à évaluer, mais son père, étant
1. L. Pisano (Fibonacci), Liber abaci, éd. Baldassarre Boncompagni, Rome, 1857, 1. Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche · Vol. XXIII · (2003) · Fasc. 2
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djamil aissani · dominique valerian
données ses fonctions de scriba, 2 est quelqu’un qui possède une certaine éducation, qui sait lire et écrire, et bien sûr compter. Il est vraisemblable que Leonardo a reçu sa première éducation dans ce milieu, d’abord à Pise peut-être, puis à Béjaïa. Il a certainement appris alors à se servir de l’abaque, que les jeunes fils de marchands commençaient à manipuler vers l’âge de 11 ans. 3 Mais il est peu probable que sa formation mathématique initiale soit allée plus loin. Certes, des traductions latines ou des adaptations des ouvrages d’al-Khwarizmi ont été faites au XIIe siècle, en Péninsule ibérique, 4 mais il est peu probable que Leonardo en ait eu connaissance avant de venir à Béjaïa. C’est donc dans ce port qu’il entre véritablement en contact avec l’héritage mathématique des Pays de l’Islam. Cela suppose qu’il était en mesure de suivre et de comprendre un enseignement en arabe, à moins d’imaginer un interprète, ce qui est assez improbable. Il n’y a d’ailleurs pas lieu de s’en étonner: les archives de Pise conservent des lettres du début du XIIIe siècle écrites en arabe par des marchands ifrîqiyens à leurs partenaires pisans. 5 Ces lettres montrent que les destinataires des lettres étaient capables de les lire ou de les faire lire, mais soulignent surtout la très grande proximité et même l’amitié qui liaient marchands ifrîqiyens et Pisans à cette époque. La curiosité et l’intelligence de Leonardo dut faire le reste. Le Liber Abaci, qu’il écrit au seuil du XIIIe siècle, est notamment le résultat et le témoignage de ce double apprentissage: un mirabili magisterio (enseignement remarquable) reçu à Béjaïa, mais également lors de ses voyages en Méditerranée, 6 et une expérience de fils de marchand qui lui permit de saisir les applications pratiques de son nouveau savoir, ou du moins de formuler ce dernier en recourrant à des exemples puisés dans le monde du grand négoce international. A Béjaïa, le jeune Leonardo vit dans un milieu commerçant extrêmement dynamique, qui l’a rendu sans doute particulièrement sensible à ce que la tradition mathématique arabe pouvait apporter dans le domaine des transactions. Le Liber Abaci est, du moins dans sa première partie, le témoignage de ce double apprentissage, qui apparaît notamment dans les problèmes abordés et les exemples choisis à l’appui des démonstrations. 2. Cette fonction n’est pas bien définie. Elle précède celle du consul, qui apparaît un peu plus tard dans les ports maghrébins, et doit en avoir certaines des attributions. Le scriba avait donc vraisemblablement des tâches administratives à la tête de la communauté pisane à Bougie. 3. Sur l’éducation des marchands, cfr. A. Sapori, Mercatores, Milan, 1941. 4. J. Vernet, Ce que la culture doit aux Arabes d’Espagne, 1978, trad. fr. Paris, 1985, 135- 9. 5. M. Amari, Diplomi arabi del R. Archivio fiorentino, Florence 1863, 31 ss. 6. Il affirme, dans la première page de son Liber Abaci, avoir puisé sa science au cours de ses voyages en Egypte, Syrie (sans doute dans les Etats latins), Grèce (c’est-à-dire dans l’empire byzantin, et vraisemblablement à Constantinople), Sicile et Provence. Liber Abaci, op. cit., 1.
mathématiques, commerce et société à béjaïa
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2. Béjaïa, un port actif du commerce méditerranéen à la fin du XII e siècle De nos jours, Béjaïa fait partie du Maghreb central. C’est la capitale du pays des Banû Hammad. Les vaisseaux y abordent, les caravanes s’y rendent, les marchandises y sont acheminées par terre et par mer […]. Les marchands de cette ville sont en relation avec ceux du Maghreb occidental, ainsi qu’avec ceux du Sahara et de l’Orient. 7
C’est ainsi qu’al-Idrîsî, géographe attitré du Roi Normand Roger II de Sicile souligne, au milieu du XIIe siècle la place de Béjaïa dans les réseaux terrestres et maritimes. Lorsque Leonardo Fibonacci arrive à Béjaïa avec son père, vers la fin du XIIe siècle, 8 la ville est en effet un des ports les plus actifs du Maghreb. Fondé par l’émir hammadide al-Nâsir en 1067, il bénéficie d’une situation excellente dans le Maghreb central, au débouché de la vallée de la Soummam qui le met en relation avec l’arrière-pays et, au-delà, avec les routes sahariennes qui mènent au pays de l’or. Avant même la fondation d’une nouvelle ville pour compléter, puis remplacer la Qal‘a des Banû Hammad, le mouillage est fréquenté par des marins et marchands andalous, comme le montre le témoignage d’al-Barkî. 9 Mais c’est l’arrivée de la cour hammadide et le développement des infrastructures portuaires entre la fin du XIe et le XIIe siècle qui font de la ville un des principaux pôles politiques, économiques, intellectuels et religieux de la région. 10 Le passage, à partir de 1152, sous la domination almohade, renforce cette place, malgré la perte de l’indépendance politique. La ville devient alors le siège d’un gouverneur almohade, est intégrée dans un vaste ensemble qui court d’al-Andalus à l’Ifrîqiya, et se 7. Idrîsî, trad. du chevalier Jaubert, revue par A. Nef, La première géographie de l’Occident, Paris 1999, 165. 8. La date de son séjour est difficile à déterminer, puisque Fibonacci lui-même ne donne aucune précision sur la question. On considère généralement que notre mathématicien est né entre 1170 et 1180 (E. Giusti, Matematica e commercio nel Liber Abaci, in Un Ponte sul Mediterraneo. Leonardo Pisano, la scienza araba e la rinascita della matematica in Occidente, Pisa 2002, 60), et il affirme être venu enfant (puer) à Bougie, soit entre 7 et 12 ans. Très vraisemblablement la venue de Leonardo à Bougie se situe vers la fin des années 1180 ou au début des années 1190, une fois passée la crise provoquée dans la ville par la conquête des Banû Ghâniya venus de Majorque reconquérir l’ancien empire almoravide (cfr. A. Bel, Les Benou Ghânya, derniers représentants de l’empire almoravide et leur lutte contre l’empire almohade, 1903). Les actes des notaires génois, qui permettent de suivre avec plus de précision l’évolution des échanges avec Bougie, montrent par ailleurs que les affaires ne reprennent véritablement qu’en 1191, une fois passées les tensions liées à la troisième croisade (D. Valérian, Bougie, port maghrébin, 1067-1510, Thèse de l’université Paris I 2000, 559-65). Leonardo aurait alors entre dix et quinze ans, ce qui correspond assez bien à son témoignage. 9. Al-Bakrî, Kitâb al-masâlik wa l-mamâlik, éd. et trad. Mac Guckin de Slane, Description de l’Afrique septentrionale, Alger, 1911-3, rééd Paris, 1965, 166-7. 10. Cfr. R. Bourouiba, Les H’ammadites, Alger 1984; A. Amara, Pouvoir, économie et société dans le Maghreb hammadide (395/1004 – 547/1152), thèse de l’université Paris I 2002.
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trouve sur le principal axe de circulation de l’empire. Elle devient un centre de savoir et d’enseignement qu’illustre, à la fin de la période hammadide, la rencontre entre le mahdî almohade Ibn Tûmart et celui qui devint son premier successeur ‘Abd al-Mu’min. 11 L’activité scientifique y est alors intense, et couvre notamment le champs des mathématiques. 12 Le port accueille à cette époque des Italiens venus en grande partie de Pise, qui a très tôt entretenu des relations privilégiées avec les souverains musulmans, au Maghreb comme en Orient. 13 Mais on trouve également des Génois et des Vénitiens, peut-être également des marchands d’Italie méridionale et de Sicile, bien que ces derniers soient mal documentés. 14 Très tôt des traités de paix et de commerce ont été signés entre Pise et les Almohades: en 1166, 15 puis à nouveau en 1186, ce dernier texte citant Béjaïa parmi les ports où les Pisans peuvent venir commercer. 16 Ces accords facilitent la venue des marchands latins, en leur offrant des conditions d’accueil leur permettant de développer leurs affaires et de faciliter leur séjour, et des tarifs douaniers favorables. C’est donc dans la seconde moitié du XIIe siècle que les échanges commerciaux avec l’Europe du sud prennent de l’ampleur. En dépit de crises passagères, cette prospérité dure jusqu’aux années 1310-1320. Elle profite de la stabilité politique de l’empire almohade au Maghreb, mais aussi du grand dynamisme économique de l’Europe, en particulier des grands ports italiens. Les marchands les plus actifs à Béjaïa à cette époque sont les Pisans et, dans une moindre mesure sans doute, les Génois. La destruction de la quasi-totalité des archives de Pise du XIIe et du XIIIe siècle ne permet pas de suivre l’évolution des échanges avec précision, mais plusieurs indices montrent une présence très forte au Maghreb, comme du reste dans l’ensemble du monde musulman, jusqu’à la fin du 11. Al-Baydhaq, Kitâb akhbâr al-Mahdî Ibn Tûmart, éd. et trad. Evariste Lévi-Provençal, Documents inédits d’histoire almohade, fragments inédits du “Legajo” 1999 du fond arabe de l’Escurial, Paris, 1928, 82 -3. 12. D. Urvoy, La structuration du monde des ulémas à Bougie au VIIe/XIIIe siècle, «Studia Islamica», XLIII (1976), 93; D. Aïssani et al., Les mathématiques à Bougie médiéval et Fibonacci, in Leonardo Fibonacci. Il tempo, le opere, l’eredità scientifica, dir. M. Morelli et M. Tangheroni, Pise, 1994, 67-82. 13. M. Tangheroni, Fibonacci, Pisa e il Mediterraneo, in Leonardo Fibonacci. Il tempo, le opere, l’eredità scientifica, dir. M. Morelli et M. Tangheroni, Pise, 1994, 15-34. 14. Valérian, Bougie, port maghrébin, op. cit., 560-5. 15. B. Marangone, Annales Pisani, éd. M. Lupo Gentile, Rerum italicarum, scriptores 2, VI, 2, 40. 16. Texte arabe et trad. italienne dans Amari, Diplomi arabi, op. cit., 17-22. Sur ces accords, voir O. Banti, I trattati tra Pisa e Tunisi dal XI al XIV secolo. Lineamenti di storia dei rapporti tra Pisa e il Maghreb, in L’italia ed i paesi mediterranei. Vie di communicazione, scambi commerciali e culturali al tempo delle repubbliche maritime, Pise, 1988, 43-56.
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XIIIe siècle. 17 Les actes notariés génois permettent cependant de se faire une idée de l’importance relative de Béjaïa dans ce grand commerce méditerranéen. En 1191, date à laquelle Fibonacci est vraisemblablement présent dans la ville, un quart des investissements génois se font à destination du Maghreb et, parmi eux, 20% à destination de Béjaïa. 18 Ces mêmes documents génois, mais aussi quelques documents pisans, montrent les produits échangés dans le port de Béjaïa. A l’importation, les textiles dominent incontestablement. Sur 202 documents génois des XIIe et XIIIe siècles faisant apparaître des produits, 91 concernent des investissements en textiles. 19 Béjaïa reçoit donc des tissus provenant de toutes les régions productrices du monde chrétien, et sans doute également du Dâr al-Islâm. Mais on peut aussi trouver, en quantité moins importante, des achats de matières premières textiles comme du lin ou du coton. A l’exportation, on trouve principalement des produits liés aux activités d’élevage, qui sont alors développées dans l’arrière-pays de Béjaïa. 20 Cela s’explique par la demande des industries textiles et du cuir, très dynamiques en Europe. Les laines, en particulier, sont exportées en masse jusqu’au XIVe siècle, comme le montrent bien les très nombreuses ventes de «laines de Bougie» sur le marché génois au XIIIe siècle. 21 De même, l’exportation des cuirs a été dès le début un des secteurs clés du commerce de Béjaïa. En 1181, la douane du port interdit aux pisans d’exporter des cuirs ou des basanes s’ils ne disposent pas d’un capital de 500 dinars comme caution pour l’exercice de leur commerce, ce qui provoque une protestation des autorités pisanes. 22 Le plus souvent, il s’agissait de peaux d’agneaux. On trouve dans la documentation européenne la mention de «bogett», dont l’étymologie renvoie à Bugia, le nom latin de la ville au Moyen Age, et qui désigne toujours des cuirs d’agneaux. On trouve aussi les termes de bogget, bugeye, bougie, budge, budye. Ce terme désignait au départ des cuirs d’agneaux importés de Béjaïa, et finit par désigner un type de cuir sans référence à son origine réelle. 23 Toujours en relation avec les industries européennes, on trouve 17. Cfr. D. Valérian, Gênes et Pise: une concurrence pour le marché bougiote, in Actes du Colloque International Béjaïa et sa région à travers les Ages, Béjaïa 1997, à paraître. 18. E. Bach, La Cité de Gênes au XIIe s., Copenhague, 1955, annexes, et Valérian, Bougie, op. cit., 564. 19. Valérian, Bougie, port maghrébin, op. cit., 317. 20. Ibidem, 354 ss. 21. Ibidem, 357-65. 22. Amari, op. cit., partie arabe, n° 3, 10-3 (1/7/1181). L’interprétation de cette interdiction n’est pas facile. Sans doute s’agissait-il de lutter contre des marchands peu scrupuleux qui partaient sans régler leurs achats. Mais ce qu’il importe de relever ici est la grande importance de ce commerce des cuirs pour les pisans. 23. R. Delort, Le Commerce des fourrures en Occident vers la fin du Moyen Age, Rome, 1975, 88.
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parmi les exportations du port, de l’alun, qui servait alors de mordant dans les opérations de teinture des textiles, et que les Européens allaient chercher principalement dans le monde musulman avant la découverte des mines de Phocée en Asie Mineure à la fin du XIIIe siècle. 24 Enfin Béjaïa exportait de la cire, et les chandelles finirent par prendre, au début du XIVe siècle, le nom de la ville: bougie. 25 Ces échanges, que nous montrent principalement les actes notariés, généraient une grande activité dans le port, notamment au moment de l’arrivée et du départ des navires. Les marchands latins, une fois les marchandises débarquées, passaient d’abord par la douane, où leurs biens étaient pesés et mesurés, puis notés dans les registres de la douane en vue de leur taxation. Puis les marchandises étaient acheminées vers les fondouks, à la fois entrepôts et lieux de résidence pour les chrétiens étrangers. 26 Par la suite, les échanges s’effectuaient soit à la douane, soit au marché (souk). Les ventes se faisaient souvent aux enchères, et les marchands avaient recours à divers intermédiaires, notamment les drogmans. Les opérations étaient donc complexes, rendues plus difficiles encore par les différences qui pouvaient exister entre Pise et Béjaïa, que ce soit au niveau des poids et mesures, des monnaies, des techniques commerciales. Il fallait donc savoir calculer le prix des marchandises en faisant jouer des systèmes de référence variés et souvent compliqués. Ainsi les sommes étaient données, dans les documents, en unités de compte (la livre pour Pise), mais les transactions se faisaient en utilisant des pièces de monnaies réelles (en argent ou en or le plus souvent), ou par le système du troc. Il fallait donc effectuer une double conversion: entre monnaies de comptes et monnaies réelles d’une part, entre pièces pisanes et almohades d’autre part, dont la valeur pouvait du reste varier en fonction des politiques des souverains. Il en allait de même avec les poids et mesures, qui changeaient d’un port à l’autre, y compris parfois pour des ports soumis au même souverain. A partir du XIVe siècle les marchands disposent d’ouvrages, comme la célèbre Pratica della Mercatura du Florentin Pegolotti, qui leur donnaient des équivalences. Il est vraisemblable cependant que dans la pratique les marchands, ou du moins certains d’entre eux, possédaient dès le XIIe
24. C. Cahen, L’alun avant Phocée, «Revue d’histoire économique et sociale», 1963, 433-47. 25. Cette étymologie, globalement acceptée, est donnée dans le dictionnaire Littré (vol. I, 1155), qui cite à l’appui un texte du XIVe siècle. 26. Un fondouk des Pisans est signalé dans le traité de 1234 entre Pise et les Hafsides, mais il existait sans doute un lieu pour les marchands latins avant cette date.
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siècle ces connaissances lorsqu’ils se déplaçaient dans les ports du Maghreb. Mais cela ne rendait pas pour autant les calculs aisés. Cette expérience, le jeune Léonardo dut l’acquérir aux côtés de son père ou des autres Pisans de Béjaïa. Mais les techniques de calcul utilisées jusqu’alors restaient sommaires, et ne permettaient pas de résoudre facilement les opérations complexes. L’apport des mathématiques arabes fut dès lors déterminant. 3. Béjaïa, Centre de transmission méditerranéen La ville de Bougie a été l’un des centre culturels et scientifiques les plus dynamiques du Maghreb aux XIIe – XIVe siècles. Le haut niveau des enseignements mathématiques qui y étaient dispensés est notamment attesté par le cours d’algèbre supérieure d’al-Qurashi. Ce dernier, qui a vécu à Bougie vers la fin du XIIe siècle (donc avant le séjour de Fibonacci), aurait rédigé l’un des meilleurs commentaires du traité d’algèbre du célèbre mathématicien égyptien Abu Kamil sur les six équations [canoniques]. Or, l’influence d’Abu Kamil (850-930) sur l’oeuvre de Fibonacci a été soulignée par plusieurs auteurs. Nous nous proposons dans ce paragraphe de poursuivre le travail réalisé dans [4], d’une part en complétant les informations données sur al-Qurashi et en évoquant un savant ayant fait partie du milieu scientifique de Bougie au moment du séjour de Fibonacci. Quant à Ibn Sab‘in, il est présenté ici en raison de ses rapports avec l’empereur Frédéric II et de son influence prouvée sur l’œuvre du philosophe catalan Raymond Lulle (qui a reconstitué à Pise ses discussions avec les savants de Bougie). 3. a. Béjaïa, centre de savoir Dans [4], nous avons présenté les éléments principaux qui faisaient que la ville de Béjaïa (Bugia) symbolisait les contacts entre les mondes musulman et chrétien (le contexte politique, relations avec la chrétienté, transactions commerciales,…). Nous avons énuméré les particularités de la ville qui ont joué un rôle dans le développement des activités mathématiques et dans le processus de transmission des connaissances à travers la Méditerranée (présence d’une forte communauté andalouse, essor exceptionnel du commerce international, très haut niveau des études religieuses, étape obligée sur la route Espagne – Orient,…). Après avoir analysé les facteurs à l’origine d’activités mathématiques (facteurs sociaux-économiques et géo-politiques, encouragement des princes,…), nous avons présenté la structuration du milieu scientifique de la ville, sur la base de l’ouvrage bio-bibliographique d’al-Ghubrini (1246-1314) ([4],
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73), [2]. Le niveau mathématique atteint est cerné à travers la présentation de certains savants versés dans différentes disciplines mathématiques : science du calcul (al-Mansur al-Qal‘i), algèbre (al-Qurashi), astrologie et analyse combinatoire (al-Hirrali), astronomie (Abu l’Hassan ‘Ali), musique (al-Usuli). La situation de la ville au moment du séjour de Leonardo Fibonacci est présentée (situation de la ville à la fin du XIIe siècle, milieu scientifique, lieux d’enseignement, …). Les éléments identifiés de l’influence éventuelle de cette activité mathématique à Bougie sur l’œuvre de Fibonacci sont alors cernés. 3. b. L’algébriste al-Qurashi (m. 1184) Depuis le Congrès de Pise de 1994 [4], nos connaissances sur l’algébriste al-Qurashi (mort en 1184/580h.) ont considérablement évolué. L’analyse des sources bio-bibliographiques disponibles nous a permis de confirmer les témoignages relatifs au long séjour bougiote d’al-Qurashi. Ces sources permettent également d’identifier plusieurs maîtres d’al-Qurashi à Séville. Il est possible de cerner ce qu’avaient été ses études en mathématiques, car il est contemporain de deux éminents érudits de cette ville : le célèbre métaphysicien Ibn Arabi et le spécialiste en sciences des Héritages al-Hufi (mort en 1192). De même, ces sources précisent ses qualificatifs : Imam, Shaykh, Professeur,… et permettent également d’identifier 04 élèves d’al-Qurashi (il est précisé pour certains, par idjaza), dont un bougiote et un savant ayant été en poste à Bougie (cfr. [5]). Al-Qurashi est probablement arrivé à Bougie vers 1170. Il y a rencontré le célèbre jurisconsulte de Séville ‘Abd al-Haq al-Ishbili (mort en 1185). Les sources précisent qu’il a enseigné à Béjaïa l’algèbre et les sciences des héritages. Elles donnent les noms de 04 de ses élèves [5]. Son commentaire célèbre a été utilisé au Maghreb jusqu’au XIVe siècle. Ainsi, le Tlemcénien Al-Uqbani (mort en 1408), qui a été Qadi à Béjaïa, parle de la méthode d’al-Qurashi et dit qu’il l’a utilisé pour résoudre des problèmes. Ce sont les problèmes destinés à désigner le quatrième ou à résoudre des équations simples [32]. 3. c. Un contemporain de Léonardo: Ibn Hammad (1150-1230) Ibn Hammad (1150-1230), descendant de la famille des princes Hammadites, qualifié par Charles André-Julien de «savant actif et expérimenté», a fait partie du milieu scientifique de Bougie au moment du séjour de Léonardo Fibonacci. Dans le schéma présenté dans ([4], p. 73), on peut constater qu’il figure en bonne place dans la structuration du milieu scientifique de la ville. Ce personnage a été au milieu du XIXe siècle à
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l’origine d’une fantastique aventure intellectuelle. On peut s’en rendre compte en lisant la lettre du géomètre français Eugène Dewulf (18311893), alors Capitaine du Génie à Bugia, adressée au célèbre géomètre italien Luigi Cremona en 1863. Après avoir posé un problème de mathématique, il lui demande de lui «rendre un service». Il s’agit de prendre contact avec des orientalistes et de rechercher dans les bibliothèques italiennes le manuscrit d’Ibn Hammad sur l’histoire de Bougie. Cet ouvrage n’a pas encore été retrouvé de nos jours. En effet, Ibn Hammad a rédigé un abrégé d’histoire des fatimides vers 1220. Cependant, l’ouvrage que recherche Dewulf s’intitule « An Nubda al-Muhtaja Akhbar Sanhadja bi Ifrikiya wa Bidjaya ». Il s’agit de la source la plus ancienne sur l’histoire de Bougie et du Maghreb. Elle va être utilisée par plusieurs historiens postérieurs, notamment par le célèbre sociologue Ibn Khaldun (qui séjourna à Bougie en 1352 et en 1365-1366). C’est en 1864 qu’Eugène Dewulf a été mis en contact avec le grand orientaliste italien Michele Amari. Ce dernier l’informe que le manuscrit d’Ibn Hammad n’existe pas en Italie. Rappelons ici qu’Amari a retrouvé et traduit de nombreux documents (traités, lettres) concernant l’histoire de Bougie, aussi bien du temps des Almohades que de celui des Hafsides. Par ailleurs, à l’époque où il publie le supplément de son célèbre Diplomi arabi, il guide Dewulf dans son apprentissage de l’arabe. De fait, dans sa lettre du 3 avril 1867, Dewulf écrit (toujours à Cremona), «qu’il n’est pas impossible que sans sortir de mes études arabes, je vous envoie quelque travail». Il affirme posséder quelques manuscrits de mathématiques et pense que «quelques uns au moins sont inédits». Il propose ses services pour les traduire et lui joint une liste de ces manuscrits. Malheureusement, la liste en question, jointe à la lettre du 03 avril, n’a pas été retrouvée dans les archives. Il est probable que Crémona l’ait transmise au Prince Baldassare Boncompagni. En effet, Dewulf précise dans cette même lettre que ce dernier «vous indiquerait volontiers quels sont ceux qui sont inconnus et qu’il serait, par suite, intéressant de faire connaître». En effet, rappelons ici que le Prince Boncompagni avait été à l’époque au centre d’une importante correspondance autour des mathématiques maghrébines. 3. d. Les questions siciliennes à Ibn Sab‘in Le deuxième personnage que nous aimerions évoquer est Ibn Sab‘in (Murcie 1217 – Béjaïa 1270). Philosophe et Soufi, Ibn Sab‘in est célèbre pour avoir répondu aux questions philosophiques que l’empereur Frederic II de Hohenstaufen avait adressées au Sultan almohade Abd al-Wahid al-Rashid [2], [8].
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L’isnad de la méthode d’Ibn Sab‘in (Tariqa Sab‘iniyya) est donné par ashShushtari dans l’une de ses Kasida. Il montre l’imbrication de deux cultures grecque et musulmane, telle que l’acceptaient les adeptes d’Ibn Sab‘in . On y voit figurer entre autre transmetteurs, Platon, Aristote, Alexandre le Grand, al-Hajjaj, Abu Madyan,… Il semble que son cours ait eu un grand succès à Bougie [2]. Ibn Sab‘in n’apparaît pas dans la structuration du milieu scientifique présentée précédemment (cfr. [4], 73). Néanmoins, il a exprimé son admiration pour Ibn Rabi‘ (mort en 1277/675h.), qui était versé en mathématiques et en sciences des héritages. En ce qui concerne sa production, rappelons que les travaux du Professeur Lohr ont montré que, à partir de 1303, dans son effort pour constituer ce qu’il appelle «Nouvelle Logique», le célèbre philosophe Catalan Raymond Lulle a intégré définitivement les principaux éléments de la partie logique du Budd al-‘Arif d’Ibn Sab‘in. Raymond Lulle effectua de nombreux voyages à Bougie. C’est cependant son voyage de 1307 qui va entrer dans l’histoire. En effet, il permet la seule discussion méthodique («disputation») de Lulle avec un savant musulman dont il reste un compte rendu. Nous parlons de cet événement car la nouvelle version de cette «disputatio» a été rédigé ici même à Pise en 1308. Elle était plutôt destinée à être envoyée au Pape d’Avignon pour servir de base à un projet à la fois missionnaire et de croisade. La «disputatio» intéresse surtout le philosophe et le théologien par la controverse qui y est développée entre le Chrétien et le Musulman. 4. Les Transactions dans les mathématiques arabes La tradition algébrique dans les Pays de l’Islam est bien illustrée par cette phrase du célèbre sociologue maghrébin Ibn Khaldun: Le premier qui écrivit sur cette branche des mathématiques est Abu Abd Allah alKhawarizmi, après lequel vint Abu Kamil Chudja Ibn Aslam. On a généralement suivi la méthode de ce dernier dans cette science, et son traité sur les six problèmes de l’algèbre est l’un des meilleurs ouvrages composés sur cette science. L’un des meilleurs commentaires est celui d’al-Qurashi.
Pour avoir une idée globale de la place des transactions dans les mathématiques arabes (Al-Ma‘amalat - Mathématiques Appliquées à la science du négoce), on peut se baser sur les travaux de J. Sésiano, S. Lamassé, A. Djebbar, M. Souissi et E. Laabid, publiés dans les Actes du Congrès international, «Commerce et Mathématiques du Moyen âge à la renaissance, autour de la Méditerranée» (Editions C.I.H.S.O., Toulouse, Mars 2001 [37]).
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4. a. Traités disponibles Les traités disponibles sont de deux sortes: les ouvrages de Qisma (Consultations juridiques), qui définissent les conditions d’exercice du commerce, et les ouvrages de mathématiques. Ces derniers se répartissent en trois catégories [12]: • Les traités dont le titre comprend le mot Mu‘amalat (transactions). C’est par exemple pour l’orient, le Kitab fi hisab al-mu‘amalat d’Ibn al-Haytham (mort en 1039) et pour l’occident musulman, le Kitab al-Arkan fi l-Mu‘amalat ‘ala Tariq al-Burhan d’az-Zahrawi (mort au XIe siècle). • Les traités ou les manuels de la science du calcul comportant un chapitre particulier dont le titre contient le mot Mu‘amalat (Abu l-Wafa, Ibn Tahir [XIe siècle], Ibn Thabat [XIIe siècle]. Leur utilité est bien illustrée par cette phrase du célèbre mathématicien marocain Ibn al-Banna’ (mort en 1321): «La connaissance de ce chapitre est expresse pour les juges, les agents et les négociants». • Les traités rattachés à la tradition algébrique. On y distingue les écrits exclusivement réservés à des problèmes de transaction (Kitab at-Tara’if fi l-Hisab d’Abu Kamil [problèmes d’achat de volatiles], et la Risala fi Masa’il at-Talaqi d’Ibn al-Haytham [problèmes d’achat de bête de somme par plusieurs personnes]) et les traités d’algèbre qui réservent tous une ou plusieurs sections à des problèmes d’application ayant un lien avec les transactions (Kitab al-Mukhtasar, d’al-Khawarizmi, Kitab al-Jabr d’Abu Kamil).
4. b. Problèmes traités dans les ouvrages de mathématiques On distingue trois catégories de problèmes [12]: I) Problèmes de transactions : achat et vente de produits. Ils sont classés dans les manuels selon le procédé utilisé pour les quantifier. Il y a ainsi les produits mesurés en volume (liquides, céréales), en poids (minerais), en grandeur, c’est à dire en longueur ou en surface (tissus brodés), en temps (remplissage de bassins) et en nombre (impôt sur les arbres). II) Problèmes en relation avec le commerce : conversion, change, bénéfice. Ils concernent le travail salarié, les problèmes de conversion concernant les métaux précieux et, surtout, les monnaies (argent et or) dont la teneur variait suivant les régions et les époques. Dans cette catégorie, il y a le change licite, entre des monnaies de métaux différents et le change illicite entre deux monnaies d’un même métal. Il y a enfin les problèmes de bénéfices qui se répartissent eux-mêmes en deux catégories: les problèmes individuels et les profits et les pertes à répartir entre plusieurs personnes dans le cadre d’un contrat d’association. III) Problèmes imaginaires: problèmes de rencontres (achat d’une bête, bourse trouvée), problèmes de volatiles, problèmes de bénéfices. A ce niveau, il est nécessaire de détailler ces types de problèmes:
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• Problèmes de rencontre: Il s’agit de plusieurs personnes qui se rencontrent dans un marché et qui veulent acheter un produit ou une bête de somme (les versions les plus courantes sont celles qui concernent l’achat d’une monture. Mais parfois, il s’agit d’un habit ou d’une bourse trouvée), chacun demandant aux autres de compléter son capital en lui ajoutant une fraction du leur afin qu’il puisse réaliser l’achat. • Problèmes de volatiles. Cela consiste à acheter avec une somme donnée un nombre total donné de volatiles d’espèces diverses, connaissant le prix à l’unité de chaque espèce. • Problème de bénéfices: il n’existe qu’un seul type d’énoncé avec des variantes dans les coefficients et dans la formulation. Il s’agit d’une suite d’investissements de capital, de prises de bénéfice et de distributions d’une fraction de ce bénéfice, l’opération aboutissant toujours à la faillite du commerçant. L’intérêt de cet exercice n’est pas dans son contenu mathématique. Il est d’abord dans le fait qu’il est ancien, puisqu’on le trouve déjà chez Abu Kamil (Kitab al-Jabr, fol. 108a). Il a également servi à illustrer des notions ou des démarches nouvelles. En Andalus et au Maghreb, cet exercice va permettre au zéro d’intervenir «physiquement» dans une équation alors que, jusque là, il était complètement occulté.
4. c. Procédés de résolution des problèmes I) Problèmes de transactions: - Règle des quatre grandeurs proportionnelles; - Procédés donnant les pertes ou les bénéfices cumulés (sans justification); - Traitement par l’algèbre (Abu Kamil).
II) Problèmes des volatiles, des rencontres et de bénéfice: - démarche arithmétique ancienne (méthode de double fausse position); - démarche algébrique (nouvelle démarche de résolution).
4. d. Abu Kamil et le traitement des problèmes par l’algèbre (Kitab al-Jabr) Dans l’ouvrage d’Abu Kamil, on constate que quatre problèmes de transactions sont posés. Les inconnues sont appelées chose, dinars, dirhams, fals,… Le problème est posé en termes d’équations et est résolu pas à pas par «substitution». Abu Kamil a simplifié la méthode classique en introduisant une inconnue auxiliaire, la somme des inconnues du problème et à exprimer, en fonction de cette somme et de la première inconnue, toutes les autres. Quant aux problèmes de volatiles, ils ont nécessité la mise en évidence de démarches nouvelles. 4. e. Commerce et Partage proportionnel (al-Muhasat) Dans la tradition mathématique maghrébine, al-Muhasat est un type de
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division spécifié par un algorithme spécial. Cet algorithme est basé sur la propriété des quatre nombres proportionnels. Il n’apparaît pas en tant que technique spécifique dans les ouvrages d’al-Hassar (XIIe siècle), alKamil fi Sinfat al-‘Adad. Cette technique (le partage proportionnel) a été appliquée pour la résolution de certains problèmes liés à la gestion de la cité islamique (problèmes de compagnie ou de société, problèmes de partages successoraux, problèmes de transactions, problèmes de testaments). Elle nécessite notamment la mise en œuvre de certains concepts mathématiques: - les opérations élémentaires (appliqués sur les entiers et les fractions): addition, soustraction, multiplication, division, dénomination; - la recherche des diviseurs communs; la recherche du ppcm de plusieurs nombres ; la propriété des quatre grandeurs proportionnelles.
E. Laabid a montré comment appliquer cette technique aux problèmes d’héritage [37]. Illustré par un exemple extrait d’un célèbre ouvrage du XIIe siècle, connu dans la tradition par Mukhtasar al-Hufi [L’Abrégé]. Il s’agit du traité d’al-Hufi (mort en 1198), spécialiste des héritages ayant vécu à Séville (Andalusie) au XIIe siècle. Le Mukhtasar a eu une grande influence sur l’enseignement des héritages au Maghreb durant tout le Moyen âge (cfr. [2]). Remarquons ici que si mathématiquement le partage proportionnel paraît comme une simple application de la «règle de trois», son traitement comme chapitre à part entière dans la tradition mathématique maghrébine répond à un souci pédagogique. 4. f. Le Liber Mahamelet- Algorismus (Johannes Hispalensis) Parmi les premiers ouvrages produits en Andalousie après la période des traductions, on constate une fidélité aux principes de l’époque d’Abu Kamil [30]. La résolution de chaque nouveau type de problème y prend généralement trois aspects séparés: une formule toute faite que l’on peut se contenter d’appliquer; une résolution géométrique qui montre que cette formule peut être établie par la géométrie d’Euclide; enfin une résolution algébrique. L’influence d’Abu Kamil apparaît aussi de la disposition et de la forme: comme chez Abu Kamil, le Liber Mahamelet se termine par des problèmes de nature récréative ou des systèmes linéaires à plusieurs équations; comme chez Abu Kamil aussi, tout est exprimé en mots, les quantités numériques aussi. Les deux innovations d’Abu Kamil (justification de la résolution géométrique et solutions irrationnelles) sont donc transmises dans cette première algèbre de l’Europe [30].
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djamil aissani · dominique valerian 5. Le L IBER A BACI
Le Liber Abaci, écrit dans sa version définitive en 1228 par Leonardo Fibonacci, est un vaste ouvrage exposant en quinze chapitres l’arithmétique et l’algèbre, ainsi que la résolution de quantité de problèmes qui sont, soit des applications à la science du négoce, soit aussi récréatifs ou du moins représentent des situations trop insolites pour être réelles. Ce que Leonardo appelle abacus est ce que Johannes nomme Mahamelet. Selon Jacques Sésiano, «la différence entre eux ne vient pas du sujet, mais des sources». Concernant ce célèbre ouvrage, il est nécessaire de souligner les points suivants: 5. a. Nécessité de sa parution Les marchands italiens, dont les liens commerciaux avec le monde méditerranéen allaient croissant, avaient le plus urgent besoin d’une connaissance des mathématiques commerciales utilisant les diverses monnaies alors en usage. 5. b. Méthodes de preuve et sources Alors que Roshdi Rashed a analysé les méthodes de preuve dans le Liber Abaci [26], André Allard lui s’est interrogé sur les sources arithmétiques et le calcul indien dans cet ouvrage. Il a notamment montré avec quelle intelligence Fibonacci avait su utiliser ses sources [6]: - faciliter la lecture des grands nombres par l’emploi d’arcs, séparant de trois en trois les séries de milliers; - la manière de réaliser les opérations les plus simples, comme l’addition ou la soustraction, constituent l’aboutissement d’une évolution qui occupa la seconde moitié du XIIe siècle et qui rendit systématique par exemple, le début d’une soustraction par la droite et non plus par la gauche des nombres entiers ou fractionnaires, comme dans les œuvres arabes et les versions latines les plus anciennes. - autre procédé de multiplication dit (en forme d’échiquier) et «particulièrement adapté aux grands nombres».
5. c. L’apport du Liber Abaci Ce sont les systèmes linéaires qui marqueront l’influence de Leonardo Fibonacci au Moyen âge [30]. La résolution de ces systèmes linéaires, déterminés ou non, où les inconnues représentent des grandeurs concrètes (le plus fréquemment des sommes d’argent) occupe une partie considérable du Liber Abaci. La présentation comme la résolution de ces
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systèmes est parfaitement organisée: Leonardo les classe en types, auxquels correspond une formule générale de résolution. Or cette formule est obtenue, exactement comme le faisaient les anciens, en complétant les équations en sorte d’y faire apparaître la somme des inconnues et les données. La connaissance de l’établissement de cette formule générale est que Leonardo peut se permettre de choisir en pleine conscience des données faisant prendre à l’une ou à l’autre des inconnues une valeur négative. Il ne s’agit alors plus de grandeurs soustraites, dont la présence dans les calculs est aussi ancienne que l’algèbre, mais de quantités véritablement négatives, puisque sur elles ne s’applique plus aucune opération. Jacques Sésiano considère que l’innovation ici est qu’il conserve la résolution qui l’a fait apparaître et cherche un moyen d’interpréter cette solution négative comme une quantité positive que l’on devra soustraire dans les équations proposées. Cette distinction n’est pas futile: en montrant qu’un résultat négatif peut avoir un sens dans une situation réelle, Léonard ouvre la voie à l’acceptation de nombres négatifs. L’une de ces catégories de problèmes est appelée «découverte d’une bourse» [30]. 5. d. Le Liber Abaci et les traductions du XIIe siècle en Espagne Les trois formes bien connues de calcul au Moyen âge (calcul digital, l’abaque, calcul par des jetons et la méthode de calcul par les chiffres indoarabes) amènent au problème de l’apprentissage en Occident, à partir du milieu du XIIe siècle, du calcul algorismique issu directement des premières traductions de textes arabes qui suivirent de quelques années en Espagne la Reconquista. Les rapports de ces textes avec l’œuvre de Fibonacci nécessitent cependant quelques considérations préalables. 5. e. Le Liber Abaci et l’Histoire des exercices (signe d’une époque) L’idée de S. Lamassé est d’effectuer une comparaison des énoncés et solutions entre eux, autour de la «règle de la compagnie» [20]. Celle ci apparaît être à priori, une des règles les plus proches des marchands avec celle de «barate», c’est-à-dire de troc. Pour réaliser un inventaire des sources utilisables, l’auteur part du Liber Abaci. Ainsi, en 1202, sur les 379 exercices que contient cet ouvrage, 12 portent sur les sociétés composées de deux, trois ou quatre hommes (voir le chapitre X, Incipit capitulum decimum de societabus factis inter consocios dans l’édition de B. Boncompagni, Scritti di Leonardo Pisano [13], 146-142). Les exercices se distinguent dans l’architecture du livre avec d’autres calculs de répartition, comme XII, 4: «Capituli de inventione bursarum», 212 -228. Ces derniers sont issus d’un autre héritage, déjà présent chez Al-
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cium. Il s’agit dans tous ces exercices de calculer soit le gain réalisé par les hommes, soit sa répartition entre eux. L’enjeu de ces problèmes tient dans la manipulation des nombres et des fractions. 6. L’application des mathématiques au commerce dans le Liber Abaci Il n’est pas aisé, dans le Liber Abaci, de faire la part de ce qui a été appris à Béjaïa et dans d’autres lieux, notamment à Constantinople, mais aussi en Syrie et en Egypte ou en Sicile. Les premiers chapitres du livre montrent cependant l’importance de son expérience des milieux marchands et marins de Béjaïa dans la formulation de son savoir mathématique. L’apport du Liber Abaci à l’Occident latin, on le sait, réside moins dans l’introduction des chiffres arabes, qui sont déjà connus depuis le Xe siècle, que dans la présentation des méthodes arithmétiques dites de «calcul indien» qui utilisent les neufs chiffres et le zéro, ainsi que des méthodes algébriques. 27 Or dans la première partie de l’ouvrage, les explications et démonstrations de Fibonacci s’appuient constamment sur des exemples et des problèmes qui renvoient aux activités quotidiennes de ces marchands et marins : problèmes de changes, de poids et mesures, de charges de navires, de calculs de prix, etc. De même, les produits qui apparaissent dans cette première partie sont le plus souvent ceux que l’on trouve sur le marché bougiote, comme les cuirs ou les laines. Le Liber Abaci ne doit pas être considéré pour autant comme un simple manuel de recettes pratiques pour marchands. 28 Enrico Giusti note avec raison que dans les chapitres consacré à la résolution des problèmes commerciaux, c’est une logique mathématique, et non pas pratique, que suit Fibonacci pour élaborer son plan. 29 Du reste, l’influence du Liber Abaci sur les pratiques commerciales se diffusa relativement lentement, et il faut attendre le XIVe siècle pour que l’on trouve, notamment dans les manuels de commerce, des éléments de mathématiques commerciales hérités de Fibonacci. Mais ce qui frappe en revanche, c’est l’influence de la culture marchande du jeune Leonardo dans la formulation de son savoir. Cela est tout particulièrement net dans les exemples qu’il utilise dans les chapitres 8 à 11, inspirés par les problèmes quotidiens des marchands qu’il a pu observer à Béjaïa. 30 27. D. Jacquart, Les voies de la transmission culturelle, in Islam et monde latin, Paris, 2000, 110. 28. E. Giusti, Matematica e commercio nel Liber Abaci, in Un Ponte sul Mediterraneo. Leonardo Pisano, la scienza araba e la rinascita della matematica in Occidente, Pise, 2002, 112. 29. Ibidem, 89. 30. Plus on avance dans le livre, plus les problèmes se complexifient et moins les références au monde du négoce sont pertinentes.
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Les difficultés rencontrées par ces marchands dans leurs comptes ne pouvait échapper au jeune Fibonacci. L’usage des chiffres romains rendait impossible toute opération un peu complexe. Le maniement de l’abaque ainsi que le comput digital palliaient ces difficultés et il n’est pas douteux que les marchands avaient une grande habitude de ces deux systèmes. 31 Ces derniers avaient cependant leurs limites, lorsque l’on abordait des questions plus complexes. La raison du succès dans les milieux marchands de l’ouvrage de Fibonacci, ou plutôt des nombreux livres de l’abaque qui apparaissent à partir du XIVe et au XVe siècle et s’en inspirent largement, tient dans l’usage qui pouvait être fait de ces connaissances mathématiques dans l’exercice de leurs activités. 32 Les premières pages du Liber Abaci sont consacrées à l’exposé des chiffres arabes et des opérations simples qu’ils permettent de réaliser. 33 La nouveauté réside en effet dans les possibilités de calculs qu’offrent la numérotation de position et l’usage du zéro qui en est la clé. Celle-ci permet de poser des opérations par écrit, en assignant à chaque chiffre une valeur en fonction de sa position dans le nombre. Les connaissances que Léonardo acquiert auprès de son maître bougiote sont non seulement assimilées, mais immédiatement reformulées en latin et avec des exemples correspondant à son milieu, celui des marchands. Or ces besoins sont multiples, dans un monde méditerranéen qui est en train de s’ouvrir plus largement et où le volume des échanges, comme le trafic maritime, ne cessent de croître. Les exemples que prend Fibonacci pour exposer les règles arithmétiques sont alors le reflet de ce monde méditerranéen qu’il a connu d’abord à Pise, puis à Béjaïa, avant d’effectuer un véritable tour de la Méditerranée. Un monde d’échanges intenses entre des espaces économiques jusque là en partie cloisonnés, que les marchands contribuent à unifier. Le spectacle que pouvait offrir au jeune Leonardo l’activité fébrile du port de Béjaïa se révèle, derrière l’aridité des démonstrations mathématiques, dans son Liber Abaci. Ces exemples concrets utilisés par Fibonacci nous font entrer tout d’abord au cœur des pratiques d’échanges commerciaux. Le livre commence par des opérations simples, de calcul de prix en fonction du prix unitaire et des quantités vendues. Les exemples qu’il utilise sont tous liés 31. Cfr. A. Aelfoedi-Rosenbaum, «the fingercalculus in antiquity and the Middle ages», Frühmittelalterliche Studien, V, 1971, 1-10; J. G. Lemoine, Les anciens procédés de calcul sur les doigts en Orient et en Occident, «Revue des Etudes islamiques», 6, 1932, 1-60. 32. Cfr. R. Franci, L. Toti Rigatelli, Introduzione all’aritmetica mercantile del medioevo e del Rinascimento, Sienne, 1982, 27-28. Ces connaissances étaient d’ailleurs parfois intégrées dans des manuels de marchands, qui donnaient par ailleurs des indications pratiques sur les prix, les systèmes de mesures, les produits disponibles sur les différents marchés, etc. 33. Liber Abaci, 2 ss.
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aux marchandises qui circulent dans les ports maghrébins, et tout particulièrement Béjaïa. Les plus fréquemment cités sont les cuirs et les becunias (peaux de chèvres), 34 qui sont vendus par centaines. 35 Cela correspond bien à la structure des exportations du port, où les cuirs et les laines prédominent très tôt. Ainsi en 1180, des marchands génois louent un navire pour aller chercher des becunias à Béjaïa, et prévoient un chargement de près de 500 cantares, soit environ près de 23 tonnes. 36 Voici un exemple parmi d’autres donnés par Fibonacci: 100 becunias valent 42 besants et ¾. Combien valent alors 21 becunias? Il faut multiplier 42 par 4, ajouter 3, ce qui fait 171. On multiplie par 21 et on divise par 100, ce qui donne 359 besants et 1/10. 37 Ces calculs, au demeurant simples en apparence, font intervenir le prix unitaire, la quantité, et l’unité choisie (ici la centaine de becunias), avec des calculs de fractions et des divisions. 38 Mais on trouve dans le Liber Abaci également d’autres produits présents sur le marché bougiote, que ce soit à l’importation ou l’exportation, comme les draps, 39 les futaines, 40 le fromage pisan, 41 importés d’Europe le plus souvent, des produits d’Orient comme les épices (poivre, 42 safran, 43 noix de muscade), 44 le coton, 45 le lin, 46 les céréales (froment notamment), 47 l’huile, 48 le sucre, 49 l’alun 50 enfin, qui était exporté de Béjaïa. Tous ces produits font l’objet de transactions qui font intervenir des calculs. Il est question de ventes, mais aussi de troc. Celui-ci était en effet souvent pratiqué, 51 et nécessitait des calculs plus complexes intégrant la valeur de chaque produit. Il fait l’objet d’un chapitre entier dans le Liber. 52 34. Le mot becunia dans les documents latins, pose cependant problème. Il est compris, selon les historiens, soit comme une peau fine avec sa toison, soit comme une peau de chèvre. 35. Par exemple Liber Abaci, 83. 36. Archivio di Stato di Genova, notai ignoti, busta 1, doc. 1, doc. 10 (14/3/1180). Le contrat prévoit 481 cantares, et le cantare génois équivaut à environ 47,65 kg. 37. Liber Abaci, 93. 38. Autre exemple : si 100 cuirs valent 83 livres 3/5e et 1/9e, combien valent 32 cuirs ? Ibidem, 88. 39. Ibidem, 89. 40. Ibidem, 113. Une balle de futaines, qui contient 40 pièces, est vendue pour 37 livres. La question est alors de savoir combien vaut une pièce. 41. Ibidem, 90-1. 42. Très nombreux cas. Par exemple 99, 119. 43. Ibidem, 93, 120. 44. Ibidem, 93. 45. Par exemple 117. 46. Ibidem, 118 (échange de lin contre du poivre). 47. Ibidem, 135. 48. Ibidem, 83. 49. Ibidem, 117. 50. Ibidem, 117. 51. E. Ashtor, Pagamento in contanti e baratto nel commercio italiano d’Oltremare (secoli XIV-XVI), in Storia d’Italia. Annali 6: Economia naturale, economia monetaria, Turin, 1983, 363-96. 52. Le chapitre 9, 118 ss.
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Parmi les exemples, on peut citer le suivant: si 20 brachia de draps valent 3 livres de Pise, et 42 rotoli de coton valent 5 livres, combien a-t-on de rotoli de coton pour 50 brachia de draps 53 ? De même, Fibonacci montre les applications possibles de l’arithmétique aux contrats d’association commerciale, tels qu’ils étaient pratiqués alors, principalement les commandes et surtout les sociétés, 54 qui supposaient le partage des bénéfices à l’issue du voyage. 55 Dans toutes ces opérations, les nouvelles méthodes de calcul apportaient rapidité et une plus grande sûreté des résultats. Fibonacci s’intéresse aussi à la question du transport maritime des marchandises. Les navires de l’époque, le plus souvent des naves, rondes et à voiles, devaient souvent affronter des conditions difficiles de navigation. Il était alors indispensable de bien répartir les charges, donc de calculer le poids respectif des marchandises. Cela donne lieu à une série de problèmes. Il donne l’exemple d’un navire qui charge dans le Garb (Maroc actuel) des cuirs et de l’alun. L’alun, matière minérale lourde, était mise au fond des cales, et permettait de lester le navire. Le chargement du navire devait tenir compte du fait que un cantare d’alun pesait autant que deux cantares de cuirs. 56 De même, pour un chargement à Béjaïa ou Ceuta, deux cantares de becunias équivalent à trois cantares de cuirs, plus légers. 57 Sans doute, là encore, les capitaines de navires n’avaient pas attendu le livre de Fibonacci pour savoir équilibrer les charges de leurs bateaux. Mais Fibonacci permet de sortir d’un certain empirisme, et peut-être de gagner du temps dans les chargements, ou encore de mieux prévoir ce qu’un bâtiment était à même de transporter. L’avantage était sans doute réel, car les saisons de navigation étaient relativement courtes, et les temps de chargement étaient limités au maximum, comme le montrent certains contrats de location de navires qui fixent la durée de chaque escale. C’est cette même nécessité de maîtriser un temps nécessairement lent des transports, et de faire concorder les contraintes des voyages avec celles des marchés et des contacts commerciaux, qui pousse sans doute Fibonacci à proposer des exercices avec des voyageurs qui ne vont pas à la même vitesse. 58 53. Ibidem, 118. La brachia est une unité de longueur pour les tissus, et vaut environ 0,62 m. à Pise. Le rotolo est une subdivision du cantare (1/10e). 54. La commande fait intervenir un investisseur et un marchand, alors que la société associe deux investisseurs, l’un restant sédentaire et l’autre effectuant le voyage et les transactions. C’est ce second système qui est préféré dans le Liber Abaci, en partie par la complexité qu’il permet d’apporter aux démonstrations de Fibonacci. 55. Ibidem, 135: deux hommes forment une société. L’un met dans cette société 18 livres d’une monnaie, l’autre 25 livres; le bénéfice est de 7 livres, qu’il faut se partager. 56. Ibidem, 117. 57. Ibidem, 118. 58. Ibidem, 169. Le problème, tel qu’il est posé par Fibonacci, reste cependant relativement abstrait.
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Enfin le Liber Abaci reflète la grande complexité que conféraient aux échanges la diversité des poids et mesures ainsi que celle des monnaies. Monde ouvert, la Méditerranée, comme du reste l’ensemble de l’espace commercial parcouru alors, présentait une juxtaposition de systèmes de poids et mesures aussi variés que complexes. Il fallait au marchand connaître le système de Pise, qui était différence de celui de Gênes, celui de Béjaïa qui différait de celui de Tunis ou de Bône, etc. A cette diversité s’ajoutait le fait que les subdivisions suivaient tantôt une logique décimale, tantôt une autre. Les manuels de commerce, qui apparaissent à partir de la fin du XIIIe siècle, accordent d’ailleurs une large place à ces équivalences de poids et mesures. A Béjaïa, comme dans les autres ports, des peseurs accrédités par la douane repesaient systématiquement les marchandises qui arrivaient, en fonction des poids et mesures locaux. Mais il fallait que le marchand soit lui-même en mesure de facilement effectuer des conversions, et pour cela encore la règle de trois était d’un secours inestimable. 59 Les problèmes de changes n’étaient pas moins importants. 60 Il fallait jongler non seulement entre des espèces monétaires différentes, mais aussi avec un système qui distinguait les monnaies de comptes et les monnaies réelles. Les exemples de ces véritables casse-tête abondent dans le Liber Abaci. En Occident, la monnaie de compte était la livre, qui se divisait en 20 sous, chaque sous valant 12 deniers. Dans le Maghreb almohade, on comptait en besants, chaque besant valant 10 millares. 61 Mais concrètement les opérations se faisaient en dinars d’or ou en dirhams d’argent, dont la valeur varia au gré des réformes monétaires almohades. La méthode appliquée aux opérations commerciales et de navigation relève pour l’essentiel de la règle de trois. Simples au début, les problèmes deviennent plus complexes au fur et à mesure que l’on avance, en raison de la grande diversité des conditions de commerce en Méditerranée, mais aussi plus simplement des opérations à réaliser. Celles-ci nécessitaient souvent d’avoir recours à des fractions, qui occupent une partie importante de l’ouvrage. 62 On comprend alors le progrès qu’a pu représenter l’arithmétique telle qu’elle est formulée par Fibonacci.
59. Cfr. ibidem, 111-113: équivalences entres les canna (unité de longueur pour les tissus) de Pise, Gênes et du Garb. 60. Ils font l’objet de la deuxième partie du chapitre 8, 103 ss. 61. Ibidem, 93. 62. Cfr. E. Giusti, art. cité, 69.
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7. Conclusion Le Liber Abaci est donc plus qu’un traité de mathématiques. Il est le reflet d’un monde en pleine phase de décloisonnement, non seulement intellectuel, mais aussi humain et économique. Cette ouverture à une économie-monde balbutiante met en contact des espaces aux habitudes différentes, que l’on ne cherche jamais à unifier, mais auxquelles les marchands doivent s’adapter. Béjaïa avait sans conteste représenté pour le jeune Léonardo, avant qu’il n’entreprenne son long périple autour de la Méditerranée, un théâtre de cette activité intense d’échanges. Il avait pu se rendre compte des difficultés qu’engendraient les opérations de changes, de troc, de pesage, de charge de navire, mais aussi de calculs et de répartitions des bénéfices. Il a surtout été le témoin d’un changement d’échelle dans les échanges commerciaux. Il fallait pouvoir gérer des opérations complexes, mettant en œuvre des capitaux importants. Il fallait pouvoir prévoir l’arrivée des navires, le temps mis par les marchandises pour parvenir à destination. Il fallait, encore, être en mesure de comparer les avantages de tels ou tels marchés. De tout cela, le Liber Abaci est le reflet. Mais les connaissances qu’il apporte sont aussi l’instrument qui permet par la suite à ces échanges de se multiplier, de rendre plus faciles ces contacts entre mondes en apparence si différents. Ces besoins, encore limités à la fin du XIIe siècle, ne font que croître par la suite. Il n’est pas surprenant dès lors que lorsqu’à la fin du XIIIe et au début du XIVe siècle les affaires atteignent un niveau de complexité considérable, le savoir mathématique de Fibonacci est intégré progressivement par les milieux marchands. References [1] Abu Kamil, Kitab al-Jabr wa l-Muqabala. Francfort: Institut für Geschichte der arabisch – islamischen Wissenschaften, 1986 [reproduction de l’unique manuscrit arabe]. [2] D. Aïssani, Bougie à l’époque médiévale: les mathématiques au sein du mouvement intellectuel, IREM de Rouen Ed. (France), Rouen, 1993. [3] D. Aïssani and all., Bougie médiévale: Centre de Transmission Méditerranéen. In the book History and Epistemology in Mathematics Education, IREM de Montpellier Ed. (France), Montpellier, 1993, 499-506. [4] D. Aïssani and all., The Mathematics in the Médiéval Bougie and Fibonacci . In the book Leonardo Fibonacci: il Tempo, le opere, l’eredità scientifica, Pacini Editore (IBM Italia), Pisa, 1994, 67-82. [5] D. Aïssani, Centri del Sapere Magrebino ed il Loro Rapporti con l’Occidente Cristiano. In the book Natura, Scienza e Sociétà nel Mediterraneo, Unesco Editore, Cosenza (Italia), 1999.
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leonardo pisano e la trattatistica dell’abaco
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Raffaella Franci* LEONARDO PISANO E LA TRATTATISTICA DELL’ABACO IN ITALIA NEI SECOLI XIV E XV 1. Introduzione
È a Leonardo Pisano 1 che si deve la diffusione in Europa di una nuova matematica della quale i principali fruitori sono stati i mercanti, primi fra gli altri quelli italiani che a partire dall’anno Mille furono i protagonisti della ripresa del commercio internazionale tra i mercati dell’Europa del Nord e quelli dell’Oriente mediterraneo. Questi scambi commerciali tra popoli diversi richiedevano da parte del mercante una solida istruzione basata su tre elementi fondamentali: il saper leggere e scrivere e il far di conto. 2 Per la lettura e la scrittura, in Europa, si faceva allora uso della lingua latina, per il far di conto dei numeri romani e dell’abaco. A impartire tale istruzione furono in un primo momento le già esistenti scuole presso i conventi e le cattedrali. Nel XIII secolo però l’organizzazione comunale di molte città italiane nella cui amministrazione erano presenti mercanti, si fece carico direttamente dell’istruzione di base scegliendo i maestri e dando loro uno stipendio. L’insegnamento si articolava in due classi: quella di grammatica, dove si insegnava a leggere e scrivere in latino, cui faceva seguito quella d’abaco, nella quale si insegnava l’aritmetica pratica e le sue applicazioni alle più semplici operazioni commerciali. 3 L’istruzione era completata da un periodo di apprendistato presso una * Dipartimento di Scienze Matematiche e Informatiche «Roberto Magari», Università di Siena, Via del Capitano n. 15, I-53100 Siena. e-mail: [email protected]. Lavoro svolto nell’ambito del progetto nazionale Storia delle Matematiche in Italia, cofinanziamento MIUR (2001). 1. Preferiamo denotare Leonardo con l’appellativo « Pisano » con il quale erano soliti indicarlo nel Medioevo e nel Rinascimento, piuttosto che con quello di « Fibonacci », che viene dall’essere egli appartenente alla casa dei figli di Bonaccio, introdotto nell’uso da Guglielmo Libri, cfr. G. Libri, Histoire des sciences mathématiques en Italie, T. 2°, Paris, 1838, p. 20. 2. Cfr. A. Sapori, La mercatura medioevale, Firenze, 1972. 3. La parola « abaco » già nel XIII secolo e forse anche prima, aveva acquisito un valore semantico più ampio di quello originario che designava un marchingegno per fare i calcoli. L’arte dell’abbaco riguardava infatti tutto il complesso delle operazioni contabili relative all’esercizio del commercio: calcolo del prezzo delle merci, degli interessi e degli sconti, dei profitti delle società etc. Conti che prima della diffusione del trattato di Leonardo si eseguivano con l’ausilio dell’abaco, annotando i risultati coi numeri romani. Per una panoramica sull’insegnamento dell’aritmetica nel Medioevo cfr. R. Franci, L’insegnamento dell’aritmetica nel Medioevo, in «Itinera Matematica», a cura di R. Franci, P. Pagli, L. Toti Rigatelli, Siena 1996, pp. 1-22. Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche · Vol. XXIII · (2003) · Fasc. 2
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‘bottega’ e successivamente da viaggi di affari in compagnia di mercanti già esperti. Nel commercio internazionale il ruolo dei mercanti italiani era quello di fare da tramite tra i paesi dell’Europa settentrionale, dove si producevano le merci richieste dai mercati orientali, lana, legname, metalli, e i paesi del Mediterraneo sud-orientale, che invece esportavano sete, gioielli e spezie. Erano per lo più navi italiane a trasportare tali merci. Tra i porti più attivi ricordiamo quelli di Genova, Pisa e Venezia. La continuità dei commerci portò alla formazione di ‘colonie’ di alcune città italiane nei principali porti sud-orientali. Tali insediamenti erano amministrati da funzionari pubblici provenienti dalla madrepatria ed erano retti secondo le leggi delle città di appartenenza. Bugia, importante porto commerciale sulla costa algerina, ospitava un insediamento pisano del quale era funzionario Guglielmo della casa dei figli di Bonaccio, padre di Leonardo, che richiamò presso di sé il figlio per completarne l’istruzione. È lo stesso Leonardo a raccontare nell’introduzione al Liber abaci di aver frequentato a Bugia una scuola di aritmetica e di essere rimasto impressionato dall’uso che in essa si faceva delle ‘nove figure degli Indi’, cioè di quei nove segni che aggiungendovi un segno speciale per lo zero, permettevano di scrivere qualsiasi numero e, con l’ausilio di opportuni algoritmi, di eseguire agevolmente le quattro operazioni fondamentali dell’aritmetica. 4 La passione per la matematica fece sì che Leonardo durante i suoi viaggi di affari in tutto il Mediterraneo, continuasse a coltivare tale disciplina, studiando e discutendo con i maestri dei paesi che visitava. Risultato di questa attività di studio fu la redazione nel 1202, una volta rientrato in patria, del monumentale trattato oggi noto come Liber abaci. 5 Leonardo nel Liber quadratorum e nel Flos si riferisce ad esso come al Liber de numero o Liber maior de numero. Questa denominazione ci sembra più corretta e più adeguata al contenuto di quella entrata nell’uso. I quindici capitoli dell’opera, infatti, si possono raggruppare in quattro parti: 6 4. Cfr. R. Franci, Il Liber abaci di Leonardo Fibonacci: 1202-2002, «Bollettino della Unione Matematica Italiana», 5-A 2002, 293-328, 297. 5. Il Liber abaci tramandato per secoli in versioni manoscritte fu stampato solo nel XIX secolo, cfr. B. Boncompagni (a cura di), Scritti di LEONARDO PISANO matematico del secolo decimo terzo. I. Il Liber abaci secondo la lezione del Codice Magliabechiano C. I, 2616; II. La Practica Geometriae secondo la lezione del Codice Urbinate n. 292 della Biblioteca Vaticana. Opuscoli secondo la lezione della Biblioteca Ambrosiana di Milano contrassegnato E.75 Parte Superiore, Roma, 1857-1862. Recentemente è stata pubblicata una traduzione in inglese condotta sul testo a stampa del Boncompagni cfr. L. E. Sigler, Fibonacci’s Liber abaci. A translation into Modern English of Leonardo Pisano’s Book of Calculation, New York, 2002. 6. Per una descrizione analitica del trattato cfr. E. Giusti, Matematica e commercio nel Liber abaci, in Un ponte sul Mediterraneo, Il Giardino di Archimede, Firenze 2002, pp. 59-120.
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• presentazione del sistema indiano di rappresentare i numeri naturali, relativi metodi di eseguire le operazioni aritmetiche e calcolo con le frazioni (capp. 1-7); • regola del tre e risoluzione di problemi commerciali quali il calcolo del prezzo delle merci, il baratto, le compagnie, le leghe metalliche (capp.8-11); • questiones erraticae, problemi che attualmente vengono classificati fra quelli di matematica ricreativa, per la risoluzione dei quali viene introdotta anche la regola di doppia falsa posizione (capp.12-13); • algebra preceduta da un ampia trattazione del calcolo con i radicali (capp.14-15).
Solo le prime due parti, che occupano meno della metà del testo, riguardano quella che all’epoca era chiamata arte dell’abaco, denominazione che allora designava l’insieme dei conti relativi alle attività commerciali. Il Liber abaci rappresenta una grande novità nel campo della letteratura matematica dell’epoca. Anche se il sistema posizionale indiano e l’algebra erano già stati introdotti in Europa alcuni decenni prima tramite le traduzioni latine dei trattati di al-Khwarizmi, è nel testo di Leonardo che viene presentata per la prima volta in Occidente una trattazione dei problemi che si incontrano nell’esercizio del commercio. Non vi è dubbio che fu la presenza di questa parte più pratica che decretò il successo del trattato trascinando però anche l’interesse verso le parti più teoriche come l’algebra. Non è possibile stabilire con precisione quando l’uso delle cifre indoarabiche e delle relative tecniche di calcolo abbia sostituito quello dei numeri romani e dell’abaco. È verosimile che il processo di sostituzione sia stato graduale e sia avvenuto in tempi diversi a seconda dei luoghi. E’ possibile che lo stesso Leonardo abbia insegnato le nuove tecniche a Pisa, e che da questa città si siano diffuse anzitutto in Toscana e nelle regioni limitrofe. Una delle prime testimonianze di ciò è la redazione verso il 1260 di un «libro di nuovi conti», del quale è autore il senese Ugo Ugurgeri monaco cistercense del monastero di san Galgano, 7 il testo però non ci è pervenuto. Una prova della diffusione dell’uso delle cifre indoarabiche è indirettemente fornita dallo Statuto dell’arte del Cambio promulgato a Firenze nel 1299 che vieta ai mercanti di tenere i loro registri in ‘abbaco’ e prescrive invece l’uso delle cifre romane oppure la completa scrittura dei nomi dei numeri. 8 Numerosi documenti testimoniano che agli inizi del XIV secolo la maggior parte dei comuni italiani del centro e del nord avevano istituito scuole d’abaco, dove si insegnavano il far di conto e le tecniche commerciali. È altresì noto che nello stesso periodo in queste 7. Cfr. L. De Angelis, Miscellanee, vol. III, ms A. VIII. 7 della Biblioteca Comunale degl’Intronati di Siena, e U. Ugurgeri, Le Pompe Sanesi overo relazione degli uomini e donne illustri di Siena e suo Stato, Pistoia, 1649. 8. Cfr. G. Loria, Storia delle Matematiche, Milano, 1950, p. 235.
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scuole veniva insegnato il calcolo secondo il metodo degli indiani, così come suggerito da Fibonacci. Nell’ambiente legato alle scuole d’abaco ebbe luogo una produzione di testi connessi principalmente con la volgarizzazione e la diffusione delle opere di Leonardo che attualmente è denominata trattatistica d’abaco. I cosiddetti trattati d’abaco sono certamente il prodotto principale di questa attività, ma accanto ad essi troviamo trattati di geometria pratica, e anche se in numero molto minore, trattati d’algebra e raccolte di giochi matematici. 9 Gli storici della matematica chiamano trattati d’abaco quei testi in volgare che propongono principalmente argomenti presenti nei primi undici capitoli del Liber abaci. 10 Anche se è innegabile che il trattato di Leonardo è l’archetipo di questi testi è necessario tuttavia osservare fin da ora che ogni autore ha svolto il suo compito in modo autonomo scegliendo gli argomenti e adattandoli alle esigenze dei suoi interlocutori. Adattamenti esplicitamente dichiarati laddove spesso si afferma di esporre «l’arte dell’abaco al modo della città di …». L’esame dei trattati d’abaco del Trecento attualmente noti rivela come all’epoca si fosse già pervenutiti ad una standardizzazione dei contenuti cosicché è possibile tracciarne il seguente indice ideale. 1. Introduzione 2. Presentazione del sistema numerico indo-arabico 3. Indigitazione (calcolo con le dita e le mani) 4. Operazioni aritmetiche con gli interi 5. Calcolo con le frazioni 6. Regola del tre 7. Regole di falsa posizione 8. Problemi mercantili: a) sistema di monete, pesi e misure; b) compagnie; c) baratti; d) interessi e sconti; e) leghe metalliche; f) cambio 9. Geometria pratica 10. Matematica ricreativa 11. Algebra.
Non tutti gli argomenti sono sempre presenti, in particolare possono mancare le parti 1,2,3,4,9,11. Spesso i problemi di matematica ricreativa sono mescolati a quelli mercantili, è comunque la presenza di questi ultimi a caratterizzare i trattati d’abaco. Questi testi si presentano usual-
9. Questi testi sono elencati e brevemente descritti in W. Van Egmond. Practical mathematics in the Italian Renaissance. A catalog of Italian abbacus manuscripts and printed books to 1600, Firenze, 1980. 10. I loro autori li hanno però denominati anche in altri modi. Fra i titoli più comuni, oltre ovviamente Libro o trattato d’abaco, troviamo Libro o trattato di aritmetica. Alcuni portano però anche il titolo di Algorismi.
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mente come una raccolta di ‘ragioni’, cioè problemi, preceduti o no da regole. Già ad una prima ispezione si può notare che a fronte di una certa omogeneità nella trattazione degli argomenti principali, ciascuno mostra una certa specificità in quanto ogni autore ha adattato la materia alle sue esigenze. Gli adeguamenti più ovvi riguardano le monete e le unità di misura considerate che sono sempre quelle relative alla zona dove il trattato è stato scritto e alle regioni con le quali avvenivano più di frequente gli scambi commerciali. Una delle maggiori difficoltà che si riscontrano nel ricostruire il passaggio dal Liber abaci ai trattati d’abaco è dovuta alla circostanza che i primi testi attualmente noti furono compilati tra la fine del XIII secolo e l’inizio del XIV. Nel seguito esamineremo alcuni trattati che ci sembrano i più adatti a comprendere questa transizione. Abbiamo scelto a questo scopo oltre al Livero de l’abbecho che si richiama direttamente a Leonardo, alcuni testi di provenienza pisana ed altri di origine fiorentina. Nel valutare l’influenza di Leonardo Pisano sulla trattatistica dell’abaco bisogna inoltre tenere presente che egli aveva scritto anche un Libro di merchaanti di minor guisa come riferisce l’anonimo autore della Praticha d’arismetricha contenuta nel codice Palatino 573 della Biblioteca Nazionale di Firenze (c. 433 v): Chonpuose Lionardo molti libri di nostra scienzia, fra quali furono questi de quali ò cognitione, cioè: e Libro di merchaanti detto di “minor guisa”, …, el libro di Praticha d’arismetricha. 11
Il trattato menzionato anche da Leonardo medesimo nella Differentia sexta dell’undicesimo capitolo del Liber abaci dove si legge «Est enim alius modo consolandi, quem in libro minoris guise docuimus», 12 non ci è però pervenuto. 2. L O
LIVERO DE L ’ ABBECHO SECONDO
LA OPPENIONE DE MAIESTRO LEONARDO
Uno dei più antichi trattati d’abaco attualmente noto, forse addirittura il più antico, è quello contenuto nelle carte 1-178 del codice 2404 della Biblioteca Riccardiana di Firenze. 13 Il manoscritto è anonimo e non da11. Praticha d’arismetricha era il titolo con il quale nel XV secolo era di solito indicato il Liber abaci. 12. Cfr. B. Boncompagni, Scritti di LEONARDO PISANO, I. Il Liber abaci, op. cit., 154. 13. Cfr. Maestro Umbro (sec. XIII), Livero de l’abbecho (Cod. 2404 della Biblioteca Riccardiana di Firenze), a cura e con introduzione di G. Arrighi, «Bollettino della Deputazione di Storia Patria per l’Umbria», 86 (1989), pp. 5-140.
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tato, tuttavia le date relative ad alcuni problemi ne fanno risalire la compilazione agli anni attorno il 1290, la lingua volgare usata lo ascrive all’area umbra. Il trattato, che esordisce con la frase «Questo ene lo livero de l’abbecho secondo la oppenione de maiestro leonardo de la chasa degli figluoghe Bonaçie da Pisa», richiamandosi esplicitamente a Fibonacci, è diviso in 31 brevi capitoli numerati e recanti un titolo che ne specifica il contenuto. 1. Tre cose 2. Cose che si vendono a centonaio 3. Le regole del pepe 4. Regole senza nome 5. Regole del cambio per modo de merchaante 6. Regole de baracte de monete e denari 7. Regole de marcho Tresçe 8. Quante cantara e charrubbe e grane è l’oncia 9. Comprare bolçone a numero de denare ed a peso de libbre 10. Regole de consolare ed alegare monete 11. De svariate regole che s’appartengono al consolare 12. Regole de merto overo d’usura 13. Regole che s’apartengono a quilla de l’usura 14. Regole de saldare ragione 15. Regole de conpagnie 16. De chonprare chavaglie 17. De huomene che demandavano l’uno all’altro 18. De huomene che trovano borse 19. De huomene che colsero denari insieme 20. De regole de prochacio over de viagio 21. De huomene ch’andaro a guadagnare agli mercate 22. De choppe e del suo fondo 23. D’arbore o vogle de legno 24. De vasa 25. De huomini che vanno per via insieme 26. De huomene che portarono margherite a vendere a Gostantinopole 27. De tine e botti che viene el vino per foramine che sono nel fondo 28. D’uno che mandò il figlio en Alixandria 29. Uno lavoratore che lavorava un’uopra 30. De huomene ch’andano uno po’ l’altro 31. De regule per molte guise forte e legiere de molte contintione.
Dalla lettura del testo emerge che circa i ¾ dei problemi sono una fedele traduzione in volgare di problemi presenti nei capitoli 8, 9, 10, 11 del Liber abaci, in particolare figura fra questi a c. 107v anche il ben noto problema dei conigli che curiosamente sono diventati piccioni. L’autore del Livero de l’abbecho presenta per ogni tipologia i problemi più semplici fra quelli proposti da Fibonacci, egli inoltre omette tutta la parte che riguarda la rappresentazione dei numeri, gli algoritmi per le operazioni e il calcolo
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con le frazioni. Il testo procede come se questi argomenti fossero ben noti al lettore. Il trattato inizia con la presentazione della Regola del tre che viene così enunciata (c. 1r): Se ce ne fosse dicta alchuna ragione e lla quale se proponesse tre chose, si devemo moltiplicare quilla chosa che noie volemo sapere con quelle che non è de quilla medessma, a partire nell’altra.
La regola è illustrata con soli quattro esempi, nel primo dei quali i numeri noti sono tutti interi, negli altri compaiono successivamente uno, due, tre «numeri rotti», in questi casi l’autore fornisce istruzioni per il calcolo con le frazioni. A margine figurano schemi numerici che sintetizzano le operazioni da eseguire, per i quali però non ci sono spiegazioni nel testo. Ricordiamo che la parte mercantile del Liber abaci esordisce con la stessa regola, ivi denominata «universalis regula», enunciata in modo molto più generale facendo riferimento a quattro numeri proporzionali, tre dei quali noti e uno da determinare. Leonardo inoltre insiste sulla omogeneità delle unità di misura dei termini simili e a conclusione della trattazione fornisce una giustificazione della regola mediante la teoria delle proporzioni. Egli introduce anche uno schema per procedere più speditamente nei calcoli, analogo a quello che abbiamo rilevato essere presente nei margini del codice riccardiano, e spiega dettagliatamente il modo di costruirlo ed utilizzarlo. Gli esempi presentati nel Liber abaci infine sono diversi e più complicati di quelli dell’omonimo trattato in volgare. Anche gli argomenti proposti dal maestro umbro nei tre capitoli successivi: «le chose che se vendono a centonaio», «le regole del pepe», «le drappe che se vendono a channa e braccia», presenti anche nel Liber abaci, vengono trattati in modo molto più sintetico ed elementare facendo ricorso ad esempi diversi. Inoltre, mentre Leonardo affronta ed espone i problemi del prezzo delle merci con l’attenzione rivolta al commercio internazionale all’ingrosso, il maestro umbro sembra rivolgersi ad un pubblico più interessato al commercio locale e al minuto. Queste caratteristiche si conservano anche nel pur lungo capitolo, il quinto, dedicato alle «regole del chanbio», le monete considerate nel manoscritto riccardiano sono infatti tutte relative a città dell’Italia centro-settentrionale con l’unica eccezione delle «parigine». La parte del Livero de l’abbecho che ci sembra più interessante per la nostra analisi, è però quella relativa al calcolo degli interessi che occupa i capitoli 12, 13 e 14. Il Liber abaci non dedica alcuna sezione specifica a questo argomento, solo nel capitolo dodicesimo sono proposti alcuni
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problemi di ammortamento, «De homine muttante libras C ad usuras super quarundam domum», risolti in modo analogo alle precenti «questiones viagiorum». Il maestro umbro invece, nel 12° capitolo, «de regole de merto overo d’usura», enuncia numerose regole pratiche relative al calcolo degli interessi illustrate da semplici esercizi, e solo alla fine propone qualcuno dei più complicati esempi del Liber abaci. Il capitolo 14°, de «regole de saldare ragione», presenta un argomento completamente assente nel trattato di Leonardo. Si tratta di questioni assai pertinenti alla pratica mercantile dove si insegna a riportare a un giorno comune molti pagamenti fatti in date diverse. È proprio in queste questioni che si trovano le date 1288, 1289 e 1290 che permettono di datare il trattato. Il confronto appena fatto fra il Liber abaci e Lo livero de l’abbecho mostra che alcune parti del secondo differiscono da quelle analoghe del primo per un’esposizione più pratica ed esercizi più semplici. Vi sono inoltre alcune questioni relative al calcolo di interessi e sconti che non hanno riscontro nel testo di Leonardo. Per spiegare tali differenze si potrebbe pensare che il maestro umbro abbia introdotto le modifiche per rendere la trattazione più adatta all’uso dei suoi lettori, quasi certamente dei mercanti. Si potrebbe però anche avanzare l’ipotesi che egli avesse come modello non il Liber abaci, ma quel «Libro di merchaanti di minor guisa» che non ci è pervenuto. La validità di questa ipotesi ci sembra suffragata dalla circostanza che per le parti che si ritrovano anche nel Liber abaci l’autore segue fedelmente il modello e d’altra parte egli non dichiara di seguire il testo oggi noto, ma solamente «l’oppenione di Lionardo». Il Livero dell’abbecho dunque potrebbe fornire buone indicazioni sui contenuti e sul livello della trattazione del Libro di minor guisa. È assai probabile infatti che in questo testo Leonardo avesse introdotto notevoli semplificazioni per rendere la materia più facilmente fruibile nella pratica quotidiana della mercatura. Non dimentichiamo che il Liber abaci era invece destinato ad un pubblico più colto come ci è testimoniato dalla circostanza che la sua seconda redazione fu fatta per Michele Scoto eminente studioso della corte di Federico II. Una conferma all’ipotesi che i trattati d’abaco siano più direttamente influenzati dal Libro di minor guisa piuttosto che dal Liber abaci ci viene dall’esame di altri testi scritti nella prima parte del XIV secolo. Sebbene nessuno menzioni direttamente la sua dipendenza da Fibonacci, abbiamo però riscontrato notevoli analogie al trattato del maestro umbro soprattutto per quanto riguarda l’esposizione della regola del tre e delle questioni di merito che si spiegano meglio ricollegandosi a una comune dipendenza dal trattato minore di Leonardo.
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3. La trattatistica dell’abaco a Pisa nei secoli XIV e XV Non sappiamo se Leonardo abbia insegnato l’abaco nella sua città, anche se riteniamo molto verosimile che l’abbia fatto. L’attività pubblica dei maestri d’abaco a Pisa è documentata solo dalla fine del Trecento, 14 tuttavia ci sono pervenuti alcuni trattati compilati all’inizio del XIV secolo che testimoniano come già in questi anni vi avvenisse l’insegnamento. Il più interessante fra questi è il Tractato dell’arismetrica contenuto nelle carte 1-70 del codice Ricc. 2252 anonimo e non datato. 15 Le date 1270-71 e 1315-16 che compaiono in alcune ragioni di «regare a termine» e la prevalenza di monete e misure in uso a Pisa lo dicono composto in questa città tra la fine del XIII e l’inizio del XIV secolo. Gli argomenti trattati sono i seguenti: rappresentazione dei numeri con il sistema posizionale e con le mani, algoritmi per le quattro operazioni, la regola delle tre cose, ragioni di merito, 6 chaselle di cambiare monete, le 13 chaselle, ragioni di regare a termine, regole di sconto, pagamenti da una città a un’altra, compere in diversi luoghi, cambio di monete, baratti in diversi modi, regole di compagnie, regole di consolare monete, merito a capodanno, ragioni della cosa maggiore, come si trova le radici di numeri, raccogliere i numeri. La presentazione del sistema di numerazione decimale e della rappresentazione dei numeri con le mani sono molto dettagliate e accurate. Gli algoritmi insegnati per la moltiplicazione e per la divisione sono quelli presentati da Leonardo nel Liber abaci, che l’anonimo maestro pisano denomina rispettivamente moltiplicare in crocie e partire a danda. Essi sono presentati attraverso numerosi esempi corredati di dettagliate spiegazioni. La regola del tre è enunciata così (c. 8r): La regola di fare tucte le ragioni nelle quali si pongono tre cose ho di moneta ho di peso ho di misura, sie multiplicare la cosa che noi volliamo sapere contra quella che non è di quella medesma e partire nell’altra. E desi considerare che due di quele tre cose debbono essere somillianti ho di nome ho di sustança o se non vi sono vi si debbono regare e se non vi si possono regare quella ragione non si può fare.
La presentazione della regola è dunque simile a quella del maestro umbro, l’anonimo maestro pisano però fa menzione, come nel Liber abaci, dell’omogeneità delle misure. Anche in questo trattato vengono proposti i vari esempi con le frazioni. Nelle ragioni di merito vengono enunciate 25 14. Cfr. T. Antoni, Le scuole d’abaco a Pisa nel secolo XIV, «Economia e Storia», 20 (1973), p. 334. 15. Un altro trattato d’abaco, mutilo, di origine pisana degli inizi del XIV secolo è contenuto nelle carte dalla 49 alla 90 del manoscritto L.VI. 47 della Biblioteca Comunale degl’Intronati di Siena.
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regole, numerate dall’autore, ciascuna seguita da un esempio, le regole sono analoghe a quelle proposte nel Livero de l’abbecho, anche se sono in numero maggiore e meglio organizzate. Gli argomenti presentati nelle 6 chaselle sono quelli che il maestro umbro inserisce nel capitolo delle «reghole del cambio per modo di merchaante», mentre nelle 13 chaselle vengono proposti quelli delle «chose che se vendono a centonaio», delle «regole del pepe» e delle «drappe che se vendono a channa e braccia». Queste questioni vengono denominate «chaselle» perché la loro soluzione è sintetizzata numericamente in schemi racchiusi in rettangoli. Tutta la parte del trattato fin qui descritta è più completa e meglio organizzata di quella omologa del Livero de l’abbecho, essa rivela però la stessa matrice che potrebbe essere, come abbiamo già detto, il Libro di minor guisa di Leonardo. A rafforzare l’ipotesi di una diretta dipendenza da un qualche trattato del Fibonacci è anche la circostanza che nelle carte successive dello stesso manoscritto, cc.72r-107v, è presentata una traduzione in volgare di problemi presenti nella seconda parte del capitolo XII del Liber abaci, seguita dall’originale latino, cc.108r-142r. Considerazioni a parte bisogna invece fare per il capitolo dedicato all’algebra che occupa le carte dalla 25v alla 29r e che porta l’intestazione «Regole della cosa maggiore con certi esempli per le quali si fanno o si possono fare tucte le ragioni». L’autore propone sedici regole di risoluzione numerate, relative alle seguenti equazioni: 1. ax =b, 2. ax2=b, 3. ax2=bx, 4. ax2+bx=c, 5. ax2+c=bx, 6. ax2=bx+c, 7. ax3=b, 8. ax3=bx, 9. ax3=bx2, 10. ax3+bx2=cx, 11. ax4=b, 12. ax4=bx, 13. ax4=bx2, 14. ax4=bx3, 15. ax3+cx = bx2, 16. ax3=bx2+cx. Le prime cinque regole sono seguite dalla risoluzione di un esempio numerico. Le regole dalla 6 alla 10 e la 16 sono illustrate da un problema, alla fine delle regole sono proposti alcuni problemi che portano alla risoluzione di equazioni del tipo 1, 2, 3 e 5. Nell’ultimo caso vengono proposte due soluzioni seguite dall’osservazione «Siché vedi che questa ragione et delle simiglanti possono venire in due modi e per ciaschuno si può rispondere», mentre nell’enunciato della regola è indicata una sola soluzione. La trattazione dell’algebra dell’anonimo maestro pisano è dunque diversa da quella del Liber abaci, non vi è infatti alcuna parte propedeutica e gli stessi termini cosa, censo, cubo, censo di censo sono usati senza che di essi venga data alcuna definizione. Viene presentato un numero maggiore di regole, ricordiamo che nel testo di Leonardo sono enunciate solo le prime sei. Infine la maggior parte dei problemi è relativa a questioni pratiche, due di cambio, tre di merito, una di viaggi.
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Non sappiamo se Leonardo avesse incluso nel Libro di minor guisa una trattazione dell’algebra più semplice e vicina a quella proposta nel Trattato dell’arismetrica possiamo però rilevare che, come vedremo, le presentazioni dell’algebra che si trovano nei trattati d’abaco sono tutte analoghe a quella dell’anonimo maestro pisano. 16 Il manoscritto 2186 della Biblioteca Riccardiana di Firenze contiene un interessante trattato d’abaco il cui autore si presenta così (c. 9v) : Io Cristofano di Gherardo di Dino citadino pisano della cappella di sancto Bastiano in Chinsica quartieri di Pisa, oggi, questo dì primo di maggio 1442 col nome di Dio e di sarvamento cominciai a scrivere lo prezente Libbro d’anbaco.
Il trattato è preceduto da un programma di didattica dell’abaco «al modo di Pisa» di estremo interesse perché è l’unico finora noto. Il programma esordisce così: «Questo è la forma e ‘l modo a insegnare l’anbaco al modo di Pisa, cioè lo principio, mezzo et fine come apresso diremo». 17 Segue l’esposizione degli argomenti che devono essere trattati in un corso completo d’abaco con la specificazione dell’ordine e delle modalità del loro svolgersi. Il trattato di Cristofano contiene nell’ordine gli argomenti elencati nel programma ma omette la parte iniziale dedicata alla rappresentazione dei numeri con le «fighure» e con le «mano» e agli algoritmi per le operazioni con i numeri naturali che invece compaiono nel trattato precedente. Gli argomenti trattati sono i seguenti: minori, ragione chiamate le 13, Reghula delle 3 cose, rocti, diverse ragioni apartenenti a numeri rocti, ragione di centonaia e di migliaia, ragioni di lire e fiorini, racoglimento di numeri, ancora ragioni di fiorini, prima appozitione, due appozitioni, compagnie, baracti, denari allo sconto, arienti, meriti, reghula dell’aibramocab et chi dice reghula della cosa, ragione di geometria, recare a uno dì, ariento et oro, problemi vari anche di tipo ricreativo, modo di trovare radice di numeri. Cristofano nel trattato non menziona mai Fibonacci, però di seguito al trattato d’abaco propone La pratica della geometria di M°Lunardo Pisano. 18 16. La questione dello sviluppo dell’algebra in Italia dopo Leonardo Pisano è molto complessa e non ancora completamente chiarita, a questa problematica sono dedicati: R. Franci, L. Toti Rigatelli, Fourteenth-century Italian algebra, in Mathematics from manuscripts to print: 1300-1600, Oxford 1988, pp. 11-29; R. Franci, L. Toti Rigatelli, Toward a History of Algebra from Leonardo of Pisa to Luca Pacioli, «Janus», 70 (1985), pp. 17-82; R. Franci, Trends in fourteenth century Italian algebra, «Oriens-Occidens», 4 ( 2002), pp. 81-105. 17. Cfr. G. Arrighi, Un ‘programma’ di didattica di matematica della prima metà del Quattrocento, «Atti e Memorie dell’Accademia Petrarca di Lettere Arti e Scienze di Arezzo», N.S. 38 (1965-66), pp. 3-14. 18. Cfr. Leonardo Fibonacci, La pratica di geometria, volgarizzata da Cristofano di Gherardo di Dino cittadino Pisano, dal Codice 2186 della Biblioteca Riccardiana di Firenze, a cura e con introduzione di G. Arrighi, Pisa, 1966.
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Quella che viene presentata è in realtà una trascelta in volgare di alcune parti dell’opera di Leonardo. La sua presenza è comunque un’importante testimonianza del fatto che a Pisa due secoli dopo la sua scomparsa, la memoria delle opere di Fibonacci era ancora viva. Un altro trattato d’abaco di origine pisana coevo di quello di Cristofano è contenuto nel manoscritto L. VI. 46 della Biblioteca Comunale degl’Intronati di Siena. Il trattato intitolato Arismethricha è così articolato: modo di rappresentare i numeri con le figure e con le mani, prove del 7 e del 9, tabelline, le minori secondo il modo di Pisa, algoritmi per le operazioni, regola del tre, calcolo con le frazioni, le ragioni delle 13 sicondo s’è lo modo e ll’usanza da Pisa, meriti, recare a termine, conpangnie, cose di trastullo, regole di semplice e doppia falsa posizione, chonsolare, algebra, geometria. La lettura dei tre trattati mostra come vi fosse un modo di presentare le questioni più elementari dell’abaco, in particolare le «minori» e le «tredici», tipico della città di Pisa che si è conservato immutato nel periodo di oltre un secolo che divide la compilazione del primo codice da quella degli altri due e che ci induce a fare l’ipotesi che dopo la scomparsa di Leonardo, non solo l’insegnamento della matematica restò vivo nella sua città natale, ma rimase anche saldamente legato al modello da lui divulgato. 4. La trattatistica dell’abaco a Firenze Anche se è innegabile che l’insegnamento dell’abaco con le «fighure degli Indi» iniziò a Pisa bisogna tuttavia riconoscere che ben presto Firenze divenne la capitale di questo insegnamento. L’attività di maestri d’abaco a Firenze è documentata dalla seconda metà del Duecento. 19 Il cronista fiorentino Giovanni Villani ricorda che nell’anno 1338 nella città erano attive sei scuole d’abaco frequentate da più di mille studenti. L’attendibilità di questo dato trova riscontro sia nel numero dei maestri d’abaco fiorentini del Trecento dei quali abbiamo notizia che in quello dei trattati compilati nello stesso periodo attualmente noti. Il più antico trattato d’abaco datato oggi noto, quello scritto nel 1307 a Montpellier da Jacopo da Firenze, ci è pervenuto in tre copie contenute nei manoscritti Ricc. 2236, Triv. 90, Vat. Lat. 4826. I tre esemplari pur avendo lo stesso inizio «Incipit tractatus algorismi […] conpilatus a magistro Jacobo de florentia apud montem Pesulanum anno domini millesimo trecentesimo septimo in mense septembris» presentano alcu19. Cfr. E. Ulivi, Scuole e maestri d’abaco in Italia tra Medioevo e Rinascimento, in Un ponte sul Mediterraneo, Firenze, Edizioni Polistampa, pp. 121-159.
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ne differenze nell’ordine e nel numero dei capitoli. Il primo fra i manoscritti sopra elencati è il più antico e viene considerato olografo, l’ultimo, il più recente (c.1450), è l’unico che contiene un capitolo d’algebra. Il titolo Tractatus algorismi fa pensare di essere in presenza di uno di quei testi detti Algorismi, compilati a partire dalla fine del XII secolo sul modello delle traduzioni latine del trattato di aritmetica di al-Khwarizmi, il primo in lingua araba a spiegare la numerazione posizionale. 20 Tuttavia anche una ispezione superficiale del contenuto ci mostra che siamo di fronte a un classico trattato d’abbaco. Il trattato, secondo quanto anticipa l’autore nell’introduzione, è diviso in cinque capitoli. Lo primo capitolo si è multiplicare, lo secondo capitolo si è dividere, lo terzo capitolo sono li numeri rotti, lo quarto sono le reghole, lo quinto si è il generale intendimento che si trae de’ detti quattro capitoli. 21
In realtà il manoscritto riccardiano include anche un capitolo dedicato alla geometria ed uno al consolare monete d’oro e d’argento, il vaticano contiene un ulteriore capitolo dedicato all’algebra. Anche in questo trattato, la moltiplicazione e la divisione fra interi è presentata mediante numerose tavole nelle quali sono riportati solo i risultati senza alcuna spiegazione. Relativamente al calcolo con le frazioni ci si limita a illustrare mediante esempi l’addizione, la sottrazione e la moltiplicazione. Il capitolo delle Regole si apre con il consueto enunciato della regola del tre (Ricc. 2236, c.19v). Se ci fosse detta alcuna ragione nella quale si proponesse tre cose, si dobbiamo moltiplicare quella cosa che noi volemo sapere contra quella che non è di quella medesma, e partire nell’altra, cioè nella terza cosa.
Dopo sei semplici esempi, seguono tre enunciazioni della regola nel caso che uno, due o tre dei numeri noti sia una frazione, ogni caso è corredato da due esempi. Le regole successive riguardano «ragioni di merito» e «la chariche del pepe». Il quinto capitolo, «generale intendimento», propone 37 problemi, di denari, di compagnie, di cambio, di leghe, di matematica ricreativa, risolti con le regole proposte nel capitolo precedente o con semplici 20. Il nome «algorismo» è un neologismo medioevale che risulta dal tentativo di rendere in latino il nome del matematico arabo e che passò ben presto a indicare il complesso dei calcoli che si eseguivano con il metodo da lui illustrato, che differiscono da quelli presentati da Leonardo nel suo trattato. Gli Algorismi ebbero una grande diffusione nelle università medioevali dove furono usati per secoli come testo standard di aritmetica nelle Facoltà delle arti. 21. Ricc. 2236, c. 1v.
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artifici geometrici. Le monete considerate sono: bolognini, fiorini, provegini, pisani, imperiali, genovesi, tornesi, carlini d’oro e d’argento. Oltre a Montpellier sono nominate le città di Roma, Lucca, Genova, Avignone, Tolosa, Nimes. La Sicilia e il Regno di Puglia vengono ricordate come territori in cui i pagamenti si effettuano in once, tarì e grani d’oro. Nel trattato di Jacopo non vi sono citazioni di Leonardo Pisano e neppure problemi che derivino direttamente dal Liber abaci, tuttavia una notevole analogia con i contenuti e il linguaggio del Livero de l’abbecho e del Tractato dell’arismetrica della parte fin qui descritta induce a ipotizzare una influenza, magari indiretta, dell’opera del matematico pisano. Il capitolo di algebra contenuto nelle carte 36v-45v del manoscritto Vat. Lat. 4826, 22 segue lo stesso stile del Tractato dell’arismetrica pisano, Jacopo però presenta le regole di risoluzione per 20 tipi di equazioni. Oltre a quelle elencate nel manoscritto Ricc. 2252, sono qui presentate anche le regole di risoluzione per le seguenti equazioni: 17. ax4+bx3=cx2, 18. cx3=ax4+bx2, 19. ax4=bx3+cx2, 20. ax4+bx2=c. Solo le prime sei regole sono accompagnate da un problema esemplificativo. Anche Jacopo inizia la trattazione direttamente con l’enuciazione delle regole senza alcuna spiegazione riguardo alla terminologia usata. Il Libro di ragioni contenuto nel codice Magliabechiano Cl. XI, 87 della Biblioteca Nazionale di Firenze presenta interessanti analogie con il precedente. 23 Anche in questo caso l’incipit ci fornisce l’indicazione dell’autore, la data e il luogo di composizione. Al nome di Dio e della sua madre santissima e di tucta la corte celestiale questo libro sarà scripto di ragione secondo le regole e’l corso dell’ambaco facte per Paulo gerardi di Firentie […] Anno Domini 1327 adj 30 di gennaio secondo il corso di Mompeslieri.
La trattazione comincia direttamente con l’esposizione della regola del tre che, a parte gli esempi, è identica a quella di Jacopo. L’organizzazione successiva del trattato è un poco diversa, Gerardi, infatti, continua a presentare la materia mediante l’enunciazione di regole seguite da un esercizio-esempio. Egli affronta le classiche questioni mercantili come il merito, le leghe, il cambio, i baratti, le compagnie, e aggiunge la regola delle cinque cose e quella di falsa posizione. La parte finale del trattato Le regole delle cose, presenta le regole di risoluzione per 15 tipi di equazioni 22. Cfr. J. Hoyrup, Jacopo de Florentia, Tractatus algorismi (1307), the chapter on algebra, «Centaurus», 42 (2000), pp. 21-69. 23. Cfr. P. Gherardi, Opera matematica: Libro di ragioni, Liber abaci, a cura e con introduzione di G. Arrighi, Lucca 1986, pp. 15-107.
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di primo, secondo e terzo grado. Alcune delle soluzioni proposte per le equazioni di terzo grado sono sbagliate. Anche Gerardi omette di introdurre le definizioni dei termini algebrici usati, egli propone però un problema per ogni regola. La circostanza che ben due trattati fra i più antichi oggi noti sia stata scritta a Montpellier non ci deve stupire, ricordiamo infatti che in quel periodo la città aveva assunto un ruolo molto importante nel commercio marittimo internazionale e molte delle più importanti compagnie mercantili fiorentine vi avevano fiorenti succursali. Il Trattato di tutta l’arte dell’abbaco di Paolo dell’Abbaco fu sicuramente il più noto e il più diffuso dell’epoca. Redatto nel 1339 ci è giunto in ben nove copie, 24 a differenza della maggior parte degli altri che ci sono noti in un unico esemplare. All’inizio l’autore elenca gli argomenti che rientrano nell’arte presa in considerazione. Al chominciamento del nostro trattato sarae scritta e provata tutta l’arte dell’abaco. Di ciò che dire gieneralmente se ne puote, sicchome multipricare, partire aggiustare, sottrarre, partire per reghola e partire a danda e tutte maniere di numeri rotti overo spezzati e ogn’altra cosa che intorno di ciò si puote dire. Seghuono tutte le ragioni di chanbiora …. Seghuono tutte maniere di cose che ssi pesano … Seghuono tutte ragioni di conpagnie … Seghuesi tutte ragioni di barattare … Seghuesi tutte ragioni di tenpi, reghole di tenpi e di fare sconti … Seghuesi tutte ragioni di saldare e di rechare a termine … Seghuesi tutte pratiche di geometria … Seghuesi alleghamenti d’oro e d’argento … Anchora sono molte altre ragioni sottili di numeri e di radici e di simiglianti ragioni. 25
L’arte dell’abbacho dunque per Paolo si identifica con il contenuto dei primi undici capitoli del Liber abaci, che peraltro non viene mai menzionato, integrato da problemi di matematica ricreativa e da qualche questione teorica sui numeri. Mettiamo in rilievo come tutta la parte relativa ai metodi di calcolo sia considerata parte generale ovvero propedeutica, questo spiega anche perché in alcuni trattati essa manchi. L’ultima parte 24. Cfr. B. Piochi, Il Trattato di Paolo dell’Abbaco, «Annali dell’istituto e Museo di Storia della Scienza di Firenze», 9 (1984), pp. 21-40, che presenta anche la trascrizione dell’indice relativo alla copia del trattato contenuto nel manoscritto Fon. Prin. II, IX, 57 della Biblioteca Nazionale di Firenze. G. Arrighi, Una importante lezione dell’opera di M. Paolo dell’Abbaco, «Atti della Fondazione Giorgio Ronchi», 25 (1980), pp. 858-874, descrive la copia del trattato contenuta nel manoscritto 2511 della Biblioteca Riccardiana di Firenze e riporta la trascrizione dell’indice, del capitolo sui numeri perfetti e di quello di Astronomia-Astrologia. 25. Ricc. 2511, pp. 1-2.
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dei manoscritti che tramandano il trattato è dedicata a questioni di astronomia e astrologia. Paolo, che nel testamento si autodefinisce arismetrice, geometrie ac astrologie seu astronomie magister probatissimus, fu il più rinomato maestro d’abaco fiorentino del XIV secolo. La sua fama era forse maggiormente legata alla sua capacità di costruire e usare strumenti astronomici, con i quali fu in grado di prevedere con notevole precisione varie congiunzioni astrali. Le sue attività di maestro d’abaco e di astronomo-astrologo gli procurarono oltre alla fama anche una certa agiatezza come si può rilevare dai lasciti elencati nel suo testamento. 26 Paolo, forse originario di Prato, morì a Firenze nel 1367. Il trattato ha una evidente impostazione didattica, gli argomenti sono presentati con molta chiarezza mediante numerosi esercizi-esempi. Le operazioni coi numeri interi e le frazioni sono invece esemplificate solo mediante schemi privi di qualunque spiegazione. La parte degli interessi e sconti, del saldare e recare a termine è presentata in modo analogo a quello del Livero de l’abbecho e del Tractato dell’arismetrica. Anche la Regola del tre ha un enunciato simile a quelli dei trattati appena menzionati (ms. cit., p. 100): Se ci fosse data alcuna ragione la quale si proponesse in tre cose, si debbiano multipricare la cosa che noi vogliamo sapere contra quella che non è di quella medesma, e partire nell’altra, cioè nella terça.
Un capitolo assai interessante è quello che precede la parte di geometria. In esso vengono presentati una serie di procedimenti pratici, Regoluzze, per ottenere rapidamente la risoluzione di tante piccole questioni che si presentavano nella contabilità pratica quotidiana e nella vita mercantile del tempo. Regole di questo tipo si incontrano qua e là anche nel Liber abaci. Le Regoluzze pubblicate per la prima volta da Gugliemo Libri sono state ristampate più volte, 27 mentre manca un’edizione a stampa dell’intero trattato; quella a cura di G.Arrighi è stata, infatti, condotta su un manoscritto che presenta solo un’antologia del trattato compilata nel XV secolo. 28 Nell’Arte dell’abbaco non c’è un capitolo dedicato all’agebra anche se qua e là troviamo problemi risolti mediante l’ausilio di equazioni di secondo 26. Due copie del testamento sono tuttora conservate nell’Archivio di Stato di Firenze, cfr. W. Van Egmond, New light on Paolo dell’Abbaco, «Annali dell’Istituto e Museo di Storia della Scienza di Firenze», 2 (1977), pp. 1-21. 27. Cfr. G. Libri, Histoire des Sciences, T. III, pp. 296-301. Tra le ristampe segnaliamo Paolo dell’Abbaco, Regoluzze. Secondo la lezione del codice 2511 della Biblioteca Riccardiana di Firenze, a cura e con introduzione di G. Arrighi, Prato 1966, che contiene anche l’indicazione delle precedenti edizioni. 28. Cfr. Paolo dell’Abbaco, Trattato d’Aritmetica. Secondo la lezione del Codice magliabechiano XI, 86 della Biblioteca Nazionale di Firenze, a cura e con introduzione di G. Arrighi, Pisa, 1964.
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grado. Si può dunque pensare che Paolo avesse scritto un trattato tutto dedicato a questa disciplina oppure che i copisti che ci hanno tramandato il testo abbiano tralasciato questa parte. La maggior parte dei trattati del XIV secolo che ci sono pervenuti sono confrontabili con quelli fin qui esaminati, inoltre hanno un carattere elementare e didattico che ci induce a pensare che abbiano avuto come modello più il Libro di merchaanti di minor guisa che il Liber abaci. Sappiamo però da testimonianze di autori del secolo successivo che alcuni maestri fiorentini quali Grazia de’ Chastellani e Antonio de’ Mazzinghi, scrissero trattati di alto livello che non ci sono pervenuti e dei quali conosciamo solo alcune parti che ci sono state tramandate indirettamente. 29 Un esempio di trattato di livello superiore che ci è pervenuto integralmente, è quello contenuto nel manoscritto Fond. Prin. II.V.152 della Biblioteca Nazionale di Firenze, scritto nell’ultimo decennio del XIV secolo. L’anonimo autore esordisce affermando di voler «inchominciare uno trattato sopra l’arte della arismetricha volgarmente chiamata abacho per dare amaestramento a tutti coloro che in essa arte si dilettano». Un testo dunque non per apprendisti mercanti ma per cultori della matematica. Delle 180 carte del trattato circa la metà sono dedicate ai classici temi mercantili, le altre sono invece riservate ai problemi ricreativi e all’algebra. Dalla lettura del testo emerge anche che la parte pratica è presentata in modo da soddisfare coloro che hanno interessi più astratti per la matematica. Spesso infatti dopo l’esposizione di un argomento si osserva che il metodo presentato è approssimato e adatto per mercanti, mentre ne esiste uno più preciso ma più difficile che viene poi illustrato per il piacere del lettore. In particolare i capitoli finali dedicati all’algebra 30 costituiscono uno dei trattati più ampi e organici fra quelli attualmente noti, e contengono un importante contributo alla risoluzione delle equazioni di terzo grado. 31 Sebbene la maggior parte dei trattati d’abaco del XIV secolo oggi noti 29. Cfr. M° Antonio de’ Mazzinghi, Trattato di Fioretti nella trascelta a cura di M° Benedetto, a cura e con introduzione di G. Arrighi, Pisa, 1967; G. Arrighi, Un estratto del «De Visu» di M° Grazia de’ Chastellani, «Atti della Fondazione Giorgio Ronchi», 22 (1967), pp. 44-58; M° Gratia de’ Chastellani, Chasi sopra chonpagnie, dal Codice Palatino 573 della Biblioteca Nazionale di Firenze, a cura e con introduzione di M. Pancanti, «Quaderni del Centro Studi della Matematica Medioevale» n. 11, Siena, 1984. 30. Cfr. Anonimo (sec. XIV), Il trattato d’algibra, dal ms. Fond. prin. II.V.152 della Biblioteca Nazionale di Firenze, a cura e con introduzione di R. Franci e M. Pancanti, «Quaderni del Centro Studi della Matematica Medioevale» n. 18, Siena, 1988. 31. Cfr. R. Franci, Contributi alla risoluzione delle equazioni di 3° grado nel XIV secolo, in Mathemata. Festschrift fur Helmut Gericke, Stuttgart 1985, pp. 221-228.
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siano di origine fiorentina ce ne sono pervenuti anche alcuni scritti in altre città del nord e del centro Italia. Essi comunque specialmente per la parte più strettamente mercantile non presentano differenze sostanziali rispetto a quelli fin qui esaminati. L’attività d’insegnamento e la produzione di trattati d’abaco rimase intensa a Firenze anche durante il Quattrocento. Dei circa 300 manoscritti contenenti trattati d’abaco più della metà risalgono al XV secolo, di questi una sessantina sono composti da autori fiorentini e una decina da maestri di altre città toscane. 32 Il Trattato d’abacho di M° Benedetto da Firenze composto verso il 1460 fu sicuramente il più diffuso dell’epoca come è testimoniato dalla circostanza che ce ne sono pervenute una ventina di copie, 33 alcune firmate da altri maestri che ne sono invece semplici trascrittori. 34 La scelta degli argomenti, il rigore e la semplicità con cui sono presentati fa di quest’opera un modello esemplare della trattatistica d’abaco di carattere didattico. I trattati d’abaco assai raramente menzionano il Liber abaci di Leonardo Pisano per cui si potrebbe pensare che con il passare degli anni se ne fosse persa la memoria. Che non sia così è testimoniato dalla circostanza che durante i secoli XIV e XV si continuarono a produrre copie del trattato e ancor più da quanto possiamo leggere in due trattati fiorentini della metà del XV secolo che portano il titolo comune di Praticha d’arismetricha. Uno, scritto circa nel 1450 da un anonimo maestro fiorentino che si qualifica come allievo di un certo Domenico d’Aghostino, è contenuto nel codice Pal. 573 della Biblioteca Nazionale di Firenze. 35 L’altro, composto circa dieci anni dopo, è contenuto nel manoscritto L.IV.21 della Biblioteca Comunale di Siena, ne è autore M° Benedetto
32. Cfr. R. Franci, Le matematiche dell’abaco nel Quattrocento, in Contributi alla Storia delle matematiche, Modena 1992, pp. 53-74, e R. Franci, La trattatistica d’abaco nel Quattrocento, in Luca Pacioli e la matematica del Rinascimento, Città di Castello 1998, pp. 61-75. 33. Per un elenco dei manoscritti in questione e la loro attuale collocazione cfr. W. Van Egmond, Practical mathematics, p. 356. Per una biografia di M° Benedetto basata su numerosi e inediti documenti d’archivio cfr. E. Ulivi, Benedetto da Firenze (1429-1479) un maestro d’abaco del XV secolo, «Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche», 22(1), 2002, pp. 1-243. 34. Cfr. P. M. Calandri. Tractato d’abbaco, a cura e con introduzione di G. Arrighi, Pisa, 1974. Il testo pubblicato è tratto dal manoscritto Acquisti e Doni 154 della Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze dove il trattato è firmato dall’abacista fiorentino Pier Maria Calandri, si tratta però di una copia del trattato di M° Benedetto. 35. Un’accurata descrizione del manoscritto comprendente un indice dettagliato e la trascrizione delle introduzioni alle singole parti si trova in G. Arrighi, Nuovi contributi per la storia della matematica in Firenze nell’Età di Mezzo: il codice Palatino 573 della Biblioteca Nazionale di Firenze, «Rendiconti Istituto Lombardo-Accademia di Scienze e Lettere», Classe di Scienze (A), 101 (1967), pp. 395-437.
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da Firenze. 36 Una redazione più condensata del primo si trova nel manoscritto Ott. Lat. 3307 della Biblioteca Apostolica Vaticana. 37 Altre due copie del trattato di M° Benedetto sono invece conservate nelle Biblioteche Riccardiana di Firenze e della Columbus University di New York, con le segnature Ash. 495 e Plimpton 189, una ulteriore copia circolava nel mercato antiquario a Firenze circa 30 anni fa, non è noto l’attuale proprietario. Le due opere presentano caratteristiche comuni che le distinguono dagli altri trattati d’abaco e si riallacciano più direttamente al Liber abaci di Leonardo non solo per la profondità e ampiezza della trattazione, ma ancor più per la concezione che sta alla base della loro composizione. Questi trattati infatti si presentano come esaurienti compendi della matematica che veniva tramandata nelle scuole d’abaco così come quello di Leonardo rendeva conto della matematica che veniva coltivata nei paesi arabi che l’autore aveva visitato. Esse inoltre contengono preziosi riferimenti storici a scuole, maestri e trattati d’abaco fiorentini e riportano lunghe parti di importanti opere che non ci sono pervenute. Entrambi gli autori mostrano di conoscere molto bene le opere di Leonardo Pisano che vengono citate spesso e delle quali riportano ampi stralci. L’anonimo autore del Pal. 573 nell’introduzione pone Leonardo Pisano primo nell’ordine fra gli autori «da essere riputati» e ne invoca l’autorità in numerosi punti dell’opera. La quinta parte del trattato «dove s’à a dimostrare chasi di diletto» è presa interamente, come dichiara lo stesso autore, dal «dodecimo di Lionardo». Anche l’ottava parte «che contiene il travagliamento delle radicie» riporta direttamente la traduzione in volgare di parti del XIV capitolo del Liber abaci. Infine nell’ultima sezione del trattato, dedicata all’algebra, vengono presentati «chasi scritti da Lionardo Pisano arismetrico perfecto», si tratta dei problemi contenuti nella terza parte del XV capitolo del Liber abaci. Questa sezione si apre con la seguente presentazione Lionardo Pisano, chome per uno scripto nel gran vilume titolato Praticha d’arismetricha è manifesto, inparò nelle parti d’Egitto e quivi disputando venne perfectissimo. E lui in queste parti toschane, prima dette lume et dichiaratione delle reghole. E questo è manifesto per le parole di Maestro Antonio nel libro de’ Fioretti suoi, 36. Per la descrizione del manoscritto, l’indice e la trascrizione dell’introduzione alle varie parti si può vedere G. Arrighi, Il Codice L.IV.21 della Biblioteca degl’Intronati di Siena e la «Bottega dell’abaco a Santa Trinita» in Firenze, «Physis», 7 (1965), pp. 369-400. 37. Cfr. G. Arrighi, La matematica a Firenze nel Rinascimento: il codice Ottobonisano latino 3307 della Biblioteca Apostolica Vaticana, «Physis», 10 (1968), pp. 70-82.
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dove dimostra l’ontelletto di detto Lionardo pisano essere grandissimo. Chonpuose Lionardo molti libbri di nostra scientia, fra’ quali furon questi de’quali ho cognitione, cioè: e’ Libro di merchaanti detto di minor guisa, e’ Libro de’ fiori, el Libro de’ numeri quadrati, e’ Libro sopra il 10° d’Euclide, e’ Libro di Praticha di geometria, el libro di Praticha d’arismetricha del quale io ò chavato quello che al presente voglio scrivere. (Pal. 573, 433v e 434r).
Lo stesso autore nel trattato contenuto nel codice ottoboniano, dopo aver elencato le opere di Leonardo, indica anche i luoghi dove era possibile consultarle E sono queste opere in Santo Spirito e in Santa Maria Novella, e anchora nella Badia di Firenze e, in particularità l’anno molti nostri cittadini. (Ott. Lat.3307, c.349).
testimoniando così la larga diffusione degli scritti di Leonardo nella Firenze del Quattrocento. Inchomincia <spazio bianco> del trattato di praticha d’arismetrica tratto de’ libri di lionardo pisano e d’altri auctori. Conpilato da .B. a uno suo charo amicho negl’anni di Xpo Mcccc°Lxiii. (L.IV.21, c1r).
così esordisce il trattato di M° Benedetto che come il precedente invoca in più luoghi l’autorità del matematico pisano e non solo riporta lunghi brani tratti dal Liber abaci, ma nel primo capitolo dell’ultimo libro ci presenta addirittura una traduzione in volgare del Liber quadratorum. 5. I trattati a stampa del secolo L’invenzione della stampa a caratteri mobili è sicuramente uno degli avvenimenti più rilevanti del XV secolo. Tenuto conto dell’importanza e della diffusione dell’insegnamento dell’abaco non ci si deve meravigliare se il primo testo di matematica stampato in Italia fu proprio un trattato d’abaco. Si tratta della cosidetta Aritmetica di Treviso dal luogo dove fu stampata il 10 dicembre 1478. L’opera anonima e senza titolo, composta di 52 carte, è assai elementare e il suo scopo dichiaratamente didattico. Più elaborata e completa è invece l’Aritmetica di Piero Borghi stampata a Venezia nel 1484. Il trattato anch’esso di carattere didattico fu un vero bestseller, ebbe infatti 15 ristampe due delle quali nel Quattrocento e l’ultima nel 1564. In nessuna di queste due opere si trova qualche riferimento a Leonardo Fibonacci, circostanza che non ci stupisce poiché non abbiamo mai trovato riferimenti al matematico pisano in testi dell’area settentrionale. Egli però non è menzionato neppure in Pitagoras aritmetice introductor il primo trattato d’abaco stampato a Firenze nel 1491, ne è autore Filippo Calandri. A questo proposito notiamo che difficilmente anche nei testi toscani di carattere più didattico si fa menzione di Leonar-
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do, lo stesso maestro Benedetto che oltre alla Praticha d’arismetrica sopra ricordata fu autore di un trattato d’abaco, in quest’ultimo non cita mai il nome di Fibonacci. Luca Pacioli autore della Summa de arithmetica geometria proportioni et proportionalità stampata a Venezia nel 1494 elenca invece Leonardo Pisano tra le sue fonti e dichiara altresì: «E perché noi seguitiamo per la magior parte Leonardo Pisano. Io intendo chiarire che quando se porrà alcuna proposta senza autore quella sia di detto Leonardo». La lettura dell’opera rivela però che l’autore attinse piuttosto a fonti abachistiche a lui più vicine, la circostanza però che si citi Leonardo è una chiara testimonianza del fatto che all’epoca egli era considerato una autoritas. La Summa per le sue dimensioni e il suo contenuto è da ritenere più simile alle Pratiche d’arismetricha di M° Benedetto e dell’allievo di Domenico d’Agostino che non ad un semplice trattato d’abaco. Con il diffondersi della stampa i trattati manoscritti vennero a poco a poco dimenticati nelle biblioteche e poco a poco se ne perse la memoria. Questa sorte toccò anche a quelli di Leonardo Pisano. Il suo nome comunque restò vivo proprio perché di esso si faceva menzione nella Summa che essendo stampata ebbe un ruolo di primo piano nella diffusione delle matematiche dell’abaco nel XVI secolo. Fu proprio a partire dallo studio della Summa che nel XVIII secolo Pietro Cossali si mise alla ricerca dei manoscritti di Leonardo Pisano, il loro ritrovamento e la loro lettura gli permisero di mettere l’opera di Leonardo nella giusta prospettiva storica, correggendo gli errori di datazione di illustri storici a lui precedenti. 38 6. Conclusioni Dall’esame sopra condotto emerge che a fronte di una scarsa presenza nei trattati d’abaco di citazioni dirette di Leonardo Fibonacci, l’influenza delle sue opere, in particolare del Liber abaci e del Libro di merchaanti, appare nettissima sia nei contenuti che nella struttura dei testi che segue le due tipologie da lui inaugurate: una più didattica, l’altra più scientifica. Per completezza occorre osservare che pur nella scia del modello inaugurato da Leonardo con il passare del tempo i trattati d’abaco mostrano anche elementi innovativi che riguardano in particolare gli algoritmi per 38. Cfr. R. Franci, Pietro Cossali: storico dell’algebra, in Pietro Riccardi (1828-1898) e la storiografia delle matematiche in Italia, Atti del Convegno, Modena, 16-18 marzo 1987, Modena 1989, pp. 199-217. Un panorama completo della riscoperta delle opere di Leonardo dal XVI secolo in poi è fornita dal contributo di L. Pepe al convegno di cui sopra.
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la moltiplicazione e l’algebra. Queste conclusioni rimangono immutate anche allargando l’analisi a tutta la produzione abachistica attualmente nota. 39
39. Oltre a quelli fin qui citati sono disponibili in una moderna edizione a stampa i seguenti trattati: K. Vogel, Ein Italianisches Rechenbuch aus dem 14.Jahrhundert, Munchen, 1977; Scuola Lucchese (sec. XIV), Libro d’albaco, dal Codice 1754 della Biblioteca Statale di Lucca, a cura e con introduzione di G. Arrighi, Lucca, 1973; Giovanni de’ Danti (Aretino), Tractato de l’Algorismo, dal Cod. Plut. 30. 26 (sec. XIV) della Biblioteca Laurenziana di Firenze, a cura e con introduzione di G. Arrighi, «Atti e Memorie dell’Accademia Petrarca di Lettere, arti e Scienze», n.s. 47 (1985), pp. 1-81; Maestro Dardi (sec. XIV), Aliabraa Argibra, dal ms. I.VII.17 della Biblioteca Comunale di Siena, a cura e con introduzione di R. Franci, «Quaderni del Centro Studi della Matematica Medioevale» n. 26, Siena, 2001; M° Gilio (sec. XIV), Questioni d’algebra, dal Codice L.IX.28 della Biblioteca Comunale di Siena, a cura e con introduzione di R. Franci, «Quaderni del Centro Studi della Matematica Medioevale» n. 6, Siena, 1983; Anonimo (sec. XIV), Trattato dell’alcibra amuchabile, dal Codice Ricc. 2263 della Biblioteca Riccardiana di Firenze, a cura e con introduzione di A. Simi, «Quaderni del Centro Studi della Matematica Medioevale» n. 22, Siena, 1994; Piero della Francesca, Trattato d’abaco, dal Codice Ash. 280 della Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze, a cura e con introduzione di G. Arrighi, Pisa, 1970; Filippo Calandri, Aritmetica, secondo la lezione del Codice 2669 (sec. XV) della Biblioteca Riccardiana di Firenze, a cura e con introduzione di G. Arrighi, Firenze, 1969; Anonimo (sec. XV), Libro di conti e mercatanzie, dal Ms. Pal. 312 della Biblioteca Palatina di Parma, a cura e con introduzione di S. Gregori e L. Grugnetti, Parma, 1998; (XV secolo), Trattato d’abaco, dal Manoscritto Parmense 78 della Biblioteca Palatina di Parma, a cura e con introduzione di S. Gregori e L. Grugnetti, Parma, 2001; Una raccolta di tre libri d’abbacho, dal codice della Busta 129(1)= Camp. App. 1537, Documenti Campori della Biblioteca Estense Universitaria di Modena, a cura di F. Cattelani Degani e A. Mantovani, «Quaderni del Centro Studi della Matematica Medioevale» n. 25, Modena, 2000.
fibonacci et le prolongement latin des mathématiques
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Roshdi Rashed FIBONACCI ET LE PROLONGEMENT LATIN DES MATHÉMATIQUES ARABES
Au milieu2 du XIXe 3siècle, F. Woepcke, 1 grâce aux4 travaux alors récents
de Cossali, de Libri et surtout de Boncompagni, fut le premier à avoir étudié ce que le Flos et le Liber Quadratorum doivent aux mathématiques arabes. Les explications de Woepcke ont été admises et adoptées par beaucoup de ceux qui ont écrit sur le mathématicien de Pise: Gino Loria, A. Youschkevitch, E. Picutti, par exemple. Dans une étude précédente, j’ai cru pouvoir montrer, à partir de l’examen des livres évoqués ainsi que du Liber Abaci, que «le premier grand mathématicien de l’Occident chrétien», aux dires de K. Vogel, 5 se présente comme porté par le courant des mathématiques arabes, non pas en général, comme on se plaît à le répéter, mais seulement de la première période, c’est-à-dire les mathématiques du IXe siècle et de la première moitié du siècle suivant. 6 C’est, semble-t-il, à cette tradition que Fibonacci a eu accès, et particulièrement aux écrits d’al-Khwarizmi et d’Abu Kamil, dans leur traduction latine notamment. Encore faut-il ajouter quelques autres mathématiciens, dont les écrits ont été également rendus en latin, comme ADmad ibn Yusuf, les Banu Musa, al-Nayrizi… C’est à cette conclusion que nous mène tout naturellement l’examen de certains chapitres du Liber Abaci. Le calcul sur les radicaux au quatorzième chapitre se comprend parfaitement à la lumière des travaux cités. Mieux encore, sur quatre-vingt-neuf problè-
1. Voir notamment Extrait du FakhrE, Traité d’algèbre par AboK Bekr Mohammed Ben Alhaçan AlkarkhE, précédé d’un mémoire sur l’algèbre indéterminée chez les Arabes, Paris, Imprimerie Nationale, 1853; reprint Hildelsheim, Georg Olms, 1982. 2. P. Cossali, Origine, trasporto in Italia, primi progressi in essa dell’algebra, Parma, 1797. 3. Guillaume Libri, Histoire des sciences mathématiques en Italie, vol. II, Hildesheim, Georg Olms, 1967. 4. Baldassarre Boncompagni, Tre scritti di Leonardo Pisano, Firenze, 1854. 5. K. Vogel, Fibonacci, in Dictionary of Scientific Biography, vol. IV, 1971, pp. 604-613. 6. R. Rashed, Fibonacci et les mathématiques arabes, Micrologus II-1994, pp. 145-160 (trad. italienne: Fibonacci e la matematica araba, dans Federico II e le scienze, Palermo, 1994, pp. 324-337). Sur le Liber Abaci, voir aussi Raffaella Franci, Il Liber Abaci di Leonardo Fibonacci, 1202-2002, in La Matematica nella Società e nella Cultura, Bollettino della Unione Matematica Italiana, Serie VIII, vol.V-A, Agosto 2002, pp. 293-328. Voir également O. Terquem, Sur Léonard Bonacci de Pise et sur trois écrits de cet auteur publiés par Balthasar Boncompagni, «Annali di scienze matematiche», t. 7, 1856. Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche · Vol. XXIII · (2003) · Fasc. 2
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mes d’algèbre étudiés par Fibonacci au quinzième chapitre, soixantequinze sont empruntés aux livres d’al-Khwarizmi et d’Abu Kamil. Par «emprunt», j’entends une reprise à l’identique du problème, ou bien avec quelques variations sans importance: un changement des coefficients numériques par exemple. Notons aussi que les problèmes que Woepcke a cru avoir été empruntés par Fibonacci au mathématicien de la fin du Xe siècle, al-Karaji, ou à Diophante via ce dernier, se trouvent tous dans le livre d’Abu Kamil. Or rien n’indique, contrairement à ce que croyait Woepcke, que Fibonacci connaissait le livre d’al-Karaji – al-FakhrE – non plus que les Arithmétiques de Diophante. Il est vrai que ces emprunts, ainsi que d’autres sans doute, sont importants pour situer la contribution de Fibonacci dans l’histoire des mathématiques. Mais s’y arrêter, c’est occulter une autre face de cette contribution et ainsi laisser échapper sa véritable signification. Non seulement Fibonacci a emprunté aux mathématiciens des chapitres entiers, mais son œuvre se présente à certains égards comme un prolongement en latin des mathématiques arabes de la première période. J’entends par là l’invention de nouveaux résultats, mais dans le cadre de la mathesis héritée, et sans rupture avec elle.Toute la question est de savoir dans quel sens et suivant quel style s’est opéré ce prolongement. Il va de soi qu’une réponse exhaustive et définitive à une telle question est un gage d’avenir, c’està-dire qu’elle exige une meilleure connaissance des traductions latines de l’arabe et surtout des milieux arabophones en Italie, ainsi que l’achèvement d’une véritable édition critique du Liber Abaci. En attendant, il faudrait s’en tenir aux faits incontestables et éviter les rapprochements arbitraires, voire abusifs. Ce n’est donc qu’une première ébauche de réponse à cette question que je me propose d’apporter ici. Le terrain le plus propice à une telle interrogation est, me semble-t-il, le débat engagé entre Fibonacci et les mathématiciens de la cour de Hohenstaufen. Ceux-ci, comme Jean de Palerme et Théodore d’Antioche, non seulement connaissaient l’arabe, mais étaient manifestement au fait de la recherche mathématique en cette langue. À titre d’illustration, Jean de Palerme a traduit en latin un traité arabe anonyme sur l’asymptote à une hyperbole équilatère. Or on sait que ce problème a été soulevé par des mathématiciens comme al-Sijzi à la fin du Xe siècle, et sera par la suite objet de recherche. 7 Le traité traduit aurait été écrit, selon toute vraisemblance, après la fin du Xe siècle. Quant à Théodore d’Antioche, 7. Al-SijzE et Maïmonide: Commentaire mathématique et philosophique de la proposition II-14 des Coniques d’Apollonius, «Archives Internationales d’Histoire des Sciences», n° 119, vol. 37 (1987), pp. 263-296; repris dans Optique et Mathématiques: Recherches sur l’histoire de la pensée scientifique en arabe, Variorum reprints, Aldershot, 1992, XIII.
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il était lui-même arabe, élève du mathématicien de Mossoul Kamal alDin ibn Yunus (1156-1241), lui-même élève du grand algébriste Sharaf alDîn al-6usi, qui a poussé et développé dans une nouvelle direction l’œuvre d’al-Khayyam en géométrie algébrique. Rappelons encore que le mathématicien Kamal al-Din ibn Yunus était l’un des correspondants arabes de Frédéric II. En un mot, ces mathématiciens de la cour de Frédéric II avaient accès à des écrits mathématiques dont nous ne connaissons aucune version latine, et c’est de ces écrits qu’ils tiraient les questions qu’ils adressaient à Fibonacci. Il s’agit en vérité de questions difficiles, extraites d’œuvres que Fibonacci très vraisemblablement ignorait, ou bien ne connaissait que par leurs énoncés et leur style, dans un débat dont l’arbitre était l’Empereur en personne. Autant d’éléments qui nous incitent à y voir un défi que Fibonacci ne pouvait que relever, ainsi acculé à exceller sinon à se dépasser. C’est dire qu’on ne parle plus d’emprunts, mais seulement de la poursuite d’une recherche inventive. Or c’est précisément en ce sens que ce terrain est le plus favorable à notre interrogation. I Jean de Palerme propose à Fibonacci de résoudre l’équation x 3+2x 2+10x = 20
(1)
en exigeant en plus que la solution soit «ex his que continentur in X° Libro Euclidis». 8 Pourquoi cette équation et cette solution? À l’évidence,le problème posé n’est ni facile ni innocent: Jean de Palerme savait sans doute que la solution n’en est nullement aisée, soit qu’il l’eût lui-même éprouvé, soit qu’il connût l’histoire de cette équation, soit enfin pour les deux raisons à la fois. En effet, cette équation se retrouve à l’identique, c’est-à-dire avec les mêmes coefficients, comme l’avait déjà noté Woepcke, dans le Traité d’algèbre d’al-Khayyam (1048-1131), qui écrit à son propos: «on détermine le côté du cube par la méthode des coniques, c’est la racine cherchée». 9 Et de fait, al-Khayyam résout ce type d’équation à l’aide de l’intersection d’un cercle et d’une hyperbole. 10 De plus, ce type d’équation était de celles que les mathématiciens de la tradition d’al-Karaji ont tenté de 8. Boncompagni, Tre scritti di Leonardo Pisano, p. 3. 9. R. Rashed et B.Vahabzadeh, Al-Khayy=m mathématicien, Paris, Librairie A. Blanchard, 1999, p. 224 (version anglaise sans les textes arabes: Omar Khayyam: The Mathematician, Persian Heritage Series n° 40, New York, 2000). 10. Ibidem, p. 185.
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résoudre par radicaux. Al-Sulami, mathématicien du XIIe siècle, proposa de se débarrasser des termes du second degré grâce à une transformation affine, puis en imposant une condition sur les coefficients des termes du premier degré, pour ramener la nouvelle équation à une simple extraction d’une racine cubique. 11 Ainsi, pour l ’équation x 3+ax 2+bx = c a on pose x = y − ; l’équation se réécrit 3
FG H
y3 + b −
IJ FG K H
IJ K
a2 2a 3 ba − −c = 0 y+ 3 27 3
a2 ; méthode qui ne peut aboutir ici. Il fallait donc trouver 3 une autre méthode. Quelle que soit la (ou les) sources de Jean de Palerme, celui-ci, en exigeant de procéder par le livre X des Éléments d’Euclide, ne faisait qu’augmenter la difficulté. Il exigeait en effet de Fibonacci d’interpréter algébriquement ce livre, à moins que Fibonacci connût cette interprétation des mathématiciens arabes, accomplie par al-Karaji et reprise par ses successeurs, al-Samaw’al par exemple. Or rien, dans l’état actuel de notre connaissance, ne vient étayer une telle supposition. En effet, au chapitre 14 du Liber Abaci, la connaissance du calcul sur les radicaux que révèle Fibonacci ne dépasse pas celle que l’on rencontre dans l’Algèbre d’Abu Kamil; et son propre écrit sur le livre X ne nous est malheureusement pas parvenu. Mais Jean de Palerme exige encore davantage: que la solution soit formée par les radicaux euclidiens – ce qui, nous le savons, est impossible, mais cela, aussi bien le mathématicien de l’Empereur que Fibonacci l’ignoraient. Situation insolite, dont le mathématicien de Pise se sortira au mieux. En fait, il combine arithmétique euclidienne et algèbre, à l’exemple de bien des théoriciens des nombres du Xe siècle: al-Khazin, al-Khujandi, Abu al-Jud, al-Sijzi. A-t-il subi leur influence? C’est possible; mais il est également possible que, familier de l’algèbre d’al-Khwarizmi et d’Abu Kamil, il ait retrouvé le même chemin pour répondre à Jean de Palerme. On impose b =
11. R. Rashed, Les commencements de l’algèbre, dans Entre arithmétique et algèbre. Recherches sur l’histoire des mathématiques arabes, Paris, Les Belles Lettres, 1984, pp. 17-29, à la p. 28 (trad. anglaise: The Development of Arabic Mathematics: Between Arithmetic and Algebra, Boston Studies in the Philosophy of Science, 156, Dordrecht/Boston/London, Kluwer Academic Publishers, 1994).
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Commençons par résumer sa démarche dans un autre langage. L ’équation (1) se réécrit x3 x2 + = 2− x 10 5 On vérifie immédiatement que 1 < x < 2, et que x n’est pas un nombre entier. m Posons x = , avec m et n premiers entre eux, d’où (1) se réécrit n m3+n(2m2+10mn–20n2)=0 Ainsi, n divise m3 ; comme il est premier avec m, l’application répétée du lemme d’Euclide montre qu’il divise m, contrairement à l’hypothèse; donc x n’est pas un nombre rationnel. Fibonacci démontre ensuite que x ne peut pas être un irrationnel euclidien, ni une combinaison d’irrationnels euclidiens. Supposons que x = n , avec n non carré. L’équation (1) se réécrit 10 − x 2 = n x=2 10 + x 2
(2)
n est donc rationnel, ce qui est absurde. Supposons que 4 n , alors (2) se réécrit 104 n + 4 n ⋅ n = 2(10 − n )
et ainsi la première des deux médiales est égale à l’apotome, deux grandeurs irrationnelles dont Euclide a démontré l’hétérogénéité. On tombera sur une contradiction semblable si on suppose que x = m + n ou x = m + n. Ainsi, Fibonacci démontre qu ’aucun radical euclidien ne satisfait l’équation (1). Il donne enfin une valeur approchée de x. 12
12. Voir Boncompagni, Tre scritti di Leonardo Pisano, pp. 1-54; F. Woepcke, Sur un essai de déterminer la nature de la racine d’une équation du troisième degré, «Journal de mathématiques pures et appliquées», XIX, 1854. Voir aussi Il «Flos» di Leonardo Pisano dal Codice E.75 P. Sup. della Biblioteca Ambrosiana di Milano, Traduzione e Commenti di Ettore Picutti, «Physis», Anno XXV, Fasc. 2, 1983, pp. 293-387; H.-G. Zeuthen, Notes sur l’histoire des mathématiques, «Oversigt over det Kongelige Danske. Videnskabernes Selskabs. Forhandlinger og dets Medlemmers Arbejder» (B.A.R.S.L.D., n° 3 Janvier-Mars), Copenhague, 1893, pp. 1-17.
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roshdi rashed
Fibonacci a bien répondu à Jean de Palerme, mais sans penser aller plus loin que la question posée. Expliquons-nous. Au cours de cette démonstration, on n’a pas manqué de noter comment le recours à l’arithmétique euclidienne pour discuter de cette équation cubique a mené à des résultats bien intéressants : • Fibonacci a montré que si la racine de (1) n’est pas entière, elle ne peut non plus être rationnelle. Résultat doublement important par lui-même, mais aussi par la méthode mise en œuvre pour l’établir. C’est la même méthode dont les traces se trouvent déjà lors de la construction de l’irrationalité de la diagonale dans les mathématiques grecques et, qui, une fois généralisée à la fin du XIXe siècle permettra de montrer que tout anneau principal est intégralement clos. • Il démontre aussi qu’une équation cubique irréductible ne peut être résolue par aucune combinaison des irrationnels du Livre X, c’est-à-dire quadratiques. Fibonacci, observons-le, n’a pas été tenté de chercher d’autres irrationalités constructibles qui ne figurent pas dans le livre X des Éléments. Or al-Karaji dans al-BadE‘, comme son successeur al-Samaw’al dans al-B=hir, expliquaient qu’il y a une infinité de types d’irrationnels, au-delà du Livre X des Éléments. • La démonstration de Fibonacci est géométrique, c’est-à-dire dans le style et avec la terminologie du Livre X, même si les moyens sont arithmétiques. II Le second «défi» jeté par Jean de Palerme à Fibonacci nous est rapporté par le mathématicien de Pise, lui-même dans le prologue de son Liber Quadratorum. Voici comment il s’adresse à l’Empereur: Lorsque, Ô Seigneur Frédéric, prince très glorieux, maître Dominique m’amena à Pise aux pieds de Votre Excellence, maître Jean de Palerme, m’ayant rencontré, me proposa la question, qui n’appartient pas moins à la géométrie qu’au nombre, de trouver un nombre carré qui, augmenté ou diminué de cinq, fait toujours naître un nombre carré. Après avoir réfléchi sur la solution de cette question que j’avais déjà trouvée, j’ai constaté que cette solution prenait sa source dans les choses multiples qui se présentent dans les nombres carrés et entre ces nombres. 13
Fibonacci ne pouvait pas être plus explicite sur l’objet de ses recherches, ni sur leurs visées: l’objet appartient, dit-il, aussi bien «à la géométrie 13. Léonard de Pise, le livre des nombres carrés, traduit pour la première fois du latin médiéval en français, avec une introduction et des notes par Paul Ver Eecke, Paris, Librairie A. Blanchard, 1952, p. 1. Voir aussi Ettorre Picutti, Il Libro dei Quadrati di Leonardo Pisano e i problemi di analisi indeterminata nel Codice Palatino 557 della Biblioteca nazionale di Firenze. Introduzione e Commenti, «Physis», Anno XXI, 1979, pp. 195-339.
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qu’au nombre»; il part du problème des nombres congruents, comme il le dira lui-même, et exige que l’on examine les propriétés des nombres carrés. Il s’agit donc de recherche en analyse diophantienne entière, telle qu’elle a vu le jour au Xe siècle. Euclidiens et lecteurs de Diophante, ces mathématiciens du Xe siècle, comme al-Khazin, pensaient l’arithmétique comme une arithmétique d’entiers, représentés par des segments de droite. Contrairement aux Arithmétiques de Diophante, une telle représentation rendait possible le respect des normes de la démonstration, telle qu’elle fut définie et pratiquée dans les livres arithmétiques des Éléments. En un mot, ils lisent Diophante à la lumière des Éléments, tout en étant bien informés de l’Algèbre d’al-Khwarizmi. Dans cette tradition, il ne s’agit plus de s’en tenir à la seule présentation des algorithmes, aux solutions des problèmes diophantiennes, mais bien de démontrer les solutions. Mais, avant de situer Fibonacci par rapport à cette tradition, venonsen au Liber Quadratorum. Fibonacci commence par montrer que l’on peut obtenir les nombres carrés comme sommes des premiers entiers impairs
LM OP N Q diophantien: «Trouver deux nombres dont les carrés réunis font un carré n
commençant par un n 2 = ∑ (2k − 1) . Il passe ensuite au problème k=1
formé par la réunion des carrés de deux autres nombres donnés». 14 Supposons que les deux nombres donnés soient u et v, u2 + v 2 = r 2 Fibonacci considère alors les deux segments EZ et ED tels que EZ2 + ED2 = DZ2 Si DZ =r, le problème est achevé; sinon, supposons d’abord que DZ >r; et soit un segment I égal à r. Ôtons de ZD le segment TZ =I et abaissons la perpendiculaire TK; alors ZK et TK sont les nombres cherchés. En effet, en raison de la similitude des deux triangles DEZ et TKZ, on a
14. Léonard de Pise, le livre des nombres carrés, trad. Ver Eecke, p. 8.
62
roshdi rashed KZ ZT KT ZT et = = EZ ZD ED ZD
d’où KZ =
ZT ZT ⋅ EZ et KT = ⋅ ED ZD ZD
d’où
F ZT I cEZ + ED h = ZT H ZDK 2
KZ2 + KT 2 =
2
2
2
= r2
On raisonne de manière analogue si DZ < r, mais on prolonge ZD. On vient de traduire la démarche de Fibonacci. Le raisonnement de Fibonacci ne tient qu’au prix d’une proposition supplémentaire, absente de son livre. Si on sait trouver x et y tels que r r x2+y2=a2, a nombre donné, alors x1 = x et y1 = y donnent une solua a tion du problème. À l’évidence, la méthode de Fibonacci n’est ni celle de Diophante dans ses Arithmétiques, ni celle, algébrique, d’un Abu Kamil par exemple. Non seulement il n’établit pas la proposition supplémentaire, mais sa méthode est géométrico-arithmétique. La géométrie est présente en personne, dans la mesure par exemple où Fibonacci a recours à la similitude des triangles. Mais cette méthode n’est pas non plus celle des théoriciens de la nouvelle analyse diophantienne, comme al-Khazin ou al-Sijzi. Ceux-ci ont certes représenté les entiers par des segments de droite, mais pour ensuite appliquer des méthodes purement arithmétiques ou arithméticoalgébriques. Même lorsqu’il arrive à certains parmi eux – al-Sijzi par exemple – de recourir à la géométrie, c’est toujours à la manière des algébristes. Notons enfin que dans les Zététiques Viète emprunte cette méthode de Fibonacci. Voici ce qu’il écrit: Trouver en nombres deux carrés de somme égale à un carré donné. Soit donné un nombre, F quadratum [F2]. Il faut trouver deux carrés dont la somme soit F quadratum. Supposons un triangle rectangle en nombre, d’hypoténuse Z, de base B, de perpendiculaire D. Soit un triangle rectangle qui lui soit semblable, d’hypoténuse F. On BF et de même Z est à F comme D à a Z à F égale B à l ’autre base qui vaut donc Z DF BF et de l’autre perpendiculaire qui vaut donc . C ’est pourquoi les carrés de Z Z DF seront de somme égale à F quadratum donné, ce qu’ il fallait faire. 15 Z 15. Opera mathematica, Leiden, 1646; reprint Hildesheim, Georg Olms, 1970, p. 62.
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63
Il reste que dans son Ad logisticam speciosam notae priores, Viète revient à la méthode des algébristes et montre que, une fois restituée la proposition absente, les deux méthodes sont équivalentes. La question que nous posions sur le statut même de la contribution de Fibonacci dans le Liber Quadratorum se précise donc: cet infléchissement géométrique est-il affaire de circonstance ou essentiel? Pour répondre à cette question, commençons par rappeler que Fibonacci établit par une démonstration aussi longue que laborieuse une proposition importante, qu’on peut ainsi réécrire en d’autres termes: p r Soit (p, q, r, s ) quatre nombres entiers tels que ≠ et que p2+q2=m q s et r2+s2=n, m et n entiers non carrés. On a mn=(p2+q2)(r2+s2)=(pr+qs)2+(ps–qr)2=(pr–qs)2+(ps+qr)2
(1)
mn2=(pr+qs)2 +(ps–qr)2=(ps+qr)2+(ps–qr)2=p2 (r2+s2)+q2 (r2+s2)
(2)
m2n2=(pr+qs)2 +(ps–qr)2=(ps+qr)2+(ps–qr)2 =p2 (r2+s2)+q2 (r2+s2)=r2 (p2+q2)+s2 (p2+q2)
(3)
Cette proposition est une conséquence de l’une des premières décompositions connues des formes quadratiques. Déjà connue des Babyloniens, on la trouve en filigrane dans le problème 3.19 des Arithmétiques de Diophante, et elle est énoncée et établie par les mathématiciens du Xe siècle comme al-Khazin. La démonstration de Fibonacci est dans le pur style des livres arithmétiques des Éléments. Venons-en maintenant à la proposition suivante, qui s’énonce: «trouver deux nombres dont les carrés réunis font un nombre non carré fait par la somme de deux carrés formés par des nombres donnés»; 16 ce qui se réécrit: x 2 + y2 = c = a 2 + b 2 avec c non carré et a et b rationnels. Réécrivons la démonstration de Fibonacci dans un autre langage. Soit u et v tels que u x u2 + v 2 = r 2 et ≠ v y et soit k = r2 · c. D’après la proposition précédente, k se réécrit 16. Léonard de Pise, le livre des nombres carrés, trad. Ver Eecke, p. 19.
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roshdi rashed k = (x2+y2)(u2+v2) = (xu–yv)2 + (xv+yu)2 = (xv–yu)2 + (xu+yv)2
Fibonacci considère ensuite le triangle ABC rectangle en C et tel que AB = k , AC = m, BC = n, où m = xu – yv et n = xv + yu.
Prenons sur AB le segment AI = c et abaissons la perpendiculaire IK sur AC. Les deux segments AK et IK donnent la solution. En effet
AK AI c 1 = = = AC AB k r d’où AK =
m xu − yv n xv + yu et IK = = = r r r r
d’où le résultat. La démonstration, on le voit, est géométrique-arithmétique. Fibonacci a recours, ici également, à la similitude des triangles. Pour saisir la différence, comparons la solution de Fibonacci à quelques autres. Ce problème n’est en effet autre que 2.9 de Diophante. Ce dernier pose x = a+t et y = st – b d’où
t=
a
2 bs − a s2 + 1
f
d’où x=
as2 + 2bs − a bs2 − 2as − b y et 1 + s2 1 + s2
Cette méthode, quelle que soit l ’interprétation qu ’on en donne – arith-
fibonacci et le prolongement latin des mathématiques
65
métique ou géométrique-algébrique – est bien différente de celle de Fibonacci. Abu Kamil applique pour sa part une méthode qui ressemble à celle de Diophante. Ainsi il pose x = a+t et y = b–st et calcule t, puis x et y. C’est cette méthode que l’on retrouve chez les algébristes comme alKaraji. 17 Enfin, dans les Zététiques [4.2], Viète donne la méthode de Fibonacci avant de donner celle de Diophante. Fibonacci établit ensuite les propositions suivantes avant de revenir au problème des nombres congruents: 18 n
•
∑i i=1
2
=
n( n + 1)(2n + 1) 6
n
•
∑ (2i − 1) i =1
2
=
4 n(2n − 1)(2n + 1) 12
• Si a et b deux entiers tels que a > b, (a, b) = 1 et (a + b) = 2 k, alors ab(a + b) (a – b) est un multiple de 24 (24 est le plus petit nombre congruent. On montre également qu’il en sera de même pour 4ab(a+b) (a – b) si (a+b) est impair, un nombre congruent. Tout est prêt maintenant pour relever le défi de Jean de Palerme et résoudre ainsi le système x 2 + a = y12 x 2 − a = y 22
(1)
avec y1 > x > y2. Commençons par examiner la méthode de Fibonacci, avant de revenir à l’histoire du problème pour comparer cette méthode avec celle de ses prédécesseurs du Xe siècle. L’idée centrale de Fibonacci est de se ramener à trois carrés en progression arithmétique. Idée intéressante, qui s’impose pour ainsi dire d’ellemême. En effet, de (1) on a y12 − x 2 = x 2 − y 22
(2)
17. Woepcke, Extrait du FakhrE, 3.37, p. 100. 18. L’entier n est congruent au sens de Fibonacci si n = ab (a +b) (a – b) avec (a+b) pair; ou si n = 4, ab (a +b)(a – b) avec (a +b) impair.
66
roshdi rashed
Posons donc n
n+ m
y = ∑ 2i − 1 , x = ∑ (2i − 1), y = 2 2
a f
2
i=1
i=1
2 1
n + m+ k
∑ a2i − 1f, avec k < m i=1
L’égalité (2) se réécrit (n+m+k)2 – (n+m)2 = (n+m)2 – n2
(3)
n
parce que
∑ a2p − 1f = n . 2
p =1
De (3) on a y 2 = k2 + 2mk − m2 , x = m2 + k2 , y1 = m2 + 2mk − k2
et on a a = 4mk (m + k)(m – k) Cette dernière étape n’a pas été vraiment établie par Fibonacci. On sait d’après la proposition précédente que a = 24 est le plus petit nombre congruent. La solution de l’équation (4) n’est pas immédiate. Il s’agit, dans un autre langage, de trouver les points rationnels sur une courbe elliptique. Rappelons maintenant quelques éléments d’histoire pour situer la contribution de Fibonacci. Ce problème remonte fort loin, jusqu’aux recherches sur les triangles rectangles numériques dans les mathématiques babyloniennes. On le trouve aussi sous quelques formes dans les Arithmétiques de Diophante. On a évoqué précédemment le problème 3.19 des Arithmétiques, qui se réécrit:
x 2 + ai = y 2i x 2 − ai = y i2+1
( y 2i +1 < x 2 < y 2i )
et i =1, 2, 3, 4; avec la condition x = a1 + a2 + a3 + a4 Ce problème revient donc à trouver quatre nombres congruents correspondant à x2 et tels que leur somme soit égale à x. Certes, Diophante ne pose pas le problème des nombres congruents pour lui-même, mais le rencontre à l’occasion de cette recherche sur les nombres carrés. Sa solution recourt principalement à une relation qu’il a établie entre les triplets pythagoriciens (a, b, c) et un nombre congruent,
fibonacci et le prolongement latin des mathématiques 67 ou, selon ses propres mots: «Puisque le carré de l’hypoténuse de tout triangle rectangle, augmenté ou diminué du double produit des côtés situés autour de l’angle droit forme un carré […]»: 19 c2 ± 2ab = (a ± b)2 Diophante cherche ensuite quatre triangles rectangles ayant la même hypoténuse, problème équivalent à représenter un carré en somme de deux carrés de quatre manières différentes. Ni le problème tel qu’il fut posé par Fibonacci, ni la méthode qu’il a suivie pour le résoudre, ne doivent quoi que ce soit aux Arithmétiques de Diophante – que d’ailleurs Fibonacci ignorait. S’il en était autrement, Fibonacci aurait ramené le problème à celui de trouver un triangle rectangle numérique, pour lequel 2ab est égal au nombre ai. La voie empruntée par Diophante est bien connue, et aurait consisté à poser u2 + v2 = c, u2 – v2 = a, 2uv = b d’où 4uv(u + v)(u – v) = ai Il fallait attendre le Xe siècle et la séparation de l’analyse diophantienne entière d’avec l’analyse diophantienne rationnelle pour que le problème des nombres congruents soit posé pour lui-même. C’est alors qu’il se présentera comme un problème de la théorie des nombres, dont plusieurs mathématiciens ne cesseront désormais de s’occuper; l’un des premiers fut al-Khazin. Celui-ci consacre plusieurs mémoires à l’analyse diophantienne entière, qui tous traitent des triangles rectangles numériques et des problèmes qui s’en déduisent, comme le premier cas du théorème de Fermat. Il reste qu’al-Khazin, non plus que les mathématiciens de l’époque, ne distingue ces nombres d’aucun titre particulier. C’est Fibonacci qui fut le premier à les baptiser «congruents». Al-Khazin démontre un théorème, celui des nombres congruents. On peut ainsi l’énoncer: les conditions suivantes sont équivalentes: 1° le système (1) admet une solution ; 2° il existe un couple d’entiers (u, v) tels que u2+v2 = x2, 2 uv = a dans ces conditions, a est de la forme 4 k, et k n’est pas de la forme 2n.
19. Diophante d’Alexandrie, Les Arithmétiques, Les six livres arithmétiques et le Livre des nombres polygones, Œuvres traduites pour la première fois du grec en français avec une introduction et des notes par Paul Ver Eecke, Paris, Librairie A. Blanchard, 1959, p. 108.
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J’ai examiné ailleurs 20 la démonstration d’al-Khazin; il suffit ici de rappeler les idées mises en œuvre. Le système (1) nous donne par addition et soustraction x2 =
y12 + y22 , y2 − y2 a= 1 2 2 2
Posons y1 = u + v et y2 = u – v. On a x2 = u2 + v2 et a = 2uv Mais al-Khazin avait démontré auparavant, par analyse et synthèse, le lemme à la proposition X.29 des Éléments, établi à l’aide de la seule synthèse par Euclide. On sait donc qu’il existe un couple (p, q) d’entiers de parités opposées tels que p>q et (p, q) = 1 tels que u = p2 – q2, v = 2 pq et x = p2 + q2 et on a (p2 + q2)2 + 4pq(p – q)(p + q) = (p2 – q2 + 2pq)2 (p2 + q2)2 – 4pq(p – q)(p + q) = (p2 – q2 – 2pq)2 Le système (1) est donc identiquement vérifié si a = 4pq (p – q)(p + q) Al-Khazin note que le plus petit entier a qui vérifie cette égalité est 24. Il ne s’arrête pas là, mais propose une seconde méthode pour résoudre (1), à l’usage des algébristes, c’est-à-dire pour obtenir des nombres rationnels. Cette méthode exige la solution de l’équation x 2 + y4 = z 2 D’autres mathématiciens de cette tradition – Abu al-Jud ibn al-Layth par exemple – s’occupent du problème des nombres congruents. À leur tour, les algébristes ne tarderont pas à s’occuper de ce même problème. À la fin du même siècle, al-Karaji, dans son al-BadE‘ pose ce problème précisément que Jean de Palerme adressera à Fibonacci, à savoir x 2 + 5 = y12 x 2 − 5 = y22
(5)
20. R. Rashed, L’analyse diophantienne au Xe siècle: l’exemple d’al-Kh=zin, «Revue d’histoire des sciences», 32, 1979, pp. 193-222; repris dans Entre arithmétique et algèbre, pp. 195-225.
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Voici les étapes de la solution d’al-Karaji. De (5) on tire
y12 − y22 = 10 , y1 + y2 = u et y1 − y2 = v d’où u+v , u−v y2 = et y12 − y 22 = uv 2 2
y1 =
d’où v =
10 . u
Substituons dans (5), et posons u =
3 2
FG IJ F I H K H K F 1 10 I 2401 = F 49I y = G Fu + IJ = H 2 H u K K 144 H 12 K F u − 10IJ = 961 = F 31I y =G H 2u K 144 H 12K 1 2 102 1681 41 = x = u + 2 = 4 144 12 u
2
2
2
2
2 1
2
2
2
2 2
Ces nombres sont les mêmes que ceux obtenus par Fibonacci dans son Liber Quadratorum. Sa méthode est différente et s’inspire de la même idée qu’il a déjà appliquée: trouver trois carrés, x 2 , y12 , y 22 en progression arithmétique avec la différence 5; c’est-à-dire résoudre y12 − x 2 = x 2 − y 22 = 5
en nombres rationnels (5 n’est pas divisible par 24); ou, ce qui revient au même Y12 − X 2 = X 2 − Y22 = 5k2
en nombres entiers. Fibonacci prend k2=144 et ainsi 5k2=720, multiple de 24, nombre divisible par 24. Il obtient pour X, Y1, Y2 : 41, 49, 31, et pour x, y1, y2 les valeurs trouvées par al-Karaji, c’est-à-dire x=
41 , 49 , 31 y1 = y2 = 12 12 12
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De l’aveu même de Fibonacci, le Liber Quadratorum a été conçu et composé dans le but de résoudre le problème des nombres congruents. Et de fait, les deux tiers des propositions sont directement liées à cette recherche. Le reste est formé de problèmes qui ne sont que des variations sur la question centrale. Ainsi, dans la proposition suivante, Fibonacci monp p+q tre que pour deux entiers p, q; p > q; si (p+q) est pair, alors ≠ . q p−q À la fin de cette proposition, il écrit une phrase qui a souvent excité l’imagination de certains historiens: 21 «nullus quadratus numerus potest esse congruum» – «aucun nombre carré ne peut être congru». 22 Sans toutefois tomber dans le piège de l’anachronisme, admettons que ce propos de Fibonacci reflète une difficulté intuitivement ressentie par le mathématicien. Peut-être est-ce d’ailleurs cette même difficulté qui avait auparavant incité al-Khazin à multiplier les méthodes. Restons dans la perspective de ce dernier. Celui-ci s’occupait, nous l’avons dit, des triplets pythagoriciens. Dans ce contexte, le problème des nombres congruents se pose explicitement ainsi: comment décider si un entier non carré est l’aire d’un triangle rectangle numérique? Ce contexte, répétonsle, n’est ni celui d’al-Karaji, ni strictement celui de Fibonacci. Al-Khazin a donné par son théorème une condition nécessaire et suffisante. Il reste que ce théorème ne permet pas toujours de résoudre le problème. Si par exemple on veut montrer que 1 n’est pas un nombre congruent, on est ramené à montrer l’impossibilité de x4 – y4 =z4 en entiers positifs. Il fallait pour cela attendre Fermat. Revenons au propos de Fibonacci. De la relation précédente on a immédiatement, comme l’a remarqué Fibonacci, p p+q = ⇒ pq( p + q)( p − q) et 4 pq( p + q)( p − q) q p−q sont des carrés. Il reste que la réciproque devrait passer par l’équation x4 – y4 = z2. En effet, pq (p + q)(p – q) est l’aire d ’un triangle pythagoricien dont les facteurs sont deux à deux premiers. Si ce produit est un carré, tous les facteurs doivent l’être également. Posons donc p = x2, q = y2, (p + q) = u2, (p – q) = v2, avec u, v tous deux impairs et (u, v) = 1. Alors x, y, z = uv sont solution de x4 – y4 = z2. 21. K. Vogel par exemple (cité n. 5). 22. Boncompagni, Tre scritti di Leonardo Pisano, p. 98; Léonard de Pise, le livre des nombres carrés, trad. Ver Eecke, p. 47.
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Le mathématicien de Pise avait-il remarqué une telle difficulté? Nous ne le croyons pas. Il a cependant pu, à partir de quelques valeurs, constater la propriété énoncée. Entre le texte de Fibonacci et cette dernière analyse à partir des triplets pythagoriciens, il y a donc un abîme que certains n’ont pas hésité à sauter à pieds joints. Ainsi le groupe des problèmes qui restent (moins d’un tiers) comprend des problèmes que l’on retrouve dans al-BadE‘ d’al-Karajî, mais résolus par Fibonacci à l’aide des nombres congruents:
x 2 + nx = y12 , x 2 + a = y12 x 2 − nx = y22 , x 2 − na = y22
(avec n =1, 2,….);
il s’achève sur un autre système d’équations diophantiennes proposé à Fibonacci par Théodore d’Antioche. Cette démarche peut certes être comparée à celle d’al-Khazin dans un des traités par lui composés. Lui aussi rappelle en effet que le but (algharad) de la première partie de son traité est de résoudre le problème des nombres congruents. Mais l’analogie s’arrête là. Avec al-Khazin, nous l’avons noté, le problème des nombres congruents se présente au cours d’une recherche, que l’on voulait systématique, sur les triplets pythagoriciens. Oublier ce contexte, c’est se condamner à ne rien comprendre au choix de représenter les nombres par des segments de droite, et surtout à la préférence délibérément affirmée par al-Khazin pour les méthodes purement arithmétiques ou arithmético-algébriques, autrement dit les deux socles sur lesquels a été édifiée l’analyse diophantienne entière. Or c’est bien à cette dernière qu’appartient le problème des nombres congruents, ainsi que la méthode employée par al-Khazin pour le résoudre. Le Liber Quadratorum, en revanche, n’est d’aucune manière un traité sur les triplets pythagoriciens. Fibonacci s’y occupe des nombres congruents. Sa méthode consiste d’une part à obtenir les carrés x2, y21, y22 comme sommes de progressions arithmétiques, et d’autre part à se ramener à des carrés en progression arithmétique. Si donc on veut distinguer en quelques mots les deux contributions, on pourrait avancer qu’alKhazin traite des triplets pythagoriciens par des méthodes arithméticoalgébriques, ou encore par des méthodes diophantiennes renouvelées par l’arithmétique des entiers, afin de fonder l’analyse diophantienne entière; alors que Fibonacci s’occupe du problème des nombres congruents, et de quelques problèmes connexes, en recourant aux méthodes de l’arithmétique euclidienne et néo-pythagoricienne et sans recours aux
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moyens de l’algèbre. Démarche originale, mais qui allonge et alourdit les démonstrations, qui souffrent d’ailleurs parfois de quelques défauts. Il reste que, l’un comme l’autre, Fibonacci et al-Khazin, contrairement à al-Karaji, sont d’ores et déjà sur le terrain de la théorie des nombres. Ce dernier traite en effet des solutions rationnelles et opte, nous l’avons vu, pour une méthode diophantienne algébriquement interprétée. Or cette démarche de Fibonacci évoque singulièrement la voie que luimême a empruntée dans son étude de l’équation d’al-Khayyam. Son premier geste était donc de recourir aux livres arithmétiques d’Euclide pour établir que la racine ne peut être un nombre rationnel, et ceci indépendamment de l’exigence de Jean de Palerme de procéder par le livre X des Éléments. Comment comprendre les causes et les conséquences de ce penchant euclidien? Deux termes, me semble-t-il, peuvent dire l’essentiel de la situation de Fibonacci: isolement et originalité, le premier étant en quelque sorte la cause du deuxième. Expliquons-nous. La plupart des propositions du Liber Quadratorum, sinon toutes, étaient connues des prédécesseurs arabes de Fibonacci, et amplement diffusées par eux; mais les démonstrations de Fibonacci étaient différentes. Existait-il une traduction latine relative à ces questions de la théorie des nombres? Pour l’heure, aucune preuve ne permet de l’affirmer. Mais le cas n’est pas unique. Je citerai en particulier une étude faite par Ibn alHaytham sur un problème de congruence linéaire – connu sous le titre du théorème du «reste chinois», et que l’on rencontre dans le Liber Abaci. 23 Or il n’existe aucune trace connue d’une traduction latine du texte d’Ibn al-Haytham ou de l’un de ses commentateurs. Que Fibonacci se soit formé pour ensuite s’investir à partir des mathématiques arabes traduites en latin, qu’il ait eu un quelconque accès direct à ces dernières, écrit ou oral (comme c’est le cas pour Jean de Palerme et Théodore d’Antioche), c’est hors de doute. Mais il est tout aussi incontestable que ce mathématicien doué était doublement isolé: par rapport à la production mathématique active engagée dans ce domaine depuis la seconde moitié du Xe siècle; par rapport à la recherche contemporaine avancée qui prospérait alors dans les cités de l’Orient musulman. Or il semble qu’on puisse voir dans cet isolement le ferment d’une originalité certaine. En dehors de la tradition de l’analyse diophantienne entière qui s’est formée à partir du milieu du Xe siècle pour se poursuivre ensuite avec des mathématiciens comme Kamal al-Din ibn Yunus, Fibonacci a eu recours 23. R. Rashed, Fibonacci et les mathématiques arabes, pp. 151-154: n≡1(mod mi), avec 1<mi
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aux moyens dont il disposait, à savoir les Éléments et l’arithmétique euclidienne et néopythagoricienne. De même, isolé de la tradition de la géométrie algébrique, c’est toujours vers les mêmes livres qu’il retourne. Aussi a-t-il développé certaines recherches des mathématiques arabes, mais dans d’autres directions et à l’aide d’autres moyens. Et c’est précisément ce que nous entendons par cette formule associée à Fibonacci: le prolongement latin des mathématiques arabes.
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Luigi Pepe* LEONARDO PISANO NEL SETTECENTO
La storiografia riguardante Leonardo Pisano presenta diversi motivi di interesse. Il capitolo più ricco va da Pietro Cossali a Baldassarre Boncompagni (1797-1862), quando le opere di Leonardo furono poste sotto l’attenzione generale degli studiosi, e comprende la polemica tra Guglielmo Libri e Michel Chasles, ancora attuale come confronto di metodologie per la storia delle scienze matematiche. 1 È merito però dell’erudizione italiana del secolo XVIII, che aveva raggiunto con le opere di Ludovico Antonio Muratori e Scipione Maffei livelli di assoluto valore, di aver restituito Leonardo al suo secolo e di aver posto con grande chiarezza questioni tuttora centrali relative all’interpretazione dell’opera di Leonardo: 1. 2. in 3.
L’origine dell’aritmetica posizionale con nove cifre (e lo zero). Il ruolo di Leonardo nella diffusione dell’aritmetica indiana in Italia e Europa. Il ruolo di Leonardo nella diffusione dell’algebra.
I manoscritti di Leonardo Pisano erano stati «studiati, largamente sfruttati, per non dire liberamente saccheggiati» per oltre due secoli. Era seguito un periodo in cui essi furono sostanzialmente ignorati e si generarono errori circa l’epoca stessa nella quale Leonardo era vissuto. 2 Bernardino Baldi inserì nella sua Cronica de’ matematici il seguente articolo dedicato a Leonardo, collocandolo nel secolo XV: Leonardo, che dalla patria fu detto Pisano (1400), fu grandissimo geometra et aritmetico; peregrinò lungo tempo in paesi orientali e dagl’Arabi medesimi apparò l’algebra, e tornato in Italia ne scrisse un degno volume, il quale non è però mai uscito alla luce. Scrisse anco un libro De’ Numeri Quadrati, che il Xilandro tiene che egli prendesse da Diofanto. Compose anco un nobilissimo Libro Geometrico, il quale si conserva
* Ricerche svolte con contributi del Miur (40%). 1. Luigi Pepe, La riscoperta di Leonardo Pisano, in Un ponte sul Mediterraneo: Leonardo Pisano, la scienza araba e la rinascita della matematica in Occidente, a cura di Enrico Giusti con la collaborazione di Raffaella Petti, Firenze, Polistampa, 2002, pp. 161-175. Ancora utili sono gli studi di Baldassarre Boncompagni, Della vita e delle opere di Leonardo Pisano. Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei, 5 (1851-1852), pp. 5-91. 2. Gino Loria, Leonardo Fibonacci, in Gli scienziati italiani, a cura di Aldo Mieli, vol. I, Roma, Nardecchia, 1921, pp. 4-12. Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche · Vol. XXIII · (2003) · Fasc. 2
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manoscritto nella Libreria Feltria d’Urbino, il quale Federico Commandino era per pubblicare, se non fosse stato prevenuto dalla morte. Delle cose di Leonardo si valse fra’ Luca dal Borgo, et a’ nostri giorni Nicolò Tartaglia Bresciano. 3
La Cronica de’ matematici fu stampata ad Urbino nel 1707, mentre rimase inedita la voluminosa raccolta delle Vite che solo recentemente sono state in buona parte pubblicate. Tra le Vite non ce n’è una di Leonardo, anche se a lui si fa riferimento nelle vite di Pacioli e di Commandino. La composizione delle Vite si colloca tra il 1587 e il 1589. Heilbronner conosceva assai imperfettamente la vita e l’opera di Leonardo che collocava nel secolo XV tra Biagio Pelacane e Giorgio di Trebisonda e inoltre lo confondeva con l’autore della Perspectiva Communis, pubblicata a Norimberga nel 1542. Leonardus Pisanus, patriae cameracensis [di Cambrai], evulgavit opticam et fuit commentatus de Algebra. 4
Heilbronner citava inoltre tra i manoscritti di Leonardo la Practica Geometriae dell’Archivio della Basilica di San Pietro in Roma e la Perspectiva communis della Biblioteca Bodlejana di Oxford. 5 Nel primo volume dell’Encyclopédie di Diderot e d’Alembert, alla voce Algèbre in un articolo siglato da d’Alembert e ispirato largamente a Gua de Malves (oltre che a Chambers), Pacioli è detto, sia pure con un’attenuazione dubitativa, discepolo di Leonardo (quindi secolo XV): Luc Paciolo, ou Lucas à Burgo, cordelier, est le premier en Europe qui ait écrit sur ce sujet [algèbre] : son livre, écrit en italien, fut imprimé à Venise en 1494. Il étoit, dit-on, disciple d’un Léonard de Pise et de quelques autres dont il avoit appris cette méthode, mais nous n’avons aucun de leurs écrits.
La prima edizione italiana dell’Encyclopédie, dalla quale abbiamo tratto questa citazione, fu stampata a Lucca (Giuntini) a partire dal 1758, qualche anno prima Giovanni Targioni Tozzetti e Francesco Antonio Zaccaria avevano restituito Leonardo al suo secolo. Nato a Venezia nel 1714, F. A. Zaccaria entrò nella Provincia Austriaca della Compagnia di Gesù nel 1731. Nel 1751 successe al Muratori come archivista e bibliotecario del Duca di Modena, carica che ricoperse fino al 1768. Fu poi a Roma dove insegnò alla Sapienza e continuò i suoi studi. Morì nel 1795. Il Sommervogel elenca 161 lavori a stampa riferiti allo Zaccaria. Fu in particolare editore della Storia letteraria d’Italia (14 volumi, Modena 1750-57). Il suo Excursus Litterarius per Italiam ab anno MDCCXLII ad annum MDCCLII (Venezia, Remondini, 1754) raccoglie i risultati delle 3. Bernardino Baldi, Le vite de’ matematici, a cura di Elio Nenci, Milano, Angeli, 1998, p. 51. 4. Jo. Christoph. Heilbronner, Historia Matheseos Universae, Lipsiae, Gleditsch, 1742, p. 497. 5. Ivi, pp. 547, 608.
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ricerche condotte in alcune delle principali città d’Italia in occasione di prediche: diplomi, iscrizioni, codici manoscritti, opere inedite. L’opera, divisa in diciassette capitoli riguarda Pistoia, Pesaro, Genova, Venezia, Torino, Cremona, Milano, Parma, Modena, Pisa, Firenze, Pavia, Osimo. A Firenze sono dedicati ben quattro capitoli, a Milano due, a tutte le altre città uno solo. Nel capitolo XIII, il secondo relativo a Firenze, Zaccaria prende in esame le Società letterarie fiorentine e le biblioteche: Palatina, Laurenziana, di S. Croce, Magliabechiana e Marucelliana. In particolare nella biblioteca di Antonio Magliabechi, rilevante più per i libri a stampa che per i manoscritti, egli segnalava un gruppo di manoscritti di argomento matematico ricavandone la descrizione dalle schede che “doctissimus Gorius” aveva estratto dal catalogo compilato dal bibliotecario Giovanni Targioni Tozzetti. Al codice più antico (sec. XIV) del Liber Abbaci è dedicata la maggiore attenzione. Di esso vengono riportati la prefazione, la lettera di dedica a Michele Scoto (scienziato e filosofo scozzese, uno dei fondatori dell’averroismo latino, attivo in Spagna e in Italia, traduttore dall’arabo di Aristotele ed Avicenna) e l’indice dei capitoli (op. cit. pp. 229-232). Dall’Incipit del codice si ricavano inequivocabili elementi di datazione dell’opera di Leonardo che distruggevano le varie leggende storiografiche. Il volume di Zaccaria e la seconda edizione delle Relazioni di Giovanni Targioni Tozzetti richiamarono l’attenzione sulla figura e l’opera di Leonardo. 1. Le « Relazioni » di Giovanni Targioni Tozzetti (1751-1768) Nella Relazione del viaggio fatto dal dottor Giovanni Targioni Tozzetti nell’autunno MDCCXLII per li territori di Pisa, Livorno, Volterra e Massa di Maremma, l’autore dopo aver visitato a Pisa il Museo naturalistico di Claudio Fromond, la biblioteca di Guido Grandi, la biblioteca del convento domenicano di Santa Caterina, sottolineava l’assenza in patria di opere di Leonardo Pisano: Neppure in questa Libreria di S. Caterina potei trovare nulla di Lionardo Pisano, degno di eterna memoria, per aver portato nel principio del secolo XIII i numeri arabici e l’algebra in Italia ed insegnato agl’Italiani il modo di servirsene. Nella Libreria Pubblica Magliabechiana di Firenze conserviamo un prezioso Trattato d’aritmetica di questo Leonardo, composto l’anno 1202, ed uno di agrimensura, da’ quali ho ricavato infinite belle notizie riguardanti i pesi, misure, monete e costumi di mercanzia di quei tempi. Desiderava io perciò di trovare in Pisa qualche opera del medesimo autore, lusingandomi che sarebbe stata molto considerabile. 6 6. Giovanni Targioni Tozzetti, Relazioni d’alcuni viaggi fatti in diverse parti della Toscana. Tomo primo, Firenze, Tipografia Imperiale, 1751, pp. 344-345. Giovanni Targioni Tozzetti (17121783), nato a Firenze, fu medico del Granduca di Toscana, archeologo e erudito.
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In questa prima edizione l’autore non aggiungeva altro; nella seconda edizione dell’opera invece si soffermava a descrivere il codice magliabechiano del Liber Abbaci del quale riportava l’Incipit. Elencava poi monete, pesi e misure in uso in diverse città del Mediterraneo (Pisa, Messina, Costantinopoli, Alessandria, ecc.), ricavati dall’opera di Leonardo. Da Targioni Tozzetti partiva poi la prima accusa di plagio a Luca Pacioli che: aveva avuto in mano quest’opera di Lionardo Pisano e se n’è fatto bello nella sua vasta aritmetica stampata, senza neppure nominarlo, altro che una volta o due incidentalmente. Se ne fece bello anche un anonimo della fine del secolo XV il quale compose un Trattato d’Abbaco, che in un codice grossissimo in foglio, si conserva tra i manoscritti della biblioteca del regio Spedale di S. Maria Nuova di Firenze. In esso Codice però, il libro 16 è copia del Trattato di Lionardo Pisano sopra i numeri quadrati, e principia così Cum magister Dominicus pedibus celsitudinis vestrae, Princeps Gloriosissine Domine me Pisis duceret ecc. 7
Per Targioni Tozzetti Leonardo era stato: tra gli Europei il primo, che abbia date le regole dell’algebra numerica e speciosa, che si chiama Algebra ed Almuchabala. 8
Egli non riteneva invece che Leonardo avesse introdotto in Europa l’aritmetica degli indiani: Varie sono le opinioni degli scrittori circ’all’origine delle cifre numeriche arabiche, mentre alcuni le fanno venire dalla combinazione delle dita, altri dai caratteri o ebraici, o latini o arabici, Io per altro dubito che siano lettere minuscole greche, un poco storpiate e che forse gli Arabi abbiano preso la maniera di conteggiare in questa comodissima guisa dai Greci de’ bassi secoli e che l’abbiano poi migliorata ed ampliata. 9
Targioni Tozzetti notava in proposito che nella stessa Magliabechiana era conservata la traduzione latina del Liber Introductorii maioris in Magisterio scientiae astrorum di Albumasar, datato 1171. Sempre nella Magliabechiana si trovava una copia del secolo XV «con molti errori e lacune e indice dei capitoli in volgare» del Liber Abbaci dovuta al lucchese Vincenzo Bonelli e ancora: Un’altra bell’opera del medesimo [Leonardo] è in un codice cartaceo in foglio, copia del secolo XVI intitolata Leonardi Pisani de Filiis Bonacci Pratica Geometriae composita anno MCCXX 10
La Geometria era divisa in otto parti e presentava le misure superficiali 7. Giovanni Targioni Tozzetti, Relazioni d’alcuni viaggi fatti in diverse parti della Toscana. Edizione seconda, Tomo secondo, Firenze, Cambiagi, 1768, pp. 65-66. 8. Ivi, p. 66. 9. Ivi, pp. 66-67. 10. Ivi, p. 69
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allora in uso a Pisa che il Targioni annotava. Nella presentazione dei Codici magliabechiani Targioni Tozzetti era stato preceduto però da Francesco Antonio Zaccaria. 2. La storia letteraria di Juan Andres (1782) Juan Andres, nato a Valencia nel 1740, era tra i gesuiti spagnoli espulsi che avevano trovato accoglienza in Italia. Attivo a Ferrara e a Mantova in diversi giornali letterari si occupò della polemica tra Baliani e Galileo sul moto. Il suo nome è legato ad una monumentale storia della letteratura universale: Dell’origine, progressi, stato attuale d’ogni letteratura pubblicata a Parma, nella Reale Stamperia, in otto volumi dal 1782 al 1822. L’ultimo volume uscì postumo, Andres era morto nel 1817. Quest’opera, notevole per concezione e per alcune prospettive di studio, lo è meno per accuratezza di descrizioni e controllo dei testi. Il cap. IX del primo volume (1782) tratta Dell’influenza dell’arabica letteratura nel Risorgimento dell’Europa: La protezione de’ principi accordate alle lettere, i premi e gli onori ottenuti da’ letterati, la copia de’ libri, il numero de’ maestri, la frequenza delle scuole, e l’abbondanza d’ogni sorta di sapere sono pregi, che alla romana letteratura bensì alla greca convengonsi, ma che più d’ogni altra propri si possono dire dell’arabica. 11
Gli Arabi furono superiori ai Romani nella filosofia e nelle scienze, ma inferiori largamente nell’amena letteratura (Cicerone, Virgilio, Livio, Orazio). Grande fu il loro impegno nel promuovere la filosofia aristotelica, ma i risultati del favore che presso di loro godevano gli studi furono modesti e nessun autore del livello di un Archimede o di un Newton fiorì presso gli Arabi, né sono da attribuire loro grandissime scoperte. Dagli Arabi però gli europei appresero ogni sorta di scienza: Ruggero Bacone e Vitellione trasmisero in Occidente l’Ottica di Alhazen: Lionardo da Pisa, istigato dal suo padre, intraprese un penoso viaggio nell’Africa, e per frutto delle sue fatiche riportò l’algebra arabica, dono il più pregevole che potesse porgere all’europea letteratura, ed introdusse nell’Italia le cifre numerali degli Arabi. 12
Arnaldo di Villanova e Raimondo Lullo attinsero dalla medicina e dalle scienze naturali degli Arabi: i primi lumi della chimica, della medicina, dell’ottica, dell’astronomia e di tutte le scienze naturali che la tenebrosa Europa hanno rischiarata, tutti sono derivati dall’arabica letteratura.(…) i moderni studi di chimica, di medicina, di botanica, di 11. Giovanni Andres, Dell’origine, progressi, stato attuale d’ogni letteratura, vol. I, Parma, 1782, p. 156. 12. Ivi, p.193.
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storia naturale, di fisica e di matematica debbono professare grata riconoscenza agli arabi, da cui si ha da prendere l’origine del loro risorgimento. 13
Il cap. X Dell’Origine tratta diffusamente Delle invenzioni tramandateci dagli Arabi. Tra le più importanti figura l’aritmetica indiana. Andres si poneva così contro una notevole tradizione storiografica che attribuiva ai greci l’invenzione dell’aritmetica posizionale con nove cifre. A tale tradizione si era invece collegato Targioni Tozzetti: L’erudito Uezio [Huet] pretende che i nostri caratteri numerali non vengano dagli arabi, né dagli indiani, ma che siano in realtà i greci caratteri soltanto e malconci dall’ignoranza degli scritturali e ad una minuta descrizione discende del modo in cui tale cambiamento poté accadere. 14
Inoltre i greci usavano ventisette lettere per indicare i numeri e la loro numerazione non era posizionale. Invece: La prima nazione europea che ne abbia avuto notizia [ le cifre indiane] è la Spagna dove era riposto il seggio dell’arabica letteratura. 15
Molto prudente era Andres sulla datazione della diffusione in Europa dell’aritmetica. Egli non aderiva alla tesi di alcuni eruditi che volevano introduttore della nuova aritmetica Gerberto (papa Silvestro II nell’anno 1000): A qual tempo s’incominciarono ad introdurre negli scritti degli europei l’uso degli arabi numeri non è sì facile a determinare precisamente. Se Gerberto dalla Spagna l’avesse trasportato in altre province, ciò proverebbe, che almeno fino alla metà del decimo secolo era già ricevuto nella Spagna, ma io non trovo bastevole fondamento per dargli sì rimota antichità. 16
Alfonso X di Castiglia introdusse le cifre arabiche nelle Tavole Alfonsine che vennero pubblicate nel 1252. Massimo Planude usò in Grecia le cifre arabe verso il 1270 nella calculatoria secondo gli indiani. Mabillon ricordava come la più antica testimonianza della numerazione araba un codice di Sant’Agostino sul quale Francesco Petrarca aveva annotato la data 1375. Le tesi di Andres sull’origine indiana e araba dell’aritmetica e sulla sua trasmissione in Europa attraverso la Spagna furono divulgate anche dalla più importante storia letteraria italiana del Settecento: La storia della letteratura italiana di Girolamo Tiraboschi (1731-1794), ex-gesuita, successore di Muratori e Zaccaria nella direzione della biblioteca estense di Modena: 13. Ivi, pp. 196-197. 14. Ivi, p. 223. 15. Ivi, p. 227. 16. Ivi, pp. 228-229.
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Intorno all’introduzione delle cifre arabiche meritan di esser lette le diligenti e ingegnose riflessioni del ch. Sig. ab. Andres, il quale senza negare a Leonardo Fibonacci la gloria di averle dall’Africa portate in Italia, si fa a provare che esse non furono note a Gerberto, come alcuni hanno affermato e molto meno a Boezio e crede che l’esempio più antico di tali cifre sia la traduzione di un’opera di Tolomeo dall’arabo in latino fatta nel 1136 e che conservasi a Toledo. 17
La Storia di Tiraboschi è limitata all’Italia, ma Gerberto era stato abate di Bobbio, arcivescovo di Ravenna e papa. Possibile che non avesse lasciato nessuna traccia dell’aritmetica indiana in Italia? Di tutti gl’italiani che ci vengono innanzi in quest’epoca[da Carlo Magno ad Ottone III] non ne troviamo uno solo di cui si possa dire che ne’ filosofici, o nei matematici studi fosse bastevolmente erudito se se ne tragga qualche studio d’astronomia. Anzi in tale dimenticanza giacevansi cotali studi alla fine del X secolo, che uno il quale ebbe coraggio di coltivarli, ne fu avuto da alcuni in concetto di mago. Io parlo del celebre Gerberto arcivescovo prima di Reims, poi di Ravenna e finalmente sommo pontefice col nome di Silvestro II. 18
3. La riscoperta pisana di Leonardo Abbiamo visto come a Pisa nel 1742 Targioni Tozzetti non ritrovasse alcuna opera di Leonardo. La riscoperta pisana segue infatti quelle del viaggiatore fiorentino e del gesuita veneziano. La prima attenzione a Leonardo è rivolta da un celebre professore dell’Università di Pisa, inteso a rivendicare le glorie italiane in campo culturale. Giovanni Gualberto De Soria (1707-1767), decano professore filosofico e bibliotecario dell’alma Università di Pisa, stabiliva un parallelo tra Leonardo e Galileo: l’introduttore della moderna aritmetica e il fondatore della moderna filosofia naturale: L’aritmetica è più nostra che di tutti altri. Fin dal 1200, Leonardo Pisano Fibonacci portò in Italia i numeri chiamati arabici e con essi le correnti regole aritmetiche, che tal foggia di numeri suppongono; nella qual professione quanto egli fosse perito bene il dimostra il di lui manoscritto che nella Biblioteca Magliabechiana conservasi. Né restò già negletta e nelle polverose scansie de’ dotti una tal’arte: ella era troppo utile e troppo comoda per non aver tosto un gran corso. Divenne subito compagna della mercatura della quale in mezzo alla barbara età sono stati i più grandi maestri e i più generali mantenitori i Fiorentini, i Genovesi e i Veneti, cioè gl’Italiani, a’ quali, per dirlo in passando, e singolarmente a’ Fiorentini, deve la mercatura le due ricchissime arti della seta e della lana, l’eccellente sistema delle lettere di cambio e il metodo usatissimo della scrittura doppia. 19 17. Girolamo Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, Venezia, Zatta, 1795, vol. IV, pp. 160162. 18. Ivi, p, 237. 19. Giovanni Gualberto De Soria, Dialogo di un cavaliere francese e un italiano circa i pregi delle due nazioni, Rovereto, Stamperia del Giglio, 1767, pp. 36-37.
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Ma la vera riscoperta di Leonardo come Pisano si deve al lungo saggio sulla sua figura e sulla sua opera di Giovanni Gabriello Grimaldi, monaco olivetano, inserito nel primo volume delle Memorie istoriche di più pisani illustri (Pisa, Prosperi, 1790). Il saggio in realtà compare solo siglato alla fine D.G.G. (Don Gabriello Grimaldi), ma l’autografo è descritto da Enrico Narducci: Elogio di Leonardo Fibonacci scritto dal padre Giovanni Gabriello Grimaldi. 20 Grimaldi ci fornisce per primo un quadro della repubblica marinara di Pisa in relazione alla professione del padre di Leonardo: L’esteso commercio che la Repubblica Pisana aveva con le principali città d’Oriente invitava i suoi cittadini a colà portarsi per quivi stabilirvi quelle ricche società, per le quali crebbe fino a quel segno di popolazione e di ricchezza dimodochè, volendo il Magistrato terminare l’Edifizio di S. Giovanni ed ordinando a tal’uopo la pubblica imposizione di un soldo d’oro per famiglia, trentaquattromila furono quelle che capaci trovaronsi di un simile dazio. La marittima economia poi e le ragioni di uno ben fondato commercio richiedono che in quei porti, ove una nazione per lo reciproco baratto delle proprie e straniere merci ricorre, si stabilisca un personaggio che promuova i nazionali vantaggi, rappresenti la Potestà che la governa e degli affari tutti al maneggio presegga. Questi era il grado in quei tempi ragguardevole che Bonaccio, padre di Leonardo, teneva a nome della Pisana repubblica in Bugia, città di Barberia, situata alle coste dell’Africa tra il Bastione di Francia ed Algeri. 21
Grimaldi trascrive poi e commenta l’Incipit del Liber Abbaci della Magliabechiana e aggiunge: Potrebbe sospettarsi che questo Codice fosse trasportato da Pisa a Firenze assieme con gli altri che trovansi nella suddetta biblioteca alla fine del secolo decimoquinto, oppure al principio del secolo seguente, allorquando cadde il fiorente impero della Pisana Repubblica. 22
Fissata l’attenzione sulla dedica del Liber Abbaci a Michele Scoto, attivo verso la metà del secolo decimoterzo, Grimaldi è il primo ad osservare che di esso esistevano due redazioni, datando la seconda sulla base di un codice della Riccardiana al 1228. Tutti i codici presentano questa seconda versione. Grimaldi fornisce anche un’analisi abbastanza estesa del Liber Abbaci: riporta il metodo di indicare i numeri con le dita, confuta il parere di Targioni Tozzetti che le cifre arabiche siano lettere greche deformate: Se dunque greca non sembra l’origine delle cifre arabiche, a qual nazione si deve attribuire questo ritrovamento veramente divino? Si consideri ciò che leggesi nell’introduzione del libro dell’Abbaco del Fibonacci (…) e poi si vedrà se dubbio
20. Enrico Narducci, Catalogo di manoscritti ora posseduti da D. Baldassarre Boncompagni, Roma, Tipografia delle scienze matematiche e fisiche, 1862, p. 103. 21. Memorie istoriche di più pisani illustri, tomo I, Pisa, Prosperi, 1790, p. 165. 22. Ivi, pp. 168-169.
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alcuno vi resti a credere con qualche storica certezza essere stati gl’Indiani quelli da cui le arabiche cifre derivarono. 23
Lo storico pisano rimprovera poi ad Andres di essere stato: impegnato forse con troppo entusiasmo a stabilire al gloria letteraria della sua nazione da tutta Europa fino a questi ultimi tempi a torto disprezzata ed ignorata (…) egli è quello che nella sua opera asserisce che Giovanni Sacrobosco fusse il primo ad introdurre nelle scuole fuori della Spagna l’uso delle cifre arabiche (…) poiché l’opera di Leonardo scritta nel 1202 oltre che non gode molta pubblicità, magis quam ad theoricam spectat ad practicam. Se Leonardo Fibonacci fosse nato sotto il quarantesimo grado di latitudine sarebbe certamente quello che, coronato di gloria, avrebbe per l’Europa tutta sparso la luce benefica del calcolo numerico, per cui renduto sarebbesi degno degli omaggi di tutta la Letteraria Repubblica, ed un eroe solo da encomiarsi, ma poiché egli è di quella nazione che forse in questi ultimi tempi ha dato, per le opere di dottissimi scrittori, il più sicuro ed esatto giudizio della letteratura spagnola, non doveva, per questa ragione ancora, il di lui merito essere se non mediocre. 24
Per quanto riguarda l’introduzione delle cifre indiane Grimaldi concludeva assennatamente: Allorquando si dice che il Fibonacci sia stato il primo introduttore dell’aritmetica non si pretende che questo titolo gli convenga riguardo all’Europa tutta, e dell’aritmetica soltanto ristretta alle arabiche cifre, ma rapporto al Continente d’Italia ed ai metodi arabici di calcolare. Essendo questi due punti chiaramente dimostrati, non sembra che Giovanni da Sacrobosco, che fiorì cinquant’anni dopo del Fibonacci in Parigi, possa rendere incerta, e contrastare al nostro matematico, la gloria che merita. 25
D‘altra parte Leonardo stesso aveva dichiarato di aver studiato in Egitto, Siria, Grecia, Sicilia e Provenza, ma non in alcuna città dell’Italia continentale. Grimaldi spiegava poi perché si sia dovuto attendere Leonardo per la nuova aritmetica, nonostante i fiorenti commerci nel Mediterraneo: Finalmente il commercio dei Pisani coi Popoli dell’Affrica non forma che una plausibile congettura la quale soltanto è capace di far nascere qualche sospetto su la cognizione già introdotta in Italia delle arabiche cifre numeriche e di qualche sorta di calcolo delle medesime, ma non giunge a formare una dimostrazione che tolga al Libro dell’Abbaco lo già stabilito pregio. Imperciocchè, come si osserva nella storia del commercio di quei tempi, e specialmente dall’opera di Leonardo, tutto il conteggio che al più dai mercatanti nel commerciare impiegavasi, allora riducevasi a baratti, a sconti e a qualche interesse. Questa sorte di conteggio, quantunque con più incommode e lunghe operazioni, ottimamente si eseguiscono con le prime elementari operazioni aritmetiche ed è molto probabile che tale fosse l’uso praticato 23. Ivi, p. 180. 24. Ivi, pp. 186-187. 25. Ivi, p. 191.
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prima del Libro dell’Abbaco dai mercatanti pisani, da che il Fibonacci propone agl’Italiani, o sia dalla così da lui detta gente latina, come nuovo e sconosciuto metodo quello che il tutto calcola per lo mezzo delle geometriche proporzioni, delle quali, nella molteplicità di vari ed intralciati problemi che specialmente al commercio appartengono, ne fa un uso meraviglioso. 26
Sistemata egregiamente la questione dell’aritmetica Grimaldi passava ad occuparsi dell’algebra, rilevando come assai oscuro fosse il periodo di oltre dieci secoli tra Diofanto e Luca Pacioli. Egli osservava che il Liber Abbaci terminava proprio con un trattato di algebra nel quale egli studiava (seguendo al-Khovarizmi, ignoto a Grimaldi) le equazioni di primo e secondo grado: De solutione quarumdam quaestionum secundum modum Algebrae et Almucabala. Questo trattato, sebbene non sia che un tentativo ed un abbozzo di quanto fu poi dai posteriori matematici inventato e composto, ciò non pertanto, riguardo al tempo in cui visse l’autore e l’ingegno con cui egli dispone e scioglie moltissime questioni, merita una giusta ed imparziale lode. Imperciocchè, trovandosi in esso i germi ed i primi semi del calcolo analitico, ha potuto e forse ha somministrato i materiali per formare il grande e sublime edifizio che toccava ad innalzare alla nostra età. E di vero, per istabilire i principi ed esporre compendiosamente quanto meditava estendere a tutta la scienza della quantità, riduce a questo Trattatello di algebra le tre proprietà, che in ciaschedun numero ritrovansi, cioè la radice, il quadrato, che da lui chiamasi census, ed il numero semplice; 27
Il primato di Leonardo nell’introduzione dell’algebra in Europa era stato del resto riconosciuto già dal Montucla. Tra i meriti del Liber Abbaci Grimaldi sottolinea anche quello di averci trasmesse latinizzate «molte italiane parole specialmente al commercio spettanti» come zephirus (per zero), baratti, coltelli, bursa (per borsa), viagii (per viaggi). Inoltre è possibile ricavare dal Liber Abbaci informazioni preziose sui pesi e le misure pisane e sulle monete usate nelle varie città del Mediterraneo. 28 Grimaldi, che non conosceva il Flos e il Liber quadratorum, terminava la sua analisi delle opere di Leonardo con la Practica Geometriae. Era questa l’opera di Leonardo che meglio aveva retto al tempo e ancora nel Cinquecento e nel Seicento si pensava a riproporla, quando la nuova trattatistica a stampa dell’aritmetica e dell’algebra avevano relegato il Liber Abbaci tra le opere superate: un libro veramente buono ed utile non solo per la pratica, ma per la teorica ancora, essendovi in esso sparso come il fiore delle più sublimi dottrine dell’intiera geometria. Ecco in breve l’analisi di quest’opera che dimostra qual fosse l’ingegno dell’autore che la compose. Si antepone all’opera una breve introduzione, la quale si è 26. Ivi, p. 193. 27. Ivi, pp. 197-198. 28. Ivi, pp. 204-205.
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quella sopra descritta, quindi dividesi la materia da trattarsi in otto parti, che il Fibonacci Distinzioni appella. Non si deve il lettere digiuno della dottrina delle proporzioni esporre all’esame di quest’opera, né il critico deve nello sviluppo de’ vari problemi cercarvi un metodo esatto e costante. Poiché sembra che l’autore non abbia voluto che come quasi abbozzare l’opera, che ridotta in miglior forma doveva essere il frutto ed il più sugoso compendio di tutta la geometria. 29
Oltre ad una discendenza dagli Elementi di Euclide si trovano nella Practica Geometriae riferimenti ad Archimede (Misura del cerchio) e a Tolomeo (Almagesto): in particolare il teorema che afferma che in un quadrilatero iscritto in un cerchio la somma dei rettangoli dei lati opposti è uguale al rettangolo delle diagonali. Da tale teorema si possono ricavare facilmente le formule di addizione delle funzioni trigonometriche. Proseguendo nella lettura: La quinta distinzione che versa sul calcolo radicale è destinata a preparare le cognizioni necessarie per la misura dei solidi per lo che le sole radici cube sono considerate. Eseguisce il detto calcolo prima con le quantità numeriche poi con le lineari, e con queste ultime replica il problema tanto da Platone ai Greci filosofi raccomandato e tanto in varie guise dai più celebri antichi matematici trattato, qual è quello d’inserire o di trovare fra due date quantità uno o più termini proporzionali, siano quelle semplici, siano a qualunque potenza elevate. 30
Non mancano nella Practica Geometriae ovviamente problemi ricavati direttamente dall’agrimensura. Un posto importante occupa il celebre “teorema di Erone” che da l’area di un triangolo in funzione dei lati e che sta alla geometria pratica come il teorema di Pitagora sta alla geometria di Euclide. Grimaldi indicava la Practica di Leonardo come modello anche per i suoi tempi: Se molti dei Trattati di agrimensura avessero per iscopo d’istruire non solo con la pratica ma con le solide teorie della geometria non già ristretta alla misura di qualunque corpo, ed alla intiera teoria delle proporzioni, non si vedrebbe una folla d’imperiti disporre a capriccio della vera sorgente della pubblica e privata grandezza, o pure ai sublimi matematici si toglierebbe la pena di abbassarsi a certe soltanto elementari operazioni, le quali quanto necessarie sono all’esercizio dell’arte, altrettanto importune si rendono a chi trovasi dalla natura e dal genio disposto ad estendere la sfera delle umane cognizioni. Ma un trattato perfetto di agrimensura in cui si unisca la pratica alla teorica mentre si desidera ancora, l’esempio si propone di Leonardo Fibonacci e dall’ottimo esemplare di un sì grand’uomo in questo secolo la filosofia si aspetta chi con miglior metodo e chiarezza eseguisca quanto sembra da lui soltanto abbozzato. 31
29. Ivi, pp. 207-208. 30. Ivi, p. 211. 31. Ivi, pp. 213-214.
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Il lavoro di Grimaldi terminava con la discussione della polemica sull’invenzione delle lettere di cambio. Montesquieu nell’Esprit des lois aveva attribuito questa invenzione agli Ebrei cacciati dalla Francia, ma ne aveva indicato i tempi tra Filippo Augusto (1181) e Filippo il Lungo (1316): un arco quindi troppo ampio. Altri autori avevano indicato come inventori i mercanti fiorentini e in particolare quelli di loro che erano partiti in esilio in seguito alle lotte tra Guelfi e Ghibellini, ma anche questa scoperta era generica per i tempi (1139 oppure 1240). E Grimaldi concludeva: ricordasi essere della buona critica comune la regola di abbracciare nella varietà dell’opinioni quella che più al vero si accosta, ed essendo per l’accennata memoria di tal sorte quella che ai Pisani nell’uso delle lettere di cambio il primo luogo concede, ancora per questo titolo si forma un nuovo argomento di gloria per la celebre ed inclita città di Pisa, che fra i molti uomini illustri i più felici natali diede a Leonardo Fibonacci, le di cui notizie, per quanto lo permettono lo scarso numero dei monumenti e lontananza dei tempi, raccolte furono ed esposte. 32
Mentre Grimaldi poneva egregiamente i paletti per una corretta interpretazione delle opere di Leonardo di maggiore importanza storica: il Liber Abbaci e la Practica Geometriae, ripeteva i vecchi errori la seconda edizione del Montucla Histoire des Mathématiques, avendo come unico riferimento esplicito la Cronica di Baldi e ignorando il contributo degli eruditi del suo secolo: L’algèbre qui avoit pris naissance chez les Arabes, fut trasplantée au commencement de ce siècle [XV] en Occident. L’Europe a cette obligation à Léonard de Pise, ou Camille Léonard de Pise. 33
Spetta invece a due matematici italiani: Pietro Cossali e Giambattista Guglielmini, il merito di aver per primi analizzato sistematicamente il Liber Abbaci e la Practica geometriae di Leonardo Pisano. 34
32. Ivi, p. 219. 33. J. F. Montucla, Histoire des mathématiques, nouvelle édition, T. I, Paris, Agasse, a. VII (1799), La citazione è riferita al Livre second: Histoire des mathématiques durant le quinzième siècle, p. 536. 34. Raffaella Franci, Pietro Cossali storico dell’algebra, in Pietro Riccardi e la storiografia delle matematiche in Italia, a cura di Francesco Barbieri e Franca Cattelani Degani, Modena, Università degli studi di Modena, 1989, pp. 199-217. Maria Teresa Borgato, Luigi Pepe, Giambattista Guglielmini: la biblioteca di uno scienziato nell’Italia Napoleonica, Ferrara, Corbo, 1999.
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I n the preface to his Liber abbaci (1202), 1 Fibonacci describes his discovery of the ‘art of the Indians’ in the following words: 1. When my father, appointed by his homeland, held the post of public scriba (notary or representative) in the custom-house of Bejaia for the Pisan merchants frequenting it, he arranged for me to come to him when I was a boy and, because he thought it would be useful and appropriate for me, he wanted me to spend a few days there in the abbaco school, and to be taught there. 2. Here I was introduced to that art (the abbaco) by a wonderful kind of teaching that used the nine figures of the Indians. 3. Getting to know the abbaco pleased me far beyond all else and I set my mind to it, 2 to such an extant that I learnt, through much study and the cut and thrust of disputation, whatever study was devoted to it in Egypt, Syria, Greece, Sicily and Provence, together with their different methods, in the course of my subsequent journeys to these places for the sake of trade. 4. But I reckoned all this, as well as the algorism and the arcs of Pythagoras, as a kind of error in comparison to the method of the Indians (modus Indorum). 5. Therefore, concentrating more closely on this very method of the Indians, and studying it more attentively, adding a few things from my own mind, and also putting in some subtleties of Euclid’s art of geometry, I made an effort to compose, in as intelligible a fashion as I could, this comprehensive book, divided into 15 chapters, demonstrating almost everything that I have included by a firm proof, 6. so that those seeking knowledge of this can be instructed by such a perfect method (in comparison with the others), and so that in future the Latin race may not be found lacking this (knowledge) as they have done up to now. 3 1. André Allard has demonstrated that this preface is likely to have belonged to the original version of the Liber abbaci, and that the paragraph that precedes this in the printed edition, which includes the dedication to Michael Scot, was added in 1228: see his article in this volume. 2. ‘Intellexi ad illam’, which I tentatively translate as ‘I set my mind to it’, is the only obscure phrase in this paragraph. There may be a corruption here. 3. ‘1. Cum genitor meus a patria publicus scriba in duana Bugee pro Pisanis mercatoribus ad eam confluentibus constitutus preesset, me in pueritia mea ad se venire faciens, inspecta utilitate et commoditate futura, ibi me studio abbaci per aliquot dies stare voluit et doceri. 2. Ubi ex mirabili magisterio in arte per novem figuras Indorum introductus, 3. scientia artis in tantum mihi Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche · Vol. XXIII · (2003) · Fasc. 2
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There is a certain bravado here. Fibonacci wants it to appear that he is doing something quite innovatory in the Latin world. But the words he uses are nevertheless perplexing. What he experienced in Bejaia was a method of learning to calculate that used ‘the nine figures of the Indians’, which he later calls simply ‘the method of the Indians’. And he contrasts this with all the forms of calculation that he came across in other places throughout the Mediterranean (both the Islamic and the Christian world), which he considers ‘quasi error’-a deviation, a false track. We are not told what these other forms of calculation consisted of. 4 Fibonacci does, however, make a further claim: that ‘the algorism and the arcs of Pythagoras’ known to his Latin audience are just as erroneous. The meaning of these terms is clear. The algorism is the calculation with Indian numerals based ultimately on the text on the subject by Muhammad ibn Musa al-Khwarizmi, which became known to the Latin world in the early twelfth century. 5 The ‘arcs of Pythagoras’ are the Gerbertian abacus, or the abacus ‘with pre ceteris placuit et intellexi ad illam quod quicquid studebatur ex ea apud Egyptum, Syriam, Greciam, Siciliam et Provinciam cum suis variis modis, ad que loca negotiationis causa (tam Boncompagni) postea peragravi, per multum studium et disputationis didici conflictum. 4. Sed hoc totum etiam et algorismum atque arcus Pictagore quasi errorem computavi respectu modi Indorum. 5. Quare, amplectens strictius ipsum modum Indorum et attentius studens in eo, ex proprio sensu quedam addens et quedam etiam ex subtilitatibus Euclidis geometrice artis apponens, summam huius libri quam intelligibilius potui in .xv. capitulis distinctam componere laboravi, fere omnia que inserui certa probatione ostendens, 6. ut ex tam (extra Boncompagni) perfecto pre ceteris modo hanc scientiam appetentes instruantur, et gens Latina de cetero, sicut hactenus, absque illa minime inveniatur’: Leonardus Pisanus (Fibonacci), ed. B. Boncompagni, Il Liber Abbaci di Leonardo Pisano, Rome, 1857, p. 1 (I have silently changed the punctuation and added section numbers; I mark corrections to Boncompagni’s text in italics). The annotated English translation of R. E. Grimm (The Autobiography of Leonardo Pisano, «Fibonacci Quarterly», 11, 1976, pp. 99-104), though occasionally helpful, is marred by misconstructions of the Latin. Unfortunately, the most recent English translation - L. E. Sigler’s Fibonacci’s Liber Abaci: A Translation into Modern English of Leonardo Pisano’s Book of Calculation, New York etc., 2002 - is unintelligible for this paragraph. I understand ‘studium’ in the sense of Italian ‘studio’ as a place of study and teaching, and ‘abbacus’ as the Italian ‘abbaco’, i.e. the art of calculation in general. It is to this art, rather than specifically to calculation according to the Indian method, that Fibonacci is referring in sentences 2 and 3 of the English translation. 4. The most common forms of numerals used by merchants in the Mediterranean in the Middle Ages were derived from Greek alphanumerical notation: namely those called by the Arabs ‘rumi’ (‘[Byzantine] Greek’), ‘al-qalam al-fasi’ (the ‘script of Fez’) and ‘al-rasm al-zimami’ (from the Arabic word ‘zimam’ meaning ‘register’): see Rosa Comes, Arabic, «Rumi», Coptic, or merely Greek Alphanumerical Notation?, The Case of a Mozarabic 10th Century Andalusi Manuscript’, «Suhayl», 3, 2002-3, pp. 157-185. The Latin cannot be made to imply that Fibonacci found the ‘Indian method’ anywhere except in the school in Bejaia. 5. For more details, and the most up-to-date bibliography see P. Kunitzsch, The Transmission of Hindu-Arabic Numerals Reconsidered, «The Scientific Enterprise in Islam», eds J. P. Hogendijk and A. I. Sabra, Cambridge, Mass., 2003, pp. 3-21 and C. Burnett, Indian Numerals in the Mediterranean Basin in the Twelfth Century, with Special Reference to the “Eastern Forms”, in From China to Paris: 2000 Years Transmission of Mathematical Ideas’, eds Y. Dold-Samplonius et al., Stuttgart, 2002, pp. 237-288. The standard work of Karl Menninger (Zahlwort und Ziffer. Eine Kulturgeschichte der Zahl, 2nd revised ed., 2 vols, Göttingen, 1958) remains valuable, while Georges Ifrah, The Uni-
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apices’, whose invention was attributed to Gerbert d’Aurillac (d. 1003). The ‘arcus’ refer to the columns of the abacus, or to the semicircles which join every three columns, and the abacus is frequently stated to be the invention of Pythagoras. 6 Fibonacci avoids calling it the ‘abacus’ presumably because he uses the word in the more general sense of ‘calculation’; this was the sense that ‘abbaco’ was to have in Italy from his time onwards. 7 Fibonacci’s claim is surprising. For do not both the algorism and the Gerbertian abacus use, precisely, ‘the nine figures of the Indians’? In fact, this claim is similar to two earlier statements that referred, respectively, to the algorism and the abacus. In the mid-twelfth century, ‘magister Iohannes’, a mathematician in Toledo, had promised to compose a work on the algorism. He wrote of […] especially that kind of numeral which is written with the letters of the Indians and used above all by the Saracens: the good al-Khwarizmi, with remarkable intelligence, discovered this kind and we, with the help of God, have decided to deal with these numerals a little, according to the measure of our inexperience, either at the end of this work or in another place, if God wills and we live long enough 8.
As for the abacus, we have, in 976, contemporary with the first appearance of the ‘Gerbertian’ abacus, the statement by Vigila, in the monastery of Albelda in the Rioja (Asturias), that We must know that the Indians have a most subtle talent and all other races yield to them in arithmetic and geometry and the other liberal arts. And this is clear in the 9 figures with which they are able to designate each and every degree of each order (of numbers). And these are the forms. 9 versal History of Numbers, English version, London, 1998, pp. 577-591, provides a readily accessible introduction. 6. ‘…ab antiquis mensa pytagorica; a modernis autem vel abax vel abacus nuncupatur’ (‘[The abacus] is called by the Ancients, the Pythagorean table, by the moderns, ‘abax’ or ‘abacus’): Turchillus, Reguncule super abacum, ed. E. Narducci, «Bullettino di bibliografia e storia delle scienze matematiche e fisiche», 15, 1882, pp. 111-54, at p. 135. 7. See W von Egmond, Practical Mathematics in the Italian Renaissance: a Catalogue of Italian Abbacus Manuscripts and Printed Books to 1600, Florence, 1980, and E. Ulivi, Scuole e maestri d’abaco in Italia tra medioevo e rinascimento, in Un ponte sul Mediterraneo: Leonardo Pisano, la scienza araba e la rinascita della matematica in Occidente, ed. E. Giusti, Florence, 2002, pp. 121-59. 8. ‘…maxime illud genus numeri quod fit per litteras Indorum quo Sarraceni maxime utuntur quod probus Alchoarismi mirabili ratione invenit, de quibus, nos auxiliante Deo, vel in fine huius operis vel in alio loco, si Deus voluerit et vita comes fuerit, aliquantulum pro modulo imperitie nostrae tractare decrevimus’: Magister Iohannes, De differentiis tabularum, ed. J. M. Millás Vallicrosa, in Una obra astronómica desconocida de Johannes Avendaut Hispanus, « Osiris », 1, 1936, pp. 451-475, and reprinted in idem, Estudios sobre historia de la ciencia española, I, Barcelona, 1949, pp. 263-288 (see p. 274). For the authorship of this text see C. Burnett, John of Seville and John of Spain: a mise au point, « Bulletin de philosophie médiévale », 44, 2003, pp. 59-78 (at p. 63-67). 9. ‘Scire debemus [in] Indos subtilissimum ingenium habere et ceteras gentes eis in arithmetica et geometrica et ceteris liberalibus disciplinis concedere et hoc manifestum est in novem figuris quibus designant unumquemque gradum cuiuslibet gradus quarum haec sunt formae’: Escorial d.I.2, fol. 9v, see Ifrah, Universal History (n. 5 above), p. 579.
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The Indian origin of the numeral forms that were used in the early abacus texts was subsequently ignored. The earliest examples of abacus boards, from the late tenth century, include the information that ‘Gerbert to the Latin world the numbers of the abacus and their shapes’ (“numeri” and “figurae”) without indicating where he got the shapes from. 10 By the early twelfth century an English author, Turchillus could write that the ‘figures came from Pythagoreans, while their names are Arabic’. 11 In the texts on the algorism, however, the figures are clearly stated to have come from the Indians. The earliest Latin version states that: […] the numeration of the Indians with 9 letters by which they have set out all their numbers, for the sake of ease and brevity. 12
In an unpublished early thirteenth-century algorism in a manuscript in a manuscript now in Cashel, Ireland, we read: There are nine shapes by which all numbers are represented, with the addition of the circle. They are Indian letters, and are of this kind: 123456789. ‘Cifra’ or ‘the circle’ is 0. 13
Outside the context of the algorism, too, the numerals are decribed as ‘Indian’: for example in the translation of Abu Ma‘shar’s On the Great Conjunctions (probably made by John of Seville in Toledo in the second quarter of the twelfth century), a high number is written out in words, and then, ‘per figuram Indicam’ or ‘per figuras Indicas’ (the Arabic is bi l-sura al-hindiya), 14 and in a Munich manuscript of the late twelfth century, two forms of numeral are given, of which the first is described as ‘Toledan’ and the second ‘Indian’ (‘Toletane f(igure)’ and ‘Indice f(igure)’). 15 10. ‘Gerbertus Latio numeros abacique figuras’: see M. Folkerts, Frühe Darstellungen des Gerbertischen Abakus, «Itinera mathematica», Studi in onore di Gino Arrighi per il suo 90° compleanno, eds. R. Franci, P. Pagli and L. Toti Rigatelli, Siena, 1996, pp. 24-41 (at p. 30). 11. Has autem figuras, ut domnus Guillelmus R. testatur, a Pytagoricis habemus, nomina vero ab Arabibus: Turchillus, Reguncule super abacum, op. cit., p. 136. 12. ‘[…] numero Indorum per IX litteras, quibus disposuerunt universum numerum suum causa levitatis atque adbreviationis’: Dixit Algorizmi in Die älteste lateinische Schrift über das indische Rechnen nach al-Hwârizmi, ed., trans. and comm. by M. Folkerts, with the collaboration of P. Kunitzsch, Abhandlungen der Bayerischen Akademie der Wissenschaften, phil.-hist. Klasse, n. F., 113, Munich, 1997, p. 28. 13. ‘Sunt autem figure .ix. quibus omnes numeri representantur, cum circuli addicione. Et sunt littere Indorum et huiusmodi: 123456789. Cifra vel circulus 0’: MS Cashel, GPA Bolton Library, Medieval MS 1, p. 41. 14. Abu Ma‘shar, On the Great Conjunctions, I, lines 164-6, discussed in C. Burnett, The Strategy of Revision in the Arabic-Latin Translations from Toledo: The Case of Abû Macshar’s On the Great Conjunctions, in Les Traducteurs au travail: leurs manuscrits et leurs méthodes, ed. J. Hamesse, Turnhout, 2001, pp. 51-114 and 529-40 (at pp. 66-7). The variants are those of the two versions of the Latin text. 15. MS Munich, Bayerische Staatsbibliothek, Clm 18927, fol. 1r: Plate 3 in Burnett, Indian Numerals in the Mediterranean Basin (n. 5 above).
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Fibonacci might have wished to distance his art-as the genuine Indian art-from that of the Arabs (‘Algorism’ was clearly an Arabic name, and the algorism was also called ‘helcep sarracenicum’-the ‘Saracen calculation’ 16 ), but if so, it is surprising that he points out that he learnt it in the Arabic context of the town of Bejaia, and did not pretend to have picked up further afield. When Fibonacci was writing this preface, then, the Indian numerals had been used by Latin scholars for well over a century. There had been considerable variation in the forms of these numerals. The shapes that appear on the abacus tables, and were meant to be written on the abacus counters, are distinct from those used in the algorism, and there is considerable variation between the forms used in the algorism and other contexts in the twelfth century, especially between ‘Western forms’ and ‘Eastern forms’. 17 Fibonacci, as the leading mathematician in Pisa, would have been aware of both these forms of numerals. For the Eastern forms are found especially in manuscripts associated with Pisa (e.g. in copies of the instructions for the astronomical ‘Tables of Pisa’). Moreover, they are used in the earliest manuscript of the Greek-Latin translation of Euclid’s Elements (made in ca. 1160): MS Paris, BNF, lat. 7373-a manuscript written in Tuscany. As Busard has shown, this version of the Elements was known to Fibonacci, who may have added an appendix to the translation found in this very manuscript. 18 On the other hand, the earliest manuscripts of the mathematical translations made in Toledo in the middle to late twelfth century were written probably in the vicinity of Padua at the turn of the thirteenth century, and use the Western forms in a cursive form also used by a notary in Perugia from 1184 until 1206. 19 The ease in which these Western forms of the numerals are written in these manuscripts suggests that they were of common currency among schol16. For the text ‘Helcep Sarracenicum’, written in the second quarter of the twelfth century, and the reference to ‘algorismi vel helcep’ in MS Cambridge, Trinity College, R.15.16, fol. 3r, see Burnett, Algorismi vel helcep decentior est diligentia: the Arithmetic of Adelard of Bath and his Circle, in Mathematische Probleme im Mittelalter: Der lateinische und arabische Sprachbereich, ed. M. Folkerts, Wiesbaden, 1996, pp. 221-331. 17. For tables of these forms see G. F. Hill, The Development of Arabic Numerals in Europe, Exhibited in Sixty-Four Tables, Oxford, 1915, A. Allard, Le Calcul indien (Algorismus), Paris and Namur, 1992, p. 252, and Burnett, Indian Numerals in the Mediterranean Basin (n. 5 above), pp. 265267. 18. See H. L. L. Busard, The Mediaeval Latin Translation of Euclid’s Elements Made Directly from the Greek, Stuttgart, 1987, pp. 18-20 and the article by Menso Folkerts in this volume. 19. See A. Bartoli Langeli, I notai e i numeri (con un caso perugino, 1184-1206), in Scienze matematiche e insegnamento in epoca medioevale: Atti del convegno internazionale di studio, Chieti, 24 maggio 1996, eds P. Freguglia, L. Pellegrini and R. Paciocco, Naples, 2000, pp. 225-254, and discussion in Burnett, Indian Numerals in the Mediterranean Basin (n. 5 above), pp. 254-255.
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ars in Northern Italy in the early thirteenth century, and should have been known to Fibonacci. It may, nevertheless, be argued that Fibonacci (for whatever reason) re-introduced Indian numerals from the Islamic world. For the forms of the numerals in the early manuscripts of Fibonacci’s works, while clearly being Western, differ a little from those used in the North Italian Toledan texts and by the Perugian notary, most obviously in that the ‘2’ and ‘3’ look as if they have been written upside down, and the ‘4’ is written with both a hook and a loop (rather than just a loop). 20 The closest analogues to these distinctive forms in Latin manuscripts are in, respectively, the earliest Latin manuscript to reproduce Arabic numerals (the Albelda manuscript of 976 A.D.), and the earliest Latin version of al-Khwarizmi’s Indian Arithmetic (see Table). 21 And rather than to suggest that Fibonacci revived these archaic Latin forms, it is possible to argue that he followed the models of these forms, i.e. the numerals as they were found in Western Arabic manuscripts, which continued to be written in these forms. 22 He might even have thought that he was restoring genuine Indian forms that had become corrupted in the Latin tradition. It would be rash, however, to draw too sharp a conclusion at this stage of research from these manuscripts of Fibonacci’s works, the earliest of which was written considerably after the composition of the Liber abbaci. There is nothing, then, innovative about Fibonacci’s use of Indian numerals as such. But is his implication that the ‘Indian method’ used by him is somehow superior to the methods employed in the Gerbertian abacus and the algorism? The ‘Indian method’ relies on numerals having different values according to their position-i.e. place value. This is a very difficult concept to grasp for someone used to Roman numerals, or even to Greek, Arabic or Hebrew alphabetical numerals, and had to be explained in the clearest 20. For examples of these numerals see Un ponte sul Mediterraneo (n. 7 above), pp. 64, 66, 71, 72, 75, 81, and 114, R. Franci, Il Liber Abaci de Leonardo Fibonacci, «Bollettino della Unione Matematica Italiana», 8, 2002, pp. 293-328 (see figures 1, 4, 6 and 7) and p. 113 below. Similar numerals can be also be found on the first 17 folios of Florence, Laurenziana, S. Marco 194, a fourteenth-century codex containing astronomical tables for Pisa and Novara. 21. The second parallel has already been pointed out by Paul Kunitzsch in his The Transmission of Hindu-Arabic Numerals (n. 5 above), p. 16, but Kunitzsch’s conclusion is that ‘the numerals in the Leonardo manuscripts follow the forms current in the known Latin arithmetical texts…they do not show the intrusion of new Arabic influence resulting from Leonardo’s oriental travels and his personal contacts with trade centers in the Arab world.’ 22. Examples are the numerals in MS Tunis, University Library, 2043 (1611 A.D.), illustrated in Ifrah Universal History (n. 5 above), p. 535. The upside-down 2 (but not the three) also appears on the ‘Spanish’ astrolabe sold by Maitre Sylvie Teitgen on 28 June 1998 (descriptions by Anthony Turner and David King).
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possible language. But we find the same kind of explanations in the abacus, algorism and Fibonacci: 1) Turchillus, having given a picture of the abacus with its ten ‘arcs’ (‘arcus’), and the forms of the numerals, writes: ‘Sciendum est tamen quod omnes he supradicte figure secundum diversas positiones, id est locationes, diversa significant. Si enim igin in primo formule arcu locetur, ibidem significat tantummodo unum, si in secundo, ibidem .x., si in tertio ibidem centum, si in quarto ibidem mille, si in quinto ibidem .x. milia…si in decimo ibidem milies mille milia. Similiter, si andras in primo arcu statuatur, ibidem significat tantummodo duo, si in secundo…(‘One must know that all these abovementioned forms signify different (amounts) according to different positions, i.e. locations. For if the counter for ‘one’ is placed in the first ‘arc’ it only indicates ‘one’, if in the second, ‘10’, if in the third ‘100’, if in the fourth ‘1000’…if in the tenth 1,000,000,000. If the counter for ‘two is placed in the first ‘arc’ it signifies only itself, if in the second… etc.) 23 In the algorism this is demonstrated most commonly by a table, in which the numeral is repeated in each column. 24 In Fibonacci, we read, immediately after the row of Indian numerals is given: With these nine figures, then (with the addition of this sign ‘0’ which in Arabic is called ‘zephirum’) any number you like can be written, as shall be shown below. For a number is a poured-out collection or aggregation of units, which ascend through their degrees to infinity. The first degree (gradus) consists of units, which are from one to ten, the second consists of tens, which are from ten to 100… Thus a figure/ numeral found in the first degree represents itself, i.e. if there is a figure 1 in the first degree, it represents 1; if 2, 2; if three, 3, and so on through the ranks so that the figure of nine represents 9. But the nine figures which are in the second degree represent as many 10s as they represent unities in the first: i.e. if the figure 1 occupies the second degree, it denotes 10, if 2, 20, if three, 30, if nine, 90. A figure in the third degree denotes as many 100s as it denoted 10s in the second and units in the first degree etc. 25 23. Turchillus, Reguncule super abacum, op. cit., p. 136. 24. Three such tables can be found in a mathematical manuscript, Paris, BNF, lat. 15461, one of the manuscripts of works of Toledan origin copied in Northern Italy at the turn of the thirteenth century: see R. Lemay, The Hispanic Origin of Our Present Numeral Forms, «Viator», 8 (1977), pp. 435-462, Figure 9. 25. ‘Cum his itaque novem figuris, et cum hoc signo 0, quod Arabice zephirum appellatur, scribitur quilibet numerus, ut inferius demonstratur. Nam numerus est unitatum perfusa collectio sive congregatio unitatum, que per suos in infinitum ascendit gradus. Ex quibus primus ex unitatibus, que sunt ab uno usque in decem, constat, secundus ex decenis, que sunt a decem usque in centum, fit. … Figura itaque que in primo reperitur gradu se ipsam representat, hoc est, si in primo gradu fuerit figura unitatis, unum representat, si binarii, duo, si ternarii, tria, et ita per ordinem que secuntur usque si novenarii, novem. Figure quidem que in secundo gradu fuerint, tot decenas representant quot in primo unitates; hoc est, si figura unitatis secundum occupat gradum, denotat decem, si binarii, viginti, si ternarii, triginta, si novenarii, nonaginta. Figura namque que in tertio fuerit gradu, tot centenas denotat quot in secundo decenas, vel in primo unitates…’: Fibonacci, Liber abbaci, ed. Boncompagni, op. cit., p. 2.
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The only difference here is in the terminology. Whereas the abacus texts speak of ‘arcus’ or columns, and the algorism of ‘differentiae’ or ‘limites’, 26 Fibonacci speaks of ‘gradus’ or ‘degrees’. Then there is the question of the ‘zero’, which is said to be most distinctive of the Indian system of arithmetic. This symbol was not listed among the nine Indian figures mentioned by Vigila of Albelda, nor is it included at the heads of columns of the earliest depictions of abacus tables. But this may be because it was not considered to be a number, but rather the sign of the absence of a number. Therefore, it is generally described separately from the other numbers. Fibonacci, as in the early algorisms, also gives the nine ‘Indian figures’ in the Arabic order (with 9 on the right), and only mentions the zero in the following sentence (as we have seen above). On the next page he explains how to use the zero: Si autem septuaginta tantum scribere voluerit, ponat in primo gradu 0, et post ipsum ponat figuram septenarii, sic: 70… Si quinquaginta tantum scribere volueris, in primo et in secundo gradu ponas zephyra, et in tertio figuram quinarii, hoc modo: 500. Et sic cum duobus zephyris quemlibet centenariorum numerum scribere poteris (If he wished to write seventy only, he places 0 in the first degree, and after it he places the figure of seven, thus: 70…If you wish to write five hundred only, you place zeros in the first and second degrees, and the figure of five in the third, in this way: 500. Thus with two zeros you can write any number in the hundreds.)
One would expect the zero not to be used on the Gerbertian abacus, because the columns alone ‘held’ the place of the number. However, the zero is, in fact, referred to, and depicted, from an early date, probably already in ca. 1000. It is described in the last verse of a poem on the abacus numerals: ‘Hinc sequitur sipos; est qui rota nempe vocatus’ (‘Sipos’ follows, which, for obvious reasons, is called “the wheel”), and a rimmed and spoked wheel is depicted adjacent to the verse. 27 A century later, the use of this ‘rotula’ on the abacus table is described in detail by Ralph of Laon, 28 and Adelard of Bath. The later states clearly that to ‘show the number 90,707 one should ‘add the character siposcelentis to the empty (columns of the) thousands and the tens.’ 29 26. For the range of terms used in early algorisms see Allard, Le Calcul indien (Algorismus) (n. 17 above), pp. 253-265. 27. The poem is edited from several manuscripts by M. Folkerts in Frühe westliche Benennungen der indisch-arabischen Ziffern und ihr Vorkommen, in Sic itur ad astra: Studien zur Geschichte der Mathematik und Naturwissenschaften. Festschrift für den Arabisten Paul Kunitzsch, eds M. Folkerts and R. Lorch, Wiesbaden, 2000, pp. 216-233. For the rimmed wheel see the version in MS Trier, Stadtbibliothek, 1093/1694, fol. 198r, illustrated in C. Burnett, The Abacus at Echternach in ca. 1000 A.D., «Sciamus», 3, 2002, pp. 91-108 (at p. 106). 28. Radulfus Laudunensis, De abaco, ed. A. Nagl, Abhandlungen zur Geschichte der Mathematik, 5, Leipzig, 1890, pp. 86-133 (at p. 107). 29. ‘Adde…deceno et (a MS) milleno vacantibus siposcelentis caracterem’: B. Boncompagni, Regulae Abaci di Adelardo di Bath, «Bullettino di bibliografia e storia delle scienze matematiche e fisiche», 14, 1881, pp. 91-134, at p. 99.
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My contention is that essentially there is not much difference between the abacus and the algorism. On the abacus calculation with Indian numerals was performed by placing counters with those numerals marked on them (and, where relevant, the zeros) in the relevant columns; in the algorism the same calculations were performed using a surface that could be written upon (whether a table of sand or a piece of parchment). It is quite possible (though we do not yet have the proof of this) that the ‘Gerbertian’ abacus was devised as a teaching tool, intended to mimic the calculation with Indian numerals on a sand-board that Christians had come across in Spain. There are, of course, differences in procedures between the abacus, the algorism and the Liber abbaci of Fibonacci. These have been very clearly set out in an undervalued book by Suzan Benedict. 30 But Benedict shows that there are also striking continuities in procedures from the abacus (in the treatise of Ralph of Laon that she uses) to Fibonacci and beyond. A writer in the mid-twelfth century might say that the algorism is ‘more fitting’ (decentior) than the abacus and rhythmomachy, 31 but this need not refer to the better arithmetic of the algorism. It may rather refer to social advancements, in which more parchment, and even paper, was being used, and teaching involved writing out texts and taking notes, rather than using the material objects, as it had done in Gerbert’s day (the abacus, the ‘chess board’ used for rhythmomachy; the globes and hemispheres used for astronomy). 32 Just as no serious scholar was using the sand-board any more, so no student of arithmetic should be using the oldfashioned abacus any more: he now had an ample supply of paper, or scraps of parchment, or (most likely) his wax tablets. The continuity from the abacus to Fibonacci can also be seen from Fibonacci’s articulation of a large number by means of arches over every three numbers (virgula in modum arcus). 33 This is clearly an imitation of the grouping of numbers on an abacus board, and Fibonacci uses the same word-arcus-as he had used in pouring scorn on the procedures of the abacus. 30. S. R. Benedict, A Comparative Study of the Early Treatises Introducing into Europe the Hindu Art of Reckoning, University of Michigan, 1914. 31. ‘Est autem et circa hius artis practicam qui dicitur liber operationis, et tractatus super abacum et Rimachiam. Algorismi vero vel helcep-id est numerandi-ipsis decentior est diligentia’ (‘Concerning the practical side of arithmetic there are what is called “a book on how arithmetic is practised”, and texts on the abacus and rhythmomachy. But the study of the algorism or “helcep”–i.e. numeration–is more fitting than these’): Trinity College, R.15.16, fol. 3r. 32. For Gerbert’s predilection for using models and instruments for teaching see the account in Richerus, Historiarum libri quattuor, III, c. 49-54, ed. G. Waitz, Monumenta Germaniae Historica, Scriptores rerum germanicarum in usum scholarum, Hannover, 1877, pp. 102-104. 33. Liber abbaci, ed. Boncompagni, p. 4.
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But even though the procedures changed, the basic operation ‘per novem figuras Indorum’ remained the same: Indian numerals were used, calculation was done on the basis of symbols having place value, and the zero was essential to the system. It is hardly likely that any of the new sources of arithmetic or algebra that Fibonacci may have introduced could have been regarded by Fibonacci or any of his readers as ‘Indian’ rather than ‘Arabic’. Why, then, should Fibonacci claim to discard the abacus and the algorism in favour of the ‘modus Indorum’? One reason may simply be to advertise the quality of his book. ‘Indian’ had the connotations of ancient wisdom. Hermann of Carinthia in the mid-twelfth century had introduced ‘Abidemon the Indian’ as the teacher of Hermes, and the ‘most ancient writer on astrology’. 34 In this Hermann had followed the ninth-century Arabic astrologer Abu Ma‘shar, who had traced a tradition of wisdom from India, via Persia, to Baghdad. It was true that Indian astronomical tables as well as the Indian numerals did reach Baghdad from India in the late eighth century, and one can document several elements of Indian doctrine in Arabic, and hence in Latin, works of astronomy, astrology and magic. 35 Bartholomew of Parma, the follower of Michael Scot, when paraphrasing a passage from a translation of Abu Ma‘shar’s work, added to the Arabic astrologer’s reference to the Indians as authorities, that they are ‘our predecessors and wiser than any of our contemporary scholars’. 36 Addressing a readership who had this image of India, one can perhaps see how effective an appeal to the ‘method of the Indians’ could be. But I am bound to say that Fibonacci is rather unfair to his Latin predecessors, who had already prepared the way for his Liber abbaci.
34. ‘…a tempore Abidemon, Indorum regis, cuius auditores Hermes et Astalius’: Hermann of Carinthia, De essentiis, ed. C. Burnett, Leiden, 1982, p. 82. 35. Cfr. D. Pingree, The Indian and Pseudo-Indian Passages in Greek and Latin Astronomical and Astrological Texts, «Viator», 7, 1976, pp. 141-195. 36. ‘Indi priores nobis et ante nos modernos sapienciores’: Bartholomeus Parmensis, Tractatus spere, pars tertia, 4.2, ed. C. Burnett, in Seventh Centenary of the Teaching of Astronomy in Bologna 1297-1997, eds. P. Battistini et al., Bologna, 2001, p. 176. Bartholomew goes on to refer (on p. 177) to the ‘dicta antiquorum librorum sapientum Indorum que reperta sunt ab Albumasar’ (‘the sayings of the ancient books of the wise men of India, which were discovered by Abu Ma‘shar’).
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Fibonacci’s Indian Numerals.
This table compares the forms of the Indian numerals typical of the early manuscripts of Fibonacci’s works with those in other Arabic and Latin sources. The rows give, respectively, the numerals in: 1) MS Siena, Biblioteca publica comunale, L.IV.20 (2nd half of the thirteenth century), reproduced in R. Franci, Il Liber Abaci de Leonardo Fibonacci, «Bollettino della Unione Matematica Italiana», 8, 2002, pp. 293328 (see figures 1, 4, 6 and 7). 2) Arabic MS, Tunis, University Library, 2043 (1611 A.D.), from Ifrah, Universal History (n. 5 above) p. 535. 3) MS Escorial, d.I.2 (976 A.D.), reproduced in Ifrah, Universal History (n. 5 above), p. 579. 4) MS New York, Hispanic Society of America, HC 397/726 (Spain, 13th century), reproduced in Die älteste lateinische Schrift über das indische Rechnen nach al-Hwârizmi, ed., trans. and comm. by M. Folkerts, with the collaboration ofP. Kunitzsch, Abhandlungen der Bayerischen Akademie der Wissenschaften, phil.-hist. Klasse, n.F., 113, Munich, 1997, table 1. 5) MS Paris, Bibliothèque nationale de France, lat. 15461 (Padua region, early 13th century). 6) Notarial documents written by Raniero of Perugia between 1184 and 1206, reproduced in A. Bartoli Langeli, ‘I notai e i numeri (con un caso perugino, 1184-1206)’, in Scienze matematiche e insegnamento in epoca medioevale: Atti del convegno internazionale di studio, Chieti, 2-4 maggio 1996, eds P. Freguglia, L. Pellegrini and R. Paciocco, Naples, 2000, pp. 225-54.
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Ivo Schneider* THE SOLUTION OF THE TWO MAIN PROBLEMS CONCERNING GAMES OF CHANCE IN THE LATE EUROPEAN MIDDLE AGES AND THE POSSIBILITY OF ISLAMIC SOURCES
I n most general accounts of the history of stochastics the starting point for the development of a calculus of probabilities is seen in the correspondence between Blaise Pascal and Pierre Fermat from the year 1654, though earlier attempts to solve problems of games of chance are not completely ignored. 1 A possible argument for such a view is the fact that with this correspondence a more or less continuous development towards a new mathematical theory, probability theory, began. Pascal stated that there are only two problems in the calculus of games of chance and these had been proposed to him by the chevalier de Méré and which he wanted to discuss with Fermat: the dicing problem and the problem of the division of stakes or, more briefly, the problem of points. 2 One form of the problem of dice was to find the chances of winning any number of points between n and 6n with n dice, first for n = 3. Later on questions were asked e.g.: with how many throws of a die can I undertake to get at least n aces, where n = 1, 2, 3, . . ., the generalized solution of which eventually induced Jakob Bernoulli to introduce the binomial distribution in his Ars Conjectandi. The problem of points presupposes that a game is not decided by just one attempt of e.g. throwing a die, but by a whole series of single attempts. In general the parties involved agree that the winner of the whole game, and so of all the stakes, is the party that first won a certain number of single games. If the whole game cannot be finished for some reason and the parties have to leave before any of them has reached the necessary number of wins, the problem is to decide how the stakes have * Rossmarkt 10, D-80311 München, Germany. 1. Isaac Todhunter, A history of the mathematical theory of probability from the time of Pascal to that of Laplace, London, 1865. Florence Nightingale David, Games, Gods and gambling, a history of probability and statistical ideas, London, 1962. Lorraine Daston, Classical probability in the enlightenment, Princeton, 1988. James Franklin, The science of conjecture - evidence and probability before Pascal, Baltimore and London, 2001. Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche · Vol. XXIII · (2003) · Fasc. 2
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to be divided in this situation. Since the whole game can be interrupted at any time, those concerned with the solution of the problem of points began to investigate the new distribution of the stakes after each single game. So it became interesting to know how much of the opponent’s stake would go to the side of the winner of a single game, be it the first, the second, and so on up to the last game. The dicing problem had been solved according to Pascal by several people, whereas Pascal considered himself so far as the only one who had solved the problem of points. Perhaps because most historians have tended to overlook that the absence of any concept of probability in the writings of Pascal, Fermat and Christiaan Huygens, who worked on the solution of problems concerning games of chance at the same time, the question of the concept of probability used in Greek and Roman antiquity has been treated by several authors. 3 All these attempts to relate ancient concepts of the probable to modern concepts of probability could not conceal the fact that neither the Greeks nor the Romans had ever tried to solve problems of chance in a mathematical framework. Since traces of attempts to solve problems of games of chance mathematically, like the dicing problem in De Vetula and the treatment of the problem of points in Pacioli, Tartaglia or Peverone, were already known to Charles Gouraud 4 in 1848, who, however, considered these earlier attempts as either false or without any value, historians of stochastics became more interested in possible predecessors of Pascal, Fermat and Huygens from the middle ages on. Up to now by far the oldest example of a mathematical solution of a dicing problem is contained in the poem De Vetula, which was written between 1222 and 1268, and so is close to the time of Leonardo Pisano. 5 The relevant passages begin with the remark that the different number of points one can achieve with three dice do not appear with the same frequency. So the extreme values 3 and 18 happen most rarely, whereas the frequency of the numbers of points increases as they approach the two values in the middle, namely 10 and 11.
2. Letter of Pascal to Fermat from July 29, 1654. 3. K.-G. Hagstroem, Les préludes antiques de la théorie des probabilités, Stockholm 1932; S. Sambursky, On the possible and the probable in ancient Greece, «Osiris» 12, 1956, pp. 35-48; Robert Ineichen, Würfel und Wahrscheinlichkeit – Stochastisches Denken in der Antike, Heidelberg/Berlin/ Oxford, 1996. 4. Charles Gouraud, Histoire du Calcul des Probabilités, Paris, 1848, p. 3. 5. See Pseudo-Ovidius, De Vetula (ed. Paul Klopsch), Leiden/Köln 1967 (= Mittellateinische Studien und Texte vol. II).
the solution of the two main problems concerning games 101 As the reason for these different frequencies of the number of points, the author first names the different number of combinations which make up the number of points; so the number of combinations increases from one for 3 and 4 to two for 5, three for 6, four for 7, five for 8 and six for 9 and 10, and in the same way from one for 18 and 17 to two for 16, three for 15, four for 14, five for 13 and six for 12 and 11. But these combinations do not have the same weight, because if the combination consists of three equal points like 2+2+2 = 6 there is only one case (2,2,2), if the combination consists of two equal number of points and one different for instance 1+1+4 = 6 there are three different cases namely (1,1,4), (1,4,1), and (4,1,1), and if the three numbers of points are all different like 1+2+3 = 6, there are six different cases (1,2,3), (1,3,2), (2,1,3), (2,3,1), (3,1,2), and (3,2,1). 3 = 1+1+1 (1)
18 = 6+6+6 (1)
4 = 1+1+2 (3)
17 = 5+6+6 (3)
5 = 1+1+3 (3) = 1+2+2 (3)
16 = 4+6+6 (3) = 5+5+6 (3)
6 = 1+1+4 (3) = 1+2+3 (6) = 2+2+2 (1)
15 = 3+6+6 (3) = 4+5+6 (6) = 5+5+5 (1)
7 = 1+1+5 (3) = 1+2+4 (6) = 1+3+3 (3) = 2+2+3 (3)
14 = 2+6+6 (3) = 3+5+6 (6) = 4+4+6 (3) = 4+5+5 (3)
8 = 1+1+6 (3) = 1+2+5 (6) = 1+3+4 (6) = 2+2+4 (3) = 2+2+4 (3)
13 = 1+6+6 (3) = 2+5+6 (6) = 3+4+6 (6) = 3+5+5 (3) = 4+4+5 (3)
9 = 1+2+6 (6) = 1+3+5 (6) = 1+4+4 (3) = 2+2+5 (3) = 2+3+4 (6) = 3+3+3 (1)
12 = 1+5+6 (6) = 2+4+6 (6) = 2+5+5 (3) = 3+3+6 (3) = 3+4+5 (6) = 4+4+4 (1)
10 = 1+3+6 (6) = 1+4+5 (6) = 2+2+6 (3) = 2+3+5 (6) = 2+4+4 (3) = 3+3+4 (3)
11 = 1+4+6 (6) = 1+5+5 (3) = 2+3+6 (6) = 2+4+5 (6) = 3+3+5 (3) = 3+4+4 (3)
102
ivo schneider
The table displays the different weights and shows e.g. that although there are six combinations for the numbers 9, 10, 11, and 12, the number of cases counting for 9 and 12 is 25 and for 10 and 11 is 27. In contrast to the mathematical works of Leonardo Pisano the correct determination of the number of cases with which a number of points between 3 and 18 can be achieved with three dice in De Vetula is embedded in a literary environment which is otherwise totally devoid of any mathematics. Concerning the problem of points, a closer view of Pacioli’s representation of its solution, which was already refuted by Cardano and Tartaglia, shows that Pacioli knew of older and in retrospect more reasonable attempts to deal with this problem. 6 It is especially the research of Raffaella Franci and Laura Toti-Rigatelli at the university of Siena in the last decades that has helped to see that the problem of points had been treated again and again by predecessors of Pacioli, mainly in Tuscany, some of them offering correct solutions for special cases – correct as understood by Pascal and Fermat and based on the same or similar principles. The oldest known Italian mathematical text treating the problem of the division of stakes is contained in a Tuscan manuscript written around 1350. 7 The manuscript is a compilation of arithmetic and algebraic works of the fourteenth century, some of which had been written by Antonio de Mazzinghi, the most creative algebraist of the fourteenth century, although apparently the treatment of the problem of the division of stakes is by somebody else. The text deals with two special cases of the problem of points, the first of which, based on the principle used by Pascal three centuries later, is solved correctly, whereas the second case appears incomplete and contradictory. Before I present this earliest known example for the solution of the problem of points I shall first give a reconstruction of Pascal’s treatment of the problem, in order to understand this astounding achievement and in order to give a hint for its correct interpretation. Pascal shows the possibilities of the development of the game in which two players engage, if A signifies the winning of a game by the first player, B the winning of a game by the second player.
6. Ivo Schneider, Luca Pacioli und das Teilungsproblem: Hintergrund und Lösungsversuche, in Mathemata. Festschrift für Helmuth Gericke, Stuttgart, Steiner 1985, pp. 237-246 7. Manuscript Magl. Cl. XI, 120 of the National Library in Florence.
the solution of the two main problems concerning games 103 Start of the game
▼ AA
2. game
3. game
▼ AAA
▼
▼ A
1. game
B
▼ BA
▼ AB
▼ ▼ AAB ABA
▼ ABB
▼ ▼ ▼ ▼▼ ▼ ▼ ▼
n-th game
▼ BAA
▼ BB
▼ ▼ BAB BBA
▼ BBB
▼ ▼ ▼ ▼▼ ▼ ▼ ▼
n
2 different arrangements of the lenght n consisting of As and Bs
Pascal is interested in the claim V(m,n) to the stakes of the player A if A still lacks m wins and his opponent B n wins in order to win the whole game. Pascal calculates the value of V(m,n) from the bottom up, that is to say he looks at the claim of A after the next game which can be V (m – 1,n) or V(m,n – 1). If these two values are already known the player A can contend that he is entitled to V(m,n – 1) even if he loses the next game and that there is an even chance for him and his opponent to win the difference V(m – 1,n) – V(m,n – 1); so V ( m, n) = V ( m, n − 1) +
V ( m − 1, n) − V ( m, n − 1) V ( m − 1, n) + V ( m, n − 1) = 2 2
must hold. If the values V(m – 1,n) and V(m,n – 1) are not yet known, they have to be determined step by step in the same way until one arrives at values which are eitherV(r,r)=S or V(0,i)=2S or V(j,0)=0, i and j natural. If player A still lacks m and player B n wins, the whole game will be finished at any rate after m + n – 1 games. This means that after m+n-1 games one finds only values V(0, n – ν ) = 2S, ν = 0, ..., n-1 and V(µ,0) = 0, µ=1,...,m – 1 for the claim of player A.
104
ivo schneider V(m,n)
V(m–1,n)
after m+n–1 games
V(m–2,n)
V(m,n–1)
V(m–1,n–1)
V(m–1,n–1)
V(m,n–2)
....................................................................................................... ....................................................................................................... .......................................................................................................
V(0,n)=2SV(0,n–1)=2S . . . V(0,1)=2SV(1,0)=0V(2,0)=0 . . . V(m,0)
The number of V(0, n – ν) = 2S, ν = 0,. . ., n-1 is equal to the number of different arrangements of the Am+n-1-νBν, which is:
FG m + n − 1IJ H ν K where each contributes to the value of V(m, n) with a weight of 2− ( m+ n−1)
Therefore
V( m, n) =
2S
2
n −1
⋅ m + n −1 ∑ ν =0
FG m + n − 1IJ H ν K
and the claim to the stake S of the opponent after winning the first game is:
FG 2n − 2IJ H n −1 K ⋅S V( n − 1, n) − V( n, n) = V( n − 1, n) − S = 22 n − 2
the solution of the two main problems concerning games 105 Pascal’s general remarks and the last calculation of the “value of the first game” makes it clear that he, like contemporary players and players who lived generations before, were mainly interested in finding the amount they were winning from the opponents stake with each single win. The same holds for the treatment of a special case of the problem of points in the aforementioned manuscript from the middle of the 14th century. 8 The first part of it relates to the following situation: Two players, of whom each has staked one ducat, play chess until one of them is the first to win three games and so wins the whole stakes of two ducats. They have to stop when the first player has won two games and the second none. How do they divide the stakes? For the solution it is assumed that the increase of the claim C(m,n) of the first player, who has won m games and his opponent n, if he wins the next game, equals his loss when he loses the next game. That is to say: C(m+1,n) – C(m,n) = C(m,n) – C(m,n+1) If the winner of the whole game is defined as the first to win r times and if r-m=s and r-n=t, this is equivalent in Pascal’s terms of the claim V(s,t) of player A to V( s − 1,t ) − V( s,t ) = V( s,t ) − V( s,t − 1) or V( s,t ) =
V( s − 1,t ) + V( s,t − 1) 2
The increase of the winner of the very first game is called “cosa” or x by the unknown author, who uses the fact that the claim C(n,n) for any n is equal to S, the amount of one ducat he staked, and who explains his procedure to find x and by it the solution of the problem as follows: You must understand that by reason he [the winner] must win in the second game as much as he has won in the first game, so that he has won another x and thus he is now entitled to 2x after two games, while the second, who lost, is entitled in total to his ducat minus 2x. It is clear that if the loser of the two games should win two further games from his friend, neither one would have won anything from the other. Now let us suppose that the second begins to win a game from the first. I say that he wins in this game one ducat minus 2x, which the first would have won. The reason is this: 8. The text has been interpreted in the following two publications in two different ways: Laura Toti Rigatelli, II “Problema delle parti” in manoscritti de XIV e XV secolo, in Mathemata (ed. M. Folkerts and U. Lindgren), Franz Steiner , Wiesbaden and Stuttgart, 1985 (= Boethius vol. 12), pp. 229-236 and by Ivo Schneider, The market place and games of chance in the 15th and 16th centuries. in Mathematics from Manuscript to Print 1300-1600 (Ed. Cynthia HAY), Oxford, 1988, S. pp. 220-235. Toti-Rigatelli did however not consider the fact that each player stakes the same amount and is only interested in each single game how much he gains from his opponents stake or loses to him.
106
ivo schneider
if the one who had won two games at first had also won the third game he would win from the second all the rest of his ducat, and this is what conversely the second wins from the first, that is, 1 ducat minus 2x. Now take 1 ducat minus 2x from the amount that the first had won from the second, that is 2x. There will remain to the first, then, 4x minus 1 ducat. The second, if he continues to play, will have 2 ducats minus 4x in the game. Notice now for the first, the winner of two games, that if the second had won those two games and were to win the third game, he would clearly win the total remaining part of the first’s ducat, and if the first were to win this third game he would win 2 ducats minus 4x. And in this way the second has to proceed against the first. We assume now that the second wins [his] second game. In this case he is entitled to winnings of 2 ducats minus 4x from the first, and he is to collect from the first as much as the first would have won, because now each has won two games. Notice now how much the second wins from the first in the second game; he wins 2 ducats minus 4x. Now we have to add 1 ducat on either side and we will have on the one side 4x and on the other 3 ducats minus 4x.
According to the principle stated above, the second player has to win (2 - 4x) and the first obviously will lose (4x - 1). These two amounts have to be equal. Adding, as said in the text, 1 ducat to either side of the equation 4x - 1 = 2 - 4x we get 4x = 3 - 4x. The rest of the text gives the solution x = 3/8 and the admonition to proceed in the same way in similar problems. The solution says that at a score of (2,0) the first player is entitled to 2x or 3/4 of his opponent’s ducat, or to 7/8 of the whole stake. The procedure can be symbolized in the following way: (1) C(0,0)=1 ▼
▼
(2) C(1,0)=1+x C(0,1)=1–x ▼
▼ ▼
▼
(4) C(2,0)=1+2x (3) C(1,1)=1 C(0,2)=1–2x ▼
▼ ▼
▼
▼
▼
(5) C(3,0)=2 (6) C(2,1)=4x C(1,2)=2–4x C(0,3)=0 ▼
▼
(7) C(3,1)=2 Because of we have
▼
▼
C(2,2)=1
C(3,1) – C(2,1) = C(2,1) – C(2,2) 3 C(2,0) = 1+2x = 1+ 4
▼▼
C(1,3)=0 2 – 4x = 4x – 1 or x=
3 8
This is correct, if one assumes that both players have an equal chance of winning a single game, because in this case the second player in order to win the stake has to win the next three games in a row. This will happen only in one case out of eight. Moreover the principle underlying the solution is generally valid if chances of winning a single game are equal for both players.
the solution of the two main problems concerning games 107 In the second part dealing with the problem of points the following case is presented: Two players, of whom each has staked one ducat, play chess until one of them is the first to win four games and so wins the whole stakes of two ducats. They have to stop when the first player has won three games and the second none. If one proceeds as in the previous case, which however necessarily introduces a second unknown y for the increase of A’s claim in case he wins the third game, the division of stakes is as follows C(0,0)=1 ▼
C(1,0) =1+x
▼ C(0,1) =1–x
▼
▼
▼ C(1,1) =1
C(2,0)=1+2x ▼
▼
▼ C(0,2)=1–2x
▼
▼
▼
▼
C(3,0)=1+2x+y C(2,1)=1+2x–y C(1,2) =1–2x+y C(0,3) =1–2x–y ▼
C(4,0)=2
▼
▼
▼
C(3,1)=4x+2y ▼
C(4,1)=2
▼
▼
▼
▼
▼
▼
C(1,3) =2–4x–2y
▼
C(3,2) =8x+4y–2
C(4,2)=2
▼
C(2,2) =1
▼
▼
C(2,3)=4–8x–4y ▼
C(3,3) =1
C(0,4)=0 ▼
C(1,4) =0
▼
C(2,4)=0
1 4
Because of
C(3,1) – C(2,1)=C(2,1) – C(2,2) 2x + 3y – 1=2x–y or y=
we have
C(4,2) – C(3,2)=C(3,2) – C(3,3) 4 – 8x – 4y=8x+4y –3 or x=
5 16
But the writer does not proceed in this way at all. He begins with the statement that the winner of the first game gets “1 c.”, 1x. If the winner of the first game wins the second game too, he is entitled to “1 c. e 1/3”, because after winning the first game “he has to win only three games more”. Accordingly, after winning consecutively three games for winning the third game he gets another “1 c. e 1/2”, because after having won two games he has to win only two games more in order to win the whole game. In total the winner of the first three games has won “3 c. e 5/6”, so that there remain in the game 2 ducats minus “3 c. e 5/6”. Here the text ends abruptly leaving its reader without any answer to the original question or any hint how to find “1 c.” or x or any confirmation that the unit for the fractions involved is one ducat. The treatment of this second case follows a completely different line of argument or, better, non-argument. Justifiably, one can assume that the
108
ivo schneider
writer of this part of the manuscript is not the person who found the solution for the first case. Whoever it was, it cannot be excluded that the mathematician who found the solution is much older than the writer because a personal contact between the two would have prevented the writer from uttering obvious mathematical nonsense in the second case. Depending on how much earlier than mid-14th century the correct solution of the first case was found, the solution of the dicing problem in De Vetula and the solution of a special case of the problem of points might stem from the same period. Considering Leonardo’s personal relations to mathematicians from the Islamic world, especially from the Maghreb, and considering the fact that there is a manuscript from the 13th century, the book of games, ascribed to king Alfonso X, el Sabio, which deals in a chapter devoted to dicing with dicing problems similar to those in De Vetula and that Alfonso’s court, like that of Frederick II in Sicely was open for Christians and Moslems, it does not seem too far-fetched to assume a comparable situation. Clearly since the terminology stemmed at least in part from the Arabic, games of chance and the idea of attacking special problems concerning games of chance mathematically seems to be imported from the Islamic world. How far the concrete solutions found in the above-mentioned texts go back to Islamic sources or are original results found by European mathematicians cannot be decided in the light of the currently available source material. However, a manuscript from the 15th century kept in the Biblioteca Apostolica Vaticana shows that the anonymous Italian writer was able to solve a special case of the problem of points for three players, correctly using the same principle applied to the solution of a special case for two players in a Tuscan manuscript from the 14th century. 9 Since other solutions of the problem of points in printed Italian arithmetics of the 16th century 10 also deviated from these two “correct” solutions as from those of Pacioli and his critics, we can conclude that the transfer of solutions, which can be traced only in single manuscripts, was extremely restricted if not non-existent. This again could be interpreted as a hint to the ability of at least some Italian mathematicians to find these “correct” solutions themselves.
9. Raffaella Franci, Una soluzione esatta del probleme delle parti in un manoscritto della prima meta del’ quattrocento, « Bollettino di storia delle scienze matematiche » 22, 2002, pp. 253-266. 10. See e. g. Le pratiche delle dve prime matematiche di Pietro de Catani da Siena, Libro d’albaco e geometria,Venetia 1546, f. 54 r. or Francesco Pagani, Arithmetica prattica utilissima, Ferrara 1591, p. 183 f. and 194 f.
cultura e prospettive mediterranee
109
Marina Montesano CULTURA E PROSPETTIVE MEDITERRANEE NELLA SOCIETÀ GENOVESE AL TEMPO DI FIBONACCI
P er parlare della cultura e delle prospettive mediterranee della società genovese a cavallo fra secoli XII e XIII in un contesto qual è quello proposto da questo convegno, è forse opportuno ricordare in primo luogo come la storia di Genova in questi anni sia difficilmente immaginabile scissa da quella pisana. Pisa e Genova sono a lungo – e soprattutto negli anni in questione – complementari e concorrenti, simili per le prospettive di espansione verso cui la vocazione marinara e la posizione geografica le spingeva, diverse non solo negli esiti politici della concorrenza – favorevole a Genova –, ma anche negli esiti culturali raggiunti. A sottolineare l’importanza di Pisa per Genova, è singolare quanto significativo notare come Pisa invada le pagine dell’annalistica della città ligure; mentre, pur in presenza almeno dal 1136 di trattati diplomatici fra le due città, le cronache genovesi di Caffaro e dei suoi primi due continuatori, Oberto Cancelliere e Ottobono Scriba, che coprono tutto il XII secolo sino alle soglie del XIII, non ricordano neppure una volta Venezia. 1 Persino la conquista di Costantinopoli del 1204 trova soltanto una brevissima narrazione negli Annali di Ogerio Pane, senza che egli spenda considerazioni sulle conseguenze commerciali che questo evento avrebbe potuto avere per Genova. 2 Con Pisa, Genova aveva condiviso anche gli esordi sulla scena internazionale in occasione della ‘prima crociata’. Prima che la rivalità si esacerbasse, le navi di entrambe le città avevano partecipato alle conquiste in Terrasanta appena successive alla presa di Gerusalemme, alla quale, per parte genovese, erano intervenuti soltanto i fratelli Guglielmo e Primo Embriaci con un manipolo di uomini. L’evento dovette suscitare non poco interesse nell’allora nascente Compagna; ed è presumibilmente negli ambienti legati agli Embriaci e alla Compagna stessa che maturò rapida1. È vero anche l’inverso: i veneziani ignorano a lungo Genova nei loro scritti; cfr. G. Petti Balbi, L’identità negata, in Genova, Venezia, il Levante nei secoli XII-XIV, in Atti del convegno Genova - Venezia, 10-14 marzo 2000, a cura di G. Ortalli, D. Puncuh, Genova, 2001, pp. 413-440. 2. Annali Genovesi di Caffaro e de’ suoi continuatori, a cura di L. T. Belgrano, Roma 1901, II, pp. 88-89. Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche · Vol. XXIII · (2003) · Fasc. 2
110
marina montesano
mente la decisione di intraprendere una nuova, più grande spedizione marittima verso la Terrasanta, che prese il largo il primo agosto del 1100. Gli Annali di Caffaro, la prima testimonianza di cronistica genovese, si aprono non casualmente con questa vicenda, alla quale l’Autore prese parte all’incirca ventenne. 3 L’impresa d’Oltremare – destinata a dare lustro alla città durante la sua espansione mediterranea – e la fondazione della Compagna sono presentate insieme da Caffaro come i momenti fondanti dell’identità civica: le vicende precedenti, infatti, non sono neppure prese in considerazione. E il fatto che Caffaro abbia composto la Liberatio civitatis orientis, 4 sorta di digressione (alcune parti della quale sono identiche a quelle corrispondenti degli Annali) e di ampliamento rispetto alla sua opera principale, non può che rafforzare tale impressione. Sulla flotta genovese, oltre agli uomini destinati al combattimento, si imbarcarono il nuovo legato pontificio in Terrasanta, Maurizio, e numerosi pellegrini. Giunsero a Laodicea intorno alla fine di settembre, dove seppero che Goffredo di Buglione era morto e Boemondo prigioniero, per cui i genovesi, spinti presumibilmente dal legato pontificio, invitarono Baldovino e Tancredi a prendere rispettivamente il posto dell’uno e dell’altro. Baldovino giunse nel mese di ottobre e si accordò per una spedizione da effettuarsi durante l’estate seguente; poi proseguì alla volta di Gerusalemme in compagnia di Maurizio. I genovesi svernarono invece a Laodicea, il porto più adatto fra quelli in mano crociata: approfittando della felice posizione, in quei mesi si dettero a un’intensa attività corsara a danno dei saraceni. Il 6 marzo del 1101 mossero alla volta di Giaffa, e da lì a Gerusalemme. Dopo le celebrazioni pasquali e il pellegrinaggio al Giordano, i genovesi concordarono con Baldovino l’assalto alla città di Arsuf; dopo tre giorni di assedio, e in seguito alle trattative condotte dallo stesso Baldovino, gli abitanti cedettero, ottenendo in cambio la salvaguardia delle loro persone e dei loro beni. 5 Caduta Arsuf, restava solo Cesarea: presa quella, i 3. Su Caffaro si leggano G. Arnaldi, Uno sguardo agli Annali genovesi, in Idem, Studi sui cronisti della Marca trevigiana nell’età di Ezzelino da Romano, Roma 1963, pp. 225-245; Idem, Il notaio-cronista e le cronache cittadine in Italia, in La storia del diritto nel quadro delle scienze storiche, Firenze 1966, pp. 293-309; G. Petti Balbi, Caffaro e la cronachistica genovese, Genova 1982; D. Puncuh, Caffaro e le cronache cittadine: per una rilettura degli Annali, «Atti della Società ligure di storia patria», 22, 1982, pp. 63-74; A. Placanica, L’opera storiografica di Caffaro, «Studi medievali», s. III, f. I, 36, 1995, pp. 1-62; Memorie genovesi. Gli Annali di Caffaro, a cura di G. Airaldi, Genova 2002. 4. Cafarus, De liberatione civitatum orientis liber, in Annali Genovesi di Caffaro e de’ suoi continuatori, a cura di L. T. Belgrano, Roma 1890, I, pp. 95-124. Sui genovesi nelle prime fasi della conquista in Terrasanta cfr. F. Cardini, Profilo di un crociato. Guglielmo Embriaco, in Idem, Studi sulla storia e sull’idea di crociata, Roma 1993, pp. 61-83, G. Airaldi, Guerrieri e mercanti, anche per la bibliografia precedente. 5. Caffaro data al 9 maggio la caduta di Arsuf, che Fulcherio di Chartres anticipa invece agli
cultura e prospettive mediterranee
111
‘franchi’ avrebbero avuto il controllo di tutta la costa, da Haifa sino a Giaffa. Il cronista Alberto d’Aix afferma che anche alcune navi pisane presero parte insieme alle genovesi agli assedi di Arsuf e Cesarea. 6 Può darsi che qualche imbarcazione della flotta pisana di Daiberto non fosse ripartita dopo la Pasqua del 1100, rimanendo in appoggio al patriarca e alla colonia pisana di Giaffa. Naturalmente, nella sua celebrazione dei trionfi genovesi Caffaro non avrebbe avuto interesse a richiamare un possibile apporto dei rivali pisani. 7 Ma è quantomeno da segnalare il fatto che i privilegi accordati da Baldovino ai genovesi nel 1104, in conseguenza dei favori resi al regno d’Oltremare, sono estesi anche alla famiglia di un certo Gandolfo Pisano, figlio di Fiopia. 8 Oltre al bottino ricavato dall’impresa, i genovesi potevano aspettarsi risultati ben maggiori sotto il profilo giuridico: intanto, la conferma dei privilegi che Boemondo aveva assegnato loro in Antiochia, e che furono ratificati da Tancredi. 9 Poi, il primo nucleo delle ampie concessioni che Baldovino sottoscriverà nel 1104, all’indomani della conquista di Gibelletto e di Acri: 10 una platea in Gerusalemme e una in Giaffa, la terza parte di Arsuf e di Cesarea, con un terzo del territorio circostante per una lega di raggio, e un casale; la terza parte anche di Acri, sempre con un terzo del territorio circostante per una lega e con un casale, e un terzo dei redditi del porto, oltre a una rendita di 300 bisanti annui. A ciò si aggiungeva la promessa del terzo per ogni città che i genovesi avessero aiutato a conquistare; in particolare si prometteva la terza parte della civitas Babyloniae, cioè del Cairo, con tre casali del circondario: il che prova come già in quei primi anni Baldovino pensasse ad ampliare il regno ai danni del cuore stesso del califfato fatimita. Il privilegio, secondo l’uso del tempo, aveva come beneficiaria la chiesa cattedrale, cioè San Lorenzo. 11 Nei primissimi anni del XII secolo i genovesi erano dunque attestati con successo in tutti i principali porti del regno gerosolimitano, empori commerciali indispensabili ai traffici rivolti verso l’Asia islamica. Un’iscrizioultimi giorni di aprile: Fulcherius Carnotensis, Gesta Francorum Hierusalem peregrinantium, in Recueil des historiens des croisades. Historiens occidentaux, IV, Paris 1895, p. 388. 6. Albertus Aquensis, Historia hierosolimitana, in Recueil, III, op. cit., p. 543. 7. Ricordiamo che al tempo i profondi dissidi con Pisa non erano ancora cominciati: ma la versione degli Annales che conosciamo è posteriore e non coeva agli eventi, 8. Cfr. I Libri Iurium della Repubblica di Genova. I/1, sett. 1104, a cura di A. Rovere, Genova 1992, p. 102. 9. Codice diplomatico della repubblica genovese, n. 12, a cura di C. Imperiale di S. Angelo, Genova 1936-1938, I, p. 16. 10. Fulcherio di Chartres sembra lasciar intendere che le promesse di Baldovino in tal senso datavano già a questo momento: Fulcherius Carnotensis, Gesta Francorum, op. cit., p. 127. 11. Ibidem, pp. 99-102.
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ne che essi vollero – o che la tradizione vuole – fosse posta simbolicamente a Gerusalemme, all’interno della chiesa del Sepolcro, ne esaltava con orgoglio i trionfi. 12 E il declinare della fortuna dei genovesi nel regno di Gerusalemme – che d’altra parte li spinse a diversificare il loro raggio di interessi 13 – coincise altrettanto simbolicamente con la rimozione di questa targa: nella cronaca relativa all’anno 1155 lo stesso Caffaro accenna alle richieste che i genovesi avevano rivolto a papa Adriano IV perché domandasse a Baldovino III, al conte di Tripoli e al principe di Antiochia il rispetto dei privilegi accordati nel 1104 alla città: probabilmente invano. Pochi anni più tardi il nuovo re Amalrico, piuttosto favorevole ai pisani, avrebbe ordinato la rimozione della lapide, mai più tornata al suo posto. 14 Nel frattempo, però, entrambe le città guardavano ormai anche in altre direzioni. 15 Tra Maghreb e penisola iberica, il dominio almoravide aveva consentito molti anni di stabilità: si estendeva dal Tago al Sahara, con città e mercati fiorenti: dalla nascente Marrakesh, voluta dallo stesso Yusuf, a Fez, ad Almeria. Le monete d’oro coniate dalle loro zecche erano dappertutto apprezzate e ricercate: in Occidente divennero note con il nome di ‘marabottini’ o ‘morabitini’, proprio da ‘almoravidi’. Dopo il duro impatto iniziale fra la rigida dinastia africana e la raffinata società andalusa, la situazione si normalizzò e la vita intellettuale tornò prospera, concentrandosi soprattutto attorno alle ‘madrase’ di Cordova, celebri per gli studi teologici e giurisprudenziali. 16 12. «Anno ab incarnatione Domini MCV, septimo kalendas iunii, presidente Iherosolimitane ecclesie domino Daiberto patriarcha, regnante Balduino, tradidit Deo civitatem Accon per manus servorum suorum Ianuensium suo glorioso Sepulcro, qui in primo exercitus Francorum venientes viriliter prefuerunt in adquisitione Iherusalem, Antioche, et Laodicee ac Tortose. Solinum autem ac Gibellum per se ceperunt. Cesaream vero et Assur Iherosolimitano imperio addiderunt; huic igitur tam gloriose genti Balduinum rex invictissimus dedit in Iherusalem vicum tertiam vero partem tam Cesaree et Assur quam Akkon» Codice diplomatico, n. 18, cit., I, p. 23. 13. G. Airaldi, Genova e la Liguria nel Medioevo, in A. M. Nada Patrone, G. Airaldi, Comuni e Signorie nell’Italia settentrionale: il Piemonte e la Liguria. Storia d’Italia. V, a cura di G. Galasso, Torino 1986, passim; G. Airaldi, Guerrieri e mercanti, cit., passim. 14. G. W. Heyd, Storia del commercio del Levante nel Medio Evo, Torino 1913, passim; ma ora cfr. soprattutto B. Z. Kedar, Genoa’s golden inscriptions in the Church of Holy Sepulchre: a case for the defence, in I comuni italiani nel regno crociato di Gerusalemme, a cura di G. Airaldi, B. Z. Kedar, Genova 1986, pp. 319-335. 15. M. Tangheroni, Commercio e navigazione nel medioevo, Roma-Bari 1996, pp. 127-186. e Across the mediterranean frontiers. Trade, politics and religion, 650-1450, ed. by D. A. Agius, I.R. Netton, Turnhout 1997. 16. P. Guichard, Structures sociales ‘orientales’ et ‘occidentales’ dans l’Espagne musulmane, Paris- La Haye 1977; P. Guichard, L’Islam e l’Europa, in Il medioevo. Secoli V-XV, a cura di G.Ortalli, Torino 1994 (Storia d’Europa, III), pp. 295-340; G. Jehel, P. Racinet, Les relations des pays d’Islam avec le monde latin. Du Xe siècle au mileu du XIIIe siècle, Paris 2000; P. Guichard, P. Sénac, Les relations des pays d’Islam avec le monde latin. mileu Xe - mileu XIIIe, Paris 2000; P. Dozy Reinhart, Historia de los musulmanes de España, voll. 4, Madrid 1984; A. Chejne, Historia de la España musulmana, Madrid 1986; C. Sánchez-
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Nei primi decenni del XII secolo tanto Pisa quanto Genova si impegnarono soprattutto nel ricco e promettente fronte iberico. La prima azione di una certa consistenza fu la spedizione pisano-catalana contro le Baleari del 1113-15, che proseguì con un raid sulla costa verso Tortosa. 17 Nel frattempo, anche il fronte interno della penisola era di nuovo in fermento. A guidare i cristiani erano questa volta gli aragonesi, con il loro sovrano Alfonso I; nel 1118, con la benedizione di papa Gelasio e l’aiuto di molti cavalieri francesi di ritorno dalla Terrasanta, fu conquistata Saragozza; nel 1120 la vittoria di Cutanda aprì la strada verso il sud; nel 1122 Alfonso si era fatto strada sin quasi alla confluenza del Segre con l’Ebro; nel 1126 arrivò sino a Malaga, ma la fascia costiera rimase al di là della sua portata. Gli assedi di centri urbani affacciati sul mare e condotti per vie di terra senza l’aiuto di una buona flotta non avevano molte possibilità di riuscita. L’apporto di Pisa e Genova in questo contesto poteva risultare fondamentale. Ma mentre Pisa aveva ormai optato per una politica di pacificazione con il mondo musulmano del Mediterraneo occidentale – una pacificazione che ovviamente non escludeva, da entrambe le parti, le attività di pirateria –, Genova prestò le proprie flotte per due imprese. La prima, nel 1146, contro le Baleari e Almeria ebbe forma di scorreria, con esiti migliori nelle isole che nella città costiera. Fra l’altro, la scorreria di Minorca provocò la reazione risentita di Pisa: i consoli della città toscana inviarono una lettera al conte di Barcellona Raimondo Berengario IV, pregandolo di farsi tutore dei diritti sulle Baleari, che Pisa vantava dalla spedizione nella quale era stata alleata del predecessore, Raimondo Berengario III. D’altra parte, ormai la rivalità fra le due città italiane aveva raggiunto il suo apice. Nel 1133 il signore di Almeria, Mohammed-ibnMeimun, con altri signori musulmani del nord Africa, aveva stretto alleanza con Pisa; è in conseguenza di questo accordo che i genovesi avevano assalito nel 1136 Bugia, nel 1137 Almeria, nel 1138 avevano stipulato patti con Marsiglia, Frejus, Antibes e altre città occitaniche contro i saraceni Albornoz, La España musulmana, voll. 2, Madrid 1986; R. Barkai, Cristianos y musulmanes en la España medieval, Madrid 1984; A. Rucquoi, Histoire médiévale de la péninsule ibérique, Paris 1993. 17. Cfr. G. Scalia, Epigraphica pisana. Testi latini sulla spedizione contro le Baleari del 1113-1115 e su altre imprese anti-saracene del sec. XI, in Miscellanea di studi ispanici, Pisa 1963, pp. 234-86; Idem, Per una riedizione critica del Liber Maiorichinus, «Bullettino dell’Istituto storico italiano e Archivio muratoriano», LXXI, 1960, pp. 39-112; B. Garí, Pisa y el control del Mediterráneo nordoccidental. Carta de los consules de Pisa a Ramon Berenguer IV a mediados del siglo XII, «Acta historica et archeologica mediaevalia», 13, 1992, pp.9-16; M. Tangheroni, La spedizione pisana del 1113-1115 e la conquista di Maiorca, Pisa 1997. Alle imprese pisano-catalane si devono accostare quelle normanne, che con diverse spedizioni conquistarono alcune zone dell’Ifriqiya: con lo scopo evidente di unire sotto il loro potere la Sicilia e la Tunisia, controllando così i ricchi commerci verso la Libia e l’Egitto.
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del Marocco, al fine di raggiungere con la forza gli stessi privilegi dei pisani. 18 Nel 1147 i genovesi armarono una flotta maggiore per una impresa che li avrebbe portati alla conquista di Almeria e Tortosa. Questa volta non erano più soli: tra il 24 e il 30 settembre 1146 stipularono un patto con Alfonso, in base al quale Almeria sarebbe stata presa dalle forze di entrambi; al re ne sarebbero spettati 2/3 e a Genova 1/3. Inoltre, Genova avrebbe dovuto ricevere ventimila morabitini per le spese d’assedio, un fondaco, un forno e una chiesa in tutte le città che avesse conquistato da sola, e l’esenzione dalle imposte per tutto il regno di Castiglia. 19 Dello stesso tenore il trattato stretto con il conte di Barcellona, Raimondo Berengario IV, a proposito di Tortosa. 20 Oltre che in funzione antipisana, l’impresa di Almeria consentiva a Genova di eliminare una concorrente in quella porzione di Mediterraneo: celebre per le manifatture tessili, il commercio degli schiavi, le scuole di medicina e la botanica, Almeria era al tempo una città ricca e florida. 21 Anche se ritornò in mano musulmana dopo pochi anni, la città non si riprese più del tutto dalle distruzioni conseguenti all’assedio e alla presa, consentendo a Genova di sostituirla soprattutto come emporio per la vendita di schiavi. 22 Intanto, però, al di là delle Colonne d’Ercole vi erano nuovi cambiamenti in vista. Essi traevano origine, almeno in parte, dalla fiorente scuola di Cordova. Un berbero originario dell’Anti-Atlante, ibn Tumart, che aveva soggiornato e studiato proprio nella città iberica, e poi anche a Baghdad, si fece promotore di un movimento che si opponeva alla dinastia almoravide e alle elaborazioni giurisprudenziali delle sue scuole. Ibn Tumart condivideva le stesse radici culturali ed etniche degli almoravidi, ma incontrò il favore di larghi strati della società maghrebina; i suoi seguaci presero il nome di almohadi, che significa ‘seguaci dell’unità’. La prima espansione militare almohade fu fermata a Marrakesh nel 1130, ma la guerra riprese dopo la morte del fondatore: nel 1147 cadde Marrakesh, nel 1148 fu la volta di Meknes e di Ceuta. Negli stessi anni gli 18. I Libri Iurium della Repubblica di Genova. I/1, lugl. 1138, a cura di A. Rovere, Genova 1992, pp. 22-29. 19. I Libri Iurium della Repubblica di Genova. I/6, sett. 1146, a cura di M. Bibolini, Roma-Genova 2000, pp. 3-7. 20. Ibidem, pp. 8-11. Per il punto di vista aragonese cfr. D. Baloup, Rreconquête et croisade dans la ‘Chronica Adelfonsi imperatoris’, in «Cahiers de linguistique et de civilisation hispaniques médiévales», 25, 2002, pp. 453-480. 21. E. Lévi-Provençal, Historia de España musulmana, in Historia de España, tt. IV-V, a cura di R. Menéndez Pidal, Madrid 1950-1957, IV, pp. 328-329. 22. Sul rapporto tra Genova e Almeria in materia di commercio degli schiavi cfr. G. Jehel, L’Italie et le Maghreb au Moyen Age. Conflits et échanges du VIIe au XVe siècle, Paris 2001, pp. 137-142.
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almohadi si affacciarono oltre lo stretto, dove la situzione politica era piuttosto confusa. Intorno al 1150 diverse aree di al-Andalus erano nelle loro mani: quello stesso anno il loro apporto risultò fondamentale per respingere un’offensiva cristiana contro Cordova. Nel 1152 essi potevano contare su uno Stato che comprendeva città dell’importanza di Marrakech, Fez, Ceuta, Siviglia e Bugia; nel 1157 riprendevano Almeria e alla fine del decennio strappavano l’Ifriqiya ai normanni. Il 16 luglio 1195, nel grande scontro campale di Alarcos, il re castigliano Alfonso VII fu sconfitto dal califfo almohade Abu Yusuf Yaqub al-Mansur. La seconda metà del XII segnò quindi una fase di ripiegamento generale del mondo cristiano dinanzi all’Islam: se nella penisola iberica l’arrivo degli almohadi congelò la Reconquista, in Siria l’affermarsi del Saladino – che aveva unificato riassumendoli sulla sua persona gli emirati di Siria e di Egitto, aveva restituito l’Egitto alla confessione sunnita e Gerusalemme all’Islam – aveva scoraggiato nuove crociate dopo il fallimento della grande impresa del 1189-1193 guidata dall’imperatore Federico I (perito in viaggio), dal re di Francia Filippo II Augusto e dal re d’Inghilterra Riccardo Cuor di Leone. Da Oriente a Occidente, la Cristianità era serrata in una morsa. Senza dubbio l’impressione di pericolo imminente ebbe il suo ruolo nella scelta d’un pontefice come Lotario di Segni, che si presentava ben deciso a rilanciare la crociata. Gli aquitani che avevano fatto voto di partire crociati per la Terrasanta furono autorizzati a commutarlo in una spedizione iberica. La presa da parte degli almohadi del castello di Salvatierra, nel 1210, indusse il papa a una nuova crociata predicata anche in Francia. Una campagna cui parteciparono i re Alfonso di Castiglia e Pietro d’Aragona ai quali si aggiunse più tardi Sancho di Navarra oltre a molti cavalieri spagnoli, portoghesi e francomeridionali, e che condusse il 17 luglio del 1212 alla grande vittoria di Las Navas de Tolosa, immediatamente a valle dei passi della Sierra Morena tra Castiglia e Andalusia. Sul versante insulare e meridionale, Maiorca fu ripresa nel 1229-1230 dai catalani sotto la guida di Giacomo I d’Aragona; Valencia cadde nel 1238 e dieci anni più tardi fu la volta di Siviglia. 23 Se in Occidente si assisteva ormai a un progresso costante della ‘Reconquista’, il secolo XIII in Oriente conobbe una lenta agonia di quel che restava del regno latino di la città santa. Ormai, le speranze di strappar di nuovo con le armi città santa ai musulmani si andavano abbandonando: tanto più che la riconquista degli ‘infedeli’ non aveva in fondo né 23. Sulle vicende del mondo musulmano occidentale si veda C. Picard, La mer et les musulmans d’Occident au Moyen Age. VIII-XIII siècle, Paris 1997.
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impedito né rallentato il flusso dei pellegrinaggi cristiani, e tanto meno i rapporti commerciali. Dopo la fondazione dell’Impero Latino d’Oriente (1204), la crociata del 1217-1221 e poi quella del 1248-1254 (la prima delle due guidate da Luigi IX di Francia) si diressero contro i porti del Nilo, senza risultati. Come ha più volte sottolineato Marco Tangheroni, nel corso del Duecento la presenza pisana nel Maghreb, nonostante la concorrenza genovese e catalana, rimase attiva. A sua volta Genova tornò ad aprirsi al Mediterraneo orientale, soprattutto dopo il trattato di Ninfeo del 1261 stipulato da Guglielmo Boccanegra con Michele Paleologo; la ricca rete di interessi economici si consolidò successivamente nel sistema delle colonie. Inoltre, dagli Anni Settanta si inaugurò la via atlantica verso le Fiandre. 24 Naturalmente, al pari di Pisa, Genova rimaneva attiva nel Mediterraneo occidentale, fra Spagna, Sicilia 25 e Maghreb. La creazione di un vasto impero almohade che comprendeva anche la regione subsahariana consentiva la creazione di vie carovaniere che fornivano d’oro la costa; agli inizi del Duecento, l’eccesso di metallo prezioso in questa regione consentì ai genovesi di intraprendere un commercio assai vantaggioso, nel quale scambiavano convenientemente argento con oro; un commercio che rappresentava la premessa per il riavvio in Occidente della monetazione aurea, che infatti venne ripresa nel 1252 – per la prima volta dall’VIII secolo – 26 contemporaneamente a Genova con il genovino e a Firenze con il fiorino. Le prospettive mediterranee che guidavano la vita politica ed economica di Genova a cavallo fra XII e XIII secolo ebbero ovvie ripercussioni anche nella vita culturale della città. Tuttavia, rispetto alla gemella-nemica Pisa, in questo settore Genova sviluppò peculiarità sue proprie. Se è a ragione che Marco Tangheroni scrive: «Leonardo Fibonacci non poteva che essere pisano, solo con l’alternativa genovese», 27 la possibilità di un Fibonacci genovese incontra, ci sembra, un ostacolo nella cultura di questa città, che pur prevalente rispetto a Pisa nello scontro politicoeconomico, raramente riuscì a esprimere prodotti culturali di livello così elevato. La genialità genovese si esprime su altri piani: a parte quello più ovvio, economico, essa si espleta in quei settori della vita culturale, della 24. Cfr., anche per la bibliografia precedente, i contributi raccolti in Les marchands de la Hanse et la banque des Médicis. Bruges, marché d’échange culturels en Europe, Brugge 2002. 25. Sui rapporti fra Genova e la Sicilia in questi decenni è ora essenziale M. Macconi, Il grifo e l’aquila. Genova e il regno di Sicilia. 1150-1250, Genova 2002. 26. Naturalmente , con l’eccezione dell’Augustale federiciano, del 1231, che tuttavia non ebbe mai un vero corso commerciale e rimase piuttosto una moneta coniata per motivi di prestigio. 27. M. Tangheroni, Pisa e il Mediterraneo all’epoca di Fibonacci, in Un ponte sul Mediterraneo. Leonardo Pisano, la scienza araba e la rinascita della matematica in Occidente, Firenze 2002, p. 55.
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scienza e della tecnica, che presentano finalità immediatamente pratiche. L’influenza culturale araba è prevalente per esempio nell’architettura genovese ben più che in quella pisana. Se si prescinde dalla Sicilia e dall’Andalusia, dove la dominazione musulmana era stata duratura e aveva messo radici profonde, Genova (ma anche alcuni centri liguri: da Bordighera a Varigotti) era la città occidentale dove l’impronta della cultura arabo-islamica era ed è più forte. L’impianto strutturale del centro urbano si articolava – una cosa ancora visibile – in percorsi che si dipanavano a partire dall’arco naturale del porto verso l’interno, con strutture che si ramificavano in forme sempre più complesse, terminando talvolta all’interno dei fondaci o delle proprietà delle consorterie, in modo non dissimile dalle città islamiche di mare. Le immagini della Sottoripa ottocentesca, cioè della strada coperta che corre parallela al porto antico, con le botteghe aperte da entrambe le parti, rimandano all’immagine più classica del suq arabo. L’onomastica e la toponomastica stesse risentivano pesantemente dei medesimi influssi: nomi – o soprannomi – di chiara origine araba come Caffaro, Bufeira, Buferio erano assai comuni nelle famiglie del ceto dirigente; ‘raibe’ e ‘raibette’, dall’arabo ‘rahba’, cioè ‘piazza pubblica’, venivano chiamati i luoghi di raccolta delle merci; e una Piazza della Raibetta, nei pressi del porto antico, permane ancora oggi. 28 Allo stesso modo, Genova appare rapida nel cogliere un altro aspetto della cultura non araba, ma più ampiamente mediterranea, e forse soprattutto di ascendenza bizantina: quello dell’arte e delle tecniche militari, che soprattutto i genovesi trasmetteranno a partire dal XII secolo a tutta la penisola italica. Le macchine da guerra disposte nel 1147 sotto le mura di Almeria – cioè in una trasferta lontana da casa e destinata a durare oltre una stagione – ricordano per potenza e mobilità quelle di cui disponevano i greci-ellenici: torri mobili corazzate, mangani, ‘gatti’; i genovesi erano in grado di trasportare quanto potevano sulle navi, ricavando il resto dai boschi presso i quali montavano i campi e dagli alberi delle stesse imbarcazioni. 29 Nel secolo successivo le prime grandi balestre da posizione azionate da un tornio erano disponibili per l’acquisto, in Occidente, con tutti i materiali occorrenti, solo a Genova, Pisa e Venezia. 30 28. A. Nazer Eslami, Genova e il Mediterraneo. I riflessi d’Oltremare sulla cultura artistica e l’architettura dello spazio urbano, XII-XVI secolo, Genova 2000; F. Bonora, Presenze islamiche nella storia dell’ambiente ligure, in Giardini islamici: architettura, ecologia, in Atti del Convegno, Genova, 8-9- nov. 2001, Genova 2001, pp. 129-137. 29. Sull’assedio di Almeria cfr. Memorie genovesi. Caffaro, Storia della presa di Almeria e Tortosa (1147-1149), a cura di M. Montesano, Genova 2002. 30. A. A. Settia, L’ingegneria militare, in Federico II e le scienze, a cura di A. Paravicini Bagliani, P. Toubert, Palermo 1994, pp. 283-284.
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Ancora: pochi decenni più tardi rispetto al periodo che qui ci interessa, Genova darà vita a una scuola cartografica di altissimo livello, seconda in ordine cronologico solo a quella pisana, ma ben presto più importante, visto anche il prevalere di Genova su Pisa sotto il profilo militare. D’altro canto, invece, la produzione letteraria e artistico-iconografica di Genova è straordinariamente povera rispetto a quella di città come Pisa, Firenze, Venezia: e questo anche in un momento, tra la seconda metà del Duecento e la prima del Trecento, in cui le fortune della città saranno al loro apice. A parte l’annalistica, che pure trova interpreti importanti almeno in Caffaro e in Iacopo Doria, ma che comunque si limita a ripercorrere le vicende cittadine, l’unico afflato più ampio viene non casualmente da Jacopo da Varazze (con la Cronaca e soprattutto la Legenda aurea) e da Giovanni Balbi con il suo Catolicon: entrambi autori appartenenti all’Ordine domenicano e dunque per questo spinti a una maggiore ampiezza di interessi e prospettive. Fra i numerosi liguri che svolsero, nella seconda metà del Duecento, un’importante opera commerciale e diplomatica presso i khan mongoli, nessuno ha mai lasciato memoria scritta delle proprie imprese: neppure quei genovesi come Tommaso degli Anfossi e Buscarello di Guisulfo che, non diversamente da Marco Polo in Cina, lavorarono al servizio dell’ilkhan di Persia Arghun, il quale li inviò quali suoi ambasciatori presso papa Onorio IV. È significativo come, piuttosto che la dimensione letteraria, sia invece quella notarile ad avere a Genova uno sviluppo maggiore che in qualunque altro contesto urbano del tempo. Non c’è transazione, evento, commercio a Genova che non passi attraverso la registrazione notarile, dando vita a un ceto professionale che tendeva tuttavia a riprodurre se stesso con una certa aridità di fondo, senza dar vita a esperienze letterarie che pure avrebbero potuto trovare nella dimensione della scrittura un minimo comun denominatore. 32 Roberto Sabatino Lopez aveva scorto con lucidità nell’individualismo – al massimo, un individualismo di tipo familiare piuttosto che soltanto personale – il nucleo e la forza del protocapitalismo genovese; e in questa affermazione capitalistica ante litteram egli scorgeva pure il nucleo del disinteresse genovese verso forme di espressione – qual è quella artistica – che esulano dallo stretto meccanismo dell’accumulazione del capitale, ma che anzi ne rappresenterebbero, in un certo senso, una dispersione. 31. Troppo numerosi gli studi sul notariato a Genova per darne conto in questa sede; rimandiamo soltanto a G. Costamagna, Il notaio a Genova tra prestigio e potere, Roma 1970 e alla bibliografia raccolta da Airaldi, Genova e la Liguria, op. cit., pp. 545-547. Sulla tradizione degli studi cfr. invece G. Petti Balbi, L’insegnamento nella Liguria medievale. Scuole, maestri, libri, Genova 1979.
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Dove in altre realtà urbane europee si ha l’impressione di una ricerca dell’esteriorizzazione dello status acquisito e delle ricchezze accumulate (nell’architettura, nella committenza artistica), il clan genovese tende a mettere in atto un processo del tutto opposto: al pari di molta architettura araba, i palazzi genovesi riservano per l’interno le loro bellezze, mantenendo una sobria uniformità all’interno. Allo stesso modo la dimensione del ‘pubblico’ sembra in gran parte estranea alla cultura genovese: al di là delle celebrazioni che tutti gli annalisti riservano alla gloria della res publica, è da notare che Genova non possiederà mai una flotta comunale, cioè pubblica: questa era generalmente limitata a un paio di galee destinate alla guardia del porto. Le possenti flotte messe in mare in occasione di ogni impresa militare, sebbene condotte sotto l’insegna della res publica, appartenevano in realtà ai clan familiari, che le appaltavano per l’occasione; al pari del sistema delle colonie che, fin dall’esperienza originaria degli Embriaci, rimanevano legate alla madrepatria per il tramite dei clan familiari che le avevano in gestione. Così forse è ancora una volta Caffaro il miglior interprete della differenza fra genovesi e pisani, quando in una pagina dedicata alla contesa fra le delegazioni inviate dalle due città presso Federico I, egli definisce l’essenza dei pisani come garrulitas, cioè «rumorosa loquacità», 32 alla quale i genovesi contrappongono il silenzio e la macchinazione economica, già tessuta alle spalle dei loro rivali ancor prima di comparire dinanzi all’imperatore.
32. Memorie genovesi. Gli Annali, op. cit. p. 135.
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* Giugno 2005 (CZ2/FG9)
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La matematica antica su cd-rom Uno dei maggiori problemi nell’insegnamento e nella ricerca in Storia della matematica consiste nella difficoltà di accedere alle opere originali dei matematici dei secoli passati. Ben pochi autori, in genere solo i più importanti, hanno avuto edizioni moderne; per la maggior parte occorre rivolgersi direttamente alle edizioni antiche, presenti solo in poche biblioteche. Questa situazione è particolarmente gravosa nei centri privi di biblioteche importanti, dove anche lo svolgimento di una tesi di laurea in storia della matematica è ritardato dai tempi a volte lunghissimi necessari per procurarsi fotocopie o microfilms delle opere necessarie, ma sussiste anche nei centri maggiori, dove in ogni caso l’accesso ai volumi antichi è sottoposto a controlli e limitazioni. Per ovviare almeno in parte a questi inconvenienti, e permettere una maggiore diffusione della cultura storico-matematica, il Giardino di Archimede ha preso l’iniziativa di riversare su cd-rom e diffondere una serie di testi rilevanti per la storia della matematica. Ogni cd contiene circa 5000 pagine (corrispondenti circa a 15-20 volumi) in formato pdf. La qualità delle immagini è largamente sufficiente per una agevole lettura anche dei testi più complessi e non perfettamente conservati. Il prezzo di ogni cd è di 130 euro. Per acquisti o abbonamenti a dieci o più cd consecutivi viene praticato uno sconto del 20%. Per ulteriori informazioni si può consultare il sito del Giardino di Archimede: www.archimede.ms Per ordinazioni: Il Giardino di Archimede Viale Morgagni 67/a 50134 Firenze Tel. ++39-055-4237119, Fax ++39-055-4222695 e-mail: [email protected]fi.it Indice degli ultimi cd pubblicati GdA 15 • Campolini, Giacomo, Propositioni aritmetiche. Venezia, Tramontin, 1700 • Castelli, Benedetto, Risposta alle opposizioni. Firenze, Giunti, 1615 • Considerazioni dell’Accademico incognito sopra il Discorso di Galilei. Pisa, Boschetti, 1612 • Cozzando, Leonardo, De magisterio antiquorum philosphorum. Genève, De Tournes, 1684 • Craig, John, Methodus figurarum quadraturas determinandi. London, Pitt, 1685 • Craig, John, De figurarum curvilinearum quadraturis. London, Smith & Walford, 1693 • Cremonini, Cesare, Disputatio de coelo. Venezia, Baglioni, 1613 • Dalla Porta, Giovan Battista, De distillatione. Roma, Camera Apostolica, 1608 • Dalla Porta, Giovan Battista, Della chirofisionomia. Napoli, Bulifon, 1677 • Dalla Porta, Giovan Battista, Della fisionomia ridotta in tavole sinottiche. Roma, Mascardi, 1637 • Dalla Porta, Giovan Battista, Della magia naturale libri XX. Napoli, Bulifon, 1677 • Dalla Porta, Giovan Battista, I tre libri de’ spirituali. Napoli, Carlino, 1606 • Dalla Porta, Giovan Battista, La magie naturelle. Lyon, De la Roche, 1678 • Dalla Porta, Giovan Battista, Pneumaticorum libri tres. Napoli, Carlino, 1601
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Danesi, Luca, Opere. Ferrara, Bolzoni, 1670 Dati, Carlo, Lettera a Filateti. Firenze, Stella, 1663 De Angelis, Agostino, Lectiones meteorologicae. Roma, Carbi, 1664 De Dominis, Marco Antonio, De radiis visus et lucis. Venezia, Baglioni, 1661 De la Chambre, Marin, La lumière. Paris, D’Allin, 1662 De la Chambre, Marin, Observations et coniectures sur l’iris. Paris, D’Allin, 1662 Del Borro, Alessandro, Il carro di Cerere. Lucca, Ciuffetti, 1699 Delle Colombe, Lodovico, Discorso apologetico. Firenze, Pignoni, 1612 Del Papa, Giuseppe, Se il fuoco e la luce siano una cosa medesima. Firenze, Bonardi e Luti, 1675 Del Papa, Giuseppe, Della natura dell’umido e del secco. Firenze, Vangelisti, 1681 De Riso, Domenico, Orbis terrarum machinis motus. Napoli, Raillard, 1682 Descartes, Réné, Geometria. Amsterdam, Elzevier, 1659-61 Descartes, Réné, Epistolae. Amsterdam, Blaev, 1682 Descartes, Réné, Geometria. Leyden, Maire, 1649 Di Grazia, Vincenzo, Considerazioni sopra’l Discorso di Galileo. Firenze, Pignoni, 1613 Galilei, Galileo, Discorso intorno alle cose che stanno in sù l’acqua. Firenze, Giunti, 1612 Schoock, Martin, Admiranda Methodus Philosophiae R. Des Cartes. Utrecht, Van Waesberg, 1643.
GdA 16 • Canterzani, Sebastiano, Osservazioni sul valor cardanico. Bologna, Istituto delle Scienze, 1787 • Canterzani, Sebastiano, Osservazioni sopra il ritorno delle serie. Mem. Soc. Ital. 5 (1790) • Capello, Angelo, Astrosophia numerica. Venezia, Mora, 1733-1737 • Caracciolo, Giovanni Battista, De lineis curvis. Pisa, Carotti, 1740 • Caracciolo, Giovanni Battista, Geometria algebrica. Roam, Salomoni, 1759 • Carmagnini, Filippo, Della quadratura del circolo. Firenze, Viviani, 1751 • Carrara, Francesco, La caudta del velino nella Nera. Roma, Casaletti, 1779 • Cassini, Jacques, Éléments d’astronomie. Paris, Imprimerie Royale, 1740 • Cassini Jacques, Tables astronomiques. Paris, Imprimerie Royale, 1740 • Castel, Louis, Mathématique universelle. Paris, Simoni, 1728 • Castel, Louis, Le vrai système de physique de Newton. Paris, Simoni, 1743 • Cavallo, Tiberio, History and practice of aerostation. London, Dilly, 1785 • Cavallo, Tiberio, Trattato completo d’elettricità. Firenze, Cambiagi, 1779 • Cheseaux, Jean Philippe, Traité de la comète. Lausanne, Bousquet, 1744 • Clairaut, Alexis Claude, Elementi di geometria. Roma, Monaldini, 1771 • Clairaut, Alexis Claude, Figure de la Terre. Paris, Durand, 1743 • Cocoli, Domenico, Dissertazione sopra le teoria delle acque. Brescia, Pasini, 1783 • Cocoli, Donenico, Elementi di geometria. Brescia, Pasini, 1792 • Condorcet, Marie Jean, Esquisse d’un tableau historique. Paris? 1795 • Corradi d’Austria, Domenico, De’ calcoli differenziale e integrale. Modena, Torri, 1743-1744 • Cosatti, Lelio, Riflessioni sopra il sistema dei tre matematici. Roma, Bernabò e Lazzarini, 1743 • Cossali, Pietro, La controversia analitica. Verona, Moroni, 1786 • Deidier, Elemens des principales parties des mathématiques. Paris, Jombert, 1745 • Deidier, La mechanique génerale. Paris, Jombert, 1741 • Deidier, Le parfait ingenieur francois. Paris, Jombert, 1742
BOLLETTINO DI STORIA DELLE
SCIENZE MATEMATICHE
BOLLETTINO DI STORIA DELLE SCIENZE MATEMATICHE Il Giardino di Archimede Un Museo per la Matematica
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SCIENZE MATEMATICHE
Anno XXIV · Numero 1 · Giugno 2004
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SOMMARIO Annalisa Simi, L’eredità della Practica geometriae di Leonardo Pisano nella geometria del basso Medioevo e del primo Rinascimento
Elisabetta Ulivi, Maestri e scuole d’abaco a Firenze: la Bottega di Santa Trinita
Menso Folkerts, Leonardo Fibonacci’s Knowledge of Euclid’s Elements and of Other Mathematical Texts
Maryvonne Spiesser, Questions sur la diffusion du Liber abbaci en France au XVe siècle à travers l’étude des traités commerciaux.
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Annalisa Simi* L’EREDITÀ DELLA PRACTICA GEOMETRIAE DI LEONARDO PISANO NELLA GEOMETRIA DEL BASSO MEDIOEVO E DEL PRIMO RINASCIMENTO 1. L A P RACTICA
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Fibonacci compilò la Practica geometriae nel 1220 dedicandola al “Magister Dominicus” (probabilmente Domenico Ispanico), che lo introdusse alla corte dell’imperatore Federico. Dell’opera in esame sono note dodici copie manoscritte, più o meno complete, di cui tre sono conservate presso la Biblioteca Nazionale di Parigi, 1 tre presso la Biblioteca Nazionale di Firenze, 2 cinque presso la Biblioteca Apostolica Vaticana 3 ed un’ultima, quella di Petronio Isolani di Bologna, 4 che non è ancora stata reperita. 5 La Practica geometriae è suddivisa in otto distinzioni, precedute da un’introduzione che, secondo lo stile euclideo, definisce gli enti geometrici fondamentali, enuncia i principi (postulati, assiomi e varie proposizioni del I libro degli Elementi) che saranno applicati nel seguito ed infine ricorda le misure lineari e di superficie all’epoca in uso a Pisa. La distinzione I, richiamando numerose proposizione del II libro degli Elementi, insegna a calcolare le aree dei quadrati e dei rettangoli, inoltre illustra con esempi numerici le moltiplicazioni di lunghezze di segmenti. Le distinzioni II e V, come preparazione ai problemi successivi, introducono rispettivamente le radici quadrate e cubiche ed affrontano i calcoli con i radicali di questi gradi. Senza alcun riferimento alle fonti, il Pisano riferisce le dimostrazioni della duplicazione del cubo date da Archita, Filone di Bisanzio e Platone, così come sono note secondo la tradizione di Eutocio. La distinzione III, con dimostrazioni rigorose, tratta la determi* Università degli Studi di Siena, Dipartimento di Matematica, Via del Capitano,15, 53100 – Siena, Italia; [email protected] 1. Ms. Lat. 7223, ms. Lat. 10258 e ms. Nouv. Acquis. Lat. 1207, che è la copia ottocentesca di Woepcke. 2. Ms. II. III. 22 – 23 – 24. 3. Ms. Urb. Lat. 292 (quello edito da B. Boncompagni), ms. Urb. Lat. 259, ms. Lat. 4606, ms. Ott. Lat. 1545 e 1546 e ms. Lat 4962. 4. È citata in B. Boncompagni, Intorno ad alcune opere di Leonardo Pisano matematico del secolo decimoterzo, Roma 1853, 96, nota 1. 5. Notizie gentilmente fornitemi dal prof. Carlo Maccagni dell’Università di Genova. Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche · Vol. XXIV · (2004) · Fasc. 1
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nazione di segmenti e superfici di figure piane quali triangoli, speciali quadrangoli (rombi, romboidi e trapezi), non esclusi i quadrangoli concavi, pentagoni e cerchio. Molti dei problemi affrontati in questa parte dell’opera conducono ad equazioni quadratiche che, espresse in forma retorica, sono risolte ricorrendo alle formule usuali, prestando particolare attenzione alle soluzioni doppie. Qui l’autore dà anche varie istruzioni pratiche e metodi strumentali utili ai geometri misuratori, tra i quali, ad esempio, quello che permette di calcolare l’area di una superficie non piana (In dimensione camporum qui in montibus iacent). Il Pisano non trascura il calcolo delle corde di un cerchio riferendosi a quanto lasciato scritto da Tolomeo nell’Almagesto. In quest’occasione solamente compaiono i termini sinus rectus e versus, indubbiamente presi in prestito dalla trigonometria araba. La distinzione IV è dedicata alla divisione delle superfici mediante rette, queste e le parti soddisfacenti a condizioni assegnate. Si tratta, come vedremo meglio tra breve di un argomento già affrontato da Euclide ed Erone. Dei problemi risolti dal Pisano, quattordici riguardano triangoli, otto parallelogrammi, tredici trapezi, sei quadrilateri di altro genere, due il pentagono regolare e dodici il cerchio ed il semicerchio. Alla trattazione del calcolo dei volumi dei solidi, inclusi i poliedri regolari, è dedicata la distinzione VI. Il Pisano divide i solidi in tre classi: i poliedri a facce parallele, le piramidi e i loro tronchi ed infine nell’ultima classe pone la sfera e i poliedri regolari. Fra i vari problemi propone quello già risolto da Erone che consiste nel calcolare il volume di un tronco di piramide note le basi e l’altezza. La distinzione VII, di carattere più elementare ed esclusivamente pratico, insegna a determinare distanze e altezze basandosi sulla similitudine dei triangoli e ricorrendo all’uso del quadrante per la misurazione degli angoli. Viceversa, hanno un carattere prettamente teorico le ‘sottigliezze geometriche’ raccolte nella distinzione VIII. Alcune riguardano il pentagono ed il decagono regolari, altre rettangoli inscritti in un triangolo equilatero, con un lato steso sopra un lato del triangolo dato. I lati dei rettangoli sono calcolati algebricamente ed i risultati sono dati nel sistema sessagesimale. Infine incontriamo la questione della risoluzione in numeri razionali dell’equazione x2 + 5 = y2, che l’autore riprende in esame in altri suoi scritti minori. 6 L’attributo «practica» presente nel titolo dell’opera di geometria di Leonardo Pisano è del tutto fuorviante se riferito alla qualità ed al livello della trattazione, mentre costituisce un valido indicatore in relazione allo spirito pragmatico e alla programmatica che informa questo e gli altri 6. Nel Flos e nel Liber quadratorum, dove viene trattata unitamente al caso x2 – 5 = y2.
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scritti dell’autore, che, non dobbiamo dimenticarlo, prima ancora di essere un matematico, fu un mercante. Il contenuto della Practica geometriae è tutt’altro che pratico, tranne quei rari casi in cui il Pisano indugia nel riferire taluni «modi vulgari», in tono quasi compiaciuto della propria erudizione. 7 Il livello generale della trattazione è assai elevato: ogni questione è illustrata minuziosamente e giustificata meticolosamente ricorrendo ad argomentazioni teoriche e dottrinali di notevole spessore che, se da un lato mostrano le grandi doti didattiche dell’autore, dall’altro vanno indubbiamente ben oltre le mere esigenze pratiche. 8 Un elemento di «praticità» è se mai ravvisabile nella scelta didattica operata dall’autore di proporre sistematicamente la materia non seguendo lo schema euclideo o archimedeo, ma secondo un approccio «per problemi». Il Pisano, tuttavia, avendo pienamente assorbito lo spirito greco della «dimostrazione», se da un lato nella scelta dei problemi pratici ebbe come modelli Erone e gli agrimensores, dall’altro conferì solidità e rigore ai suoi ragionamenti facendo intervenire le autorità di Euclide e Archimede. Come è ben noto, egli superò le aspettative del padre che, dalla dogana di Bugia, dove era stato inviato dalla Repubblica di Pisa in qualità di scriba, lo aveva chiamato a sé affinché apprendesse quei procedimenti aritmetici che gli Arabi avevano conosciuto dagli Indiani e che ormai da tempo applicavano con successo nella mercatura. Percorrendo tutto il bacino del Mediterraneo, il giovane Pisano si addentrò nello studio della parte più elevata del calcolo e apprese le conoscenze di numerose scuole matematiche arabe e greche. 9 Se per la compilazione del Liber Abaci egli trovò l’ispirazione nei famosi matematici arabi Muhammed ibn Musa, Tabit ibn Qorra, Abu Kamil, Al - Biruni e Omar al Khajami, per la stesura della Practica geometriae attinse pesantemente, direttamente o indirettamente, da fonti greche. 7. Si veda ad esempio: Modus vulgaris quo uti debent agrimensores, et est sufficiens in mensuratione omnium trigonorum… (L. Pisano, Practica geometriae et opuscoli, in Scritti di Leonardo Pisano pubblicati da Baldassarre Boncompagni, Tipografia delle Scienze Matematiche e Fisiche, Roma 1862, vol. 2, p. 43) oppure: Sapientes vero antiqui ordinabant cum arundinibus triangulum similem in hunc modum … (L. Pisano, Practica geometriae, p. 108). 8. In proposito facciamo notare che i geometri pratici, quale valore del rapporto tra la lunghezza della circonferenza e quella del diametro, cioè per π, nei calcoli, usavano sistematicamente, per altro senza offrire nessuna giustificazione, 22/7, risultato conseguito da Archimede. Anche il Pisano nei calcoli ricorreva al medesimo valore, ciò nondimeno, egli, mosso da un’intima esigenza di raffinatezza teorica perfezionò il procedimento del matematico greco ottenendo un valore ancora più preciso (π = 1440/ (458 + 1/3) = 3, 141818…). 9. La qualifica di «discepolo degli Arabi», che spesso nel passato fu attribuita al Pisano, dunque offre una visione limitativa delle sue reali conoscenze. In effetti, come testimoniano i suoi scritti, fu anche un profondo conoscitore dei più grandi rappresentanti della matematica greca, tra i quali ricordiamo Euclide, Archimede, Erone e Diofanto.
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Il Pisano può essere considerato un continuatore della tradizione euclidea, sia per il rigore delle argomentazioni, lo spirito e lo stile, sia perché nell’affrontare sviluppi di carattere dottrinale si affidò alla rappresentazione geometrica delle quantità, come Euclide nel V libro e nei libri aritmetici degli Elementi (libri VII – IX). L’opera geometrica del Pisano, inoltre, considerato che muove dal generale scopo pratico di insegnare procedimenti utili alla determinazione di aree di superfici e volumi di solidi o alla suddivisione di una figura data in parti soggette a determinate condizioni, sembra ispirata anche ad un altro scritto euclideo, Sulla divisione delle figure, oggi perduto nell’originale, 10 ma che forse l’autore ebbe modo di conoscere sottoforma di traduzione orientale. Infine, se si tien conto dell’impostazione aritmetico - geometrica della Practica geometriae, siamo senza dubbio indotti a paragonarla ai Metrica di Erone (100 d.C.), opera che non da lungo tempo è ritornata a far parte della letteratura matematica europea, 11 ma che tuttavia, in Oriente, doveva essere nota e sfruttata dagli agrimensori arabi sin dal Medio Evo. Un’altra opera di geometria pratica di Erone che può aver rappresentato una fonte di ispirazione significativa per il Pisano, è il Trattato sulla dioptra, che, descrivendo l’uso dello strumento inventato dal geodeta alessandrino, e insegnando a misurare distanze, superfici, altezze e profondità, nonché a dividere un campo o a traforare un monte, costituisce un vademecum assai utile agli agrimensori. I risultati sono conseguiti applicando concetti, teoremi e metodi risalenti ad Euclide. Erone, però, come sappiamo, scoprì anche la famosa formula che porta il suo nome, utile al calcolo dell’area di un triangolo di cui siano note le lunghezze dei lati, problema del tutto estraneo alla trattazione euclidea. 12 Una qualche influenza fu indubbiamente esercitata sull’opera geometrica del Pisano anche dal Liber Embadorum, 13 un trattato di geometria 10. Oggi tale opera si conosce attraverso un rifacimento del matematico arabo Muhammed ibn Muhammed al Bagdadi vissuto intorno al X secolo. Nel 1570, a Pesaro, uscì un’edizione di essa a cura di Federico Commandino. 11. L’opera in questione, assai estesa (tre libri), concerne la geometria pratica. Di essa venne scoperto l’originale nella Biblioteca del Serraglio di Costantinopoli solo nel 1896. Il primo libro è dedicato al calcolo dell’area di superfici rettangolari, triangolari (ricorrendo talvolta alla formula che porta il nome del matematico alessandrino) e quadrangolari, quindi alla determinazione delle lunghezze dei lati di alcuni poligoni regolari. L’area di un poligono non regolare viene calcolata per decomposizione in triangoli. Il secondo libro tratta la misura dei solidi, alcuni della geometria classica, come i poliedri regolari, altri indicati dai bisogni della pratica, come mucchi di ghiaia, altri ancora appartenenti ai livelli più alti della geometria. Il terzo ed ultimo libro infine riguarda la divisione delle figure in parti aventi tra loro o col tutto relazioni assegnate. 12. Tale risultato, mai citato da nessun autore o commentatore greco posteriore ad Erone, quando le opere di quest’ultimo erano ancora sepolte in biblioteche inesplorate, fu per lungo tempo erroneamente attribuito al Pisano. 13. L’opera, tradotta in latino da Platone da Tivoli (1116), è stata data alle stampe solo nel 1913.
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pratica compilato dall’ebreo spagnolo Savasorda (1070-1136). Il titolo avverte chiaramente della sicura matrice greca dell’opera. 14 In tempi in cui ormai alla corte imperiale si poetava in volgare, le opere di Leonardo Pisano furono composte in latino, senza dubbio per garantire ad esse maggiore fama e diffusione. Tuttavia la scelta di tale lingua, unitamente al grande spessore teorico dell’opera, se oggi contribuisce a conferire ad essa un pregio considerevole, all’epoca finì al contrario per costituire un limite che causò un offuscamento assai rapido del successo. 15 Infatti in breve tempo il latino cadde in disuso e molti degli argomenti trattati nelle opere del Pisano si rivelarono troppo elevati rispetto agli scopi pratici di coloro che si avvicinavano alla matematica. 2. Università e botteghe d ’ abaco : i diversi livelli del sapere matematico nel Medioevo e nel primo Rinascimento Fino al Trecento, come è ben noto, la cultura matematica ufficiale, coltivata nelle Università o nelle scuole ecclesiastiche, era concepita come pura attività speculativa, completamente avulsa dal mondo concreto e dalle problematiche dell’economia e della società. Il merito universalmente ascritto al Pisano di aver determinato la rinascita in Europa delle scienze matematiche non è legato solamente alla novità dell’introduzione delle cifre indo-arabiche in Occidente, ma anche e soprattutto alla promozione di una nuova concezione pragmatica della matematica. Con il Pisano la matematica superò il campo della pura e semplice erudizione. Ormai a questa scienza non si interessavano più solo i dotti, ma anche ‘uomini nuovi’, mercanti, artigiani e artisti, che offrivano nuovi stimoli di riflessione proponendo problemi nuovi, ricchi di riferimenti concreti. Il Pisano, che, per esperienza diretta, conosceva le esigenze dei nuovi cultori delle scienze matematiche di trattazioni più agili di quelle antiche, non si limitò a proporre le regole già note, ma spesso ne cercò delle nuove, più semplici, o più «belle» come lui stesso amava definirle. 16
14. Embadus è una latinizzazione di un vocabolo di origine greca che sta per la nostra ‘area’. 15. Dopo l’immediato successo, forse legato anche al vivo e spregiudicato ambiente culturale costituitosi attorno alla corte di Federico II di Svevia, le opere del Pisano, alla morte dell’imperatore, registrarono però un lungo ed immeritato oblio. Delle opere di Leonardo Pisano Tartaglia conobbe solo ciò che potè apprendere da Luca Pacioli. Inoltre ricordiamo che nell’Historia Matheseos universae, Lipsia 1742, Heilbronner confuse l’autore in questione con un Giovanni Pisano autore dell’opera Perspectiva communis pubblicata nel 1542. Si dovette attendere fino al secolo XVIII prima di vedere nuovamente concentrata l’attenzione degli studiosi su questo importante personaggio e sulle sue opere che giacevano dimenticate in varie biblioteche italiane. 16. È singolare l’uso dell’aggettivo pulcher che talvolta il Pisano usa in riferimento ad un procedimento matematico.
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Questo nuovo modo di concepire la matematica si riflette anche nel tono dell’esposizione dell’autore che risulta particolarmente vivace ed originale. In proposito è anche interessante il bisogno che egli mostrava di comunicare agli amici le scoperte non appena conseguite (…quam nuper inveni), vero segno che esse rappresentavano qualcosa di vivo e di interessante. Spesso si tratta di questioni artificiose, ma in ogni caso sono espressione di vitalità, di fiducia nelle proprie forze e soprattutto nella possibilità di superare gli antichi. Questo atteggiamento, per così dire ‘rivoluzionario’, caratteristico del Pisano, trova la sua massima espressione nella dimostrazione esposta nella Practica geometriae del fatto che il rapporto tra circonferenza e diametro è approssimativamente espresso da 22/7, nuova e più semplice della celebre dimostrazione di Archimede. La cultura ufficiale, che basava la propria solidità sull’autorità dei classici, non vedeva certo di buon occhio le opere di un uomo occidentale che, agli inizi del XIII secolo, osava pensare di poter apportare miglioramenti ad una delle classiche ricerche di Archimede. Tuttavia le numerose copie e volgarizzazioni manoscritte delle opere del Pisano, mostrano al contrario il largo consenso che l’autore ricevette da parte degli ‘uomini nuovi’ suoi contemporanei o immediatamente posteriori. La matematica aveva un ruolo molto importante anche nel curriculum delle scuole altomedievali, 17 tuttavia le conoscenze in questo campo, prima del Pisano, erano limitate a quelle poche nozioni che erano state tramandate dalla rozza tradizione romana: le pratiche degli Agrimensores, un insieme di formule spesso approssimate e l’arte del calcolo che riguardava soltanto le quattro operazioni tra numeri interi, le regole delle quali erano adattate all’uso delle diverse forme d’abaco. In effetti la tradizione romana aveva preservato ben poco della ricca e raffinata cultura greca. Inoltre l’affermarsi della lingua latina come lingua europea della matematica, della scienza e dell’istruzione nelle scuole, determinato dall’estendersi dell’influenza della Chiesa, intensificò la lettura di testi latini, cioè romani. Le autorità, nel campo della matematica e della geometria, erano dunque rappresentate da Boezio e Cassiodoro, grazie alle cui traduzioni erano penetrate le uniche conoscenze di tradizione greca. Boezio (c. 480-524), servendosi di fonti greche, aveva compilato delle scelte da 17. Il curriculum era diviso nel quadrivium e nel trivium. Del primo facevano parte le seguenti discipline: l’aritmetica, intesa come scienza dei numeri puri; la musica, intesa come applicazione dei numeri; la geometria, o studio delle grandezze quali lunghezze, altezze e volumi in quiete; l’astronomia, o studio delle grandezze in movimento. Del secondo invece facevano parte la retorica, la dialettica e la grammatica.
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trattati elementari di aritmetica, geometria e astronomia. Forse aveva realizzato anche la traduzione di alcuni libri degli Elementi di Euclide trovando così il materiale per la sua Geometria. In essa venivano date solo definizioni e teoremi, questi ultimi sistematicamente privati delle loro dimostrazioni. L’opera conteneva anche nozioni relative alla geometria della misura, con risultati spesso approssimati e talvolta persino errati. Nel secolo X lo studio della matematica migliorò lievemente grazie a Gerberto d’Aurillac, divenuto papa Silvestro II (999-1003), non tanto per i suoi contributi, 18 che si limitavano ancora all’aritmetica ed alla geometria elemetari, quanto per la sua curiosità scientifica che costituì il preludio dell’ imminente apertura di orizzonte della cultura occidentale a quella araba. Il Pisano aprì una nuova epoca nella matematica occidentale rendendo disponibile un enorme patrimonio di conoscenze, anche se di queste, nell’immediato, solo una minima parte esercitarono un’influenza diretta. I maestri d’abaco, responsabili dell’istruzione di mercanti e artisti, infatti, per la compilazione dei loro testi didattici, i «trattati d’abaco», attinsero pesantemente dalle opere del Pisano, sebbene limitandosi a proporre solo quegli argomenti che trovavano un’immediata applicazione nel quotidiano. I trattati d’abaco amplificarono ed enfatizzarono lo spirito vivace e pragmatico delle opere del Pisano a discapito del livello della trattazione che subì un calo vistoso. Il Liber abaci e la Practica geometriae vennero riproposti sottoforma di volgarizzazioni sintetiche, sfrondate di tutti gli elementi teorici e dottrinali giudicati complicazioni inutili alla soluzione dei problemi pratici contingenti. Molto spesso i maestri d’abaco introdussero metodi empirici e formule approssimate di semplice e immediata applicazione, che fornivano risultati non esatti, ma i cui errori rientravano tuttavia in un range accettabile in relazione agli scopi pratici. Questi personali contributi dei maestri, che rispondevano a precise istanze pratiche, erano originali rispetto al Pisano ed andavano ad ampliare la gamma degli argomenti da quest’ultimo trattati. Un esempio significativo in proposito è fornito dalle numerose regole pratiche per il calcolo della capacità delle botti e delle quantità di vino mancanti, illustrate dai vari maestri d’abaco sulle quali avremo modo di tornare a parlare. Questo compendiare, questo tralasciare, comportò un immediato scadimento del livello delle conoscenze matematiche e, se come conseguen18. A Gerberto vengono attribuiti vari scritti di aritmetica e una Geometria il cui codice risalente al X secolo reca esplicitamente il suo nome. Si tratta di lavori molto elementari che discutono la tecnica pratica del calcolo e problemi semplicissimi di agrimensura. Cfr. N. Bubnov, Gerberti Opera mathematica, Berlin 1899.
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za in molti casi ebbe la perdita di vista delle ragioni fondanti le varie teorie, in altri fece scivolare verso una loro totale incomprensione. La matematica moderna, dunque, dopo i fulgidi albori vissuti con il Pisano, rallentò bruscamente il suo sviluppo per riprenderlo due secoli dopo, sia sul fronte dell’algebra che su quello della geometria, con la nascita della prospettiva. Ma la cultura matematica del basso Medioevo e del primo Rinascimento mostra una connotazione duplice, derivante dalla natura diversa dei luoghi in cui veniva coltivata. Se da un lato abbiamo le Università e le scuole ecclesiastiche, dall’altro abbiamo le botteghe d’abaco. Tuttavia è opportuno sottolineare che talvolta la discrepanza tra i due diversi mondi non fu così marcata. In effetti, risulta che, a partire dalla fine del Trecento, alcuni lettori di matematica delle Università furono reclutati tra i maestri d’abaco. 19 Tale puntualizzazione trova riscontro anche nell’esistenza delle così dette «enciclopedie matematiche», opere di amplissima mole che costituiscono dei veri monumenti delle scienze matematiche. Nella maggior parte dei casi destinate a personaggi di rilievo della cultura e della politica della fiorente città di Firenze, tali opere sono compilate con ricercatezza estetica e spiccano nel panorama matematico dell’epoca, caratterizzato dai trattati d’abaco, per l’organicità della stesura, la sistematicità con cui sono presentati gli argomenti, ma soprattutto per la ricchezza e la profondità dei contenuti. In tali opere gli autori riescono a presentare in un complesso veramente armonico quasi tutto il sapere, dai tempi più antichi ai loro, nei campi dell’aritmetica, dell’algebra e della geometria, non senza l’innesto di contributi personali notevoli. Le materie, trattate in modo esauriente, sono fondate su un solido impianto teorico che, per l’aritmetica, trova le sue colonne portanti nel Liber Abaci di Leonardo Pisano, mentre, per la geometria, nella Practica Geometriae del medesimo autore e negli Elementi di Euclide. In esse figurano argomenti che solitamente sono del tutto trascurati, o al più trattati assai brevemente nelle opere minori, ad esempio la teoria delle proporzioni, l’aritmetica speculativa, la teoria dei numeri e l’algebra. Gli autori di tali summae matematiche dunque vengono a costituire un ponte di collegamento tra gli studiosi delle Università, profondi conoscitori delle opere classiche, ed i maestri d’abaco dotati di conoscenze più modeste, ma più concrete. 19. Essi sono facilmente individuabili negli elenchi perché quasi sempre il loro nome proprio è seguito dalla qualifica «dell’abaco». Cfr. R. Franci, L’insegnamento dell’aritmetica nel Medioevo, in « Itinera Mathematica », Studi in onore di G. Arrighi, a cura di R. Franci, P. Pagli, L. Toti Rigatelli, Centro Studi sulla Matematica Medioevale, Università di Siena, 1996, pp. 1-22.
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Nelle opere matematiche di grande mole appena citate infatti registriamo un modo di procedere caratterizzato da una convergenza armoniosa tra esperienze e dottrine attorno ai problemi pratici da affrontarsi con procedimenti concreti. Sarà proprio questo atteggiamento ‘nuovo’, il cui seme era stato già gettato da Leonardo Pisano, quello che durante il Rinascimento, conducendo al fecondo sodalizio tra teoria e tecnica, risulterà vincente nei vari settori della cultura. Il basso livello teorico dei trattati d’abaco standard e la mediocrità delle conoscenze matematiche della maggior parte dei mercanti e degli artigiani sono elementi che sembrano in contrasto con la brillantezza e l’originalità di pensiero ormai accreditata a molti maestri d’abaco attraverso studi puntuali sui loro scritti. Ben noti sono ad esempio gli avanzamenti parziali, ma comunque fondamentali, che gli abacisti conseguirono nel campo dell’algebra, preparando il terreno alle grandi scoperte degli algebristi del Cinquecento. Il contrasto tuttavia si risolve alla luce di una semplice riflessione svolta in termini di mercato. I trattati d’abaco, sono prima di tutto, la risposta fattiva ed immediata alle richieste di conoscenze da parte di una nuova categoria di fruitori, dunque spesso mal rappresentano la reale profondità della cultura dei maestri d’abaco e le loro capacità. In conclusione il contrasto di cui sopra, caratteristico di tutto il basso Medioevo ed il Rinascimento, altro non è che l’espressione della divergenza tra gli interessi dei docenti e dei discenti delle discipline matematiche. Un riscontro di ciò, ad esempio, è offerto anche dall’assenza quasi sistematica dell’algebra nelle aritmetiche a stampa: in effetti tali testi, concepiti con scopi didattici, dovendo rispettare le esigenze prettamente pratiche dei fruitori, per motivi editoriali, escludevano l’algebra, una scienza ritenuta superiore. Per lungo tempo i metodi algebrici continuarono a coesistere con quelli aritmetici, ma, per così dire, non a coabitare: l’algebra divenne l’interesse precipuo dei maestri d’abaco, cioè dei matematici di professione; l’aritmetica invece continuò ad essere preferita dai «pratici», cioè da coloro che di tale disciplina si servivano solo per amministrare i propri affari. 20 3. La geometria nel basso Medioevo e nel primo Rinascimento Assai ridotto è il numero dei trattati del basso Medioevo e del primo Rinascimento completamente dedicati alla geometria, mentre non è raro 20. Cfr. A. Simi, Quattro secoli di storia della regola del cataino in Italia, Rapporto Matematico n. 409, Università di Siena, 2000 (In corso di stampa negli atti del convegno De la Chine à l’Occitanie. Chemins entre arithmétique et algèbre, Tolosa 22-24 settembre 2000).
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trovare all’interno dei trattati d’abaco un capitolo o una sezione relativi a questioni geometriche. Fra i manoscritti da noi fino ad oggi esaminati, quelli a contenuto interamente geometrico sono i seguenti: a) Anonimo, Geometria, vulgarmente arte de mexura, (c. 1430), Ms. 205. I della Biblioteca Universitaria di Bologna. 21 b) Anonimo, Trattato di geometria pratica, (c. 1460), Ms. L. IV. 18 della Biblioteca Comunale di Siena. 22 c) Anonimo, Trattato di praticha di geometria, (c. 1460), Ms. Palatino 577 della Biblioteca Nazionale di Firenze. 23 d) Orbetano da Montepulciano, Regole di geometria pratica, (c. 1464), Ms. Moreni 130 della Biblioteca Riccardiana di Firenze. 24
Sia per la natura che per la struttura, i contenuti delle opere adesso ricordate si differenziano notevolmente. Il codice Palatino, ad esempio, contiene un trattato con un importante impianto teorico di impronta marcatamente euclidea, una vera summa, mentre il codice senese contiene un testo con evidenti fini didattici, che ad un’ampia ed organica raccolta di problemi fa precedere un’esauriente trattazione teorica; il codice Moreniano, contenente un testo concepito dall’autore per suo uso esclusivo, è invece costituito da una miscellanea di centoquarantuno problemi della più diversa natura, disposti senza alcun criterio d’ordine. Nella maggior parte dei casi, anche quando la geometria figura semplicemente come un capitolo di un’opera matematica di più ampio respiro, non manca una parte introduttiva, del tutto similare a quella che apre l’ opera geometrica del Pisano, in cui sono elencate le definizioni euclidee dei principali enti geometrici (punto, retta, segmento, superficie, piano, angolo e le principali figure piane). 21. Cfr. A. Simi, L. Toti Rigatelli, Some 14th and 15th Century Texts on Practical Geometry, in « Vestigia Mathematica », Studies in medieval and early modern mathematics in honour of H. L. L. Busard, edited by M. Folkerts and J. P. Hogendijk, Amsterdam/Atlanta 1993, pp. 453-70 e A. Simi, La geometria pratica in tre manoscritti della Biblioteca Universitaria di Bologna, « Nuova Secondaria », 15 (1999), pp. 62-70. 22. Cfr. Anonimo fiorentino, Trattato di geometria pratica (dal codice L. IV. 18 della Bibl. Com. di Siena), a cura e con introduzione di A. Simi, « Quaderni del Centro Studi della Matematica Medioevale di Siena », 21, Pisa 1993. 23. Cfr. G. Arrighi, Il trattato di geometria e la volgarizzazione del “Liber Quadratorum” di Leonardo Pisano del codice Palatino 577 (sec. XV) della Bibl. Naz. di Firenze, «Atti della Fondazione Giorgio Ronchi», 22 (1967), 760-75; E. Picutti, Il libro dei quadrati di Leonardo Pisano ed i problemi di analisi indeterminata nel codice Palatino 577 della Bibl. Naz. di Firenze, « Physis », Fasc. 1-4, (1979), pp. 195339 e A. Simi, La geometria nel primo Rinascimento. I contributi di un anonimo allievo di Domenico d’Agostino, « Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche », 20 (2000), pp. 191-211. 24. Cfr. Orbetano da Montepulciano, Regole di geometria pratica (dal ms. Moreni 130 della Bibl. Riccardiana di Firenze), a cura e con introduzione di A. Simi, « Quaderni del Centro Studi della Matematica Medioevale di Siena », 19, Siena 1991.
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Come abbiamo già sottolineato nel paragrafo precedente, non è possibile dare una valutazione univoca della geometria del basso Medioevo e del primo Rinascimento. Le peculiarità che distinguono la geometria dei trattati d’abaco da quella delle enciclopedie matematiche rendono necessaria una trattazione separata di esse. 3. 1. La geometria pratica Di fronte all’irrompere nella società, soprattutto in Toscana, della nuova classe dei mercanti e dei banchieri, i quali muovevano pressanti richieste di nuove conoscenze più pratiche ed immediate, applicabili ai più diversi aspetti della vita quotidiana, la cultura ufficiale, coltivata nelle Università e nelle scuole ecclesiastiche, dovette cedere il passo a quella produzione matematica ‘innovativa’ generatasi sulla scia del Liber Abaci e della Practica Geometriae di Fibonacci. La nuova cultura laica promosse la produzione di testi didattici da parte dei maestri d’abaco. Allo scopo di essere compresi da un pubblico più vasto possibile, i maestri d’abaco, benchè profondamente ispirati alle opere di Fibonacci, compilarono i loro testi in volgare, sfrondandoli di tutti gli orpelli teorici. Di questo contesto culturale fanno parte anche numerose volgarizzazioni, più o meno rielaborate, della Practica geometriae, ancor oggi conservate in varie biblioteche toscane. Fra esse, la più nota, sia perché di autore pisano, sia perché edita, è quella di Cristofano di Gherardo di Dino (m. 1442), contenuta nel codice 2186 della Biblioteca Riccardiana di Firenze. 25 Delle otto distinzioni presenti nell’opera del Pisano in essa sono trattate solamente la I, la III, la IV e la VII. Per la sua propinquità cronologica con l’opera geometrica del Pisano, però, ad esempio, vale la pena ricordare anche il trattato di geometria intitolato Arte de la Geometria (ca. 1290), compilato da un maestro d’abaco umbro, contenuto nelle carte 139r. – 178v. del manoscritto riccardiano 2404. 26 Anche in questo caso ci troviamo difronte ad una riduzione volgarizzata dell’opera geometrica di Fibonacci, suddivisa in sei capitoli che trattano rispettivamente problemi relativi al cerchio, questioni di geometria solida in riferimento a cisterne e pozzi, ragioni relative ai triangoli, «regle d’arbore», «regle de torre», «ragione de numere» ed infine un capitolo dedicato al «mesurare terre». 25. Cfr. L. Fibonacci, La Pratica di Geometria volgarizzata da Cristofano di Gherardo di Dino cittadino pisano. Dal codice 2186 della Biblioteca Riccardiana di Firenze, a cura di G. Arrighi, Pisa, 1966. 26. Le cc. 1r.-136v. del codice in questione, invece, contengono un trattato intitolato Livero dell’Abbecho. Vincenzo Nannucci, nel XIX secolo, dopo un primo studio, svolto per conto di B. Boncompagni, giunse alla conclusione che i due trattati del cod. Ricc. 2404 costituivano la più antica volgarizzazione delle due opere fondamentali del Fibonacci. Cfr. A. Fatai, Arte de la geometria (dal codice Ricc. 2404 della Biblioteca Riccardiana di Firenze) (sec. XIII), Tesi di Laurea in Matematica, Università degli Studi di Siena, a. a. 1988 - 89.
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Sono chiari indici dell’attinenza della geometria dell’epoca con le questioni della realtà concreta sia le tipologie dei problemi che le numerose formule approssimate spesso proposte per la soluzione di essi. In proposito è significativo anche il fatto che, non di rado, i geometri stessi individuano il proprio ruolo in quello di «misuratore» (cfr. Siena, Biblioteca Comunale, ms. L. IV. 18, c. 16v.) oppure spiegano il significato e lo scopo della loro disciplina nei seguenti termini: Secondo lo auctore la decta geometria deriva a “geos”, id est “terra” et “metron”, “mensura”, quasi terrarum mensura […] (Firenze, Biblioteca Nazionale, cod. Palat. 575, c. 134v.).
Poichè nel panorama della geometria del basso Medioevo e del primo Rinascimento non emerge alcun personaggio che si distingua tra i suoi contemporanei in modo tanto spiccato da meritare il ruolo di protagonista, il modo più fecondo di fare la storia della geometria di tale periodo consiste, nell’evidenziare i problemi più significativi analizzando sia la maggiore o minore novità dei metodi ideati per risolverli che gli interessi sociali e culturali che stavano alla base di essi. La grande varietà dei problemi, affrontati nelle geometrie pratiche dei secoli XIV - XVI può essere classificata secondo le seguenti tipologie: a) Problemi di calcolo dell’area di figure piane; b) Problemi di celerimensura; c) Problemi di geometria risolti algebricamente; d) Problemi di inscrizione e circoscrizione; e) Problemi di geometria solida; f) Calcolo della capacità delle botti e dei relativi scemi. 3. 1. 1. Problemi di calcolo dell’area di figure piane Gli autori concepiscono questo tipo di calcolo, nella maggior parte dei casi, allo scopo di applicarlo alla misura dell’estensione dei terreni agricoli (mexurare terre), in relazione alla quale i proprietari erano tenuti a versare apposite gabelle. Il problema era già stato ampiamente affrontato da Leonardo Pisano nella Practica geometriae alla distinzione I (per quadrati e rettangoli) e alla III (per triangoli, quadrilateri, pentagono e cerchio). Per quanto concerne la determinazione dell’area dei triangoli determinati dalle lunghezze dei propri lati, è assai semplice il caso di triangoli rettangoli, equilateri o isosceli, mentre il caso generale, presupponendo il calcolo di una delle tre altezze, richiede maggiore perizia. L’analisi di numerosi testi di geometria del basso Medioevo e del primo Rinascimento ci ha permesso di constatare la frequenza e la sistematicità con cui gli autori applicavano il teorema di Pitagora generalizzato (oggi detto teorema di Carnot) nella forma espressa dalla formula (A) (Fig. 1).
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PRACTICA GEOMETRIAE 2
GC =
di leonardo pisano
2
AC + BC − AB 2BC
21
2
(A)
Fig. 1.
Il Pisano, al medesimo scopo, nella seconda “differentia” della distinzione III, propone anche le seguenti altre due formule accompagnate da dimostrazioni geometriche assai dettagliate: 27 GC =
AB + AC BC BC ⋅ AC − BC : + 2 2 2
(B)
LM AC − AB + BCOP : 2 MN BC PQ
(C)
c
2
GC =
h
2
Delle formule (A), (B) e (C), che sono algebricamente equivalenti, la prima è di tipo «euclideo», essendo basata sulla proposizione II, 13 degli Elementi, la seconda è di tipo «algebrico», basata sulla proposizione II, 8 degli Elementi ed infine la terza è una variante della precedente, quando si sostituisca la proposizione II, 8 con la II, 6. 28 Oltre ai quadrati ed ai rettangoli, gli autori, secondo la lezione del Pisano, considerano altri quadrilateri «speciali»: il «rombo», il «romboide» (cioè il parallelogramma obliquangolo) ed il caput abscisa (cioè il trapezio). La trattazione euclidea contempla solo angoli convessi, quindi la diciannovesima definizione si riferisce ai soli poligoni convessi. E, benchè
27. Tali formule, ad oggi, risultano essere riportate in due sole geometrie del primo Rinascimento: nella Praticha di geometria contenuta nel codice Palat. 577 della Biblioteca Nazionale di Firenze (cc. 33v. - 34v.) ed in una copia ridotta di questa contenuta nel codice Ottobon. Lat. 3307 della Biblioteca Apostolica Vaticana di Roma (cc. 364r.-365v.). 28. Cfr. J. Høyrup, Hero, Ps.-Hero and Near Eastern Practical Geometry: An investigation of Metrica, Geometrica and other treatises, « Antike Naturwissenschaft und ihre Rezeption », 7 (1997), pp. 67-93.
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la distinzione tra angoli concavi e convessi ricorra nella trentaquattresima definizione di Erone e nel commento di Proclo si trovi un accenno a poligoni concavi, l’antichità sembra limitarsi alla veduta euclidea. Il Pisano sembra sia stato il primo autore a prendere in considerazione un quadrilatero con angolo rientrante, definendolo figura barbata. Dopo di lui, tale figura, salvo qualche rara eccezione, venne dimenticata dagli abacisti del Medioevo e del primo Rinascimento. Una prima ed unica attestazione in volgare della figura barbata si trova alla carta 380v. della Praticha di geometria contenuta nel codice Ottobon. Lat. 3307 della Biblioteca Apostolica Vaticana. 29 Nella cultura moderna la distinzione tra le due specie di angoli compare esplicitamente solo nella prima metà del XVI secolo in De Bouvelles di Noyon. La voce caput abscisa usata dal Pisano, nelle volgarizzazioni, risulta trasformata in «capo tagliato», o «capo mozzo». È interessante rilevare la divergenza tra il significato di quadrilatero con due lati paralleli che attribuiamo oggi alla parola «trapezio» e quello di quadrilatero generico (cioè non classificabile come quadrato, rettangolo, rombo o romboide) che a tale termine attribuiva Euclide. Nella letteratura geometrica italiana la voce «trapezio» sembra aver conservato per lungo tempo il significato più generale di origine euclidea. Accanto ad essa, assai frequentemente, era usata quella «helmuariphe» di origine araba. Per quanto concerne i poligoni regolari gli abacisti, per lo più, prendono in considerazione l’esagono e l’ottagono, mentre trattano assai raramente il pentagono. 30 A conferma degli intenti prevalentemente pratici degli abacisti riportiamo l’elenco di dodici formule che l’autore del codice L. IV. 18 della Biblioteca Comunale di Siena propone per il calcolo dell’area del cerchio. 1) A = d2 · 11/14 2) A = (C·d)/4 3) A = C/2 · d/2 4) A = C/4 · d 5) A = C2·d/88 6) A = C2/(12 + 4/7) 7) A = 3/4·C + C 8) A = d · 11/14 · d 9) A = d2/2 · d · C/2 10) A = [(C/4)2 : C/2] · 3 + (C/4)2 11) A = d2 - d2/7 - d2/14
non sempre valida non sempre valida non sempre valida
29. «Anchora è una fighura che è detta barbata, similmente avente e lati ineguali e uno de’ diamitri cade dentro, l’altro di fuori…», c. 380v. 30. Leonardo Pisano indica come calcolare l’area di poligoni regolari di 5, 6, 8, 10 e 12 lati (cfr. Pisano, Practica geometriae, 107).
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2
12) A = (C/4) + 3/11·(C/4)
(dove A, C e d sono rispettivamente l’area, la circonferenza ed il diametro del cerchio). Tali formule sono tutte valide solo nel caso particolare di un cerchio di diametro 7. Si osserva che 7 braccia, tenuto conto che a π veniva attribuito il valore 3 + 1/7 = 22/7, ai fini dei calcoli, risultava la lunghezza più conveniente da assegnare al diametro del cerchio. Non hanno validità generale le 5), 7) e 10). Altrettanto soddisfacente dal punto di vista pratico doveva essere la regola, relativa ai poligoni inscritti, anch’essa proposta dall’autore del codice senese. Dalla constatazione empirica che, se il lato del poligono di nove lati inscritto in un cerchio misura 6, allora il raggio del cerchio misura (circa) 9, l’autore, operando un’arbitraria generalizzazione, deduce la seguente regola: Il raggio del cerchio nel quale è inscritto un poligono di lato 6 ha come misura il numero dei lati del poligono stesso.
La regola, ovviamente falsa, come mostra la seguente tabella, fornisce tuttavia valori approssimati, per eccesso, dal triangolo all’esagono e, per difetto, dall’esagono al decagono. triangolo quadrato
r = l/ 3 r = l/ 2
r = 3,46 r = 4,25
pentagono esagono eptagono
r = 2l / 10 − 2 5 r=l r = l/(2·sen 25,71°)
r = 5,10 r=6 r = 6,97
ottagono ennagono
r = l/ 2 − 2 r = l/(2·sen 20°)
r = 7,83 r = 8,82
d
i
r = 2l / 5 − 1 decagono r = 9,75. Per quanto riguarda invece il calcolo dell’area di poligoni non regolari, in generale, gli autori procedono secondo due diversi metodi: il primo è basato sulla scomposizione della figura data in figure più semplici di cui è facile calcolarne l’area; il secondo consiste nell’uso di formule approssimate. In riferimento al secondo modo di procedere, ad esempio, sono degni di nota: la formula approssimata che troviamo nel ms. 1. XI della Biblioteca Universitaria di Bologna 31 per il calcolo dell’area di un pentagono non regolare di lati n1> n2> n3> n4> n5 : 31. Cfr. A. Simi, La geometria pratica in tre manoscritti, op. cit., nota 21.
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bn + n g + bn + n g − n A (pent.) = 2
1
2
2
3
4
2 5
4
e il metodo per determinare l’area di un quadrilatero generico, proposto dall’autore del ms. Palat. 575 della Biblioteca Nazionale di Firenze che consiste, come quello già usato dai Babilonesi, nel calcolare il prodotto tra la semisomma dei lati opposti. 3. 1. 2. Problemi di celerimensura La traduzione letterale della parola di origine latina celerimensura («misura rapida») non corrisponde del tutto all’esatta etimologia di essa. In effetti, a questo termine sono riconducibili tutte quelle misurazioni che, in parte, sono effettuate «direttamente», ricorrendo all’osservazione e all’uso di strumenti di diverso genere, ed, in parte, «indirettamente», mediante l’applicazione di teoremi della geometria classica. I teoremi geometrici cui i misuratori ricorrevano per passare dai risultati empirici alle misure cercate erano assai semplici: proprietà dei triangoli simili, teorema di Talete, II teorema di Euclide e teorema di Pitagora. Parlando di celerimensura indichiamo la grande varietà di rilevazioni di altezze, profondità, distanze o pendenze che i «misuratori» (i geometri) del Medioevo e del Rinascimento effettuavano dalle più bizzarre collocazioni dei punti di osservazione. Tali problemi, all’epoca, andavano sotto il nome di «misure a occhio» o «col solo vedere». Almeno a giudicare dalla frequenza con cui queste misurazioni erano descritte nei testi di geometria dei secoli XIII - XV, i risultati che erano ottenuti con tali modi di procedere dovevano apparire solo relativamente grossolani o, quanto meno, rientravano in una gamma di approssimazione più che accettabile per gli usi che gli esecutori ne dovevano fare. Le origini della tradizione della celerimensura italiana del Medioevo e del primo Rinascimento sono da individuare, da un lato, nelle pratiche già usate dagli Etruschi e successivamente raccolte dai Romani, dall’altro, in quelle della cultura araba penetrata principalmente attraverso la Spagna. Il più importante trattato di geometria pratica concepito nei centri intellettuali arabi della Spagna fu il Liber Embadorum di Savasorda (c.1070 - 1136). L’opera in questione fa scarso riferimento a strumenti particolari soffermandosi principalmente sulle proprietà geometriche che stanno alla base della determinazione di lunghezze, altezze ed aree. Leonardo Pisano, che all’argomento dedicò la VII distinzione della Practica geometriae (De inventione altitudinum rerum elevatarum et profunditatum atque longitudinum planitierum), benchè i suoi contatti culturali con
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i Mussulmani non fossero avvenuti attraverso la Spagna, come già accennato, sembra aver tratto pesantemente dal testo di Savasorda. Effettivamente, in ambedue le opere, sono trattati gli stessi problemi; la differenza più rilevante è che Fibonacci descrive in modo più specifico l’uso degli strumenti quali l’archipendolo, il quadrante ecc. Nonostante che, a tutt’oggi, il primo libro relativo alle tecniche di rilevamento risulti il Trattato sulla dioptra di Erone, la cultura greca non esercitò una grande influenza nelle pratiche europee, poiché i Romani rifiutarono in toto la matematica greca. Gli agrimensores romani, anziché seguire le tracce dei Greci, preferirono usare strumenti più rozzi che in taluni casi erano forme appena modificate di quelle indigene, sviluppate dagli Etruschi. Se lo spirito della cultura greca passò in Europa, dunque, anche in questo caso, fu senza dubbio merito di Leonardo Pisano. Il Pisano risulta anche essere stato il primo autore medioevale europeo che descrisse l’uso dell’archipendolo nel procedimento detto «coltellazione» (per altro già noto agli agrimensores romani), utile alla determinazione dell’area di un appezzamento di terreno collocato lungo la pendice di una montagna (distinzione III, parte V, In dimensione camporum qui in montibus iacent) (Fig. 3). L’archipendolo è uno strumento adatto allo svolgimento di operazioni di livellazione. Con il termine «livellare» si vuole indicare, da un lato, l’operazione di determinare una linea parallela all’orizzonte, dall’altro, la determinazione della differenza di altezza tra due punti di stazionamento. La prima era necessaria ogni qual volta erano concepiti edifici con una qualche pretesa di stabilità e bellezza. La necessità di irrigare i campi e di approvvigionare di acqua le comunità numerose, invece, aveva dato spunto per la seconda operazione.
Fig. 2.
Fig. 3.
L’archipendolo (Fig. 2), ancora usato fino a non molti decenni addietro per misurare l’inclinazione di un piano rispetto all’orizzontale, è costituito da tre barre di legno incastrate in modo da formare una lettera A
26
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(maiuscola), con l’angolo al vertice retto, e da un filo a piombo appeso allo stesso vertice. Appoggiando lo strumento sul piano da controllare, se questo è orizzontale, il filo a piombo indicherà il punto medio dell’asse traverso, altrimenti, su quest’ultimo, indicherà l’inclinazione del piano. La costruzione di tale strumento, già usato dagli antichi egizi, implica la conoscenza almeno pratica delle proprietà del triangolo isoscele. Il Pisano, nella VII distinzione illustra anche l’uso del quadrante e di aste, per la determinazione della lunghezza di altezze e distanze nei casi più semplici. Il quadrante (Fig. 4), detto anche oroscupum, deriva il nome dalla sua stessa forma, un quarto di cerchio. È, infatti, costituito da due aste rigide (solitamente di metallo) di medesima lunghezza, AO e OB, che individuano un settore circolare dell’ampiezza di 90°. L’arco del settore circolare è suddiviso in gradi. Al vertice O dell’angolo retto è attaccato un filo con un piccolo peso metallico vincolato alla sua estremità libera. Su uno dei due lati diritti (OB ad esempio), agli estremi (O e B) sono montati due fori di traguardo. Tenendo il quadrante verticalmente e allineando i fori di traguardo con la cima dell’oggetto di cui vogliamo, ad esempio, misurare l’altezza, l’angolo di elevazione può essere letto sulla scala graduata mediante la posizione del filo che è tenuto in linea verticale dal peso (Fig. 5).
Fig. 4.
In aggiunta agli strumenti presentati dal Pisano, i misuratori medioevali e rinascimentali facevano largo uso anche dell’astrolabio, del quadrato geometrico e della squadra. Inoltre, assai frequentemente mostravano la loro grande inventiva, approntando dispositivi del tutto originali. In
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27
Fig. 5.
molti casi poteva trattarsi di oggetti che rappresentavano una riproduzione, semplicemente più rozza, degli strumenti sopra menzionati, quindi con le stesse funzioni, altre volte poteva trattarsi di oggetti rudimentali quali aste libere, aste variamente incastrate tra loro, specchi ecc. Il quadrato geometrico, detto anche instrumentum gnomonicum (Fig. 6), introdotto in Europa da Gerberto d’Aurillac, viene descritto assai diffusamente dai seguenti autori: Domenico di Clavasio, 32 Cristofano di
Fig. 6.
32. Cfr. H. L. L. Busard, The Practica Geometriae of Dominicus di Clavasio, « Arch. Hist. Exact Sci.» , 2 (1962-1966), pp. 520-575.
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Gherardo di Dino, 33 l’anonimo autore del codice Palat. 577 e Francesco di Giorgio Martini. 34 Presa una lamina metallica (ad esempio di rame) o lignea e foggiata in forma di quadrato, si dividano due lati consecutivi (oppure tutti e quattro) in dodici parti uguali, dette punti, quindi si suddivida ciascun punto in ulteriori sessanta parti uguali, dette minuta puntorum. A questo punto si prenda una stecca (simile all’alida girevole dell’astrolabio), lunga tanto quanto il diametro del quadrato, e si fissi un’estremità di questa in un angolo del quadrato, in modo tale che l’altra estremità sia libera di ruotare verso l’alto e verso il basso. Sulla stecca siano collocati due fori di traguardo, uno per ogni estremità. Lo strumento può essere ottenuto anche incastrando, perpendicolarmente tra loro, quattro aste, di pari lunghezza, metalliche o lignee, purchè rigide. La maggioranza degli autori dividono i lati dello strumento in sessanta parti, probabilmente perchè sessanta era il numero di sottounità contenute nel braccio, l’unità di lunghezza più diffusa in Toscana. Numerosi e di diversa fattura sono gli strumenti che sono introdotti dagli autori dei codici esaminati, senza una denominazione precisa, e che, per la loro affinità di funzionamento con il quadrato geometrico ne rappresentano delle semplici varianti. Ricordiamo ad esempio un dispositivo costituito da due verghe lignee mantenute l’una perpendicolare all’altra descritto ed usato da Cristofano di Gherardo di Dino, da Francesco di Giorgio Martini e dall’ anonimo autore del manoscritto Plimpton 194 (2a metà del ‘400), 35 per determinare ad esempio la larghezza di un fiume.
Fig. 7. 33. Cfr. L. Fibonacci, La Pratica di Geometria volgarizzata da Cristofano di Gherardo di Dino, op. cit., nota 25. 34. Cfr. Francesco di Giorgio Martini, Trattati di Architettura, Ingegneria e Arte militare, a cura di C. Maltese, trascrizione di L. Maltese Degrassi, Milano, 1967, e Francesco di Giorgio Martini, La “praticha di geometria” dal cod. Ashburnham 361 della Bibl. Mediceo Laurenziana di Firenze, a cura di G. Arrighi, Milano, 1970. 35. Cfr. Anonimo Senese, Differenze di geometria e misure a ochio (dal ms. Plimpton 194 della Bibl.
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Nello stesso ambito è classificabile anche lo strumento illustrato da Gratia de’ Castellani. 36 Lo compongono due aste di legno, entrambe lunghe tre braccia, cioè alte circa quanto l’occhio di un osservatore medio, incastrate perpendicolarmente negli estremi di una terza asta lunga quattro braccia. Tale strumento è uno dei pochi che si presta anche all’applicazione del teorema di Talete e delle conseguenze di esso. Applicando tale teorema e ricorrendo a questo strumento Gratia de’ Castellani, ad esempio, risolve il problema di determinare la lunghezza della distanza tra le sommità di due torri (Fig. 7). Non intendiamo dilungarci illustrando la grande varietà di «misure a ochio » che possono essere effettuate ricorrendo all’uso dei diversi strumenti, 37 tuttavia vogliamo sottolineare che la casistica affrontata dagli abacisti è indubbiamente assai più ampia e varia di quella proposta dal Pisano. In taluni problemi le situazioni che essi si propongono di risolvere sono così bizzarre e complesse che è difficile stabilire se davvero rispondano ad esigenze concrete o siano piuttosto espressione di un gioco compiaciuto. 3. 1. 3. Problemi di inscrizione e circoscrizione Gli unici problemi appartenenti a questa tipologia presenti nella Practica geometriae del Pisano riguardano poligoni regolari inscritti in un cerchio. Nelle geometrie pratiche invece i problemi relativi all’inscrizione ed alla circoscrizione di figure le une nelle altre, presenti assai frequentemente, occupano ampio spazio e abbracciano un’ampia casistica. Sembra di poter affermare che la soluzione di tali questioni rispondeva all’esigenza pratica di ricavare colonne da blocchi di pietra prismatici, cilindrici o in forma di parallelepipedo, con il minor spreco possibile di materiale. Questa opinione è avvalorata dal fatto che la maggior parte dei problemi richiedono appunto di inscrivere un numero variabile di cerchi all’interno di triangoli equilateri, quadrati o cerchi di dimensioni maggiori. Particolarmente numerose ed interessanti sono le ragioni di inscrizione e circoscrizione presentate dagli autori dei codici senesi L. IV. 18 e L. IX. 28. Fra esse degna di nota è quella relativa all’inscrizione in un triandella Columbia University), a cura e con introduzione di M. T. Rivolo, « Quaderni del Centro Studi della Matematica Medioevale di Siena », 13, Siena, 1986. 36. Cfr. G. Arrighi, Un estratto del “De Visu” di M° Gratia de’ Castellani, Atti della Fondazione Giorgio Ronchi, 22 (1967), pp. 44-58. 37. Cfr. A. Simi, Celerimensura e strumenti in manoscritti dei secc. XII-XV, «Itinera Mathematica», a cura di R. Franci, P. Pagli, L. Toti Rigatelli, Siena, 1996, pp. 71-121.
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Fig. 8.
golo equilatero di tre cerchi ciascuno tangente agli altri due e a due lati del triangolo 38 (Fig. 8). Tratta dalla Practica geometriae, invece è la proprietà ricordata da numerosi geometri pratici secondo cui il quadrato circoscritto ad un cerchio dato ha area doppia del quadrato inscritto nel medesimo cerchio. 3. 1. 4. Problemi di geometria risolti algebricamente Molti sono gli autori di geometrie pratiche che mostrano di avere pienamente acquisito dal Pisano i procedimenti di risoluzione per equazioni algebriche. È anzi opportuno sottolineare che lo studio di numerosi testi di algebra del basso Medioevo e del primo Rinascimento, negli ultimi decenni, ha permesso di concludere che i contributi e gli avanzamenti degli abacisti in questo campo furono numerosi e aprirono la strada alle grandi scoperte degli algebristi del Cinquecento. 39 Grande è il numero di problemi geometrici risolti mediante l’introduzione di un’incognita algebrica contenuti nei manoscritti esaminati. Talvolta si tratta di problemi assai semplici, ma tal altra, come nel caso della ragione [245] del Trattato di geometria pratica contenuto nel codice senese L. IV. 18 più volte menzionato, la complessità è rilevante. Quest’ultima ragione può essere così riassunta: Dato un triangolo scaleno ABC, di cui sono note le misure dei lati, si chiede di determinare la lunghezza del raggio r del semicerchio più grande possibile, inscrivibile nel triangolo stesso (Fig. 9). 38. Si tratta di un caso particolare del problema di Malfatti, così detto dal nome del matematico che nel 1803 ne dette la soluzione generale, cioè nel caso di un triangolo scaleno. 39. Per un panorama completo dei risultati conseguiti dagli abacisti nel campo dell’algebra cfr. R. Franci, L. Toti Rigatelli, Towards a history of algebra from Leonardo of Pisa to Luca Pacioli, «Janus», 72, (1985), pp. 17-82.
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Fig. 9.
3. 1. 5. Problemi di geometria solida Leonardo Pisano nella VI distinzione della Practica geometriae (In dimensione corporum), classifica i «corpi» in «solidi» (parallelepipedi), «seratili» (prismi retti a base triangolare), «piramidi» (piramidi di base qualunque, dunque anche i coni), «colonne» (cilindri) e infine «sfera» e poliedri regolari. Tale materia è sviluppata dall’autore con l’usuale rigore e precisione secondo uno svolgimento parallelo ai libri XI, XII e XIII degli Elementi. In particolare, la trattazione dei cinque poliedri regolari è dedotta dall’ultimo di tali libri. La geometria solida indubbiamente è uno dei campi in cui i geometri pratici manifestano in modo più palese la loro necessità di semplificare i precetti del Pisano per adattarli alle esigenze concrete della vita quotidiana. Essi operano una riduzione e una semplificazione talmente drastiche che il rigore e la generalità della trattazione del Pisano risultano completamente svaniti. I problemi di geometria solida, sparsi un pò dovunque nei testi di geometria pratica, sono generalmente risolti con riferimento a stanze, pozzi, caldaie, colonne ed altri oggetti concreti. Nella maggior parte dei casi è dimenticato anche il lessico geometrico introdotto dal Pisano e, in assenza di una nomenclatura specifica relativa alle figure solide, vengono usati termini tratti dal linguaggio di uso comune: «palla ritonda», in luogo di sfera, «pozzo ritondo», per cilindro, ecc. Anche nell’ambito della geometria solida occupano largo spazio i problemi relativi all’inscrizione e circoscrizione. Le ragioni [117], [118], [181], [182] e [183] del codice L. IV. 18 trattano, ad esempio, l’inscrizione e la circoscrizione di un cubo in una sfera e viceversa; le [186] e [190] l’inscrizione e la circoscrizione di un tetraedro (“diritto triangolo” o “tribolo”) in una sfera e viceversa.
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annalisa simi 3. 1. 6. Calcolo della capacità delle botti e delle quantità di vino da esse mancanti
Lo sforzo dei maestri d’abaco volto a fornire risposte il più vicine possibile alle esigenze pratiche di mercanti, artigiani e artisti, non si esaurì nell’operazione di stralcio dalle opere del Pisano delle parti giudicate eccessivamente teoriche e dottrinali, ma si concretizzò spesso nell’aggiunta di argomenti del tutto originali. Le questioni nuove, nella maggior parte dei casi, trovavano la loro ragione d’essere in alcune problematiche economico – sociali assai di rilievo per l’epoca. Fra tali questioni, prima fra tutte, sia per la frequenza che per l’attenzione con cui veniva trattata nelle geometrie pratiche, ricordiamo il calcolo della capacità delle botti e delle quantità di vino da esse mancanti. Benchè il merito di aver studiato in modo rigoroso le proprietà geometriche delle botti vada attribuito a Keplero (Nova stereometria doliorum vinariorum, 1615), dall’esame di numerosi codici italiani di geometria pratica dei secoli XIV - XVI, possiamo affermare che il calcolo in questione affonda le sue radici nel basso Medioevo. 40 Le tecniche enologiche dei Romani, derivate dai Greci e dagli Etruschi, inizialmente prevedevano la conservazione del vino in recipienti di terracotta diversi per forma e capacità (doli, anfore, cadi). La botte in legno (cupa), già conosciuta ed utilizzata dagli antichi Egizi, non arrivò a Roma attraverso il Mediterraneo, bensì dal Nord, dalla regione elvetica, dove è attestata fin dalla tarda età del bronzo. Sono numerose le testimonianze 40. Cfr. A. Simi, Regole per la determinazione della capacità delle botti e il calcolo degli scemi in manoscritti italiani dei secc. XIV, XV e XVI, «Physis», Fasc. 2 - 3, 30 (1993), Nuova Serie, 391-414; A. Meskens, G. Bonte, J. De Groote, M. de Jonghe, D. A. King, Wine-Gauging at Damme, The evidence of a late medieval manuscript, «Histoire and Mesure», 14 (1999), pp. 51-77.
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storiche che indicano l’ampia diffusione raggiunta nell’Impero Romano, già nel III secolo d.C, da questo contenitore. All’origine dell’ interesse per il calcolo della capacità delle botti e dei relativi scemi nel Medioevo è senza dubbio da collocare la necessità di determinare per motivi doganali e commerciali l’effettiva quantità di vino contenuta nelle botti. All’epoca, infatti, uno dei maggiori ostacoli al cammino del vino era l’obbligo per il trasportatore di interrompere il suo viaggio ad ogni tappa in cui doveva pagare una tassa per consegnare il suo carico al misuratore giurato che calcolava, in misure locali, la capacità delle botti e determinava di conseguenza il pedaggio da pagare. Non meno sottoposta al controllo era la vendita di vino al dettaglio, che veniva effettuata nelle taverne. Per impedire la frode, erano state decretate molte regole che i gestori delle taverne erano tenuti ad osservare. In Italia, in particolare in Toscana, tra i pubblici uffici dei maestri d’abaco di numerose città, figurava un ufficio detto del «martellino», consistente in controlli sulla quantità di vino venduta dagli osti che su tale vendita dovevano pagare una gabella. Non dobbiamo dimenticare poi che all’epoca, in tutte le città italiane e francesi, esisteva l’Ufficio del Dazio che aveva i propri dipendenti dislocati presso ogni porta della città con l’incarico di riscuotere una tassa, fissata dall’ufficio stesso, su tutte le merci sia in entrata che in uscita. Quanto sopra riportato giustifica dunque la grande cura con cui sono esposti, in numerose opere di abacisti, il calcolo della capacità delle botti e quello dei relativi scemi. Poichè la botte è un solido geometrico non regolare, la determinazione esatta del suo volume, ancor oggi, rappresenta un problema non semplice. 41 Alcuni misuratori, nel Medioevo, per calcolare la capacità di una botte, facevano ricorso ai procedimenti relativamente primitivi dell’invaso e del travaso mediante un recipiente più piccolo di capacità nota. Tuttavia, solitamente, come tutt’oggi, per semplicità usavano metodi cadometrici basati su formule approssimate quali le seguenti: (1) V = π · (dm/2)2 · l (2) V = dm2 · l (3) V = 29/30 · [π · (dm/2)2 · l] (4) V = 157/160 · [π · (dm/2)2 · l] (5) V = 79/80 · dm2 · l 41. Oggi può essere risolto in modo assai preciso sia ricorrendo ad un metodo pratico, la pesatura gravimetrica, che ad un metodo teorico, basato sul calcolo infinitesimale. Per quest’ultimo cfr. A. Meskens, Wine Gauging in Late 16th an Early 17th-Century Antwerp, «Historia Mathematica», 21 (1994), pp. 121-147.
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dove con l e con dm abbiamo indicato rispettivamente la distanza tra il fondo anteriore e posteriore della botte e il diametro medio. 42
Fig. 10.
Si può facilmente constatare che, nel risolvere la questione, la logica seguita per ottenere queste formule, consiste nell’approssimare, in vario modo, la botte con figure regolari (una coppia di tronchi di cono od un cilindro) e nell’introdurre eventualmente dei fattori correttivi che riducano l’errore che deriva dall’approssimazione stessa. Le (1), (3) e (4) sono ottenute approssimando la botte con un cilindro retto di altezza pari alla lunghezza della botte e diametro di base pari al diametro medio mentre le (2) e (5), approssimando la botte con un prisma retto a base quadrata di altezza l e lato di base dm. Nelle ultime tre formule, proposte da Tommaso della Gazzaia 43 sono introdotti fattori di correzione. In riferimento al calcolo della capacità delle botti, sono assai interessanti anche le tavole proposte da Giovanni Sfortunati, 44 utili per il calcolo immediato della capacità di una botte di cui siano noti il diametro medio e la lunghezza. 45 Ad ogni prefissato diametro medio, corrisponde una
42. Il diamtro medio della botte veniva definito dagli autori in vario modo: «diametro vero», «diametro perfetto», «altezza raguagliata», ecc. Tenuto conto che le sezioni verticali di una botte sono approssimabili con ellissi e che, infine, chiamasi «cocchiume» un foro d’ispezione situato in una delle doghe superiori, il diametro medio è dato dalla formula dm = [(a+b)/2 + c]/2 dove c, a e b, rappresentano rispettivamente la massima sezione verticale della botte ed i valori medi tra gli assi, maggiore e minore, dei fondi anteriore e posteriore. 43. Cfr. G. Arrighi, La tenuta delle botti e il calcolo degli scemi in un’opera del senese Tommaso della Gazzaia (dal codice C. III. 23 della Bibl. Com. di Siena), «Rivista di Storia dell’agricoltura», 3 (1967), pp. 2-24 e Tommaso della Gazzaia, Praticha di geometria e tutte misure di terre (dal ms. C. III. 23 della Bibl. Com. di Siena), trascrizione di C. Nanni, introduzione di G. Arrighi, «Quaderni del Centro Studi della Matematica Medioevale», 1, Siena, 1982. 44. G. Sfortunati, Nuovo Lume, Venezia, 1534 (Ia ediz.). 45. In verità tavole strutturate secondo schemi del tutto analoghi a quelli dello Sfortunati sono state usate, per praticità, fino ad epoche assai recenti. La circostanza è testimoniata ad esempio
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tavola che si sviluppa su quattro colonne: nella prima colonna, si deve cercare il numero che esprime la lunghezza della botte in esame; nella seconda, terza e quarta colonna, in corrispondenza di esso, si trovano, rispettivamente, i numeri di staia, boccali e quartucci che la suddetta botte puó contenere. 46 Per botti rotonde normali, ancor oggi, è diffuso anche l’uso di speciali regoli metrici detti «stagie» o «stazze» (da cui il vocabolo «stagiatura» o «stazzatura» di una botte per indicare l’operazione di misurazione della capacità) che danno il volume in base alla distanza tra il punto più basso della capruggine ed il cocchiume. Il procedimento adottato dai misuratori allo scopo di misurare la quantità di vino mancante da una botte invece consiste nel rilevare la lunghezza s di cui è sceso il livello del vino rispetto al livello massimo, inserendo attraverso il cocchiume una stagia. Si tratta, quindi, di passare da una misura lineare ad una di capacità, mediante opportuni calcoli e l’uso di tavole. Davvero svariati sono i metodi, tutti empirici, mediante cui gli autori determinano la quantità di vino mancante da una botte. Alcune metodologie sono comuni a più autori, altre sono prerogativa di uno soltanto.
Fig. 11.
Comune a tutte le regole è il primo passo: allo scopo di far coincidere l’origine delle misure degli scemi con l’estremità superiore del diametro medio dm del cilindro con cui si approssima la botte si passa dalla lunghezza dello scemo s alla lunghezza dello scemo netto sn mediante la seguente formula (Fig. 11): sn = s – 1/4·[c – (a+b)/2] = s – r. dal Prontuario dei calcoli fatti per la misurzione dei fusti regolari di G. Vercelli, pubblicato a Reggio Emilia nel 1922 ed in uso presso la Guardia di Finanza. 46. Il barile era la tipica misura di Siena per il vino; conteneva libbre 124 e 1/3; si divideva in due staia; a sua volta, lo staio si divideva in sedici boccali ed il boccale in quattro quartucci. Queste misure di capacità furono soppresse e sostituite con le corrispettive italiane solo dopo il 1861, ad avvenuta unificazione del Regno d’Italia.
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Fra le varie regole, la più attendibile era comunemente ritenuta la così detta “Regola del 60”, che viene ampiamente illustrata da Della Gazzaia, Orbetano 47 ed Antonio di Marchionne. 48 I primi due autori ne affidano la paternità a Paolo dell’Abaco, famoso maestro d’abaco fondatore della Bottega di S. Trinita in Firenze. 49 La tavola relativa a questa regola è composta di due colonne. Indicati con n e con nt i numeri che si corrispondono rispettivamente nella 1° e 2° colonna , sn lo scemo netto, dm il diametro medio, C la capacità della botte e Cs la quantità di vino mancante, risulta: n = sn/dm · 60 n Per 1 piglia 2 pi. 3 pi. 4 pi. 5 pi. 6 pi. 7 pi. 8 pi. 9 pi. 10 pi. 11 pi. 12 pi. 13 pi. 14 pi. 15 pi.
e Cs = nt · C/60. nt 14/60 0 37/60 1 8/60 1 43/60 2 24/60 3 7/60 3 55/60 4 46/60 5 38/60 6 35/60 7 33/60 8 33/60 9 35/60 10 38/60 11 44/60
n
nt
Per 16 piglia 17 pi. 18 pi. 19 pi. 20 pi. 21 pi. 22 pi. 23 pi. 24 pi. 25 pi. 26 pi. 27 pi. 28 pi. 29 pi. 30 pi.
12 51/60 13 59/60 15 8/60 16 19/60 17 31/60 18 43/60 19 57/60 21 20/60 22 25/60 23 40/60 24 56/60 26 11/60 27 28/60 28 44/60 30
La tavola è predisposta solo per valori interi del numero n, compresi tra 0 e 30, nell’intesa che, qualora sia n = u + v/z, si debba ricorrere ad un’interpolazione lineare tra l’intero u ed il suo successivo u + 1. Per ovvi 47. Cfr. Orbetano da Montepulciano, Regole di geometria pratica (dal ms. Moreni 130 della Bibl. Riccardiana di Firenze), a cura e con introduzione di A. Simi, «Quaderni del Centro Studi della Matematica Medioevale di Siena», 19, Siena, 1991. 48. Cfr. G. Arrighi, Le tavole di Antonio di Marchionne (sec. XVI) per la tenuta delle botti e gli scemi, «Rivista di Storia dell’Agricoltura», 2 (1973), pp. 129-39. 49. Notizie su questa famosa scuola d’abaco si possono trovare in R. Franci, L. Toti Rigatelli, Introduzione all’aritmetica mercantile del Medioevo e del Rinascimento, Urbino, 1982; L. Toti Rigatelli, Matematici Fiorentini del Tre – Quattrocento, «Symposia Mathematica», 27 (1986), pp. 3-21 e E. Ulivi, Le scuole d’abaco a Firenze, in Luca Pacioli e la matematica nel Rinascimento, in Atti del Convegno Internazionale di Studi (Sansepolcro 13-16 aprile 1994), pp. 41-60.
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motivi di simmetria, la stesura della tavola è limitata al caso in cui la botte è vuota meno della metà. In questo caso 0 ⱕ sn ⱕ dm/2, per cui il numero puro espresso dal rapporto sn/dm, risulterà compreso tra 0 ed ½ e quindi 0 < n ⱕ 30. L’argomento in questione evidenzia ancora una volta il carattere prevalentemente pratico della geometria del basso Medioevo e del primo Rinascimento. Nel contesto in cui tali metodologie furono approntate l’esattezza dei risultati è del tutto secondaria. I risultati sono rappresentati dal “grado” di approssimazione la cui accettabilità è totalmente subordinata allo scopo pratico prefissato. 3. 2. La geometria delle «enciclopedie matematiche» Come abbiamo già sottolineato, nel panorama matematico del basso Medioevo e del primo Rinascimento, accanto al vasto numero di trattati d’abaco dedicati alla preparazione dei fututri mercanti e artigiani, figurano, o meglio spiccano alcune opere di amplissima mole che costituiscono veri monumenti delle scienze matematiche. Dalle ricerche svolte fino ad oggi sui manoscritti di matematica dell’epoca in questione, possiamo concludere che corrispondono a tale tipologia le opere matematiche contenute nei seguenti codici: L. IV. 21 della Biblioteca Comunale di Siena, 50 Palatino 573 51 e Palatino 577 52 della Biblioteca Nazionale di Firenze ed il codice Ottoboniano Latino 3307 della Biblioteca Apostolica Vaticana. 53 Il codice L. IV. 21, compilato nel 1463 da M° Benedetto da Firenze, contiene una Praticha d’Arismetricha. In essa l’autore fa riferimento ad un’ opera di geometria della quale però, ad oggi, non abbiamo traccia. I codici
50. Cfr. G. Arrighi, Il codice L. IV. 21 della Biblioteca degl’Intronati di Siena e la bottega dell’abaco a Santa Trinita in Firenze, «Physis», 70 (1965), pp. 369-400. 51. Cfr. G. Arrighi, Nuovi contributi per la storia della matematica in Firenze nell’età di mezzo (Il codice Palatino 573 della Biblioteca Nazionale di Firenze), «Atti dell’Istituto Lombardo di Scienze, Lettere e Arti», Classe di Scienze, A, 101 (1967), pp. 395-437. 52. Cfr. G. Arrighi, Il trattato di geometria e la volgarizzazione del Liber Quadratorum di Leonardo Pisano, op. cit., nota 23. 53. Cfr. Anonimo Fiorentino (sec. XV), Alchuno chaso sottile (La quinta distinzione della “Praticha di Geometria” dal Codice Ottoboniano Latino 3307 della Biblioteca Apostolica Vaticana, a cura e con introduzione di A. Simi, «Quaderni del Centro Studi della Matematica Medioevale», 20, Università degli Studi di Siena, p. 1998; G. Arrighi, La matematica del Rinascimento in Firenze: l’eredità di Leonardo Pisano e le “botteghe d’abaco”, «Cultura e scuola», 18 (1966), pp. 287-94; G. Arrighi, La matematica a Firenze nel Rinascimento. Il codice Ottoboniano Latino 3307 della Biblioteca Apostolica Vaticana, «Physis», fasc. I, (10) 1968, pp. 70-82; A. Simi, La geometria nel Rinascimento: Il codice Ottoboniano Latino 3307 della Biblioteca Apostolica Vaticana, «Contributi di Filologia dell’Italia Mediana», 13 (1999), pp. 41-109; A. Simi, La geometria nel primo Rinascimento. I contributi di un anonimo allievo, op. cit., nota 23.
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Palat. 573 e 577, invece, compilati entrambi da un anonimo autore fiorentino, identificato dallo storico G. Arrighi in un allievo di Domenico d’Agostino, di epoca lievemente anteriore al codice senese, costituiscono un vero corpus unitario del sapere matematico dell’epoca. Infatti, mentre il primo contiene un’ampia Praticha d’Arismetricha, il secondo riporta un’importante Praticha di Geometria, il valore della quale dovette essere stimato pienamente anche da Luca Pacioli, che ne riprodusse una copia assai fedele nella sua opera più famosa uscita a stampa a Venezia nel 1494. 54 Anche il codice Ottobon. Lat. 3307, essendo costituito dall’unione di due trattati, uno di aritmetica ed uno di geometria, scritti da un’unica mano, merita a buon diritto di essere considerato una «summa» matematica. Le opere sopra menzionate offrono la testimonianza della sopravvivenza, troppo spesso sottovalutata, nella cultura matematica del basso Medioevo e del primo Rinascimento, di un notevole interesse per le questioni teoriche. Limitandoci a considerare le due opere di geometria, possiamo asserire che il loro svolgimento è quasi perfettamente parallelo alla Practica geometriae del Pisano e gli argomenti tratti dall’opera di quest’ultimo generalmente sono qui riproposti integralmente, sottoforma di mera volgarizzazione, conservandone perfettamente la presentazione teorica rigorosa. Dunque, se mai, nel panorama matematico del primo Rinascimento si vogliano individuare i prosecutori dell’opera del Pisano, dobbiamo rivolgere il nostro sguardo proprio agli autori di queste enciclopedie. In effetti, essi, se da un lato ripropongono in modo assai fedele i risultati del matematico pisano, dall’altro registrano sia i propri avanzamenti in materia che quelli dei maestri che li hanno preceduti, in un modo così meticoloso e preciso che risulta perfettamente in linea con lo spirito della cultura umanistica, che aspirava alla ricostruzione della tradizione classica. Il trattato di geometria contenuto nel codice Palat. 577, ad esempio, è aperto da un’affermazione assai significativa in proposito: Inchomincia el tractato di praticha di geometria sechondo L[eonardo] P[isano] e molti altri…
In effetti esso riporta i contributi di importanti maestri fiorentini quali Antonio de’ Mazzinghi, Giovanni di Bartolo, Lorenzo di Biagio, 55 M° 54. L. Pacioli, Summa de Arithmetica, Geometria, Proportioni e Proportionalità, Venezia, 1494; E. Picutti, Sui plagi matematici di frate Luca Pacioli, «Le Scienze», 246 (1989), pp. 72-9. 55. Questi tre maestri sono tutti legati alla bottega d’abaco di Santa Trinità in Firenze in cui operarono in stretta successione temporale. Per ulteriori informazioni consultare R. Franci, L’insegnamento della matematica in Italia nel Tre Quattrocento, «Archimede», 4 (1988), pp. 182-94; R.
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Luca, 56 Domenicho d’Agostino il Vaiaio e Gratia de’ Castellani. 57 Tralasciamo di illustrare la distribuzione delle materie all’interno di tali enciclopedie geometriche e del loro svolgersi in relazione alla Practica geometriae e concentriamo invece la nostra attenzione sulle ultime distinzioni di ciascuna delle due geometrie considerate (l’VIII del codice palatino e la V del codice vaticano) poiché originali rispetto all’opera del Pisano. Esse contengono rispettivamente una raccolta di sessantacinque e cinquantuno ragioni numerate appartenenti a tipologie assai diverse fra loro. 58 Nel codice vaticano, le ragioni [36] – [39] formano un gruppo di evidente interesse. Le prime tre fra esse affrontano una questione assai comune nei trattati d’abaco del Medioevo e del Rinascimento, il così detto problema delle due torri. 59 Il testo del problema è il seguente: In una pianura siano collocate due torri a distanza d l’una dall’altra; la prima sia alta h1 e la seconda h2. Tra le due torri si trovi una fonte. Se accade che due uccelli, partiti nello stesso istante, ciascuno da una torre, volando allo stesso modo, 60 arrivano insieme alla fonte, si domanda a quale distanza d1 dalla prima torre ed a quale distanza d2 dalla seconda torre sarà posta la fonte.
Notevole è il fatto che l’autore, a differenza degli abacisti coevi, anziché limitarsi a considerare il caso in cui la fonte risulta situata tra le due torri, sulla linea retta che unisce queste (problema [36]), prende in esame anche altre due situazioni più generali: Franci, Antonio de’ Mazzinghi: An Algebraist of the 14th century, «Historia Mathematica», 15 (1988), 240 - 9 e E. Ulivi, Per una biografia di Antonio Mazzinghi, maestro d’abaco del XIV secolo, «Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche», 14 (1996), pp. 101-150. 56. Maestro Luca di Matteo tenne scuola a Firenze fin dal 1380, sul Lungarno, tra il Ponte di Santa Trinita e il Ponte alla Carraia. 57. Gratia de’ Castellani fu monaco agostiniano nel Convento di Santo Spirito a Firenze, lettore di teologia presso lo Studio del suo convento e presso l’Università. Scrisse alcuni trattati di logica, aritmetica pratica e geometria. Non risulta abbia mai esercitato l’insegnamento dell’abaco. Morì nel 1401. Cfr. L. Toti Rigatelli, Matematici fiorentini, pp. 12-19. Fra le opere attribuite a questo maestro, particolarmente interessante è il De Visu, «…che tratta del modo di misurare chol ochio, cioè chon instrumenti». Tale opera, scritta in latino, non ci è stata tramandata, tuttavia possiamo dire di conoscerla attraverso la volgarizzazione di un estratto di essa, riportata appunto alle cc. 407v.-412v. del codice ottoboniano. 58. Per un esame dettagliato di quelle contenute nel codice vaticano rimandiamo alla consultazione di Anonimo Fiorentino (sec. xv), Alchuno chaso sottile (La quinta distinzione della “Praticha di Geometria” dal Codice Ottoboniano Latino 3307 della Biblioteca Apostolica Vaticana, a cura e con introduzione di A. Simi, «Quaderni del Centro Studi della Matematica Medioevale», 20, Università degli Studi di Siena 1998. Ci limitiamo a sottolineare che le più interessanti riguardano questioni di inscrizione e circoscrizione anche assai complesse. 59. Y. Dold Samplonius, Problem of the Two Towers, in «Itinera Mathematica», Studi in onore di G. Arrighi, per il suo 90° compleanno, a cura di R. Franci, P. Pagli e L. Toti Rigatelli, Centro Studi sulla Matematica Medioevale, Università di Siena, 1996, pp. 45-70. 60. Noi diremmo «alla stessa velocità».
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I) la fonte è sulla linea retta che unisce le due torri, ma da una stessa banda rispetto ad entrambe (problema [37]); II) la fonte è collocata tra le due torri, ma esterna alla linea retta che unisce esse (problema [38]).
Le soluzioni di tutti e tre i casi sopra considerati sono basate sull’applicazione del teorema di Pitagora e di semplici procedimenti algebrici. Nel problema [39], infine, l’autore procede ulteriormente nel suo processo di generalizzazione ed estende la sua considerazione al caso di tre torri. La soluzione di tale caso ovviamente porta l’autore a dover lavorare e svolgere i propri ragionamenti in una dimensione non più piana, bensì spaziale. Dunque l’autore applica l’estensione allo spazio del Teorema di Pitagora (espressione della diagonale di un parallelepipedo rettangolo in funzione degli spigoli), risultato attribuibile al Pisano. 4. Geometrie estranee alla tradizione di Leonardo Pisano Nel corso della nostra attività di ricerca abbiamo avuto modo di prendere in esame testi di geometria del basso Medioevo e del primo Rinascimento le cui peculiarità hanno evidenziato immediatamente una totale estraneità alla cultura matematica delle botteghe d’abaco fiorentine. Fra questi i casi più rappresentativi sono: a) Domenico di Clavasio, 61 Practica Geometriae (Parigi, 1346) b) Anonimo, Geometria, vulgarmente arte de mexura (c. 1430) H. L. L. Busard ha individuato ben quindici manoscritti contenenti copie complete e non della geometria scritta dall’autore originario di Chivasso (Piemonte), in massima parte conservate in biblioteche dell’Europa del Nord. 62 Due copie incomplete dell’opera tuttavia sono custodite anche in biblioteche italiane (Cod. S. Marco 215, cc. 124v. – 144r., Biblioteca Mediceo Laurenziana di Firenze e Reg. Lat. 477, cc. 1r. – 8v., Biblioteca Apostolica Vaticana). A giudicare dall’ampia diffusione, l’opera dovette godere di una notevole popolarità. Interamente dedicata alla «misura», consta di un’introduzione e tre libri. L’introduzione contiene quattro regole aritmetiche introduttive relative alle proporzioni e la descrizione dello «instrumentum gnomonicum», cioè il «quadratum geometricum» di Gerberto d’Aurillac. I tre libri trattano rispettivamente delle misure di lunghezze, aree e volumi. In particolare, l’autore deve la sua fama di buon matematico al libro I, sia per il rigore con cui in esso viene giustificata, di volta in volta, 61. Lo stesso è anche autore delle Questiones super perspectivam. Cfr. G. F. Vescovini, Les questions de “perspective” de Dominicus de Clivaxo, «Centaurus», 10 (1964), pp. 14-28. 62. Cfr. H. L. L. Busard, The Practica Geometriae of Dominicus di Clavasio, op. cit., nota 33.
l ’ eredità della
PRACTICA GEOMETRIAE
di leonardo pisano
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l’esattezza delle pratiche proposte per le misurazioni, sia per la grande varietà di strumenti usati 63 e per il grande numero di costruzioni realizzate (ben trentaquattro). La Geometria, vulgarmente arte de mexura, contenuta nel ms. 205. I. della Biblioteca Universitaria di Bologna rientra nell’esiguo numero di trattati interamente dedicati alla geometria. Il titolo illustra perfettamente il contenuto dell’opera. 64 L’autore, anonimo, fu sicuramente un maestro d’abaco dell’Italia settentrionale, come risulta dalla lingua vernacolare usata nel testo; gli unici riferimenti geografici precisi sono: la città di Ferrara, citata a carta 29r. 65 e la città di Bologna della quale l’autore illustra le unità di misura che confronta con quelle ferraresi. Argomento del trattato è il calcolo dell’area delle figure piane, allo scopo di applicarlo alla misura di terreni agricoli («mexurare terre»). Le figure piane, nel testo, vengono sempre considerate dalla composizione eventuale di sei figure fondamentali che sono le seguenti: cerchio («tondo»), semicerchio («mezzotondo»), segmento circolare («forma di tondo»), quadrato («quadro»), rettangolo («forma di quadro» o «quadrangolo simplize»), triangolo rettangolo («triangolo simplize»). L’autore, poi, definisce «compositi» tutti i triangoli non rettangoli, poichè risultano decomponibili in due triangoli rettangoli mediante una qualunque delle altezze. Infine, in relazione al numero ed alla disposizione dei triangoli rettangoli contenuti, classifica i quadrilateri generici nelle seguenti tre famiglie: I) «quadrangolo che habia duj triangoli simplizi, tuti dui da uno lato, o vero da uno de li capi», II) «quadrangolo che habia duj trianguli contrarij, zioè uno da uno capo e uno da uno lato», III) «quadrangolo il quale ha quatro fazie tute dispari e ha in sì tre triangoli simplizi».
Il problema di determinare le misure interne, necessarie per il calcolo dell’area di un terreno a forma di quadrilatero generico, senza entrarvi dentro, risolto dall’autore per mezzo della squadra, di due stagie e ricorrendo alla similitudine di triangoli, rientra nella tipologia delle «misure a occhio». 63. Tra questi merita di essere ricordata la «tavoletta» di Clavasio. Si tratta di un semplice dispositivo costituito da una tavola di legno rettangolare, di dimensioni non specificate dall’autore, ma comunque grande quanto basta ad avere risultati sufficientemente precisi. È sicuramente degna di nota perché, oltre ad essere originale, rientra anche in quel numero assai esiguo di strumenti che sono usati anche applicando il teorema di Talete. 64. Per una descrizione dettagliata del contenuto di tale geometria si veda A. Simi, La geometria pratica in tre manoscritti, op. cit., nota 21. 65. A Ferrara la mexura da mexurar tere è chiamata .pe. el qual è longo zircha doe spane; in altra cità la soa mexura è chiamato .brazo. ed è mazore de lo .pe.; in altra cità è chiamato .cubito. che è minore de .brazo. e mazore de .pe. [...].
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Elisabetta Ulivi MAESTRI E SCUOLE D’ABACO A FIRENZE : LA BOTTEGA DI SANTA TRINITA
Nell’Italia del basso Medioevo e del primo Rinascimento, col nome di ‘scuole d’abaco’ venivano indicate quelle scuole di livello secondario rivolte essenzialmente all’insegnamento dell’aritmetica e della geometria pratica, legato alla tradizione del Liber abaci e della Practica geometriae di Leonardo Pisano. I relativi docenti erano in genere denominati ‘maestri d’abaco’ o ‘maestri di aritmetica’. Queste scuole si diffusero ampiamente in molte località italiane. Nella maggior parte dei casi ebbero carattere pubblico; più raramente e in alcuni grossi centri commerciali, come Firenze, furono invece private. 1 A Firenze, l’insegnamento dell’abaco si svolgeva infatti in case o botteghe di proprietà dei docenti o da loro prese in affitto, da cui la denominazione di ‘botteghe d’abaco’. Spesso due o più maestri si associavano, lavorando nella stessa bottega e dividendo sia l’eventuale affitto che i proventi della scuola. Tra la seconda metà del XIII secolo e la prima metà del XVI, furono attivi a Firenze una settantina di maestri d’abaco, e si ha notizia di una ventina di botteghe d’abaco. 2 Furono proprio le scuole ed i maestri fiorentini quelli di maggiore importanza e prestigio. Nell’ambito delle scuole d’abaco di Firenze, la più nota, e comunque quella di cui si è più frequentemente parlato, è la cosiddetta Bottega di Santa Trinita. Il sito che ospitava la scuola appartenne prima interamente alla potente famiglia dei Soldanieri, poi detti anche Romaneschi, per divenire in seguito comproprietà degli stessi Soldanieri e dei Deti. Era situato di fronte alla Chiesa vallombrosana di Santa Trinita, sulla piazza omonima, un 1. In generale sulla scuola in Italia nei secoli XIV-XVII si veda P. F. Grendler, Schooling in Renaissance Italy. Literacy and Learning, 1300-1600, Baltimore-London, 1989 (trad it. di G. Annibaldi, La Scuola nel Rinascimento Italiano, Roma-Bari, 1991). 2. Si veda in proposito E. Ulivi, Benedetto da Firenze (1429-1479), un maestro d’abaco del XV secolo. Con documenti inediti e con un’Appendice su abacisti e scuole d’abaco a Firenze nei secoli XIII-XVI, PisaRoma, 2002 (XXII, 1 del «Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche»); inoltre E. Ulivi, Scuole e maestri d’abaco il Italia tra Medioevo e Rinascimento, in Un ponte sul Mediterraneo. Leonardo Pisano, la scienza araba e la rinascita della matematica in Occidente, a cura di E. Giusti e con la collaborazione di R. Petti, Firenze, 2002, pp. 121-159. Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche · Vol. XXIV · (2004) · Fasc. 1
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tempo chiamata anche Piazza degli Spini, tra Via Porta Rossa e Via delle Terme. Nel nostro lavoro, abbiamo prima esposto le biografie dei maestri d’abaco che furono legati alla Scuola di Santa Trinita, ed abbiamo poi ripercorso le tappe più salienti della storia di quella bottega. Come preciseremo meglio volta per volta, per una parte delle notizie qui riportate abbiamo fatto riferimento a studi precedenti, per lo più nostri o di altri storici. Altre informazioni sono del tutto inedite, e la relativa documentazione archivistica è segnalata in nota o trascritta in Appendice. 3 1. I maestri 1. 1. Paolo dell’abaco Uno dei nomi di maggior rilievo della matematica medievale è senz’altro quello di Paolo dell’abaco. 4 Di maestro Paolo – da alcuni ritenuto dei Dagomari da Prato, da altri dei Ficozzi, un ramo degli Aldobrandini – rimangono purtroppo ancora incerte sia la famiglia di origine che la data di nascita, secondo diversi storici da collocare verso il 1281, data tuttavia ritenuta discutibile da Van Egmond. Interessanti osservazioni e precisazioni è invece possibile fare sul padre di Paolo, il cui nome di battesimo era Piero. Di lui si è detto che morì attorno al 1334 e che svolse l’attività di notaio poiché, nei documenti, il suo nome è sempre preceduto dal titolo «Ser», che al tempo veniva di regola attribuito ai notai e ai preti. Si è addirittura formulata l’ipotesi che si trattasse del notaio Piero di Aldobrando o Lando, che rogava negli anni 1326-1330. 5 Sul padre di Paolo dell’abaco conosciamo tre documenti contenuti 3. Nella trascrizione dei documenti (che sono riportati in ordine cronologico) abbiamo sciolto le abbreviazioni, introdotto accenti ed apostrofi, ricostruito la punteggiatura e l’uso delle maiuscole; in parentesi quadre abbiamo aggiunto le date talvolta mancanti, e lettere o parole utili alla comprensione del testo. Nei documenti riportati parzialmente i tre puntini di sospensione stanno ad indicare brani da noi omessi nella trascrizione. Tre puntini in parentesi quadre indicano un passo illeggibile. Tre spazi vuoti tra parentesi quadre corrispondono ad una lacuna nel documento. A conclusione del nostro lavoro abbiamo riportato l’elenco delle sigle relative ad archivi e biblioteche. 4. Per la biografia di Paolo dell’abaco, importanti riferimenti sono ancora i lavori di E. Masini, Maestro Paolo dell’Abbaco dei Ficozzi erroneamente creduto dei Dagomari, «Rassegna Nazionale», XXII (1919), pp. 215-225 e di W. Van Egmond, New light on Paolo dell’Abbaco, «Annali dell’Istituto e Museo di Storia dela Scienza di Firenze», II (1977), 2, pp. 3-21. Il Masini riporta però alcune notizie inesatte o imprecise su Paolo e sui suoi familiari; inoltre non ne indica le fonti archivistiche. Nel nostro lavoro le integreremo con aggiunte e correzioni. Faremo inoltre riferimento a documenti del tutto nuovi, alcuni dei quali sono trascritti in parte o totalmente in Appendice. 5. Cfr. E. Masini, art. cit., pp. 220-222.
maestri e scuole d ’ abaco a firenze 45 nelle filze della Compagnia di San Frediano detta la Bruciata. Qui, tra i «Consiglieri» nominati il primo gennaio del 1334, 6 tra i «Chapitani» eletti il primo luglio 1337 e infine tra gli affiliati del 1338, compare il nome di «Ser Piero dell’abaco». 7 Sempre con lo stesso titolo e appellativo egli viene indirettamente nominato anche in documenti relativi ai figli Paolo e Giovanni. Rileviamo che, soprattutto nei secoli XIII e XIV, ai maestri d’abaco veniva spesso attribuito il titolo di «Ser» e addirittura più frequentemente di quello di «Maestro». Si deve dunque ritenere pressoché indiscutibile che il padre di Paolo svolse l’attività di maestro d’abaco, e non quella di notaio. Nella citata filza del 1338, vicino al nome di Ser Piero è disegnata una croce. Inoltre, in un documento datato 13 novembre 1342, il fratello di Paolo è citato come «Giovanni, figliuolo che fu di Ser Piero dell’abacho»: la morte di Piero è in definitiva da collocare con buona probabilità nel 1338, e senz’altro tra il 1338 ed il 1342. Come si evince dal testamento di Paolo, dopo avere quasi sicuramente vissuto nel Sesto di Oltrarno, forse proprio nella casa in San Frediano che fu la dimora dei figli, Ser Piero venne sepolto nella Chiesa di Santo Spirito. Sul padre di Paolo non abbiamo al momento altre notizie certe. Tuttavia, in una carta di San Matteo in Arcetri datata primo dicembre 1318, si legge che Ser Gherardus Chiari et Ser Pierus Franchi, magistri et misuratores Comunis Florentie,
a petizione delle monache del convento di San Matteo e di maestro Benintendi di Guido, concessero il permesso di porre «pilastros» per la costruzione di alcuni edifici che dovevano sorgere Oltrarno, nel Popolo di Santo Stefano al Ponte, vicino alle abitazioni degli Amidei, tra Via Por Santa Maria e il Canto dei Botticini. 8 Il Gherardo di Chiaro citato nel documento era un maestro d’abaco e tale doveva essere anche il maestro Ser Piero Franchi o di Franco: quest’ultimo ed il Ser Piero padre di Paolo, tra gli abacisti finora conosciuti, sono gli unici di nome Piero attivi nella prima metà del Trecento. Lo stesso «Ser Piero Franchi» si trova anche elencato in uno spoglio relativo allo «Squittinio del Sesto di Oltrarno», 9 avvenuto in data non posteriore al 1343. 10 In definitiva, non è improba6. Corrispondente all’anno 1333 secondo lo stile fiorentino. Ricordiamo infatti che a Firenze l’anno iniziava il 25 marzo ‘ab incarnatione’. Nel nostro lavoro abbiamo riportato le date dei documenti seguendo sempre lo stile moderno ‘a nativitate’. 7. ASF, Compagnia di San Frediano detta la Bruciata 24, c. 32v; 29, c. 60v; 88, c. 64v. 8. ASF, Diplomatico, normali, San Matteo in Arcetri, primo dicembre 1318. 9. BNF, Fondo princ. II, IV, 346, c. 6r. 10. In quell’anno, dopo la cacciata del Duca di Atene, Firenze abbandonò infatti la divisione in Sesti o Sestieri per assumere quella in Quartieri: Santa Maria Novella, Santa Croce, San
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bile che Piero Franchi fosse proprio il padre di Paolo dell’abaco. Di un altro membro della famiglia di maestro Paolo, suo fratello Giovanni, si sono rintracciati diversi documenti. Il primo è il già ricordato atto del 13 novembre 1342, in cui davanti al Tribunale della Mercanzia viene presentata una vertenza tra Giovanni di Ser Piero e Mingoccio di Nicoluccio da Siena, per una somma di sessanta fiorini d’oro che Giovanni avrebbe dovuto restituire a Mingoccio fino dal 1341. 11 Con una Provvisione del 24 gennaio 1343, per decreto di Gualtieri duca di Atene e ad istanza dello stesso Giovanni, si stabilì che la questione fosse successivamente e di nuovo discussa davanti allo stesso tribunale. 12 In una pergamena della Chiesa di Santo Spirito, datata 27 aprile 1344, Giovanni di Ser Piero compare come fideiussore di tale Filippo di Vanni di Cambio. 13 Il primo dicembre 1354, è nuovamente citato in un atto del Tribunale della Mercanzia per un suo credito con lo speziale Niccolò del Nero. 14 Tra il 1359 e l’ottobre del 1364 il suo nome figura accanto a quello del fratello Paolo nelle Prestanze del Quartiere di Santo Spirito, 15 il che testimonia che egli abitò con Paolo, almeno in quegli anni. Il 16 dicembre 1356 ancora «Johannes Ser Pieri dell’abaco» è elencato tra gli iscritti all’Arte dei Maestri di Pietra e Legname: il 14 luglio 1357 si fece garante per lui il maestro «Tommasus Davizzi dell’abaco», della famiglia Corbizzi. 16 A sua volta, il 7 dicembre 1364, Giovanni ebbe il ruolo di mallevadore nell’immatricolazione alla stessa Arte di Michele Braccini, un maestro del Popolo di San Frediano. 17 In queste due scritte, la qualifica «dell’abaco» che segue il nome di Giovanni è molto probabilmente attribuita a suo padre Ser Piero; tuttavia, considerato anche l’intervento dell’abacista Tommaso, non si può escludere che quell’epiteto sia riferito allo stesso Giovanni, e dunque che anche il fratello di Paolo sia stato Giovanni, e Santo Spirito corrispondente all’antico Sesto di Oltrarno. Ogni Quartiere venne diviso in quattro Gonfaloni, ciascuno con i rispettivi Popoli che prendevano nome dalla parrocchia di appartenenza. 11. Cfr. Appendice, documento 1. 12. BNF, Magl. XI, 127, p. 161. 13. Cfr. Appendice, documento 2. Il documento è quasi certamente quello che il Masini dice dell’aprile 1334. 14. ASF, Mercanzia 1119, c.n.n. 15. ASF, Prestanze 10, c. 61r; 13, c. 85v; 24, c. 66r; 37, c. 75v; 103, c. 121r; 123, c. 121v. 16. ASF, Arte dei Maestri di Pietra e Legname 1, c. 19v. La famiglia dei Corbizzi, originaria di Fiesole, visse nel Popolo di San Pier Maggiore, e vantò almeno quattro abacisti. Il primo fu M° Davizzo, padre del suddetto M° Tommaso, a sua volta seguito dai figli Bernardo e Cristofano. Un Giovanni di Davizzo, forse fratello di Tommaso, ci è noto come autore di un libro d’abaco compilato nel 1339: cfr. W. Van Egmond, Practical Mathematics in the Italian Renaissance. A catalog of Italian abbacus manuscripts and printed books to 1600, Istituto e Museo di Storia della Scienza, Firenze, 1980. 17. ASF, Arte dei Maestri di Pietra e Legname 1, c. 24v.
maestri e scuole d ’ abaco a firenze 47 maestro d’abaco. Come risulta dai precedenti documenti e dal testamento di Paolo dell’abaco, Giovanni morì tra la fine del 1364 ed il febbraio del 1367; fu sepolto, con i genitori, nella tomba di famiglia in Santo Spirito. Prescindendo da quelle relative al padre ed al fratello, le notizie biografiche su M° Paolo rimangono a tutt’oggi piuttosto scarse. Come racconta il noto Benedetto da Firenze 18 nella Praticha d’arismetrica contenuta nel codice L.IV.21 (1463), Paolo studiò l’abaco sotto la guida di un maestro Biagio che morì verso il 1340, e che lo stesso Benedetto chiama il «vecchio» per distinguerlo da un altro abacista, Biagio di Giovanni, attivo nella seconda metà del secolo. Proprio al tempo della scomparsa del suo maestro, ma forse già dal 1329, Paolo, seguendo le orme paterne, doveva essere nel pieno della propria attività. 19 Quasi sicuramente Paolo non si sposò e non ebbe figli. Dall’Estimo e dalle Prestanze, oltre che dal suo testamento, ricaviamo che egli abitò in Via Maffia, nel Popolo di San Frediano del Quartiere di Santo Spirito, sotto il Gonfalone del Drago Verde, almeno dal settembre del 1351 fino alla morte; 20 qui, per alcuni anni, visse assieme al fratello Giovanni e forse ad una governante di nome Ghilla di Niccolò Corraducci. 21 Due documenti ci informano dell’attività pubblica di M° Paolo. Il 26 settembre 1351, in una lista di «Approvatione di mallevadori» del Comune per il Gonfalone del Drago Verde, è elencato «Magister Paulus Ser Pieri, £. 300». 22 Il primo maggio 1363 il suo nome figura nelle Tratte tra i Priori di Firenze. 23 Un atto notarile del 27 marzo 1370 è invece legato alla sua attività didattica: vi si legge infatti che il 2 settembre 1366, furono pagati ... Magistro Paulo del’abacho, qui docebat Laurentium ______________ £. 1, s. 9
Lo studente era Lorenzo di Bartolo di Neri Camerini, del Popolo di Santa Maria Novella: 24 purtroppo il documento non fornisce notizie né sulla scuola né sul periodo d’insegnamento. 18. Per la sua biografia si veda E. Ulivi, Benedetto da Firenze, cit. 19. BCS, L.IV.21, c. 408v; cfr. G. Arrighi, Il codice L.IV.21 della Biblioteca degl’ Intronati di Siena e la «Bottega dell’abaco a Santa Trinita» in Firenze, «Physis», VII (1965), p. 396. Si veda inoltre la nota 32. 20. Cfr. ASF, Estimo 202, c. 105r; 306, c. 42r; 307, cc. 80r e 208v; Prestanze 2, c. 46r; e i documenti citati nella nota 15. 21. Ancora nel 1388 Ghilla, al tempo vedova di tale Puccio, viveva con la nipote Tessa nell’edificio di Via Maffia, affittandolo inoltre parzialmente a due notai, Michele Fazi e Michele Mazzi: cfr. ASF, Notarile Antecosimiano 9392, inserto n° 196: documento del 21 novembre 1388. 22. BNF, Magl. XXV, 43, c. 105r. 23. ASF, Tratte 62, c. 78v. 24. ASF, Not. Antec. 14950, c. 72r.
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Importanti sono le informazioni che si ricavano dall’ormai notissimo testamento di Paolo, redatto il 19 febbraio 1367, 25 e per il quale vennero nominati quattro fidecommissari tra cui l’abacista Michele di Gianni e il setaiolo Bene di Spinello dei Mazzinghi da Peretola. Nel documento, Paolo dispose, entro cinque anni dalla sua morte, la costruzione di due Cappelle nella Chiesa di Santa Trinita, ai lati della Cappella maggiore; quella di destra, col nome di San Paolo, avrebbe dovuto accogliere le sue spoglie in un sepolcro marmoreo, e quella di sinistra, intitolata a San Pietro, i resti dei suoi familiari. 26 Ordinò ai frati di Santa Trinita di celebrare ogni anno in sua memoria un ufficio funebre nel mese di gennaio e nel giorno di San Pietro e Paolo; dell’effettiva esecuzione di questa disposizione testamentaria rimane testimonianza tra le carte del monastero per gli anni 1417-1423. 27 Devolse molte somme di denaro a varie persone, istituti religiosi e di beneficenza. A Piero, Francesco e Domenico di Lambertuccio del Popolo di Santa Maria di Verzaia in Santo Spirito, lasciò la propria abitazione di Via Maffia con l’obbligo di non venderla e di trasmetterla ai propri discendenti maschi, e con la clausola che, in mancanza di questi, la casa passasse alla Chiesa di Santa Trinita. Di quel sito si parlerà in un documento del 17 25. ASF, Not. Antec. 6177, cc. 1r-3r; Capitani di Orsanmichele 460, cc.183v-187r. Il testamento è anche riprodotto in facsimile e parzialmente trascritto in G. Arrighi, La tomba di Paolo dell’Abbaco, «Prato, Storia e Arte», X (1969), pp. 48-55. 26. Sulle vicende delle due cappelle, spesso argomento di discussione in relazione alla tomba di Paolo ed alle sue origini familiari, fanno piena luce diversi documenti che si conservano tra le carte di Santa Trinita. Il primo novembre 1371, l’abate generale di Vallombrosa Simone Bencini, ci informa che, a quel tempo, le due cappelle collaterali all’altare maggiore dovevano essere sostanzialmente già edificate. Con una Provvisione del 22 agosto 1397, si stabilì che il lascito di Paolo destinato a completare e adornare le cappelle, venisse innanzi tutto impiegato per ultimare la costruzione delle navate e del transetto della chiesa. La Cappella di San Pietro, posta a sinistra dell’altare maggiore (guardando dalla parte del popolo) e affrescata con scene della vita del santo, passò nel 1602 agli Usimbardi ed è tutt’oggi nota con il loro nome o come Cappella del SS. Sacramento; dopo i lavori di ristrutturazione che si protrassero fino al 1638, divenne la più ricca e sontuosa delle cappelle di Santa Trinita. La cappella di destra, ancora oggi detta di San Paolo o dell’Abbaco – e già erroneamente identificata con la Cappella di San Giovanni Gualberto, costruita nel 1593-1594 per ospitare le reliquie del santo – fu concessa nel 1602 a Baccio e Domenico Comi e nel 1606 a Mario e Ottavio Doni; finalmente nel 1693 passò ai monaci vallombrosani che nel 1711 decisero di portarne a termine i lavori di rifacimento iniziati un secolo prima. Per un certo periodo fu anche chiamata Cappella della Madonna dello Spasimo, per la presenza di un tabernacolo dedicato alla Vergine (Si vedano in proposito i saggi di R. N. Vasaturo, G. Morolli, G. Leoncini ed E. Cassarino in La Chiesa di Santa Trinita, Firenze, 1989, pp. 10, 14, 17, 18, 20, 32, 36, 175-176, 184. Per le fonti archivistiche: ASF, Diplomatico, normali, S. Trinita, primo novembre 1371; Corporazioni religiose soppresse dal governo francese 89, 71, c. 38r e 89, 135, cc. 86r, 99v-100r, 159r). I lavori di ricostruzione della Cappella di San Paolo provocarono evidentemente lo smantellamento del sepolcro di Paolo, che secondo quanto riferisce il Poccianti era ancora in Santa Trinita nel 1589: cfr. M. Poccianti, Catalogus scriptorum florentinorum omnis generis, quorum, et memoria extat ..., Florentiae, M.D.LXXXIX, pp. 139-140. 27. ASF, Corpor. rel. soppr. dal gov. franc. 89, 10, cc. 30v, 34r, 36v, 42r, 45r.
maestri e scuole d ’ abaco a firenze 49 marzo 1402, come di una «casa con corte, melaranci, volta, pozzo, sale, camere e palchi ...». 28 Stabilì che alla sua governante Ghilla spettasse l’usufrutto a vita di un’altra casa in Via Maffia con tutte le masserizie, casa confinante con la propria abitazione, e di un podere in San Pietro di Montebuoni nella Pieve dell’Impruneta. Lasciò invece la proprietà di quella casa, oltre a 100 fiorini, ai frati di Santo Spirito affinché permettessero che i corpi dei suoi familiari fossero tolti dalla loro chiesa e deposti in Santa Trinita; e, qualora non volessero, dispose che si annullasse il legato e che la casa passasse ai figli di Giovanni Casini detto il Foggia. Lasciò inoltre la proprietà del podere ad Albizzello, figlio di Uguccione dei Buondelmonti magistrato ed uomo politico di parte guelfa. 29 La famiglia Buondelmonti, che ebbe un ruolo determinante nelle lotte tra guelfi e ghibellini, era originaria di Montebuoni dove aveva i propri possedimenti. Fino dall’XI secolo ebbe relazioni con la Chiesa di Santa Trinita; negli anni 1298-1316 Ruggero Buondelmonti rivestì la carica di generale dell’ordine di Vallombrosa. 30 Paolo fu evidentemente legato a quella famiglia da rapporti di vicinato, oltre che di amicizia. Ancora nel testamento, Paolo nominò Michele di Gianni erede di tutte le masserizie e dei libri d’abaco della scuola dove aveva insegnato negli ultimi anni della sua vita. Dei suoi volumi di medicina lasciò eredi Tommaso del Garbo e Dino de Olena. Ordinò inoltre che i propri libri e strumenti di astrologia venissero conservati in un cassone a due serrami, che le chiavi fossero custodite dai quattro fidecommissari del testamento e che la cassa rimanesse in Santa Trinita finché non si fosse trovato a Firenze un valido astrologo degno di ricevere in consegna detti libri e strumenti. Di tutti i rimanenti beni nominò infine erede universale tale Piero di Buonaccorso, allora residente a Genova. Paolo dell’abaco morì presumibilmente pochi giorni dopo aver redatto il proprio testamento, comunque prima del 21 marzo 1367. Porta infatti quella data una postilla al testamento, riguardante il detto Piero di Buonaccorso, nella quale si parla del Nostro come «dicti olim Magistri Pauli». 31 Sia in vita che dopo la morte, la sua abilità di scienziato e di letterato gli valse l’ammirazione ed il ricordo dei suoi contemporanei. Iacopo di Dante Alighieri, in un sonetto a lui dedicato, lo chiama «il mio caro maestro» e Giovanni Boccaccio «convicem meum». Ne parlano in tono elogiativo Coluccio Salutati e Giovanni Villani, mentre Filippo Villani 28. ASF, Corpor. rel. soppr. dal gov. franc. 89, 64, c. 14r. 29. Dizionario Biografico degli Italiani, XV (1972), pp. 225-226. 30. Si veda il saggio di R. N. Vasaturo in La Chiesa di Santa Trinita, cit., pp. 2-3. 31. ASF, Capitani di Orsanmichele 460, c. 187r.
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include la sua biografia tra quelle degli uomini più illustri di Firenze. Paolo ha lasciato diversi scritti di contenuto poetico e scientifico. Ricordiamo in particolare il Trattato di tutta l’arte dell’abacho e le Regoluzze, dei quali ci sono pervenuti numerosi codici. 32 1. 2. Don Agostino di Vanni Se particolarmente noto è il nome di Paolo dell’abaco nell’ambito della matematica medievale, al contrario finora del tutto sconosciuto – ma come vedremo di indiscutibile rilievo – è quello di un contemporaneo dell’ illustre abacista: Don Agostino di Vanni. Don Agostino era monaco olivetano-camaldolese e fece la sua professione di fede nel Monastero di San Bartolomeo di Monte Oliveto, del Popolo di Santa Maria di Verzaia. Almeno negli anni 1363-1364, egli fu rettore della Chiesa di San Bartolomeo di Molezzano nel Piviere di San Casciano in Val di Sieve. Come tale egli viene infatti nominato in due pergamene del 28 maggio 1363 e del 31 gennaio 1364 conservate tra le carte degli Olivetani di San Miniato al Monte di Firenze, nelle quali si parla rispettivamente di una donazione di dieci fiorini d’oro fatta alla Chiesa di San Bartolomeo di Molezzano da parte di Bettino del fu Cione, e di un mandato di procura dello stesso Bettino ; 33 inoltre in uno «Spoglio di Cartapecore del Monastero di San Bartolomeo di Monte Oliveto», dove in data 10 aprile 1364 si riferisce circa un compromesso ed un relativo lodo tra Don Agostino e tale Pistorese o Pistoia. 34 Il monaco camaldolese fu particolarmente legato alla famiglia Da Lutiano, originaria del Mugello. Come racconta il notaio Lorenzo di Ser Tano da Lutiano, il primo dicembre 1371, Don Agostino dell’abaco fu tra i testimoni nella cerimonia d’investitura di un nipote di Ser Lorenzo, Antonio di Francesco da Lutiano, che prese l’abito dei Canonici Regolari di Sant’Agostino nel Monastero di Santa Maddalena di Castelfranco di 32. Sul Trattato, compilato tra il 1329 ed il 1340 circa, cfr. G. Arrighi, Una importante lezione dell’opera di M. Paolo dell’Abaco (il Cod. 2511 della Biblioteca Riccardiana di Firenze), «Atti della Fondazione Giorgio Ronchi», XXV (1980), pp. 858-874; B. Piochi, Il Trattato di Paolo dell’Abbaco, «Annali dell’Istituto e Museo di Storia della Scienza di Firenze», IX (1984), 1, pp. 21-40. Sulle Regoluzze cfr. ad es. Paolo dell’Abbaco, Regoluzze, secondo la lezione del codice 2511 della Biblioteca Riccardiana di Firenze, a cura e con introduzione di G. Arrighi, Prato, 1966. Altri lavori attribuiti a M° Paolo sono, secondo Van Egmond, di paternità incerta. Tra questi l’Istratto di Ragioni, pubblicato in Paolo dell’Abbaco, Trattato d’aritmetica. Secondo la lezione del Codice Magliabechiano XI, 86 della Biblioteca Nazionale di Firenze, a cura e con introduzione di G. Arrighi, in Testimonianze di Storia della Scienza, Pisa, II, 1964. Sui lavori di Paolo dell’Abaco cfr. W. Van Egmond, New light, op. cit., pp. 18-20. 33. Cfr. Appendice, documenti 3 e 4. 34. Ibidem, documento 5.
maestri e scuole d ’ abaco a firenze 51 Sotto. 35 Diversi altri documenti, riguardanti gli stessi Don Agostino e Ser Lorenzo, e sui quali torneremo dettagliatamente in seguito, attestano che come abacista il religioso fu attivo almeno negli anni 1368-1372, che morì quasi sicuramente tra il 1372 ed il 1373, senz’altro prima del 5 marzo 1375, e che lasciò tutti i suoi averi al Monastero di San Bartolomeo di Monte Oliveto. In riferimento all’anno 1371, gli Annales Camaldulenses riportano un ampio elogio di Don Agostino communiter appellatus Augustinum ab abaco, qui in urbe Florentiae magno juventutis concursu et plausu arithmeticam sive abaci regulas docebat ... 36
1. 3. Michele di Gianni Negli ultimi anni della vita di Don Agostino, fu nel pieno della sua attività di maestro l’abacista Michele di Gianni, che abbiamo già incontrato tra gli eredi di Paolo dell’abaco e tra i fidecommissari del suo testamento. 37 M° Michele nacque nella prima metà del XIV secolo da un non meglio identificato Gianni e da Monna Gera, ed ebbe un fratello di nome Giunta che abitò a San Quirico di Capalle. Michele visse molto a lungo e si sposò due volte. La prima moglie fu Sandra di Manno Cioni, che doveva appartenere ad una famiglia molto facoltosa del Popolo di San Lorenzo a Montisoni, nel Piviere dell’Antella, vicino a Firenze. Sandra fu sposata con l’abacista almeno dal 1351 al 1379 e gli dette una figlia di nome Filippa. La seconda moglie di Michele, Dada, era figlia di Francesca di Lapo di Nuccio e di Omoddeo o Moddeo di Tura di Bencivenni, originario di Santa Maria «inter duas marinas», probabilmente Santa Maria di Leuca; 38 prima di sposarsi, Dada abitò con la propria famiglia nel Popolo di Sant’Andrea, sotto il Gonfalone del Leon Rosso del Quartiere di Santa Maria Novella. Nel 1385, dall’unione con Dada, nacque Nanna e verso il 1387 Mariano, che divenne poi maestro d’abaco. Michele ebbe anche una figlia di nome Iacopa o Papera, e forse un’altra figlia di cui ci è ignoto il nome, ma non sappiamo se furono sorelle o sorellastre di Mariano. 35. Cronica ovvero Memorie attenenti alla nobilissima famiglia de’ Signori da Lutiano ..., in G. M. Brocchi, Descrizione della provincia del Mugello con la carta geografica del medesimo ..., Firenze, 1748, pp. 37-38. 36. Annales Camaldulenses, Ordini Sancti Benedicti, Venetiis, VI (1761), p. 113. 37. Diverse notizie biografiche su M° Michele e sui suoi discendenti sono state da noi riportate, con i corrispondenti documenti, in E. Ulivi, Mariano del M° Michele, un maestro d’abaco del XV secolo, «Nuncius, Annali di Storia della Scienza», XVI (2001), 1, pp. 303-307. Nel presente lavoro ci limiteremo ad indicare in nota le fonti archivistiche di ulteriori documenti riguardanti Michele (alcuni dei quali sono trascritti in Appendice), mentre rimandiamo per gli altri all’articolo di «Nuncius». 38. ASF, Provvisioni, Registri, 78, cc. 359r-361r: Provvisione del 27 gennaio 1390.
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Con i propri familiari, Michele visse sempre nel Quartiere di Santa Maria Novella. Almeno dall’estate del 1351 alla primavera del 1375, ebbe la sua residenza sotto i Gonfaloni del Leon Rosso e dell’Unicorno, nei Popoli di Santa Maria degli Ughi, San Paolo e Santa Trinita. Dall’ottobre del 1375, e fino alla morte, abitò invece nel Popolo dei Santi Apostoli, sotto il Gonfalone della Vipera, esattamente in Via di Lungarno, l’attuale Lungarno Acciaiuoli, dove il 16 marzo 1374 aveva acquistato due case a nome della moglie Sandra: qui, sotto la propria abitazione, egli fondò un’importante bottega d’abaco che rimase in vita per più di un secolo e mezzo. Oltre che delle due case sul Lungarno, Michele fu anche proprietario di diversi poderi nel Popolo di San Lorenzo a Montisoni e nel territorio di Carmignano, acquistati nei giorni 16 luglio 1351, 12 settembre 1361 e 19 febbraio 1364, ancora a nome della prima moglie. Come si legge in una scritta degli Ufficiali di Torre del 22 marzo 1379, sempre a Montisoni in località Lonchio, il 25 gennaio 1379 comprò un viottolo 39 che un anno prima aveva fatto chiudere e in parte demolire, provocando una querela da parte del Comune di Firenze, della quale si parla in una carta dell’Arte dei Mercatanti del 28 maggio 1378. 40 L’11 dicembre 1373, dall’Ospedale di Santa Maria Nuova, acquistò anche una casa in Via del Fico, 41 nel Popolo di San Frediano, ed infine il 9 dicembre 1388 alcuni terreni e case a Pozzolatico. 42 Evidentemente Michele fu piuttosto benestante, e non solo grazie alle rendite della moglie Sandra, ma anche per un’ intensa e duplice attività. Quella prevalente fu l’insegnamento che si protrasse per oltre un quarantennio: esso ci viene rigorosamente attestato a partire dal febbraio 1368, quando Michele comincia a comparire nelle Prestanze con la qualifica di «Maestro», 43 ma doveva essere iniziato da tempo, già prima della morte di Paolo dell’abaco ed almeno dal 1364, anno in cui il Nostro fu con buona probabilità presso Corrado di Paolo degli Strozzi con l’incarico di precettore. 44 Rilevante fu il suo impegno come «ragioniere e calcolatore» del Tribunale della Mercanzia e come misuratore sia per il Comune che a livello privato. Ad esempio, il 2 aprile 1372, Michele fece una stima di alcuni beni immobili ereditati da Annibaldo di Bernardo degli Strozzi, 45 il 7 dicembre 39. ASF, Capitani di Parte Guelfa, Numeri Rossi 117, c. 79v. 40. ASF, Diplomatico, normali, Arte dei Mercatanti, 28 maggio 1378. 41. ASF, Ospedale di Santa Maria Nuova 4427, c. 112r. 42. ASF, Not. Antec. 9392, inserto n. 207. 43. ASF, Prestanze 131, c. 26r. 44. Nelle Prestanze di quell’anno egli viene infatti sempre citato come Michele di Gianni «homo Curradi de Strozzis»: cfr. ASF, Prestanze 105, cc. 30v, 60r; 118, cc. 29v, 58r; 125, c. 67r. 45. ASF, Mercanzia 1162, c.n.n.
maestri e scuole d ’ abaco a firenze 53 1373 presentò una dettagliata relazione su alcuni libri di conti di Ugolino di Lapo Buglietti compilati negli anni 1363-1366, 46 ed il 21 marzo 1387 fu chiamato assieme ad un maestro Ventura Scarlattini per una revisione dei libri contabili del galigaio Feo Dini. 47 Il 6 luglio 1389 venne nominato per un anno misuratore del Comune di Firenze. 48 Ancora, il 28 settembre 1385 misurò i possedimenti dei figli di Federico Sassetti nella Pieve di Santo Stefano in Pane, 49 e tra il 1387 ed il 1390 partecipò ai lavori di costruzione dell’Ospedale di San Matteo, lasciando un esteso rapporto sulle misure da lui effettuate. 50 La partecipazione di Michele alla vita pubblica viene testimoniata dalla sua presenza allo Squittinio per il Priorato delle Arti Maggiori relativo al Gonfalone della Vipera, nei giorni 10 febbraio 1382 e 14 aprile 1391. 51 Non conosciamo tuttavia documentazioni di una sua immatricolazione ad una delle Arti Maggiori, mentre sappiamo che negli anni 1376 e 1381 era sicuramente iscritto all’ Arte Minore dei Galigai: lo si deduce da un contratto del 17 giugno 1376, di cui parleremo in seguito, e da un Atto del Tribunale della Mercanzia che risale all’11 marzo del 1381, nel quale Michele compare come creditore di Bartolo di Mino, un vetturale di Montisoni alle sue dipendenze. 52 Dalle Prestanze risulta che Michele di Gianni morì quasi sicuramente tra il maggio e l’ottobre del 1413; nell’Appendice al Notarile Antecosimiano si fa riferimento ad un suo testamento redatto nel 1390, in cui l’abacista nominava erede universale il figlio Mariano, 53 ma purtroppo il documento non ci è pervenuto. Di un’ eventuale produzione matematica di M° Michele non abbiamo alcuna notizia. Ci rimane solo la soluzione algebrica da lui data ad un problema che riporta Benedetto da Firenze nel codice L.IV.21. 54
46. ASF, Mercanzia 4247, cc. 266r-269r. 47. Cfr. Appendice, documento 13. 48. ASF, Signori e Collegi, Deliberazioni in forza di ordinaria autorità 24, c. 6v. 49. Cfr. Appendice, documento 12; in proposito cfr. anche E. Ulivi, Le scuole d’abaco a Firenze (seconda metà del sec. XIII-prima metà del sec. XVI), in Luca Pacioli e la Matematica del Rinascimento. Atti del Convegno internazionale di studi, Sansepolcro 13-16 aprile 1994, a cura di E. Giusti, Città di Castello, 1998, p. 49. 50. ASF, Ospedale di San Matteo, 1, cc. 15r-16r, 27r-28v. 51. ASF, Tratte 355, c. 71r; 356, c. 97r. 52. ASF, Mercanzia 4262, cc. 247r-247v. 53. ASF, Not. Antec. 21457, c. 189v. 54. Cfr. M. Pancanti, Le ragioni di Maestro Giovanni di Bartolo dal codice L.IV.21 della Biblioteca degl’Intronati di Siena, in La Storia delle Matematiche in Italia. Atti del Convegno, a cura di O. Montaldo e L. Grugnetti, Cagliari, 29-30 settembre e 1 ottobre 1982, pp. 298-299.
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elisabetta ulivi 1. 4. Antonio Mazzinghi
Allo stesso M° Benedetto spetta il merito di averci trasmesso una trascelta di problemi ripresi da un’ interessante opera forse perduta di Antonio Mazzinghi, 55 il Trattato di fioretti. M° Antonio, uno dei maggiori algebristi del Tre-Quattrocento, apparteneva ad un ramo dei Mazzinghi da Peretola, lo stesso casato di quel Bene di Spinello che fu, con Michele di Gianni, tra i fidecommissari del testamento di Paolo dell’abaco. Suo padre era Giusto del Voglia di Maffeo, un biadaiolo originario del Popolo di Santa Maria di Peretola, e la madre era Simona di Chino Pucci, della quale ci rimane solo un rogito del 1379. Vari atti notarili del periodo 1353-1374, la Gabella dei Contratti del 1351-1352 e le Prestanze del 1364-1391, ci informano che Giusto del Voglia ebbe, assieme al fratello Paolo, diversi possedimenti a Peretola e a San Pietro a Quaracchi, e che, fino dai primi anni della seconda metà del secolo, egli visse a Firenze dove fu anche affittuario di una bottega di biadaiolo in Via della Vigna Nuova. Giusto del Voglia redasse il proprio testamento il 20 dicembre 1385, lasciando eredi universali i due nipoti, figli di Antonio; morì presumibilmente nel febbraio del 1391. Antonio Mazzinghi nacque a Firenze verso il 1350-1355. Egli visse sempre, con i genitori, la moglie ed i figli, nel Quartiere di Santa Maria Novella, per qualche tempo sotto il Gonfalone dell’Unicorno, nel Popolo di Santa Trinita, ma in prevalenza nel Popolo di San Pancrazio del Gonfalone Leon Rosso, dove a partire dal 1379 è elencato tra i prestanziati di Via del Moro o di Via del Sole, due strade limitrofe nei pressi di Piazza Santa Maria Novella. Dalla moglie, della quale ci è sconosciuto il nome, Antonio ebbe due maschi, Piero e Giovanni. Il primo morì forse in giovane età; il secondo nacque verso il 1383, esercitò l’attività di speziale e morì tra il 1451 ed il 1458, lasciando la vedova Smeralda ed i figli Antonio, Nanna e Lena, quei «nipoti» di M° Antonio cui accenna Benedetto da Firenze dicendo che «Vivono anchora al tenpo presente», 56 cioè vivevano all’epoca della compilazione dell’aritmetica contenuta nell’L.IV.21. Da quanto scrive lo stesso M° Benedetto, il Mazzinghi ebbe fama di valido insegnante e di ottimo matematico,
55. Le notizie qui riportate su M° Antonio sono una sintesi di quanto esposto in E. Ulivi, Per una biografia di Antonio Mazzinghi, maestro d’abaco del XIV secolo, «Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche», XVI (1996), 1, pp. 101-150: qui sono anche pubblicati i relativi documenti. 56. BCS, L.IV.21, c. 451r; cfr. G. Arrighi, Il Codice L.IV.21, op. cit., p. 398.
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... Et non solamente in arismetricha et geometria, ma in astrologia, musicha anchora, in edifichare, in prospettiva, in tutte arte di gran intelletto fu dotto e fece molti archimi. 57
L’insegnamento dell’abaco, lo studio e l’esercizio delle scienze furono i fondamentali se non gli unici interessi di M° Antonio. Di fatto, un solo documento – tra quelli da noi reperiti all’Archivio di Stato di Firenze – testimonia la sua partecipazione alla vita pubblica. Si tratta dell’elenco dei votati allo Squittinio per il Priorato delle Arti Maggiori del 9 febbraio 1382, dove il nome di «Magister Anthonius Justi del’abacho» compare per il Gonfalone del Leon Rosso. 58 Sull’attività didattica di M° Antonio, danno informazioni sia il racconto dell’L.IV.21 che quattro documenti sui quali torneremo a proposito della Bottega di Santa Trinita. Da questi si deduce che egli intraprese l’insegnamento molto presto, nell’ottobre del 1370, dopo avere compiuto i propri studi matematici sotto la guida di Paolo dell’abaco, e che tale attività proseguì fino alla morte. Della produzione aritmetica del Mazzinghi ci sono pervenute le «tavole del merito», cioè degli interessi, trascritte dall’autore del codice Palat. 573 della Biblioteca Nazionale di Firenze dove si ricorda anche un suo ampio «trattato del chonsolare» le monete. 59 Dei suoi studi algebrici rimangono alcune trascelte contenute in quattro codici. La più ampia è quella, già ricordata, del codice L.IV.21 e ripresa dal Trattato di fioretti; 60 altre questioni di algebra – definizioni, regole e problemi – sono nel Palat. 573, 61 nell’Ottobon. Lat. 3307 62 e nel Magl. XI, 120. 63 Probabilmente esse costituivano alcune delle parti di un unico «gran trattato» di aritmetica, algebra e geometria, cui si accenna nello stesso Palat. 573. 64 Al Mazzinghi è forse da attribuire anche una «Regola che è buono fare in ciaschedun giorno della luna», esposta con poche varianti in tre codici fiorentini, e che risalirebbe agli anni dell’adolescenza di M° Antonio. 57. Ivi. 58. ASF, Tratte 355, c. 91v; Manoscritti 554, c. 51r. 59. BNF, Palat. 573, cc. 70v, 262v-277v; cfr. G. Arrighi, Nuovi contributi per la storia della matematica in Firenze nell’età di mezzo (il Codice Palatino 573 della Biblioteca Nazionale di Firenze), «Istituto Lombardo, Accademia di Scienze e Lettere, Rendiconti, Classe di scienze, A», CI (1967), 418, 423-425. 60. BCS, L.IV.21, cc. 451r-474v. La trascelta è pubblicata in Trattato di Fioretti, secondo la lezione del codice L.IV.21 (sec. XV) della Biblioteca degli Intronati di Siena, a cura e con introduzione di G. Arrighi, Pisa, 1967. Per uno studio complessivo del contenuto si veda A. Urbani, Analisi dei Fioretti di Maestro Antonio de’ Mazzinghi, Tesi di Laurea, Univ. di Siena, a.a. 1980-81. 61. BNF, Palat. 573, cc. 399r-402v, 478v-490r. 62. BAV, Ottobon. Lat. 3307, cc. 335r-343r. 63. BNF, Magl. XI, 120, cc. 7v-10v. 64. BNF, Palat. 573, c. 379r; cfr. G. Arrighi, Nuovi contributi, op. cit., p. 432.
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Molto interessanti e proprio legati alle sua fama di abile astrologo sono due rogiti che risalgono al 20 maggio 1372. Come abbiamo già ricordato, nel novembre del 1371, le due cappelle in Santa Trinita che in base al testamento di M° Paolo dovevano ospitare le spoglie dell’abacista e quelle dei suoi familiari, erano ormai già compiute. Pochi mesi dopo, per continuare ad onorare le disposizioni testamentarie del maestro, i frati di Santa Trinita decisero finalmente di togliere dalla chiesa il cassone fino allora custodito e contenente i libri e gli strumenti astrologici di Paolo, consegnandolo ad un meritevole astrologo che avrebbe dovuto essere giudicato tale da un’apposita commissione. La scelta cadde su M° Antonio, e fu da Michele di Gianni, uno dei «giudicatori», che il Mazzinghi ricevette il cassone con tutto il suo contenuto, così decritto nel primo dei suddetti documenti: ... una spera solida ligni, duo stralabia ottonis et unum ligni, duo quadrantes ottonis et septem ligni, una spera materialis ottonis, unum strumentum ottonis cum duobus assidibus, tres egredienti, una spera raminis, due spere in circulis lingneis, plures partes strumentorum [ ], unus liber compassorum et figurarum, Trattatus spere solide in vulgari, Tabule tollettane, Trattatus strolabii, Canones super tabulis tolettanis, Comentum super canonis super tabulis tollettanis, Teoricha Sacrabossi, plures quaterni cartarum bombicinarum et pecudinarum, unus liber puntorum minutorum in assidibus, unus liber magnus sebet in assidibus, et alii libri, unus Almagester in assidibus, item unus Almagester in assidibus, una Geometria in assidibus, unus ali [sic] in assidibus, unus Almanaccho [ ], Tabule tollettane, Canones super tabulis tollettanis, Conclusiones Tolomei, Alcabizzus in vulgari, unus Almanaccho, item unus Almanaccho, Afagranus et Centilopius et alii in uno volumine, Tabule tollectane, unus Trattatus spere coloris vermigli, unus liber [ ] sine assidibus, il Quadripartito Tolomei et plures quadrucci, duo paria Tabularum tollettanarum, unus libricciuolus arismetrice, Canones super tabulis tollettanis.
Una probabile testimonianza degli interessi del Mazzinghi per l’alchimia, potrebbe essere fornita da un passo che si legge in un libro di conti del Monastero di San Miniato a Monte di Firenze, relativo all’anno 1383: Item per mezza oncia d’azurro dal Maiestro Antognio da l’abeco per tonsare el manouale che fe’ frate Mauro _________________________f. 0, £. II, s. XII, d. 0
L’ultimo documento noto e compilato quando il Mazzinghi era sicuramente ancora in vita risale al 22 agosto 1385, e parla dell’affitto a M° Antonio di Giusto dell’abaco di una casa in Via del Parione Vecchio, in Santa Trinita. Varie considerazioni su questo ed altri documenti, ci inducono a ritenere che la morte del Nostro – avvenuta verso i trent’anni, secondo quando riferisce M° Benedetto – abbia con buona probabilità seguito di poco la stipulazione di quel contratto e si sia verificata tra la fine di agosto del 1385 ed il febbraio del 1386, in ogni caso non oltre il febbraio del 1391.
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1. 5. Giovanni di Bartolo Discepolo di Antonio Mazzinghi fu l’abacista Giovanni di Bartolo. 65 M° Giovanni nacque verso il 1364 e «fu di statura mezana e quasi in viso pieno». 66 Nelle Prestanze si legge che la madre era tale Giovanna, la cui scomparsa sembra sia da collocare tra la fine del 1400 e l’inizio del 1401. 67 Gli stessi libri ci indicano il nome del padre, Bartolo o Bartolomeo di Ugolino, 68 un muratore «et piuttosto di povero stato», 69 e l’anno di morte di quest’ultimo, il 1397; Bartolo si trova anche nei libri delle matricole dell’Arte dei Maestri di Pietra e Legname del 1354, e nelle vesti di testimone e di confinante in tre documenti notarili del 9 ottobre 1386, 13 settembre 1389 e 19 ottobre 1391. 70 Come si evince dalle Prestanze 71 e dai Catasti degli anni 1427, 1431 1433, 72 Giovanni di Bartolo rimase celibe, e visse sempre, prima con i genitori poi da solo, nel Popolo di San Frediano del Quartiere di Santo Spirito, sotto il Gonfalone del Drago; l’abitazione, di sua proprietà, si trovava in «Via San Salvatore, dalla Chiesa di Camaldoli insino alle marmeruche», 73 l’ultimo tratto dell’attuale Via della Chiesa. Tra i suoi possedimenti egli ebbe anche una vigna nel Popolo di San Piero a Solicciano. L’attività pubblica di Giovanni è attestata dalla sua elezione tra i capitani della Compagnia delle Laudi di Santa Maria Novella il 13 gennaio 1387 ed il 12 gennaio 1388, 74 oltre che dalla sua presenza allo Squittinio per il Priorato delle Arti Maggiori il 24 aprile del 1391. 75 Molti documenti ci raccontano di suoi interventi in qualità di misuratore. I libri dell’Opera di Santa Maria del Fiore registrano cinque pagamenti a M° Giovanni per misure da lui eseguite nei giorni 2 agosto 1386, 12 ottobre 1386, 27 gennaio 1389 e 30 dicembre 1395. 76 Nelle «Uscite» dell’Ospedale di Santa 65. Diverse notizie su M° Giovanni si trovano in W. Van Egmond, The Commercial Revolution and the Beginnings of Western Mathematics in Renaissance Florence, 1300-1500. Ph. D. Thesis, Indiana University, 1976, pp. 374-377. 66. BCS, L.IV.21, c. 431v; G. Arrighi, Il Codice L.IV.21, cit., p. 398. 67. ASF, Prestanze 1839, c. 93v; 1855, c. 95r. 68. ASF, cfr. ad es. Prestanze 1468, c. 54v; 1558, c. 15r; 1572, c. 15v. 69. Cfr. la nota 66. 70. ASF, Arte dei Maestri di Pietra e Legname 1, c. 4v; Not. Antec. 11645, c.n.n. 71. ASF, cfr. ad es. Prestanze 1680, c. 88r; 1712, c. 88r; 1987, c. 144r; 2034, c. 147r; 2475, c. 62v; 2871, c. 63r; 2901, c. 95v. 72. ASF, Catasto 24 (1427), cc. 1182r-1182v; 343 (1431), c. 781r; 441 (1433), c. 693r. La sua portata al Catasto del 1427 è pubblicata in Arrighi, Il codice L.IV.21, op. cit., pp. 375-376. 73. ASF, Prestanze 1712, c. 88r. 74. ASF, Not. Antec. 14942, cc. 16v, 60r. 75. ASF, Tratte 356, c. 48r. 76. AOSMFF, II, 1, 22, cc. 7v, 26v; II, 1, 26, cc. 5v, 24r; II, 1, 36, c. 27v.
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Maria Nuova, il 21 febbraio 1397 è annotato un pagamento a M° Giovanni per la misura di un terreno che l’ospedale aveva venduto a Cristofano degli Spini e che era stato già erroneamente misurato dal M° Biagio di Giovanni. 77 Interessante è una citazione contenuta negli stessi libri, dove si ricorda che in data 22 aprile 1406 vennero dati allo storico Matteo Villani 3 fiorini affinché li consegnasse a M° Giovanni per avere misurato un terreno in Via della Pergola, che l’ospedale aveva comprato nel 1402, assieme ad alcuni edifici, a metà con il Convento di Santa Maria degli Angeli. Nelle carte dello stesso monastero si ricordano infatti «molte scripte di stime e misure» di M° Giovanni relative a quell’acquisto. 78 In seguito, come ben noto, il Nostro legò il suo nome anche ai lavori per la costruzione della Cupola di Santa Maria del Fiore di Firenze, negli anni 1417, 1420 e 1425. 79 Come vedremo meglio nel successivo capitolo, Giovanni cominciò con buona probabilità ad insegnare l’abaco verso il 1383 e continuò anche lui fino alla morte. Fu singhularissimo infra gli altri, di questa scientia maestri; e, al suo tenpo, non ebbe pare e non solo in arismetricha et geometria, ma anchora perfettissimo astrolagho. 80
Oltre che maestro d’abaco, egli fu infatti anche lettore di astrologia nello Studio fiorentino negli anni 1401-1402, 1422, 1424-1427 e 1431. 81 Tra i suoi discepoli si ricordano personaggi illustri come Giannozzo Manetti, Paolo dal Pozzo Toscanelli e Benedetto di Pieraccione degli Strozzi. 82 Forse un allievo del Nostro fu anche un membro della famiglia Del Bene – il ramo fiorentino dei Mazzinghi da Peretola – nei cui libri Giovanni compare come creditore e debitore per l’anno 1392. 83 Giovanni fu sepolto il 3 giugno 1440 nella Chiesa di Santa Maria del Carmine. Del suo testamento, redatto il 15 maggio dello stesso anno e purtroppo non pervenutoci, abbiamo solo un sunto nell’Appendice al Notarile Antecosimiano. 84 Da questo si apprende che egli nominò suo erede universale l’abacista Lorenzo di Biagio da Campi, come si raccon77. Cfr. Appendice, documento 16. 78. Ibidem, documenti 18 e 19. 79. C. Guasti, La Cupola di Santa Maria del Fiore, Firenze, 1857, pp. 19, 26-27, 33, 39. 80. BNF, Palat. 573, c. 470r; cfr. G. Arrighi, Nuovi contributi, cit., p. 436. 81. Cfr. A. Gherardi, Statuti dell’Università e Studio Fiorentino dell’anno MCCCLXXXVII, Firenze, 1881, pp. 376-377, 402, pp. 405-406, 414. 82. Vespasiano da Bisticci, Commentario della vita di Messer Giannozzo Manetti, in Collezione di Opere inedite e rare dei primi tre secoli della lingua, II, Torino, 1862, pp. 5 e 8; G. Uzielli, La vita e i tempi di Paolo dal Pozzo Toscanelli, Roma, 1894, p. 20. 83. ASF, Archivio Del Bene: Libro di Commercio di una terza Compagnia Del Bene, cc. 80v81r. 84. ASF, Ufficiali poi Magistrato della Grascia 189, c. 20r, Not. Antec. 21426, c. 74v.
maestri e scuole d ’ abaco a firenze 59 ta anche nei codici Palat. 573 ed Ottobon. Lat. 3307. Tra i beni mobili lasciati dal maestro sembra vi fossero oltre cinquecento libri di vario argomento, dei quali centocinquanta di aritmetica, geometria e astrologia. 85 Di Giovanni di Bartolo non rimangono opere complete, ma solo alcune trascelte di problemi riportate nei trattati aritmetici dei manoscritti Palat. 573, L.IV.21 ed Ottobon. Lat. 3307. 1. 6. Lorenzo di Biagio da Campi L’erede di M° Giovanni, Lorenzo di Biagio, nacque nel 1414 nella campagna di Santo Stefano a Campi, nei pressi di Firenze, dove la famiglia fu proprietaria di una casa e di alcune terre. Proprio per questa sua origine Lorenzo venne soprannominato «Zolla». 86 Il padre era Biagio di Romolo di Giovanni, un vinattiere, attività della quale si ha notizia da due Atti del Tribunale della Mercanzia del 23 novembre 1443 e del 14 febbraio 1463. 87 Oltre a Lorenzo, Biagio ebbe altri due figli, Antonio e Romolo, i quali assieme al padre, tra il 1442 ed il 1504 – come risulta da alcuni Libri di debitori e creditori e da Ricordanze del Monastero di Santa Maria e Stefano alla Badia, più nota come Badia fiorentina – furono affittuari di case e poderi dello stesso monastero, situati nei Popoli di Santo Stefano e di San Giusto a Campi. 88 In due di tali scritte, degli anni 1453 e1463, viene fatto anche il nome di Lorenzo, sia come intermediario nello scambio di denari tra i frati della Badia ed i suoi familiari, sia in riferimento alla compravendita di un terreno. 89 Biagio di Romolo morì verso il 1470. Antonio, nato tra il 1438 ed il 1442, si sposò attorno al 1469 con tale Piera da cui ebbe i figli Bartolomeo chiamato anche Baccio, Biagio, Tommaso, Lorenzo, Matteo e Giovanni. Romolo fu padre di Francesco, Matteo, Filippo, Nera, Maria e Clemenza. 90 85. Cfr. la nota 80; inoltre BAV, Ottobon. Lat. 3307, c. 349r e G. Arrighi, La matematica del Rinascimento in Firenze. L’eredità di Leonardo Pisano e le «Botteghe d’abaco», «Cultura e Scuola», XVIII (1966), p. 293. 86. ASF, Catasto 794, c. 94r; Appendice, documento 30. 87. ASF, Mercanzia 1349, c. 52r; 1427, cc. 571v-572r. 88. ASF, Corpor. rel. soppr. dal gov. franc. 78, 3, cc. 6r, 13v, 28r, 36r; 78, 78, cc. 162s-162d, 169s169d, 381s-381d; 78, 79, cc. 74s-74d, 167s-167d, 177s-177d, 249s-249d; 78, 80, cc. 97s-97d, 167s-167d, 319s-320d; 78, 81, cc. 67s-67d, 124s-124d; 78, 261, cc. 50r, 78r, 121v, 160v, 126bv, 135bv, 139br, 139bv, 209v, 257r, 299r. 89. Cfr. Appendice, documenti 25 e 28. 90. Cfr. Appendice, documenti 26 e 29. Inoltre ASF, Catasto 999 (1480), c. 89r; Not. Antec. 16791, c. 213v. Dai citati libri della Badia e da un rogito del 15 febbraio 1459, si ha anche notizia di quattro zii paterni di Lorenzo: Meo, Antonio, Piero e Giuliano. Il primo ebbe i figli Domenico e Michele, il secondo ebbe Giuliano, Vanni, e Marco a sua volta padre di Girolamo. Tutti risultano
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Dopo un primo periodo trascorso a Campi, Lorenzo si trasferì a Firenze, dove studiò l’abaco presumibilmente sotto la guida di Giovanni di Bartolo. Tra il 1442 ed il 1447, sembra abbia vissuto nel Quartiere di Santa Maria Novella, sotto il Gonfalone del Leon Bianco, in non molto agiate condizioni economiche. 91 Entrato in possesso dei beni ereditati da Giovanni di Bartolo, Lorenzo si trasferì poco dopo nella casa, già proprietà di Giovanni, situata nella Via San Salvatore in San Frediano, dove da dopo il 1451 fino al 1469 visse assieme al fratello Antonio. La casa confinava, a quel tempo, con lo studio dei pittori Bicci di Lorenzo e di suo figlio Neri di Bicci. La vendita della vigna di Solicciano, che faceva parte dell’eredità, gli permise di pagare alcuni debiti di M° Giovanni ed anche di acquistare dei terreni ed una casa a Campi. 92 Come erede di Giovanni, «Lorenzo di Biagio dell’abacho» compare in documenti della Mercanzia del 27 e 30 marzo, del 5 agosto e del 13 novembre 1441, dove risulta depositario di 6 fiorini a favore di Stefano di Giovanni, un medico, e di 2 fiorini a favore di tale Iacopo di Antonio di Lapaccio, probabilmente entrambi creditori di Giovanni di Bartolo93 . Dall’ultima scritta sembra di capire che Lorenzo aveva venduto all’ufficiale incaricato della riscossione, un volume di Boezio e uno di Prisciano, forse due dei libri che gli aveva lasciato il M° Giovanni. Ancora in un Atto del Tribunale della Mercanzia, che risale al 12 settembre 1465, l’abacista di Campi compare assieme al padre Biagio per una controversia con i frati del Convento di Santa Maria del Carmine, in Santo Spirito, sorta a seguito di certe disposizioni testamentarie dello stesso Giovanni. 94 Tra il 1452 ed il 1456, il nome di Lorenzo di Biagio si trova purtroppo più volte negli elenchi dei «tamburati», cioè querelati per sodomia, che venivano compilati dagli Ufficiali di Notte, una magistratura preposta alla tutela della moralità pubblica. 95 Nel 1459, M° Lorenzo viene ancora nominato in relazione ad uno scambio di denari in un Quadernuccio di richordi di Giuliano di Antonio di Ser Andrea Bartoli. 96 Lorenzo morì tra la fine del 1472 ed il 1480. Risale infatti al 16 dicembre del ’72 l’ultimo documento noto a lui relativo, nel quale egli nominò suoi allora abitanti nel Popolo di Santo Stefano a Campi. Cfr. ASF, Corpor. rel. soppr. dal gov. franc. 78, 3, c. 10v; 78, 79, cc. 197s-197d; 78, 82, cc. 93s-93d, 175s-175d, 239s-239d; 78, 261, cc. 78r, 135bv, 187br; Not. Antec. 16825, c. 48r. 91. Cfr. Appendice, documento 22; ASF, Catasto 673 (1447), c. 469r. 92. Cfr. Appendice, documenti 24, 26 e 29; inoltre ASF, Catasto 910 (1469), c. 62r. 93. Cfr. Appendice, documenti 20 e 21. 94. ASF, Mercanzia 1440, cc. 170r-171r. 95. ASF, Ufficiali di Notte e Conservatori dell’ onestà dei Monasteri 3, cc. 2v, 3r, 3v, 4v, 6v, 7r, 13v; 36, c. 44s. 96. Cfr. Appendice, documento 27.
maestri e scuole d ’ abaco a firenze 61 procuratori i fratelli Antonio e Romolo. 97 Inoltre, nel Catasto fiorentino del 1480, al suo posto, si trova Antonio di Biagio, con i propri familiari, eredi di Lorenzo ed a quel tempo residenti a Campi. 98 Dalla documentazione in nostro possesso, si deduce che Lorenzo era maestro d’abaco fino dal 1440, ma è molto probabile che avesse intrapreso l’insegnamento già da alcuni anni. Durante la sua attività di abacista, oltre che con Giovanni di Bartolo, egli ebbe uno stretto rapporto di amicizia anche con il facoltoso maestro Bettino di Ser Antonio da Romena. Un atto notarile del 30 agosto 1465 racconta infatti che tra il 1447 ed il 1457, Lorenzo fu spesso ospite di Bettino e dei suoi fratelli, quando i Da Romena abitavano nella Via del Cocomero, un tratto dell’odierna Via Ricasoli in San Giovanni. 99 Come vedremo, tra il 1452 ed il 1456, Lorenzo fu anche socio di Bettino in una scuola d’abaco. I due amici furono inoltre probabilmente legati ad un altro maestro d’abaco attivo in quegli anni: Mariano di M° Michele. A tale proposito, tristemente significativa sembra la presenza e la vicinanza del nome di Mariano e di quelli dei due abacisti di Campi e di Romena nei già ricordati elenchi degli Ufficiali di Notte. 100 1. 7. Mariano di M° Michele 101
Maestro Mariano nacque a Firenze verso il 1387 dall’abacista Michele di Gianni e dalla seconda moglie di questi, Dada di Omoddeo di Tura, ed ebbe almeno tre, forse quattro, sorelle o sorellastre. Anche Mariano, come Paolo dell’abaco, Giovanni di Bartolo e Lorenzo di Biagio non si sposò, e visse sempre con la sorella nubile Nanna nella casa paterna situata in Santi Apostoli, sul Lungarno Acciaiuoli. Oltre all’abitazione nel centro della città, Mariano ebbe anche un casa nel Popolo di Santa Maria dell’Antella, nei pressi di Firenze. Nel 1411 e nel 1433, egli compare, nelle Tratte, allo Squittinio per le Arti Minori del Gonfalone della Vipera, cui apparteneva il Popolo dei Santi Apostoli. Il 13 novembre 1420, lo troviamo tra le matricole dell’Arte dei Maestri di Pietra e Legname, una delle Arti Minori. I libri della Mercanzia contengono cinque scritte che si riferiscono a M° Mariano. La prima è del 12 gennaio 1413, e riguarda un pagamento effettuato dall’abacista probabilmente a seguito di una vertenza con il rigattiere Giovanni 97. Ibidem, documento 30. 98. ASF, Catasto 999, c. 89r. 99. ASF, Not. Antec. 9602, cc. 53r-53v. 100. Cfr. i documenti indicati nella nota 95, in particolare alle cc. 3r e 4v. 101. Per più dettagliate informazioni biografiche su Mariano e per i relativi documenti rimandiamo a E. Ulivi, Mariano del M° Michele, op. cit., pp. 301-346.
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di Lorenzo Corbolani. Le tre successive risalgono al 10 novembre 1447, 12 gennaio e 21 febbraio 1448, e vedono Mariano nelle vesti di creditore di Banco di Simone e compagni, anche questi rigattieri. Sempre di un suo credito si parla nell’ultima scritta del 24 luglio 1456. Interessanti sono altri cinque documenti che raccontano di alcune misure fatte da Mariano durante la costruzione dell’Ospedale degli Innocenti di Firenze, nei giorni 10 marzo 1422, 20 maggio 1423, 16 marzo 1424, 1° luglio 1424 e 19 giugno 1426. Tali documenti testimoniano un’attività parallela all’insegnamento. Fu comunque questo la principale occupazione di Mariano, che egli svolse per un cinquantennio, almeno dal 1411. Durante il lungo periodo, come si evince dalle Ricordanze del mercante Antonio di Leonardo Rustichi e da alcuni Quaderni di cassa dei Cambini, noti banchieri, nel folto gruppo degli studenti che impararono l’abaco con Mariano si ebbero gli stessi figli del Rustichi ed altri importanti mercanti fiorentini del tempo, tra cui Ugolino di Niccolò Martelli. Mariano morì il 16 febbraio 1458. Nel testamento, redatto il primo febbraio dello stesso anno, egli dispose di essere sepolto nella Chiesa dei Santi Apostoli e lasciò erede universale una nipote di nome Pippa. Poco dopo, nel suo Diario fiorentino, Luca Landucci lo ricorderà come uno dei più «valenti uomini che vissero in quel tempo a Firenze». 102 La fama di Mariano proseguì ben oltre la morte, ma nessuno scritto ci rimane di lui come attestato della sua indiscussa abilità di abacista. 1. 8. Taddeo di Salvestro da Figline L’ultimo dei maestri legati alla Bottega di Santa Trinita, fu Taddeo di Salvestro dei Micceri o Miccieri, famiglia originaria di Figline, nel Valdarno di Sopra. Le notizie di seguito riportate si ricavano dai Catasti familiari relativi al periodo 1430-1480. 103 Taddeo nacque tra il 1419 ed il 1422 e fu il quarto dei cinque figli di Salvestro di Piero di Iacopo, probabilmente un macellaio: gli altri furono Niccolò, Antonio, Simone e Tombolo. Dopo la scomparsa del padre, ancora molto giovani, i cinque ragazzi andarono ad abitare con uno zio paterno, Giovanni. Questi era un facoltoso macellaio che vantava diversi possedimenti nelle zone di Figline e di Castelfranco, e che al tempo abitava, in affitto, nel Quartiere di Santa Maria Novella sotto il Gonfalone 102. Cfr. Luca Landucci, Diario fiorentino dal 1450 al 1516, pubblicato da Iodoco del Badia, Firenze, 1883, pp. 2-3. 103. ASF, Catasto 406 (1430), cc. 229r-229v; 466 (1433), c. 467r; 621 (1442), cc. 174r-174v; 674 (1447), c. 222r; 709 (1451), c. 546r; 818 (1458), cc. 307r-308v; 922 (1469), c. 336r; 1022 (1480), cc. 378r-378v.
maestri e scuole d ’ abaco a firenze 63 del Leon Bianco. Verso il 1440, dopo la morte di Niccolò e Tombolo, i fratelli Antonio, Simone e Taddeo, lasciarono la casa dello zio, rimanendo sempre al Leon Bianco. Ma, come si deduce dai Catasti, essi attraversarono un lungo periodo piuttosto difficile dal punto di vista economico, nonostante l’attività di Simone, anche lui macellaio, e quella di Antonio e Taddeo maestri d’abaco. Antonio, nato tra il 1413 ed il 1417, si sposò con Leonarda, figlia dell’abacista Giovanni del M° Luca di Matteo, dalla quale nacquero Alessandra e Salvestro. M° Antonio morì sui trent’anni nell’ottobre del 1445. 104 Simone nacque verso il 1419-1420: sua moglie fu Monna Lisabetta che sembra gli abbia dato un solo figlio, anche lui di nome Salvestro. Taddeo si unì in matrimonio attorno al 1446 con tale Cilia dalla quale ebbe Antonio, Niccolò, Giovanbattista e Francesco. Niccolò (n.c.1453m.1527/32) seguì le orme paterne divenendo maestro d’abaco e con lui forse anche il fratello Antonio (n.c.1450-m.1501). Maestro Taddeo visse con la moglie ed i figli in Via degli Sbanditi, nel Popolo di Sant’Ambrogio del Quartiere di San Giovanni. Qui, nella Chiesa di San Pier Maggiore, fu sepolto il 30 agosto del 1492. 105 L’attività di maestro d’abaco, già avviata all’inizio del 1447, lo aveva accompagnato fino alla morte. 2. La Scuola La storia della Bottega di Santa Trinita comincia ad essere rigorosamente documentata solo dal febbraio del 1368, circa un anno dopo la morte di Paolo dell’abaco. M° Paolo si è finora generalmente considerato uno dei primi maestri, se non addirittura il fondatore della bottega d’abaco dei Soldanieri. In realtà, alla scuola dove il noto maestro lavorò almeno negli ultimi anni della sua vita, si fa solo un breve riferimento nel suo testamento, con il quale egli lasciò a Michele di Gianni ... usum et intraturam abbachi sive apotecie ipsius testatoris, et omnes panchas et discha et libros abbachi ipsius, et quidquid habet in dicta apotecia pertinens ad abbachum..., 106
designando dunque Michele, non solo erede di tutte le suppellettili della scuola e dei libri d’abaco, ma anche suo successore nella gestione della bottega. Ciò denota l’esistenza di uno stretto legame tra i due abacisti, e fa presumere che essi abbiano collaborato nella scuola citata nel documento. 104. ASF, Ufficiali poi Magistrato della Grascia 189, c. 77r. 105. ASF, Arte dei Medici e Speziali 247, c. 34r. 106. ASF, Not. Antec. 6177, c. 2v.
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Purtroppo, né sull’ubicazione di questa né sui suoi proprietari, lo stesso documento permette di dedurre informazioni. Tuttavia, le già evidenziate e strette relazioni di Paolo con la Chiesa di Santa Trinita e con Antonio Mazzinghi, che come vedremo insegnò sicuramente in Santa Trinita, prima di Giovanni di Bartolo, hanno fatto pensare che ‘l’abaco’ di cui si parla nel testamento di Paolo fosse proprio la scuola dei Soldanieri. Rimanendo nell’ambito delle congetture, e ricordando che Paolo fu discepolo e «chompagno» del maestro Biagio «il vecchio», si potrebbe anche ritenere che egli abbia addirittura studiato e poi lavorato in società con lui nella stessa bottega. A sostegno di questo, significativa può sembrare anche la sequenza con cui M° Benedetto nomina, nell’L.IV.21, i primi e più importanti maestri d’abaco del Tre-Quattrocento, scrivendo: Le dispute sono state grande et diverse proponendo quali sieno stati di più eccellentia di sapere: o Maestro Pagholo, overo Maestro Antonio, overo Maestro Giovanni. E certamente di chi à insegnato, questi tre di gran lungha gli ànno avanzati, e ciascheduno chopiosamente ne’ suoi trattati à mostro, e per quel che si truovi dal 1300 in qua sono stati chi à scritto, benché Lionardo Pisano fusse intorno allo detto tenpo dal quale tenpo sono stati questi maestri. Cioè, chome già dissi, Maestro Biagio che circha 1340 morì, al quale tenpo el grande M° Pagholo fiorì che circa a 1360 durò. E dopo questo fu M° Antonio benché morisse giovane. Dopo il quale fu Maestro Giovanni ... 107
Per contro, dobbiamo tuttavia rilevare che a Firenze, sempre nel Popolo di Santa Trinita, vicino alla scuola dei Soldanieri, tra il XIV ed il XV secolo, fu attiva un’altra importante scuola d’abaco, costituita da diversi locali e «cum curia et orto et puteo et aliis hedifitiis», 108 come si legge in un documento del 17 gennaio 1396. Il sito apparteneva allora ai fratelli Geri, Francesco e Piero di Rubellato e ai due cugini Arnoldo di Adimaro e Iacopo di Manetto, tutti della famiglia Spini; era situato sul Lungarno, l’attuale Lungarno Corsini, nel tratto compreso tra il Ponte Santa Trinita ed il Ponte alla Carraia e confinava con la Chiesa di Santa Trinita. In seguito la proprietà fu divisa tra gli Spini e le suore del Convento di Sant’Orsola, poi Sant’Agata. Anche gli Spini, come Paolo dell’abaco, furono legati alla Chiesa di Santa Trinita dove ebbero le loro sepolture e la loro cappella. Un membro della famiglia, Cristofano Spini, è anche citato nella già ricordata Provvisione del 22 agosto 1397, relativamente al lascito di Paolo; vi si legge infatti: Domnus Cristofanus Spinis et Iacobus Ubaldini de Ardinghellis habuerint et habe107. BCS, L.IV.21, c. 408v; cfr. G. Arrighi, Il Codice L.IV.21, op. cit., p. 396. 108. ASF, Not. Antec. 1208, c. 159r. Cfr. E. Ulivi, I maestri Biagio di Giovanni e Luca di Matteo e la «Bottega d’abaco del Lungarno», «Rapporto interno n. 11, Dipartimento di Matematica», Firenze, 1993, pp. 5-6.
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ant in depositum quasdam denarios de hereditate magistri Pauli de l’abaco, olim civis florentini, cui expendi debeant pro complendis, pingendis, ornandis et dotandis duabus cappellis in dicta ecclesia inceptis pro anima et de boni dicti magistri Pauli ... 109
Questi elementi inducono a non escludere che la scuola di cui si parla nel testamento di Paolo non fosse quella dei Soldanieri, posta di fronte a Santa Trinita, ma quella degli Spini, confinante con la stessa chiesa. Alcuni avvenimenti verificatisi negli anni 1368-1376, forniranno ulteriori elementi a eventuale sostegno di questa tesi. Il 17 luglio 1370, presso il notaio Ser Lando Fortini, vennero stipulati due atti notarili tra alcuni membri della famiglia Soldanieri, l’abacista Don Agostino di Vanni ed il notaio Ser Lorenzo di Ser Tano da Lutiano. 110 Nel primo documento venne sancita la conclusione di un precedente contratto in base al quale Tedaldino di Zanobi, Niccolò e Andrea di Lamberto, e Iacopozzo di Federico, tutti dei Soldanieri, avevano concesso in affitto a Don Agostino ... unam domum hodie cum apotheca, volta et palchis et curia, positam Florentie, in Populo Sancte Trinitatis, cuibus omnibus a primo Via sive Platea Sancte Trinitatis et in partem dictorum locatorum, a II dictorum locatorum et in partem Via di Porta Rossa, a III dicti Iacopozii, a IIII Via di Terma ...
Il contratto aveva avuto una validità triennale, dal primo febbraio 1368 al gennaio del 1371. Con il secondo rogito, l’affitto, di 40 fiorini l’anno e due oche, venne prorogato per i successivi tre anni, dunque dal primo febbraio 1371 fino a tutto il gennaio del 1374, ma fu stabilito che il pagamento spettasse, per il secondo triennio, a Ser Lorenzo da Lutiano. Nella Cronica del Da Lutiano, lo stesso Ser Lorenzo ricorderà quell’episodio scrivendo 1370, 17 luglio: in servigio di Don Agostino monaco, tolsi a pigione da Iacopozzo Soldanieri e da Niccola e Andrea suoi nipoti, la casa dove D. Agostino predetto tiene l’abbaco ... 111
Il sito di cui si parla nei precedenti documenti era proprio la Bottega di Santa Trinita, con annessa l’abitazione di Don Agostino. Due giorni prima la stipulazione dei suddetti rogiti, con un atto del 15 luglio 1370, i Soldanieri dichiararono anche di avere ricevuto in deposito da Ser Lorenzo 160 fiorini, da restituire dopo tre anni, al momento dell’espletamento del secondo contratto di affitto. In seguito, ed in virtù 109. Cfr. C. Botto, Note e documenti sulla chiesa di Santa Trinita in Firenze, «Rivista d’Arte», s. II, vol. X (1938), p. 12. 110. Cfr. Appendice, documenti 7 e 8. 111. Cronica, pp. 35-36.
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di un’ulteriore «scritta privata» tra il Da Lutiano e Don Agostino, fu anche deciso che tale somma dovesse essere consegnata al monaco camaldolese. 112 Successivi contratti del 28 aprile 1371 e del 14 maggio 1372 attestano l’effettivo ed anticipato pagamento, da parte di Ser Lorenzo, dei primi due anni di affitto, ma non abbiamo rintracciato nessun documento che si riferisca al terzo anno. 113 Da questo sembra di poter dedurre che Don Agostino morì, o cumunque interruppe l’insegnamento, prima che il notaio versasse ai Soldanieri la quota per tale periodo, dunque prima dell’aprile-maggio 1373. In un altro documento del 5 marzo 1375 si parla inoltre della già avvenuta morte del monaco e della restituzione di una parte del deposito lasciato da Ser Lorenzo. La valutazione della quota restituita dai Soldanieri, 77 fiorini, in rapporto a quella complessiva di 160 fiorini, fa presumere che l’abacista avesse lasciato la scuola, o fosse addirittura scomparso, già dall’estate del 1372. 114 In conclusione, tra il febbraio del 1368 ed il 1372/73, la scuola di Santa Trinita fu gestita da Don Agostino di Vanni dell’abaco. A questo punto, lasciamo per il momento le vicende della bottega dei Soldanieri, per ritornare all’altra scuola situata in Santa Trinita, quella del Lungarno. Il già ricordato documento del 17 gennaio 1396, ci informa che da quell’anno, e sicuramente almeno dal 1390 circa, il titolare della Bottega del Lungarno era il M° Biagio di Giovanni o Biagio del Guelfo, che in quel periodo ebbe come socio il suo discepolo Luca di Matteo Pelacane. 115 Di fatto, l’attività di Biagio in quella bottega doveva essere iniziata molto tempo prima, e per un certo periodo doveva essersi svolta in collaborazione con Michele di Gianni. In un rogito del 26 ottobre 1374, stipulato nel Popolo di Santa Trinita, presso lo studio notarile di Ser Bartolomeo di Ser Maso di Nello, si legge infatti: 112. Cfr. Appendice, documenti 6 e 11. 113. Ibidem, documenti 9 e 10. 114. Ibidem, documento 11. 115. Biagio di Giovanni insegnò nella Scuola del Lungarno fino al 1397, anno della sua morte. Luca di Matteo vi proseguì l’insegnamento fin verso il 1427/30. Divenuto cieco, il M° Luca fu prima aiutato e poi sostituito dal figlio Giovanni, alla cui prematura morte fece seguito il giovane nipote Calandro di Piero Calandri. Questi rimase nella scuola fino al 1442/45. In quegli anni la scuola cessò la propria attività, infatti i suoi locali vennero venduti ad Antonio di Dino Canacci ed incorporati nella sua abitazione. In seguito il sito passò alla famiglia senese dei Tegghiacci, quindi ai Gianfigliazzi che vi fecero importanti lavori di ristrutturazione, poi alla famiglia Verdi divenendo l’«Albergo delle Quattro Nazioni» che ospitò anche Alessandro Manzoni. Nell’Ottocento fu acquistato da Luigi Bonaparte che vi trascorse frequenti soggiorni.
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Imprimis, cum inveniamus dictos magistros Michelem et Biagium insimul, retroactis temporibus, sotietatem contraxisse in arte sive magisterio aghorissmi, et dictum magistrum Michelem Iannis suis propriis sumptibus emisse omnes panchas et masseritias ad dictam artem expedientes et opportunas, et inveniamus dictum Magistrum Biagium pro medietate dictarum pancharum et masseritiarum tangentium eidem Magistro Biagio ad solvendum dicto Magistro Micheli pro eius parte, et pro omni adviamento quod dictus Magister Blaxius in compositione et firmatione dicte sotietatis consecutus et adeptus fuit et habuit, promisse dicto Magistro Micheli dare et solvere, deinde ad quinque annos tunc proxime futuros, florenos auri triginta. Ac etiam reperiamus dictum Magistrum Biagium dicto Magistro Micheli re vera occasionibus suprascriptis dedisse et solvisse ex dicta summa florenorum auri triginta, florenos auri vigintiquattuor et hoc nobis constet et sit manifestum propter confessionem dicti Magistri Michelis coram nobis sponte fatta. Ac etiam ipsum Magistrum Blaxium ipsi Magistro Micheli satisfecisse integre ex residuo et de dicto residuo ... videlicet de florenis sex auri ... . Item, cum reperiamus dictum Magistrum Michelem discessisse a dicto Magistro Blaxio et dictam sotietatem sui ipsius Magistri Michelis defectu rumpisse ... laudamus, sententiamus et arbitramur ... quod ... dictus Magister Blaxius a dicto Magistro Michele ... vel dictus Magister Michael a dicto Magistro Blaxio ... aliquid dicere, petere, exigere seu requirere non possint nec debeant quoque modo ... 116
Da questo documento si deduce che i due maestri Biagio e Michele avevano fatto società in una scuola d’abaco diversi anni prima della stipulazione del rogito, e che le panche e le masserizie della scuola erano proprietà di Michele: dovevano essere le stesse, non comprate, ma da lui ereditate in base al testamento di Paolo. La società si era poi sciolta, sembra a causa di M° Michele, che era evidentemente andato in un’altra bottega d’abaco. Non molto tempo dopo, in un contratto del 17 giugno 1376, si parla della fine di una vertenza tra Michele di Gianni ed alcuni membri della famiglia Spini, Manetto e Spina di Gianni, Francesco e Geri di Rubellato. Il documento recita: Michael Iannis ... matriculatus in Arte Galigariorum Civitatis Florentie, fecit Manecto olim Iannis de Spinis, recipienti pro se et Spina eius fratre, et pro Francisco et Gerio Rubellati de dictis Spinis, finem ... de quadam sententia per Consules Artis Galigariorum Civitatis Florentie in favorem dicti Michelis contra dictum Manectum at alios predictos, lata de mense decembris proximo preterito, in qua in effectu continetur qualiter dictus Manectus et alii suprascripti condempnati fuerunt dicto Micheli in florenis decem auri occasione quarundam expensarum per ipsum Michelem in quadam domo factarum ... 117
Gli stessi Geri e Francesco di Rubellato, oltre al figlio di Manetto, Iacopo, saranno tre dei cinque proprietari della Bottega del Lungarno nominati nel documento del 17 gennaio1396. 116. ASF, Not. Antec. 14898, c.n.n. 117. ASF, Not. Antec. 9384, inserto n° 35.
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La casa di cui si parla nel rogito del 17 giugno 1376, era dunque, quasi con assoluta certezza, quella che ospitava la Bottega del Lungarno, e la stessa nella quale i maestri Biagio e Michele dovevano avere collaborato diverso tempo prima dell’ottobre 1374. A questo punto, sulla situazione verificatasi subito dopo la morte di Paolo dell’abaco e di conseguenza su quella che fu la scuola di cui si parla nel suo testamento, possiamo fare due congetture. Una possibilità è che Michele di Gianni, seguendo le disposizioni testamentarie di Paolo, sia rimasto nella scuola del maestro – la Scuola di Santa Trinita – non oltre la fine di gennaio del 1368, ossia probabilmente fino all’espletamento di un precedente contratto di affitto triennale, stilato tra Paolo ed i Soldanieri; e che poi abbia preferito lasciare quella scuola, passata di fatto a Don Agostino, per spostarsi, con tutti i banchi e le panche ereditati da Paolo, nella Bottega del Lungarno, in società con Biagio di Giovanni. L’altra possibilità è che Michele – mostrandosi in un certo senso più fedele ai voleri di M° Paolo – e senza spostare le suppellettili della sua scuola, sia rimasto almeno per qualche anno nella bottega d’abaco in cui Paolo aveva insegnato nell’ultimo periodo della sua vita, e che nella stessa scuola abbia collaborato con il M° Biagio di Giovanni. In tal caso si deve però ammettere che quella non fosse la Scuola di Santa Trinita, ma la Bottega del Lungarno; e che dunque lì sia avvenuta la collaborazione di Paolo con Michele di Gianni ed eventualmente anche con Biagio «il vecchio». Dopo lo scioglimento della società con Biagio di Giovanni e dopo Don Agostino, dunque verso il 1372/73, con buona probabilità Michele ritornò, o andò, per qualche tempo nella Bottega di Santa Trinita, prima di spostare definitivamente il proprio insegnamento nella Scuola dei Santi Apostoli, in una delle due case che aveva acquistato nel marzo del 1374. Negli anni successivi alla morte del monaco camaldolese, la storia della scuola dei Soldanieri avrà come indiscusso protagonista l’abacista, già discepolo di M° Paolo, Antonio di Giusto Mazzinghi. La sua attività nella scuola è testimoniata dall’anonimo autore dell’opera contenuta nel codice Ottobon. Lat. 3307, il quale scrive che M° Antonio ... tenne, al suo tenpo, schuola dirinpetto a Santa Trinita 118
ed è anche attestata da diversi documenti relativi a Giovanni di Bartolo, 118. BAV, Ottobon. Lat. 3307, c. 349r; cfr. G. Arrighi, La matematica del Rinascimento, cit., p. 293.
maestri e scuole d ’ abaco a firenze 69 che fu successore del Mazzinghi nella stessa bottega secondo quanto si racconta sia nell’L.IV.21 che nel codice vaticano. M° Antonio iniziò giovanissimo la propria attività di maestro d’abaco, proprio nel periodo in cui Don Agostino gestiva la Bottega di Santa Trinita, ed in collaborazione con Bernardo dei Corbizzi e col padre di questi, Tommaso di Davizzo, quel M° Tommaso che fu mallevadore nel 1357 del fratello di Paolo dell’abaco. Quattro documenti dei giorni 5-13 novembre 1371, che fanno parte degli «Atti in Cause Ordinarie» del Tribunale della Mercanzia, ci informano infatti che il 2 ottobre 1370 Antonio fece «compagnia» con i detti Tommaso e Bernardo: il relativo contratto prevedeva che i tre maestri insegnassero insieme, per sei anni, in una scuola situata nel Popolo di Santa Margherita, sotto il Gonfalone del Vaio del Quartiere di San Giovanni. Circa un anno dopo, però, verso l’ottobre del 1371, il Mazzinghi, contravvenendo alle disposizioni contrattuali, lasciò la scuola di Tommaso e fece «compagnia con altrui», portando con sé parte degli scolari, a danno dello stesso Tommaso. Questi si rivolse allora al Tribunale della Mercanzia per ottenere da Antonio o il suo rientro nella scuola, oppure il risarcimento del danno materiale subito. 119 Purtroppo non conosciamo l’esito della sentenza emessa dal tribunale, non sappiamo se Antonio si sia poi eventualmente riunito a Tommaso e Bernardo, come non ci è noto dove e con chi egli abbia costituito una nuova società dopo aver lasciato la Scuola di Santa Margherita. Sicuramente, nel 1371, egli non poteva essere in Santa Trinita, dove era ancora in attività Don Agostino. Non è invece da escludere che gli «altrui» di cui si parla nella Mercanzia, fossero proprio Michele e Biagio e che dunque il Mazzinghi abbia insegnato con loro nella Scuola del Lungarno tra il 1371 ed il 1372/73, per poi passare nella bottega dei Soldanieri, subito dopo la scomparsa del monaco camaldolese, forse collaborandovi, per qualche tempo, con Michele di Gianni. Antonio lavorò nella Bottega di Santa Trinita fino alla morte, avvenuta, come ricordiamo, tra la fine di agosto del 1385 e l’inizio del 1391. Facendo ancora riferimento al racconto di M° Benedetto, entra in scena a questo punto il M° Giovanni di Bartolo. In un noto passo dell’L.IV.21, si legge: Maestro Giovanni di Bartolo inchominciò a insegnare circa 1390 e, chosì chome il suo maestro morì govane, anchora lui govane chominciò in questo modo. Morto il suo Maestro Antonio, persuaso et aiutato da certi amici di M° Antonio et anchora 119. Cfr. E. Ulivi, Per una biografia di Antonio Mazzinghi, op. cit., pp. 117-120.
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da’ suoi, benché di diciannove anni fusse, gli feciono aprire la medesima schuola et favoregiandolo quant’era possibile. E per sua govaneza pocho dagli altri che ‘nsegnavano conosciuto.
Come scrive ancora Benedetto, i maestri d’abaco di altre botteghe di Firenze – Michele di Gianni di quella in Santi Apostoli, Biagio di Giovanni e Luca di Matteo della Bottega del Lungarno – ritenendo Giovanni un «fancullotto» ancora inesperto ed inadatto a gestire da solo una scuola sicuramente prestigiosa come quella di Santa Trinita, decisero di scegliere, ciascuno nella propria scuola, gli alunni migliori, e di mandarli a lezioni da M° Giovanni, ponendogli dei quesiti che potessero metterlo in difficoltà. Ma l’abilità dell’abacista era tale che ... a uno a uno chiamatogli, la materia loro che volevano mostrò. E poi, tutti insieme ragunati, chominciandosi a uno di loro dal principio per insino a quanto durò il tempo, mostrò e’ dubi e chiarì loro in modo che stupefatti, certi che v’erano, si ricordarono di Maestro Antonio. E parve loro, in quel pocho di spatio, avere più inparato che ‘l resto del tenpo agli altri; onde, seguitando, pervennono in modo che molti di loro furon per lo’ propia voluntà sopinti a dire et fare villania a’ loro maestri primi, solamente avendo chonpreso la intensa invidia che gli portavano. 120
In realtà, Giovanni di Bartolo, nato come ricordiamo attorno al 1364 – datazione deducibile da tutti i suoi Catasti – aveva diciannove anni non verso il 1390, come scrive Benedetto, ma verso il 1383, anno in cui, però, Antonio Mazzinghi era senz’altro ancora in vita. Quanto riferisce l’autore del codice L.IV.21, peraltro oltre un settantennio dopo lo svolgersi dei fatti, è dunque, almeno in parte, inesatto. Ci fornisce però, assieme ad alcuni documenti, gli elementi per ricostruire ipoteticamente, come segue, i primi anni dell’ attività didattica di Giovanni di Bartolo. Con buona probabilità fu verso il 1383, appunto sui diciannove anni, che Giovanni iniziò ad insegnare in Santa Trinita, come coadiutore del suo maestro Antonio. Circa tre anni dopo, nel 1386, Giovanni doveva essere un abacista già esperto ed affermato, tanto da essere chiamato dall’Opera di Santa Maria del Fiore per misurare una casa da loro acquistata. 121 Attorno al 1390/91, quando era ancora molto giovane – dopo la prematura scomparsa del Mazzinghi e dopo un periodo di inattività della scuola – egli deve aver riaperto la bottega del maestro, divenendone il titolare, e suscitando in tal modo il risentimento dei più anziani colleghi. L’attività di M° Giovanni nella Scuola di Santa Trinita è di fatto rigorosamente documentata a partire dal 1391. In seguito ad un legato testa120. Per questo passo e per il precedente cfr. BCS, L.IV.21, c. 431v; cfr. G. Arrighi, Il Codice L.IV.21, cit., pp. 397-398. 121. AOSMFF, II.1.22, c. 7v: documento del 2 agosto 1386; cfr. E. Ulivi, Per una biografia di Antonio Mazzinghi, op. cit., p. 114.
maestri e scuole d ’ abaco a firenze 71 mentario del defunto Niccolò di Lamberto di Messer Tignoso Soldanieri, a favore della Chiesa di Santa Trinita, 122 con un documento notarile del 16 novembre 1391, 123 relativo ad un debito contratto dallo stesso Niccolò con il Comune di Firenze, da lui e dai suoi eredi non soluto, i «Regulatores introytorum et expensarum Comunis Florentie» stabilirono che le chase dove sta Maestro Giovanni dell’abacho et Michele legnaiuolo, lequali furono di Niccolò di Lamberto Soldanieri, non si possano vendere né impegnare sanza licentia dello abbate e sindico di Santa Trinita 124
Una delle case di cui si parla nel documento era proprio il sito che ospitava la Bottega d’abaco di Santa Trinita, al tempo gestita da M° Giovanni. In un precedente atto del 29 settembre 1391, stipulato tra la solita chiesa e gli eredi di Niccolò di Lamberto, Federico e Filippo di Iacopozzo Soldanieri, veniva anche indicata l’ubicazione della bottega del legnaiolo Michele di Andrea, citato nella pergamena del 16 novembre, bottega che si trovava nei pressi della scuola, ossia: ... Florentie, in Populo Sancte Trinitatis, iuxta Plateam de Spinis et supra angulo sive iuxta angulum Porte Rubee, cui a I via sive platea predicta, a II Via Porte Rubee, a III et IIII dictorum Filippi et Federighi de Soldaneriis, infra hos confines vel alios veriores. 125
Successivi documenti notarili attestano che M° Giovanni continuò anche in seguito ad insegnare in Santa Trinita. Un contratto del 31 gennaio 1393, stipulato con Filippo di Iacopozzo dei Romaneschi, già dei Soldanieri, 126 ne stabiliva l’affitto – di 19 fiorini e mezzo l’anno più un’oca da consegnare in occasione della festa di Ognissanti – per due anni, a decorrere dal passato primo novembre 1392. Nel documento si descrive esplicitamente unam apotecham, cum curia, puteo, volta et palco, actam ad tenendum agurismum, positam in Populo Sancte Trinitatis de Florentia ... 127
Un altro rogito dell’ 8 aprile 1400 riguarderà ancora il saldo dell’affitto relativo ad un non precisato periodo precedente il 1397 122. Niccolò di Lamberto fece testamento il 15 settembre 1385: ASF, Diplomatico, normali, Santa Trinita. 123. Cfr. Appendice, documento 14. 124. Si legge all’esterno della pergamena che contiene il documento. 125. ASF, Diplomatico, normali, Santa Trinita, 29 settembre 1391. 126. Infatti, il 20 febbraio 1380, «Nobilis vir Iacopus quondam Federigi de Soldaneriis, spetiarius, civis florentinus, dixit se de cetero velle appellari de Romaneschis de Porta Rossa, et sibi, et suis pro novis armis eligit scutum cum campo aureo, sive giallo cum porta rubea, et scuto circumdato vario»: cfr. Istoria fiorentina di Marchionne di Coppo Stefani, VIII, Firenze, MDCCLXXXI, in Delizie degli Eruditi Toscani, XIV, pp. 268-269. 127. Cfr. Appendice, documento 15. Nello stesso documento si ricorda anche l’atto di emancipazione di Giovanni di Bartolo, rogato da Ser Leonardo di Ser Giovanni del Monte.
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... de quadam apotheca ... in qua dictus Magister Iohannes solitus est tenere pueros ad agurismum ... 128
Ulteriori riferimenti alla Bottega di Santa Trinita si leggeranno nei Catasti di M° Giovanni degli anni 1427, 1431 e 1433. 129 Nel Catasto del 1427, egli dichiara: Tengho a pigione la bottegha dell’abacho a Santa Trinita, della quale pagho l’anno fiorini 17 e una ocha in questo modo: che i cinque ottavi sono di Iachopo di Piero Deti et i tre ottavi sono di Gabriello di Pinzano Soldanieri et ciptadino d’Udine in Frigoli ... 130
A quel tempo, la Scuola di Santa Trinita era dunque comproprietà di Gabriello di Pinzano Soldanieri e Iacopo di Piero Moscardi Deti, ai quali M° Giovanni – come egli stesso dichiara – continuava a pagare l’affitto della bottega. L’abacista doveva lavorare ancora nella scuola, nonostante scriva lamentosamente: Signori Uficiali, io sono vechio d’età d’anni 63 e sono istato infermo ogimai 9 anni, ché io cadi e disovolai l’oso della coscia e ma non ò potuto guarire, e, in questo tempo, ò logoro ogni mia sustazia e isviata la scuola perché no’ l’ò potuta esercitare perché stetti lungho tempo nel letto fasciato e lenzato. Come la scuola mia sia in puto mandatelo a vedere. Io non posso andare, né andrò mai più se non è a grucie con grande faticha. 131
Nel 1433, dopo un’analoga dichiarazione, Giovanni aggiungerà peraltro: ... ho circa di 40 fanciugli. 132
Quasi sicuramente, già dal 1433, e comunque negli ultimi anni di vita, Giovanni, ormai anziano e claudicante, fu aiutato nella conduzione della scuola da quello che sarà il suo erede testamentario, Lorenzo di Biagio. Nel 1433 Lorenzo aveva infatti circa 19 anni, proprio l’età verso la quale lo stesso Giovanni e diversi altri abacisti avevano intrapreso l’insegnamento come collaboratori di maestri più anziani. Dopo il maggio del 1440, cioè dopo la morte di Giovanni, Lorenzo proseguì da solo l’operato del suo maestro in Santa Trinita. Tutto ciò risulta testimoniato da un atto del Tribunale della Mercanzia datato 16 maggio 1446. Qui si parla di una causa mossa da Iacopo Deti contro Lorenzo di Biagio il 20 maggio 1444, quattro anni dopo la scomparsa di M° Giovanni, per non avere ricevuto parte dell’affitto della Bottega di Santa Trinita 128. Cfr. Appendice, documento 17. 129. Cfr. la nota 72. 130. ASF, Catasto 24, c. 1182r; cfr. G. Arrighi, Il Codice L.IV.21, op. cit., p. 375. 131. ASF, Catasto 24, c. 1182r; cfr. G. Arrighi Il Codice L.IV.21, op. cit., p. 376. 132. ASF, Catasto 441, c. 693r. 133. Cfr. Appendice, documento 23.
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... che tene[va] lu decto Maestro Iohanni, e quando viveva, et etiam deo lu decto Lorenzo, de poi la morte dello decto maestro Iohanni ... .
Il debito era di 11 fiorini, 7 soldi e 5 denari, ... difalgato tucto quello che lu decto Lorenzo e Maestro Iohanni avessero facto di spesa nel decto sito, e denari che essi dicono avere dati alla donna dello decto Iacobo quando lu decto Iacobo era nella Marcha ... . 133
Come dimostrano, sia il precedente documento che le sue stesse dichiarazioni catastali, Lorenzo non era, in quegli anni, in agiate condizioni economiche, e poco tempo dopo la morte di Giovanni egli lasciò la scuola, forse non potendone sostenere l’affitto. Infatti, nei Catasti dell’agosto-settembre 1442, i due proprietari della bottega, Iacopo di Piero Deti e Dorigo di Gabriello Soldanieri, l’erede di Gabriello di Pinzano, elencheranno rispettivamente, tra i loro possedimenti: V ottavi d’una bottega fu a uso d’abbacho, posta in su la Piaza di Santa Trinita, appigionavasi per fiorini diciassette l’anno, oggi è appigionata per fiorini XIIII d’oro, tocchane a Iachopo per 5/8. 134 Una partte uno albergho, cioè 3/8, posto nel Popolo di Santta Trinita, che da primo Portta Rossa, 1/3 Terma, da 1/4 del Biancho, 1/5 uno degli Archangiogli e per non diviso chon Papi Deti, overo cho’ Guido Deti, e tiello a pigione Iachopo di Felice alberghatore: danne, coh una bottegha, e teneva Maestro Giovanni del’ abacho, danne f. trenta. 135
Dunque, nel 1442, la bottega dei Soldanieri-Deti non ospitava più una scuola d’abaco, ma era passata ad un albergatore. Lasciata la Scuola di Santa Trinita, tra il 1446 ed il 1452, Lorenzo fu maestro d’abaco pubblico a Prato. Tornato a Firenze, egli svolse, almeno per un certo periodo, la propria professione in collaborazione con il già ricordato abacista Bettino di Ser Antonio da Romena. In particolare, tra il 1452 ed il 1456, M° Bettino fu titolare di una scuola d’abaco, situata nel Popolo di Santa Maria e Stefano alla Badia, in Via San Martino, ora Via Dante Alighieri, e i cui locali confinavano con la splendida Badia fiorentina, allora sede di una delle più importati biblioteche di Firenze. Nel contratto di affitto della scuola, che apparteneva ai frati del convento, il mallevadore di Bettino – oltre che suo socio – fu proprio Lorenzo di Biagio. 136 Dalle dichiarazioni catastali di alcuni confinanti di Lorenze, tra cui il pit134. ASF, Catasto 608, c. 570r; cfr. E. Ulivi, Mariano del M° Michele, op. cit., p. 311. 135. ASF, Catasto 621, c. 122r; cfr. E. Ulivi, Mariano del M° Michele, op. cit., p. 312. 136. ASF, Corpor. rel. soppr. dal gov. franc. 78, 78, c. 169d; 78, 261, c. 132r. Per la notizia relativa all’attività didattica di Lorenzo a Prato si ringrazia Roberto Black che ha svolto e sta svolgendo importanti studi sull’insegnamento, in particolare della grammatica, nella Toscana del Medioevo e del Rinascimento.
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tore Neri di Bicci, sembra che l’abacista di Campi, tra il 1458 ed il 1469, abbia poi insegnato nella sua stessa abitazione di Via San Salvatore ereditata da Giovanni di Bartolo. 137 Ma abbandoniamo definitivamente Lorenzo, e ritorniamo indietro nel tempo, alle vicende della Scuola di Santa Trinita, che dopo il 1442 ebbe, seppure per poco, un altro periodo di attività. Nei Catasti del febbraio-marzo 1447 di Iacopo Deti, Dorigo Soldanieri e del maestro Mariano di M° Michele si legge infatti rispettivamente: 5 parti d’uno chasamento con corte e pozo e volta sotto terra a uso d’abacho per non diviso con Oderigho Soldanieri, posto in detto Popolo, che da primo la Piaza di Santa Trinita, a secondo la Via di Terma, da 1/3 io medesimo, a 1/4 delli Archangnoli, chome di sopra vi dicho. E’ apigionata all’erede d’Antonio da Feghina, danne l’anno f. 17 e tocchane a me 5/8. 138 Tre ottavi d’una bottegha atta all’abacho, posta in detto Popolo e luogho, a primo e 2° via, terzo e quarto detti aloghatori ed altri. Tiella a pighone Antonio da Fighine 139 ed altri, e sengnavi l’abbacho; dannone di fitto del tutto f. diciasette l’anno, tocchane a Dorigho, per tre ottavi, f. sei e tre ottavi, cioè f. 6 3/8 l’anno. 140 Tengho a pigione una bottegha d’abacho posta a la Piazza degli Spini, paghasene di detta bottegha f. 17, tocchane a paghare a Mariano detto, per la sua parte, f. sette, e paghansi a Papi Detti. 141
Nel febbraio del 1447, e da qualche tempo, la Bottega di Santa Trinita era dunque ritornata «a uso d’abacho»; era la stessa bottega che Mariano diceva «posta a la Piazza degli Spini», e per la quale egli pagava solo una parte dell’affitto di 17 fiorini a «Papi Detti», cioè Iacopo Deti. La pigione veniva divisa, in diversa proporzione, tra l’«erede» dell’abacista Antonio di Salvestro dei Micceri da Figline, quasi sicuramente suo fratello Taddeo, 142 «ed altri» ossia M° Mariano: spettavano esattamente 10 fiorini a Taddeo e 7 a Mariano. Fino al febbraio del 1442, e già da prima della morte del padre, M° Mariano aveva lavorato nella Bottega dei Santi Apostoli, fondata dallo stesso Michele. Ma il 2 marzo 1442 – sembra con l’intento di lasciare per 137. ASF, Catasto 794 (1458), c. 94r; 907(1469), c. 68r. 138. ASF, Catasto 646, c. 48r; cfr. E. Ulivi, Mariano del M° Michele, p. 312. 139. Qui, analogamente a come si legge nel precedente Catasto di Iacopo Deti, deve intendersi «Tiella a pighone l’erede di Antonio da Fighine ...». Ricordiamo che, a quel tempo, Antonio da Figline era già morto. 140. ASF, Catasto 674, c. 891r; cfr. E. Ulivi, Mariano del M° Michele, p. 312. 141. ASF, Catasto 668, c. 103r; cfr. E. Ulivi, Mariano del M° Michele, p. 313. 142. In un documento della Mercanzia del 16 maggio 1446, Taddeo e suo fratello Simone sono di fatto citati proprio quali eredi di Antonio da Figline: ASF, Mercanzia 1360, cc. 84v-85r. Dei due eredi, solo Taddeo ci risulta avere svolto l’attività di maestro d’abaco. Anche nell’L.IV.21, gli unici membri della famiglia Micceri che Benedetto elenca tra i maestri d’abaco di Firenze sono Antonio e Taddeo; BCS, L.IV., 21, c. 408v; cfr. G. Arrighi, Il codice L.IV.21, op. cit., p. 396.
maestri e scuole d ’ abaco a firenze 75 un periodo l’insegnamento e di ritirarsi nella casa di campagna all’Antella – egli stipulò un contratto con Antonio di Salvestro. Nel documento, Mariano si impegnava a lasciare ad Antonio la propria abitazione in Santi Apostoli e la bottega sottostante per quattro anni, in cambio di un affitto annuale di 70 fiorini. Di fatto, nel successivo Catasto del gennaio 1443, Mariano non risultò più abitante in Santi Apostoli e non dichiarò alcuna attività. Mentre Mariano soggiornava forse all’Antella, dopo l’estate del 1442, Dorigo Soldanieri e Iacopo Deti decisero di riadibire «a uso d’abaco» la bottega che era stata di M° Giovanni e che era poi passata ad un albergatore. Molto probabilmente fu Taddeo dei Micceri ad assumere la gestione della scuola, e Mariano – mentre la Bottega dei Santi Apostoli era ancora di M° Antonio da Figline – riprese l’insegnamento come aiutante di Taddeo, con un carico didattico minore e quindi con l’onere di una parte minore dell’affitto totale. Considerando che nel gennaio 1443 Mariano non insegnava, e che Antonio di Salvestro morì alla fine di ottobre del 1445, cinque mesi prima dell’espletamento del suddetto contratto, sembra di poter collocare la data di riapertura della Scuola di Santa Trinita verso il biennio 1443-1445. Come si è visto, nel febbraio del 1447, la scuola era ancora attiva. Ma nell’agosto del 1451, Mariano non sarà più in quella scuola, e sarà di nuovo in Santi Apostoli, dove rimase definitivamente fino alla morte, affiancato nell’insegnamento dai maestri Banco di Piero Banchi e Benedetto di Antonio da Firenze. 143 Dalle Portate catastali di Dorigo Soldanieri e di Piertommaso di Iacopo Deti, relative all’anno 1451, risulta infatti che il sito «dove già si fece abbacho» era ormai divenuto «a uso di legnaiolo». Finisce così la storia della gloriosa Bottega di Santa Trinita.
143. È probabile che, dopo la morte di Antonio da Figline, Mariano – pur lavorando con Taddeo in Santa Trinita – abbia insegnato contemporaneamente anche nella Scuola dei Santi Apostoli. In questa bottega, dopo la scomparsa di Mariano, continuò ad insegnare il M° Banco, forse coadiuvato da un nipote dello stesso Mariano, l’abacista Niccolò di Lorenzo. Tra il 1480 ed il 1527, seguirono Taddeo dei Micceri con suo figlio Niccolò, che ebbe come collaboratori i maestri Piero di Zanobi e Giuliano di Buonaguida della Valle. Sulla scuola dei Santi Apostoli cfr. E. Ulivi, Mariano del M° Michele, op. cit., pp. 306, 310-314 e E. Ulivi, Benedetto da Firenze, op. cit., pp. 43-5.
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elisabetta ulivi APPENDICE : DOCUMENTI DELL’ARCHIVIO DI STATO DI FIRENZE
1. Mercanzia 1077, cc. XIIIV-XVr 13 novembre 1342 Coram vobis domino offitiale et iudice supradicto, Michele quondam Tenerucci Populi Sancti Simonis de Florentia, procurator et procuratorio nomine Mingoccii Niccholuccii de Senis, in causa et questione quam dicto nomine habet cum Iohanne olim Ser Pieri dell’abacho, Populi Sancti Fridiani de Florentia, occasione sequestri et extagimenti facti de dicto Iohanne de mandato vestro, ad ipsius Michaelis procuratoris petitionem, penes carceres Stincarum Comunis Florentie, pro dicta quantitate et debiti florenorum auri sexaginta, non discedendo propterea ab aliis per eum, dicto nomine, productis et factis in dicta causa, sed ipsis potius in herendo et insistendo, ad probandum et fidem nobis faciendum de iure dicti Mongoncii super dicta sua petitione, et in dicta causa probare et fidem facere capitula infrascripta, videlicet protestans quod se non astringit ad omnia infrascripta probandum, sed ad ea solum que sibi probata sufficiant ad victoriam sue cause. // Inprimis quod dicta scripta producta per dictum Michelem dicto nomine in causa predicta fuit scripta et facta manu propria dicti Ghini Simonis, Populi Sancti Michaelis Bertoldi de Florentia, et subscripta manu propria dicti Iohannis, cuius quidem scripte et subscriptionis tenor talis est: Al nome de Dio amen. Facta a dì XXVII d’ottobre anno milleCCCXLI. Sia manifesto a ttutti coloro che vedaranno questa, ch’io Ghigo di Simone, Popolo Sa’ Michele Bertoldo di Firenze, confesso et recognosco a Ser Bertolo Gardozzi, notaio di Firenze, ricevente per Mingoccio di Niccoluccio da Siena, che questo dì detto di sopra io ò avuto e ricevuto in deposito dal detto Ser Bartolo, dante e diponente per lo detto Mingoccio, dela pecunia del detto Mingoccio, fiorini d’oro sessanta, i quali sexanta fiori[ni] d’oro io Ghigho predetto principale, e per mio prego e per mio mandato, Giovanni figliuolo che fu di Ser Piero dell’abacho, del Popolo di San Friano, malevadore, e ciaschuno di noi, obligandosi principalmente in tutto promettiamo al detto Ser Bartolo, ricevente per lo detto Mingoccio di rendergliele e ristituire di qua a uno mese proximo ... . E per chiarezza di ciò, io Ghigho predetto ò fatto questa scripta di mia mano e sugellata di mio sugello in Firenze, nello Popolo di San Iacopo tra le Fosse e di Simone di Bonaiuto del detto Popolo di San Iacopo. Io Giovanni di Ser Piero predetto, per prego del detto Ghigho, prometto e obligo me e le mie heredi e beni al detto Ser Bartolo, ricevente per lo detto Mingoccio, e renuntio e fo come // di sopra è scripto per lo detto Ghigo; e per chiarezza di ciò ò soscripto di mia mano el detto dì e luogo, in presentia di detti testimoni. Item quod dictus Iohannes presens fuit et erat quando dictus Ghighus fecit et scripsit sua manu propria et sigillavit suo sigillo dictam scriptam, in cuius scripte parte inferiori dictus Iohannes sua manu propria subscripsit, ut dictum est ... . Item quod dictus Iohannes post predicta plura et plura fuit confessus et recognovit se esse debitorem dicti Mingocci, in dicta et pro dicta quantitate et debito sexaginta florenorum auri ex dicta causa, et ipsos eidem solvere promisit et convenit ... . // Ad petitionem dicti Michelis Teneruccii ... Iohannes Scampati, nuntius dicti officialis et sue Curie, retulit se ipsius officialis licentia et mandatu personaliter apud Stinchas
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carceres Comunis Florentie citasse et requisisse Iohannem Ser Pieri dell’abacho, Populi Sancti Fridiani predicti, et Ser Nerium Benevieni notarium, qui se dicit suum procuratorem, quod hodie ante vesperas comparere debeat coram dicto officiali et eius Curia, ad videndum iurare testes inductos in dicta causa et ad eligendum notarium pro parte sua et ad accipiendum copiam dicte intentionis et ad procedendum in causa predicta ... .
2. Diplomatico, normali, Santo Spirito 27 aprile 1344 In Dei nomine amen. Anno ab eius incarnatione millesimo trecentesimo quadragesimo quarto, indictione duodecima et die vigesimo septimo mensis aprilis. Actum in Populo Sancti Stefani Maioris Abbatie Florentine ... . Filippus olim Vannis Cambii, Populi Sancti Iacobi Ultrarnum de Florentia, fuit in veritate confessus se, ex causa mutui, habuisse et recepisse a me Bonaiuto, notario infrascripto, eidem dantibus et solventibus et mutuantibus pro se et Iohanne Tendi de Castro Sancti Iohannis, notario, qui moratur in dicto Populo Sancti Iacobi Ultrarnum de Florentia, triginta florenos ... . Item postea, eisdem anno, indictione et die ... . Iohannes olim Ser Pieri et Iohannes vocatus Goghus olim Dini, vaiarus, dicti Populi Sancti Fridiani, ambo simul et uterque eorum in solidum et in totum, precibus et mandato dicti Filippi Vanni Cambii, dicti Populi Sancti Iacobi ... extiterunt fideiussores et in omnibus et per omnia promisserunt ... mihi Bonaiuto notario infrascripto ... quod dictus Filippus Vannis Cambii dabit et solvet dicto Ser Iohanni Tendi vel suis heredibus aut cui vel quibus concesserit, dictos triginta florenos auri, sub pena dupli dicte quantitatis ... .
3. Diplomatico, normali, San Miniato al Monte (Olivetani) 28 maggio 1363 In Dei nomine amen. Anno ab eius incarnatione millesimo trecentesimo sexagesimo tertio, indictione prima, die vigesimo octavo mensis maii. Actum in Populo Sancte Felicitatis de flumine Coturni, presentibus testibus ... . Bettinus olim Cionis ... hodie Populi Sancti Bartoli de Molezzano, se suosque heredes et bona, obligavit infrascripto Dompno Augustino ... rectori Ecclesie Sancti Bartoli de Molezzano, Florentine Diocesis, pro se et dicta ecclesia et suos successores recipienti, omnia et singula iura et actiones ... sibi pertinentia et expetanctia adversus et contra Ser Pistoiam olim Iannis, notarium Populi Santi Laurentii de Florentia, principalem, et Federighum olim Talduccii, Populi Sancti Bartoli de Molezzano, fideiussores, et quemlibet eorum in solidum, et eorum et cuiuslibet eorum heredes ... occasione cuiusdam debiti decem florenorum auri et sex staria grani, quos decem florenos et sex staria grani dicti Ser Pistoia et Federighus fideiussores dicto Bettino ex causa afficti dare et solvere ... tenebantur, ut patet publico instrumento afficti et guarentigie, publice scripto manu Ser Cennis Benvenuti de Vigiano, notarii, sub anno Domini MCCCLII, indictione decima, die nona mensis octubris ... . Quam donationem dictus Bettinus fecit pro remedio et salute anime sue, cum pacto et conditione quod dictus Dopnus Augustinus teneatur et debeat dictam quantitatem sibi donatam convertire in utilitatem dicte ecclesie, prout eidem Dopno Augustino videbitur et placuerit utilius fore pro anima dicti Bettini ... .
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4. Diplomatico, normali, San Miniato al Monte (Olivetani) 31 gennaio 1364 In Dei nomine amen, anno Domini millesimo trecentesimo sexagesimo tertio, indictione secunda, die trigesimo primo ianuarii. Actum a Colle, in Populo Sancti Michelis de Ronta ... . Clareat evidenter, ex tenore huius publici documenti, quod Bettinus olim Cionis, Populi Plebis Sancti Casciani de Padule, presente et consentiente Donno Agostino, rectore Ecclesie Sancti Bartoli de Molezzano, florentine Diocesis, fecit, constituit et ordinavit suum verum et legiptimum procuratorem ... Ser Mannum quondam Nigri, notarium florentinum ... spetialiter et nominatim in omnibus suis litibus ... quas habet vel abiturus est cum quacumque persona ... ad agendum, causandum et defendendum ... . Et generaliter ad omnia et singula alia faciendum ... que in predictis ... videbuntur opportuna ... .
5. Corporazioni religiose soppresse dal governo francese 168, 38: Spoglio di cartepecore del Monastero di San Bartolomeo di Monte Oliveto, p. 172 10 aprile 1364 Compromesso e lodo di fine e quietanza d’ogni ragione tra Prete Agostino, rettore della Chiesa di San Bartolo di Molezzano, per detta chiesa, e Pistorese chiamato Pistoia, come per contratto in carta pecora rogato da Ser Ottaviano del fu Ser Albertino da Puliciano, notaro imperiale, sotto dì 10 aprile 1364, al n° 617.
6. Notarile Antecosimiano 11382, cc. 137v-138r 15 luglio 1370 Al nome di Dio, anni MCCCLXX, a dì XV del mese di luglo. Sia manifesto a chiunque vedrà questa scritta che noi Iacopo di Federico e Nicola e Andrea, fratelli e figliuoli di Lamberto, tutti de’ Soldanieri, citadini di Firenze ... confessiamo e riconosciamo allo infarscritto Ser Lorenzo d’avere avuto e ricevuto ... in deposito e per nome di deposito da Ser Lorenzo figliuolo che fu di Ser Tano da Lutiano, notaio fiorentino, fiorini ciento sesanta di buono e puro oro ... i quali fiorini ciento sesanta così buoni, noi Iacopo, Nicola e Andrea ... prometiamo ... rendere ... al detto Ser Lorenzo o a sue rede di qui a tre anni prosimi che vengnano, incominciando il tempo in chalen di febraio prosimo che viene mille treciento setanta in Firenze ... //... . Io Iacopo predetto, in presenza e di volontà de’ detti Nicola e Andrea, ò fatto questa iscritta di mia propria mano, presenti gli infrascritti testimoni, e per tutti loro soscritta, cioè Franciesco d’Angnolo de Vertine, Popolo Santa Maria Novella, e Lodovico d’Andrea, Popolo San Lorenzo, e Ser Lando Fortini, Popolo San Pier Magiore ... .
7. Notarile Antecosimiano 11382, c. 136r 17 luglio 1370 Finis Dompni Agustini et illorum del Soldanieris In Christi nomine amen. Anno eiusdem ab incarnatione millesimo trecentesimo septuagesimo, indictione octava, die decimoseptimo mensis iulii. Actum Florentie,
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in Populo Sancte Trinitatis et presentibus testibus Francisco Angeli de Vertine, Populi Sancte Marie Novelle, et Gherardo Ser Ugolini, dicti Populi Sancte Trinitatis de Florentia, ad hec habitis et rogatis. Certum esse dicitur quod Tedaldinus olim Zanobi et Nichola olim Lamberti, ambo de Soldaneriis et Populi Sancti Pancratii de Florentia, eorum et cuiusque ipsorum nominibus et procuratorio nomine Iacopozii [olim] Frederighi et Andree olim Lamberti de dictis Soldaneriis, Populi Sancte Marie Novelle de Florentia, locaverunt ad pensionem Dompno Agustino quondam Vannis, rectori Ecclesie Sancti Bartolomei de Molezano, florentine Diocesis, unam domum sive apothecam predictorum Tedaldini, Nichole, Iacopozii et Andree, positam Florentie in Populo Sancte Trinitatis, cui a primo Via di Porta Rossa et in partem predictorum de Soldaneriis, a II Via de Terma, a III dicti Iacopozii, a IIII Via di Porta Rosa et in partem predictorum de Soldaneriis, de anno Domini MCCCLXVII, pro certo termino et certa quantitate pensionis. De qua locatione et conditionibus dixerunt constare in publico instrumento exinde confecto manu Ser Bartolomei Ser Nelli, notarii florentini. Unde hodie, presenti suprascripta die, prefati Iacopozius, Andreas et Nichola et quilibet eorum in solidum, et vice et nomine heredum dicti quondam Tedaldini pro quibus de rato et rati habere promiserunt et omnia in presenti contractu servabunt et contra numquam facient vel venient sub infrascripta pena solempni stipulatione premissa dicto Dompno Agustino presenti et ut infra recipienti et stipulanti, ex parte una, et dictus Dompnus Agustinus ... ex parte altera, fecerunt inter se et sibi invicem et vicissim ... generalem finem, remissionem, et pactum perpetuum de ulterius non petendo de dicta locatione et conductione ... et de omnibus in eodem instrumento contentis ... . Salvo tamen et excepto et expresse ... quod liceat libere dicto Dompno Agustino, per se vel alios, stare, habitare et morari in dicta domo ... et habitare, uti et frui hinc ad diem primam mensis februarii proxime venturi, non obstantibus predictis vel infrascriptis ... sub pena florenorum auri ducentorum ... .
8. Notarile Antecosimiano 11382, cc. 136r-137r 17 luglio 1370 Locatio illorum de Soldaneriis facta per Ser Laurentio Item postea, dictis anno, indictione, die et loco et presentibus dictis testibus ad hec habitis et rogatis. Pateat omnibus evidenter quod prefato Iacopozius olim Frederighi, Nichola et Andreas olim Lamberti de dictis Soldaneriis ... locaverunt et concesserunt ad pensionem, videlicet dictus Iacopozius quinque partes de octo partibus, et dicti Nichola et Andreas tres partes de dictis octo partibus infrascriptorum bonorum, Ser Laurentio quondam Ser Tani // de Lutiano, notario Populi Sancti Laurentii de Florentia, presenti et pro se suisque heredibus et cui vel quibus infrascripta bona pro infrascripto tempore ... locaverit ... unam domum hodie cum apotheca, volta et palchis et curia, positam Florentie, in Populo Sancte Trinitatis, quibus omnibus a primo Via sive Platea Sancte Trinitatis et in partem dictorum locatorum, a II dictorum locatorum et in partem Via di Porta Rossa, a III dicti Iacopozii, a IIII Via di Terma ... pro tempore et termino trium annorum inhitiandorum die primo mensis februarii proxime venturi ... . Promictentes etiam dicti locatores ... dicta bona loca[ta], in totum vel aliquam eorum partem pro dicto tempore alteri non locare ... . Salvo tamen et excepto quod dictus Ser Laurentius non possit acquirere in dictis bonis aliquod ius intrature ... et dicto tempore trium annorum predictorum finito, dicta
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bona omnia dimictere et relaxare vacua libera et expedita .... et dare et solvere ... dictis locatoribus vel eorum heredibus .... quolibet annorum dictorum trium annorum ... in summa florenos auri quadraginta ponderis et conii florentini. Et cum et sub hoc tamen pacto salvo et reservato ... quod cum, ut ipsi contrahentes tunc asseruerunt, hedificationes facte et constructe in dicta domo supra locata, de propria pecunia dicti Ser Laurentii de voluntae dictorum locatorum, quoddam caminum et quadam clausura de lateribus, a pilastro dicte domus usque ad plateam ... et etiam quedam clausure et trameze de assidibus super palcho dicte domus, et omnia lignamina et ferramenta existentia in dictis clausuris et tramezis, et omnia hostia fenestrarum sale et camere dicte domus, fenestra guardarobe dunstaxat excepta, liceat et licitum sit libere dicto Ser Laurentio ... exportare, extrahere, tollere et auferre in finem dicti temporis, dictorum trium annorum ... . Hoc tamen salvo et excepto quod si dicti locatores vel eius heredes dicto tempore predictas clausuras et tramezos voluerint remanere et consistere in dicta domo, dictus Ser Laurentius eas non possit vel debeat removere vel auferre, sed tunc et in eo casu dicte clausure et trameze debeant extimari pro inutilibus rebus et non opportunis dicte domui, per duos comunes magistros eligendos, unum videlicet ab utraque parte dictorum contrahentium, et tunc dicti locatores et eorum heredes teneantur et debeant dictam factam seu fiendo // per dictos magistros extimationem de dictis tramezis et clausuris solvere ... cum effectu dicto Ser Laurentio vel habituris ius vel causam ab eo. Que omnia et singula ... promiserunt ... vicissim ... firma et rata habere, tenere et observare ... .
9. Notarile Antecosimiano 11381, cc. 53r-53v 28 aprile 1371 Confessio et finis Ser Laurentii Ser Tani In Christi nomine amen. Anno eius ab incarnatione millesimo trecentesimo septuagesimo primo, indictione VIIII, die vigesimo octavo mensis aprilis, pontificatus Domini Gregori Pape XI anno primo. Actum Florentie in Ecclesia et Populo Sancti Salvatoris, audientia Curie Episcopalis florentine, presentibus testibus Cenne Bartoli Populi Sancti Laurentii, Iacobo Tieri Populi Sancti Michaelis Bertelde, et Biancho Lapi, Populi Sancti Petri Maioris de Florentia, ad hoc vocatis et rogatis. Pateat omnibus evidenter quod, cum certum esset quod de anno Domini proxime preterito ... die decimoseptimo mensis iulii dicti anni, Iacopozius ... et Nichola et Andreas ... de Soldaneriis ... locaverunt Ser Laurentio olim Ser Tani ... conducenti ad pensionem ... pro se et cui et quibus locaverit, pro tempore et termino trium annorum ... unam domum sive apothecam ipsorum, positam in Populo Sancte Trinitatis de Florentia ... et dictus Ser Laurentius conductor promisit eisdem locatoribus ... solvere ... nomine pensionis ... quolibet anno ... in totum florenos auri quadraginta et duos anseres, faciendo solutionem in principio cuiuslibet anni ... . Unde hodie ... prefatus Nicola ... et Actavianus procurator ... dicti Iacopotii ... recognoverunt se ... a dicto Ser Laurentio Ser Tani ... recepisse ... pro integra solutione ... totius pensionis primi anni ... florenos auri quadraginta ... et insuper duos anseres ... // ... et omne id totum et quicquid pro dicto primo anno dicte locationis et conductionis habere et recipere ... petere poterant dicti Iacopotius et Nicola cum dicta pensione a dicto et dicto Ser Laurentio. A quibus et de quibus omnibus supradictis prefati Nicola et Actavianus, dictis nominibus et pro dictis
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partibus // et utroque eorum, absolverunt et plenarie liberaverunt dictum Ser Laurentium presentem, recipientem et stipulantem, et eius heredes et bona omnia per aquilianam supra precedentem et acceptillationem legitimam et sequentem interpositam ... .
10. Notarile Antecosimiano 11381, cc. 118r-118v 14 maggio 1372 Finis Ser Laurentii Ser Tani Item postea dictis anno [MCCCLXXII] et indictione, die quartodecimo mensis maii. Actum Florentie, in Populo et Ecclesia Sancti Salvatoris, audientia Curie Episcopalis florentine, et presentibus testibus Ser Manno Dominici et Ser Laurentio Domini Dominici, notariis et civibus florentinis ad hec vocatis, habitis et rogatis. Pateat omnibus ... quod in anno Domini MCCCLXX ... die decimoseptimo mensis iulii ... Iacopotius ... et Nichola et Andreas ... de Soldaneriis ... locaverunt ad pensionem Ser Laurentio olim Ser Tani ... unam domum sive apothecam ipsorum, positam ... in Populo Sancte Trinitatis ... pro tempore ... trium annorum ... cum pensione ... quolibet anno in principio anni ... florenorum auri quadraginta ... et duos anseres ... // ... . Unde hodie ... prefatus Iacopozzius ... fecit dicto Ser Laurentio ... generalem finem ... de dicta pensione ... pro secundo anno tempore dictorum trium annorum dicte locationis et conductionis, inhitiatorum die primo mensis februarii proxime preteriti ... .
11. Notarile Antecosimiano 11386, cc. 214r-215v 5 marzo 1375 Solutio Iacobi Federighi, Nicho[le] et Andree de Soldaneriis In Christi nomine amen. Anno ab eius incarnatione millesimo trecentesimo septuagesimo quarto, indictione tertia decima, die quinto mensis martii. Actum Florentie, in Ecclesia et Populo Sancti Salvatoris, et presentibus testibus ... . Certum esse dicitur quod Iacobus olim Federighi, Populi Sancte Marie Novelle de Florentia, et Andreas et Nichola, fratres et filii quondam Lamberti, omnes de Soldaneriis, Populi Sancte Trinitatis de Florentia, in anno Domini ab eius incarnatione millesimo trecentesimo septuagesimo, die quintodecimo mensis iulii, fuerunt confessi se habuisse et recepisse in depositum a Ser Laurentio quondam Ser Tani de Lutiano, notario florentino, florenos auri centum sexaginta, quos florenos ... ipsi Iacobus, Andreas et Nichola ... eidem Ser Laurentio reddere et restituere promiserunt infra tres annos tunc proxime venturos ... . Et certum esse dicitur quod postea dicti Iacobus, Andreas et Nichola fecerunt eorum procuratores Lodovichum olim Andree, Populi Sancti Laurentii, et Franciscum quondam Lapi, Populi Sancte Marie in Campo de Florentia, et alios, ad recognoscendum et confitendum dictam scriptam ... dictorum centum sexaginta florenorum auri factam fuisse ... manu propria dicti Iacobi et subscriptam manu dictorum Andree et Nichole et testium etiam in ea subscriptorum ... // ... . Et certum esse dicitur quod postea dictus Ser Laurentius Ser Tani recognovit et confessus fuit per scriptam privatam, propria sua manu scriptam, primo Dompno Agustino quondam Vannis dell’abbacho, qui morabatur in Populo Sancte Trinitatis de Florentia et etiam postea in iudicio coram domino Iohanne de Formo, Vicario generali Domini Angeli de Ricasolis, Episcopi florentini, dictam obligationem et promissionem et confessionem dicti depositi centum sexa-
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ginta florenorum auri ... fuisse et esse dicti Dompni Augustini et pro ipso Dompno Agustino re vera recepisse et ad ipsum Dompnum Augustinum pertinere. Et quod postea prefatus Dompnus Augustinus veniens ad mortem, coram pluribus personis et fratribus et priore Monasterii Sancti Bartolomei de prope Florentiam, ordinis Monti Oliveti, recognovit se fuisse profexum in dicti monasterii, et eidem monasterio reliquid omnia sua bona. Et quod postea, mortuo dicto Dompno Agustino, frater Franciscus Nucci, sindicus et procurator dicti Monasterii et Conventus Sancti Bartolomei ... per dictum dominum Vicarium dictum Ser Laurentium cogi et compelli ... ad cedendum et transferendum ... dicto monasterio ... omnia iura et actiones exigendi et recipiendi dictum depositum ... florenorum auri centum quinquaginta 144 contra dictos Iacobum, Andream et Nicholaum obligatos //... . Et quod postea dictus Dominus Iohannes Vicario ... eidem Ser Laurentio precepit fieri per eum debere petita per dictum sindicum ... . Unde hodie, presenti suprascripta die, prefatus Iacobus olim Federighi de Soldaneriis ... prefato fratre Francisco sindico et procuratore predicto ... pro parte solutionis et restitutionis ... dictorum centum sexaginta florenorum ... dedit, solvit, tradidit et numeravit prefato Ser Laurentio Ser Tani, presenti et recipienti, in summa florenos auri septuaginta septem, videlicet quinquaginta nomine suo ... et vigintiseptem ... dictorum Andree et Nicole ... vice et nomine. Quos vero florenos auri septuaginta septem pro parte solutionis dicti depositi et debiti ... a dicto Iacobo ... recepit et habuit ... . // Item postea, dictis anno, indictione, die et loco ... . Prefatus Ser Laurentius olim Ser Tani de Lutiano ... solvit ... florenos auri septuaginta septem quos receperat a dicto Iacobo, dante pro se et vice et nomine Andree et Nichole ... de Soldaneriis, pro parte solutionis depositi de quo in precedenti instrumento fit mentio, fratri Angelo priori et fratri Francisco ... sindico et procuratori ... Monasterii et Conventus Sancti Bartolomei de prope Florentiam ... .
12. Carte Strozziane, s. II, 4: Ricordi di Paolo di Alessandro Sassetti, c. 91r 28 settembre 1385 Ricordanza che a dì 28 di settembre anno 1385 si misurò i’ luogho con case e con orto de’ figliuoli rimasono di Federigho Sassetti, posto nel Popolo della Pieve di Santo Stefano in Pane, luogho detto Macia, per le mani di Michele di Gianni, chiamato di Monna Giera, maestro d’abacho, e trovossi pelle sue mani, non faciendolo a punto sanza la chasa e pezo di terra che di per sé verso la via va a Macia, staiora cientoquarantadue, a misura di corda, e trovossi il detto pezo colla detta casa verso Macia, staiora XII e panora cinque. Sicché in tutto il trovò il detto Michele staiora cientocinquantaquatro, panora cinque. Poi Tommaso di Federigho e io Paolo rimisurammo di nostra testa e trovossi chome apresso faremo memoria, e faremo memoria delle misure partichularmente ... .
13. Mercanzia 1193, c. 61r 21 marzo 1387 Feo Dini caligaio, Popolo Santa Trinita, dal’una parte, e Iohanni di Pagnino chalzo144. Dovrebbe essere «sexaginta».
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laio, Popolo San Pracatio, dal’altra parte, di comune concordia e voluntà eleseno, chiamarono e diputarono in questo modo, cioè il decto Feo elesse e chiamò Maestro Michele di Gianni dell’abacho, Popolo Santa Trinita,145 et il decto Iohanni elesse e chiamò Maestro Ventura Scarlatini, Popolo Santo Stefano a Ponte di Firenze, in ragioneri e per ragionieri e chalculatori, a vedere libri, quaderni e scripture del decto Feo, ne’ qualli scripti le ragioni e quello che le decte parti ànno avuto a fare insieme per cagione di cuiame, et al decto Ufficio raportare ciò che l’una parte è tenuta di dare o a fare al’altra per la decta cagione di choiame. Laquale comissione le decte parti volono che durasse per tuto il dì quindici d’aprile proximo che viene.
14. Diplomatico, normali, Santa Trinita 16 novembre 1391 In Dei nomine amen. Anno sue incarnationis millesimo trecentesimo nonagesimo primo, indictione XV, die XVI mensis novembris. Prudentes viri Iohannes Francischini Pepi Filippus Domini Leonardi de Strozis Agnolus Iohannis Domini Agnoli de Bardis Filippus Guillielmi, lanaiolus, et Silvester Silvestri de Belfredellis, cives florentini, Regulatores introytorum et expensarum Comunis Florentie, simul in sufficiente numero in Palatio Populi florentini, loco eorum residentie, pro eorum offitio exercendo congregati, absente Tommaso Lippacci, beccario, eorum collega, viso quodam sequestro ex eorum parte facto Magistro Iohanni dell’abacho et aliis pensionariis quarumdam domorum et apotecarum, que remanserunt in hereditate Nicole olim Lamberti Domini Tignosi de Soldaneriis de Florentia, debitoris Comunis Florentie pro prestantiis non solutis, et viso testamento dicti Nicole scripto manu publici notarii, in quo plura fecit legata et maxime unam pietanzam, in viginti annis de libris decem florenorum parvorum in anno, Ecclesie et fratribus Sancte Trinitatis de Florentia. Item legavit Dopno Blaxio, abbati Sancte Trinitatis, libras quinquaginta florenorum parvorum dandis et erogandis per ipsum Dopnum Blaxium pauperibus personis. Item reliquit cuilibet monaco Monasterii Sancte Trinitatis florenum unum auri, et in ceteris aliis bonis sui sibi heredem instituit filium masculum, unum et plures, nascituros ex se et uxore sua legiptima. Et visis actis et actitatis in Curia Comunis Florentie et iuribus productis quorum vigore recepit et habuit tenutam sindicus Monasteri Sancte Trinitatis pro dicto conventu recipiens, in quibusdam domibus et apotecis. Et viso quod factum fuit, ex parte iudicis collati presentis Domini Potestatis Civitatis Florentie, preceptum de disgombrando pensionariis et inquilinus tenentibus ipsas domos et apotecas, videlicet Magistro Iohanni dell’abaco et aliis in dicto precepto anotatis. Et viso et cognito quod dictum monasterium habet meliora et potiora iura in bonis que tenet et olim fuerunt et remanserunt ex dicto Nicolò, quam Comune Florentie, pro eo quod dictus Nicola decessit per plures annos antequam imponerentur prestanzones et prestantie in Civitate Florentie, et super premissis habita solemne deliberatione et celebrato inter eos secreto scruptinio ad fabas nigras et albas et obtempto partito secundum ordinamenta Comunis Florentie, eorum offitii auctoritate et balia, omni modo et via quibus magis et melius potuerunt, deliberaverunt dictum Magistro Iohannem et 145. In realtà, a quel tempo, Michele abitava nel Popolo dei Santi Apostoli.
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alios inquilinos et pensionarios tenentes et stantes in domibus et apotecis olim dicti Nicole Lamberti de Soldaneriis, maxime in quibus sindicus dicti Monasterii Sancte Trinitatis tenutam intravit auctoritate Comunis Florentie, non fore gravandos et gravari non debere vel posse pro prestanzonibus et prestantiis in dictos heredes dicti quondam Nicole aut dicto Nicole, et bona predicta que dictum monasterum tenet pro iure dicti testamenti, inquietandum et molestandum non fore pro gravedinibus, ut predicitur, indictis et indicendis per Comune Florentie heredibus et bonorum possessoribus dicti quondam Nicole aut dicto Nicole. Et quod predicta serventur per omnes et singulos rectores, offitiales, exactores et numptios et berovarios presentes et futuros Comunis Florentie, ad penam centum librarum florenorum parvorum cuilibet contrafacienti, Comuni Florentie de facto aplicanda totiens quotiens fuerit contrafactum aut, ut predicitur, non servatum. Et hoc usque et quamdiu fuerit dicto monasterio de quantitatibus legatis in dicto testamento satisfactum et plene solutum, cum voluntas testatoris pro lego servanda sit. Ego Laurentius filius olim Ser Iohannis Buti de Pavanico, florentine Diocesis, imperiali auctorictate iudex ordinarius et notarius publicus, et nunc notarius et scriba offitii Regulatorum, predicta eorum mandato scripsi et ex actis et libro actorum ipsorum Regulatorum scripsi, et hic fideliter publice existentibus penes me notarium iam dictum et per me scripta, ideoque me subscripsi.
15. Notarile Antecosimiano 1207, c. 163v 31 gennaio 1393 Eodem anno [MCCCXCII], indictione, et die XXXI mensis ianuarii. Actum Florentie, in Populo Sancte Trinitatis de Florentia, presentibus testibus Silvestro Lippi Bonbeni et Zanobio olim Leonardi Bartolini, ambobus Populi Sancte Trinitatis ... Filippus olim Iacopozzi olim de Soldaneriis hodie de Romaneschis, Populi Sancti Simonis de Florentia, dedit, locavit et concessit ad pensionem et nomine pensionis Magistro Iohanni, filio emanceppato Bartoli a dicto eius patre, ut constare dixit et iuravit contineri in publico instrumento scripto manu Ser Leonardi Ser Iohanni del Monte, notario publico, presenti etc., unam apothecam cum curia, puteo, volta et palco, actam ad tenendum agurismum, positam in Populo Sancte Trinitatis de Florentia, quibus a I et II via, a III dicti locatoris, a IIII dicti locatoris, infra predictos confines etc., pro tempore et termino duorum annorum proxime venturorum, inceptorum die primo mensis novembris proxime preteriti et finiendorum ut sequitur, secundum convenit dicto locatori etc. Et dictus conductor promisit dicto locatori presenti etc, pro eo tenere etc. et dare, solvere nomine pensionis florenos auri decem et novem cum dimidio et unum bonum anserem pinguem, faciendo solutionem de sex in sex menses et detur ansem in festo Omnium Sanctorum. Quam locationem etc. promisit etc., obligavit etc., renuntiavit etc., per guarantigiam etc.
16. Ospedale di Santa Maria Nuova 4450, c. 96r 21 febbraio 1397 A Messer Cristofano degli Spini a dì XXI di febraio [1396] f. undici, s. sei, d. X a oro, i quali denari ebbe perché cci avea dato più d’uno pezo di terra che comperò da noi che fue meno a misura staiora due, che non disse la carta come appare nel libro
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dell’entrata segnato M, a c. 51, e paghò per staiora 31 e 3 panora, ed ella fue misurata poi, e fue staiora 29 e 31 panora, misurata pe’ ‘l Maestro Giovanni Bartoli dell’abacho, e detti f. 11, s. 6, d. 10 a oro ebbe per noi da Piero Fastelli al quaderno G di cassa, a c. 157. E dì decto demo al sopradetto Maestro Giovanni per la misuratura della decta terra £. due picciole, somma f. 11, £. 3, s. 6.
17. Notarile Antecosimiano 1209, c. 103r 8 aprile 1400 In Dei nomine amen. Anno Domini MCCCC, indictione VIII, die VIII mensis aprilis. Actum Florentie in Populo Sanctorum Apostolorum, presentibus testibus Luca olim Pepi Bondelmonti, Populi Sancti Stefani ad Pontem de Florentia, Martino Pauli de Villa Narnali de Prato, et Puccio olim Bottigli pezzario Populi Sancte Felicitatis de Florentia, et aliis, etc. Filippus olim Iacopozzi olim de Soldaneriis, et hodie de Romaneschis, Populi Sancti Ambrosii de Florentia, per se et suos heredes fecit finem, quietationem, liberationem et absolutionem et pactum gienerale et spetiale de aliquid ulterius non petendo, dicendo, inquietando vel molestando, Magistro Iohanni Bartoli, magistro agurismi Populi Sancti Fridiani de Florentia, de quibusdam locationibus factis per dictum Filippus dicto Magistro Iohanni Bartoli, ab anno Domini millesimo trecentesimo nonagesimo septimo, kalendis mensis novembris dicti anni, retro, de quadam apotheca acta ad tenendum pueros ad agurismum, in qua dictus Magister Iohannes solitus est tenere pueros ad agurismum, manu cuiuscumque notarii sive quorumcumque notariorum, et etiam sine carta vel alio quocumque modo etc. Et predictam finem fecit dictus Filippus dicto Magistro Iohanni presenti etc., quia vocavit et dixit sibi integre solutus et satisfactus, salvo quam de libris otto et soldis sedecim florenorum parvorum; quas libras otto et soldos sedecim dictus Magister Iohannes pro complemento solutionis dicte pensonis a dicto anno 1397 retro, dedit, solvit et numeravit dicto Filippo in presentia mey notarii et testium suprascriptorum exceptioni etc. Et adeo dictus Filippus liberavit et absolvit dictum Magistrum Iohannem et eius heredes et bona per aquilianam stipulationem et acceptillationem precedentem et subsequentem etc. Quam finem, etc., sub pena dupli etc. et insuper florenorum auri centum etc. obligaverunt etc. per guarantigiam etc. Insuper dictus Filippus promisit et stipulatione solempni convenit dicto Magistro Iohanni Bartoli quod si quo tempore lix vel questio aut controversia aliqua moveretur eidem Magister Iohanni vel suis heredibus etc. per Federigum, filium olim dicti Iacopozzi vel eius procuratorem vel eius heredes occasione pensionis dicte apothece pro dicto tempore, videlicet ab anno dicto millesimo trecentesimo nonagesimo septimo, retro etc., vel occasione pensionis dicte apothece etc. ... conservare, tueri et defendere semper ... etc., omnibus ipsius Filippi propriis sumptibus et expensis etc., quam promissionem etc., sub pena dupli etc., insuper florenorum ducentorum auri etc., obligavit etc., renumptiavit etc. per guarantigiam etc.
18. Ospedale di Santa Maria Nuova 4458, c. 98r 22 aprile 1406 Al Maestro Giovanni di Bartolo, maestro d’abacho, a dì XXII d’aprile [1406] f. tre d’oro, dia[mo]lla per la nostra metà per la misura di tutte le case e terreni che furono
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di Settimo, poste presso a noi, e intendesi quello dentro sanza le case ed avillari della Via della Perghola. E questi demo a Matteo Villani perché gliele desse. Ed esso ci dee prestare il quaderno della misura e di stima. Portai io Andrea f. III d’oro.
19. Corporazioni Religiose sopresse dal Governo francese 89, 96: Convento di Santa Maria degli Angeli, cc. 86v-87v [1406-1407] Comperammo a mezo noi et l’Ospedale di Santa Maria Nuova da Messer Felice, abate della Badia di Settimo et del capitolo et convento suo, uno terreno con portico e con case dentro et case presso alla Via che si dice della Pergola, con orti, corte e pozi e chiesa o vero capella, infra i muri, con campana, tavola, altare, finestre di vetro e una mensa grande e altre cose ... il quale luogo si chiama luogo di Settimo in Cafaggiuolo et è posto nel Popolo di San Michele Visdomini qui al lato a noi, per pregio di fiorini 2600 d’oro, i quali pagamo noi et Sancta Maria Nuova per metà a Messer Antonio abate di Pasignano, come commissario del Papa ... tutte rogate per Ser Lapo Mazei nel 1402 di dicembre ... //87v ... . Abbiamo molte scripte di stime e misure per Maestro Giovanni del’abaco e per due maestri di concordia partitamente di tutti beni della compera e quello che noi avemmo meno ed il ristoro della ragguaglio. Item abbiamo molte scripte di consigli dati di concordia et altre cose s’ebbono a fare per la questione lunga che noi avemo sopra la divisa predecta.
20. Mercanzia 11785, c. 17r 27 e 30 marzo 1441 MCCCCXLI Lorenzo di Biagio dell’abacho, come reda del Maestro Giovanni dell’abacho, dipositò questo dì 27 di marzo fiorini sei stretti perché Maestro Stefano di Giovanni medicho non possa fare gravare né in avere né in persona sopra detto Lorenzo, e vuole che si gli dieno a ongni suo pitizione, cioè f. 6 di sugiello, e che lasci la sentenzia che detto maestro à chontro a detto Lorenzo _____________________ f. 6 stretti A dì XXX di marzo venne sopradetto Lorenzo, e furono d’achordo che dessi al maestro f. 6 e soldi 20, e resto a Lorenzo, e a lui restò _______________ f. 6, s. 20
21. Mercanzia 11785, c. 27v 146 5 agosto e 13 novembre 1441 MCCCCXLI Maestro Lorenzo del’abacho dipositò questo dì V d’aghosto fiorini 2 stretti per una presura a llui fatta a pitizione d’Iachopo d’Antonio di Lapacio, e vuole esser richiesto _____________________________________________________________ f. 2 Ànn’ auto Iachopo fiorini 1 de’ due a dì XIII di novenbre per sentenzia dell’uficiale, lire 6 per sorta e lire 2, soldi 11 per ispese, chom’apare negli atti di questa chasa; e diegli a’ sopradetto Iachopo e di licenzia di Ser Righoglio ____________ £. 8, s. 11 146. Nella filza, la carta 27 è erroneamente segnata 17.
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Restam’ in mano soldi 9, e ‘l detto Lorenzo à di me soldi 40, et io di suo uno Boezio e uno Prisciano minore, e de’ soldi 9 s’à a sbattere s. 5 per el diposito ch’i’ ò paghato: s. 3 a Ser Righoglio e s. 2 alla cha[s]setta.
22. Catasto 621: Quartiere di Santa Maria Novella, Gonfalone del Leon Bianco, c. 369r [agosto] 1442 ‘Nanzi a voi Signori Dieci Uficiali della chonservagione della gravezza nuova del Comune di Firenze, si riporta per me Lorenzo di Biagio di Romolo per lla testa mia, Gonfalone Lion Biancho. Nel sechondo Chatasto rimassi sanza graveza per miserabile. Lorenzo di Biagio di Romolo, Gonfalone de’ Lione Biancho à di cinquina f. uno, s. 13, d. 5.
23. Mercanzia 1360, cc. 76r-76v 16 maggio 1446 Conparì dinanzi a lu decto Messer Ufficiale e Corte Iacopo di Piero Deti, citadino fiorentino, per cagione di una causa per lui mossa in decta Corte insino a dì XX del mese di magio 1444 contro le heredi e beni e possesioni di beni del Maestro Iohanni dell’abagho, e nominatamente contro al Lorenzo di Biagio di Campi, herede dei beni per adrieto Maestro Iohanni, a’ quali el decto domanda [...] per resto di peghione della sua boctegha che tene[va] lu decto Maestro Iohanni, e quando viveva, et etiam deo lu decto Lorenzo de poi la morte dello decto Maestro Iohanni, como delle predecte cose adpare a’ libro di decto Iacobo a carta 68. Et dixe e dice lu decto Iacobo che la verità è, calgulata la ragione e difalgato tucto quello che lu decto Lorenzo e Maestro Iohanni avessero facto di spesa nel decto sito, e denari che essi dicono avere dati alla donna dello decto Iacobo quando lu decto Iacobo era nella Marcha, tucto calculato et veduto lu saldo che [...], esso Iacobo restava avere della decta pegione fiorini undici, s. 7, d. 5 ... . E però, risumendo lo stato delle decte cause, el decto Iacobo dixe e dice che in verità heredi e heredità e possessori de’ beni dello decto Maestro Iohanni, nominatamente el decto Lorenzo, furono esendo veri debitori dello decto Iacobo per le decte cagioni e ragioni nella decta asserta quantità di fiorini undici, s. 7, d. 5. E anche decto Iacobo domanda che se dechiari per sentenza dello detto Messer Ufficiale, si condapni li decti heredi et heredità, beni e possessioni di beni dello decto Maestro Iohanni, e nominatamente el decto Lorenzo, a dargli e pagargli la decta asserta quantità di fiorini 11, s. 7, d. 5. Et in tutte le predecte cose il decto Iacobo domanda le spese ragionevoli e iuste // et però produxe lu decto suo libro di che di sopra si fa menzione. Ad petitione di detto Iacobo, Salvi di Francesco, messo di decta Corte, raportò allo decto messere e sua Corte [...] avere richiesto li decti heredi et heredità e beni e possessioni di beni di decto Maestro Iohanni, nominatamente lu decto Lorenzo, herede predecto, et a vedere la decta comparitione et [...] ciò che in essa si contiene [...]. E decta richiesta raportò avere facta adpresso alla casa della habitatione di decto Lorenzo, con remissione di cedula.
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24. Catasto 709: Quartiere di Santa Maria Novella, Gonfalone del Leon Bianco, c. 178r [agosto] 1451 Sustanze e beni di Lorenzo di Biagio di Romolo. Non à nulla di decina. Non ebbe catasto nel primo Catasto. Una casa posta in Firenze, in Camaldoli, in Via di San Salvadore, che a I via, a II Bicci dipintore, a III Ser Giovanni di Michele, la quale gli fu di Maestro Giovanni di Bartolo, la quale tiene per suo habitare. Beni venduti Un pezzo di terra vignata, panora quattro, posta nel Popolo di San Piero a Solicciano, a I via, a II beni della Badia di Firenze, a III [...], vendella già è più tempo a Cante di Gaggia da Settignano, carta fatta per mano di Ser Bartolomeo Bambagiai.
25. Corporazioni religiose soppresse dal governo francese, 78, 78, c. 169d 15 gennaio-15 dicembre 1453 Biagio di Romolo di Giovanni da Chanpi nostro fittaiuolo chontrascritto de’ avere a dì XV di gennaio 1452, £. dieci piccioli, rechò M° Lorenzo suo figluolo in fiorini, e questo a entrata segnata D, c. 35 ______________________________ f. -, £. X E a dì III di febraio 1452 £ quatro, s. XVIII piccioli, rechò e’ detto in fiorini, e questo a entrata segnato D, c. 34 ______________________________ f. -, £. IIII, s. XVIII E a dì III di novembre 1453 £. otto piccioli, rechò e’ detto in questo a entrata segnato D, c. 41 ____________________________________________ f. -, £. VIII E a dì 15 di dicembre £. cinque, rechò e’ detto a entrata segnata D, c. 43 ________________________________________________________ f. -, £. V ...
26. Catasto 818: Quartiere di Santa Maria Novella, Gonfalone del Leon Bianco, cc. 428r-428v 28 febbraio 1458 147 Lorenzo e Antonio di Biagio di Romolo dicievano nel primo Chatasto e di Giovanni di Bartolo dell’abacho, Gonfalone de’ Drago di Santo e Spirito. Catasto __________________ s. 3 Valsente nulla [...] ______________________ s. 6, d. 8 Sustanzie Una chassa per nostro abetare posta nel Populo di Sancto Frediano, da primo via, sechondo rede di Bicci dipintore, 1/3 Frosino d’Iachopo sarto, 1/4 Via Sancto Benedetto. La quale tengo per mio abetare, e pagone l’ano soldi dieci d’avilaro alle rede di chasa Deti, come apare per charta di mano di Ser Verdiano di Ser Donato da San Miniato de’ Tedescho. Uno pezo di vigna di staiora quatro o circha, cho’ sua gonfini, prima via, sichondo 147. A c. 429v si legge «A dì 28 di febraio rechò Lorenzo detto».
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e 1/3 la Badia di Firenze, e 1/4 [...], posta nel Populo di Sancto Piero a Soliciano. La quale vigna avevano e’ frati del Charmino barili due di vino l’ano, chome apare per testamento di Maestro Giovanni di Bartolo dell’abacho per mano di Ser Giovanni Ugolini da Policiano, notaio fiorentino, dì 14 di maggio 1440. La quale vigna si vendé a Cante di Giorgio lastraiuolo, del Popolo di Santa Maria a Setignano, lire sesatta, chome apare per charta di mano di Ser Bartolomeo da Babagiaio per pagare e creditori del detto M° Giovanni di Bartolo dell’abacho, a dì 9 di febraio 1447 la detta charta. Uno pezo di tera posta nel Populo di Santo Stefano a Campi, primo via, sechondo la Badia di Firenze, 1/3 lo Spedale de’ Nocienti, 1/4 [...] di staiora sei o circha; òne di tutto staia tre di grano. È lavoratore Giuliano d’Antonio da Champi ______________________________________________________ f. 17, s. 7 // Due panora o circha di tera posta i’ Chanpi, prima via, sechondo Papi deto Maso, 1/3 e 1/4 Iachopo d’Ugolino [...] ___________________________________ f. Debo avere d’Andrea di Regio da Sapiano Bartolini fiorini sei, che non gli vorrebf. 2, s. be trovare ____ Riterrete dalle rede di Mariano del M° Michele del’abacho, debbo avere quando sarà chiarito e’ detto debito, lo darò a Chatasto ________________________ f. E debbo avere dalle rede d’Antonio denari, non è anchora chiaritto per me, che quando sarà chiaritto lo darò a detto Chatasto _________________________ f. Boche Lorenzo detto d’e[tà] d’ani 44 _______________________________ f. 200, s. Antonio suo fratello d’età d’ani 20 ____________________________ f. 200, s. -
27. Compagnie religiose soppresse da Pietro Leopoldo, 1385, n° 5: Quadernuccio di richordi di Giuliano di Antonio di Ser Andrea Bartoli, c. 58r 1459 Maestro Lorenzo de l’abacho de’ avere fiorini dua larghi, e quali mi dette gli serbassi ________________________________________________________ f. 2 larghi Ànne auto grossi otto gli detti in Merchato Nuovo chontanti __________ f. -, g. 8 Ànne auto grossi quatro gli detti ala Loggia del Pozzo _______________ f. -, g. 4 Gli detti in bottega di Bustachio ________________________________ f. -, g. 7 Ànne auto grossi quindici, i quali ebbe in uno poco di chalze dal chalzaiuolo mio ________________________________________________________ f. -, g. 15 Ànne auto grossi dua, ebbe in bottega del Pace ____________________ f. -, g. 2 Ànne auto grossi dua gli detti a la Loggia _________________________ f. -, g. 2
28. Corporazioni religiose soppresse dal governo francese, 78, 79, c. 167d 10 settembre 1463 Biagio di Romolo, Lorenzo, Romolo e Antonio, suoi figliuoli, Popolo di Santo Stephano a Campi, et nostri lavoratori, deono avere a dì X di septembre 1463 f. quaranta di suggello, sono per la monta e resto d’uno pezzo di terra vignata, lavoratia e alberata, contigua, in tutto staia VII, panora III 1/II, posta nel Popolo di detto luogo, detto lo Spedaletto del Maccione, con suoi vocaboli e confini, la quale abiamo comprato per detto prezo dal detto Biagio e da’ sopradetti suoi figliuoli, di sua licenza. Nella quale compra fumo nominati per f. XXV da Cherubino di Giovan-
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ni Casini insino a dì XXX d’aghosto o il dì primo di septembre 1463, dal quale Cherubino, detto Biagio e figliuoli ne ricevettono carta da lui per detto prezzo quando da lui riebbono detta terra e vigna, come apare carta per Ser Pierozo notaio soprascripto. 148 Et dell’avanzo per insino alla soma di f. XL che l’abiamo comprata in tuttto, siamo stati nominati questo dì X sopradetto dalli detti Biagio e figlioli, di sua licenza, a 1/2 gabella, per lo sodamento della quale terra e vigna detti Biagio e figloli obligano loro e loro heredi e beni presenti e futuri. Et benchè, come si dice di sopra, detti Biagio e figliuoli compraxino la detta terra et vigna dal sopradetto Cherubino per fiorini XXV di suggello et di poi noi l’abiamo ricompra da loro per fiorini XL, fu perché la detta terra et vigna valeva fiorini XL, come d’acordo facemo stimare per terza persona, come di tutto appare per carta di Ser Pierozzo di Cerbino, nottaio fiorentino, sotto dì X di septembre 1463, 149 et alle nostre Ricordanze segnate E, a c. 21. Et la detta terra ricompramo colla vigna sopradetta, dello ritratto della vigna venduta a Antonio del Ciptadino, come di sopra si vede, per f. XXXIIII, s. XI, d. VIII a oro. Et così stanno detta terra et vigna in sodamento della Maria, donna di detto Antonio del Ciptadino, e figliuola di Martino Altoviti, come a dette Ricordanze appare _____________________________________________ f. XL, £. -
29. Monte Comune, Copie del Catasto 26, c. 854r 14 agosto 1469 150 Lorenzo [e]d Antonio di Biagio di Romolo, nel primo Catasto ero miserabile ... . Sustantie Una chasa posta nel Popolo di Santo Friano, a primo via, a 2° Adamo donzello della Merchatantia, a 3° Fruosino sarto, a 4° via, la quale chasa è avillare, e nel primo Catasto si diceva nel Maestro Giovanni dell’abacho, e oggi è a dare d’avilaro ogni anno s. 10 all’abate. La quale chomperai dal detto abate. Una presa di terra da fare una chasa, posa nel Popolo di Sancto Stefano in Champi, a primo via, a 2°, 3° Iacopo Mazinghi, a 4° Papi di Tomaso, di panora 3 __________________________________________________________ f. 17. 7 Uno chasolare poso in detto Popolo, a primo via, a secondo in Munistero di Ripoli, a 3° la Badia di Firenze, a 4° el chappellano della chiesa di Champi. Non ò mai potuto aconciarlo. Boche Lorenzo detto d’età d’ anni 55 Antonio detto d’anni 36
30. Notarile Antecosimiano 13534, cc. 48r-48v 16 dicembre 1472 Item postea eisdem anno [1472], indictione sexta et die sextodecima mensis decembris. Actum in Civitate Florentie et in Populo Sancti Stephani Abbatie Florentine, 148. ASF, Not. Antec. 5048, c. 349r: atto del 1° settembre 1463. 149. Ibidem, c. 349v. 150. A c. 859v si legge: «Rechò è detto a dì XIIII d’aghosto 1469».
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presentibus Ser Cetto Bernardi Ser Cetti de Loro et Ser Iacobo Nicholai Ser Orlandini de Sancto Meniato, notariis et civibus florentinis, et aliis. Laurentius olim Blaxii Romuli, vocatus “el Zolle” da Champi, civis florentinus omni modo etc. fecit etc. suos procuratores etc. Romulum et Antonium fratres et filios dicti Blaxii nec non fratres carnales dicti constituentis licet absentes sed tamquam presentes etc. ... ad agendum etc., ad intrandum in tenutam etc. Item ad faciendum capi etc. Item ad substituendum etc. Item spetialiter et nominatim ad exigendum et de exactis // finiendum etc. Dans etc., promictens etc., sub ypoteca etc., rogans etc.
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Menso Folkerts LEONARDO FIBONACCI’S KNOWLEDGE OF EUCLID’S ELEMENTS AND OF OTHER MATHEMATICAL TEXTS
This paper is concerned with the sources which Leonardo Fibonacci knew and used for his mathematical works. I have limited the field to those writings which were available in Latin in Leonardo’s time and which Leonardo explicitly cited. Accordingly I shall not discuss possible Arabic sources and even in Latin I shall not in general speculate about possible sources that Leonardo does not expressly cite. Since Euclid’s most important writing, the Elements, is cited particularly often, I shall ask the question which version or versions of the Elements Leonardo knew. In the following the content of the chapters in Leonardo’s works will be sketched and for each chapter the sources cited by Leonardo will be given. 1. Liber abbaci Let us begin with Leonardo’s principal work, the Liber abbaci. It is well known that in this book Leonardo expounded the arithmetic of his time and that he included algebra and geometry. The principal matters discussed are: practical calculations, commercial problems and recreational mathematics. The work is divided into 15 chapters. In the first five 1 Leonardo treats calculation with integers using the new, i. e. the Hindu-Arabic, number system. The individual chapters are on: how to write the numbers, multiplication, addition, subtraction, division. In chapter 5 (and later, too) he writes fractions with multiple numerators and denominators («aufsteigende Kettenbrüche») – a notation which is also found in Abû K=mil. The only author mentioned by Leonardo in these chapters is Euclid. He cites him twice. The first citation is from Book 7 (though this is not explicitly mentioned). Leonardo is discussing the multiplication of num1. Baldassarre Boncompagni, Scritti di Leonardo Pisano, matematico del secolo decimoterzo. Vol. 1: Il Liber abbaci di Leonardo Pisano pubblicato secondo la lezione del codice Magliabechiano C. i, 2616, Badia Fiorentina, n.° 73, Rome, 1857, 2-47. Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche · Vol. XXIV · (2004) · Fasc. 1
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bers of more than one decimal place. It is necessary to know in which places to put the result of multiplying the various digits together. This may be derived from the law of multiplying the powers of 10: 10m x 10n = 10m+n. Leonardo proves this rule by citing Euclid explicitly for the law of three or four proportional numbers: from a : b = b : c follows a×c = b2 and from a : b = c : d follows 2 a× d = b× c. The rule for four numbers is proved in Euclid VII.19; the corresponding rule for three appears in some Greek manuscripts after VII.19, though Heiberg does not think the passage is genuine. 3 The second citation is also from Book 7, this time one of the definitions (VII def.16). It occurs in an excursus in the section on division. Here Leonardo defines prime numbers (incompositi or primi numeri) and composite numbers. Leonardo points out that Euclid calls composite numbers «plane numbers». 4 In chapters 6 and 7 (Boncompagni, Scritti 1, 47-83) Leonardo explains calculation (multiplication, addition, subtraction, division) with fractions and with numbers comprising integers and fractions. Leonardo places the fraction to the left of the integer, in the Arabic way. In these chapters Euclid is again the only author cited. There are four citations: in the transformation of fractions Leonardo uses the theory of proportion and cites Euclid for the statement that the whole to the whole is as part to the part. 5 This is the proposition V.15. – A little later in the text Leonardo gives a detailed procedure for finding the highest common factor of two numbers by using the so-called Euclidean algorithm. Here he also cites Euclid. 6 Thus he knows the procedure given in Euclid VII.2. – When he is performing a division Leonardo refers to Euclid’s statement (V.15) that the ratio between two numbers is the same as the ratio of 2. «Nam cum tres numeri proportionales sunt, ita quod sicut primus est ad secundum, ita secundum sit ad tertium; tunc multiplicatio primi in tertium equatur multiplicationi secundi in se. Et cum quattuor numeri sunt proportionales, fueritque sicut primus ad secundum, ita tertius ad quartum; tunc multiplicatio primi in quartum equa est multiplicationi secondi in tertium, ut in euclide reperitur». (Boncompagni, Scritti 1, 15, lines 6-10). 3. See the remarks in Thomas L. Heath, The Thirteen Books of Euclid’s Elements Translated from the Text of Heiberg. Vol. 2. Second Edition, Cambridge 1956, 320. The Greek text of this rule is edited in I. L. Heiberg, Eudidis Elementa vol. 2 Leipzig 1884, 428, 22-430, 17. The rule is also extant in the translation made directly from the Greek (H. L. L. Busard, The Mediaeval Latin Translation of Euclid’s Elements Made Directly from the Greek, Stuttgart 1987, 165, lines 1-3). 4. «Reliqui vero compositi, vel epipedi, idest superficiales, a peritissimo geometriae Euclide appellantur.» (Boncompagni, Scritti 1, 30, lines 2-1 from the bottom). In the Greek-Latin translation the text of Euclid’s definition is: «Quando vero duo numeri multiplicantes se invicem faciunt aliquem, factus epipedos appellatur» (Busard, Mediaeval Latin Translation, 154, lines 25f). 5. Leonardo justifies the proportion 12 : 72 = 12/12 : 72/12 with the words: «sicut totum ad totum, ita pars est ad partem» (Boncompagni, Scritti 1, 51, lines 9f.). 6. Boncompagni, Scritti 1, 51, penultimate paragraph. He ends with ut in Euclide apertis demonstrationibus declaratur. Leonardo’s quotation of Euclid VII.2 is not word-for-word.
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equimultiples of these numbers. 7 – At the end of chapter 7 Leonardo explains how a fraction can be expressed as a sum of unit fractions. 8 Here he again cites Euclid’s proposition about the equivalence of a : b = c : d and a × d = b × c, i.e. VII.19. 9 After treating the elementary arithmetic operations with integers and fractions Leonardo turns to their application to practical questions: commercial problems and recreational mathematics. In chapters 8 to 10 (Boncompagni, Scritti 1, 83-143) problems involving the theory of proportion are addressed. In chapter 8 Leonardo treats the «rule of three». In chapter 9 he gives a rule, known in the eighteenth and nineteenth centuries as the «chain rule», according to which a ratio between two numbers may be determined when their ratios to intermediate quantities are known. The short chapter 10 is about commercial partnerships, i.e. sharing a profit amongst partners. In chapter 11 (Boncompagni, Scritti 1, 143-166) mixture problems are treated. In the section on the chain rule Leonardo refers to Ptolemy’s Almagest and to the sector-figure (figura cata), and he mentions the book on proportions of «Ametus filius» (i.e. Ah.mad b. Yûsuf) in which 18 forms of the compound proportion derivable from one basic form are proved geometrically. Leonardo writes that Ptolemy used the sector-figure to prove a theorem about the declination of points on a circle (i.e. the ecliptic circle) from the equator. 10 He refers to Ptolemy, Almagest, Book 1, section 13-14. – Euclid is not quoted in chapters 8-11. The long chapter 12, which comprises about a third of the whole work (Boncompagni, Scritti 1, 166-318), contains a large number of different problems. Among these are: the summation of arithmetical and geometrical progression; the formula for the sum of the squares of the natural 7. «Et hoc est quod Euclides peritissimus geometra in suo libro declarat: quod quam proportionem habet quilibet numerus ad quemlibet numerum, eandem proportionem habent equa quelibet multiplicia illorum (Boncompagni, Scritti 1, 69 middle). It arises in the justification of the 2 proportion 83 : 5 = 249 : 17. 3 8. For this, see H. Lüneburg, Leonardi Pisani Liber Abbaci oder Lesevergnügen eines Mathematikers, Mannheim etc. 1992, 80f. 9. «Quia cum IIIIor numeri sunt proportionales, est multiplicatio secundi in tertium equa multiplicationi primi in quartum, ut ab Euclide demonstratum est» (Boncompagni, Scritti 1, 82, third to last paragraph). See note 2. 10. «Est enim hec talis propositio proportionum ea que ostenditur in figura cata, scilicet sectoris, per quam Tholomeus docuit in almagesti reperire demonstrationem (lege: declinationem) circulorum a circulo recto, et multa alia; et Ametus filius ponat (lege: posuit) decem et octo combinationes ex ea in libro, quem de proportionibus composuit» (Boncompagni, Scritti 1, 119, first paragraph). To the figura cata and its history see Richard Lorch, Thabit ibn Qurra On the Sector-Figure and Related Texts. Edited with Translation and Commentary, Frankfurt/Main 2001. The Latin text of Ah.mad b.Yûsuf is edited in W. R. Schrader, The Epistola de Proportione et Proportionalitate of Ametus filius Iosephi. Ph. D. Thesis, Univ. of Wisconsin, 1961.
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numbers; systems of linear equations; problems of simple and compound interest; the so-called remainder problem; perfect numbers. But the most famous of these problems is the «rabbit problem» in which the sum of a special recursively defined series is to be found (Boncompagni, Scritti 1, 283f.). Many of the problems in this chapter Leonardo solves by means of the «rule of false position». The algebraic method is used by Leonardo for a group of problems which were very popular in the Middle Ages: e.g. several men wish to buy a horse, but none can do this alone; one borrows a specified part of the available money from the others; the problem is to find how much each man has at the beginning. 11 In these problems it is remarkable that in some cases there is a negative solution. 12 The question which sources Leonardo used for this chapter cannot be answered here. Many of the problems in it can be found, sometimes with the same numerical values, in Arabic texts. We may assume that Leonardo is here taking advantage of what he learned in his journeys in the Mediterranean area. He mentions a problem which was propounded to him in Constantinople by a very learned «magister Muscus». 13 – In chapter 12 there is also a short section on perfect numbers. 14 Here Leonardo gives the procedure formulated by Euclid (IX.36) to find perfect numbers and he proves that the first three numbers found in this way (6, 28, 496) are indeed perfect. His presentation ends with «By always doing this, you can find perfect numbers in infinitum» (Et sic semper faciendo, poteris in infinitum perfectos numeros reperire). Even if Leonardo does not mention Euclid explicitly here, we may assume that his knowledge of perfect numbers came from Euclid, Book 9. In chapter 13 (Boncompagni, Scritti 1, 318-352) problems which lead to linear equations are solved by means of the «rule of double false position». The name «Regula elchatayn», which Leonardo uses, shows that he here used Arabic or Arabic-based material. In this chapter Leonardo does not mention any sources. In chapter 14 (Boncompagni, Scritti 1, 352-387) Leonardo explains by numerical examples the method of approximate calculation of square and cubic roots. He further considers numerous problems which display calculations with various kinds of irrational numbers. 11. See Kurt Vogel, Zur Geschichte der linearen Gleichungen mit mehreren Unbekannten, «Deutsche Mathematik», 5 (1940), 217-240. 12. See Jacques Sesiano, The Appearance of Negative Solutions in Mediaeval Mathematics, «Archive for History of Exact Sciences», 32 (1985), 105-150; here: 116-133. 13. «Questio nobis proposita a peritissimo magistro musco constantinopolitano in constantinopoli» (Boncompagni, Scritti 1, 249). In this problem five people together buy a ship. 14. De inventione perfectorum numerorum (Boncompagni, Scritti 1, 283).
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The calculation of square roots is based on the binominal theorem, (a + b)2 = a2 + b2 + 2ab. It is well known that this theorem is proved in geometrical form in Book 2 of the Elements. It is no wonder that Leonardo at the beginning of this chapter quotes word for word six of the first seven enunciations of Book 2 with express citation of Euclid. Since he does not need, as Euclid did, the propositions for general quantities, he substitutes everywhere the term «number» for «line». 15 – In the second part of chapter 14 calculation with expressions in which there are square roots is shown. In this part Leonardo bases himself on Book 10 of Euclid’s Elements – as he explicitly confirms. 16 In the discussion on the various roots 17 Leonardo makes use of the following notions which occur in Book 10 of the Elements: riti (= rhete) for «rational», and medialis, bimedialis, maior, recisum, apothami (= apotome) for the various irrational quantities. In his description of multiplication of irrationals Leonardo quotes Euclid explicitly, who – according to Leonardo – has said that between two similar numbers there is always another number. 18 The final, fifteenth, chapter (Boncompagni, Scritti 1, 387-459) contains, besides a series of geometrical problems involving the application of Pythagoras’ theorem, numerous problems that may be reduced to quadratic equations, which are solved by means of «algebra and almuchabala». Leonardo assumes the same six types of equation as al-Khw=rizmE, though the fifth and sixth cases are interchanged. He uses the same terms for the unknown and its powers as are found in the translations of alKhw=rizmE’s Algebra: res or radix for the unknown, census or quadratus for its square, numerus or denarius for a given number. Many problems in this chapter are taken from AbK K=mil’s «Algebra», several with exactly the same numbers, 19 though Leonardo adds prob15. «Liceat mihi in hoc de radicum capitulo quedam necessaria, que claves dicuntur, inserere; que cum sint in secundo euclidis apertis demonstrationibus demonstrata, sufficit super diffinitiones earum hoc tantum secundum numerum procedere» (Boncompagni, Scritti 1, 352). There follow Propositions II.2, 1, 4, 7, 5, 6, each illustrated by numerical examples (Boncompagni, Scritti 1, 352). It may be mentioned here that in his Practica geometrie, too, Leonardo cites some propositions of Book 2 (see note 27). 16. «Diffinitiones duarum linearum ratiocinatarum, super quas decimus euclidis liber geometrie tractat, assignare disposui» (Boncompagni, Scritti 1, 356, last paragraph). 17. For the content, see Lüneburg, Lesevergnügen, 254-257. 18. «Et hoc est quod euclides ostendit, cum dixit: inter duos numeris similes unum intercidere numerum» (Boncompagni, Scritti 1, 359, lines 8f). The definition of similar numbers is in Euclid vii. Def. 21: «Similar plane and solid numbers are those which have their sides proportional» (Heath, Euclid’s Elements 2, 278). In VIII.18 Euclid proves that between two similar plane numbers there is one mean proportional number; the wording in the direct translation from the Greek is: Duobus similibus epipedis numeris unus medius proportionalis incidit numerus (Busard, Mediaeval Latin Translation, 188). 19. For a list of the same or similar problems, see M. Levey, The Algebra of Abû Kâmil, Kitâb fî al-jâbr wa’l-muqâbala, in a Commentary by Mordecai Finzi. Hebrew Text, Translation, and Commentary
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lems of his own. Here again Euclid is mentioned, in three places: At the beginning of the chapter Leonardo presents (on ten pages) proportions among three and four numbers – proportions that he needs later to solve quadratic equations. In his treatment of the proportion c : b = (c – b) : (b – a) (with a < b < c) Leonardo used the fact that this proportion implies c : b = b : a and refers to Euclid’s Book 5 for the proof. 20 – At the beginning of the geometric section Leonardo presents the wellknown ladder problem: a 20-foot rod rests in its whole length against the wall of a tower. How many feet does the top of the rod move when the lower end moves 12 feet? Of course, this is easy to solve by applying Pythagoras’ theorem, which is proved – as Leonardo points out – as penultimate proposition of Book 1 of the Elements. 21 – In the solution of a group-purchase problem Leonardo refers to the fact established by Euclid that between two cube numbers two mean proportions can be found. 22 2. Practica geometrie Now for the Practica geometrie. This work, which is subdivided into eight sections, is, according to Leonardo’s own words, 23 a perfect handbook (perfectum documentum) for those who want to work in geometry, both those who do this with proofs and those who are laymen in this matter. 24 The work begins with the introduction of fundamental geometrical terms and the explanation of measures of length, area and volume (Boncompagni, Scritti 2, 1-5). The first part of the introduction is mainly occupied with citations of Book 1 of Euclid’s Elements: the definitions, with Special Reference to the Arabic Text, Madison / Milwaukee / London 1966, 217-220. See, too, Jacques Sesiano, La version latine médiévale de l’Algèbre d’Abû Kâmil, in M. Folkerts and J. P. Hogendijk (eds.), Vestigia Mathematica. Festschrift für H. L. L. Busard, Amsterdam 1993, 315-452. 20. «Ut in quinto euclidis ostenditur» (Boncompagni, Scritti 1, 391, last line). The proposition to which Leonardo refers is V.19; see Heath, Euclid’s Elements 2, 174. 21. «Et quoniam ut heuclides testatur in penultima sui primi libri, quod in trigonis rectiangulis quadratus lateris subtendentis angulum rectum equatur quadratis duobus lateris reliquorum duorum laterum angulum rectum continentium» (Boncompagni, Scritti 1, 397, middle). 22. «Et quoniam ut euclides dicit, inter duos cubos numeros duo medi intercidunt numeri continuati cum ipsis in proportione continua; ideo cubicetur 100, erunt 1000000, quorum proportio est ad cubum denariorum primi fori, sicut primus numerus ad quartum, ut euclides ostendit » (Boncompagni, Scritti 1, 399f). Here Leonardo refers to Euclid VIII.19: «Between two similar solid numbers there fall two mean proportional numbers», but he replaces «similar numbers» by «cube numbers» and thus restricts the statement, because all cube numbers are similar numbers, but not all similar numbers are cube numbers. 23. Baldassarre Boncompagni, Scritti di Leonardo Pisano, matematico del secolo decimoterzo. Vol. 2: Leonardi Pisani Practica geometriae ed opuscoli, Rome 1862, 1. 24. «hi qui secundum demonstrationes geometricas: et hi qui secundum vulgarem consuetudinem, quasi laicali more, in dimensionibus voluerint operari».
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axioms, postulates and some propositions from this book, but differently arranged. 25 Section 1 (Boncompagni, Scritti 2, 5-13) contains the calculation of the area of a rectangle when the sides are known in integers, in fractions or in various units of measure. At the end of this section (Boncompagni, Scritti 2, 13-18) Leonardo gives some general theorems which he says are necessary for the understanding of the second section. 26 Among these theorems is the greater part of the propositions of Euclid, Book 2, 27 the equivalence of proportions of three and four numbers and the corresponding equality of products, 28 and the theorem of intersection chords of a circle. 29 Leonardo does not mention Euclid in the beginning of this passage, but later refers to him twice. 30 In section 2 (Boncompagni, Scritti 2, 18-30) Leonardo shows how to determine square roots, both arithmetically and geometrically. He also treats calculation with expressions involving roots. Here he mentions no sources. Section 3 (Boncompagni, Scritti 2, 30-110) is on the measure of «fields» (campi) of various shapes, i. e. to find the area and associated quantities of plane figures (triangles, various quadrilaterals, polygons, circles). In the part on quadrilaterals he also applies quadratic equations. This section is similar in content and in some details to Savasorda’s Liber embadorum. Some examples remind us of the Liber mensurationum of Abû Bakr. But Leonardo does not mention these authors. Among those cited by name Euclid is in this section, too, the most frequently quoted. Leonardo cites passages from Books 1-3, 6, 12-14 of the Elements. These passages are: 31 25. Boncompagni, Scritti 2, 1 middle - 3 beginning. To the contents see below (p. 131). Leonardo does not write at the beginning, but only in the middle of this section that his text comes from Euclid: Multa enim sunt que oportet scire eos, qui in mensuratione, et divisione corporum, secundum subtilitatem geometricam procedere volunt, que in euclide aperte monstrantur (Boncompagni, Scritti 2, 2, lines 15-17). 26. «Et ut ea, que in hac secunda distinctione promisimus plenarie demonstrentur, quedam huic operi necessaria dignum duximus preponenda» (Boncompagni, Scritti 2, 13, last paragraph). 27. Boncompagni, Scritti 2, 13 bottom -17, second third. Leonardo cites propositions II.2, 1, 3, 4, 7, 5, 6, 9 and 10. At all places he brings the enunciation, the proof and a numerical example. 28. This is Prop. VII.19 with its addition; see above. The text is on Boncompagni, Scritti 2, 17 bottom - 18, second third. Leonardo gives the text of the enunciations with numerical examples. 29. Euclid III.35. Leonardo gives only the text of the enunciation (Boncompagni, Scritti 2, 18, end of the penultimate paragraph). 30. «Quoniam superfluum videtur nostris demonstrationibus demonstrare omnia, que Euclides super ostensionibus assignavit» (Boncompagni, Scritti 2, 17, lines 17-16 from the bottom); in Euclide ostenditur (Boncompagni, Scritti 2, 18, end of the first paragraph). 31. The letters in brackets have the following meanings: E = Euclid, cited by name; C = text given as citation; B = book number cited; P = proposition number cited. All page numbers are from Boncompagni, Scritti 2.
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Book 1: I.32 (sum of angles in a triangle): p.31 middle (ECBP) I.43: p.69, line 9 (E) I.47 (Pythagoras’ theorem): p.32, beginning of the second paragraph (C) Book 2: II.11 (the calculation of the greater part of a number divided according to the «golden section»): p.73 middle (E) II.12: p.38, line 3 from the bottom (EB) II.13: p.36, end of the first paragraph (EB). Book 3: III.3: p.102 middle (EB) III.27: p.97 middle (ECB) III.31 (angle in a semicircle): p.32 middle (ECB); p.90, lines 10-9 from the bottom (ECB). Book 6: VI.1: p.110, line 6 from the bottom (CB) VI.2: p.44, beginning of the third paragraph (EB) VI.5: p.36, line 13 (EC)32 VI.8: p.32, line 13 from the bottom (ECB); p.95, lines 6f. (EBP) VI.19: p.43, beginning of the second section (EB) Book 12: XII.2 (the areas of circles are proportional to the squares of the diameters): p.88, line 3 (ECBP) Book 13: XIII.9: p.105 middle (EB) XIII.10: p.105 middle (EB) Book 14: XIV.3: 33 p.106, line 9 from the bottom (EB)
Besides his borrowing from Euclid, Leonardo also uses in this chapter material from the agrimensores, i.e., the Roman surveyors. He cites them explicitly twice: first, he details the «common method» used by the agrimensores, sufficient for the measure of all triangles. 34 Secondly, in the section on calculating of circular arc he says that his procedure differs from that of the agrimensores, who measure a curved line with the help of a rope which can be bent. 35 32. Boncompagni’s text: «ostenditur, quod omnes figure que habent latera opposita, equalia habebunt similiter et angulos equales» is corrupt: opposita, equalia should be replaced by proportionalia. 33. In Heiberg’s edition the propositions of Book 14 are not numbered; the numbers given here and later are taken from Busard’s edition of the Greek-Latin translation (Busard, Mediaeval Latin Translation, 399-407). 34. «Modus vulgaris quo uti debent agrimensores, et est suffîciens in mensuratione omnium trigonorum» (Boncompagni, Scritti 2, 43 bottom). The problem is the calculation of the area of a triangular field with the help of a unit of length (mensuret cum pertica cathetum) and a simple instrument (lensa fili). 35. «Sed hec talis investigatio non est operanda ab agri mensoribus, qui secundum vulgarem modum procedere volunt ...» (Boncompagni, Scritti 2, 95, second paragraph).
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Other authors mentioned by Leonardo in section 3 are: In the determination of the area of the circle Leonardo expressly names 1 Archimedes for proving that the circumference of the circle is 3 times 7 the diameter. Leonardo describes in detail how the approximate value of 1 1440 : 458 (= 864 : 275) for π can be deduced by Archimedes’ method. 36 3 Leonardo draws up a table of chords, which, according his own words, he has put together himself . 37 His procedure is based on the method that Ptolemy described in the Almagest. Leonardo mentions Ptolemy expressly and sketches his procedure. 38 A little later he mentions Ptolemy again in connection with his diagram of a quadrilateral in a circle from which his calculation of chords depends. Leonardo then states and proves Ptolemy’s theorem. 39 He also mentions the 18 combinations of the ratios which can be obtained from the figura cata (that is Menelaus’ theorem) and refers to his own proof in his regula baracti – as it seems, his Liber Abbaci, chapter 9. 40 Of considerable interest is Leonardo’s proof of «Hero’s formula» of the area of a triangle. It is similar to the proof of the Banû Mûsâ, but Leonardo does not mention any names. 41 Another solution of a problem which Leonardo presents in this chapter was given to him by a man living in Verona. 42 In section 4 (Boncompagni, Scritti 2, 110-148) Leonardo treats the division of rectilinear or circular fields by lines so that the areas of the 36. Boncompagni, Scritti 2, 88 bottom - 90. The text starts with: «Ostendendum est etiam quomodo inventum fuit, lineam circunferentem omnis circoli esse triplam et septimam sui dyametri ab Archimedine phylosopho; et fuit illa inventio pulcra et subtilis valde: quam etiam reiterabo non cum suis numeris, quibus ipse usus fuit demonstrare; cum possibile sit cum parvis numeris ea que ipse cum magnis ostendit plenissime demonstrare» (Boncompagni, Scritti 2, 88 bottom). 37. «sequentes tabulas composui» (Boncompagni, Scritti 2, 95 bottom). The table itself is on page 96. 38. «Est enim alius modus reperiendi cordas semiarcuum, ex quibus arcubus corde sunt note; et quem Tholomeus posuit in almagesto (Boncompagni, Scritti 2, 94 bottom). Ptolemy’s procedure is described directly afterwards (up to Boncompagni, Scritti 2, 95 middle). 39. «Et hoc demonstravit Tholomeus in compositione tabule arcuum, et cordarum in almagesti per alium modum. Demonstravit quidem Tholomeus per consimilem figuram, quod omnis quadrilateri qualitercumque cadentis in circulo, si duo dyametri protrahantur in ipso, multiplicatio unius dyametri in alium equatur duabus multiplicationibus oppositorum laterum; quod sic probatur» (Boncompagni, Scritti 2, 104, first paragraph). See Ptolemäus, Handbuch der Astronomie, Bd. 1. Deutsche Übersetzung und erläuternde Anmerkungen von K. Manitius. Vorwort und Berichtigungen von O. Neugebauer, Leipzig 1963, 28f. 40. «in hac figura cata, et quas etiam in libro meo in regula baracti demonstravi» (Boncompagni, Scritti 2, 54 bottom). 41. Boncompagni, Scritti 2, 40f. 42. «solutio ... mihi proposita a quodam veronense» (Boncompagni, Scritti 2, 50, second third).
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parts are in a given proportion. He studies in detail the problem: to divide a triangle by a straight line, which is drawn through a given inner point of the triangle, into two equal parts. His procedure corresponds to that in Euclid’s Liber divisionum, which was translated by Gerard of Cremona from the Arabic, 43 but Leonardo does not mention this source. He also treats the division of quadrilaterals, polygons and circles in two or more equal or unequal parts. In this part Leonardo cites only Euclid. In three places Euclid is mentioned by name. Once he mentions the number of the proposition: VI. 15. 44 In the other two citations he only gives the book numbers: Book 3 and 12, respectively. 45 Section 5 (Boncompagni, Scritti 2, 148-158) is on determination of cube roots. For this purpose, besides the arithmetic procedure Leonardo describes a geometrical method. Here the problem is reduced to finding two mean proportions between two given quantities. In antiquity this procedure was used to solve the problem of the duplication of the cube; but it is also convenient for finding cube roots geometrically. Leonardo gives three methods of solution. The first (Boncompagni, Scritti 2, 153f ) corresponds to the solution which is attributed to Archytas and is presented in Prop. 16 of the Verba filiorum of the BanK MKs=. The second solution (Boncompagni, Scritti 2, 154) is also to be found in a treatise by Philo of Byzantium. The third solution (Boncompagni, Scritti 2, 154f ) is Prop. 17 of the Verba filiorum, slightly altered. 46 Leonardo does not state his sources, but only says that for the second proof the penultimate proposition of Euclid’s Book 3, i. e. about the length of a tangent from a given point to a given circle (III. 36), is necessary. 47 Section 6 (Boncompagni, Scritti 2, 158-202) is on the determination of the volumes of solids (right parallelepipeds, pyramids, cones, spheres, polyhedra). In this chapter, too, Leonardo made full use of the Verba 43. Gerard’s translation as well as the Greek text is lost. 44. «trigona ... habent unum angulum comunem; quare circa ipsum angulum comunia patiuntur latera; hoc est quod sunt mutuae proportionis, ut in quinto decimo theoremate sexti libri Euclidis habetur» (Boncompagni, Scritti 2, 111, lines 8-6 from the bottom). 45. «Et quoniam equalis est recta .tk. recte .ae., ipse due recte ab eodem circolo equales sectiones auferunt, ut in tertio libro Euclidis panditur» (Boncompagni, Scritti 2, 146 middle; the text refers to Prop. III.28); «sunt enim circuli ad se invicem sicuti ad quadrata dyametrorum; ut in duodecimo Euclidis monstratum est» (Boncompagni, Scritti 2, 147 middle; the text refers to Prop. XII.2). 46. See Marshall Clagett, Archimedes in the Middle Ages. Vol. 1: The Arabo-Latin Tradition, Madison 1964, 658-664; Marshall Clagett, Archimedes in the Middle Ages. Vol. 3: The Fate of the Medieval Archimedes 1300 to 1565, Philadelphia 1978, 1274. 47. «Probatur hec figura per penultimam tertii Euclidis» (Boncompagni, Scritti 2, 154, end of the second paragraph).
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filiorum of the Banû Mûsâ : on 10 pages of the printed edition (Boncompagni, Scritti 2, 178-187) Leonardo gives the contents of the enunciations and proofs of Propositions 8-15. 48 The correspondence is not literal, but the texts of Leonardo and the Banû Mûsâ are so similar that a dependence must be assumed, even though Leonardo does not mention his source. In section 6 there are again many references to Euclid. In one plane (Boncompagni, Scritti 2, 159 middle) Leonardo says that in Book 14 Euclid explains how octahedra, dodecahedra and icosahedra may be inscribed in a sphere. 49 In twelve places Leonardo refers to specific propositions of Euclid’s Elements, which he needs for his own theorems; sometimes he gives the number of the book of the Elements which he is citing, but never the proposition number. 50 Of special interest is Leonardo’s citation in section 6 of two lengthy passages from the Elements: on Boncompagni, Scritti 2, 159-162 the text of most of the enunciations of Books 11-13 and on Boncompagni, Scritti 2, 162 of most of the enunciations of Book 14. I shall later refer to there literal citations. Besides Euclid, Leonardo also mentions Menelaus, Theodosius and Ptolemy in section 6. In a problem about the sphere Leonardo cites a deduction which can be found in the books of Menelaus and Theodosius. 51 A little later Leonardo writes that it is to be found in Menelaus and in the Almagest that the intersection of a sphere and plane is a circle and that the line between the center of the sphere and the center of the circle is perpendicular to the plane of the intersection. 52 In the short section 7 (Boncompagni, Scritti 2, 202-206) Leonardo treats the measurements of altitudes and depths by means of the quadrant. The
48. See Clagett, Archimedes 3, 1275-1283. 49. This refers to propositions 14, 17, 16 of Book 13 (not Book 14). 50. The Euclidian propositions in question are: IIL9: p. 179, lines 9f. (E) VI.19 Por.: p. 175, lines 10-12 (C) XI.2: p. 179, lines 2-3 (EB) XII.7: p. 169, lines 2-4 (EB) XIII.3: p. 200, lines 7-4 from the bottom (E). XIII.8: p. 196, lines 4-2 from the bottom (EB) XIII.14: p. 194, lines 4-3 from the bottom (EB) XIII.17: p. 196, lines 11-9 from the bottom (EB) XIV.3: p. 197, lines 4f. (EB) XIV.4: p. 199, lines 4-6 (E) XIV.8: p. 197 middle (ZB) XIV.9: p. 201, lines 6-10 (E). Here, too, the letters in brackets mean: E = Euclid, cited by name; C = text given as citation; B = book number cited. All page numbers refer to Boncompagni, Scritti 2. 51. «ut in libro Miles. et Teodosii probatum est» (Boncompagni, Scritti 2, 179, line 12). 52. «ut habetur in libro Milei et in Almaiesti ...» (Boncompagni, Scritti 2,197, line 13).
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only author he cites in this section is Euclid: Leonardo uses a proposition from Euclid’s Book 1. 53 The last section 8 (Boncompagni, Scritti 2, 207-224) contains some special geometrical problems (subtilitates). In the first part (Boncompagni, Scritti 2, 207-216) problems about pentagons and decagons are treated. The irrational roots of the quadratic equations which occur here are calculated by Leonardo with great exactitude and expressed in sexagesimal fractions. The text on pentagons and decagons is mostly taken from Abû Kâmil’s treatise on the subject, 54 even to the numerical examples. But Leonardo does not give his source. In fact, the only author cited by Leonardo is again Euclid: in five places he quotes propositions from Books 13 and 14 of the Elements. 55 In the second part of this section Leonardo proposes a problem in number theory (Boncompagni, Scritti 2, 216-218): to find a square number which, increased by 5, is again a square number. Leonardo gives two methods for solution. He does not give his source. 3. Minor works a. Flos This work begins with a problem presented to Leonardo by John of Palermo in the presence of the emperor Frederic II: to find a square number which, when increased and decreased by 5, produces square numbers (Boncompagni, Scritti 2, 227). Here Leonardo gives only the result; elsewhere, in the Liber quadratorum, he presents the procedure to find these numbers. As he himself says in the Flos, he had already begun the treatise on the square numbers. 56 Another problem was proposed to him by John of Palermo (Boncompagni, Scritti 2, 228-234) : to solve the cubic equation x3 + 2x2 + 10x = 20. Leonardo first proves that x cannot be a (positive) integer, nor a fraction, 53. «Item enim permutatim, ut in primo libro Euclidis ostenditur ...» (Boncompagni, Scritti 2, 206 middle). This refers to Prop. 1.29: «In equidistantes rectas recta incidens et permutatim angulos equales alternis facit ...» (Busard, Mediaeval Latin Translation, 43). 54. See Richard Lorch, Abû Kâmil on the Pentagon and Decagon, in M. Folkerts, J. P. Hogendijk (eds.), Vestigia Mathematica. Festschrift für H. L. L. Busard, Amsterdam 1993, 215-252. 55. XIII.1: p. 215, line 2 from the bottom - 216, line 2 (E); XIII.3: p. 215 middle (E); XIII.8: p. 215, lines 4-2 from the bottom (E); XIII.11: p. 207, lines 8-7 from the bottom (EB); XIV.1: p. 215 middle (E); XIV.3: p. 211 middle (EB). 56. «quare hinc sumens materiam, libellum incepi componere ... quem libellum quadratorum intitulavi» (Boncompagni, Scritti 2, 227, line 5-4 from the bottom).
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nor a square root of a rational number. Then he shows that x cannot have the form of any of the irrational quantities to be found in Euclid. Finally he gives an approximate solution in sexagesimal fractions, though without describing the procedure to find it. His result is remarkable enough: 1 it exceeds the true value of the root only by 1 units of the sixth 2 sexagesimal place. This problem is to be found, with the same numerical values, in ‘Umar Khayy=m. 57 At the beginning of this section Leonardo gives a detailed treatment of Euclid’s tenth book (Boncompagni, Scritti 2, 228, first paragraph). He writes that when he had thought about this problem, it became clear to him that the solution can be expressed in terms of the quantities found in Euclid X. 58 In consequence, he had studied Book 10 intensively in order to understand the meaning and to commit the contents in memory. Because this book is more difficult than the previous and some of the following books, he had begun to write notes on it, reducing Euclid’s statement about lines and areas to statements about numbers. 59 As it seems, this work on Book 10 has been lost – unless his following remarks in the Flos may be interpreted as his notes. For Leonardo now proceeds to list the 15 different varieties of quantity which Euclid introduces in Book 10. He gives their names, some of which reveal the Greek origin. 60 On the following pages Leonardo cites Euclid in three places: Book 10 twice and Book 6 once; 61 in addition there is at least one literal quotation from Euclid, but without mentioning his name. 62 The second part of the work (Boncompagni, Scritti 2, 234-247) is a small collection of problems in recreational mathematics. One of the problems, in which a sum of money must be distributed among three people, was suggested to him by John of Palermo. The same problem is to be found in the third book of al-KaraCE’s Algebra. Leonardo gives the solution, which he himself describes as «exceedingly beautiful» (nimis pul57. See Kurt Vogel, Ein unbestimmtes Problem al-KaraCîs in Rechenbüchern des Abendlandes, «Sudhoffs Archiv», 61 (1977), 66-74. 58. «solutionem egredi ex his que continentur in Xo libro Euclidis». 59. «Et quia difficilior est antecedentium et quorumdam sequentium librorum Euclidis, ideo ipsum Xm librum glosare incepi, reducens intellectum ipsius ad numerum, qui in eo per lineas et superficies demonstratur» (Boncompagni, Scritti 2, 228, top). 60. Especially rite («rational»; Boncompagni, Scritti 2, 228) and apothami (Boncompagni, Scritti 2, 232); see Liber abbaci, chapter 14. 61. VI.14: Boncompagni, Scritti 2, 229, lines 8-6 from the bottom; X.11: Boncompagni, Scritti 2, 229, lines 5-3 from the bottom; X.73: Boncompagni, Scritti 2, 230, lines 5-7. 62. X.22: «Et quia quod a media secundum ritim et ductum latitudinem facit ritim et incommensurabilem ei cui adiacet longitudine» (Boncompagni, Scritti 2, 230, beginning of the last third). The wording is the same as in the Greek-Latin translation, which has correctly eductum instead of the wrong et ductum in Boncompagni’s edition; see Busard, Mediaeval Latin Translation, 229.
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chrum modum inveni), in the Flos (Boncompagni, Scritti 2, 234-236). He gives three other methods for this problem in his Liber abbaci (see Vogel 1977, pp. 70-72). b. Epistola ad Magistrum Theodorum This letter, which Leonardo wrote to a certain «magister Theodorus» (Boncompagni, Scritti 2, 247-252), contains several problems. The first belongs to the indeterminate analysis; it is the «problem of 100 birds». Then follows a geometrical problem: in an isosceles triangle to inscribe a regular pentagon with the condition that one of the vertices is the common point of the equal sides of the triangle and the opposite side is a part of the opposite side of the triangle. At the end there is another problem, which leads to a system of five linear equations and five unknowns. In this letter Leonardo mentions no sources. c. Liber quadratorum In the year 1225 Leonardo wrote his Book of squares (Liber quadratorum; Boncompagni, Scritti 2, 253-283), which contains problems in indeterminate quadratic equations. One of them was already mentioned in the Flos, one of the problems suggested to Leonardo by master John of Palermo, the philosopher at the court of Frederic II: to determine a (rational) square number such that, if it is increased and decreased by 5, produces (rational) square numbers (Boncompagni, Scritti 2, 271). In the last problem of the Liber quadratorum (Boncompagni, Scritti 2, 279-283) three numbers x, y and z must be determined so that each of the sums x+y+z+x2, x+y+z+x2+y2, x+y+z+x2+y2+z2 is a square number. In the Liber quadratorum Euclid is again the only author cited: Leonardo quotes him three times, propositions in Book 8 and 10. 63 4. Which version of Euclid did Leonardo use ? As we have seen, Euclid is the most-cited author in Leonardo’s writings. He knew the Elements in great detail, especially Book 10. Since he quotes explicitly substantial passages of the Elements, the question may be asked, which of the Latin versions of Euclid he used. Which Latin Euclid texts could have been available to Leonardo? In the 63. VIII.11: Boncompagni, Scritti 2, 276, 2nd paragraph (E); VIII.24: Boncompagni, Scritti 2, 254, lines 5-3 from the bottom (E); lemma 1 to X.28: Boncompagni, Scritti 2, 255, penultimate paragraph (EB).
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twelfth century the Elements were translated three times from Arabic into Latin. The first translation was made by Adelard of Bath, perhaps in the second quarter of the 12th century. 64 As author of the second translation the manuscripts give Hermann of Carinthia. 65 If Hermann really is the author of the translation, it appears that he did not translate literally – as it was usual for him. The third translation from the Arabic was made by Gerard of Cremona (d. 1187). 66 The text as we have it appears to be a later reworking of the original. The most influential Euclid text in the Latin West in the 12th century was the so-called «Version II».67 Clagett called it «Adelard II». We now know that the author was not Adelard, but almost certainly Robert of Chester. At least, he was responsible for the text of the enunciations. For these he used different Latin texts (Adelard’s and Hermann’s translations; the so-called «Geometry II» of Pseudo-Boethius). Later, proofs were added to the enunciations. This addition might have been made in two stages, as Burnett has suggested. 68 The text of the enunciations must have been written shortly before 1140; a «terminus ante quem» for the complete work is 1163-1168. Another Euclid text which might have been available at the end of the 12th century is the so-called «Version III». 69 It was composed after «Version II», as it seems, by John of Tinemue. The oldest manuscript (Oxford, Balliol College 257) is dated late 12th century. Besides the translations from the Arabic and the Latin texts based upon them, there was another 12th century Latin text: a translation made direct from the Greek. It was composed in Sicily and, as it seems, after 1165 (ed. Busard, Mediaeval Latin Translation). It belongs to a group of texts which were translated in the second part of the 12th century either in Southern Italy or in Sicily. These texts include Ptolemy’s Almagest, Euclid’s Elements, Data, Optics (De visu) and Catoptrics (Liber de speculis); to these we may add Proclus’ Elementatio physica. 64. The so-called «Adelard I» text; ed. H. L. L. Busard, The First Latin Translation of Euclid’s Elements Commonly Ascribed to Adelard of Bath, Toronto 1983. 65. Ed. H. L. L. Busard, The Translation of the Elements of Euclid from the Arabic into Latin by Hermann of Carinthia: books I-VI, «Janus», 54 (1967), 1-140; books VII-XII, Amsterdam, 1977. 66. Ed. H. L. L. Busard, The Latin translation of the Arabic version of Euclid’s Elements commonly ascribed to Gerard of Cremona, Leiden 1983. 67. Ed. H. L. L. Busard, M. Folkerts, Robert of Chester’s (?) Redaction of Euclid’s Elements: the so-called Adelard II Version, 2 vols., Basel / Boston / Berlin 1992. 68. Charles Burnett, The Latin and Arabic Influences on the Vocabulary Concerning Demonstrative Argument in the Versions of Euclid’s Elements Associated with Adelard of Bath, in J. Hamesse (ed.), Aux origines du lexique philosophique européen: L’influence de la latinitas, Louvain-La-Neuve 1997, 117135. 69. Called «Adelard III» by Clagett; ed. H. L. L. Busard, Johannes de Tinemue’s Redaction of Euclid’s Elements, the So-Called Adelard III Version, 2 vols., Stuttgart 2001.
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In the twelfth century the Norman kingdom of Southern Italy and Sicily was the most important meeting-point of Greek and Latin cultures. By 1090 the island had become a Norman kingdom in which Greek, Latin, and Arabic civilizations lived side by side in peace and toleration. The three languages were in current use in the royal charters and registers, as well as in many-tongued Palermo, so that knowledge of more than one of them was a necessity for the officials of the royal court. The production of translations was encouraged by the Sicilian kings from Roger to Frederick II and Manfred as part of their efforts to foster learning. The two principal translators, Henricus Aristippus and Eugene the Emir, were members of the royal administration. Aristippus was the first translator of the Meno and Phaedo of Plato and of the fourth book of Aristotle’s Meteorology, and his Latin rendering remained in current use during the Middle Ages and the early Renaissance. He was also instrumental in bringing manuscripts to Sicily from the library of the Emperor Manuel at Constantinople. One of these possesses special importance, a codex of Ptolemy’s Almagest, from which the first Latin version was made by an anonymous scholar about 1160. In his preface the translator says that as he was laboring over the study of medicine at Salerno, he learned that a copy of Ptolemy’s great treatise had been brought from Constantinople to Palermo, as a present from the Greek emperor, by an ambassador of the Sicilian king. He set out to seek this emissary, by name Aristippus, and braving the terrors of Scylla and Charybdis and the fiery streams of Etna he found him at Pergusa, near the fount, engaged, not without danger, in investigating the marvels of Etna.
J. E. Murdoch, who in 1961 discovered a manuscript of the translation of the Elements from the Greek, argued that the anonymous translator of the Almagest and that of the Elements are identical and that these two works were not translated by the same person who translated the Data, the Optics and the Catoptrics. 70 But Busard, who edited the translation of the Elements in 1987, doubts Murdoch’s assumption. He thinks that a distinction in two groups should be made and that the person who translated Books I-XI.33 and XV, might be different from the translator of Books XI.34-XIII. The translation of the Elements from the Greek is transmitted by only two manuscripts, one of them being incomplete. 71 It should be said that 70. See John E. Murdoch, Euclides Graeco-Latinus: A Hitherto Unknown Medieval Latin Danslation of the Elements Made Directly from the Greek, in Harvard Studies in Classical Philology, 71 (1966), 249-302. 71. Paris, BnF lat. 7373, s.13, f.2r-175v; Florence, BNC, conv. soppr. C I 448, 104 fols., s.14 (breaking off in X.48).
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the only complete manuscript has after the end of Book 13 and before the beginning of Book 15 an abbreviated version of Books 14 and 15 of the Elements. 72 Thus it does not contain the original text of Book 14, but two versions of Book 15: the original and an abbreviation. After this long excursus let us return to Leonardo. Apart from citations of individual propositions from Euclid’s Elements, Leonardo presents substantial quotations of enunciations (and definitions) from four sections of the Elements: from Books 1, 2, 11-13 and 14. A comparison of these passages with the Latin versions of Euclid available in the early 13th century might answer the question which version Leonardo used. However, the extracts from Book 1 of the Elements which Leonardo puts at the beginning of his Practica geometriae (Boncompagni, Scritti 2, 13) show no great agreement with any of the texts of the Latin Euclid. Here Leonardo apparently used no one version or, at any rate, no one version known to us, but brought together various elements from different sources. According to Leonardo, the material he gives is necessary for those occupied with geometry. 73 The order of the material itself shows that Leonardo has written this text by compilation. 74 Book 2: In two different places Leonardo gives the content of a large part of the enunciations of Book 2: in the Liber abbaci 75 and later in the Practica geometriae. 76 If we compare the text of the five enunciations common to the two citations, we find that the formulations are quite different. This suggests that Leonardo did not copy the texts word for word, but cited the content of what he had committed to memory. This explanation would account for the lack of agreement with the known texts of Euclid. 77 But there is one exception to this pattern of citation: Leonardo’s text of Proposition II.9, apart from minor details, the text of the direct translation from the Greek. 78 Books 11-13: As introduction to calculations about solids in Chapter 6 72. Paris, BnF lat. 7373, f.167v-172v. 73. This is apparently the meaning of the sentence which appears in Boncompagni’s edition (Boncompagni, Scritti 2, 2f.) in corrupt form: Sine his omnibus, et sine radicum inventione, ipsi qui secundum vulgarem modum procedere voluerint: cum his que ostendam inferius, convenienti loco poterunt sufficienter procedere. (A non appears to be missing in the last part of the sentence.) 74. The order is: Elements I def. 1-14, 19, 15-18; III def. 6, 10; I def. 23, 29; I.1, 9/10, 11-13, 15, addition, 33, 23, 31, 35-38; I def. 22; I 34, 32; ax. 1-4, 4a, 5-8; addition to post. 5. We may note that after I def. 18 not only the definition of the segment of a circle (III def. 6), but also the definition of the sector of a circle (III def.10) is inserted. 75. On Boncompagni, Scritti 1, 352 the enunciations of II.2, 1, 4, 7, 5 and 6. 76. On Boncompagni, Scritti 2, 13-17 the enunciations of II.2, 1, 3, 4, 7, 5, 6, 9 and 10. 77. That is: Boethius, Adelard I, Hermann, Gerard, Version II, translation from the Greek. 78. This proposition is quoted only in the Practica geometriae.
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of his Practica geometriae Leonardo quotes almost all theorems of Books 11-13 of the Elements. 79 Somewhat later he quotes in extenso the construction problems of the same books. 80 As in Books 1 and 2, there is no significant agreement with the known Latin texts of Euclid. But it is remarkable that the order of the cited propositions is the same as in the Arabic-based versions, which is quite distinct from the order in Greek and in the direct translation. 81 This same ordering is a strong indication that Leonardo here was using an Arabic-based translation. This translation is either lost (or not yet found) or was one of the known Arabic-based translations whose text Leonardo reformulated to suit his own style. Book 14: Between the two blocks of citations from Books 11-13 (see above) Leonardo added a passage with the title Incipiunt theoremata quartidecimi libri, which reproduces the enunciations of Book 14. 82 The wording of there citations corresponds very exactly to the formulation in the compendium of Books 14 and 15 which appears in the only complete manuscript of the direct translation from the Greek between Books 13 and 15. 83 It is therefore clear, beyond any doubt, that Leonardo knew and used this compendium. Indeed, Busard adduces arguments to support the idea that Leonardo himself wrote the compendium. 84 Now a few words about the citations of individual propositions from Euclid’s Elements. It is not always clear in which places Leonardo reproduces the exact wording of the text he had before him and in which he expresses the content with his own words. In the majority of cases he appears to paraphrase the text; in no case have I found a definite agreement between Leonardo’s text and that of an Arabic-based version. But on the other hand there are several places where Leonardo’s wording is very similar to the direct translation from the Greek; in some cases the agreement is so exact that it is not merely probable, but certain, that he knew and used this translation.
79. On Boncompagni, Scritti 2, 158-162. Besides the definitions of some basic stereometric terms, he cites the following propositions: XI.1-10, 13, 15-22, 24, 25, 28-32, 34, 33, (def. 9), 35-39; XII.4, 5, 7, 9, 8, 14, 10, 12, 11, 15, 18; XIII.1-3, 5, 4, 6, 7, 12, 9,10,8,11,16,17. 80. On Boncompagni, Scritti 2, 162, bottom. There are: Elements XI.11, 12, 23, 26, 27; XII.16, 17; XIII.13-18. 81. Above all, the interchange XII.9 – XII.8; the omission of XII.6 and XII.13-14; the order of XII.10, 12, 11 and XIII. 5, 4, 6, 7, 12, 9, 10, 8, 11. 82. Boncompagni, Scritti 2, 162. The cited material is XVI.1-7, 9 and 10 (in Busard’s numbering [Busard, Mediaeval Latin Translation, 399-407]). 83. See above. This text has been edited in Busard, Mediaeval Latin Translation, 399-411. 84. See Busard, Mediaeval Latin Translation, 19f.
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List of parallel texts: I. 32: Leonardo (Practica geometrie, Boncompagni, Scritti 2, 31): «cum omnes tres anguli cuiuslibet trigoni duobus rectis sint equales ...» Greek-Latin translation (Busard, Mediaeval Latin Translation, 44): «Et interiores tres anguli trigoni duobus rectis sunt equales». III.27: Leonardo (Practica geometrie, Boncompagni, Scritti 2, 97): «... equales angulos super equas periferias consistere, cum ad centrum vel ad periferiam sint constituti ...» Greek-Latin translation (Busard, Mediaeval Latin Translation, 85): «In equalibus circulis qui super equales periferias consistunt anguli equales sibi invicem sunt sive ad centra sive ad periferias fuerint constituti». VI. 1: Leonardo (Practica geometrie, Boncompagni, Scritti 2, 110): «sunt enim trigona sibi invicem sub eadem altitudine existentia sicut bases» Greek-Latin translation (Busard, Mediaeval Latin Translation, 125): «Trigona et parallilogramma sub eadem altitudine existentia ad se invicem sunt ut bases». VI.14: Leonardo (Flos, Boncompagni, Scritti 2, 229): «Equalium vero et unum uni equalem habentium angulum parallilogramorum contrarie potiuntur latera, que circa equales angulos subtenduntur» Greek-Latin translation (Busard, Mediaeval Latin Translation, 135): «Et equalium et unum uni equalem habentium angulum parallilogrammorum contrarie latera patiuntur que circa equales angulos». VI.20, por. 2: Leonardo (Practica geometrie, Boncompagni, Scritti 2, 175): «Et quando tres recte continue proportionales sunt, erit sicut prima ad tertiam ita figura, que est a prima, ad figuram que est ad secundam similem, et similiter descriptam» Greek-Latin translation (Busard, Mediaeval Latin Translation, 141): «... si tres recte proportionales fuerint, erit ut prima ad tertiam ita figura que a prima ad eam que a secunda similem et similiter descriptam». X.11: Leonardo (Flos, Boncompagni, Scritti 2, 229): «Et cum quatuor quidem quantitates proportionales sunt, fueritque sicut prima ad secundam, ita tertia ad quartam; et prima fuerit secunde commensurabilis, et tertia quarte commensurabilis erit»
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Greek-Latin translation (Busard, Mediaeval Latin Translation, 221): «Si quattuor quantitates proportionales fuerint, fueritque prima secunde commensurabilis, et tertia quarte commensurabilis erit». X.22: Leonardo (Flos, Boncompagni, Scritti 2, 230): «Et quia quod a media secundum ritim et ductum latitudinem facit ritim et incommensurabilem ei cui adiacet longitudine» Greek-Latin translation (Busard, Mediaeval Latin Translation, 229): «Quod a media secundum ritin eductum latitudinem facit ritin et incommensurabilem ei cui adiacet longitudine». Another proof that Leonardo used the direct translation from the Greek is his use of some technical terms which are otherwise only known in the direct translation, e.g.: epipedi (VII def.17), riti (X def.3), riton et medium potens (X.40), media (X.21), abscisio (X.73), apotomi (X.92), dodrans and dextans (XIV.8). 85 It is well known that the direct translation of the Elements was little used; this can be seen, for instance, from the paucity of manuscripts which survive (only two, one of which being incomplete). In general, this translation had little influence. It is, however, not surprising that Leonardo should have known it, for he had a close relationship with the Hohenstaufen emperor Frederick II and with the philosophers and scientists at his court. The Flos and the Liber quadratorum, both written in 1225, deal with mathematical problems given by John of Palermo in the presence of the emperor. John himself probably translated a short Arabic treatise on the hyperbola from Arabic into Latin. Michael Scot, who lived at the court in Palermo, received the revised edition of the Liber abbaci in 1228 from Leonardo himself. As the translation of the Elements from the Greek was done in Sicily some decades before Leonardo’s activity, it is not surprising that Leonardo had access to it and used it. 5. Summary and final remarks The study of the citations of Euclid has shown that Leonardo knew the text of the Elements very well and fully understood its mathematical content. Euclid was Leonardo’s principal source for theoretical mathematics: he cites him often and, according to his own words, wrote some kind of commentary on Book 10, the longest and most difficult book of the Elements. As we have seen, Leonardo knew and used the direct translation of the Elements which was made in Sicily after 1160. He also knew 85. This was mentioned by Busard, Mediaeval Latin Translation, 19.
leonardo fibonacci’s knowledge of euclid’s
ELEMENTS
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a compendium of Books 14 and 15 which is transmitted together with the Greek-Latin direct translation; and it is not impossible that Leonardo himself compiled this text. Further, he was acquainted with another Euclid text which followed the Arabic order of the propositions as shown by the translations of Adelard, Hermann and Gerard. Leonardo’s writings show that for his time he possessed a comprehensive and deep knowledge of both theoretical and practical mathematics. He was also very well-read: besides Euclid, he cites Archimedes, Ptolemy, Menelaus, Theodosius, Ah.mad b. Yûsuf and the agrimensores. Further he knew the Liber trium fratrum of the Banû Mûsâ and some writing of AbK K=mil. These are the authors whom Leonardo either names himself or whom we may identify with certainty from the wording of the citation – there may be more of the second sort which have yet to be identified. Research into Leonardo’s sources has hardly begun. No doubt, new results will be obtained when the content of his writings is carefully analysed and systematically compared with the works of other authors.
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Maryvonne Spiesser QUESTIONS SUR LA DIFFUSION DU LIBER ABBACI EN FRANCE AU XV E SIÈCLE À TRAVERS L’ÉTUDE DES TRAITÉS COMMERCIAUX 1. Introduction
L es traités à l’usage des marchands écrits en France au XVe siècle ne font pas nombre, en comparaison de leurs homologues italiens, les «traités d’abaque». Ils sont une vingtaine tout au plus à être répertoriés à ce jour. Leurs auteurs puisent dans un fonds de savoir commun, en grande partie parvenu par la voie arabe et transmis via l’Italie ou l’Espagne. Ce patrimoine est exploité, enrichi, souvent anonymement, sans que l’on connaisse, dans la grande majorité des cas, les sources d’inspiration directe. Le contexte italien est différent, car il est clair que l’influence du Liber abbaci, même si elle n’est pas exclusive, a été déterminante dans la naissance et le développement des ouvrages mathématiques axés vers une pratique commerciale. Plusieurs auteurs revendiquent d’ailleurs leur dette envers le mathématicien pisan. Cette reconnaissance de paternité, on la chercherait en vain dans les écrits français ou occitans. L’expérience des Italiens et surtout des Toscans en matière de formation, véhiculée dans les échanges entre les milieux commerciaux des grandes villes italiennes et françaises – au moins dans le midi – n’a pas été sans conséquence sur le développement des mathématiques pour les besoins du commerce. Plusieurs maîtres d’abaque sont venus enseigner leur art en Languedoc, des traités en sont le témoignage. 1 Dans ce contexte, on peut se poser la question de la circulation en France du Liber abbaci, sous une version complète ou fragmentaire, dans les milieux liés à la formation mathématique des marchands. On possède en France très peu de manuscrits dans lesquels figurent des extraits du Liber abbaci. Warren van Egmond en note trois seulement, conservés dans des bibliothèques parisiennes. 2 C’est pauvre, mais toute1. Jacopo da Firenze, Tractatus algorismi (Firenze, Biblioteca Riccardiana, ms 2236): «compilatus a Magistro Jacobo de Florentia apud Montem Pesulanum. Anno Domini millesimo trecentesimo septimo…». Paolo Gherardi a écrit en 1328 un traité d’arithmétique et d’algèbre «selon le cours qu’il donne à Montpellier » (Libro di ragioni, Firenze, Biblioteca nazionale, ms Magl. ClXI-86). 2. W. van Egmond, How Algebra came to France?, C. Hay (ed.), Mathematics from Manuscript to Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche · Vol. XXIV · (2004) · Fasc. 1
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fois peu significatif étant donné le nombre restreint des copies conservées par le monde, dix-huit selon W. van Egmond. 3 Le Liber abbaci a dû être lu en France avant le XVe siècle ; c’est du moins ce qu’affirme Ghislaine L’Huillier à propos de son édition du Quadripartuitum numerorum de Jean de Murs. 4 C’est après avoir écrit ce livre [livre III] que Jean de Murs prend connaissance du traité de Léonard de Pise intitulé Liber abaci. Il décide alors d’en tirer parti pour son propre ouvrage. Il écrit donc les Questiones qui proposent des problèmes d’algèbre et qui en sont presque tous issus. Ensuite, pour exploiter ce trésor qu’est pour lui cet énorme traité, il écrit son important Semiliber, dont la seule unité est donc d’être inspiré de Léonard de Pise. De même, le livre IV dans sa diversité est lui aussi largement inspiré du Liber abaci.
Jean de Murs aurait donc découvert Léonard de Pise alors qu’il composait son Quadripartitum, s’en inspirant pour la classification des irrationnelles et pour les résolutions algébriques. Les arguments de G. L’Huillier sont convaincants 5 et un examen comparatif du Liber abbaci fait pencher dans son sens. En aucun endroit cependant, Jean de Murs ne mentionne Léonard de Pise. D’ailleurs il ne suit pas servilement l’ordre des exemples proposés dans le Liber abbaci mais les réorganise selon sa propre logique. Quelles sources a-t-il en mains? Cette interrogation à propos de l’auteur parisien va se poser de manière quasi identique pour les arithmétiques marchandes du XVe siècle en France, du moins pour l’une d’elles comme nous le verrons. Et en l’absence de tout commentaire sur les sources, les arguments seront comparables à ceux de G. L’Huillier, les conclusions ne seront au plus que de fortes présomptions. 2. Les traités commerciaux français du xv e siècle : caractères généraux Seuls les algorismes seront considérés dans cette étude. Il s’agit, rappelons-le, de traités enseignant la pratique du calcul écrit à l’aide des chiffres et du système positionnel indo-arabe, comme l’expose Léonard de Pise dans le Liber abbaci. Si l’on prend uniquement en compte les textes qui ne se résument pas à quelques feuillets incomplets, souvent désordonnés Print, 1300-1600, Oxford 1988, pp. 127-144, p. 130. Il s’agit des manuscrits Paris, Bibliothèque nationale de France, lat. 7225A (XIVe s.) et lat. 7367 (XVe s.) et du manuscrit Paris, Bibliothèque Mazarine, ms lat. 7637 (XIVe s.). 3. W. van Egmond, How Algebra came to France?, op. cit., 130. 4. G. L’Huillier, Le Quadripartitum numerorum de Jean de Murs, introduction et édition critique, Genève 1990, p. 12. 5. G. L’Huillier, Le Quadripartitum numerorum …, op. cit. pp. 57-59.
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voire éclectiques, on en réunit en tout une dizaine, écrits en français ou en occitan. Aucun des ouvrages conservés ne remonte au XIVe siècle, et ils sont le plus souvent postérieurs à 1450; une exception importante, un traité anonyme en occitan écrit à Pamiers 6 dans les années 1420-1430. De l’apparition relativement soudaine de ces manuels, car ce sont des ouvrages pédagogiques, on peut logiquement conclure que leur écriture répond à un besoin de formation dans la seconde partie du siècle. 7 À l’examen, les traités considérés montrent des influences et des caractéristiques différentes selon qu’ils ont été écrits au nord ou au sud de la loire. 8 Les plus nombreux (et les plus complets) sont méridionaux ou d’influence méridionale. Ceux-ci ont entre eux beaucoup de points communs. S’ils sont en français, la langue est imprégnée d’occitanismes; 9 les monnaies, les noms de villes empruntent pratiquement toujours au domaine géographique méditerranéen. Comme nous l’avons dit, les modèles sont tus et les références à des auteurs antérieurs très rares. Dans certains cas, une copie ou une traduction est patente ; mais ceci excepté, il est difficile de démêler les sources d’inspiration : aucune n’est citée, peu de noms avancés, qu’il s’agisse de contemporains ou de références aux Anciens. Nicolas Chuquet, dans son Triparty en la science des nombres (1484) 10 mentionne à deux reprises Barthélemy de Romans, auteur d’un Compendy terminé à Lyon en 1476. C’est le seul auteur contemporain auquel il soit fait allusion. Quant aux références aux Anciens, elles sont surtout la volonté d’afficher une culture et offrent peu d’intérêt. On cite Aristote («le grant phillosophe et maistre en tous arts Aristote», écrit Jehan Certain dans le Kadran aux marchans), 11 Boèce ou Euclide, via Campanus de Novare. On mentionne un Algus, à 6. Paris, Bibliothèque nationale de France, ms fr. 4140 (ce traité sera souvent nommé « manuscrit de Pamiers »). Voir l’étude de J. Sesiano, Une arithmétique médiévale en langue provençale, «Centaurus», 27 (1984), pp. 26-75. 7. Au siècle suivant, la production continue sans se renouveler vraiment pour ce qui concerne le domaine commercial stricto sensu. Des arithmétiques pratiques d’esprit différent sont produites dans le milieu humaniste, intégrées à d’autres matières, comme l’arithmétique spéculative, et maintenant plus éloignées du milieu des marchands. 8. Les ouvrages issus du nord (région parisienne, Normandie, …) ont une empreinte universitaire beaucoup plus forte. Pour ces particularités géographiques, on peut consulter par exemple G. Beaujouan, The place of Nicolas Chuquet in a typology of fifteenth-century French arithmetics, C. Hay (ed.) Mathematics from Manuscript to Print, 1300-1600, Oxford 1988, pp. 73-88. 9. Par exemple l’emploi de «partideur» pour diviseur, de «nombradeur» pour numérateur ou de l’adjectif «escondut» pour caché. 10. Paris, Bibliothèque nationale de France, ms fr. 1346. Le Triparty sans ses appendices a été édité par A. Marre, Le Triparty en la science des nombres par Maistre Nicolas Chuquet parisien, d’après le manuscrit fonds français, n° 1346 de la Bibliothèque Nationale de Paris, «Bullettino di bibliografia e di storia delle scienze matematiche e Fisiche», t. 13, 1880, pp. 593-659 (1e partie) et pp. 693-814 (2e et 3e parties). 11. Paris, Bibliothèque de l’Arsenal, ms 2904.
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la suite de Sacrobosco, pour fournir une étymologie au mot «algorisme». Ces références restent rares, sans commune mesure avec ce que nous pouvons lire dans des traités italiens du XVe siècle, l’arithmétique de Benedetto de Florence (1463) ou la Summa de Luca Pacioli (imprimée à Venise en 1494) par exemple. Benedetto présente son Trattato di praticha d’arismetrica 12 comme une compilation à partir de l’œuvre de Léonard de Pise 13 auquel il se réfère abondamment tout au long de son ouvrage, parmi de nombreux maîtres italiens. Il cite aussi souvent Euclide, Campanus, Boèce ou Jordanus sur lesquels il appuie effectivement ses arguments mathématiques. Dans la Summa, Luca Pacioli est également très prolixe dans ses références aux hommes (p. 1): E queste cose tutte con le sequenti siranno facto secondo li antichi e anchora moderni mathematici. Maxime del perspicacissimo philosopho megarense Euclide et vel Severin Boetio e oe nostri moderni Leonardo Pisano, Giordano, Biagio da Parma, […] Sacrobusco e Prodocimo Padoano…
Le plus souvent, Leonardo Pisano figure parmi les auteurs cités. Les traités les plus importants, les plus soignés, n’y échappent pas, quelques écrits moins connus non plus. 14 Sa paternité est donc attestée, alors qu’en France aucune filiation n’est explicitée. Venons-en maintenant au contenu mathématique. Si la matière puise aux mêmes fonds de connaissance que celle des traités d’abaque italiens, la présence d’une méthode de résolution de problèmes, nommée «apposition et rémotion», 15 inconnue du milieu italien, prouve l’existence de sources autres, espagnoles sans doute, que l’on connaît mal actuellement. Tout en conservant des spécificités propres, la composition globale des traités français et occitans est assez stable. Ceci vaut surtout pour les ouvrages méridionaux, qui s’appuient – directement ou non – sur le texte écrit à Pamiers dans les années 1420-1430, ce qui fait apparaître actuellement cet algorisme comme fondateur d’une tradition. Plusieurs ouvrages reprennent même ça et là des passages entiers de ce Compendi. 12. Siena, Biblioteca comunale, ms L.IV.21. 13. Fol. 1: «Inchomincia [esp. blanc] del trattato di praticha arismetrica tratto de’libri di Lionardo Pisano e d’altri auctori». 14. L’auteur du premier livre d’abbaque connu en langue vulgaire, qui n’est postérieur que de soixante ans à la seconde version du Liber abbaci (il date de 1288), présente ainsi son livre: «Quisto ene lo livero del abbecho secondo la oppenione de Maiestro Leonardo dela chasa degl’ figluogle bonacie da Pisa.» (Firenze, Biblioteca Riccardiana, ms 2404, fol. 1). 15. Cette règle permet de résoudre des systèmes linéaires indéterminés par «tâtonnement». Voici le problème type résolu de cette façon, tel qu’il est énoncé dans le manuscrit Nantes, médiathèque, 456, fol. 80r: «Posons qu’ilz soient 12 personnes, tant hommes, femmes que petitz enfans qui ont 12 d. a partir. Les hommes en doivent avoir 2, les femmes 1 et les enfans demi. Assavoir quantz hommes, quantes femmes et quans enfans.»
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La structure des traités est en deux temps. Le premier est consacré à l’apprentissage des techniques opératoires sur les nombres entiers puis rompus (les fractions inférieures à 1): numération, addition, soustraction, multiplication, division, éventuellement extraction des racines carrées et cubiques se succèdent dans cet ordre. 16 Suivent des applications aux comptes du commerce plus ou moins fournies selon les traités, avec éventuellement un chapitre sur les progressions. La deuxième étape est celle des problèmes, les «raisons» présentées sous des règles, en général quatre principales, dont la première est bien entendu la règle de trois, fondement de toutes les autres. Suivent la simple et la double fausse position, puis la règle dite d’apposition et rémotion, peu illustrée et parfois occultée pour son manque d’intérêt, selon le dire des auteurs. Dans cette seconde partie, après les applications de la règle de trois au commerce (change, troc, compagnies, …), cohabitent aussi bien des problèmes utiles au marchand que des exercices plus «récréatifs», formant le raisonnement ou entraînant à l’application de méthodes. On reconnaît dans le choix de ces derniers un fonds commun que l’on trouve à la fois dans le Liber abbaci, dans des traités provenant d’Espagne (par exemple le Liber mahameleth écrit au XIIe siècle), ou dans des recueils de problèmes (Cautelae) peut-être en usage dans les universités. Malgré cette trame usuelle, il ne faut pas conclure à une absence totale d’originalité. On note bien des variations, fonctions de la formation des auteurs, de leur bagage culturel, de la direction plus ou moins théorique qu’ils donnent à leurs écrits, c’est-à-dire du cadre plus ou moins restreint aux techniques nécessaires au commerce dans lequel ils se placent. Toutefois, ces différences notables ne sont en général pas fondamentales, au sens où elles ne modifient pas radicalement l’esprit commun à ces textes dont la vocation didactique est d’apporter des connaissances élémentaires nourries de nombreux exemples. Les sources sont les mêmes, dont l’essentiel se retrouve dans l’arithmétique du manuscrit de Pamiers. Deux traités sont cependant en rupture, le Triparty en la science des nombres de Nicolas Chuquet (Lyon, 1484) et le Compendy de la praticque des nombres de Barthélemy de Romans (Lyon, 1476). Le Triparty n’est pas un traité commercial proprement dit. S’il apparaît dans cette catégorie c’est, d’une part, pour sa première partie qui suit le schéma structurel décrit plus haut, d’autre part pour l’appendice intitulé Comment la science des nombres se peult appliquer au faict de marchandise, où sont regroupés toutes les problématiques et tous les thèmes spécifiques au commerce. Chuquet est 16. À ces opérations viennent s’ajouter, pour les traités du nord de la France, la duplication et la médiation, vestiges de la tradition universitaire représentée par Sacrobosco.
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le seul mathématicien français reconnu du XVe siècle, et il doit cette reconnaissance à l’exposé général sur les radicaux et sur l’algèbre des équations qu’il offre dans les deuxième et troisième parties de son œuvre. Quant au frère prêcheur Barthélemy de Romans, maître d’algorisme et aussi docteur en théologie, il puise dans la tradition des traités commerciaux pour créer une œuvre davantage tournée vers une analyse mathématique de quelques problèmes que vers une formation élémentaire pour les marchands. C’est justement la rupture dans les objectifs, avec les conséquences qu’elle induit sur la matière du livre, qui permet de mettre en évidence des sources ne provenant pas du fonds commun utilisé dans les autres textes contemporains. Si l’origine de l’algèbre de Chuquet reste à découvrir, le corpus de problèmes qu’il propose est puisé dans des traités commerciaux franco-occitans antérieurs, en particulier dans le Compendy. Aussi ce dernier texte est-il à l’heure actuelle le seul parmi ceux de la famille décrite ici qui soit susceptible de nous rapprocher du Liber abbaci. 3. Le Compendy de la praticque des nombres et le Liber abbaci D’après les indications données dans l’introduction au Compendy de la praticque des nombres, le texte que nous possédons est la seconde version d’un ouvrage probablement écrit dix à quinze ans plus tôt par le frère dominicain Barthélemy de Romans, version dans laquelle le même Barthélemy se propose d’ordonner et d’enrichir de remarques le texte d’origine. Le Compendy provient d’un manuscrit conservé à la bibliothèque communale de Cesena en Italie. 17 C’est le seul exemplaire du texte que nous ayons, hormis une copie partielle très brève qui couvre quelques pages d’une arithmétique contenue dans un manuscrit du XVe siècle affilié à la tradition universitaire. 18 La structure du traité est identique à celle de l’algorisme de Pamiers. En revanche, comme nous l’avons dit, le contenu des différents chapitres s’éloigne beaucoup de son «modèle». La première partie sur les techniques opératoires est réduite au minimum ; ce n’est qu’un bref rappel pour des lecteurs déjà initiés. Sur les cent vingt feuillets que compte le texte, les deux tiers sont consacrés aux résolutions de problèmes, classés sous les quatre règles dont il a été question ci-dessus, et plus de soixante-dix concernent quatre types de problèmes seulement, pratique contraire à l’usage qui veut que l’on multiplie les exemples relevant de chacune des règles. 17. Cesena, Biblioteca Malatestiana, ms S-XXVI-6, fol. 149r-268v. 18. Paris, Bibliothèque nationale de France, ms lat. 7381, fol. 211r-224r.
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Parmi les sources certaines figure le manuscrit de Pamiers (ou un texte équivalent). En dehors de passages voisins, ce sont aussi des remarques générales et des orientations qui montrent que Barthélemy a lu ce traité. Cependant, l’importance accordée aux quatre problèmes, qui induit un choix d’exemples très riche, fait que les sources communes aux arithmétiques méridionales françaises ne suffisent plus. Barthélemy de Romans nourrit ces chapitres de problèmes qui ne figurent dans aucun autre traité de son environnement. C’est là que l’on trouve des analogies frappantes avec quelques parties du douzième livre du Liber abbaci. 3. 1. Analogies entre le Compendy et le Liber abbaci: remarques générales Le chapitre 12 du Liber abbaci 19 regroupe des problèmes variés (De quaestionibus abbaci) qui, au contraire de ceux qui précèdent, n’ont pas de lien direct avec le commerce. Le chapitre est divisé en neuf parties, dont certaines sont consacrées à un seul genre de problèmes. Par exemple, la cinquième partie traite exclusivement des questions d’achat de chevaux dans une compagnie. Tout comme le fait Léonard de Pise, Barthélemy range dans des paragraphes bien distincts les quatre problèmes qu’il a sélectionnés. 20 Et comme le mathématicien pisan, il propose sur chaque sujet un éventail d’exemples très étendu, comprenant des énoncés beaucoup moins répandus que ceux que l’on rencontre usuellement dans les ouvrages d’arithmétique, qu’ils soient originaires de France, d’Italie ou d’ailleurs. Tous les genres de problèmes présentés par Barthélemy de Romans figurent déjà dans le Liber abbaci. Sur soixante exercices résolus par Léonard de Pise dans les parties 3 à 5 du chapitre 12, vingt sont repris exactement dans le Compendy, beaucoup d’autres en sont très proches, seules les valeurs numériques diffèrent (par exemple, là où Léonard 1 1 1 1 1 1 utilisera les fractions , , , Barthélemy choisira , , ). À titre de 2 3 4 3 4 5 19. Toutes les références au Liber abbaci sont faites à partir de l’édition de B. Boncompagni, Scritti di Leonardo Pisano, matematico del secolo decimoterzo, vol. 1: Il Liber Abbaci di Leonardo Pisano, pubblicato secondo la lezione del codice Magliabechiano C. I, 2616, Badia Fiorentina, n° 73, Roma, 1857. 20. Il s’agit des problèmes d’échange d’argent répertoriés usuellement sous les noms: «donner et prendre», «achat d’un cheval», «découverte d’une bourse» ainsi que des problèmes dits «d’héritage inconnu». Voir la classification de J. Tropfke dans Geschichte der Elementarmathematik, I - Arithmetik und Algebra, 4e éd. revue par K. Vogel, K. Reich et H. Gericke, Berlin/NewYork, 1980, pp. 586-588 et pp. 606-611. Pour une analyse détaillée de ces problèmes, voir M. Spiesser, Une arithmétique commerciale du XVe siècle, le Compendy de la praticque des nombres de Barthélemy de Romans, Turnhout, 2003. La question des liens entre le Compendy et le Liber abbaci a également été brièvement abordée dans M. Spiesser, Problèmes linéaires dans le Compendy de la praticque des nombres de Barthélemy de Romans et Mathieu Préhoude: une approche nouvelle basée sur des sources proches du Liber abbaci de Léonard de Pise, «Historia mathematica», 27 (2000), pp. 136-157, pp. 144-148.
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comparaison, dans le manuscrit de Pamiers, à propos des problèmes d’échange d’argent dans une compagnie («donner et prendre») trois exemples sont traités sous la règle de double fausse position, et aucun d’entre eux n’est repris par Barthélemy de Romans. Le maître toscan Pier Maria Calandri, dans son Tractato d’abbacho, 21 classe lui aussi ses problèmes par genre dans des chapitres; mais l’ampleur de ceux-ci n’a rien à voir avec ce que propose Barthélemy ou Fibonacci. Ainsi, Calandri choisit trois exemples seulement dans le genre «achat d’un cheval», qu’il résout de manière directe (regula recta) en posant une inconnue. Cela nous amène à parler des méthodes. Toutes les règles algorithmiques de Barthélemy sont exposées dans le Liber abbaci, sans que la réciproque soit vraie, dans un style frôlant souvent la traduction, dont nous donnerons un exemple parmi d’autres. Les méthodes utilisées ne sont pas toujours celles que l’on rencontre dans les autres traités français et occitans. Elles sont spécifiques à chaque genre de problèmes. Barthélemy rejette en effet, lorsqu’il le peut et contrairement à beaucoup de ses contemporains, les règles transversales comme celle de double fausse position qui sont d’usage dans la résolution de systèmes linéaires. Chacun des quatre types de problèmes traités par Barthélemy permet de développer des arguments en faveur d’un rapprochement fort avec le Liber abbaci, arguments qui ne sont pas tous du même ordre. Nous nous limiterons toutefois à l’examen de deux d’entre eux, parce qu’ils sont les plus significatifs dans cette optique. 3. 2. Échanges d’argent dans un groupe: «demandants et baillants» Ce sont les problèmes désignés ci-dessus sous l’expression «donner et prendre», évoquant des échanges dans un groupe d’hommes. Les situations décrites, au début élémentaires, se compliquent au fil des pages dans le Compendy comme dans le Liber abbaci. Voici le premier exemple de Barthélemy, qui vient en second dans le traité latin: « […] sont deux qui ont deniers a partir et la partie du premier doit estre telle que si le second luy baille de sa partie 7, il aura le quintuple, ce est 5 foiz tant comme luy reste ; et la partie du second doit estre telle que si le premier luy baille 5 de sa partie, il aura le septuple, ce est 7 foiz tant comme luy restera. Demande que aura le chascun et quel est le nombre qui est a partir.» 22
En appelant x et y les parts respectives du premier et du second, une traduction algébrique conduit au système: 21. Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, ms Acq. e Doni 154. Le Tractato d’abbacho a été édité par G. Arrighi, Pier Maria Calandri, Tractato d’abbacho, dal codice Acq. e doni 154 (sec. XV) della Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze, Pise, 1974. 22. Compendy, fol. 186.
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x+7=5(y–7), y+5=7(x–5) Ces problèmes sont résolus par double fausse position par les auteurs français. Dans les traités d’abaque italiens, les méthodes sont plus diversifiées, une résolution algébrique est fréquente. Le procédé utilisé par Fibonacci consiste à faire apparaître la somme des inconnues, que l’on notera S. Pour l’exemple précédent, le problème à résoudre est équivalent à celui-ci: 5 7 x +7 = S , y +5= S 6 8 Par addition, on obtient: S + 12 =
F 5 + 7IS H 6 8K
ce qui permet de trouver S puis les parts inconnues x et y. Calculer S à partir de la dernière relation ne pose pas de difficulté au mathématicien médiéval; c’est un cas typique d’application de la règle de simple fausse position, il suffit de bien choisir sa «position», ici un multiple de 6 et 8. Pour justifier le passage des données aux relations impliquant la somme S des parts, Barthélemy a recours à un raisonnement que l’on peut résumer ainsi: puisque le premier, avec 7 deniers du second, a 5 fois ce qui reste à son partenaire, alors, si la somme totale est 6, avec les 7 deniers il aura 5, donc les 5/6 du tout. Léonard de Pise s’appuie sur le schéma
Fig. 1. géométrique suivant pour illustrer un raisonnement équivalent: x + 7 est représenté par le segment AD, y – 7 par le segment DB. Leur somme est S = AB. Par hypothèse, AD vaut cinq fois DB; donc AD est égal aux cinq sixièmes de AB, qui est la somme totale des deniers. Tous les problèmes du même type, dans le Liber abbaci comme dans le Compendy, sont résolus grâce à l’intervention de la somme totale S. 23 Au 23. Léonard de Pise propose en outre une résolution algébrique pour l’exemple qui vient d’être cité, en prenant comme inconnue la seconde part moins 7 (éd. B. Boncompagni, p. 191).
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fil des pages, les énoncés se compliquent, le nombre d’inconnues augmente et surtout, le nombre des «demandants» n’est plus réduit à un seul homme, comme on le verra dans l’exemple présenté plus loin. De tels énoncés sont plus complexes du point de vue mathématique car les systèmes linéaires qui leur correspondent ne sont pas en général réguliers. 24 C’est pourquoi le cas baptisé par Barthélemy «plusieurs demandent à plusieurs» est beaucoup moins représenté dans la littérature mathématique contemporaine et antérieure. Il n’est donc pas anodin de noter l’ampleur importante que prend ce cas à la fois dans le Liber abbaci et dans le Compendy. Dans le déroulement des résolutions, le style de Barthélemy est très proche de celui de Fibonacci : même adresse au lecteur, même rythme de la phrase. En certains endroits, cette impression est particulièrement exacerbée. La langue vulgaire est alors quasiment calquée sur le latin, comme dans l’exemple suivant où il s’agit d’un échange d’argent entre cinq personnes. Cinq hommes ont des deniers. Les trois premiers demandent aux deux autres 7 de leurs deniers, et prétendent qu’ils ont alors deux fois plus d’argent que ce qu’il reste à ces deux autres. Le second, le troisième et le quatrième demandent 8 deniers aux cinquième et premier, et ont alors 3 fois plus d’argent, etc. en continuant jusqu’aux cinquième, second et premier réunis. 25 La méthode décrite précédemment permet d’obtenir les avoirs cumulés du quatrième et du cinquième homme, puis du cinquième et du premier, jusqu’à ceux du troisième et du quatrième, en fonction de la somme totale S des deniers mis en jeu puis d’en déduire que S vérifie: 2S =
F 1 + 1 + 1 + 1 + 1 + 1 I S + 45. H 2 3 4 5 6 7K
Dans toute la progression les deux textes sont très proches. L’extrait qui suit est significatif. C’est la fin du problème, lorsqu’on parvient à la relation vérifiée par la somme S: 11111 dimidium summe, et 76543 dimidium de denariis 7, et 8, et 9, et 10, et 11, hoc est denarios 45; cum unusquisque in prescriptis partibus, et numeris bis computatus sit. Quare invenias numerum, in
Liber abbaci (p. 202): «Unde inter omnes habent
24. On démontre que le système est régulier si et seulement si le nombre total de personnes et le nombre des emprunteurs sont premiers entre eux. 25. Soit, algébriquement: x1+x2+x3+7=2(x4+x5–7), x2+x3+x4+8=3(x5+x1–8), x3+x4+x5+9=4(x1+x2–9), x4+x5+x1+10=5(x2+x3–10), x5+x1+x2+11=6(x3+x4–11).
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1111 1 , erit 420; que dupplica propter binam computationem 76543 11111 de 420, et extrahe eos de 840, remanent 381,...» eorum, erunt 840: et accipe 76543 1 Compendy de la praticque des nombres (fol. 214v): «Par quoy entre tous ont la de 2 1 1 1 1 1 1 1 , , , , et la de 7, 8, 9, 10, 11 qui montent 45 et ne est si non la pource que 2 2 3 4 5 6 7 le chascun est compté deux foiz. Pource posons ung nombre en quoy se trouvent 1 1 1 1 1 entierement , , , , ce est 420, le quel doublé pour ce qu’ilz sont comptez deux 3 4 5 6 7 1 1 1 1 1 foiz monte 840 de quoy doiz lever , , , , de 420, reste 381 ... » 3 4 5 6 7
quo reperiantur
Certes, les styles d’exposition sont souvent proches dans les arithmétiques commerciales, et en son siècle Barthélemy n’a pas l’exclusivité de sa méthode: on la retrouve aussi dans quelques traités d’abaque. C’est pour cela que nous éviterons des conclusions par trop hâtives. Toutefois les points de convergence sont multiples et il convient d’y insister : outre le style et la méthode, ce sont le choix de problèmes identiques peu répandus, le caractère exhaustif des situations traitées. Celles-ci englobent en effet tous les cas possibles d’échanges «circulaires» entre membres d’une compagnie de n personnes : p d’entre elles demandent des deniers aux n – p autres, p variant de 1 à n – 1. Un autre détail troublant, toujours au sujet de ces problèmes, vient d’une remarque identique à propos d’un exemple déclaré à tort impossible. L’erreur sera d’ailleurs relevée plus tard par Nicolas Chuquet. 26 Le problème est une transaction entre deux personnes dans laquelle, aux multiplicités obtenues après échange s’ajoutent des restes (encore une extension de l’énoncé élémentaire que l’on rencontre plus rarement). Deux hommes ont des deniers. Le premier dit que, avec 7 deniers du second, il aura 5 7 et 1 plus. Et le second dit que, avec 5 du premier, il aura et 12 plus. Deman6 8 de… 27
La discussion sur la résolubilité porte sur le montant des restes, ici 1 et 12. L’exemple est en effet précédé de cette note: 26. Appendice au Triparty en la science des nombres, Paris, Bibliothèque nationale de France, ms fr. 1346, fol. 167v. 27. Compendy, fol. 200v. Les fractions 5/6 et 7/8, qui proviennent de la méthode de résolution, interviennent prématurément dans l’énoncé. Il faut lire 5 et 7 au lieu de 5/6 et 7/8. Le système correspondant est: x+7=5(y–7)+1 , y+5=7(x–5)+12, 9 11 qui a pour solution x1 = 5 + ; x 2 = 9 + . 34 34
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Note pour semblables raisons que aucunes foiz sont impossibles et aucunes foiz sont faisables. Et sont possibles a faire jusques a 11 plus. Et dessus ne se pevent faire.
De tels problèmes n’ont donc pas de solution si l’un des restes dépasse 11. Selon ce principe, l’exemple cité, dans lequel le second reste vaut 12, est «impossible». Aucune justification n’est donnée. Or, il se trouve que la valeur maximale 11 apparaît aussi dans un commentaire de Léonard de Pise faisant suite à la résolution du même problème, excepté que les deux restes sont égaux à 12: Avec les multiplicités susdites, 28 la résolution est possible lorsque, pour chacun des hommes, celles-ci ne sont dépassées que de 1 à 11 deniers. Au-delà de 11 deniers, nous montrerons que ces problèmes sont insolubles. 29
Barthélemy a-t-il répété ce qu’il a lu? La remarque commune est étonnante : les questions d’existence ne sont pas usuelles, et le fait est d’autant plus troublant que dans le cas de ces deux exemples la remarque est fausse, car il existe bel et bien une solution en nombres positifs à chacun des problèmes. D’où vient alors l’erreur? Barthélemy, on l’a dit, ne justifie rien. Léonard de Pise juge l’exercice impossible 30 après être parvenu à une équation du type aX = bX, qui est effectivement sans solution si, comme lui, on ne prend pas en compte l’éventualité X = 0. L’énoncé du Liber abbaci est particulier, car la somme des nombres prêtés est égale aux restes ; l’argumentation de l’auteur du Compendy ne pouvait être la même, à moins qu’il ne se soit glissé une erreur de copie, vite commise : avec 12 au lieu de 1 pour le premier reste, on retrouve le même énoncé. Quoi qu’il en soit, une coïncidence semble peu probable et il est tentant de croire que Barthélemy accorde ici foi à un traité qui fait autorité. 3. 3. Les «progressions composées» Barthélemy de Romans consacre une quarantaine de pages à une catégorie de problèmes qu’il nomme «progressions composées», une appella28. Ce sont les nombres 5 et 7. 29. «Secundum predictas multiplicitates possunt solui, cum unicuique dictorum hominum equaliter superavit super suam multiplicitatem ab uno predicto usque in denarios 11 : ab undecim vero superius ipsas insolubiles esse probabimus » (éd. B. Boncompagni, p. 193). 30. L’exemple du liber abbaci se traduit ainsi: 1 R RSx + 7 = 5( x − 8) + 12 On en déduit: |Sx − 7 = 67 aS − 12f, |Tx − 7 = 8 (S − 12) Tx + 5 = 7( x − 5) + 12 2
1
2
2
1
2
7 1 d’où: (S − 12) = (S − 12) , avec S = x1+x2. C’est à partir de là que Léonard de Pise conclut à 8 6 l’impossibilité. Pourtant, la solution (5, 7) est immédiate.
questions sur la diffusion du
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tion semble-t-il personnelle pour des énoncés plus communément rangés sous la catégorie «héritage inconnu». 31 Le plus souvent en effet, il s’agit d’un héritage à partager, excepté qu’on ne connaît ni la fortune du père ni le nombre d’héritiers. 32 Le premier exemple que propose Barthélemy est décrit sous la forme évasive d’un partage entre certaines personnes (fol 249v-250r) : Il est ung nombre lequel je veulz partir par ceste progression a aucunes personnes 1 par ceste maniere: que le premier prand 3 et la du demourant et le second prand 7 1 1 6 de ce que reste et la du demourant et le tiers prand 9 de ce que reste et la 7 7 du demourant, [fol. 250] et ainsi continuant la progression de 3 et le adjoustement de la part du demourant. Demande quel est le nombre qui se peut partir par celle maniere et quantz lieux y aura, c’est assavoir quantz hommes seront, et que aura le chascun. 33
L’environnement est défini de manière plus précise par Léonard de Pise au chapitre 12 du Liber abbaci: Un homme dont la fin était proche fit ses recommandations à l’aîné de ses fils, en disant : partagez entre vous mes biens meubles de cette façon ; tu prendras un besant et le septième de ce qui reste. Puis il dit au second fils : et toi, tu prendras 2 besants et le septième de ce qui reste. Au troisième, il ordonna de prendre 3 besants et le septième du reste. Et il appela ainsi tous ses fils, dans l’ordre, donnant à chacun 1 un besant de plus qu’au précédent et ajoutant toujours du reste. Il arriva d’autre 7 part que chacun eut la même part des biens du père, condition établie au préalable. On demande combien il avait de fils et quelle était sa fortune. 34 31. Voir J. Tropfke, Geschichte der Elementarmathematik, «Die unbekannte Erbschaft», pp. 586588. 32. Dans le Liber abbaci, les problèmes d’héritage inconnu suivent la question des «gardiens du verger», présentée sous la version suivante: un verger a sept portes, lesquelles sont toutes gardées; un homme y ramasse une certaine quantité de pommes mais, pour sortir du lieu, il doit donner au premier gardien la moitié de ses pommes plus une, au second la moitié de ce qui lui reste plus une pomme, etc. Lorsqu’il passe la septième porte, il ne lui reste qu’un fruit. Combien en avaitil au départ? Ce problème fait partie des questions «à tiroirs», que l’on peut résoudre à rebours, en partant de la situation finale. J. Tropfke les rassemble dans un même genre (Schachtelaufgaben), à l’intérieur duquel il inclut logiquement «l’héritage inconnu» (Geschichte, 586-588); mais dans ce dernier cas, la difficulté est accrue car, si le verger a sept portes, on ne connaît pas le nombre d’héritiers qui, de plus, n’est pas en général un entier. 33. Compendy, fol. 249v-250r. 34. «Quidam ad finem veniens, maiori filiorum precepit dicens : substantiam mobilie mee inter vos sic dividite. Tu bizantium unum accipias, et septimam reliquorum ; alteri vero filiorum dixit. Et tu bizantios 2 accipias, et septimam partem reliquorum. Alteri vero, ut 3 bizantios acciperet, 1 reliquorum imperavit. Et sic vocavit omnes suos filios per ordinem, dando unicuique et 7 1 amplius unum quam alteri; et deinceps semper reliquorum; ultimus autem habuit residuum. 7
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maryvonne spiesser 3. 3. 1. Analyse mathématique
Comme le montrent les deux exemples, sont données une progression p arithmétique de premier terme a et de raison r, et une fraction q comprise entre 0 et 1. Il s’agit de partager de façon équitable une somme inconnue S entre un nombre inconnu n de personnes, en respectant les règles suivantes: la première part est égale à a, premier terme de la p p progression, auquel on ajoute la fraction de ce qui reste, soit (S – a). q q La seconde part est égale au deuxième terme de la progression augmenté de la même fraction de ce qui reste de la somme initiale après avoir effectué tous les prélèvements précédents. Et on continue ainsi. Il existe un second type de «progressions composées» pour lequel on donne d’abord une fraction de la somme restante, puis on ajoute le terme adéquat de la suite arithmétique. Il n’en sera question qu’accessoirement, lorsque cela apporte des éléments de comparaison intéressants. Revenons donc au premier problème. On ne connaît pas le «nombre de parts», on ne sait pas s’il est entier ou non. Voilà pourquoi, en dehors du premier exemple, les énoncés de Barthélemy sont dépouillés de toute connotation concrète, le mot «personne» étant remplacé par «lieu». Soit x la valeur de chaque part. Les hypothèses permettent d’écrire:
(1) S = nx et
R|x = a + p (S − a) || q p |Sx = a + r + q S − x − aa + r f ||... p x = a + ak − 1fr + S − ak − 1f x − ba + ak − 1fr g q ||... T
Si n est entier, il y a n équations, la dernière étant x = a + (n – 1)r, puisque la dernière part épuise la somme à partager. Si n n’est pas entier, il y a [n] + 1 équations, les [n] premières donnent la valeur de x comme il est écrit dans le système précédent et la dernière donne le reste (n – [n])x, qui n’est qu’une portion de part. Contingit autem, quod unusquisque habuit de substantia patris eorum equaliter, predicta conditione. Queritur, quot fuerunt filii; et quanta fuit pecunia ipsius» (éd. B. Boncompagni, p. 279).
questions sur la diffusion du
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p Pour passer d’une part à l’autre, on ajoute r et on retranche q (x + r), dont les effets s’annulent puisque toutes les parts sont égales. On démontre alors que les équations donnant x se réduisent à deux, à savoir la première et l’équation unique obtenue en retranchant membre à membre deux équations consécutives. Le système (1) est donc équivalent à:
R|S = nx p |Sx = a + q aS − af ||x = FG qp − 1IJ r T H K a, r, p et q étant donnés, on obtient la solution suivante:
LMFG q − 1IJ r − aOP = FG q r − aIJ FG q − 1IJ ; n = q − a (F) NH p K Q H p K H p K p r NB: pour le deuxième type de progressions composées, les résultats sont: I q a qF q q x = p r ; S = p G p r − aJ ; n = p − r H K FG IJ H K
q q x = p − 1 r; S = a + p
Ces résultats appellent quelques remarques: q a – Il n’y a aucune raison pour que n = − soit entier. Il l’est pour p r certaines valeurs numériques particulières, par exemple: *lorsque la progression a pour raison 1 et que la fraction est unitaire (p =r = 1) p *lorsque la fraction est unitaire et que le premier terme et la raison q de la progression sont égaux (p = 1 et a = r) – Si r = a = 1, l’énonciation des résultats est très simple, car alors:
FG IJ H K
2
q q q −1 ; n = −1 x = − 1; S = p p p C’est pourquoi beaucoup d’exemples satisfont, comme on le verra, à l’une ou l’autre de ces exigences. – Si a ≤ r, les solutions sont toujours positives ; on le voit à partir des formules (F).
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maryvonne spiesser p r – Si a > r, S et n ne sont positifs que si < (tous les exemples répertoriés q a vérifient cette condition). 3. 3. 2. L’«héritage inconnu» dans l’histoire Le thème des «progressions composées», comparé à certains autres parmi les problèmes de type pseudo concrets, comme les échanges d’argent par exemple, est sous représenté. David E. Smith n’y fait pas référence dans la classification des problèmes qu’il donne dans son «Histoire des mathématiques». 35 D’après J. Tropfke, leur présence est limitée au domaine byzantin et à l’Occident; de tous les auteurs cités, Léonard de Pise est le plus ancien dans le temps. 36 Dans les traités d’abaque italiens, comme dans les autres arithmétiques commerciales consultées, ces problèmes ne sont pas très courus et lorsqu’ils sont représentés, c’est rare qu’il y ait plus de trois exemples. 37 Les sources dont nous disposons (qu’elles soient byzantines ou qu’elles proviennent des arithmétiques marchandes occidentales) montrent une tendance générale: utilisation exclusive des fractions unitaires, parmi 1 1 1 lesquelles dominent , et ; préférence pour des progressions simples 6 7 10 qui permettent des algorithmes courts et privilégient aussi les résultats entiers. 38 Pour obtenir la solution, l’auteur applique le plus souvent un algorithme qu’il ne justifie pas (c’est le cas de Barthélemy). La fraction choisie 35. D. E. Smith, History of Mathematics, New-York, 1958, vol. 2 (1e éd., vol. 2 : 1927). Vera Sanford fait seulement allusion à Fibonacci au sujet de ces problèmes (V. Sanford, The History and Significance of Certain Standard Problems in Algebra, New York, 1927, pp. 61-62). « L’héritage inconnu» n’apparaît pas dans les types de problèmes que Menso Folkerts dégage d’une étude faite à partir d’une trentaine de manuscrits des XIVe et XVe siècles (M. Folkerts, Mathematische Aufgabensammlungen aus dem ausgehenden Mittelalter. Ein Beitrag zur Klostermathematik des 14. und 15. Jahrhunderts, «Sudhoffs Archiv», 55 (1971), pp. 58-75). 36. Pour les traités écrits avant le XVe siècle dans le domaine byzantin, J. Tropfke cite un traité anonyme du début du XIVe siècle (Paris, Bibliothèque nationale de France, ms supp. gr. 387) et le «Grand calcul selon les Indiens» de Maxime Planude (c. 1260 - c. 1310) ; et pour les traités occidentaux écrits entre le Liber abbaci et le Compendy, l’arithmétique de Paolo dell’Abbaco (Firenze, Biblioteca nazionale, ms Magl. Cl. XI, 86) et un manuscrit de Lucca (Biblioteca statale, ms 1754), tous deux du XIVe siècle. 37. Voir les tableaux en annexe. Sur l’ensemble des arithmétiques en français et en occitan écrites avant le Compendy et qui proposent de tels problèmes, on note trois traités parmi lesquels seule l’arithmétique du manuscrit Paris, Bibliothèque nationale de France, fr 1339 n’a pas de liens apparents avec le Compendy. Le Traicté de la praticque d’algorisme, qui précède le Compendy dans le même manuscrit (Cesena, Biblioteca Malatestiana, ms S-XXVI-6, fol. 7r-140v) est connu de Barthélemy, et pourrait même être de sa plume. 38. Voir en annexe les tableaux de valeurs numériques.
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étant unitaire (p = 1), si de plus – et c’est courant – la progression est celle des entiers naturels (a = r = 1), le calcul décrit correspond aux formules très simples: x=n=q –1;S=(q –1)2 Parfois on trouve une ébauche de justification qui ne prend en compte que les deux premières équations, et se fait alors par la règle de double fausse position ou bien algébriquement. Léonard de Pise procède ainsi en prenant la somme totale pour inconnue lorsqu’il explique a posteriori les formules qu’il a manipulées auparavant. 3. 4. Liber abbaci et Compendy À la tendance générale qui vient d’être décrite n’appartiennent ni le Liber abbaci ni le Compendy. 39 La principale différence vient des valeurs numériques choisies, dont le panel est beaucoup plus large, et surtout de l’utilisation de fractions quelconques, non unitaires, qui rendent alors la solution plus complexe à exprimer et nécessitent de sortir du domaine concret de l’héritage quand le «nombre de personnes» n’est plus entier. Barthélemy s’est d’emblée placé dans un registre neutre, Fibonacci y vient lorsqu’il rencontre des solutions fractionnaires. On retrouve dans les deux traités plusieurs fractions identiques et sans particularité apparente, 40 comme 2/11, 6/31 ou 5/19. Comparant les deux textes, on voit également que, dans l’un comme dans l’autre, les problèmes ne sont pas abordés de façon anecdotique, par le choix d’un exemple ou deux. La question est envisagée dans son ensemble; la résolution prend en compte diverses situations organisées suivant les valeurs du premier terme et de la raison (égaux ou différents), suivant que la progression vienne avant ou après la fraction de la somme restante. Barthélemy donne une première série de «formules», quasiment identiques à celles qui ont été notées plus haut : q
O S pr −a Fq I q LF q I x = G − 1J r , S = a + MG − 1J r − aP, n = = p Hp K Hp K N Q x r Plus loin dans le texte, brutalement et sans explications, il en donne une seconde série. Or, ce sont des formules que Fibonacci décrit sur un 39. Chuquet, dans le Triparty, prend aussi des fractions plus générales, mais ses sources sont le Compendy et les valeurs choisies sont alors identiques. 40. Sinon qu’elles donnent des solutions positives lorsque a > r (cf supra, les remarques sur le choix des données). Voir les tableaux en annexe.
132
maryvonne spiesser
exemple à la suite de la résolution algébrique: «de cette recherche j’ai tiré la règle suivante». 41 Dans le cas où r > a, cette règle correspond aux résultats:
n=
aq − pfa + qar − af , x = aq − pfr , S = aq − pfa + qar − af aq − pf , rp
p
p2 expressions qu’on ne rencontre pas dans d’autres ouvrages puisque les valeurs numériques choisies permettent toujours d’appliquer des règles plus simples. Voilà donc beaucoup de «coïncidences» et, comme pour toutes les comparaisons que l’on pourrait faire à propos des problèmes abordés de manière approfondie à la fois dans le Liber abbaci et dans le Compendy, mais peut-être davantage encore dans cette série de problèmes, on a peine à croire qu’elle soient fortuites. 4. Conclusion La circulation du Liber abbaci en France a peut-être été plus importante qu’on ne le pense à la fin du Moyen Âge. Si l’on en croit G. L’Huillier, Jean de Murs a lu le traité ou des extraits et s’est inspiré des deux derniers chapitres. Il est raisonnable de penser que Barthélemy a également eu en mains une copie (partielle? anonyme?) ou un texte très proche, dont il a utilisé le chapitre 12. Toutefois, jamais Barthélemy ne suit pas à pas son éventuel modèle. Et ceci vaut pour tous les genres de problèmes où une comparaison peut s’établir. La démarche des deux auteurs est différente. Léonard de Pise part d’exemples à partir desquels il justifie ses résultats. Il procède souvent du particulier au général. Ainsi, dans l’organisation des problèmes d’«héritage inconnu», il examine d’abord le cas où raison et premier terme sont égaux, à l’unité puis à un nombre quelconque et élargit ensuite vers des valeurs numériques plus générales. Dans le Compendy, on trouve d’abord une règle valable pour toutes les hypothèses, adaptée ensuite au cas particulier a = r. Léonard de Pise justifie après coup ses résultats, Barthélemy donne toujours le pas à la règle générale sur les applications (mais la règle est rarement validée). C’est un état d’esprit permanent, qui accentue l’originalité du texte par rapport aux traités contemporains. Si Barthélemy a utilisé un ouvrage issu du liber abbaci, il a fait un tri entre les différentes méthodes de résolution de Léonard de Pise. Lorsque 41. «Ex hac quidem investigatione talem extraxi regulam» (éd. B. Boncompagni, p. 280).
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en france 133
celui-ci raisonne arithmétiquement, en usant des proportions, Barthélemy le suit, mais lorsque sa méthode revient à des réductions et substitutions algébriques qu’il explique par un discours rhétorique, ou lorsqu’il pose une inconnue, comme dans le cas des progressions composées, alors, pour les mêmes problèmes, Barthélemy use d’algorithmes non justifiés et parfois mal dominés. À travers ces parallèles, surgit à nouveau la question de la diffusion de l’algèbre en France: dans ces milieux qui ont certainement été en contact avec la tradition de l’abaque, comment se fait-il que l’on ignore ou que l’on rejette des méthodes de résolution de type algébrique, que l’algèbre arabe soit quasiment absente de tous les traités commerciaux alors qu’elle est banale dans les traités d’abaque et que sa diffusion est attestée en Espagne trois siècles auparavant dans des ouvrages dont certains sont également tournés vers les applications pratiques?
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maryvonne spiesser annex * progressions composées (premier genre)
Traité
Fraction Premier terme p/q a
Raison r
Texte byzantin anonyme, Paris, BnF, supp. grec 387, ca. 1300 42
1/7
1
1
Maxime Planude (ca.1260–ca.1310), le «Calcul indien» 43
1/7
1
1
1/10
1
1
Paolo dell’Abbaco, Istratto di ragioni, Firenze, Bibl. naz., Magl. Cl. XI, 86, XIVe s. (ms copie XVe s.) 44
1/10 1/6
100 10
100 10
Anonyme, Libro de arismética que es dicho alguarismo, San Isidoro de León, Real Colegiata, ms 46, fin XIVe s. 45
1/10 1/11
1 1
1 1
Anonyme, Paris, BnF, ms fr. 1339, arithmétique, ca 1460
1/10
1
1
Anonyme, BnF, Paris, ms lat. 7381, XVe s. 1/7
5
2
Anonyme, Traicté de la praticque d’algorisme, Cesena, Bibl. malatestiana, S-XXVI-6, avant 1476
1/10 1/10
1 2
1 2
Juan de Ortega, Arte de la arismetica y juntamente geometria, Lyon, 1512
1/8 1/5 1/6 1/11 1/4 1/15 1/8
1 2 3 12 100 8 4
1 2 3 12 100 8 4
Léonard de Pise, Liber abbaci, 1228
1/7 1/7 2/11 2/11 6/31 5/19
1 3 1 4 2 3
1 3 1 4 3 3
Paolo Gherardi, Trattato di ragioni, Firenze, Bibl. naz., Magl. Cl. XI, 87, 1328
42. Éd. K. Vogel, Ein byzantinisches Rechenbuch des frühen 14. Jahrhunderts, Text, Übersetzung und Kommentar, Gräz-Vienne-Cologne, 1968. 43. Éd. A. Allard, Maxime Planude, Le grand calcul selon les Indiens, histoire du texte, édition critique, traduite et annotée, Louvain-la-Neuve, 1981. 44. Éd. G. Arrighi, Paolo dell’Abaco, Trattato d’aritmetica, secondo la lezione del codice Magliabechiano XI, 86 della Biblioteca Nazionale di Firenze, Pise, 1964. 45. Éd. B. Caunedo del Potro et R. Cordoba de la Llave, Junta de Castilla y León, 2000.
questions sur la diffusion du Traité
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Fraction Premier terme p/q a
Raison r
Barthélemy de Romans, Compendy, 1476
1/7 2/11 3/13 2/9 3/11 4/15 6/31 5/21 6/25 4/27
3 2 3 3 3 2 3 2 5 3
3 3 2 3 3 2 5 3 3 2
Nicolas Chuquet, Triparty en la science des nombres, 1484
1/10 1/7 1/7 1/8 2/11 3/13
1 1 2 2 2 3
1 1 1 3 3 2
progressions composées (deuxieme genre) (Léonard de Pise et Barthélemy de Romans uniquement) Traité
Fraction Premier terme p/q a
Raison r
Léonard de Pise, Liber abbaci,
1/7 1/7 2/11 2/11 6/31 5/19
1 3 1 5 2 3
1 3 1 5 3 2
Barthélemy de Romans, Compendy (Nicolas Chuquet: idem)
1/7 2/11 1/7 2/9 6/31 1/6 2/11 5/19
2 3 3 3 2 5 5 5
2 3 5 5 3 3 2 3
composto, in carattere dante monotype, impresso e rilegato in italia dalla accademia editoriale ®, pisa · roma
* Giugno 2005 (CZ2/FG9)
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I
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La matematica antica su cd-rom Uno dei maggiori problemi nell’insegnamento e nella ricerca in Storia della matematica consiste nella difficoltà di accedere alle opere originali dei matematici dei secoli passati. Ben pochi autori, in genere solo i più importanti, hanno avuto edizioni moderne; per la maggior parte occorre rivolgersi direttamente alle edizioni antiche, presenti solo in poche biblioteche. Questa situazione è particolarmente gravosa nei centri privi di biblioteche importanti, dove anche lo svolgimento di una tesi di laurea in storia della matematica è ritardato dai tempi a volte lunghissimi necessari per procurarsi fotocopie o microfilms delle opere necessarie, ma sussiste anche nei centri maggiori, dove in ogni caso l’accesso ai volumi antichi è sottoposto a controlli e limitazioni. Per ovviare almeno in parte a questi inconvenienti, e permettere una maggiore diffusione della cultura storico-matematica, il Giardino di Archimede ha preso l’iniziativa di riversare su cd-rom e diffondere una serie di testi rilevanti per la storia della matematica. Ogni cd contiene circa 5000 pagine (corrispondenti circa a 15-20 volumi) in formato pdf. La qualità delle immagini è largamente sufficiente per una agevole lettura anche dei testi più complessi e non perfettamente conservati. Il prezzo di ogni cd è di 130 euro. Per acquisti o abbonamenti a dieci o più cd consecutivi viene praticato uno sconto del 20%. Per ulteriori informazioni si può consultare il sito del Giardino di Archimede: www.archimede.ms Per ordinazioni: Il Giardino di Archimede Viale Morgagni 67/a 50134 Firenze Tel. ++39-055-4237119, Fax ++39-055-4222695 e-mail: [email protected]fi.it Indice degli ultimi cd pubblicati GdA 15 • Campolini, Giacomo, Propositioni aritmetiche. Venezia, Tramontin, 1700 • Castelli, Benedetto, Risposta alle opposizioni. Firenze, Giunti, 1615 • Considerazioni dell’Accademico incognito sopra il Discorso di Galilei. Pisa, Boschetti, 1612 • Cozzando, Leonardo, De magisterio antiquorum philosphorum. Genève, De Tournes, 1684 • Craig, John, Methodus figurarum quadraturas determinandi. London, Pitt, 1685 • Craig, John, De figurarum curvilinearum quadraturis. London, Smith & Walford, 1693 • Cremonini, Cesare, Disputatio de coelo. Venezia, Baglioni, 1613 • Dalla Porta, Giovan Battista, De distillatione. Roma, Camera Apostolica, 1608 • Dalla Porta, Giovan Battista, Della chirofisionomia. Napoli, Bulifon, 1677 • Dalla Porta, Giovan Battista, Della fisionomia ridotta in tavole sinottiche. Roma, Mascardi, 1637 • Dalla Porta, Giovan Battista, Della magia naturale libri XX. Napoli, Bulifon, 1677 • Dalla Porta, Giovan Battista, I tre libri de’ spirituali. Napoli, Carlino, 1606 • Dalla Porta, Giovan Battista, La magie naturelle. Lyon, De la Roche, 1678 • Dalla Porta, Giovan Battista, Pneumaticorum libri tres. Napoli, Carlino, 1601
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Danesi, Luca, Opere. Ferrara, Bolzoni, 1670 Dati, Carlo, Lettera a Filateti. Firenze, Stella, 1663 De Angelis, Agostino, Lectiones meteorologicae. Roma, Carbi, 1664 De Dominis, Marco Antonio, De radiis visus et lucis. Venezia, Baglioni, 1661 De la Chambre, Marin, La lumière. Paris, D’Allin, 1662 De la Chambre, Marin, Observations et coniectures sur l’iris. Paris, D’Allin, 1662 Del Borro, Alessandro, Il carro di Cerere. Lucca, Ciuffetti, 1699 Delle Colombe, Lodovico, Discorso apologetico. Firenze, Pignoni, 1612 Del Papa, Giuseppe, Se il fuoco e la luce siano una cosa medesima. Firenze, Bonardi e Luti, 1675 Del Papa, Giuseppe, Della natura dell’umido e del secco. Firenze, Vangelisti, 1681 De Riso, Domenico, Orbis terrarum machinis motus. Napoli, Raillard, 1682 Descartes, Réné, Geometria. Amsterdam, Elzevier, 1659-61 Descartes, Réné, Epistolae. Amsterdam, Blaev, 1682 Descartes, Réné, Geometria. Leyden, Maire, 1649 Di Grazia, Vincenzo, Considerazioni sopra’l Discorso di Galileo. Firenze, Pignoni, 1613 Galilei, Galileo, Discorso intorno alle cose che stanno in sù l’acqua. Firenze, Giunti, 1612 Schoock, Martin, Admiranda Methodus Philosophiae R. Des Cartes. Utrecht, Van Waesberg, 1643.
GdA 16 • Canterzani, Sebastiano, Osservazioni sul valor cardanico. Bologna, Istituto delle Scienze, 1787 • Canterzani, Sebastiano, Osservazioni sopra il ritorno delle serie. Mem. Soc. Ital. 5 (1790) • Capello, Angelo, Astrosophia numerica. Venezia, Mora, 1733-1737 • Caracciolo, Giovanni Battista, De lineis curvis. Pisa, Carotti, 1740 • Caracciolo, Giovanni Battista, Geometria algebrica. Roam, Salomoni, 1759 • Carmagnini, Filippo, Della quadratura del circolo. Firenze, Viviani, 1751 • Carrara, Francesco, La caudta del velino nella Nera. Roma, Casaletti, 1779 • Cassini, Jacques, Éléments d’astronomie. Paris, Imprimerie Royale, 1740 • Cassini Jacques, Tables astronomiques. Paris, Imprimerie Royale, 1740 • Castel, Louis, Mathématique universelle. Paris, Simoni, 1728 • Castel, Louis, Le vrai système de physique de Newton. Paris, Simoni, 1743 • Cavallo, Tiberio, History and practice of aerostation. London, Dilly, 1785 • Cavallo, Tiberio, Trattato completo d’elettricità. Firenze, Cambiagi, 1779 • Cheseaux, Jean Philippe, Traité de la comète. Lausanne, Bousquet, 1744 • Clairaut, Alexis Claude, Elementi di geometria. Roma, Monaldini, 1771 • Clairaut, Alexis Claude, Figure de la Terre. Paris, Durand, 1743 • Cocoli, Domenico, Dissertazione sopra le teoria delle acque. Brescia, Pasini, 1783 • Cocoli, Donenico, Elementi di geometria. Brescia, Pasini, 1792 • Condorcet, Marie Jean, Esquisse d’un tableau historique. Paris? 1795 • Corradi d’Austria, Domenico, De’ calcoli differenziale e integrale. Modena, Torri, 1743-1744 • Cosatti, Lelio, Riflessioni sopra il sistema dei tre matematici. Roma, Bernabò e Lazzarini, 1743 • Cossali, Pietro, La controversia analitica. Verona, Moroni, 1786 • Deidier, Elemens des principales parties des mathématiques. Paris, Jombert, 1745 • Deidier, La mechanique génerale. Paris, Jombert, 1741 • Deidier, Le parfait ingenieur francois. Paris, Jombert, 1742
BOLLETTINO DI STORIA DELLE
SCIENZE MATEMATICHE
BOLLETTINO DI STORIA DELLE SCIENZE MATEMATICHE Il Giardino di Archimede Un Museo per la Matematica
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BOLLETTINO DI STORIA DELLE
SCIENZE MATEMATICHE
Anno XXIV · Numero 2 · Dicembre 2004
PISA · ROMA ISTITUTI EDITORIALI E POLIGRAFICI INTERNAZIONALI MMVI
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SOMMARIO Luca Dell’Aglio, Un case study nell’accettazione di teorie matematiche. Sviluppo e diffusione del calcolo differenziale assoluto in epoca prerelativistica
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Pier Daniele Napolitani, Ken Saito, Royal road or labyrinth? Luca Valerio’s De centro gravitatis solidorum and the beginnings of modern mathematics
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Elisabetta Ulivi, Raffaello Canacci, Piermaria Bonini e gli abacisti della famiglia Grassini 125
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Luca Dell’Aglio UN CASE STUDY NELL’ACCETTAZIONE DI TEORIE MATEMATICHE. SVILUPPO E DIFFUSIONE DEL CALCOLO DIFFERENZIALE ASSOLUTO IN EPOCA PRE-RELATIVISTICA 1 1. Introduzione
L a questione della accettazione delle teorie di natura formale è un tema che presenta varie difficoltà, che possono arrivare a metterne in dubbio la stessa legittimità. Nel caso di tali teorie, infatti, l’aspetto di divergenza è un fatto molto meno evidente (se non del tutto assente) rispetto a ciò che avviene nel caso delle teorie di carattere empirico. Inoltre, per le teorie di natura formale, non si può in genere parlare di un processo analogo a quello della ‘conferma’, che, anche se in forma articolata, aiuta spesso a giustificare l’accettazione di una determinata ipotesi di carattere teorico, nel caso delle scienze empiriche. Ciò che appare più rilevante nel caso delle teorie di natura formale è invece la valutazione, separata e/o congiunta, della rilevanza di certi risultati raggiunti (ovvero, di certi problemi risolti), da un lato, e dell’efficacia dei metodi utilizzati, dall’altro; la valutazione, cioè di uno specifico grado di ‘rilevanza’ dei risultati ottenuti e di un determinato grado di ‘fertilità’ dei metodi usati per ottenerli. In questo contesto, scopo del presente lavoro è di prendere in esame un particolare caso storico di accettazione, o meglio di non immediata accettazione, di una teoria matematica, il calcolo differenziale assoluto (da ora in poi indicato con CDA). Ciò riguarda, in particolare, gli sviluppi che tale teoria trova nel periodo che va dalla sua comparsa – che, come è noto, ha luogo per opera del matematico italiano Gregorio RicciCurbastro durante gli ultimi due decenni del XIX secolo – alla sua adozione in campo fisico, a partire dal 1912, come linguaggio formale della teoria della relatività generale. Il principale interesse di tale vicenda storica in relazione al processo 1 Nel corso di questo lavoro, si farà, per comodità, uso del termine ‘pre-relativistico/a’ in un senso più ristretto del normale, in relazione a eventi che precedono l’avvento della teoria della relatività generale. Si ringrazia il sito www.emis.de/projects/JFM/, senza l’ausilio del quale la presente ricerca non sarebbe stata in gran parte realizzabile.
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luca dell ’ aglio di ricezione e accettazione di una teoria matematica è relativo al fatto di costituire una situazione emblematica di contrasto tra le opinioni di chi introdusse la teoria e la reazione piuttosto ‘fredda’ che ebbero verso di essa varie componenti della comunità matematica dell’epoca; un contrasto che doveva, poi, apparire sotto una luce particolare quando l’adozione in campo relativistico trasformò, nell’arco di pochi anni, il CDA in una delle principali teorie matematiche della prima metà del XX secolo. Si trovano alcune significative indicazioni al riguardo nel necrologio di Ricci-Curbastro scritto da Tullio Levi-Civita, suo celebre allievo e poi collega all’Università di Padova. Si legge qui, tra l’altro, che RicciCurbastro “conservò immutato il convincimento (allora poco più che solitario) di avere effettivamente dotato la matematica di un fecondo campo di dottrine” (Levi-Civita 1925b, p. 396). Nel contesto di un crescente interesse per la vicenda storica del CDA, anche la questione della sua ricezione in epoca pre-relativistica è stata di recente affrontata da alcuni autori (Reich 1994; Bottazzini 1999). Si cercherà in questo contesto di sviluppare alcune delle questioni svolte in tali ambiti, cercando di mettere in risalto gli aspetti strettamente ‘evolutivi’ della vicenda. In particolare, il processo di ricezione del CDA verrà suddiviso in una serie di fasi distinte, che si differenziano tra loro per il fatto di mettere in evidenza diverse valutazioni reciproche della rilevanza dei risultati ottenuti dalla teoria e della ‘fertilità’ dei metodi utilizzati per ottenerli; e ciò anche in relazione ad alcuni specifici indirizzi di ricerca intrapresi nello sviluppo dei metodi tensoriali negli anni successivi alla loro creazione. In questa ricostruzione della vicenda della ricezione e dell’accettazione del CDA appare rilevante utilizzare un punto di vista ‘plurivoco’, cercando di individuare i possibili modi in cui la teoria poteva essere considerata all’epoca, come nuovo ambito teorico a metà tra soluzione di una certa classe di problemi e proposta di un determinato insieme di metodi. Ciò, tra l’altro, condurrà nelle conclusioni ad alcune considerazioni di carattere generale sul processo di ricezione e accettazione di una teoria matematica. 2. Le caratteristiche di base del CDA e il senso plurimo della questione della sua accettazione Considerato in relazione alle sue origini, il CDA si presenta come una teoria a più facce, tra loro legate in modo stretto. 1 L’aspetto originario 1 Per una esposizione più sistematica dei contenuti di questo paragrafo, Dell’Aglio 1996a, 1997.
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della teoria – il fattore, cioè, che la caratterizza nella sua fase iniziale – riguarda lo studio degli invarianti differenziali, cioè lo studio di grandezze differenziali che rimangono invariate (a meno di eventuali coefficienti moltiplicativi) rispetto a determinate trasformazioni delle coordinate. Il CDA sorge, in effetti, come una teoria ‘algebrica’ degli invarianti differenziali, in relazione all’uso di concetti della teoria delle forme algebriche in ambito differenziale; concetti già presenti, da un punto di vista metodologico, nelle ricerche di F. Casorati (Casorati 1860, 1861) e, da un punto di vista tecnico, in quelle di E. B. Christoffel (Christoffel 1869a, 1869b). È in particolare nelle ricerche di quest’ultimo che uno specifico uso della teoria delle forme algebriche nella soluzione del problema riemanniano dell’equivalenza di forme differenziali quadratiche conduce a una prima introduzione, di natura tecnica, dei concetti portanti del CDA, delle nozioni cioè di derivazione covariante e di tensore. 1 Come riflesso di un generale influsso esercitato dalle ricerche di Casorati e di Christoffel, questa iniziale caratterizzazione degli algoritmi di derivazione covariante interessa alcuni lavori iniziali di Ricci-Curbastro, con particolare riguardo per i suoi studi sulla teoria delle forme differenziali quadratiche (Ricci-Curbastro 1884) e sulla teoria dei parametri differenziali (Ricci-Curbastro 1886a). Sulla base di questa caratterizzazione di natura algebrica, la nascita del CDA prevede una seconda fase, riguardante strettamente l’opera di Ricci-Curbastro, in cui vengono messi in luce gli aspetti più propriamente analitici della questione. Tramite una rilettura analitica degli algoritmi di Christoffel, le ricerche del matematico italiano a partire dal biennio 1886-1887 presentano una estensione in ambito riemanniano dell’idea di derivazione (Ricci-Curbastro 1886a, 1886b, 1887a), e, nei due anni successivi, una progressiva specificazione del concetto di tensore (RicciCurbastro 1888, 1889), come insieme di funzioni definite su una varietà sulle quali si pensa applicata la nuova operazione di derivazione. 2 La direzione secondo la quale questi concetti vengono introdotti è connessa a un particolare approccio alla teoria delle equazioni differenziali, cui lo studio di vari tipi di invarianti differenziali risultava correlato in modo naturale. L’idea portante di questo approccio – che costituisce l’estensione in ambito riemanniano del classico metodo delle coordinate curvilinee di G. Lamé (Lamé 1834, 1859), – fa leva sulla possibilità di scrivere in modo invariante una equazione differenziale al fine di individuare un 1
Per indicazioni di carattere tecnico, si veda Dell’Aglio 1996a, 1997; Reich 1994. La definizione del concetto di tensore risulta, in effetti, presente in modo solo implicito nella definizione di derivazione covariante data inizialmente da Ricci-Curbastro. Su questo tema, Dell’Aglio 1996a, 1997. 2
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luca dell ’ aglio opportuno sistema di coordinate rispetto al quale affrontarne lo studio. In questo contesto, la derivazione covariante, come sostituto della derivazione ordinaria, e i tensori, come sistemi di funzioni su cui si pensa definita tale derivazione, svolgono il ruolo centrale di rendere possibile l’espressione in forma ‘tensoriale’ di una certa equazione differenziale. A completamento di questa prima fase formativa della teoria si ha la pubblicazione di alcune sue prime esposizioni sistematiche, sia a livello nazionale – con la memoria Delle derivazioni covarianti e controvarianti e del loro uso nella Analisi applicata (Ricci-Curbastro 1888; da ora in poi indicata Delle derivazioni covarianti) – che internazionale, con la memoria Résumé de quelques travaux sur les systèmes variables de fonctions associés à une forme différentielle quadratique (Ricci-Curbastro 1892; da ora in poi indicata Résumé). C’è da notare che in queste memorie si ha un’applicazione immediata delle nuove tecniche a vari ambiti della fisica-matematica dell’epoca – nel senso di prevedere una riformulazione ‘tensoriale’ delle loro leggi caratteristiche –, con particolare riguardo per la teoria dell’elasticità (Ricci-Curbastro 1888, §§ 5, 6, 7). Oltre a quelle di Casorati e di Christoffel, un’altra influenza appare determinante nella fase formativa del CDA. Ci si sta riferendo al ruolo centrale svolto da E. Beltrami, in primo luogo come referente in Italia del metodo delle coordinate curvilinee di Lamé e, in modo connesso, come uno dei principali protagonisti, nella seconda metà del XIX secolo, dello studio dei parametri differenziali (Beltrami 1864, 1865, 1868). Le stesse ricerche di Beltrami sulla possibilità di interpretare in ambiti geometrici generali, e, in particolare, non euclidei (Tazzioli 1993), vari settori della fisica-matematica dell’epoca possono essere considerate come delle importanti premesse concettuali alla creazione dei metodi tensoriali (Dell’Aglio 1997, § 4.3). Tra gli altri influssi che, in modo più o meno diretto, tendono ad agire su Ricci-Curbastro durante il processo di nascita del CDA, appare particolarmente rilevante quello esercitato da G. Darboux, in gran parte come principale continuatore di uno dei principali temi delle ricerche di Lamé, la questione dei sistemi tripli ortogonali. Tale questione – estesa da Darboux in ambito riemanniano con la considerazione dei ‘sistemi n-pli ortogonali’ in una varietà (Darboux 1878, 1898) – diverrà poi nell’opera di Ricci-Curbastro uno dei principali ambiti di applicazione (e poi di sviluppo) dei propri metodi (Ricci-Curbastro 1886b, 1887b). È infine necessario notare che l’assolutà centralità che ha il concetto di invarianza nel processo di comparsa del CDA – come ambito teorico che fa leva in modo essenziale su vari tipi di occorrenze (di carattere geometrico, analitico, algebrico) di tale concetto – non può essere
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considerata separata del tutto dall’influenza che, anche se in modo non determinante (Levi-Civita 1925b), ebbero su Ricci-Curbastro le concezioni di F. Klein, di cui il matematico italiano aveva seguito alcuni corsi a Monaco alla fine degli anni ’70 del XIX secolo. Queste indicazioni di carattere storico relative alla nascita del CDA rivestono ovviamente una rilevanza primaria nella considerazione del suo processo di ricezione nell’ambito della comunità matematica dell’epoca. In modo particolare, l’aspetto a più facce della teoria – a metà tra studio algebrico degli invarianti differenziali e tecnica nella teoria delle equazioni alle derivate parziali – rappresenta un fattore che evidentemente non può essere sottovalutato. Esso può anzi essere in parte esteso, prestando anche attenzione ai significati concettuali e applicativi della teoria. Ciò conduce alla considerazione dei seguenti quattro aspetti distinti del CDA, come complesso dei modi in cui tale teoria poteva essere vista nei suoi primi momenti di sviluppo: (a) come teoria algebrica degli invarianti differenziali; (b) come particolare tecnica risolutiva nella teoria delle equazioni alle derivate parziali; (c) come estensione dell’analisi classica in ambito riemanniano; (d) come mezzo espressivo di leggi di natura invariante.
Degli aspetti (a) e (b) si è già detto. L’aspetto (c) è quello che, da un punto di vista concettuale, contraddistingue la teoria come un particolare ramo della allora nascente teoria delle varietà riemanniane, cioè, come un particolare capitolo della geometria differenziale di fine Ottocento. D’altra parte, l’aspetto (d) – sebbene di per sé sia compreso in quello (b), in quanto l’espressione tensoriale di una equazione differenziale rappresenta il primo passo verso la sua integrazione – riguarda, in modo specifico, le caratterestiche linguistico-espressive del CDA; si tratta, per intendersi, dell’aspetto cui farà essenzialmente riferimento Einstein nell’adozione relativistica della teoria. È chiaro, in base a questo spettro di immagini del CDA, che il problema della sua ricezione e accettazione rappresenta una questione a più facce, che non può essere trattata escludendone alcune o, ancora peggio, sovrapponendone la considerazione. Alcune osservazioni devono essere svolte al riguardo. In primo luogo, non è detto che l’ordine storico di comparsa dei fattori (a)-(d) – che si è visto essere del tipo (a) → (b) (→ (d)) → (c) – coincida con l’ordine con il quale essi furono recepiti ed eventualmente accettati. In altre parole, l’ordine indicato non necessariamente deve essere stato seguito anche nel processo di ricezione e accettazione della teoria.
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luca dell ’ aglio In secondo luogo, l’accettazione di un aspetto della teoria non necessariamente comporta quella di un altro, in particolar modo quando sono messi a confronto i suoi aspetti ‘classici’ e quelli più spiccatamente ‘innovativi’. In altre parole, malgrado le loro strette relazioni, gli aspetti (a)-(d) potrebbero conservare una certa autonomia reciproca, potendo apparire in modo scisso nella fase di ricezione e di accettazione della teoria. Di fatto, solo nel caso dell’aspetto (a) si può parlare di una considerazione preliminare a quella degli altri: in relazione agli aspetti (c) e (d), in quanto in entrambi i casi si considerano equazioni scritte mediante particolari espressioni differenziali invarianti; e in relazione all’aspetto (b), in virtù del carattere ‘invariante’ della operazione di derivazione covariante. Tuttavia, al di là di questo, il riconoscimento di un aspetto della teoria (e della sua rilevanza) risulta in gran parte indipendente da un caso all’altro, potendo presentarsi situazioni in cui i vari aspetti vengono recepiti e accettati singolarmente o a gruppi; situazioni, cioè, caratterizzate da differenti forme di accettazione ‘parziale’ della teoria. In questo modo, per esempio, malgrado l’aspetto (b) risulti, come si è detto, implicito da un punto di vista tecnico alla realizzazione dell’aspetto (d), la loro considerazione appare indipendente da un caso all’altro, come l’adozione relativistica del CDA tende a mettere chiaramente in evidenza. 3. La prima fase di ricezione della teoria Il processo di ricezione e di accettazione del CDA in epoca pre-relativistica è caratterizzato da una articolata tipologia di reazioni riguardanti i diversi aspetti della teoria. Malgrado ciò, è possibile individuare in tale processo alcune fasi essenziali; fasi che non devono essere considerate in modo rigido da un punto di vista temporale, con dei precisi punti d’inizio e di temine. Come vedremo, per esempio, alcuni fattori che giocano un ruolo centrale nella seconda fase sono già presenti in parte nella prima, e viceversa. In questo modo, tali fasi dovrebbero essere considerate essenzialmente in termini di ‘dominanza’: in ogni fase domina un certo atteggiamento nei confronti della teoria, ciò che non esclude la sua presenza in un’altra fase. La prima fase nel processo di ricezione del CDA riguarda il periodo stesso – racchiuso tra il 1887 e il 1892 – in cui emergono i suoi concetti di base e in cui si hanno le sue prime presentazioni sistematiche. In effetti, questo breve lasso di tempo racchiude una serie di eventi di notevole interesse in relazione al modo in cui la teoria tende a diffon-
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dersi, a essere recepita e anche a essere, in un primo caso, valutata da un punto di vista ufficiale. 3. 1. Alcuni aspetti della ricezione iniziale della teoria La prima fase di ricezione del CDA è relativa a una serie di ricerche, per lo più riguardanti l’ambiente matematico italiano, in cui si fa uso dei nuovi concetti o in cui, più semplicemente, li si nomina. Ciò, è importante sottolinearlo, riguarda tutti gli aspetti in cui poteva essere considerata la teoria all’epoca. In primo luogo, naturalmente, l’aspetto (a) del CDA, come teoria generale degli invarianti differenziali. Si tratta infatti della caratteristica della teoria che più facilmente viene recepita, in virtù della rilevanza del filone di ricerca – cioè, dell’approccio algebrico di Christoffel alla teoria degli invarianti differenziali – cui il CDA fa, da questo punto di vista, riferimento; rilevanza che, in ultima analisi, è relativa al fatto di basarsi su una teoria dall’importanza così centrale, durante il XIX secolo, come quella degli invarianti algebrici. Da questo punto di vista, la considerazione dell’aspetto (a) della teoria tende a sovrapporsi al modo in cui vengono recepite complessivamente le ricerche di Ricci-Curbastro sugli invarianti e sui parametri differenziali (Ricci-Curbastro 1884, 1886a); ricerche di cui si iniziano a trovare riferimenti in alcuni lavori della seconda metà degli anni Ottanta. 1 Tuttavia, fin dalla sua comparsa, il CDA viene recepito anche in relazione agli altri aspetti in cui poteva essere considerato all’epoca; un fatto che non appare sorprendente, in quanto chiama in causa quei settori della comunità matematica italiana che sono più legati alle ricerche di Beltrami, e dunque, per forza di cose, a quelle di Ricci-Curbastro. Un primo, rilevante esempio in tal senso è dato da alcuni lavori giovanili di C. Somigliana, allievo e poi assistente di Beltrami all’Università di Pavia. In effetti, prima di divenire uno tra i principali esponenti della teoria della elasticità in Italia (Marcolongo 1908; Finzi 1956; Signorini 1956), Somigliana si occupò di alcune questioni di carattere strettamente analitico, nell’ambito della teoria dei parametri differenziali (Somigliana 1889). È lungo questa direzione di ricerca che, nel lavoro (Somigliana 1890), egli operò una estensione, di natura tecnico-algoritmica, dei metodi del CDA al caso di forme differenziali non quadratiche. L’ultimo paragrafo del lavoro contiene, in particolare, una generalizzazione del metodo utilizzato in (Ricci-Curbastro 1886a) nello studio dei parametri 1 Uno dei primi casi al riguardo è il lavoro Un problema sulle espressioni differenziali di G. Torelli (Torelli 1885).
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luca dell ’ aglio differenziali quando si faccia riferimento a una generica forma differenziale; ciò che, tra l’altro, conduceva a un’implicita estensione dell’operazione di derivazione covariante. L’adesione di Somigliana all’approccio di Ricci-Curbastro alla teoria degli invarianti differenziali testimoniata da questo lavoro emerge in modo chiaro dal seguente brano: Nell’ultimo paragrafo di questo lavoro, generalizzando un teorema di Christoffel, sul quale si può dire fondato un metodo elegantissimo dovuto al prof. Ricci per costruire i parametri differenziali delle forme quadratiche, ho ridotto la ricerca dei parametri delle forme di grado qualunque a quella degli invarianti algebrici simultanei di certi sistemi di forme differenziali, analogamente a quanto il prof. Ricci ha fatto per le forme quadratiche. 1
È necessario osservare che, oltre a una concreta accettazione dell’aspetto (a) del CDA, in questo lavoro di Somigliana si può anche riconoscere una parziale considerazione dell’aspetto (b) della teoria, sulla base del fatto che il tema affrontato riguarda il problema della trasformazione delle equazioni alle derivate parziali di ordine maggiore del secondo; cioè, una particolare variante del tema che caratterizza il filone di ricerca di Lamé e di Beltrami sui parametri differenziali, sul quale, come si è detto, fa leva la comparsa stessa del CDA. 3. 2. Il contributo di Ernesto Padova allo sviluppo del CDA Durante il periodo 1887-1892 si assiste a un caso ancora più evidente di adesione ai metodi del CDA, sempre nel contesto della comunità matematica italiana. Si tratta di una serie di ricerche di E. Padova – uno tra i principali prosecutori del filone di ricerca di Beltrami sugli invarianti differenziali e sul loro ruolo in ambito fisico 2 – che fu docente di RicciCurbastro a Pisa nella seconda metà degli anni ’70 e poi suo collega all’Università di Padova a partire dal 1882. Come nel caso di Somigliana, il punto di contatto iniziale tra le ricerche di Padova e di Ricci-Curbastro è dato dallo studio dei parametri differenziali. In relazione a questo tema, il lavoro Sulle espressioni invariabili (Padova 1887) fa, per esempio, riferimento in modo essenziale alla memoria di Ricci-Curbastro dell’anno precedente (Ricci-Curbastro 1886a), pur distaccandosene da un punto di vista metodologico per il fatto di fare uso solamente di metodi di carattere variazionale. In questo stesso ambito, d’altra parte, si ha un primo richiamo alla tecnica di derivazione 1
Somigliana 1890, p. 266. Con particolare riguardo per l’ambito della meccanica analitica, di cui Padova era uno tra i principali cultori nella matematica italiana post-unitaria (Ricci-Curbastro 1897b). 2
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covariante, un chiaro segnale di interesse per gli sviluppi delle ricerche di Ricci-Curbastro. Questo interesse tende a evidenziarsi sempre più nelle ricerche successive di Padova. Per esempio, sempre in relazione allo studio dei parametri differenziali, nel lavoro Sulla teoria delle coordinate curvilinee (Padova 1888) è presente una prima considerazione della derivazione covariante nel caso del secondo ordine. Ancora, nella nota Sulle deformazioni infinitesime (Padova 1889a), sebbene tale tecnica non venga richiamata in modo esplicito, si ha la deduzione del primo gruppo delle cosiddette ‘identità di Bianchi’ – cioè, delle relazioni esistenti tra le derivate covarianti del tensore di curvatura di una varietà riemanniana. 1 Tuttavia, per quanto significativi, questi lavori di Padova rappresentano solo il preludio al suo contributo tecnico effettivo ai metodi di RicciCurbastro; contributo che ha luogo principalmente in una serie di memorie tra il 1889 e il 1890. Nel lavoro La teoria di Maxwell negli spazi curvi (Padova 1889b) si ha, per esempio, l’introduzione en passant della derivazione covariante nell’ambito di una riformulazione non-euclidea delle equazioni dell’elettromagnetismo in ambito non-euclideo. 2 Si tratta, in altri termini, di una delle prime formulazioni ‘tensoriali’ di una legge di carattere fisico e, è molto importante sottolinearlo, facendo riferimento a quella che, nel contesto dell’opera di Ricci-Curbastro, costituisce una versione ancora embrionale dei principi del CDA. 3 In altre parole, le ricerche di Padova sembrano mostrare un’adesione, per così dire, ante litteram ai metodi di Ricci-Curbastro, durante la stessa fase di sviluppo embrionale della teoria. In modo per certi versi più significativo, la memoria Sulla teoria generale delle superficie (Padova 1890a) costituisce una prima forma di applicazione sistematica del CDA in campo geometrico, essendo finalizzata a una riformulazione tensoriale dei principi della teoria classica della superficie, con un breve sunto iniziale dei metodi di Ricci-Curbastro. Ancora, nel lavoro Sopra un teorema di geometria differenziale (Padova 1890b) si fa uso in modo essenziale della nozione di derivazione covariante per dimostrare un teorema di Beltrami sulle superfici a curvatura costante. L’estrema prossimità di questi lavori di Padova ai metodi tensoriali – soprattutto per il fatto di riferirsi a tutti gli aspetti della teoria e, in particolare, a quello chiave (b) – porta a ipotizzare che tali lavori rap1
Sulla questione storica delle ‘identità di Bianchi’, si veda oltre il paragrafo 6.5. Ciò sempre nel solco delle ricerche di Beltrami, che fu tra l’altro colui che presentò questa nota di Padova come socio linceo. 3 Versione che, come si è detto in precedenza, non prevede ancora una considerazione esplicita delle grandezze tensoriali; cfr. nota 1, p. 11. 2
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luca dell ’ aglio presentino qualcosa più di semplici forme di sviluppo delle ricerche di Ricci-Curbastro. Essi sembrano invece il frutto di una forma molto stretta di collaborazione che ha luogo durante la fase stessa di gestazione della teoria; 1 una collaborazione che, in alcuni casi – con particolare riguardo per l’applicazione dei metodi tensoriali alla teoria delle superfici – prende l’aspetto di una vera e propria anticipazione delle tematiche di sviluppo del CDA, come risulterà chiaro tra breve parlando delle ricerche successive di Ricci-Curbastro. 3. 3. Beltrami e l’edizione del 1887 del Premio Reale per la matematica I casi di adesione alle tematiche del CDA durante la sua prima fase di ricezione tendono a essere confermati dall’evento – l’edizione del 1887 del Premio Reale per la matematica dell’Accademia dei Lincei – che segna in modo determinante la valutazione della teoria durante questa fase. In effetti, tale evento – malgrado non veda Ricci-Curbastro come vincitore 2 – fa trasparire, attraverso la relazione della Commissione giudicante, 3 una sotterranea accettazione dei contenuti del CDA, tramite l’uso di toni piuttosto aperti nei suoi riguardi. Ciò emerge, in modo particolare, nella parte conclusiva della relazione dove sono descritti i motivi per cui il premio non venne attribuito ad alcuno dei partecipanti. In questo contesto, dopo aver giudicato le memorie presentate da RicciCurbastro come ricerche le quali indubbiamente costituiscono tre lavori di gran polso ed attestano forti e svariate cognizioni analitiche nel loro autore
si legge: è naturale il domandare se l’importanza e la fecondità dei risultati ottenuti sieno adeguate agli sforzi non lievi che si son dovuti fare da lui per giungere allo scopo, attraverso una lunga e non interrotta serie di laboriose trasformazioni, le quali rendono non poco penoso l’ufficio del lettore […] 4
L’importanza di questo brano è relativa al fatto di affrontare, in relazione al CDA, il problema chiave della valutazione congiunta di una serie di risultati e dei metodi utilizzati per ottenerli. Nel caso delle ricerche 1
Sullo stretto legame tra Ricci-Curbastro e Padova, si veda Natucci 1954, p. 437. Il riconoscimento non venne assegnato ad alcuno dei partecipanti; si veda, al riguardo, Bottazzini 1999. 3 La Commissione era costituita da alcune delle principali figure della matematica italiana post-unitaria: oltre a Beltrami – che fu il redattore della relazione finale della Commissione (Relazione sul concorso del Premio Reale per la matematica per l’anno 1887) –, ne facevano parte Giovanni Battaglini, Enrico Betti, Luigi Cremona e Ulisse Dini. 4 Relazione sul concorso del Premio Reale per la matematica per l’anno 1887, p. 306. 2
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presentate da Ricci-Curbastro all’edizione del 1887 del Premio Reale, è chiaro che tale valutazione appare sotto alcuni aspetti critica. Tali ricerche – relative alle sole tre memorie (Ricci-Curbastro 1884, 1886a, 1886b) – contengono, infatti, molti dei risultati ottenuti da Ricci-Curbastro nella teoria degli invarianti differenziali – cioè, in relazione all’aspetto (a) del CDA –, ma ancora poco sull’estensione del calcolo differenziale in ambito riemanniano; estensione che, in connessione con l’aspetto (b) della teoria, ha come si è detto luogo in modo effettivo durante il successivo triennio 1887-1889. In questo modo, il grado di ‘rilevanza’ dei risultati ottenuti da RicciCurbastro nelle ricerche presentate appare – per il fatto di riferirsi al solo aspetto iniziale del CDA – in parte in contrasto con l’evidente ‘laboriosità’ dei metodi utilizzati; cioè, in contrasto con il loro articolato aspetto algoritmico e simbolico. In altre parole, esiste un’evidente discrasia tra l’importanza dei risultati ottenuti da Ricci-Curbastro nella teoria degli invarianti differenziali e la, almeno apparente, bassa operatività dei metodi impiegati. Risulta significativo, da questo punto di vista, il fatto che nel brano precedente si faccia riferimento sia agli “sforzi” dell’autore che a quelli del lettore; entrambi, in un certo senso, ‘vittime’ di una situazione, in ultima analisi prodotta dalle caratteristiche marcatamente algoritmiche della teoria. Malgrado questi impliciti rilievi critici, il punto centrale nella relazione della Commissione dell’edizione del 1887 del Premio Reale sta nel fare un chiaro riferimento – e in termini particolarmente elogiativi – all’aspetto (b) del CDA; e ciò, è importante sottolinearlo, prendendo in considerazione anche alcune memorie di Ricci-Curbastro pubblicate nel frattempo, ma non presentate ufficialmente. La relazione prosegue infatti nel modo seguente: Volendo rispondere a questa domanda sarebbe ingiusto il passare sotto silenzio un più recente scritto dell’autore (Delle derivazioni covarianti e controvarianti e del loro uso nell’analisi applicata, Padova 1888) nel quale egli mostra come i suoi procedimenti servano assai bene a stabilire, in coordinate generalissime, le formole fondamentali della teoria delle superficie, di quella dell’elasticità e di quella della propagazione del calore. Noi non ci dobbiamo trattenere più a lungo sopra questo scritto il quale non fa, né poteva far parte di quelli presentati al concorso, ma dovevamo pure citarlo, sia come un argomento di fatto in favore dell’effettiva applicabilità dei metodi dell’autore alle più importanti questioni della geometria e della fisica matematica, sia come un documento che giustifica e spiega l’indole e la tendenza dei lavori preliminari e puramente analitici dei quali si è parlato fin qui. 1 1
Ibidem, p. 307.
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Si ha qui un esplicito riconoscimento dei meriti e delle potenzialità del CDA. Il punto è che il lavoro citato, (Ricci-Curbastro 1888), cioè Delle derivazioni covarianti, – nel parere della Commissione e, dunque anche di Beltrami che fu, come si è detto, il redattore della relazione – rappresenta una chiara testimonianza della rilevanza teorica e dell’applicabilità dei metodi di Ricci-Curbastro, al di là del loro ‘laborioso’ aspetto algoritmico. In questo modo, la questione del contrasto tra la relativa rilevanza dei risultati raggiunti e la presunta bassa operatività dei metodi utilizzati tende a risolversi in un sostanziale riconoscimento dell’importanza dei nuovi concetti introdotti, e in particolare di quello di derivazione covariante che, come si è detto, è il primo a emergere esplicitamente. Non è tuttavia da tacersi che in queste più recenti pubblicazioni dell’autore interviene più particolarmente, anzi passa per così dire in prima linea, un certo sistema di procedimenti analitici, chiamato da lui derivazione covariante e controvariante; processo il quale era bensì già stato adoperato, ma non era ancor stato messo dal Ricci in esplicito rilievo nelle tre Memorie costituenti i veri e proprî suoi titoli, come concorrente al premio reale. 1
Questa parziale forma di accettazione del CDA risulta confermata dal prosieguo della relazione in cui vengono rivolti alcuni rilievi di carattere critico a Ricci-Curbastro, proprio in relazione alla delicata questione del tipo e della entità degli ambiti di applicazione della teoria considerati: E neppure è da passare sotto silenzio che le applicazioni in discorso non si spingono peranche fino a quel punto che avrebbe forse messo in più chiara luce l’utilità dei nuovi algoritmi, vogliamo dire fino alla semplificata deduzione delle definite equazioni generali dell’elasticità, almeno limitatamente a quegli spazî che consentono qualche specie d’isotropia. 2
Si deve osservare che, a differenza di quanto avveniva in precedenza, si tratta in questo caso di critiche che sembrano più rivolte a Ricci-Curbastro che ai suoi metodi, la cui valutazione ne risulta anzi, in certo senso, rafforzata, soprattutto in relazione alla questione della loro efficacia. È su queste basi che si deve considerare il giudizio finale della Commissione sulle ricerche presentate da Ricci-Curbastro, caratterizzato da un atteggiamento più di attesa che di rifiuto nei riguardi dei contenuti della teoria: Dalle considerazioni che siamo venuti fin qui esponendo ci sembra poter concludere che i lavori del prof. Ricci, piuttosto che una somma di ultimi risultati definitivamente acquisiti ed immediatamente utilizzabili, rappresentino un pode1
Idem.
2
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roso sforzo di elaborazione preparatoria, sforzo che in parte apparisce già conducente ad una meta onorevole, in parte aspetta la sua giustificazione finale da ulteriori cimenti, nei quali forse il primitivo ed assai complesso apparato analitico potrà essere definitivamente surrogato da più semplici algoritmi esecutivi. 1
Se si prova dunque a riassumere quanto emerge dalla relazione della edizione del 1887 del Premio Reale per la matematica, si nota che – pur sottolineando l’aspetto formale dei metodi di Ricci-Curbastro – a essi viene riconosciuta una indiscutibile rilevanza teorica, soprattutto in relazione agli sviluppi intrapresi dal CDA. Si tratta, a tutti gli effetti, di una sorta di accettazione della teoria, che, naturalmente, non appare casuale se si pensa alla presenza all’interno della Commissione di una figura come quella di Beltrami – cioè, di colui che più di ogni altro può essere considerato come il ‘padre ideale’ dei metodi tensoriali. 3. 4. Darboux e la prima diffusione del CDA a livello internazionale Finora sono stati presi in considerazione alcuni dei risvolti nazionali della prima fase di ricezione del CDA, cioè solo quanto avviene all’interno della comunità matematica italiana. Si tratta di un fatto piuttosto naturale, legato ai meccanismi stessi di diffusione di una teoria matematica, che tendono in primo luogo a interessare gli ambienti più prossimi (in particolare, da un punto di vista geografico) a quelli in cui essa trova origine. Tuttavia, la pubblicazione nel 1892 del Résumé sul «Bulletin des Sciences Mathématiques» – diretto, come è noto, in quegli anni da Darboux – costituisce un segnale di notevole importanza sul modo in cui il CDA viene recepito, anche a livello internazionale, nei suoi primi momenti di sviluppo. Si tratta, di nuovo, di un fatto che appare poco sorprendente se si pensa alla stretta attinenza tra le origini analitiche della teoria – come particolare tecnica di integrazione di equazioni alle derivate parziali – e, come si è ricordato, alcuni aspetti dell’opera di Darboux, nel solco della tradizione di ricerca di Lamé sui parametri differenziali. Questo atteggiamento di chiara apertura nei confronti del CDA testimoniato dalla pubblicazione del Résumé risulta confermato da alcuni pareri favorevoli sui lavori di Ricci-Curbastro che, sotto forma di recensioni, appaiono negli anni successivi all’interno della seconda parte del «Bulletin», la «Revue des publications». Molto indicativa è, al proposito, la recensione del lavoro (Ricci-Curbastro 1889) in cui, come accennato, si ha una prima esplicita introdu1
Idem.
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luca dell ’ aglio zione del concetto di tensore. In tale recensione, infatti, è presente un chiaro riconoscimento dell’importanza dei metodi di Ricci-Curbastro e, in particolare, dei concetti chiave di derivazione covariante e controvariante. A questo proposito si legge che: M. Ricci étudie les propriétés de cette opération qu’il appelle dérivation covariante, et d’une autre, que l’on peut regarder comme sa réciproque, et appelée par lui dérivation contrevariante, […]; il établit aussi les propositions et les formules fondamentales relatives à ces opérations, qui outre leur haute importance analytique en ont une assez remarquable pour leurs applications géométriques, mécaniques et physiques, que les lecteurs du Bulletin connaissent déjà par le résumé que l’auteur même a rédigé pour ce recueil. 1
Valutazioni simili sui metodi di Ricci-Curbastro sono presenti – spingendosi però oltre negli anni – su alcuni numeri successivi del «Bulletin». Per esempio, la recensione del lavoro di Ricci-Curbastro Sulla teoria intrinseca delle superficie ed in ispecie di quelle di 2° grado (Ricci-Curbastro 1895a) riporta un breve ma netto pronunciamento sulla questione della ‘fertilità’ dei metodi del matematico italiano. Dopo una esposizione dei contenuti della memoria, la recensione si conclude infatti nel modo seguente: Ce travail fait suite à d’autres Mémoires du même auteur […] et il est une nouvelle preuve de la fécondité et de l’utilité des méthodes de dérivation covariante. 2
In modo analogo, nella recensione della celebre memoria Méthodes de calcul différentiel absolu et leurs applications di Ricci-Curbastro e Levi-Civita – la più nota esposizione del CDA in epoca pre-relativistica, pubblicata nel 1901 in «Mathematische Annalen» (Ricci-Curbastro, Levi-Civita 1901, da ora in avanti indicata Méthodes) – sono presenti alcuni apprezzamenti sulla teoria, nel corso di una lunga e dettagliata descrizione dei suoi contenuti. Così, nella parte iniziale, si legge: MM. Ricci et Levi-Civita, dans le très intéressant exposé qu’ils donnent ici, examinent en détail les nombreuses applications qu’ils ont fait l’un et l’autre de la méthode de M. Ricci. 3
Ancora, nella parte finale della recensione, introducendo gli aspetti applicativi della teoria, si trova scritto: MM. Ricci et Levi-Civita passent alors aux applications de leur calcul; nous nous bornons à en signaler le sujet. Le lecteur pourra ainsi en apprécier la variété et l’intérêt. 4
1 «Bulletin
des des 3 «Bulletin des 4 «Bulletin des 2 «Bulletin
Sciences Sciences Sciences Sciences
Mathématiques», Mathématiques», Mathématiques», Mathématiques»,
17, 23, 35, 35,
1893, 1899, 1911, 1911,
II II II II
partie, partie, partie, partie,
p. p. p. p.
59. Il corsivo è nostro. 236; il corsivo è nostro. 107. 110. Il corsivo è nostro.
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4. La ricerca di ‘aderenza’ Con l’inizio degli anni Novanta del XIX secolo tende a chiudersi una prima fase dell’evoluzione del CDA e della sua ricezione da parte della comunità matematica dell’epoca. Di fatto, il periodo 1886-1892 vede una teoria in formazione che tende a suscitare un certo interesse negli ambienti in cui ha avuto origine. Ciò riguarda, in primo luogo, l’ambito della teoria degli invarianti differenziali, che costituisce il contesto di base nella ricezione iniziale della teoria. Tuttavia, con l’emergere dell’aspetto (b) del CDA, come tecnica di integrazione di equazioni differenziali – e, in modo connesso, dell’aspetto (c), come calcolo differenziale su varietà riemanniane – qualcosa tende a mutare anche dal punto di vista del bacino di ricezione della teoria. Il nuovo ambito riguarda (più in generale) il contesto della cosiddetta ‘analisi applicata’, cioè dei vari ambiti di applicazione della teoria delle equazioni alle derivate parziali del XIX secolo; investendo così, come si vedrà in seguito, campi di ricerca di carattere sia geometrico che fisico-matematico. 1 4. 1. La coscienza dell’importanza della teoria Con il delinearsi dei principi teorici fondamentali del CDA e dei suoi vari aspetti – con particolare riguardo per quelli (b) e (c), più legati all’identità autonoma della teoria – si ha, d’altra parte, un chiaro riconoscimento da parte di Ricci-Curbastro della rilevanza dei suoi metodi come nuovo ramo del pensiero matematico. Si trovano affermazioni al riguardo in vari suoi lavori del periodo, soprattutto nelle esposizioni sistematiche della teoria. L’introduzione di Delle derivazioni covarianti si chiude, per esempio, nel modo seguente: Applicherò poi i metodi esposti ad alcuni esempi tolti dalle teorie fondamentali della Geometria Differenziale, della Meccanica Razionale e dalla Fisica Matematica, nell’intento di rendere sempre più palesi i pregi di semplicità e di uniformità, per cui i metodi stessi mi sembra possano raccomandarsi ai cultori delle Matematiche applicate. 2
Ancora, nella parte finale del Résumé si legge: A mon avis, les méthodes des dérivation covariante et contrevariante selon une forme fondamentale nous donnent les éléments d’un calcul différentiel invariantif; 1 Queste osservazioni sulla distinzione tra diversi ambiti di ricezione del CDA possiedono, naturalmente, un valore più interpretativo – in relazione alla possibilità di chiarire il processo di ricezione in esame – che storico effettivo: i diversi bacini di ricezione della teoria possono, infatti, in parte sovrapporsi, con alcuni matematici appartenenti a entrambi in relazione a diversi 2 Ricci-Curbastro 1888, p. 248. (ma connessi) aspetti della loro opera.
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c’est-à-dire d’une partie nouvelle du Calcul différentiel, qui est particulièrement propre à traduire en formules, de la manière la plus simple, toutes les propriétés et les recherches qui sont, par leur nature, indépendantes du choix des coordonnées dans la variété, dont l’élément linéaire peut être représenté par ϕ […]. 1
Queste affermazioni di Ricci-Curbastro mettono in evidenza almeno due ordini di motivi atti a giustificare la rilevanza dei metodi tensoriali. Da una parte, a tali metodi viene riconosciuto un ruolo unificante, in relazione alle loro caratteristiche di ‘uniformità’: il CDA viene, cioè, visto dal matematico italiano come una teoria che permette una considerazione sinottica di diverse situazioni teoriche. D’altra parte, a tale teoria è anche riconosciuto un carattere di ‘semplicità’, in ultima analisi da riferire al suo ruolo risolutivo – mediante l’espressione ‘covariante’ di quantità differenziali – nel contesto della teoria delle equazioni differenziali. 4. 2. La ricerca di ‘aderenza’ nello sviluppo pre-relativistico del CDA È sulla base di queste considerazioni di Ricci-Curbastro sulla potenzialità dei propri metodi che deve essere interpretato il successivo periodo di sviluppo del CDA in epoca pre-relativistica; il periodo cioè che dal 1893 conduce alla pubblicazione delle Méthodes nel 1901, e in parte oltre. La caratteristica essenziale di questa seconda fase di sviluppo è costituita da un articolato tentativo di ‘avvicinamento’ del CDA ad altri ambiti teorici, sempre in relazione all’aspetto (b) della teoria. Tale fase è, in particolare, caratterizzata da una progressiva estensione dei problemi che la teoria è in grado di risolvere all’interno dell’ambito della teoria delle equazioni alle derivate parziali. Si tratta di una sorta di ricerca di ‘aderenza’, intendendo con ciò una situazione in cui si cerca di mostrare l’efficacia di una nuova teoria matematica in ambiti teorici diversi da quello/i di origine. Nel caso del CDA, si può riconoscere con precisione il momento di inizio di questo processo in alcune delle ultime affermazioni del Résumé: En revenant sur cet argument, j’espère pouvoir mettre en évidence les avantages que présentent les méthodes de dérivation covariante ou contrevariante selon une forme fondamentale comme méthodes de recherche. En attendant, je ne puis pas me passer de remarquer ici que, bien que les équations, auxquelles on parvient par ces méthodes en partant de celles que l’on établit directement pour l’espace euclidien en coordonnées rectilignes, doivent être considérées comme démontrées seulement pour cet espace, leur forme est tout à fait indépendante de la nature de l’espace, c’est-à-dire de la forme fondamentale. […] elles semblent être le point de 1
Ricci-Curbastro 1892, p. 306.
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départ le plus naturel pour étendre aux espaces d’une nature quelconque à trois dimensions les recherches, dont elles sont la traduction analytique pour l’espace euclidien. 1
Questa idea programmatica di ‘applicazione’ del CDA nella riformulazione e nella risoluzione di problemi riguardanti altri ambiti teorici trova la sua prima realizzazione nel corso del 1893, nella memoria di RicciCurbastro Di alcune applicazioni del Calcolo differenziale assoluto alla teoria delle forme differenziali quadratiche binarie e dei sistemi a due variabili (RicciCurbastro 1893a).2 In questo ambito, la ricerca di ‘aderenza’ emerge in modo chiaro fin dalle prime frasi del lavoro: I risultati, che si troveranno in questo lavoro, per la maggior parte, non sono nuovi: lo sono bensì i metodi, che vi conducono, e la forma, che essi rivestono. Dopo avere ripetutamente insistito sui vantaggi, che i metodi di calcolo differenziale assoluto offrono nelle ricerche, in cui si tratta di proprietà indipendenti dalla scelta delle coordinate, trovo ancora opportuno di farne vedere alcune fondamentali applicazioni in un campo, il quale, appunto, perché esplorato in ogni sua parte dai geometri, è meglio atto a far risaltare per mezzo di confronti i vantaggi accennati. Di più si troverà in questo scritto una introduzione necessaria per la intelligenza di altri che, a suo tempo, saranno resi di pubblica ragione. 3
Sono vari i motivi di interesse che presenta questo brano. In primo luogo, va notato l’uso del termine “ripetutamente”, da interpretare nei termini di un contrasto tra la consapevolezza di Ricci-Curbastro dell’importanza dei propri metodi e il fatto che, d’altra parte, essi non vengano colti in modo adeguato. È poi necessario sottolineare il modo in cui, nella seconda parte della precedente citazione, viene delineata dal matematico italiano una precisa strategia di ‘aderenza’ per sanare tale contrasto. Al fine di mettere, nel modo migliore, in evidenza l’efficacia dei propri metodi, Ricci-Curbastro indica infatti una specifica direzione di ricerca: mostrare come un campo di indagine ‘classico’ – come quello della geometria differenziale – possa essere affrontato, in modo alternativo e più vantaggioso, mediante i metodi tensoriali. Come vedremo in seguito, si tratta di una strategia – già, lo si ricorda, in parte sviluppata nelle ricerche di Padova – che non appare priva di rischi, perché tende ad accentuare la potenziale discrasia tra ‘nuovi metodi’ e ‘vecchi problemi’, dovuta alla natura prettamente analitica dei primi e al carattere geometrico degli altri. È su queste basi che le ricerche di Ricci-Curbastro dell’ultimo decennio del XIX secolo si caratterizzano come trattazioni di natura tensoriale di 1
Ibidem, pp. 309-310. Memoria che, in modo non casuale, è proprio quella in cui viene introdotta la denomina3 Ricci-Curbastro 1893a, p. 311. zione ‘calcolo differenziale assoluto’. 2
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luca dell ’ aglio alcune questioni di base della geometria differenziale dell’epoca. Ciò riguarda, in primo luogo, la teoria delle superfici, ambito in cui il matematico italiano affrontò argomenti quali lo studio delle congruenze di linee (Ricci-Curbastro 1893a); la determinazione degli elementi metrici relativi a quadriche (Ricci-Curbastro 1895a) o riducibili alla ‘forma di Liouville’ (Ricci-Curbastro 1894; su cui anche, in forma embrionale, (Ricci-Curbastro 1893b); e il problema dell’applicabilità (Ricci-Curbastro 1897a). Si tratta di un complesso di ricerche che culminano nel trattato Lezioni sulla Teoria delle Superficie, pubblicato a Padova nel 1898 (RicciCurbastro 1898c). Le applicazioni geometriche del CDA sviluppate da Ricci-Curbastro interessano, d’altra parte, anche la geometria pluridimensionale, in gran parte mediante la considerazione della cosiddetta ‘geometria intrinseca’, cioè della teoria delle congruenze in ambito riemanniano. Ciò riguarda in primo luogo il ‘problema dell’immersione’, trattato in (Ricci-Curbastro 1896) in relazione alle condizioni affinché una varietà n-dimensionale sia un’ipersuperficie di uno spazio euclideo; problema poi ripreso in (Ricci-Curbastro 1902), nel caso di immersione in una generica varietà riemanniana. I risultati conseguiti in queste ricerche furono poi applicati da Ricci-Curbastro al cosiddetto ‘problema di Hadamard’, riguardante la determinazione delle varietà riemanniane che contengono ‘varietà geodetiche’ (Ricci-Curbastro 1904, 1924). Durante l’ultimo decennio del XIX secolo, Ricci-Curbastro applicò i propri metodi anche alla centrale questione dei ‘gruppi continui di movimenti’ in una varietà a tre dimensioni, in relazione al cosiddetto ‘problema di Riemann-Helmholtz’ [(Ricci-Curbastro 1898a, 1898b, 1899), anche in connessione con (Ricci-Curbastro 1904, 1910)]; questione che sarà poi trattata dal matematico italiano in forma estesa nel caso di gruppi continui di movimenti in una varietà qualunque (Ricci-Curbastro 1905). Nel processo di ricerca di ‘aderenza’ del CDA durante l’ultimo decennio del XIX secolo è necessario includere anche le ricerche di colui, Tullio Levi-Civita, che più di ogni altro ‘incarnò’ gli sviluppi iniziali della teoria, prima come allievo e poi come collaboratore di Ricci-Curbastro all’Università di Padova. A partire dalla tesi di laurea (Levi-Civita 1893-1894), le ricerche di Levi-Civita sono infatti caratterizzate da un uso sistematico dei metodi tensoriali nella risoluzione di varie questioni di carattere analitico e fisico-matematico. Ciò interessa, in primo luogo, il campo della meccanica teorica, con particolare riguardo per il problema della trasformazione delle equazioni della dinamica, (Levi-Civita 1896a), e per quello della esistenza di varie classi di integrali per tali equazioni (Levi-
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Civita 1896b, 1897a). Levi-Civita, inoltre, fece uso del CDA nella risoluzione del problema della classificazione dei potenziali dipendenti da due sole coordinate (Levi-Civita 1899b); nella teoria delle congruenze in ambito riemanniano (Levi-Civita 1899a), e nell’integrazione di alcune categorie di equazioni differenziali, come in (Levi-Civita 1897-1898) nel caso dell’equazione biarmonica. È necessario osservare che queste ricerche di Levi-Civita tendono a differenziarsi da un punto di vista tematico da quelle di Ricci-Curbastro, in quanto – pur essendo in genere relative al problema dell’integrazione di certe classi di equazioni differenziali e pur facendo quasi sempre riferimento, in ultima analisi, alla teoria delle congruenze in ambito riemanniano – appaiono per lo più finalizzate alla risoluzione di particolari questioni di carattere fisico-matematico. In altre parole, rispetto a quelle di Ricci-Curbastro le ricerche di Levi-Civita tendono, per così dire, a perseguire una diversa forma di ‘aderenza’ del CDA; un fatto che, come vedremo, non sarà scevro di conseguenze in relazione alla valutazione delle opere dei due matematici e allo stesso processo di accettazione della teoria. Questo complesso di ricerche di Ricci-Curbastro e Levi-Civita – almeno per quanto riguarda quelle che precedono la fine del XIX secolo – andranno poi a costituire i principali contenuti applicativi delle Méthodes, all’interno della terza e conclusiva parte della memoria. 5. L’accettazione del CDA come teoria algebrica degli invarianti differenziali Con lo sviluppo di carattere sia teorico che applicativo del CDA nell’ultimo decennio del XIX secolo tende ad aprirsi una seconda fase nel suo processo di ricezione che, a differenza della prima, è caratterizzata da valutazioni degli aspetti (a)-(d) della teoria in forte contrasto tra loro. In primo luogo, in linea con quanto avvenuto fin dai suoi primi momenti di sviluppo, il CDA riscuote un certo successo in relazione all’aspetto (a) di teoria algebrica degli invarianti differenziali. 1 Appartengono a questo ambito di ricerche alcuni lavori, tra gli altri, di E. Pascal (Pascal 1902, 1903a, 1903b), L. Sinigallia (Sinigallia 1903a, 1903b, 1903c, 1905), T. De Donder (De Donder 1906, 1907) e J. Knoblauch (Knoblauch 1893a, 1893b, 1895, 1906). Il riconoscimento dell’importanza del CDA come teoria algebrica degli invarianti differenziali testimoniato da queste ricerche è riscontra1
Reich 1994, p. 215.
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luca dell ’ aglio bile anche in alcune affermazioni contenute in vari scritti di inizio Novecento. Indicativo al riguardo è quanto si legge nella breve nota Note on the differential invariants of a surface and of space di C.N. Haskins (Haskins 1906), in cui l’autore afferma: “It may not be amiss to point out that the methods of Ricci’s Absolute Differential Calculus render unnecessary much of the complicated calculation which occupies so large a part of Forsyth’s memoirs on this subject” (Haskins 1906, p. 152); continuando più avanti: “Forsyth’s work on the ternary form in so far as it relates to the reduction of the problem to one in algebraic forms, has been wholly anticipated by Ricci” (Haskins 1906, p. 154). Indicazioni analoghe sull’efficacia dei metodi di Ricci-Curbastro dal punto di vista del loro aspetto originario (a) si ricavano anche dalla monografia Invariants of quadratic differential forms di J. Edmund Wright, pubblicata nel 1908 (Wright 1908). Sebbene sia una (concisa ma) dettagliata esposizione della teoria degli invarianti differenziali secondo le sue principali linee di sviluppo durante la seconda metà del XIX secolo, tale monografia rappresenta di fatto una introduzione teorica al CDA, da un punto di vista sia teorico che applicativo. Gli altri approcci alla teoria degli invarianti differenziali sono infatti citati per pura completezza, come espresso chiaramente dai seguenti brani tratti dalla ‘Preface’ del libro: The aim of this tract is to give […] an account of the invariant theory connected with a single quadratic differential form. It is intended to give a bird’s eye view of the field to those as yet unacquainted with the subject […]. It will be found that the rest of the tract is independent of Chapters III and IV. These chapters are included so as to give an account, as far as possible complete, of the various methods that have been applied to the subject. The most successful method is that outlined in the remainder of the book. This method, begun by Christoffel, owes its modern development mainly to Ricci-Curbastro and Levi-Civita, and it is hoped that this tract may induce some of its readers to turn to their papers. 1
Per questi motivi, e per altri che saranno visti successivamente, la pubblicazione del testo di Wright rappresenta un ulteriore evento rilevante nella fase di espansione del CDA; 2 di fatto, il terzo caso di esposizione sistematica della teoria a livello internazionale, dopo le uscite del Résumé e delle Méthodes. 6. Sviluppi e aspetti critici dell’‘aderenza’ del CDA in ambito geometrico Come accennato, la accettazione del CDA come teoria algebrica degli invarianti differenziali non necessariamente risulta connessa a una ana1
Wright 1908, p. v. Il corsivo è nostro.
2
Cfr. Reich 1994, §4.1.3.5.
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loga valutazione degli altri aspetti della teoria da parte della comunità matematica dell’epoca. Nel caso di tali aspetti la situazione appare in effetti più articolata, coinvolgendo anche le diverse forme di ricerca di ‘aderenza’ che i metodi tensoriali tendono a trovare in campo geometrico e fisico-matematico, nel contesto di una vicenda che presenta (ancora) vari elementi in comune con la storia dei Premi Reali per la matematica della Accademia dei Lincei. Ciò, anche per questioni di natura temporale, è in primo luogo relativo al tipo di ricezione che trovano i tentativi di ricerca di ‘aderenza’ del CDA in campo geometrico. 6. 1. Sviluppi degli aspetti geometrici del CDA in epoca pre-relativistica Sulla scia dei lavori di Ricci-Curbastro, una serie di ricerche vengono sviluppate a partire dalla metà degli anni ’90 del XIX secolo in relazione alla applicazione del CDA in ambito geometrico. In modo naturale, ciò riguarda in primo luogo l’ambiente scientifico in cui opera Ricci-Curbastro. Gran parte degli autori di queste ricerche sono infatti suoi allievi o collaboratori all’Università di Padova: tra questi, oltre a Levi-Civita – le cui ricerche, come si è accennato, riguardano spesso, almeno indirettamente, la teoria delle congruenze –, si hanno tra gli altri, R. Banal (Banal 1895, 1896, 1897, 1898, 1899), U. Cisotti (Cisotti 1908-1909), F. A. Dall’Acqua (Dall’Acqua 1900, 1901a, 1901b, 1903a), A. Finzi (Finzi 1902) e A. Tonolo (Tonolo 1912). Provenendo dall’entourage di Ricci-Curbastro, questi contributi risultano solo in parte indicativi sul processo di ricezione del CDA. Tuttavia, essi offrono alcune interessanti indicazioni in virtù del modo, non secondario, in cui si collocano nel contesto delle ricerche matematiche italiane del periodo. Per esempio, – oltre che sugli «Atti del Reale Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti», ambito di pubblicazione preferenziale dell’ambiente scientifico dell’Università di Padova –, tali contributi escono su alcune delle principali riviste scientifiche dell’epoca a livello nazionale. In particolare, sugli «Annali di Matematica pura ed applicata» vengono pubblicate due ampie memorie relative alla trattazione tensoriale di diversi aspetti di un tema centrale della geometria riemanniana, lo studio delle varietà a tre dimensioni: nel 1896 la memoria di Banal, Sulle varietà a tre dimensioni con una curvatura nulla e due eguali (Banal 1896), e nel 1901 quella di Dall’Acqua Sulla teoria delle congruenze di curve in una varietà qualunque a tre dimensioni (Dall’Acqua 1901b). Va inoltre ricordato che molte delle ricerche dei collaboratori di Ricci-Curbastro sono note dei «Rendiconti dell’Accademia dei Lincei»; e che alcune di esse – in particolare, quelle di Banal sugli spazi a curvatura costante (Banal 1897,
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luca dell ’ aglio 1898) e sulla questione della deformabilità (Banal 1899) – furono presentate dallo stesso Beltrami. Si deve, d’altra parte, notare che le ricerche sulle applicazioni del CDA in campo geometrico non provengono solo dall’ambito dell’Università di Padova. L’esempio più significativo al riguardo è dato da una nota in due parti di Ugo Amaldi (Amaldi 1902b), pubblicata nel 1902, sempre sui «Rendiconti dell’Accademia dei Lincei». 1 Si tratta di un lavoro di una certa rilevanza in quanto riguarda un tema – lo studio delle superfici “che contengono sistemi doppi ortogonali isotermi di cerchi geodetici” – che è centrale nelle applicazioni geometriche del CDA, costituendo un particolare sviluppo dello studio di Ricci-Curbastro dei ‘sistemi di Liouville’ (Ricci-Curbastro 1894). Inoltre, questa nota di Amaldi evidenzia un chiaro riconoscimento dell’utilità e della fecondità del CDA, come messo in luce dal brano seguente: I metodi che io applico sono quelli del Calcolo differenziale assoluto del Ricci, e anzi debbo notare esplicitamente che nei calcoli richiesti dal presente problema io non ho avuto che da ripetere, leggermente modificati, i procedimenti e gli artifici escogitati ed applicati dal Ricci pel suo caso. L’identità di notazioni che, fino che mi è stato possibile, ho cercato di osservare, renderà facile il riscontro. 2
Come si vedrà più avanti, questa adesione di Amaldi all’uso del CDA in campo geometrico è da porre in relazione ad altri aspetti della sua opera, relativi alla questione delle applicazioni della teoria in campo fisico-matematico. 6. 2. Aspetti critici iniziali delle applicazioni geometriche del CDA Malgrado questi sviluppi, la questione dell’‘aderenza’ del CDA in campo geometrico in epoca pre-relativistica è principalmente caratterizzata da alcuni fattori di natura critica. Ciò riguarda in gran parte il fatto che molti dei risultati cui Ricci-Curbastro perviene nei propri studi di carattere geometrico erano già noti o venivano ottenuti parallelamente da altri, per vie più classiche e meno formali. Si tratta di circostanze che acuiscono ulteriormente la tensione tra ‘nuovi metodi analitici’ e ‘vecchi problemi geometrici’ cui la stessa ricerca di ‘aderenza’ del CDA in campo geometrico, come si è accennato, tendeva a mettere implicitamente in evidenza. Un primo esempio di sovrapposizione tra ‘vecchi’ e ‘nuovi’ metodi nel conseguimento di un particolare risultato geometrico si ha subito dopo 1 Questa nota appartiene alla produzione giovanile di Amaldi, nel periodo immediatamente successivo alla sua laurea presso l’Università di Bologna. Tale nota è in particolare una di quelle che permisero ad Amaldi di essere nominato nel 1903 professore di Algebra e Geometria analitica 2 Amaldi 1902b, p. 200. a Cagliari: cfr. Terracini 1957-1958; Viola 1957.
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la pubblicazione del Résumé. Si tratta di una sorta di polemica – di fatto, di una serie di precisazioni – che ebbe luogo nel 1893 tra Ricci-Curbastro e G. Koenigs a proposito della paternità di un risultato nella teoria delle geodetiche di una superficie; risultato ottenuto a poca distanza di tempo dai due matematici e per il quale Koenigs era stato insignito l’anno prima del prix Bordin della Académie des Sciences de Paris (Koenigs 1892). Il risultato di Koenigs riguardava, più in particolare, la possibilità di “determinare sotto la forma {f(x+y)+g(x-y)}dxdy tutti gli elementi lineari di superficie, pei quali la equazione delle geodetiche ammette più integrali primi quadratici” (Ricci-Curbastro 1893c, p. 146); una questione strettamente connessa a quella presa in esame da Ricci-Curbastro in una nota dei «Rendiconti dell’Accademia dei Lincei» del 1893 (Ricci-Curbastro 1893b), e poi nel suo lavoro del 1894 sui ‘sistemi di Liouville’ (RicciCurbastro 1894). A questo riguardo, nel 1893 vennero pubblicate sui «Rendiconti» alcune note di precisazione – due di Ricci-Curbastro (Ricci-Curbastro 1893c, 1893d) e una di Koenigs (Koenigs 1893) – in cui, ai tentativi del matematico italiano di porre in evidenza gli aspetti in comune delle loro ricerche, si tendevano a contrapporre quelli di Koenigs volti, al contrario, a sottolinearne gli elementi di diversità. Questi afferma, per esempio, che: “J’ai été, par contre, très heureux de le [Ricci-Curbastro] voir parvenir par d’autres moyens à une partie des résultats que j’avais obtenus. Mais après avoir constaté ce qu’ont de commun nos recherches, il n’est pas mauvais de voir en quoi elles diffèrent” (Koenigs 1893, p. 337); mettendo poi in evidenza che egli “au lieu de suivre la voie adoptée par Mr Ricci” (idem), ha fatto uso di un particolare metodo sviluppato da Darboux nel secondo volume delle sue Leçons sur la théorie générale des surfaces (Darboux 1889) e del concetto di ‘integrale quadratico’. Nella sua risposta, dopo aver sottolineato egli stesso una differenza di carattere metodologico, Ricci-Curbastro conclude con una dichiarazione così eclatante da sembrare una vera e propria presa di posizione ‘ideologica’ sulla ricerca di ‘aderenza’ del CDA in campo geometrico: Aggiungerò ancora come nell’occuparmi di un tema, su cui l’Accademia delle Scienze di Parigi aveva ripetutamente chiamata l’attenzione dei geometri, fosse mio proposito di provare la efficacia dei metodi di calcolo differenziale assoluto, la quale ha la sua ragione in ciò che essi eliminano naturalmente dai problemi, che sono indipendenti dalla scelta delle coordinate, ogni elemento ad essi estraneo. E infatti spero di aver dato un esempio convincente di questa efficacia, poiché, se non m’inganno, il problema da me risoluto difficilmente sarebbe stato accessibile al calcolo differenziale ordinario. 1 1 Ricci-Curbastro 1893d, p. 339. Nel brano, Ricci-Curbastro fa riferimento a una estensione da egli ottenuta del risultato di Koenigs.
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luca dell ’ aglio Un secondo caso di parziale accavallamento tra i metodi di Ricci-Curbastro e quelli geometrici ‘classici’ riguarda l’ambiente matematico italiano e, in particolare, colui, Luigi Bianchi, che, come è noto, più di ogni altro, contribuì allo sviluppo della geometria differenziale in tale ambiente alla fine dell’Ottocento. 1 Il risultato in questione riguarda il problema – messo a concorso dalla Società Jablonowski di Lipsia – dell’estensione al caso di varietà a tre dimensioni del ‘problema di Riemann-Helmholtz’; il problema, cioè, della caratterizzazione delle varietà che ‘ammettono’ un gruppo continuo di movimenti. Tale questione era stata risolta da Bianchi in un lavoro del 1898 (Bianchi 1898), esplicitando le forme degli elementi lineari delle varietà tridimensionali considerate. Come è stato ricordato, essa venne, d’altra parte, ripresa da Ricci-Curbastro in una serie di scritti tra il 1898 e il 1899 (Ricci-Curbastro 1898a, 1898b, 1899), nei quali risulta di nuovo chiaro il proposito di riottenere nei termini del CDA il risultato geometrico cui era pervenuto Bianchi. Ricci-Curbastro afferma esplicitamente al riguardo: “Io mi sono proposto di pervenire direttamente alla soluzione di quest’ultimo problema, applicando i miei metodi di calcolo differenziale assoluto” (RicciCurbastro 1899, p. 155). Si vedrà tra breve quali fossero le opinioni di Bianchi al riguardo, nel contesto della vicenda dell’edizione del 1901 del Premio Reale per la matematica. Altri casi di contrasto tra i metodi di Ricci-Curbastro e quelli ‘classici’, meno evidenti ma comunque significativi, riguardano un aspetto della teoria della applicabilità esaminato da J. Weingarten (Weingarten 1896), poi ripreso da Ricci-Curbastro nella memoria (Ricci-Curbastro 1897a); e il problema dell’immersione che era stato risolto in un caso particolare da E. Cesaro (Cesaro 1896) e già affrontato nel caso generale, tra gli altri, da Bianchi nelle sue Lezioni di Geometria differenziale (Bianchi 1894) e da L. Berzolari (Berzolari 1898) e, come si è detto, risolto da Ricci-Curbastro per via tensoriale in (Ricci-Curbastro 1896) e poi, più in generale, in (Ricci-Curbastro 1902). Si può dunque affermare che, facendo esplicitamente uso dei propri metodi – in un modo dunque prettamente analitico –, Ricci-Curbastro ottiene una serie di risultati di una certa rilevanza nel campo della geometria differenziale dell’epoca; risultati però a cui, allo stesso tempo, pervengono altri mediante l’uso di metodi di natura più geometrica. Questo duplice fatto – di fare cioè uso di metodi analitici per ottenere qualcosa a cui si poteva giungere anche con mezzi più classici – tende, in modo più o meno esplicito, a offuscare l’attitudine del CDA a con1
Cfr. al riguardo, Fubini 1908, nota (11); Levi-Civita 1925b, p. 396.
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seguire nuovi risultati in campo geometrico. Come veniva a volte detto al riguardo, “è meglio ottenere risultati nuovi con metodi vecchi che risultati vecchi con metodi nuovi”. 1 6. 3. Le Lezioni sulla Teoria delle Superficie Le forme, per così dire, di collisione tra gli sviluppi applicativi del CDA e certi ambiti della geometria differenziale di fine Ottocento danno sufficientemente l’idea degli aspetti critici del processo di ricerca di ‘aderenza’ dei metodi tensoriali in campo geometrico. Tuttavia, l’elemento che da questo punto di vista appare centrale è il modo in cui tale processo viene realizzato nelle Lezioni sulla Teoria delle Superficie di RicciCurbastro, anche per il tipo di reazioni cui esse danno luogo nell’arco di pochi anni. Tali Lezioni fanno infatti leva in modo essenziale sui principi del CDA, 2 ai quali è dedicata l’‘Introduzione’, che copre più di un terzo dell’intero volume e cui fanno seguito le effettive parti geometriche del trattato. 3 In questo contesto dell’opera di Ricci-Curbastro si trovano i suoi pronunciamenti più netti sulla rilevanza e la fecondità dei metodi tensoriali. La ‘Prefazione’ si apre per esempio nei seguenti, significativi termini: Nelle questioni di Analisi, che per loro natura non sono collegate colla scelta delle variabili indipendenti, io mi valgo da molto tempo di uno strumento, che chiamo Calcolo Differenziale assoluto, il quale conduce a formule ed equazioni, che si presentano sempre sotto la identica forma per qualunque sistema di variabili. – Eliminati da tali questioni gli elementi ad esse estranei rappresentati dalle variabili indipendenti, quando queste non siano lasciate affatto arbitrarie, i metodi di ricerca assumono una notevole uniformità e spontaneità ed i risultati una simmetria tutta loro propria, mentre, grazie anche ad un opportuno sistema di notazioni, la stessa generalità va a vantaggio, anzi che a scapito, della semplicità ed evidenza delle formole e della rapidità delle deduzioni. 4 1 Citato in Finzi 1958, p. 231. È interessante notare come molte delle note biografiche su RicciCurbastro tendono a riportare questo tipo di critica, in linea con quella che sarà poi, come si vedrà nel prossimo paragrafo, la lettura ufficiale delle applicazioni geometriche del CDA in epoca pre-relativistica: si vedano, al riguardo, Teofilato 1925-1926, p. 195; Tonolo 1954, pp. 10, 14; ma soprattutto Finzi 1958, p. 232. 2 Come sostenuto esplicitamente dall’autore: “La Introduzione contiene una esposizione, che ho cercato di rendere il più possibile semplice e piana, dei metodi di calcolo più volte ricordati ed un breve studio sulle quadriche differenziali in generale ed in particolare sulle binarie. – La novità e generalità dei metodi stessi e delle notazioni esigeranno forse dal Lettore qualche sforzo per acquisire con essi una tale famigliarità che gli permetta poi di servirsene correntemente […]”: Ricci-Curbastro 1898c, p. 3. 3 La ‘Parte Prima, Delle proprietà delle superficie considerate come veli flessibili ed inestensibili’ e la ‘Parte Seconda: Teoria delle superficie considerate come dotate di forma rigida nello spazio’. 4 Ricci-Curbastro 1898c, p. 1.
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luca dell ’ aglio Espressioni di questo tipo sono, come si è visto, presenti anche in altri contesti dell’opera di Ricci-Curbastro. Tuttavia, si ha qui il fatto nuovo di mettere in risalto il carattere di omogeneità dei metodi tensoriali rispetto agli altri metodi impiegati all’epoca in geometria differenziale: E ciò è naturale, dacché, se le vie indirette e gli spedienti faticosamente pensati volta per volta fanno fede dell’acume di chi li additò, dànno in pari tempo a vedere che la scienza non ha ancora trovata la via maestra, che conduce alla meta; la quale via, una volta scoperta, risulta sempre facile e piana ed apre alla vista nuovi e più larghi orizzonti. Le applicazioni geometriche del Calcolo Differenziale hanno recentemente assunto un tale sviluppo da costituire da sole un vastissimo dominio scientifico; ma la varietà dei metodi e la moltiplicità degli spedienti e dei soccorsi esterni, a cui i geometri ricorrono nel trattare le diverse questioni ad esso pertinenti, non permettono di riguardarlo come definitivamente ordinato e separato dai limitrofi con ben determinati confini. 1
Il punto chiave di queste affermazioni di Ricci-Curbastro sta nell’evidenziare, da un punto di vista metodologico, un presunto contrasto tra il ruolo ‘unificante’ del CDA in ambito geometrico e l’eterogeneità dei metodi generalmente seguiti; un contrasto che riguarda in primo luogo le presentazioni sistematiche in geometria differenziale dell’epoca. In questi contesti, secondo Ricci-Curbastro, le notazioni del Calcolo Differenziale assoluto sono qua e là introdotte con vantaggio; ma, mentre ciò dimostra esistere un intimo nesso tra queste e le ricerche, cui si riferiscono, un tale nesso non è posto sufficientemente in luce perché lo strumento analitico, da cui naturalmente ha rilievo, viene lasciato in disparte. – Perciò i teoremi non si presentano nel loro ordine naturale, ma in modo che riesce difficile rendersi conto della loro genesi e delle essenziali reciproche dipendenze. – La stessa opera classica del Darboux, mentre è oramai guida indispensabile a chi voglia provarsi in questi studï […] sembra mettere in maggiore evidenza la opportunità che la Geometria infinitesimale costituita in unità organica proceda oramai per vie sue proprie. 2
Proseguendo in modo molto chiaro: Però, se non mi inganno, i metodi qui seguiti, oltre che si possono estendere a rami svariatissimi della Analisi pura ed applicata, in questo stesso della Geometria Differenziale appaiono più fecondi […]. 3
Più avanti, in relazione al tentativo di riformulare da un punto di vista tensoriale vari aspetti della geometria differenziale delle superfici, si legge ancora: in alcuni capitoli della Seconda parte ho preso norma dalle ricordate Lezioni del Bianchi, sostituendo soltanto le sue dimostrazioni con altre più conformi ai concetti generali, che dominano in questo libro. 4 1 3
Idem, p. 1. Ibidem, pp. 2. Il corsivo è nostro.
2 4
Ibidem, pp. 1-2. Ibidem, p. 4.
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Lo stesso impianto logico di presentazione degli argomenti giustifica dunque la critica strutturale di Ricci-Curbastro alle altre esposizioni sistematiche del soggetto. Ciò, è importante sottolinearlo, tende a caratterizzare le Lezioni sulla Teoria delle Superficie del matematico italiano in un modo essenzialmente conflittuale rispetto alla geometria differenziale dell’epoca. Una chiara conferma di questo stato di cose si trova nella recensione che G.O. James fece di tali Lezioni nel 1901, sul «Bulletin of the American Mathematical Society». In essa, in effetti, dopo aver affermato che: the idea of the volume seems to be to give some notion of the power and elegance of the absolute calculus. This has a wider application than that indicated here, many questions of pure mathematics and of mathematical physics being advantageously treated by it. 1
l’autore fa un chiaro riferimento alla differenza di approcci seguiti nella teoria delle superfici: and those accustomed to the classic method and notation, as found in Darboux and Bianchi for instance, will find the book well worth reading if for no other reason than to look at the theory from another and entirely different aspect. 2
In questo contesto, non sorprende che le Lezioni sulla Teoria delle Superficie tendano – più di ogni altra espressione dei metodi tensoriali – a generare alcune forme di attrito all’interno della comunità matematica dell’epoca e, in modo particolare, all’interno di quella italiana. Un’interessante testimonianza al riguardo è fornita dalla recensione che di tali Lezioni fece Gino Loria, nel primo numero del «Bollettino di bibliografia e storia delle scienze matematiche» (Loria 1898). Troviamo qui, in effetti, un atteggiamento contrastante nei riguardi della riformulazione tensoriale della geometria delle superfici, in cui a una sostanziale accettazione da un punto di vista teorico tende a contrapporsi una critica radicale degli aspetti didattici del trattato di Ricci-Curbastro. Nella parte iniziale della recensione si legge, per esempio: Il Prof. Ricci, che coltiva da lunghi anni e con ottimi frutti la teoria delle forme differenziali (calcolo differenziale assoluto), […] si è proposto ed è riuscito a dimostrare, coll’opera che noi ora annunciamo, come sopra di quella teoria si possa costruire una completa trattazione delle proprietà infinitesimali della superficie […]. 3
E ancora: Ciò basta a provare che la nuova opera dell’egregio professore dell’Università di Padova ha la propria ragione di esistere nella letteratura matematica italiana, 1
James 1901, p. 359.
2
Ibidem, pp. 359-360.
3
Loria 1898, p. 92.
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malgrado quelle anteriori del Bianchi e del Cesaro, accanto alle quali viene naturalmente a prendere posto. Essa verrà festosamente accolta dai dilettanti di metodi rigorosamente puri […]. 1
Dopo queste osservazioni favorevoli, la recensione si concentra sugli aspetti didattici della questione, affermando in modo chiaro: Tuttavia può nascere qualche dubbio sui buoni risultati che darebbe un primo studio della geometria differenziale fatto esclusivamente colla scorta di essa [l’opera di Ricci-Curbastro, N.d.C.]: tali dubbi, che sono in chi scrive il frutto di propria esperienza, trovano la loro spiegazione e la loro (almeno parziale) giustificazione nelle seguenti ottime osservazioni […]. 2
Loria riporta qui un lungo brano tratto dal libro La mathématique di C.A. Laisant (Laisant 1898), in cui, tra l’altro, si legge in modo molto indicativo: Mediante studî troppo particolari, si priva la scienza di tutta la sua portata; ma se lo sviluppo dei metodi generali è dato senza certe cautele, nascono nuovi inconvenienti. Uno scolaro che sia in possesso, in modo completo, dei metodi di cui parliamo e si trovi di fronte ad una questione delle più semplici, ricorre spesso a tali potenti strumenti, invece di studiare il problema che gli è proposto e di applicarvi la sua intelligenza […]. È l’immagine tradizionale dell’uomo che adopera una clava per schiacciare una mosca. Perciò è importantissimo di persuadere gli scolari […] che la complicazione dell’apparecchio algebrico dev’essere proporzionato alle difficoltà della corrispondente questione di geometria. 3
Tende dunque, ancora una volta, a emergere – questa volta da un punto di vista didattico – il tema dell’uso di strumenti di carattere analitico in ambito geometrico; tema che, come si è detto e come si vedrà anche successivamente, rappresenta il reale nodo critico del processo di ricerca di ‘aderenza’ del CDA in ambito geometrico. Le difficoltà di accettazione che incontrano le Lezioni sulla Teoria delle Superficie possono essere messe anche in rapporto con la questione delle concezioni didattiche di Ricci-Curbastro. In effetti, tali concezioni presentano un carattere essenzialmente formale, con una netta propensione per la ricerca del rigore nell’impianto logico degli argomenti, rispetto a altre esigenze di carattere didattico. In modo prettamente formale, per esempio, si caratterizzano anche le Lezioni sulla teoria matematica dell’elasticità di Ricci-Curbastro, pubblicate postume (Ricci-Curbastro 19561957, vol. 2) e che, almeno in parte, 4 riflettevano i corsi di Fisica mate1
2 Ibidem 1898, p. 93. Ibidem, pp. 92-93. Laisant 1898, p. 237, in Loria 1898, p. 93. 4 Tali corsi, tenuti a partire dal 1880 e poi, dopo il 1890 per incarico, comprendevano anche argomenti di teoria del potenziale, di elettricità e di magnetismo. 3
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matica da lui tenuti all’Università di Padova. In tali corsi, come afferma Tonolo: Le quistioni erano sempre viste nella massima generalità, affrontate per via logicamente più diretta, svolte col massimo rigore e lucida penetrazione. 1
Da un punto di vista metodologico, in effetti, le Lezioni sulla teoria matematica dell’elasticità sono contraddistinte da una complessiva riformulazione tensoriale dei temi della teoria dell’elasticità, dando luogo a una presentazione della materia che, in netto anticipo con i tempi, non si discosta molto da una trattazione moderna di meccanica dei continui. 2 Si può dunque affermare che le difficoltà di accettazione che il CDA trova nei suoi primi anni di sviluppo tendono, almeno in parte, a essere acuite dalle stesse concezioni di Ricci-Curbastro in campo didattico, miranti in genere a porre in evidenza l’aspetto formale degli argomenti. 6. 4. L’edizione del 1901 del Premio Reale per la matematica Quanto detto nei paragrafi precedenti aiuta a comprendere meglio l’evento – l’edizione del 1901 del Premio Reale per la matematica dell’Accademia Reale dei Lincei – che, senza alcun dubbio, costituisce il momento chiave della questione della ricerca di ‘aderenza’ del CDA in campo geometrico in epoca pre-relativistica. Tale evento è infatti contraddistinto da una netta chiusura nei confronti di gran parte delle applicazioni dei metodi di Ricci-Curbastro, indicando una linea di tendenza divenuta poi ufficiale, almeno a livello nazionale. Prima di vedere come tale atteggiamento critico emerga dalla relazione della Commissione giudicatrice, 3 è interessante visionare i termini 1
Tonolo 1954, pp. 17-18. In modo analogo vanno anche considerate le opere didattiche di Ricci-Curbastro non riguardanti i metodi tensoriali. Per esempio, le Lezioni di Algebra complementare di Ricci-Curbastro (Ricci-Curbastro 1900) – frutto del corso di Algebra, tenuto a partire dal 1890 sempre presso l’Università di Padova –, presentano una struttura espositiva molto avanzata per l’epoca, che prevede tra l’altro la considerazione dei numeri reali secondo un approccio simile a quello di Dedekind (Ricci-Curbastro 1897c). Nel corso degli anni, per esigenze didattiche, tali Lezioni si trasformarono nelle Lezioni di Analisi algebrica e infinitesimale, che, sebbene circolanti sotto forma di dispense, non vennero pubblicate che nel 1926, dopo la morte di Ricci-Curbastro (RicciCurbastro 1926). Di nuovo, queste Lezioni di Analisi algebrica e infinitesimale sono caratterizzate da una disposizione espositiva degli argomenti di carattere formale, con particolare riguardo per il fatto di premettere alla teoria dei limiti la trattazione di un concetto esteso di successione numerica: cfr. Tonolo 1954, p. 18, dove si parla esplicitamente al riguardo di “vedute originali”. 3 La Commissione era composta da Ulisse Dini, Valentino Cerruti, Enrico D’Ovidio, Giuseppe Veronese e Luigi Bianchi. È necessario ricordare che si tratta di un’edizione piuttosto anomala del Premio Reale, caratterizzata da un evento insolito nella storia delle competizioni di carattere scientifico, la partecipazione, cioè, di un ‘candidato siamese’, costituito dalla coppia formata da Enrico Castelnuovo e Federigo Enriques. Per ragioni di carattere formale, tale ‘candidato’ fu poi 2
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luca dell ’ aglio con cui Ricci-Curbastro prese parte a questa edizione del Premio Reale, riportando alcuni brani particolarmente indicativi della sua domanda di partecipazione. 1 Dopo aver ricordato che, nella edizione del 1887: la Commissione giudicatrice nominata da codesta illustre Accademia diede dei suoi lavori giudizio assai favorevole e ritenne che per essere meritevoli del premio essi mancassero soltanto di alcuni ulteriori requisiti
Ricci-Curbastro prosegue in modo piuttosto netto, facendo riferimento alle memorie da lui presentate – cioè, ai quattro lavori (Ricci-Curbastro 1895a), (Ricci-Curbastro 1896), (Ricci-Curbastro 1898c), (Ricci-Curbastro 1899) e al manoscritto Sulla teoria generale della elasticità in una varietà qualunque: Sembra al sottoscritto di avere colla sua ulteriore produzione matematica colmate le lacune e corrisposto ai desideri allora manifestati dalla sullodata Commissione [...].
Nella parte conclusiva della domanda, si ha infine una chiara espressione delle opinioni di Ricci-Curbastro sulla questione della fecondità del CDA, anche tramite un’allusione alle ricerche svolte nel frattempo da Levi-Civita: Confida poi il sottoscritto che nel giudicare della fecondità ed efficacia dei metodi da lui introdotti nella Analisi si vorrà tener conto anche delle applicazioni, che altri ne ha fatto a questioni fondamentali riguardanti la Meccanica Analitica e la Fisica Matematica.
In risposta a queste affermazioni, la relazione della Commissione giudicatrice contiene, come si accennava, una critica radicale di vari aspetti applicativi del CDA. 2 Ciò riguarda in primo luogo le Lezioni sulla Teoria delle Superficie di Ricci-Curbastro, il cui giudizio tende a sovrapporsi a quello del lavoro (Ricci-Curbastro 1895a) e in parte a quello della memoria inedita sulla teoria dell’elasticità. In particolare, dopo averne descritti i contenuti essenziali, viene data una valutazione globale di tali Lezioni, affrontando in modo esplicito la centrale questione dell’efficacia del CDA in campo geometrico. In complesso questo libro del Ricci ci sembra degno di lode per l’unità di metodo che conferisce all’esposizione della teoria. Per altro ci sembra che la troppa preescluso; un fatto che, sicuramente, influì sull’andamento successivo dei lavori della Commissione (Bottazzini 1999; Bottazzini, Conte, Gario 1998). 1 La lettera è contenuta nell’Archivio storico della Biblioteca dei Lincei. 2 La parte riguardante Ricci-Curbastro è la più lunga della relazione, che per il resto riguarda sostanzialmente le ricerche di Ernesto Pascal, gli altri candidati (Cesare Bongi, Pietro Genna e Domenico Lojacono) non essendo stati considerati di produzioni scientifiche loro paragonabili.
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ponderanza data alla parte algoritmica lasci bene spesso nell’ombra il contenuto essenziale geometrico e talora conduca ad enunciare come risultati speciali del calcolo proprietà geometricamente evidenti. 1
La questione chiave dell’opposizione tra ‘algoritmo’ e ‘intuizione geometrica’ appare qui in una forma particolarmente acutizzata, in relazione o meglio in reazione al progetto di Ricci-Curbastro di ricerca di ‘aderenza’ per i propri metodi nell’ambito della geometria differenziale classica; in reazione, cioè, al fatto di considerare il CDA all’opera in un ambito in cui il ruolo dell’intuizione può risultare centrale. Queste considerazioni chiamano ancora una volta in causa la questione della fecondità dei metodi tensoriali, come insieme di procedure in grado di ottenere o meno nuovi, significativi risultati, in particolare in campo geometrico. Pur non volendo attribuire gran peso a varie mende che, dal punto di vista geometrico, abbiamo riscontrato nel libro, ci siamo domandati se queste fossero davvero compensate dalla maggior potenza e fecondità dimostrata dai nuovi metodi in confronto degli antichi. 2
Si può considerare questo il segnale più evidente del fatto che, in conseguenza della ricerca di ‘aderenza’ del CDA in ambito geometrico, il problema della sua valutazione tende ad acquisire una fisionomia diversa rispetto a quanto avveniva in precedenza: mentre prima – cioè, in quella che è stata denominata la prima fase di ricezione della teoria – il CDA veniva valutato in quanto teoria generale degli invarianti differenziali (con eventuali applicazioni allo studio delle equazioni alle derivate parziali), ora esso viene in primo luogo considerato nell’ambito di una contrapposizione tra “antichi” e “nuovi metodi” nel contesto della geometria differenziale dell’epoca. La risposta che al riguardo viene data nella relazione della Commissione appare piuttosto netta, facendo trasparire un chiaro riconoscimento della centralità dell’intuizione nello studio delle questioni geometriche di natura tridimensionale. Ma per verità ci sembra che, nel campo della geometria infinitesimale delle superficie, i vantaggi inerenti ai nuovi algoritmi siano più che altro formali, o limitati a questioni secondarie; ed in questo giudizio ci conferma l’osservare che ai più recenti ed importanti progressi compiuti nel detto campo non hanno contribuito in modo significante i nuovi metodi. Piuttosto che nella specialità degli algoritmi usati riconosciamo la vera sorgente delle scoperte, nel campo dell’ordinaria geometria infinitesimale, nella forza della intuizione geometrica […]. 3
1 2
Relazione sul concorso al Premio Reale per la matematica per l’anno 1901, p. 148. 3 Idem. Idem.
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luca dell ’ aglio Simili considerazioni riguardano anche la memoria inedita di RicciCurbastro sulla teoria dell’elasticità, vista di nuovo criticamente nei termini di una ‘sterile’ riformulazione tensoriale di un ambito teorico di carattere tridimensionale: I risultati conseguiti dall’A. non presentano in sostanza alcuna novità. Sono risultati conosciuti dedotti coll’algoritmo del calcolo assoluto: ma non sembra che il nuovo metodo abbia neppur qui vantaggi sensibili sull’usuale, che per semplicità di concetto ed evidenza di formole nulla lascia a desiderare. Si aggiunga poi che il lavoro resta incompleto, non essendosi messa in rilievo, sotto forma esplicita, l’influenza che la curvatura dello spazio ha nelle equazioni dell’elasticità, almeno nel caso dell’isotropia completa. 1
È necessario, d’altra parte, notare come, accanto a queste osservazioni critiche, la relazione della Commissione giudicatrice contenga anche varie considerazioni di notevole apertura nei riguardi del CDA. Per esempio, si trova qui – in linea con quanto presente nella relazione della edizione del Premio Reale del 1887 – un esplicito riconoscimento della rilevanza teorica della idea di ‘derivazione covariante’. Si legge, al proposito che “è merito principale del Ricci di aver riconosciuta l’importanza di questo concetto fondamentale e costruito sopra di esso i nuovi algoritmi”. 2 Ancora, rispetto alle critiche radicali rivolte alle Lezioni sulla Teoria delle Superficie, appare piuttosto favorevole la valuzione delle ricerche di Ricci-Curbastro nell’ambito della geometria pluridimensionale: È giusto però riconoscere che molto maggiori sono i vantaggi dei procedimenti del calcolo assoluto nel campo della geometria differenziale a più dimensioni […]. Qui dove più difficile riesce l’ordinaria intuizione, utili servigi prestano i nuovi algoritmi, perfezionati dal punto di vista invariantivo, ed i calcoli ne risultano così spesso non soltanto semplificati e condensati, ma anche più sicuramente diretti. 3
Continuando ancora: E specialmente la Memoria 3 [Ricci-Curbastro 1896], notevole per originalità e generalità di risultati, ce ne offre le prove. […] Qui troviamo insomma, generalizzate allo spazio ad n dimensioni e di natura qualunque, le formole del triedro mobile della scuola Francese […]. 4
Questi brani fanno comprendere che il parere sulle ricerche di RicciCurbastro della Commissione del Premio Reale per la matematica del 1901 non rappresenta una negazione in toto dei contenuti del CDA. Il punto della questione è che, di per sé, le critiche non investono direttamente la teoria, la cui importanza viene almeno in parte riconosciuta. Ciò che viene radicalmente negato è la riformulazione tensoriale di 1 3
Ibidem, pp. 149-150. Ibidem, pp. 148-149.
2 4
Ibidem, pp. 147-148. Ibidem, p. 149.
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alcune questioni di natura tridimensionale, in campo sia geometrico (la teoria delle superfici) che fisico (la teoria della elasticità); riformulazione che ostacolerebbe (o, se non altro, non favorirebbe) la comprensione effettiva di tali questioni. È chiaro che questa valutazione tende implicitamente ad attribuire una maggiore rilevanza agli ambiti teorici tridimensionali rispetto a quelli pluridimensionali; e dunque, di fatto, ad accentuare gli aspetti critici del CDA rispetto a quelli più strettamente innovativi. È in questo senso complessivo – di parziale accettazione del CDA da un punto di vista teorico e di negazione nel caso delle sue applicazioni in ambiti tridimensionali – che devono essere considerate alcune affermazioni contenute nell’ultima parte della relazione, tra cui il seguente brano spesso citato come l’espressione più manifesta delle difficoltà di accettazione dei metodi tensoriali in epoca pre-relativistica: Gli algoritmi da lui sviluppati e perfezionati con costante studio si mostrano certamente utili, sebbene non indispensabili, nel trattare varie questioni matematiche; e di ciò troviamo le prove nei lavori stessi del Ricci ed in quelli di alcuni pochi seguaci. Ma considerando, nei lavori presentati dal Ricci, i risultati veramente nuovi acquisiti alla scienza, non ci sono apparsi di tale e tanta importanza da meritare l’altissima distinzione. 1
Queste affermazioni possiedono un carattere chiaramente ‘alterno’, principalmente messo in evidenza dal contrasto insito nell’espressione “utili, sebbene non indispensabili”. È necessario tuttavia osservare che la frase in cui è inserita tale espressione corrisponde a un parere essenzialmente favorevole nei riguardi del CDA. In tale senso, a differenza di come spesso è stato fatto, deve essere considerato il successivo riferimento ai lavori di Ricci-Curbastro e dei suoi collaboratori: 2 in particolare, “le prove” cui si fa riferimento nel brano sembrano riguardare non tanto il fatto che i metodi del CDA non siano “indispensabili” quanto il fatto che essi risultino “utili”. Si tratta, cioè, di un parere favorevole sull’utilità del CDA; fatto che appare confermato dall’ultima frase del brano riportato, la quale in modo avversativo esprime, come al solito, un giudizio negativo sui risultati ottenuti da Ricci-Curbastro nel campo della geometria differenziale tridimensionale. Se questo giudizio appare naturalmente rilevante ai fini dell’assegnazione del Premio Reale per l’edizione del 1901, esso non sembra però coinvolgere di per sé gli altri usi fatti del CDA nel frattempo. Il riferimento va qui alle ricerche di LeviCivita che, come vedremo in uno dei prossimi paragrafi, troveranno una diversa considerazione sempre nel contesto delle vicende dei Premi Reali per la matematica. 1
Ibidem, p. 150.
2
Di cui si mette, comunque, in evidenza che sono pochi( !).
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luca dell ’ aglio 6. 5. Bianchi e il CDA
Per comprendere meglio il parere sulle ricerche di Ricci-Curbastro espresso nella relazione dell’edizione del 1901 del Premio Reale per la matematica, è necessario fare riferimento ad alcuni aspetti dell’opera di Bianchi, le cui opinioni, come accennato, tendono chiaramente a trasparire all’interno della relazione. Un primo fattore riguarda la centralità che in tale opera svolge la teoria delle superfici, nel solco della tradizione di pensiero gaussiana. 1 Si tratta di un fatto che è chiaramente messo in evidenza dalle varie edizioni delle sue Lezioni di Geometria differenziale, in cui sono trattati in modo sistematico molti dei temi di base dello studio differenziale delle superfici, quali l’applicabilità delle superfici, lo studio delle superfici rigate e delle deformazioni infinitesime di una superficie, la teoria delle superfici minime e dei sistemi tripli ortogonali. Va anche ricordato al riguardo che, sebbene i contributi di Bianchi nel campo della geometria differenziale pluridimensionale (Maxia 1958) vadano in parte aumentando nel corso del tempo, 2 lo studio delle situazioni geometriche tridimensionali tende complessivamente a essere privilegiato all’interno delle sue ricerche in campo geometrico; un fatto che risulta implicitamente confermato dal ruolo non secondario che l’esame di tali situazioni svolge nella considerazione stessa di quelle di carattere pluridimensionale. Come afferma Vincensini: L. Bianchi a montré que l’ensemble des formules fondamentales sur lesquelles il avait fait reposer ses recherches de géométrie euclidienne ordinaire, pouvait, avec la plus grande facilité, être adapté aux géométries multidimensionnelles des espaces courbes, et cela lui a permis de passer, pour ces géométries, du stade des principes à celui de la géométrisation effective. 3
In stretta connessione con quanto detto, va sottolineato, da un punto di vista metodologico, il carattere essenzialmente ‘purista’ delle ricerche di Bianchi, in gran parte rivolte alla considerazione degli aspetti intuitivi, non algoritmici e formali, di una certa questione geometrica. Come afferma Guido Fubini: 1 A questo proposito: Blaschke 1954; Maxia 1958; Vincensini 1956-1957. Sull’opera complessiva di Bianchi: Carruccio 1981; Fubini 1928-1929; Pozzato 1968. 2 Un fatto che è anche testimoniano dalle varie edizioni delle sue Lezioni di Geometria differenziale, a partire dalla traduzione tedesca del 1899. Al riguardo, P. Vincensini parla di Bianchi come del “véritable fondateur” (Vincensini 1956-1957, p. 153) della geometria differenziale n3 Vincensini 1956-1957, p. 153. dimensionale.
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[…] è indubbio che il Bianchi non affrontava mai un calcolo, anche semplice, se non era guidato dalla intuizione geometrica. 1
E, in modo analogo, Blaschke: […] il Bianchi come geometra costruttivo non era favorevole ai ragionamenti logistici. Egli colmò anche gli spazi noneuclidei e riemanniani d’un abbondanza di figure ed idee intuitive. 2
Su queste basi, appare evidente la presenza di numerosi, potenziali punti di attrito tra le concezioni di Bianchi e di Ricci-Curbastro in ambito geometrico; punti di attrito però che risultano fortemente acuiti dalla ricerca di ‘aderenza’ del CDA nel campo della geometria differenziale classica. È importante sottolineare ancora una volta che ciò non riguarda di per sé la valutazione delle basi teoriche dei metodi tensoriali, alle quali è, per esempio, dedicato un certo spazio all’interno delle Lezioni di Geometria differenziale di Bianchi – a partire dalla seconda edizione (Bianchi 1894, cap. II), in relazione a varie questioni della teoria dei parametri differenziali. Particolarmente indicativa di questo stato conflittuale di cose risulta anche la questione dell’origine storica delle cosiddette ‘identità di Bianchi’. 3 Come si è detto – prima che venissero esplicitamente considerate da Bianchi in una breve nota del 1902 (Bianchi 1902) – tali identità erano già state in parte enunciate, anche se non dimostrate, nel 1889 da Padova (Padova 1889a); al quale, d’altra parte, Ricci-Curbastro le aveva comunicate, come una particolare conseguenza dei suoi metodi (Ricci-Curbastro 1924, p. 432; Galletto 1980, p. 158). È importante notare che, nella nota di Bianchi in cui compaiono per la prima volta, tali identità non sono ottenute come una proprietà dei metodi di Ricci-Curbastro, malgrado in tale contesto venga fatto un esplicito cenno alla nozione di ‘derivazione covariante’; esse, al contrario, sono dedotte sulla base di ragioni di carattere strettamente geometrico, perseguendo una più immediata dimostrazione di un teorema di Schur sulle varietà riemanniane a curvatura costante. Si tratta, cioè, di una parziale accettazione dei concetti tensoriali, ai quali viene però, come al solito, negata una validità di carattere operativo. 6. 6. La tesi di laurea di E. E. Levi Un’ulteriore conferma, per certi versi la più eclatante, di questa situazione a metà tra una parziale accettazione dei concetti tensoriali e una 1 3
2 Blaschke 1954, p. 47. Fubini 1928-1929, p. 38. Cfr. Tonolo 1954 ; Galletto 1980.
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luca dell ’ aglio negazione di alcuni dei suoi aspetti operativi, è fornita dalla tesi di laurea alla Scuola Normale Superiore di Pisa di E. E. Levi (Levi 1905), una delle figure di spicco nella matematica italiana dei primi due decenni del Novecento. Tale scritto, dal titolo Saggio sulla teoria delle superficie a due dimensioni immerse in un iperspazio, mostra infatti un uso diretto della derivazione covariante, proprio come sostituzione differenziale, cioè proprio come una nuova forma di derivata che viene impiegata al posto di quella usuale. L’uso delle derivate covarianti è qui, in particolare, finalizzato alla costruzione dei cosiddetti “invarianti assoluti di superficie”, sulla cui considerazione e studio è fondata l’intera memoria. In modo piuttosto singolare, malgrado questo uso esplicito dell’idea di derivazione covariante, non è presente al riguardo alcun riferimento alle ricerche di RicciCurbastro. In questo modo, l’importanza della tesi di Levi sta nel fatto di mettere nel modo più chiaro in luce quale sia la forma di parziale accettazione del CDA che si ha in certi ambienti della geometria differenziale a cavallo tra il XIX e il XX secolo. I metodi di Ricci-Curbastro sono, in primo luogo, e ancora una volta accettati essenzialmente come teoria generale degli invarianti differenziali (aspetto (a)), ma – ed è qui che si ha un elemento di novità – anche in relazione alla possibilità di estendere l’idea di derivazione, cioè anche in relazione al suo aspetto (c) di estensione del calcolo infinitesimale in ambito ‘intrinseco’. Al contrario, l’aspetto (b) della teoria – come tecnica di integrazione di equazioni differenziali in campo geometrico, cioè come metodo alternativo, di natura formale, per ottenere particolari risultati – non viene considerato; un atteggiamento che si riflette nel fatto che Ricci-Curbastro viene, in certo senso, rimosso da questo filone di ricerca ed è solo Christoffel con i suoi algoritmi a essere esplicitamente richiamato. 7. Sviluppi pre-relativistici dell’‘aderenza’ del CDA in ambito fisico-matematico Quanto visto sulle applicazioni del CDA in campo geometrico riflette solo in parte le caratteristiche complessive del processo di ricerca di ‘aderenza’ della teoria; le cose vanno, infatti, in modo in parte diverso nel caso delle applicazioni in campo fisico-matematico. 7. 1. Sviluppi degli aspetti fisico-matematici del CDA in epoca pre-relativistica Come si è detto, l’uso dei metodi tensoriali in ambito fisico riguarda inizialmente alcune questioni in teoria dell’elasticità, in meccanica teo-
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rica e in teoria del potenziale – soprattutto in relazione alle ricerche di Levi-Civita (Levi-Civita 1896a, 1899b). Tali questioni trovano negli anni successivi alcuni sviluppi nell’ambito della matematica, soprattutto italiana, di primo Novecento. Come nel caso delle ricerche in campo geometrico, ciò di nuovo tende a interessare in primo luogo i collaboratori più stretti di Ricci-Curbastro e Levi-Civita. Vediamo qualche esempio al riguardo. La trattazione per via tensoriale di certi aspetti della teoria dell’elasticità caratterizza, per esempio, alcune ricerche di A. Viterbi, con particolare riguardo per lo studio dell’equilibrio di corpi elastici isotropi (Viterbi 1901). Altre ricerche riguardanti le applicazioni fisico-matematiche del CDA interessano il tema della trasformazione delle equazioni della dinamica – sulla scia della citata memoria di Levi-Civita (LeviCivita 1896a) –, tra cui una nota di A. Malipiero relativa alla estensione del problema al caso in cui solo una parte delle traiettorie siano in comune tra i sistemi di equazioni della dinamica considerati (detti, in questo caso, ‘emisimmetrici’) (Malipiero 1900-1901); e un altro lavoro di Viterbi, riguardante particolari classi di sistemi ‘corrispondenti’ nel caso generale di presenza di forze (Viterbi 1900). Altre applicazioni di carattere meccanico del CDA si trovano nelle ricerche di Dall’Acqua: dall’esame di alcune questioni della dinamica di un punto materiale (Dall’Acqua 1903b, 1903c), allo studio di certi aspetti dell’equazione di Hamilton-Jacobi (Dall’Acqua 1908a). Come è naturale attendersi, in questi lavori sono a volte presenti dei riferimenti espliciti all’importanza dei metodi di Ricci-Curbastro. Per esempio, nel lavoro (Viterbi 1901) si legge: I calcoli che mi guidarono alla risoluzione del problema postomi […], sono piuttosto lunghi e laboriosi: e pertanto mi limito in questa Nota ad enunciare i risultati a cui pervenni, riserbandomi di pubblicare poi dettagliatamente, in un altro lavoro, i procedimenti ed i calcoli. Qui però stimo opportuno accennare come nella trattazione del problema in discorso mi valsi del “Calcolo differenziale assoluto” del prof. Ricci, calcolo che fu già da autorevoli matematici riconosciuto essere validissimo strumento in ricerche del genere di quelle contenute nella presente Nota. Per parte mia mi permetto d’esprimere l’opinione ch’io debba in massima parte all’uso di detto calcolo l’essere giunto al fine prefissomi. 1
Oltre alle ricerche dei collaboratori di Ricci-Curbastro e Levi-Civita, anche nel caso delle applicazioni del CDA in ambito fisico-matematico è possibile parlare di alcuni sviluppi non provenienti dall’ambiente dell’Università di Padova. Tuttavia, ciò avviene in questo caso in modi per certi versi più significativi. Le ricerche di Levi-Civita riguardanti 1
Viterbi 1901, p. 410.
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luca dell ’ aglio l’applicazione del CDA in ambito fisico sembrano infatti essere recepite in modo diverso rispetto a quelle di Ricci-Curbastro in campo geometrico. Una prima testimonianza al riguardo è fornita di nuovo dalle ricerche di Ugo Amaldi. Tra queste è, infatti, presente una lunga memoria, pubblicata nel 1902 sui «Rendiconti del Circolo Matematico di Palermo», riguardante lo studio di quei potenziali che “divisi per una conveniente funzione fissa, si possono far dipendere da due sole variabili” (Amaldi 1902a). Si tratta di una diretta estensione delle tematiche e dei risultati della memoria (Levi-Civita 1899b), come indicato dallo stesso autore nell’introduzione del lavoro: Il tema di questo lavoro mi fu suggerito dal chiarissimo prof. Levi-Civita, il quale ebbe ancora la bontà di aggiungere a quel primo impulso molti e validissimi consigli: ottimi consigli ebbi pure per la parte geometrica dal chiarissimo prof. Enriques. 1
Un discorso analogo vale anche per un gruppo di ricerche di Guido Fubini che estendono i risultati ottenuti da Levi-Civita nello studio delle trasformazioni dell’equazioni della dinamica nel caso di assenza di forze; ovvero, in senso geometrico, nello studio delle “varietà geodeticamente applicabili”. Le ricerche di Fubini riguardano, tra l’altro, lo studio delle cosiddette “trasformazioni infinitesime di I specie” (Fubini 1904) e l’esame delle condizioni di applicabilità delle varietà individuate da LeviCivita come soluzione del problema dei sistemi ‘corrispondenti’ in assenza di forze (Fubini 1905; anche, in connessione, Fubini 1903a, 1903b). È necessario, tuttavia, osservare che, malgrado la loro continuità tematica con le applicazioni fisiche del CDA, questi lavori di Amaldi e di Fubini appartengono da un punto di vista metodologico più all’ambito della teoria dei gruppi di Lie che a quello dell’analisi tensoriale, essendo interamente basati su considerazioni di natura gruppale; in relazione a quanto sviluppato da Levi-Civita nella parte iniziale della sua memoria sui potenziali ‘binari’ (Levi-Civita 1899b), nel caso di Amaldi, e mediante un uso sistematico della teoria delle trasformazioni infinitesime, nel caso di Fubini. 2 Malgrado ciò, si deve notare che in queste ricerche viene fatto un continuo ricorso alle grandezze tensoriali e, più in generale, alla simbo1
Amaldi 1902a, p. 4. Le ricerche di Fubini presentano anche dei riferimenti alla loro diversità rispetto ai metodi tensoriali. Per esempio, Fubini utilizza esplicitamente l’espressione: “anche senza usare del calcolo assoluto”: Fubini 1903b, p. 149. Va ricordato, al riguardo, che Fubini è uno dei principali allievi di Bianchi (Segre 1957, p. 15; Terracini 1949-1950, p. 97), che fu, tra l’altro, colui che, nel caso di quelle lincee, presentò le note. 2
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logia del CDA. Inoltre, l’esistenza stessa di questi lavori è una chiara testimonianza della rilevanza che viene assegnata ai risultati ottenuti da Levi-Civita in campo fisico-matematico; un fatto che risulta ulteriormente confermato dalla vicenda storica dell’edizione del 1906 del Premio Reale per la matematica, come si vedrà nel prossimo paragrafo. A queste considerazioni sulla ricezione del processo di ‘aderenza’ del CDA in campo fisico-matematico nell’ambiente matematico italiano è necessario aggiungerne altre relative agli sviluppi internazionali della teoria. In particolare, il tema delle trasformazioni delle equazioni della dinamica trova una importante prosecuzione secondo le metodologie del CDA in una lunga nota di Wright pubblicata nel 1909 sugli «Annali di Matematica pura ed applicata» (Wright 1909), in cui si ha una riformulazione generale del problema dei sistemi dinamici ‘corrispondenti’, sempre facendo uso della teoria delle congruenze. Questo lavoro va naturalmente considerato in continuità con la pubblicazione della citata monografia Invariants of differential quadratic forms di Wright; la quale, d’altra parte, in totale analogia con le Méthodes di Ricci-Curbastro e LeviCivita, si conclude con alcune considerazioni sulle applicazioni, soprattutto di carattere meccanico, dei metodi tensoriali. Si può allora affermare che il processo di ricerca di ‘aderenza’ del CDA in campo fisico-matematico lungo la via indicata soprattutto dalle opere di Levi-Civita trova una certa rispondenza anche al di là dell’ambito dell’Università di Padova, e non solo come riconoscimento dell’importanza dei risultati ottenuti. Ciò può essere considerato una conseguenza del fatto che, in questo caso, le applicazioni dei metodi tensoriali rappresentano delle soluzioni di carattere ‘analitico’ di problemi non ancora risolti, anche loro essenzialmente di natura ‘analitica’; a differenza di ciò che avviene nelle ricerche di Ricci-Curbastro, in cui – soprattutto per quanto riguarda la teoria delle superfici – si è in presenza di soluzioni di carattere ‘analitico’ di problemi geometrici in gran parte risolti parallelamente, per via geometrica. 7. 2. Levi-Civita e l’edizione del 1906 del Premio Reale per la matematica La principale conferma di questo stato di cose proviene, ancora una volta, dalla vicenda dei Premi Reali per la matematica della Accademia dei Lincei. Nell’edizione del 1906, infatti, il Premio venne assegnato a Levi-Civita 1 per un complesso di ricerche in cui svolgono un ruolo determinante quelle caratterizzate dall’uso dell’analisi tensoriale. 1 Il Premio venne assegnato anche a Enriques, che, lo si ricorda, era uno dei due candidati ‘siamesi’ estromessi dalla edizione del 1901.
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luca dell ’ aglio Si deve notare che ciò corrisponde a un riconoscimento (per quanto indiretto e parziale) anche degli aspetti (b) e (c) del CDA. Per esempio, parlando della memoria di Levi-Civita sulle trasformazioni delle equazioni della dinamica (Levi-Civita 1896a), nella relazione della Commissione si legge, tra l’altro, che: Egli tratta, in modo magistrale, il problema, servendosi dei procedimenti del calcolo differenziale assoluto del Ricci. La determinazione così ottenuta dall’A. dei varî tipi di spazî rappresentabili geodeticamente l’uno sull’altro […] costituisce anche oggi una delle più belle applicazioni del calcolo assoluto. 1
Si tratta di una affermazione sull’utilità del CDA che appare tutt’altro che critica, sottolineando anzi, in modo implicito, l’assodata esistenza della teoria. In questa stessa direzione, può anche essere letta, in modo retrospettivo, la relazione, a firma di Corrado Segre e V. Volterra (Volterra 1899), con la quale veniva accettata alla pubblicazione sugli «Atti della Accademia dei Lincei» la memoria di Levi-Civita sui potenziali binari (LeviCivita 1899b). Dopo averne descritti i contenuti, affermando che i risultati erano stati ottenuti, tra l’altro, “giovandosi dei metodi introdotti dal Prof. Ricci”, nella parte conclusiva sono presenti i seguenti, significativi commenti: Questa completa e bella trattazione sistematica dei potenziali binarii costituisce un lavoro di grande interesse, e già da lungo tempo era sentito il desiderio di ottenere tutti i possibili tipi di questi potenziali e di classificarli in vista delle loro numerose applicazioni in fisica matematica ed in analisi. Non poche e non lievi difficoltà si opponevano a questo studio; ma il Levi-Civita le ha tutte superate con somma eleganza di metodo e con acume ammirabile, giovandosi dei procedimenti più recenti e più fecondi che l’analisi moderna poteva offrirgli. 2
La frase con cui si chiude questo brano è particolarmente rilevante, in quanto costituisce un chiaro apprezzamento – e di nuovo in termini di fecondità – degli strumenti su cui fa leva la memoria di Levi-Civita, cioè dei metodi di Ricci-Curbastro insieme alla teoria dei gruppi di Lie. Riassumendo, si può allora notare la presenza di un evento in parte paradossale nel processo di ricezione del CDA e, cioè, una certa differenza nella valutazione delle ricerche di Ricci-Curbastro e Levi-Civita da parte della comunità matematica (in particolare, italiana) dell’epoca. Al di là degli aspetti personali della vicenda, ciò evidenzia la possibilità di 1
Relazione sul concorso al Premio Reale per la matematica per l’anno 1906, p. 417. Il corsivo è nostro. Volterra 1899, p. 346. Il corsivo è nostro. Questa sottolineatura dell’importanza del risultato conseguito da Levi-Civita è da mettere in relazione al fatto che era stato proprio Volterra ad aprire la questione della classificazione dei potenziali binari nella sua tesi di abilitazione all’insegnamento presso la Scuola Normale Superiore di Pisa (Volterra 1883). 2
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forme differenziate di ricezione di tipologie diverse di applicazione di una teoria matematica; la possibilità, cioè, di forme locali di accettazione, in relazione a particolari applicazioni della teoria, senza che questo comporti, almeno inizialmente, particolari conseguenze sul suo processo globale di accettazione. 8. Ulteriori sviluppi analitici del CDA in epoca pre-relativistica Come si è ripetutamente osservato, in virtù del suo aspetto (b) di tecnica nella teoria delle equazioni alle derivate parziali, il CDA possiede un carattere essenzialmente ‘analitico’, relativo allo studio di certe classi di equazioni differenziali. È questo il fattore che accomuna in genere le varie applicazioni – cioè, le varie forme di ‘aderenza’ – che tale teoria trova in campo geometrico e fisico-matematico in epoca pre-relativistica. Si deve, d’altra parte, osservare che questo carattere di fondo ‘analitico’ del CDA tende a essere sviluppato anche in modo diretto in alcune ricerche successive alla pubblicazione delle Méthodes. All’interno degli sviluppi del CDA come studio generale degli invarianti differenziali, emergono per esempio alcuni risultati in relazione all’aspetto (c), come estensione dell’analisi classica in ambito riemanniano. Ciò riguarda, soprattutto, le ricerche di Pascal. Per esempio, nella nota (Pascal 19051906), estratto di una lettera a Levi-Civita pubblicato sugli «Atti del Reale Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti», vengono considerate delle matrici esplicitamente formate con le componenti di un tensore; mentre in (Pascal 1906c) il tensore di Riemann è espresso come differenza di due elementi di uno stesso sistema di funzioni di cui viene dimostrato il carattere tensoriale, espressamente in linea con i metodi del CDA. In modo ancora più rilevante, nella nota (Pascal 1906a), è fornita una dimostrazione di una forma inversa del teorema di Christoffel, cioè del teorema che afferma la natura tensoriale dell’operazione di derivazione covariante nell’ipotesi di quella del sistema di funzioni cui tale operazione viene applicata: risultato che poco dopo venne ulteriormente esteso da Sinigallia (Sinigallia 1906). Nel lavoro (Pascal 1906b), invece, i concetti di base del CDA vengono considerati nel caso in cui si prenda come forma fondamentale una forma differenziale bilineare; ciò che, in particolare, conduce Pascal all’individuazione di due diverse tipologie di derivate covarianti. Ancora, in (Pascal 1907) viene presa in esame una particolare estensione dell’idea di forma differenziale e, in modo congiunto, del concetto stesso di tensore. In questo contesto, come afferma lo stesso autore:
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[…] si viene a costruire, nell’assieme dei coefficienti a k gruppi di indici di una siffatta forma generalizzata, un sistema che può considerarsi come estensione degli ordinarii sistemi covarianti che si considerano nel Calcolo differenziale assoluto, per modo che si viene così ad ottenere una notevole estensione di tutti i procedimenti e le formole che a tale Calcolo si riferiscono, e si vengono a stabilire dei riavvicinamenti inaspettati tra questi e altri che erano stati già da me introdotti nella teoria delle forme differenziali di ordine r. 1
Come risulta anche dal precedente brano, queste memorie di Pascal mettono in evidenza una estrema vicinanza di intenti con l’ambiente e le tematiche del CDA; 2 una vicinanza che si spiega sia da un punto di vista tematico – in relazione alla attenzione di Pascal per gli sviluppi della teoria delle forme differenziali –, 3 che metodologico – in virtù del carattere spiccatamente ‘algoritmo-formale’ della sua opera (Tricomi 1962). 4 Particolarmente indicativo della familiarità di Pascal alle tematiche dei metodi tensoriali è il seguente brano, tratto dalla parte introduttiva del lavoro (Pascal 1906a), in cui, parlando dell’enunciato inverso del teorema di Christoffel, l’autore afferma: Questo teorema oltre che interessante di per sé stesso perché completa il teorema fondamentale del Calcolo assoluto, può, come ha voluto farmi notare il mio chiariss. amico e collega prof. Levi-Civita, considerarsi importante specialmente per il complemento che porge allo studio delle condizioni di integrabilità dei sistemi […]. 5
Il primo decennio del XX secolo vede anche alcuni sviluppi delle applicazioni di carattere strettamente analitico del CDA, di cui la citata memoria di Somigliana (Somigliana 1890) rappresenta retrospettivamente un primo esempio. Dovuti, di nuovo, in gran parte a Levi-Civita, tali sviluppi riguardano, tra l’altro, la questione dell’integrazione dell’equazione di Hamilton-Jacobi, affrontata dal matematico patavino in una lettera a Stäckel, un estratto della quale venne poi pubblicata sui «Mathematische Annalen» nel 1904 (Levi-Civita 1904); tematica che fu ripresa qualche tempo dopo da Dall’Acqua, come già menzionato (Dall’Acqua 1908a). Per via tensoriale è anche affrontata in questi anni la questione della trasformabilità di due sistemi di equazioni alle derivate parziali del primo ordine nel lavoro (Scrosoppi 1906-1907). 1
Pascal 1907, p. 38. Va ricordato che queste ricerche appartengono al periodo della piena maturità di Pascal, negli anni cioè del suo trasferimento dall’Università di Pavia, dove insegnava Calcolo infinitesimale dal 1890, alla Università di Napoli, dove insegnò a partire dal 1907 (Colucci 1940). 3 Cfr. in particolare, come quadro riassuntivo delle sue ricerche sul soggetto, Pascal 1910. 4 Si deve ricordare, al proposito, che Pascal era stato l’altro ‘reale’ partecipante, oltre a RicciCurbastro, alla edizione del 1901 del Premio Reale per la matematica. Il fatto che non venne assegnato il premio in tale occasione può, dunque, essere anche in parte interpretato come un ulteriore caso di rifiuto di particolari sviluppi di carattere algoritmico-formale nella matematica 5 Pascal 1906a, p. 415. italiana a cavallo dell’Ottocento e del Novecento. 2
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Tuttavia, il contributo più rilevante in epoca pre-relativistica agli sviluppi di carattere strettamente analitico del CDA è rappresentato da una memoria di Levi-Civita, (Levi-Civita 1913), riguardante lo studio delle equazioni alle derivate parziali del secondo ordine. Questa memoria – in cui viene affrontata la questione della equivalenza tra certe espressioni differenziali, sviluppando, sempre nell’ambito della teoria delle congruenze, alcuni risultati di Darboux ed E. Cotton 1 – rappresenta l’ultimo, rilevante contributo allo sviluppo dei metodi di Ricci-Curbastro prima della loro adozione come mezzo espressivo della teoria della relatività generale. A proposito dell’impiego del CDA in questo ambito di ricerche, risulta significativo il seguente brano tratto dalla introduzione del lavoro: I metodi di Ricci sono naturalmente indicati in questo genere di ricerche; essi guidano lo studioso con operazioni già sistematizzate, di esecuzione, per così dire, automatica. Ne ho quindi profittato nella presente Nota, congiungendovi piccoli accorgimenti, intesi a renderne più spedita l’applicazione a esempi concreti. 2
9. L’adozione relativistica come trionfo dell’‘aderenza’ del CDA in campo fisico-matematico L’adozione del CDA in ambito relativistico ha, come è noto, luogo a partire dal 1912, quando Einstein – in collaborazione con il matematico M. Grossmann – venne a conoscenza delle Méthodes, iniziando a utilizzare i metodi tensoriali nelle prime formulazioni delle leggi di campo. Ciò costituisce, a tutti gli effetti, riprendendo una celebre espressione einsteiniana, un “trionfo” dei metodi di Ricci-Curbastro, che li trasformò nell’arco di pochi anni in una delle teorie di punta della prima metà del XX secolo. Come si è già accennato, l’adozione relativistica del CDA corrisponde al riconoscimento dell’aspetto (d) della teoria, relativo alla sua efficacia nell’esprimere in forma covariante le equazioni di determinate leggi naturali. In un certo senso, anzi, l’uso in ambito relativistico rappresenta una sottolineatura, di natura ‘esterna’, di tale aspetto; si tratta, infatti, dell’espressione formale di una teoria fisica che, come propria base essenziale, presuppone proprio la considerazione dell’invarianza delle leggi naturali, molto al di là da quanto preconizzato da Ricci-Curbastro. Va osservato che gli altri aspetti del CDA vengono interessati dalla adozione relativistica solo di conseguenza; l’aspetto (c), proprio per il fatto di costituire un calcolo differenziale sulla specifica struttura geo1
Su questo soggetto, cfr. Dell’Aglio, Geometria e fisica, in corso di pubblicazione. Levi-Civita 1913, p. 358.
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luca dell ’ aglio metrica prescelta per rappresentare i fenomeni fisici considerati; e l’aspetto (a), più per motivi legati alla denominazione originaria dei metodi tensoriali che per ragioni di effettiva funzionalità. Ciò che è del tutto assente da questo quadro è l’aspetto (b) del CDA, di tecnica d’intregrazione di equazioni differenziali; fattore sul quale, come si è visto, insistono maggiormente le ricerche pre-relativistiche riguardanti l’analisi tensoriale e i suoi stessi problemi di ricezione. L’adozione del CDA in ambito relativistico appare dunque un evento che tende a forzare l’accettazione della teoria per motivi in certo senso indipendenti da quelli su cui si era fino allora concentrata la questione della sua ricezione. Si può spiegare questo fatto affermando che l’uso dei metodi tensoriali come linguaggio di descrizione di fenomeni naturali costituisce un fattore con caratteristiche di ‘dominanza’, la cui presenza, cioè, tende a condizionare più di ogni altro la considerazione globale della teoria. 10. Qualche indicazione sull’idea di accettazione di una teoria matematica Sulla base di quanto visto in precedenza in relazione alla vicenda storica del CDA è possibile sviluppare alcune considerazioni di carattere generale sul processo di ricezione e accettazione di una teoria di carattere formale. Ciò che, in primo luogo, si è condotti ad affermare è che il problema della valutazione di una certa teoria tende a riguardare, simultaneamente, più punti di vista. In effetti, se non altro come momento di trapasso da un tipo di problematiche a un altro (o, più in generale, da un tipo di concetti e/o di metodologie a un altro), una nuova teoria matematica tende a presentare, nei suoi primi momenti di sviluppo, molteplici aspetti diversi. Nel caso del CDA, per esempio, sono stati individuati almeno quattro possibili aspetti – gli aspetti (a)-(d), introdotti nel paragrafo 2. – secondo cui la teoria poteva essere considerata nel periodo immediatamente successivo alla sua comparsa. Il punto della questione è che questa molteplice immagine della teoria è una caratteristica che non può essere esclusa nella valutazione del suo processo di ricezione e di accettazione. Ciò è dovuto principalmente al fatto che i diversi aspetti della teoria possono non venire valutati allo stesso modo. Non è, di per sé, escluso in particolare che essi possano essere considerati in modo contrastante: cioè, che una teoria matematica possa, allo stesso tempo, venire accettata per uno, o più, dei suoi aspetti e non per altri, per i quali viene magari rifiutata. Naturalmente, l’accettazione di un aspetto può tendere a favorire, col tempo, la considerazione e l’accettazione anche degli altri
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aspetti; ma ciò non è detto che avvenga in modo automatico. Si è visto, per esempio, che – malgrado i suoi evidenti problemi di natura ‘linguistica’ – il CDA viene subito ampiamente recepito e sviluppato in relazione al suo aspetto (a), di teoria algebrica degli invarianti differenziali; caso in cui si può senza dubbio parlare di accettazione della teoria durante il periodo pre-relativistico. La situazione appare invece molto più complessa in relazione agli altri aspetti della teoria. Queste dinamiche nella ricezione e nella accettazione di una teoria matematica tendono anche a legarsi a quei processi che, nel corso di questo lavoro, sono stati indicati con il termine di ricerca di ‘aderenza’; cioè, a quei processi che riguardano l’estensione delle potenzialità della nuova teoria nella risoluzione di problemi di altri contesti teorici. Nel caso del CDA, la ricerca di ‘aderenza’ caratterizza gli sviluppi della teoria nell’ultimo decennio del XIX secolo, in stretta connessione con il suo aspetto (b), di tecnica di risoluzione di equazioni differenziali. Si è visto, al riguardo, che il punto realmente critico nella ricezione del CDA è rappresentato dalla ricerca di ‘aderenza’ nell’ambito della geometria differenziale classica, cioè dal tentativo di Ricci-Curbastro di sviluppare l’aspetto (b) nell’ambito della teoria delle superfici. In questo caso, si può a tutti gli effetti parlare di rifiuto, ovvero di non accettazione, della teoria. Al contrario, si è visto che altri aspetti dello stesso processo di ricerca di ‘aderenza’ appaiono molto meno critici, con particolare riguardo per ciò che concerne l’uso risolutivo del CDA nelle ricerche di Levi-Civita di carattere fisico-matematico. Anche se non si può parlare di un successo come nel caso dell’aspetto (a), ai metodi tensoriali viene in questo caso riconosciuto un certo grado di utilità e di fecondità, come mostra anche l’esito dell’edizione del 1906 del Premio Reale per la matematica. In questo modo, ciò che mostra con chiarezza la vicenda storica del CDA è che non sempre un processo di ricerca di ‘aderenza’, che di per sé dovrebbe tendere ad accrescere il grado di efficacia di certi metodi, risulta loro vantaggioso: particolarmente critico, al contrario, risulta il caso in cui si cerca di mostrare la efficacia dei nuovi metodi ricercando l’’aderenza’ in campi già affermati e in modo alternativo a forme consolidate di ricerca, considerate, all’epoca, più ‘naturali’. 1 Si è visto, inoltre, che – in relazione al diverso modo in cui vengono prese in considerazione le ricerche di Ricci-Curbastro e Levi-Civita – può 1 Ovviamente, l’attributo ‘naturale’ ha qui un valore puramente indicativo, in relazione alla presenza di certe modalità assodate di ricerca. In questo senso, una tale situazione di attrito può essere considerata come il segnale di un cambiamento (o, meglio, di un tentativo di cambiamento) di natura metodologica nella pratica di ricerca di una determinata fase del pensiero matematico.
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luca dell ’ aglio essere adeguato considerare tipologie diverse di ricerca di ‘aderenza’ di una teoria, a seconda del tipo di ambito in cui essa viene impiegata. Si è fatto differenza, per esempio, nel caso del CDA tra ricerca di ‘aderenza’ in campo geometrico e in campo fisico-matematico. Proseguendo in questa direzione, si potrebbe, più in generale, distinguere tra forme, per così dire, ‘interne’ ed ‘esterne’ di ricerca di ‘aderenza’, a seconda che l’uso della teoria in questione sia rivolto alla soluzione di qualche problema o alla descrizione di qualche classe di fenomeni naturali. Sebbene si tratti di una distinzione tra due categorie astratte di tipi di ‘aderenza’ – che appare forzata in relazione a periodi storici, come il XIX secolo, in cui è molto stretta la connessione tra ambiti teorici e applicativi –, essa tuttavia permette di porre in evidenza diversi, possibili ruoli di una teoria matematica nel periodo successivo alla sua comparsa; ruoli che possono influire in modo decisivo nel suo processo di diffusione ed eventuale accettazione. Nel caso del CDA, quanto detto è in gran parte relativo alla differenza tra l’adozione in ambito relativistico – che ha un valore essenzialmente descrittivo – e ognuno dei suoi precedenti usi in senso ‘applicativo’ – che si caratterizzano, in primo luogo, da un punto di vista risolutivo. In questo senso, la distinzione tra ‘aderenza’ del CDA in campo geometrico e in campo fisico-matematico – che, come si è visto, risulta di una certa rilevanza storica nel processo di ricezione della teoria – potrebbe essere interpretata nei termini di una differenza tra forme ‘interne’ di aderenza – poiché entrambe, di fondo, relative alla soluzione di qualche problema di carattere analitico. Si è visto, infine, che, nel caso del CDA, il termine ‘accettazione’ possiede un altro aspetto dal significato molteplice, in relazione alla possibilità di esistenza di forme indirette di accettazione. Sempre riferendosi al problema di base del rapporto che, con la comparsa di una nuova teoria matematica, tende idealmente a instaurarsi tra la valutazione del grado di ‘rilevanza’ dei risultati da essa ottenuti e il grado di ‘fertilità’ dei suoi metodi, il punto della questione è che tali valutazioni non necessariamente convergono tra loro. Si può in effetti avere, come mostra chiaramente il caso del CDA, che il riconoscimento dell’importanza dei risultati ottenuti con certi metodi non appare sufficiente a giustificare un impiego sistematico di tali metodi. Si può, cioè, assistere a una valorizzazione dei risultati ma non dei metodi, cercando magari di estendere i primi mediante procedimenti alternativi ai secondi. È questo, nella vicenda storica del CDA, il caso delle ricerche di Amaldi e Fubini in relazione alle applicazioni della teoria in campo fisicomatematico. Si tratta di situazioni che solo in parte presentano un carattere para-
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dossale, riguardando al contrario la possibilità reale che un nuovo contesto teorico venga valorizzato inizialmente solo da un punto di vista ‘locale’, in relazione cioè solo a particolari aspetti della sua efficacia nella riformulazione e nella soluzione di determinati problemi; efficacia che, d’altra parte, non appare ancora sufficiente a giustificare l’adozione complessiva della teoria come un reale ed autonomo sviluppo del pensiero matematico. Bibliografia Agostinelli C., 1961, Nel centenario della nascita di Volterra e di Somigliana, «Rendiconti del Seminario Matematico e Fisico dell’Università di Torino», 20, pp. 1538. Amaldi U., 1902a, Tipi di potenziali che, divisi per una funzione fissa, si possono far dipendere da due sole variabili, «Rendiconti del Circolo Matematico di Palermo», 16, pp. 1-45. Amaldi U., 1902b, Sulle superficie che contengono sistemi doppi ortogonali isotermi di cerchi geodetici, «Rendiconti dell’Accademia dei Lincei», s. 5, t. 111, pp. 198-204, 237-242. Amaldi U., 1946, Commemorazione del socio Tullio Levi-Civita, «Rendiconti dell’Accademia dei Lincei», s. 8, t. 1, pp. 1130-1155. Banal R., 1892, Su alcuni parametri differenziali di 1° ordine, «Giornale di Matematiche», 30, pp. 235-240. Banal R., 1895, Di una classe di superficie a tre dimensioni a curvatura totale nulla, «Atti del Reale Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti», s. 7, t. 6, pp. 998-1004. Banal R., 1896, Sulle varietà a tre dimensioni con una curvatura nulla e due eguali, «Annali di Matematica pura ed applicata», s. 2, t. 24, pp. 213-240. Banal R., 1897, Sugli spazii a curvatura costante, «Rendiconti della Accademia dei Lincei», s. 5, t. 62, pp. 357-362. Banal R., 1898, Sugli spazii a curvatura costante, «Rendiconti della Accademia dei Lincei», s. 5, t. 71, pp. 7-15. Banal R., 1899, Sulla deformabilità delle superficie a tre dimensioni, «Rendiconti della Accademia dei Lincei», s. 5, t. 82, pp. 13-22. Beltrami E., 1864, Ricerche di analisi applicata alla geometria, «Giornale di Matematiche», 2, pp. 267-282, 297-306, 331-339, 355-375. Beltrami E., 1865, Ricerche di analisi applicata alla geometria, «Giornale di Matematiche», 3, pp. 15-22, 33-41, 82-91, 228-240, 311-314. Beltrami E., 1868, Sulla teorica generale dei parametri differenziali, «Memorie dell’Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna», s. 2, t. 8, pp. 551-590. Beltrami E., 1880-1882, Sulle equazioni generali dell’elasticità, «Annali di Matematica pura ed applicata», s. 2, t. 10, pp. 188-211. Beltrami E., 1884, Sull’uso delle coordinate curvilinee nelle teorie del potenziale e dell’elasticità, «Memorie dell’Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna», s. 4, t. 6, pp. 401-448. Berzolari L., 1898, Sulla curvatura delle varietà tracciate sopra una varietà qualunque, «Atti dell’Accademia delle Scienze di Torino», 33, pp. 692-700, 759-778. Bianchi L., 1894, Lezioni di Geometria differenziale, Pisa, Spoerri (2a ed., 1886, ed. litografata; edizione in 3 voll. 1902-1909; trad. tedesca Leipzig, 1899).
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Pier Daniele Napolitani · Ken Saito* ROYAL ROAD OR LABYRINTH ? luca valerio’s DE C E N T RO G R AV I TAT I S S O L I D O RUM and the beginnings of modern mathematics Neither do men put new wine into old bottles: else the bottles break, and the wine runneth out, and the bottles perish: but they put new wine into new bottles, and both are preserved (Matt. 9.17).
1. Valerio’s Royal Road 1. 1. Valerio and the Restoration of Greek Mathematics
The rediscovery of Greek mathematics, especially of Greek geometry in the sixteenth century, lies at the basis of many of the conceptual revolutions of the following century. It is almost impossible to imagine Galileo without Archimedes, or Descartes without Apollonius and Pappus. It should not be forgotten, however, that this rediscovery was not a process of some mechanical transmission of ancient mathematical texts. Reading Archimedes or Apollonius – to say nothing of their translation and commentary – involved some reinterpretation. The lacunas and the corruptions in the tradition of the ancient scientific texts, as well as the distance of almost two thousand years, made conscious effort of reinterpretation necessary, to a greater or lesser extent. Maurolico took great liberties with the texts he studied; and the same attitude can be found even in Federico Commandino, who treated the ancient texts with far more respect. The period of rediscovery may be considered to have come to an end in 1575, the year in which both Maurolico and Commandino died. This * P.D. Napolitani, Department of Mathematics, University of Pisa, Largo B. Pontecorvo, 5, I-56127 Pisa, Italy. e-mail: [email protected]; K. Saito, School of Humanities and Social Sciences, Osaka Prefecture University, 599-8531 Sakai (Osaka, Japan). e-mail: [email protected]. This paper was prepared within the scope of the Italian national research project “Storia delle matematiche in Italia”. The authors would like to thank Rosalba Giomi for various suggestions and for the revision of the text; Tim Mott for linguistic revisions and acute remarks; Enrico Giusti for the discussions which provided the starting point for the development of some of the ideas presented here. Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche · Vol. XXIV · (2004) · Fasc. 2
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date marks the beginning of the assimilation phase, an activity which soon became increasingly important. The assimilation of Archimedes involved the completion and the revision of his work; it implied a methodological reflection on the whole subject of geometry of measure and its relationship to mechanics. 1 The same may be said, although at a more complex level, for the geometry of position and the problems connected with the method of analysis and synthesis. Luca Valerio was one of the most important figures in this process of assimilation of ancient geometry. He was born in Naples in 1553, and entered the Collegio Romano of the Jesuits at the age of 17. There he attended the academy of mathematics directed by Christopher Clavius; when he left the Society in 1580, he was already an established mathematician, as can be seen from the texts that he wrote in that period, in particular Subtilium indagationum liber (Rome, 1582). However, it was only after several years that he succeeded in finding a position worthy of his talents: in 1600 he obtained the chair of mathematics at the University ‘La Sapienza’ in Rome, thanks to the protection of Pope Clement VIII Aldobrandini. And thus, at last, he was able to devote himself to research. His work, Three Books on the Center of Gravity of Solids (De centro gravitatis solidorum libri tres, hereafter CGS) was published in Rome in 1604, and won him a lasting reputation, which continued long after his death in 1618. 2 Valerio’s reflections on the classics regularly follow the same pattern, from his early essays of 1582 to his main work: he takes a demonstrative technique already available (which can often easily be identified with a technique used by Archimedes) for a particular case, and then he transforms the specific properties of that particular case which makes the technique valid, into the definition of a particular class of figures (so that that same technique is applicable to all the figures of this newly defined class). This was a completely original approach, which led to new vistas of mathematical research. Now his approach deserves further explanation. 1. 2. The Objects and Methods of Classical Geometry The objects of classical Greek geometry were always particular objects, 1 We refer to the part of the geometry represented by Archimedes’ quadrature and cubature by the name “geometry of measure,” while we propose the name “geometry of position” for another important part of classical geometry represented by Apollonius’ Conics. 2 This work won him the friendship and admiration of Galileo, among others, as well as admission to Federico Cesi’s Accademia dei Lincei. However, during the Copernican crisis of 1616, Valerio left Galileo’s side. For further details about Valerio’s scientific career, see BaldiniNapolitani 1991.
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given by a more or less axiomatized construction procedure. 1 Euclid’s axioms allow the existence of straight lines and circles; an implicit procedure (cutting a given cone with a given plane) allows the existence of Apollonius’s conic sections. And the aim of geometry was to study these objects, and determine their properties. This is totally different from the modern, post-Cartesian attitude. For us, an ellipse is the locus of the zeros of a particular quadratic equation, or, in more elementary terms, “the locus of the points such that the sum of the distances from two fixed points is constant”. The property precedes the object, which, a priori, might not even exist. For the Greeks, the ellipse was the object determined by a plane which cuts a cone, meeting all of its generatrices; this curve therefore existed, but all its properties were unknown, and needed to be investigated. It is not by chance that the foci of the ellipse and the hyperbola are introduced by Apollonius only at the end of the third book of Conics. The object precedes its properties. An immediate consequence of this notion of mathematical objects is that for the Greeks, general objects could not exist. Nothing like our “curves” existed in classical geometry. Various curved lines existed, of course – the circle, the conic sections, the conchoid, the cissoid, the spiral, the quadratrix – but no single conceptual operational category existed that included all of them. Each of these curves had its own special procedure that defined it, although of course it is possible that two curves obtained by means of different procedures could be identified with each other. For example, the Euclidean circumference could be identified with the parallel or subcontrary section of a cone; the section of the cone that produces the ellipse could be identified with the oblique section of the cylinder. But every curve maintained its identity, its singularity. If no general object existed, then general methods could not exist, either. In Archimedean geometry of measure, there was nothing like our integral calculus. Integral calculus applies to certain classes of functions, which satisfy certain conditions. Though we find in Archimedes some methods for the determination of areas and volumes that recall our own concepts and techniques, there is a fundamental difference: these methods are always presented ad hoc, in connection with the kind of problem to be solved. Thus, the quadrature of the parabola (at least in its mechanical form) is dealt with in a radically different way from the 1
On this point, see Giusti 1998, in particular the second chapter.
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squaring of the circle; the methods developed for the study of spirals are totally different from those devised for conoids and spheroids, which in turn are different from those used to determine the ratio of the sphere to the circumscribed cylinder. It is usually stated that Archimedes, and the Greeks in general, used the “method of exhaustion”. Strictly speaking, however, this method did not exist in Greek geometry, at least as a codified method to compare areas and volumes. True, a whole series of theorems concerning areas and volumes by Euclid and Archimedes is based on a common technique: in order to prove that two figures are equal, they demonstrated by means of a double reductio ad absurdum that one of the two can neither be greater nor smaller than the other. This double reduction is generally obtained by using “known” figures that approximate the given figure. But as mentioned above, the application of this technique is subject to wide margins of variability. It should also be added that as far as we know, only Archimedes was capable of fully exploiting this technique, and he, too, sometimes encountered considerable difficulty, as is confirmed by the letter to Dositheus that accompanied his Conoids and Spheroids. 1 The “method of exhaustion”, then, is a convenient historiographic label that makes it possible to identify a posteriori certain procedures having indubitable similarity, but nothing more. 1. 3. Valerio and the Royal Road The problem Valerio solved in his De centro gravitatis solidorum was that of determining the center of gravity of all the solids the Renaissance inherited from Euclidean and Archimedean geometry: sphere, cone, pyramid, prism, cylinder, polyhedra, paraboloid, hyperboloid, ellipsoid, and their parts. For brevity, we shall call them “Archimedean solids”. This seems to be a fairly restricted problem, but it had not yet been solved, and indeed was one of the problems most widely studied by mathematicians of the late sixteenth century, partly because it constituted a necessary component of the completion of Archimedes’ works, who had only dealt with the centers of gravity of plane figures in those works 1 He writes: “I am sending you... the proofs of the remaining theorems... and of others... which embarrassed me, though I had already inquired into them many times before, for it seemed to me that there are some obstacles for their discovery... But subsequently, having applied myself with greater diligence, I discovered [and proved] the [propositions] that had embarrassed me”. On the “method of exhaustion” see the interesting comments of B. Vitrac in Euclid 2001, pp. 237-251.
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known at that time. 1 In 1565 Commandino published Liber de centro gravitatis solidorum (hereafter LCG), which, however, was far from being satisfactory. Several proofs were flawed, and above all, the most thorny questions had not even been dealt with: the determination of the centers of gravity of segments of the sphere and the ellipsoid, and of the center of gravity of the hyperboloid. Many other scholars dedicated themselves to this task, including Francesco Maurolico, Simon Stevin, the young Galileo, and Valerio’s teacher, Clavius. However, their results had either not been published, or were not generally known. And none of them had ever arrived at the determination of the centers of gravity of the hemisphere or the hyperboloid. One element common to all the sixteenth-century attempts that are known to us is their substantial adherence to the ancient “classical” approach: the centers of gravity of the various solids were dealt with case by case, introducing ad hoc techniques for each solid studied. Valerio followed a different method. Instead of dealing with the problem of the determination of the centers of gravity and quadrature case by case, he constructed an enormous edifice of theorems valid for a whole class of figures (those he called circa axim and circa diametrum: roughly speaking, the former is the solid figure generated by rotation around an axis, the latter the plane figure with an axis of symmetry; see § 2.2, below); into which he incorporated the techniques of the quadrature and determination of the centers of gravity of the various particular figures he dealt with. This is what we shall call Valerio’s Royal Road (via regia), and the expression is obligatory, for Valerio himself used this term to refer to to some of the general theorems that he proved: But here you will find many things necessary for this research, which should find their place of their own right in geometry. Especially the first three propositions of the second book: you will understand that by means of these a large – and extremely difficult – part of geometry has been set on a royal road by straightforward and general demonstration. 2
Valerio was thus taking a significant step ahead in departing from classical mathematics. To anticipate an example we will later discuss in detail (§ 5.2 and § 5.4), we point out that the determination of the center 1 As is well known, it was only in 1906 that The Method was rediscovered, which contains results on centers of gravity of various solids. 2 “Sed multa hic nova invenies ita ad praesens institum necessaria, ut per se tamen ipsa in geometria locum habere debeant, maxime vero tres primi secundi libri propositiones, quippe quibus magnam, ac perdifficilem geometriae partem demonstratione recta et generali ad viam regiam redactam esse intelliges” CGS, p. 2. Italics ours.
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of gravity of a hyperboloid (as Valerio proudly observes, “attempted by nobody before”, “antea tentata nemini”), is reduced to the application of a general theorem regarding the centers of gravity of figures circa axim and circa diametrum. Valerio was fully aware of this breakthrough in methodology, 1 which had a considerable influence on the subsequent development of mathematics, in particular on Cavalieri. And it seems possible to hypothesize that each of Valerio’s techniques was also extremely influential, though it is not easy to evaluate their precise significance without further study. However, this was not the only important methodological innovation of Valerio. A second decisive step was his invention of the method of exhaustion. We use this term against the common historiography which ascribes its invention to Eudoxus, and its development to Archimedes. However, as we shall try to show in § 3, we believe that Valerio should be credited with the first systematization of this method dealing with comparison of areas and volumes, codified in the first three theorems of De centro, and not just assimilation of a more or less standardized approach or know-how in Greek mathematics. Another innovation more complex to describe is, we believe, his quantitative treatment of geometrical objects, which we will discuss in § 5. In Valerio’s work one can see the first attempt to separate the quantitative properties from geometrical figures, and though this was a step taken with much caution and hesitation, one can find several examples of his treatment of geometrical figures where they appear to be parts representing only quantitative properties, and can be assembled and disassembled according to the needs of the mathematician. Thus Valerio came close to a complete dissolution of geometric figures into pure “quantity”, dissociating them from their shapes and spatial arrangements. This was one of his most important innovations, but, at the same time, it is exactly at this point where we encounter most clearly an indication of the limitations of his mathematical language and thought, which, after all, remain within the paradigm of Euclidean theory of proportion of “classical” mathematics. 1 See, for example, this passage from his letter to Galileo: “I am working on the material of de pyramide, having already almost finished putting in order that of de centro gravitatis solidorum in a better form than before, moving away, as usual, from Archimedes’ style; and increasing it to such an extent that it is necessary for me to divide it into five books.” (“ch’io per me séguito la materia de pyramide, avendo già quasi rassettata quella de centro gravitatis solidorum in miglior forma di prima, discostandomi al solito dallo stile d’Archimede, et accresciuta sì, che m’è necessario partirla in 5 libri.”, Valerio to Galileo, 23 October 1610; in Galilei 1968, vol. X, p. 452. Cf. Baldini-Napolitani 1991, § 2.6 and Appendice, § 8.
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1. 4. Previous Studies on Valerio and the Present Contribution De centro gravitatis solidorum is an extremely complex work. Its complexity is due, first of all, to the fact that in a certain sense it is a work in progress. As is confirmed by Valerio’s scientific career, he had to hasten the publication of the book in 1604 to satisfy his protectors, Pope Clement VIII and his nephew, Cardinal Pietro Aldobrandini: he even states that he wrote the whole of the third book in only one month, October 1603. The existence of a previous version of the work consisting of only two books is confirmed by Valerio himself, though no trace of this version survives now. 1 This editorial process probably explains the confused organization of the material. 2 However, a complete analysis of the logical structure of De centro is not yet available. It should also be added that Valerio himself was not at all satisfied, and that for the rest of his life, he dreamed of reorganizing and expanding the material of De centro into five books, though he never realized the project. 3 Another difficulty is Valerio’s way of expounding his ideas, and the obscurity of many of his expressions. References to the propositions used (of his own book or of other authors) are often lacking, and this makes it difficult to follow with certainty the development of his reasoning, which is very often elliptic and over-concise. Since the author himself was not fully satisfied with his work, it is difficult to evaluate to what extent the apparent incongruities are due to intrinsic logical flaws, or to the limited time Valerio had at his disposal. A complete analysis of the text should also aim to establish the relationship between Valerio and his sources, in particular Archimedes and Archimedean mathematics in the sixteenth century. This is an extremely complicated question, especially in the light of what has been said above. In some cases it is possible to identify Valerio’s source of inspiration quite easily in one or another of Archimedes’ techniques; but many of his proofs have never been analyzed from this point of view. Compared with this complexity of the work, the studies on De centro gravitatis solidorum available to us are scanty. They concentrate mainly on the first three propositions of the second book, in which modern 1
See n. 1 p. 90 below, and the arguments in Baldini-Napolitani 1991, § 2.5. As for the confusion in CGS, see (Passalacqua, 1991), in particular § 4.1. One can add that there is systematic incongruity of the cross-reference in the second book of CGS, which leads to the conclusion that the second book of the previous version contained nine propositions less: proposition II-29 is quoted as II-20; prop. II-43 as II-34; prop. II-32 as II-23. See CGS, Book II, 3 See the n. 1 p. 72 above, about the editorial Story of De centro. pp. 55, 56 and 76. 2
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scholars have detected an anticipation of the concept of limit, 1 without trying to locate it in the context of sixteenth-century mathematics, or in the context of Valerio’s works in his overall career. On the other hand, one of the authors of the present article has attempted to deal with this aspect, emphasizing the continuity between Valerio’s early works and De centro (Napolitani, 1982). However, not even then was De centro analyzed as a whole. The only study that has so far attempted an overall reading of Valerio’s work is Passalacqua’s dissertation. 2 This, however, is a graduate thesis, and has had a limited circulation. It should be added that Passalacqua’s excellent paper is mostly dedicated to a description of De centro, though it offers several interesting suggestions for its interpretation. We may thus conclude that there is no study based on historiographic criteria, adequate for a work of such fundamental importance as De centro gravitatis solidorum. In particular, no one except Passalacqua has discussed the method Valerio used for the determination of centers of gravity. 3 The aim of the present article is to fill this void at least in part. Our intention is not to attempt an overall analysis of De centro, and even less to perform an overall evaluation of the figure of Valerio as a mathematician. We limit our aims, rather modestly, to the following: 1. illustrating some of the milestones along Valerio’s Royal Road; 2. giving a clear exposition of the method by which Valerio determines the centers of gravity; 3. explaining the nature and the significance of some of Valerio’s general theorems. Our thesis is that Valerio introduced important changes and novelties into the mathematics of his time–especially at the methodological level. He opened up a new road which was to be followed by several others: notably, Cavalieri, with his theory of indivisibles, and, above all, Descartes with his geometry of curves. Mathematics, as a result, was totally transformed, and its language and methods have since undergone a revolution. But like all the innovators, Valerio is half-way between the old and and the new. His general methods are mingled with traditional arguments, for reasons which are not clear, at least at first sight. We shall 1
For a discussion of these preceding studies, see Napolitani 1982, pp. 4-8. All’alba della matematica moderna: il “De centro gravitatis solidorum libri tres” di Luca Valerio, referred to as Passalacqua 1991. 3 Another exception might be represented by the work of Armida Tosi (1957); however, this is a systematic translation of Valerio’s procedures into the language of integral calculus, and is heavily influenced by a view of Valerio as a precursor. 2
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therefore try to show that it was the language and the concepts to which Valerio remained faithful, based as they were on the theory of proportion of classical Greek mathematics, that caused his Royal Road to go astray in one of those obscure labyrinths mentioned by Galileo in his Saggiatore. 2. A New Object: Decreasing Figures 2. 1. Center of Gravity: Archimedes and Commandino As we have seen in the previous section, the center of gravity was a theme widely studied in the second half of the sixteenth century. In 1565, Commandino succeeded in determining the center of gravity of the pyramid and the cone and provided a proof for that of the paraboloid (or “parabolic conoid”, to use the terminology of the period). However, for the latter, Commandino (1565) had learned the result from Archimedes’ Floating Bodies: 1 he had deduced from this text that the center of gravity of the paraboloid must divide the axis in the ratio 1:2. Obviously it is much easier to try to demonstrate a known result about the center of gravity than to attempt to determine it from scratch. Throughout the sixteenth century, no progress was made in the determination of the center of gravity of the hyperboloid (hyperbolic conoid), the hemisphere, or the hemispheroid. 2 These solids–parabolic and hyperbolic conoids and spheroids–were well-known to those who studied Archimedean geometry: Archimedes dedicated a whole work to them, Conoids and Spheroids, where he determined the ratio of the conoid or a part of a spheroid to the cylinder circumscribed around it. For example, the parabolic conoid is half the circumscribed cylinder, the hemispheroid is two thirds, etc. However, he did not treat their centers of gravity in this work (see note 1 p. 71, above). It would remain to the sixteenth-century mathematicians to determine the centers of gravity of Archimedean solids; the first necessary step in this direction was the demonstration that their centers of gravity lie on their axes. All the material necessary for this task could already be found in Archimedes. In On Plane Equilibriums (hereafter PE), Archimedes demonstrates that the center of gravity of a triangle and of a segment of a parabola lie, 1 In the same year, Commandino published his edition of Archimedes’ Floating Bodies from the same publisher. 2 The young Galileo, too, ventured along this path, but without obtaining any valid results. Cf. § 4.5, note 1 p. 108 below.
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respectively, on the median line and on the diameter. 1 Their proofs are based on the same idea, which we explain in the case of a triangle. Inscribe in the triangle T a figure F composed of stepped parallelograms centered around the median of the triangle. Then we know that: • The center of gravity of the inscribed figure F lies on the median line. • The remainder R = T – F may be made as small as one wishes by making the height of the single parallelograms small enough. 2
The center of gravity of the triangle (PE, I-13).
Suppose now that the center of gravity of the whole triangle T does not lie on the median, but at the point Q. Let R be the center of gravity of the inscribed figure F. Since F + R = T, the center of gravity C of the “remainder” R will lie on the prolongation of the straight line RQ, and the proportion CQ : QR = T : R holds. As R can be arbitrarily small, (that is to say, the ratio T : R can be arbitrarily large), and Q is a fixed point not on the median, the point C will be “expelled” beyond the line GF as R diminishes. But then the center of gravity of R is outside the triangle, which is absurd. 3 For the parabola, the construction of the approximating figures is completely different, but the basic idea of the proof, the “expulsion” of the center of gravity of the remaining figure, is the same. 1
PE, I-13 and PE, II-4 respectively. This can be shown essentially by using proposition X-1 of the Elements and the so-called postulate of Eudoxus-Archimedes. 3 For technical details, such as the fact that P is not a fixed point, etc., see the text of Archimedes. 2
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The center of gravity of the segment of a parabola in Archimedes (PE II-4).
Thus the two proofs of the On Plane Equilibriums are both based on the same idea: to demonstrate that the center of gravity of a figure having a diameter (or an axis) lies on the diameter, it is sufficient to construct approximating figures whose centers of gravity are on the diameter. This point was surely understood by Commandino. 1 In his Liber de centro gravitatis he demonstrates that the center of gravity of a pyramid, a cone, a portion of a sphere or spheroid, and a parabolic or hyperbolic conoid lies on the axis (i.e., the straight line joining the vertex to the center of gravity of the base). Commandino began by proving that starting from these figures, it is possible to inscribe and circumscribe stepped figures made of cylinders (prisms in the case of a pyramid) in such a way that the difference between the inscribed and circumscribed figures may be made arbitrarily small. 2 No doubt Commandino learned the technique of constructing approximating figures for these solids from another work of Archimedes, Conoids and spheroids, in particular from proposition 19, where Archimedes constructed approximating figures for three solids to determine their volumes: two conoids (parabolic and hyperbolic) and the spheroid. This technique is essentially based on a procedure of the following kind: 1 Even before Commandino, by Maurolico, probably about 1544, and definitely before 1548. Cf. Maurolico 1685, aliter of proposition 22 of the second book of De momentis aequalibus. However, Maurolico’s work was not widely known, and was only published in 1685. On the extent of its circulation, see Napolitani-Sutto 2001, § 6. 2 LCG Commandino 1565, props. 10-13.
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Circumscribe around, and inscribe in, the conoid or spheroid a stepped figure made up of cylinders. The difference between the circumscribed and inscribed figures is equal to the cylinder at the base and therefore this difference may be arbitrarily small, for the height of each cylinder can be made smaller than any given length. 1 The property that underlies this technique is the “monotonicity” of the figure in question, that is to say, the fact that the sections constantly decrease from the base to the vertex. 2
Conoids and Spheroids, prop. 19. The difference between the circumscribed and inscribed figures is equal to the cylinder at the base.
Having thus obtained his approximating figures, Commandino goes on to prove that the center of gravity of the cone or of the pyramid (LCG, prop. 14) and of the parabolic conoid or of a portion of sphere or spheroid (LCG, prop. 15) lies on the axis, practically repeating the technique that Archimedes had used for the triangle and the parabola. This result, though not so difficult to obtain, was important, because it created a certain link (though by means of rather muddled, tediously repetitive proofs) between two of Archimedes’ techniques, that of approximation in Conoids and Spheroids and the one in On Plane Equilibriums used to prove that the center of gravity lies on the axis. It may be noted that Commandino was aware of the substantial identity of the proof techniques, since he repeated the same procedure 1 This procedure is common to all the solid figures with “monotonicity”, and Archimedes in fact unites the constructions for three figures in one proposition. However, Commandino repeats this same procedure for each of the figures he considers: pyramid, cone, etc. 2 It is for this reason that the portion of the sphere or spheroid must not be greater than half.
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for each of the figures treated. For example, the proof of proposition 13 (approximation of a portion of a sphere) consists of a reference to Conoids and Spheroids, pointing out that the technique is the same as the one just used for the cone or truncated cone (propositions 11 and 12). As for the “expulsion” technique for the center of gravity, after using this to show that the center of gravity of the cone and the pyramid must lie on the axis (prop. 14), Commandino writes when he proceeds to study the conoids and the portion of a sphere or spheroid: The proof will be similar to the one we have given above for the cone or truncated cone, in order to avoid useless repetitions of the same things several times. 1
However, although he realized that the proof was the same for all the figures, he was not at all interested in formulating a general method from the various individual proofs. He limited himself to the addition of a few theorems to what Archimedes had already established, in the same way (as Commandino probably thought or hoped) as Archimedes himself might have done. 2. 2. Valerio’s Decreasing Figures There is no doubt that the study of Commandino’s work was one of the main sources of methodological reflection for Valerio; in fact he confirms this himself in the preface to De centro gravitatis solidorum. “I started,” he affirms, “by trying to repeat Commandino’s work and to see if I could find other proofs which might lead me not only to do better than him, but also take me further”. 2 Methodological reflection and the tendency to generalize a proof technique are constantly present in Valerio. In Subtilium indagationum liber, one of his early works, he tried to propose a general study of all convex curves, in order to achieve the squaring of the figures enclosed by these curves. 3 1 Commandino 1565, prop. 15: “Demonstratio similis erit ei, quam supra in cono, vel coni portione attulimus, ne toties eadem frustra iterentur.” 2 CGS, preface, p. 1-2: “Huius autem provinciae mihi suscipiendae occasio fuit liber ille iam pridem editus Federici Commandini urbinatis ... Ego spe magis, ad quam vir ille exarserat incitatus, quam deterritus lapsu [Commandini], vehementerque dolens geometriae partem tamdiu desiderari cognitione dignissimam; cum ante exercitationis causa omnium quae proposui solidorum [i.e., cylindri, coni, frusti conici, sphaerae et spaeroidis], excepto conoide parabolico, centra gravitatis aliis viis indagassem; postea non solum parabolici, sed ante me tentata nemini, hyperbolici conoidis, et frusti utriusque, et hemisphaerii, et hemisphaeroidis et cuiuslibet portionis sphaerae et spaheroidis ... centra gravitatis adinveni, multa autem ex his duplici, quaedam triplici via.” 3 As for Subtilium indagationum liber, see Napolitani 1982, pp. 10-38. An anastatic reprint of this text, with an Italian translation, can be found at pp. 121-71.
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The figure of proposition I-22 of De centro (CGS-I, p. 49).
To give an idea of the innovations introduced by Valerio, we shall cite a relatively simple theorem, proposition 22 of the first book of CGS, whose proof very probably derives from his methodological reflection on Commandino’s book mentioned above: The center of gravity of every figure circa diametrum in alteram partem deficiens lies on the diameter. 1
We shall first explain what figures circa diametrum (and circa axim) are, and then see how Valerio transforms Archimedean proof techniques into his own definition of a new object of study: decreasing (in alteram partem deficientes) figures. We have seen that in order to prove that the center of gravity of a plane figure with a diameter (i.e., a straight line that bisects all the chords drawn in a given direction) or an axis (i.e., the straight line joining the vertex of a solid figure to the center of gravity of its base) 2 lies on the diameter or axis, it is sufficient to obtain an approximation by means of figures whose center of gravity lies on the diameter or on the axis. Commandino had made this point quite clear. The natural question to ask is: “given a figure with a diameter or an axis, what properties should one suppose in order to be able to construct the necessary approximating figures?” We have already indicated the answer: a sufficient condition is “monotonicity”–that is to say, the sections of the figure should 1 CGS, prop. I-22, p. 47: “Omnis figurae circa diametrum in alteram partem deficientis, in diametro est centrum gravitatis.” 2 As we shall immediately see, Valerio gives a more precise definition of the axis; it passes through all the centers of the sections by the planes parallel to the base(s).
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constantly decrease from the base to the vertex of the figure, the point where the diameter meets the figure itself. Valerio had found this answer, a fact which should not be underestimated, for it allowed him much greater generality in his demonstration compared with Archimedes or Commandino. But he also took another decisive step forward. He transformed a property (monotonicity) which allowed him to use a certain proof technique into a definition–the definition of figures “decreasing around a diameter or an axis”–which automatically guaranteed the existence of approximating figures: Definition 2. A plane figure circa diametrum is a figure in which a straight line, called the diameter of the figure, bisects all those lines parallel to a certain straight line, whose extremities are on the figure itself. 1 Definition 7. If a solid figure can be cut by parallel planes in such a way that all the sections have a center and are similar to one another, and if a straight line exists which passes through the centers of the opposite bases which are parallel and similar to the aforesaid sections (as in the cylinder), or through the vertex and the center of the base (as in the cone, the hemisphere or the conoid), and passes through the centers of all the aforesaid sections, [then] let it [the line] be called the axis of that figure, and the figure itself a solid circa axim. And if the figure has only one base or two unequal and parallel bases, and [if], of any two aforesaid sections, the one closer to the vertex (or to the smaller base) is always the smaller, [then] let it [the figure] be called ‘decreasing circa axim’ (circa axim in alteram partem deficiens). 2
Having established these definitions, it is quite easy to prove a theorem of approximation which is valid not just for several definite figures, but for the whole class of figures that satisfy this definition. Valerio states this in propositions I-6 and I-11: Proposition 6. It is possible to inscribe in every figure decreasing around a diameter (circa diametrum in alteram partem deficiens) a figure composed of parallelograms all of equal height, and to circumscribe another, in such a way that the circumscribed figure is greater than the inscribed figure by a smaller area than any given magnitude. In similar [cases] understand [that the given magnitude is] of the same kind [as the figures]. 3 1 CGS-I, def. 2, p. 3: “Circa diametrum est figura plana in qua recta quaedam, quae diameter figurae dicitur, omnes rectas alicui parallelas a figura terminatas bifariam dividit” 2 CGS-I, def. 7, p. 4-5: “Si qua figura solida planis parallelis ita secari possit, ut quaecumque sectiones centrum habeant, et sint inter se similes; aliqua autem recta linea, sive ad centra basium oppositarum praedictis sectionibus parallelarum et similium – ut in cylindro – sive ad verticem et centrum basis terminata – ut in cono, hemisphaerio et conoide – transeat per centra omnium praedictarum sectionum: ea talis figurae axis nominetur; ipsa autem figura solidum circa axim. Quae si vel unam tantum habeat basim, vel duas inaequales, et parallelas: duarum autem quarumlibet praedictarum sectionum vertici, vel minor basi propinquior sit minor remotiori; solidum circa axem in alteram partem deficiens nominetur.” 3 CGS-I, p. 14, prop. I-6: “Omni figurae circa diametrum in alteram partem deficienti, figura quaedam ex parallelogrammis aequalium altitudinum inscribi potest, et altera circumscribi, ita
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Proposition 11. For every solid decreasing around an axis, whose base is a circle (or an ellipse), it is possible to inscribe a figure composed of cylinders (or portions of a cylinder), all of equal height, and to circumscribe another figure, in such a way that the circumscribed figure is greater than the inscribed figure by a smaller excess than any given magnitude. 1
The proof follows the model of the proofs in Conoids and Spheroids and those of Commandino. Once again, however, we should note Valerio’s innovation: not only does he provide a unified proof for all that Archimedes and Commandino had demonstrated, but he also introduces a general theorem regarding a new object–decreasing figures–which was later to play a principal role in the course of his work. Geometry used to be concerned with only particular objects; now, for the first time, classes of curves defined by their property are introduced. In this manner, he can also easily prove proposition I-22 at a single blow: every figure decreasing around a diameter has its center of gravity on the diameter. The theory of decreasing figures introduced by definitions 2 and 7 already has a small, but important corpus of theorems: a theorem of approximation and a theorem on the position of the center of gravity. It may be objected that similar procedures were not totally unknown to classical geometry; for example, Apollonius had defined the diameter and the axis for any curve; the works of Archimedes abounds in “general” lemmas regarding magnitudes that are not further specified. One could also refer to the Book V of Euclid’s Elements, which (allegedly) deals with the theory of proportion of “general” magnitudes. However, in our opinion, the similarity is only superficial. Apollonius’ diameter of curves or the theorems and lemmas by Euclid and Archimedes regarding magnitudes refer to generic objects, not general ones.2 They had always clearly in mind a few definite objects for which their statements were intended. Valerio’s theorems (of which we have so far seen only a few examples) refer, on the contrary, to figures that are defined by a set of properties, and his results are offered for the purpose of building a theory on the class of figures he has introduced.
ut circumscripta superet inscriptam minori spacio quantacumque magnitudine proposita. Semper autem in similibus intellige, eiusdem generis.” 1 CGS-I, p. 26, prop. I-11: “Omni solido circa axim in alteram partem deficienti, cuius basis sit circulus vel ellypsis, figura quaedam ex cylindris vel cylindri portionibus aequalium altitudinum inscribi potest et altera circumscribi, ita ut circumscripta superet inscriptam minori excessu quacumque magnitudine proposita.” 2 For Book V of the Elements, see our discussion below at the end of § 3.
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2. 3. A Royal Road in Need of Maintenance Work? The reader may have noticed that while we spoke of figures “decreasing around a diameter”, definition 2 of De centro does not contain any mention of the property of monotonicity. As we have seen, the property is included in definition 7, regarding figures circa axim, but you will search in vain for an explicit definition of the figures “circa diametrum in alteram partem deficientes.” This appears for the first time in the statement of proposition 6. One might think this is just a slip in exposition, or even due to some error that occurred during printing, for this is obviously a key concept which cannot be omitted. The history of the publication of De centro outlined in § 1.4 could easily account for this absence. Anyway, this does not create a very good impression. Right at the beginning of the Royal Road there is a pothole that is a bit too visible. And unfortunately, we will find several more potholes and puddles, even bigger and dirtier than this one, as we go on. The reader may also have noticed, for example, that proposition I-22 only speaks of plane figures, decreasing around a diameter. And what about solid figures decreasing around an axis? The parallel proposition is stated in its corollary: I-22, Corollary. From this theorem it follows that if we take a plane or solid figure with a border whose concavity is wholly directed inwards (cuius termini omnis cavitas sit interior 1) – its center of gravity will consequently lie inside its border – such that some part of it, falling short of the whole figure by a smaller shortfall than any given magnitude, has its the center of gravity on a certain straight line situated inside the border of the figure, then the center of gravity of the whole figure will lie on this straight line. And because (from proposition 11 of this book), in every solid decreasing around an axis, and having a circle or an ellipse as its base, it is possible to inscribe a figure composed of cylinders or portions of cylinders, falling short of the aforesaid [whole] solid by smaller volume than any given magnitude; and the center of gravity of such an inscribed figure, as well as [that of] circumscribed, is on the axis as will be clear from the following propositions (maybe this is clear even now for the thoughtful), it is manifest that the center of gravity of every solid decreasing around an axis lies on the axis. 2
Again, we find a curious situation. A key theorem regarding decreasing 1
On the concept of cava or cavitas interior in Valerio, cf. Napolitani 1982, pp. 29-30. CGS-I, p. 49, prop. I-22, coroll.: “Ex huius theorematis demonstratione constat omnis figurae planae, sive solidae, cuius termini omnis cavitas sit interior (atque ideo intra terminum centrum gravitatis) et cuius pars aliqua esse possit quae, a tota figura deficiens minori defectu quacumque magnitudine proposita, habeat centrum gravitatis in aliqua certa linea recta intra terminum figurae constituta, esse in ea recta linea totius figurae centrum gravitatis. Ac proinde, cum per undecimam huius omni solido circa axim in alteram partem deficienti, et basim habenti circulum, vel ellypsim, figura inscribi possit ex cylindris, vel cylindri portionibus, a praedicto solido 2
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solids is not proved, and the mention of a proof refers us to subsequent theorems – with a certain attitude of intimidation towards the reader (“maybe this is clear even now for the thoughtful”). But worse follows. The corollary mentions an even more general theorem, regarding figures that have “a border whose concavity is wholly directed inwards”. One would search for a definition of this term in vain. Those who want to find something must turn either to Valerio’s Subtilium Indagationum Liber, or to Archimedes’ Sphere and the Cylinder. What Valerio seems to mean is that the border of the figure must be convex. Even admitting this interpretation, however, the proof of the first part of this corollary (on which that of the decreasing solids depends) does not appear to be simple at all. The most disturbing aspect here is the introduction of the concept of convexity. Among the solids circa axim in alteram partem deficientes Valerio also includes those solids which are subsequently called “bowls”:1 that is to say, solids with a hole inside, created in such a way that the sections by planes parallel to the base are figures contained by two concentric figures, for example by two circles. The most famous example of this kind of figure is the well-known bowl of Valerio and Galileo, which Valerio uses to investigate the volume and the center of gravity of the hemisphere, and which Galileo quotes in his Discorsi of 1638: a cylinder from which the inscribed hemisphere is detached (see § 5.3, below). Valerio makes frequent use of such bowls in the second and third books of De centro, applying corollary I-22 to them, without worrying, however, about the fact that his bowls are not convex, by definition. Anticipating our discussion, we may observe that the motivation for which Valerio included these strange solids in the class of decreasing figures comes from their quantitative properties (and to be more precise, deficiens minori spacio quacumque magnitudine proposita: talis autem figurae inscriptae, quemadmodum et circumscriptae centrum gravitatis sit in axe, ut ex sequentibus patebit (et nunc, cogitanti, facile patere potest), manifestum est omnis solidi circa axim in alteram partem deficientis centrum gravitatis esse in axe.” 1 The second part of definition 7 (which we omitted previously) says: «And by this name we mean also those solids whose sections parallel to the base are – though not perfectly similar to the base – lacking those figures that are similar to the base and similar to those whole figures from which it is understood that they [lacking figures] are detached, such that the whole figure and the detached figure have a common center on a straight line terminating at the center of the base; let this [line] be called the axis of the solid». (CGS-1, p. 5: “Quo nomine significari etiam volumus ea solida, quorum quaelibet sectiones basi parallelae quamvis basi non sint omnino similes, tamen iis figuris deficiunt quae sunt similes basi, ac totis iis, a quibus ipsae ablatae intelliguntur, ita ut tota figura et ablata habeant commune centrum in una recta linea ad centrum basis terminata, quae et ipsa talis solidi axis nominetur.”)
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A “bowl”. The solid CED has been detached from the cylinder ABCD, with which it has the axis EF in common. The plane GH, which passes through a point I cuts two concentric circles from the two solids, and the section of the bowl is the circular corona GKLH (CGS, I-def.7, p. 5).
from the proportion between the areas of the sections generated by the planes parallel to the base) and not from their form (convexity or concavity). However, he continued to use classical language, which is primarily oriented to figures, and not directly to the quantities themselves. We shall later see that it was this discrepancy between Valerio’s adherence to the language of classical geometry and the techniques he employed–which basically take into consideration only quantitative aspects–that made his Royal Road so tortuous and, in the end, almost impracticable. As we said in the beginning, it is not our intention to carry out a profound analysis of the De centro, much less for its first book. But some other bizarre characteristics are worth mention; for example, the strange way in which Valerio deals with the triangle and the pyramid. According to the definitions he gives, the triangle is a figure decreasing around a diameter (the median). One would therefore expect him to discuss the center of gravity of the triangle using I-22. Among other things, the figure in the diagram of this proposition there is actually a triangle, and the archetype of the proof is based on Archimedes’ proof for the triangle (see § 2.1). And yet, ne verbum quidem. The proof of the center of gravity of a triangle is presented in a most ingenious manner, with acute observations about certain procedures used by Archimedes. But it seems to have escaped Valerio’s notice that the triangle would have fallen in the group for which he was developing general theorems. Even more curious is the case of the pyramid, for which Valerio excogitated a highly ingenious proof, decomposing the pyramid infinitesimally into a sort of Sierpinski’s sponge ante litteram. 1 But in this case 1
An exhaustive analysis of this proposition is in Passalacqua 1991, pp. 30-36.
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again, he could easily have proceeded by a general route: it would have been sufficient to include it among the solids decreasing around an axis (though definition 7 does not take this into account). We may imagine a large number of reasons that could account for these incongruities: from biographical factors, to the situation in the publication of De centro, to the desire to publish brilliant, ingenious proofs which would have been obscured by a proof that used a general method. But we do not embark on a thoroughgoing survey of these and other possibilities. Suffice it for the time being to have indicated some instances of the mixture between those two contradictory aspects in Valerio’s œuvre mentioned at the end of the introduction: on the one hand, a new methodological approach and the introduction of a new mathematical object (decreasing figures), and on the other, the survival of ad hoc proofs, obscurity of exposition, and logical difficulties in the arrangement of arguments. Suffice it, above all, because we are now about to enter one of the principal lanes of the Royal Road – the first three propositions of the second book and their applications. 3. The Invention of the Method of Exhaustion 3. Valerio’s General Theorems We saw in the preceding section that Valerio introduced the class of “decreasing figures” and that he proved some general theorems for this class of figures; in particular, we examined proposition I-22 of De centro. In this section we shall discuss the first three propositions of the second book, those which Valerio himself indicated as one of his main contributions (cf. § 1.3, note 2 p. 71); while in the following section we shall discuss proposition II-32, which shows the essence of his method of determining the centers of gravity of “Archimedean” solids. Modern studies, from Bosmans (1913) to Maracchia (1992), have always tended to see, in these three propositions, an anticipation not only of the concept of limit, but even of the theorem that the limit of a ratio is equal to the ratio of the limits. It should be emphasized, first of all, that all these studies have concentrated almost exclusively on these propositions, avoiding an overall reading of Valerio’s text, and thus making a paradoxical situation: there does not exist any work yet which deals with how the centers of gravity of solids are determined in De centro gravitatis solidorum. As has been pointed out,1 this has led scholars to 1
Cf. Napolitani 1982, in particular pp. 76-80.
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place Valerio’s work in a completely distorted historical perspective. Detached from the context of the determination of centers of gravity of solids, one of the most profitable and popular research problems of his period, Valerio has been turned into a precursor of some of the concepts of infinitesimal calculus. Moreover, the substantial decontextualisation of the first three propositions of the second book has favored a partial, prejudiced reading of Valerio. In order to avoid this risk, we shall start our examination of Valerio’s theorems from their use in the course of his own work, trying to understand their significance in the original context in which their author conceived them. 3. 2. An Example: the Volume of the Truncated Cone Let us now consider an example of the application of his general theorems. In book III of De centro (proposition III 10), Valerio determines the volume –as we would call it today–of a truncated cone. More precisely, in this proposition Valerio obtains the ratio of the circumscribed cylinder to the truncated cone in the following way. Let ABCD (T ) be a truncated cone, of which CD=a is the diameter of the circle of the greater base, and AB=CF=b that of the smaller base. Let CG (C ) be a cylinder with a base circle of diameter CD = a, and the same height DG as the truncated cone. In algebraic notation, Valerio’s result corresponds to: 1 T : C =ab+
1 (a–b)2 :a2. 3
The volume of the truncated cone (CGS-III, p. 15). 1
Proposition III-10 also contains the cases where the bases are ellipses instead of circles. In
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In order to demonstrate this proposition, Valerio first proves that a similar relationship also holds between a truncated triangular pyramid and the prism circumscribing it (prop. III-9); he then extends it to a truncated pyramid with any polygonal base, and lastly, he goes on to show that this relationship continues to hold also for the truncated cones and cylinders circumscribing them. It is only in this last stage that II-3 is used, one of the propositions constituting the Royal Road. Let us now examine this stretch of the Royal Road step by step. In proposition III-9, similar triangles DEF and ABC are the greater and the smaller bases of the truncated pyramid, respectively. Let the truncated pyramid ABC-DEF be T3 and the circumscribed prism DEF-HKC be P3 ; we will have (making x=DE and y=AB): 1 T3 : P3 =xy +
1 (x–y)2 :x2. 3
The corollary of proposition III-9 extends the results to the truncated pyramids and their circumscribed prisms in general: Tn : Pn =xy +
1 (x–y)2 :x2. 3
this case the cylinder is called ‘portion of cylinder’. Here we shall deal only with the case of circles, for the sake of simplicity. In the original text, the ekthesis runs like this: I say that the truncated [cone] AD is to the cylinder or to the cylindrical portion CG, as the rectangle DCF together with the third part of the square on DF is to the square on CD. (“Dico frustum AD ad cylindrum, vel portionem cylindricam CG, esse ut rectangulum DCF una cum tertia parte quadrati DF, ad quadratum CD.” CGS-III, p. 15. 1 CGS-3, p. 11: “Dico frustum BDF ad prisma HKF esse ut rectangulum DEG una cum tertia parte quadrati DG ad quadratum DE”. We limit ourselves to a brief sketch of the complex proof of this theorem, which is based on standard techniques of the theory of proportions and on the decomposition and recomposition of solids. Valerio constructs the triangle GEL, which is congruent to the triangle ABC, and decomposes the circumscribed prism P3 DEF-HKC into the following three prisms: P3,1 : prism HNA-DGM P3,2 : prism ABC-GEL P3,3 : prism AGM-CLF Then P3,3 is equal to a prism P3,4 with the base GML and the height AM (i.e., the same height as the other prisms). Furthermore, from the similarity of the base, P3,1 : P3 = DG2 : DE2 = (x – y)2 : x2 P3,2 : P3 = GE2 : DE2 = y2 : x2. Then, from the equality DEF = DGM + EGL + 2GML we obtain: P3,4 : P3 = DG · DE2 = (x – y)y : x2.
1 P + P3,2 + P3,3, it follows that: 3 3,1 1 T3 : P3 = (x – y)2 + y2 + (x – y)y : x2 = xy + 1 (x – y)2 : x2. 3 3
As the truncated prism T3 is equal to
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Proposition III-9 (CGS-3, p. 11).
where x, y always represent two corresponding sides in the bases of the truncated pyramid. Proposition III-10 finally considers the truncated cone T and the circumscribed cylinder C ; in the truncated cone T, a truncated pyramid Tn (with base a regular n-gon) is inscribed, and in the cylinder C, a prism Pn having similar base as that of Tn. The ratio Tn : Pn is known from the corollary to III-9. The ratio of the corresponding sides x:y is the same as the ratio of the diameters of the bases of the truncated cone a:b. Substituting x, y in the corollary to III-9 with a, b, we have Tn : Pn =ab+
1 (a–b)2 :a2. 3
If we make n sufficiently large, the differences between the truncated cone and the truncated pyramid inscribed in it (T – Tn), and between the cylinder and prism (C – Pn) can be made smaller than any given quantity. As Valerio says: And both are smaller by less volume (spacio) than any assigned magnitude: the truncated pyramid inscribed in the truncated [cone] CB than the truncated [cone] CB, and the prism inscribed in [the cone] CG than [the cone] CG. 1
Given these conditions, the normal method of proof in classical Greek mathematics would consist of showing that the ratio T : C cannot be either larger or smaller than ab+ 13 (a–b)2 :a2, by using reductio ad absurdum twice. This is the method followed, for example, by Euclid in Book XII of the Elements to demonstrate that the cone is one third of the 1 CGS-3, p. 17: “Deficit autem utrumque et pyramidis frustum frusto CB inscriptum ab ipso CB frusto, et prisma ipsi CG inscriptum ab ipso CG, minori spacio quantacunque proposita magnitudine”.
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cylinder of the same base and height (Elements, XII-10), or that two circles are in the same ratio as the squares on their diameters (Elements, XII-2). Valerio, however, has no need of this. It is sufficient for him at this point to quote proposition 2 of the second book: Through the third proposition of this book [! it should be: “the second of the second book”] the rectangle [contained by] DC, CF together with the third part of the square on DF will be to the square on CD, as the truncated [cone] CB to the cylinder or to the portion of cylinder CG. 1
Thus a proposition which would have required recourse to double reductio ad absurdum in Euclid and Archimedes (and also in Commandino and other Renaissance scholars), is proved by a single reference to Valerio’s general theorem. Le us now examine this proposition and two others in detail. 3. 3. The First Three Propositions of Book II of De Centro: An Uniform Method Proposition II-2, which Valerio invokes to conclude his theorem, is a generalization of the typical argument of a double reductio ad absurdum used in classical mathematics. It can be summarized as follows: Let four magnitudes be given, A, B, C and D; and two other magnitudes, E and F, which respectively exceed A and B by an excess smaller than any assigned magni1 “Per tertiam igitur huius [!], erit ut rectangulum DCF una cum tertia parte quadrati DF ad CD quadratum ita frustum CB ad cylindrum, vel portionem cylindricam CG.” CGS-III, p. 17. Note that proposition II-2 of CGS is erroneously quoted as “tertiam huius”, one of the many indications of a hasty publication, not carefully checked by Valerio. At the end of proposition II-3, Valerio adds: «But this proposition did not exist in the few copies which I gave to some people as a gift; for I elaborated it afterwards, so that the second [proposition] here, in those [copies’] third [proposition], could be used more easily in those cases where the name of a ratio would have been obscured by indicating the third and fourth term... Thus the lemma, which was the first proposition, is no longer necessary for me.”» (“Haec autem propositio in paucis exemplaribus quae dono quibusdam dederam non extat: posterius enim eam excogitavi, quo secunda antecedens hic, in illis tertia, facilius serviret iis quibus certae proportionis nomen tertium et quartum terminum subobscure indicat... Illo autem lemmate, quod prima propositione inscribebatur, nunc ita non egeo.” Italics ours. CGS-2, pp. 7-8.) The present proposition II-3, therefore, did not exist initially, and the present proposition II2 was numbered as II-3. Furthermore, in the copies he “gave to some people as a gift”, the third book probably did not exist, either: in fact, at the end of the second book in the extant version, Valerio explains that he had written it during the month of October 1603 at the request of Clement VIII and Cardinal Pietro Aldobrandini (CGS-II pp. 91-92). In the extant printed version, proposition II-3 refers to the case in which two “approximating” magnitudes have a named ratio, such as 3/2 or any other numerical ratio. Here in the proposition III-17, on the contrary, it is a ratio between magnitudes (that of a certain area to a square) that is at issue. The proposition referred to must therefore be proposition II-2 of the extant version, and this error gives us
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tude of the same kind as A and B; and let E : F=C : D (E > A, F > B). I say that A : B = C : D. 1
In the case of proposition III-10, the magnitudes A, B are respectively the truncated cone and the cylinder circumscribed around it; C corresponds to ab+ 13 (a–b)2 and D to a2. The magnitudes E and F (in this case smaller than A and B by a quantity less than any given magnitude) are an appropriate truncated pyramid (E= Pn) inscribed in the truncated cone and an appropriate prism ( F= Tn) inscribed in the cylinder. Valerio gives two proofs of this theorem. The first refers back to proposition II-1, which differs from II-2 only in that the “constant” ratio is E:B=F:D, from which he deduces that A:B=C:D.2 We will briefly illustrate the second (alternative) demonstration. If A:B=C:D does not hold, then A:B must be either greater or smaller than C:D. Let it be greater, and let X be a magnitude such that: 3 C: D=A: X with X > B. Now, from the premise of the proposition, one can take E, F such that E > A, X > F > B and E:F=C:D. It follows that E:F=A:X, then alternately (Elements, V-16), E:A=F:X. As E is greater than A, F also must be greater than X. But F was smaller than X, which is absurd. The other cases (that the ratio A:B is smaller than C:D or that the magnitudes E, F are respectively smaller than A and B) are dealt with similarly. The reader who knows Book XII of the Elements or the work of Archimedes will recognize a well-known proof technique here. There is no substantial difference in the proof between this proposition of
interesting information about the genesis of De centro. Unfortunately, no copy of the previous version has been found. For further information, cf. (Baldini-Napolitani 1991), §§, 2.5-2.6. 1 CGS-2, pp. 4-5: “Propositio II. Si maior, vel minor prima ad una maiorem, vel minorem secunda, minori utriusque excessu, vel defectu quantacumque magnitudine proposita fuerit ut tertia ad quartam, erit ut prima ad secundam, ita tertia ad quartam. Sint quatuor magnitudines A prima, B secunda, C tertia et D quarta; et aliae duae magnitudines E, F una maiores quam A, B minori excessu quantacunque magnitudine proposita eiusdem generis cum ipsis A, B. Sit autem E maior quam A ad F maior quam B, ut C ad D. Dico esse A ad B, ut C ad D.” We have supplied a translation only of the ekthesis, given the extremely elliptic nature of Valerio’s protasis. Note, however, that the ekthesis is enunciated only for the case in which the magnitudes E and F are greater than A and B; at the end of the proposition Valerio adds “we would similarly prove the same if E, F, be set smaller than A, B and proportional as stated” “(idem autem similiter ostenderemus positis E, F minoribus A, B et proportionalibus ut dictum est)”. 2 In Valerio’s proof of II-1 the lettering is different, for E, F designate other magnitudes in the proof. 3 We have changed the letters used by Valerio to maintain a uniformity of lettering.
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Valerio and the many examples of a double reductio ad absurdum in Euclid or in Archimedes. 1 From this point of view, there is nothing new in Valerio’s proof. And there is nothing new, either, in proposition II-3, which is substantially identical to proposition II-2, except for the fact that the ratio C:D is substituted by a “named ratio” (nominata proportio): a ratio that can be expressed in numbers. Where is the innovation, then? It seems to us that it is in the generalization of a proof technique, transforming it into a uniform method. The first three propositions of the second book, taken together, make it possible to deal automatically with all those cases in Greek geometry where complicated arguments of double reductio ad absurdum was required to get desired conclusions from the existence of in/circumscribed figures satisfying certain conditions. Valerio’s method may be summarized in the following terms: Given two magnitudes A and B, if it is possible to determine the magnitudes E and F which approximate to A and B respectively, such that the ratio E : F remains constant, then the ratio A : B will also be the same as the ratio E : F.
Valerio makes a wide use of this principle in De centro: the most famous case is the determination of the ratio between the sphere and the circumscribed cylinder (CGS, II-12), praised by Galileo in the “First Day” of his Two New Sciences (Discorsi intorno a due nuove scienze) published in 1638 and mentioned in almost all subsequent literature. 2 But the cases of the paraboloid (II-17) and other figures could also be quoted. As we mentioned in the beginning, modern studies have seen here an anticipation of the concept of limit, or even a statement of a property of limit. We rather believe that these propositions of Valerio constitute the invention of the method that was subsequently called the method of exhaustion. We have already pointed out in the introduction that, strictly speaking, we cannot talk about the existence of the method of exhaustion in Greek mathematics. It is true that similar proof techniques, based on essentially common principles, repeatedly appear in Euclid and in Archimedes. But these techniques are hardly ever identical. For example, in proposition XII-2, in order to prove that the ratio between circles is the same as the ratio of the squares on their radii, Euclid refers only to their inscribed polygons, whereas in his Measurement of Circle, Archimedes uses both inscribed and circumscribed polygons to prove that the circle is equal to the right-angled triangle with 1 Maracchia illustrates this point very clearly: one of the proofs of proposition II-1 is practically identical to a part of proposition XII-2 of the Elements. Cf. Maracchia 1992, pp. 274-5. 2 Galileo 1968, VIII, p. 76.
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the rectified circumference as its base and the radius as its height. Even the basic principles are not defined univocally and precisely: Euclid’s definition in Book V, stating that “magnitudes are said to have a ratio to one another which are capable, when multiplied, of exceeding one another” is one matter, but the lemma that Archimedes uses to construct his approximating magnitudes is quite another. It may be objected that these are only slight differences, which should not be exaggerated. However, the really important point is that the technique to compare areas and solids figures did not belong to an explicitly formulated theory; it was but a kind of “art”, or “know-how”– a sort of meta-theorem. The fact is rather that in the corpus of Greek geometry the Renaissance received from the ancient world, there was nothing like a method to deal with ratios between the straight and the curved–a clear, uniform method, based on well-defined principles. Thus it was one of the challenging tasks for mathematicians of the sixteenth century to discover the common characteristics in various theorems in Greek mathematics dealing with quadratures and cubatures. Moreover, even after such common characteristics had been found, there remained to be taken the decisive step to unite them into a general principle of demonstration. The case of Commandino we discussed in the previous section is instructive to us. What appears to us trivial today, was not so at all for the geometers around the end of the sixteenth century. It was Valerio who achieved this step: he raised a series of proof techniques to the level of a method, which, from Grégoire de Saint Vincent on, was to be called the method of exhaustion. This seems to be the characterization that best defines Valerio’s contribution and locates it in the right context of the history of mathematics. It is to be emphasized that his method was developed in the framework of the classical theory of proportion, of which it represents a sort of improvement. It should not be forgotten that the first three theorems of the second book should be understood exactly as the general theorems of Book V of the Elements. There, Euclid had established a whole series of possible manipulations of ratios and proportions of magnitudes: permutando (or alternately, V-14), componendo (V-18), ex aequali (V-22), etc. However, these theorems were not intended to establish a set of operations for abstract “magnitudes”; they do not form something like the algebra we possess today. Euclid’s set of theorems was intended to enable necessary manipulations for ratios and proportions concerning geometric figures. 1 1
For further discussion cf. Saito 2003.
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In the language of Greek geometry, every time there is a need to deduce one proportion from another, one of these manipulations is referred to. In particular, in highly complex cases, an appropriate series of lemmas placed at the beginning of a work–as is the case with various writings by Archimedes–serves to provide a transformation which, if proved in the course of a theorem, would distort the lines of the proof and confuse the readers. We believe that the same analysis can be applied to Valerio’s general theorems. In the economy of his work, they come to act as “general lemmas” to be quoted when they become necessary. In other words, they cannot be interpreted separately from their application, whether this may be the ratio of the truncated cone to the circumscribed cylinder or that of the paraboloid to the cone inscribed in it. If these “general theorems” appear to convey the concept of limit, this may simply mean that we already know this concept. It is not our desire here to embark on a long discussion of the foregoing studies that have seen Valerio as a precursor of concepts of calculus and analysis. We will limit ourselves to the remark that we do not believe that the contribution of Valerio can in any way be seen as a development of a theory that would enable an effective calculation with limits, understood in the modern sense. His contribution remains within the classical paradigm, even if it represents an essential contribution to this paradigm: a general method that makes treatment of the problems of quadrature and cubature easier and uniform. Rather than a precursor of limits, Valerio is the inventor of the method of exhaustion. 4. The Method for the Determination of Centers of Gravity 4. 1. A General Theorem for Centers of Gravity of Decreasing Figures We have seen how Valerio introduced the two classes of figures circa axim and circa diametrum, transforming particular properties of certain figures–the properties which Archimedes and Commandino had used for their demonstration– into a definition. If Valerio had stopped at this point–that is, at a re-demonstration of results already known for particular cases in a general manner–then his work would not be particularly significant. He would not have added anything new to existing mathematical knowledge, because the “decreasing figures” known at that time were essentially only those solids and plane figures already studied by Archimedes and his follower, Commandino; Valerio’s contribution to geometry would have been
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purely nominal. Many problems related to the geometry of measure undoubtedly would have been presented and resolved in a betterorganized manner, but the introduction of general objects would not have led to any real progress of mathematical knowledge. This was not the case, however. Valerio’s decreasing figures were not just a useful label that allowed him to express many known results in a few theorems. They were also a tool for invention and discovery. Propositions II-25 to 32 of De centro aim to establish a general method for the determination of centers of gravity of a particular class of decreasing figures satisfying certain conditions. This series of theorems culminates in proposition II-32, in which Valerio proves that if two figures decreasing around the same axis or diameter (one of which may well be a solid circa axim, and the other a plane figure circa diametrum, as Valerio underlines), always have proportional sections when they are cut by any two planes parallel to the base, then they have the same center of gravity: If the bases and any sections which we mentioned [i.e., parallel to the bases] of the two aforesaid figures around a common axis or diameter (or one [around] a diameter, the other [around] an axis), are proportional taken two by two, [then] the center of gravity of both will be the same point on the diameter or on the axis. 1
With this result, Valerio has gone beyond what was known in the corpus of Archimedean mathematics available in his times. Proposition II-32 of De centro represents an important result concerning the object that he has introduced (decreasing figures) and, at the same time, an instrument to investigate new results: in particular, the determination of the center of gravity of the hemisphere and, above all, of the hyperboloid. We will start our examination again with an application of this theorem: the determination of the center of gravity of the paraboloid. This is a paradigmatic case of the application of the theorem II-32, and probably gave origin to the theorem itself. Maybe the reader has noticed, however, that in his statement of prop. 32, Valerio refers to certain “aforesaid figures” ( praedictae figurae). In fact, Valerio’s theorem is not universal: he could prove it only for a particular sub-class of decreasing figures. We shall therefore briefly outline the route which led Valerio to define this sub-class, and the essence of his proof of II-32. 1 CGS-2, p. 53: “Propositio XXXII. Si duarum praedictarum figurarum circa communem axim, vel diametrum (vel alterius diametrum, alterius axim), bases et quotcumque sectiones quales diximus, binae in eodem plano fuerint proportionales; idem punctum in diametro, vel axe erit utriusque centrum gravitatis.”
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pier daniele napolitani · ken saito 4. 2. The Center of Gravity of the Paraboloid
Let us consider a triangle and a paraboloid (parabolic conoid). In the figure, the triangle ABC indicates the triangle itself, while the parabola ABC indicates the paraboloid, the solid generated by rotating the parabola ABC around its diameter BD. We already know (prop. I-22) that the center of gravity of the triangle is situated on the median, and that of the paraboloid is on its axis, and therefore both lie on the same straight line BD.
The center of gravity of the parabolic conoid (CGS-2 p. 75).
Now let the triangle and the paraboloid be cut by two planes parallel to the base of the paraboloid: the sections of the triangle will be d1 =NP and d2 =GK, and the corresponding sections of the paraboloid will be S1 and S2, the circles MQ and FL, respectively. It is easy to verify that 1 S1 :S2 =NP : GK =d1 :d2. Now it would be easy to conclude from this proportionality between the sections that the centers of gravity of the paraboloid and the triangle must coincide. In fact, if one considers stepped approximating figures to both the triangle and the paraboloid (made of parallelograms and cylinders, respectively), the proportionality of the sections guarantees that the centers of gravity of both approximating figures must coincide, and consequently, it is possible, by means of the standard techniques of
1 The circles S and S are to each other as the squares of their radii (Elements, XII-2), and the 1 2 radii are the ordinates of the parabola MQ and FL, so that those squares are to each other as the abscissae BO and BH (Conics, I-20). From the similarity of the triangles NBP and GBK it follows that BO is to BH as NP is to GK. Therefore, S1 : S2 = NP : GK = d1 : d2.
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double reductio ad absurdum, to deduce that the centers of gravity of the triangle and the paraboloid must coincide, too. This is what Maurolico had done. 1 Around 1565, he discovered that it was possible to deduce, from the proportionality of the sections of the triangle and of the paraboloid, the coincidence of their centers of gravity; and since the center of gravity of the triangle is known, that of the paraboloid can be determined. The center of the triangle is situated at 1 of the axis; in modern terms, it would be sufficient to show that the 3 sequence of the centers of gravity of the approximating figures of the paraboloid “converges” at this point. Maurolico demonstrated that the sequence of the centers of gravity of the inscribed (or circumscribed) approximating figures is monotonic, and that the point situated at 13 of the axis represents the upper (or lower) limit of this sequence, by showing that the distance between the center of gravity of the approximating figure and this point is 61 of the height of the individual cylinders that make up the approximating figure (parallelograms in the approximating figure for the triangle). Of course, this proof of “convergence” depends heavily on the fact that the center of gravity of the approximating figure for a triangle (or paraboloid) can easily be determined, which in turn depends on the specific property of the triangle (or paraboloid): the in/circumscribed parallelograms (or cylinders) form an arithmetic progression. It is not easy, however, to generalize a proof of this kind. Galileo, too, in his Theoremata de centro gravitatis solidorum written in 1587-88, followed a similar procedure, although the connection between the triangle and the paraboloid was much less explicit. 2 Thus the fact that the triangle and paraboloid have the same center of gravity was not an absolute novelty in Valerio’s time. 3 In any case, the central concern of our investigation is not so much whether he knew about these results a priori or discovered them in the course of his own research, but rather that from this topic he developed a theory and a completely new method for the determination of centers of gravity. Valerio’s fundamental idea can be summarized as follows:
1
For a detailed analysis of the works of Maurolico on this subject, cf. Napolitani- Sutto 2001. Galileo’s Theoremata was published in 1638 as an “Appendix” to his Two New Sciences. In Le Opere di Galileo Galilei, the Edizione Nazionale by A. Favaro, they are placed in Volume I, pp. 179-208, following the chronological order of their composition. 3 As for the hypotheses concerning the problem of whether Valerio knew the works of Maurolico on this subject, see Napolitani-Sutto 2001, § 7. 2
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To find the center of gravity of a decreasing figure F1, find another figure F2 such that the sections of F1 and F2 are proportional. Then, the center of gravity of F1 will coincide with that of F2.
This is a recognition of a general theorem about the centers of gravity of decreasing figures, that gave rise to theorem II-32 of CGS. However, attempting to apply this theorem presents an immediate difficulty. In the case of the paraboloid, it is relatively easy–by making use of the properties that characterize a parabola–to demonstrate the convergence of the sequence of centers of gravity of approximating figures at the center of gravity of the paraboloid. Furthermore, it is possible to reach this result from a precise calculation of the distance between the center of gravity of the approximating figures and a point which a posteriori must be the center of gravity of the paraboloid. But in general cases, the point of convergence is not determined, either a priori or a posteriori, nor is it possible to trace precisely the behavior of the sequence of centers of gravity of the approximating figures. The problem was by no means easy for Valerio, all the more because it was presented in the framework of classical mathematics; using the language of the theory of proportion, a direct approach was challenging, if not altogether impossible. We shall now try to illustrate how Valerio succeeded in working out his solution. 4. 3. The Material to Start With Even if we have just used modern terms like “convergence”, “sequence” and others (and, for the sake of clarity and simplicity of our exposition, we shall continue to do so), it is worth remembering that there is nothing even remotely similar to our concept of convergence of a sequence in the language of the theory of proportion. At any rate, there is nothing formalized or codified in a doctrinal corpus that makes it possible to face the problem of how the centers of gravity of approximating figures approach that of the approximated figure. Indeed, as we have tried to show in § 3, some of Valerio’s results can be seen as the first attempt to formalize and codify the know-how by which the Greeks evaluated areas and volumes, which we today call the “method of exhaustion”. In order to understand the significance of the problem Valerio was facing, it is well to turn to the work of his predecessors: Commandino and Archimedes. We have already seen that some of Valerio’s general theorems–in particular theorem I-22 (cf. § 2)–derive from proof techniques already known to them. In the present case, what material was provided to Valerio from his predecessors?
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Let us start with Commandino, who was undoubtedly one of his sources of inspiration. In the preface to his De centro Valerio states that he took the opportunity to set right Commandino, who, after finding the center of gravity of various solids, had ruined his work on the parabolic conoid “due to a flaw in his reasoning (syllogismi iactura)”. 1 Commandino deals with the proof of the center of gravity of the parabolic conoid at the end of his treatise, in propositions 28 and 29. In prop. 28, he wants to prove that it is possible to in/circumscribe a stepped figure approximating a paraboloid in such a way that the center of gravity of the approximating figure is as close as desired to the center of gravity of the paraboloid. 2
Commandino’s proposition 28 (LCG c. 41r)
His proof is as follows. Let P be the parabolic conoid with vertex b, on whose axis its center of gravity e is situated. Let a length g be fixed, and let H (h, in the figure) be a solid such that eb: g= P : H. Let an approximating figure C be circumscribed in such a way that C – P < H , and let k be its center of gravity. We want to prove that ek < g. As Commandino says, let us suppose ab absurdo that ek ≥ g. Then, because C
C
−P
>
P H
=
eb g
and by assumption that ek ≥ g, 1 CGS, Introduction: “Huius autem provinciae suscipiendi occasio fuit liber ille iam pridem editus Federici Commandini ... [in quo] cilyndri, et coni, et frusti conici centrum gravitatis ostendisset ... conoide parabolico tentato syllogismi iactura operam perdidisset.” 2 Commandino 1565, pp. 40v-41r: “Data quaelibet portione conoidis rectanguli, abscissa plano ad axem recto, vel non recto, fieri potest, ut portio solida inscribatur vel circumscribatur ex cylindris, vel cylindris portionibus, aequalem habentis altitudinem, ita ut recta linea, quae inter centrum gravitatis portionis et figurae inscriptae, vel circumscriptae interiicitur, sit minor quaelibet recta linea proposita.”
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pier daniele napolitani · ken saito eb eb ≥ , g ek
it follows that C
C
−P
>
eb . ek
From this, separando, we have: C − (C − P ) P = > C −P C −P
eb − ek . ek
Commandino at this point tacitly supposes that the point k is situated above e and therefore eb > ek, so that eb − ek = kb : C
P
−P
>
kb . ek
Then it is easy to conclude: let a length x be taken such that C
P
−P
=
x . ek
It is obvious that the length x must be greater than kb for this proportion to hold; if a point ᐉ is taken on the axis of the conoid above the point k such that the distance 冷k–ᐉ冷 is equal to x, this point will fall above the vertex b, that is, outside the conoid, because x > kb. From the above proportion (P : C – P =x:ek) and the law of the lever, this point must be the center of gravity of C – P, since k and e are the centers of gravity of C and P respectively. However, it is impossible for the center of gravity of C – P to fall outside the conoid. What is interesting in this proof is Commandino’s assumption that the centers of gravity of the approximating figure C always fall above the center of gravity of the conoid P. This is by no means justified, but it is equivalent to assuming that the sequence of the centers of gravity of the circumscribed approximating figures has an upper limit. 1 It is quite possible that Valerio was thinking of this proof when he wrote that Commandino had wasted his efforts, and had fallen foul of a “flaw in his reasoning”. 2 1 More precisely, the (value of) abscissa kb has an upper limit, which is a “lower” limit in the position of the center of gravity as a point in the figure. The case of inscribed approximating figures is dealt with in a similar manner, again with the tacit assumption that their centers of gravity fall below the center of gravity of the conoid, or in other words, that the sequence has a lower limit. 2 It might be thought that the object of Valerio’s criticism is proposition 29, in which
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Another no less important point is that Commandino does not use in his proof any property of the paraboloid other than the possibility of its being approximated by stepped figures made up of cylinders. Therefore, Commandino’s proof can be seen as the first step to elaborate a general theorem about the centers of gravity of decreasing figures, independently of specific properties of particular figures, while the route to follow had been indicated by Archimedes, in the second book of his On Plane Equilibriums. As we have seen in § 2.1, Archimedes determines the center of gravity of a segment of a parabola in this work. He constructs inscribed approximating figures (polygons inscribed “canonically” [gnōrimōs] in the segment of a parabola) and then he proves the following: 1. The center of gravity of the segment of the parabola is an upper bound for the sequence of the centers of gravity of the approximating figures, in the sense that they are always situated “below” the center of gravity of the segment (PE, II-5). 2. The center of gravity of the segment of the parabola is the supremum (least upper bound) of this sequence, in the sense that it is always possible to construct an approximating figure whose center of gravity is distant from the center of gravity of the parabolic segment by less than any given distance (PE, II-6). It should be noted that in proving the former, Archimedes also demonstrates that the centers of gravity of the approximating figures form a decreasing monotonic sequence, in the sense that if the number of sides of the polygon inscribed gnōrimōs is increased, the center of gravity always “rises”, and he uses this fact (which is quite trivial in the case of the parabola and its approximating polygons) to establish the conclusion. Commandino tries to determine the center of gravity of the conoid in a somewhat clumsy manner. In fact, he claims that he has proved that by doubling the number of cylinders inscribed in, and circumscribed around, the conoid, the centers of gravity of the inscribed and circumscribed approximating figures draw closer to the center of gravity of the conoid. He supplies the proof only for the case where there are 2 or 4 cylinders, limiting himself to the comment that the general case can be dealt with in the same manner (eodem modo). However, the matter is not so simple as Commandino claimed (or wished) to be: the calculation of the general case following Commandino’s method is extremely complicated. Valerio does not follow this path, though, as we have seen in the previous section; his problem is to demonstrate that the proportionality of the sections as confirmed in the case of the triangle and the parabolic conoids is enough to establish the coincidence of the centers of gravities of the decreasing figures in general (we will see this in § 4.4). We believe, therefore, that the “flaw in reasoning” that had struck Valerio should rather be sought in the logical flaws of Commandino’s proof of prop. 28, a proof which was presented as an important component in order to obtain the result that he was trying to achieve.
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Thus the material available at the end of the sixteenth century was rich enough to allow Valerio to try to prove in general the convergence of the centers of gravity of the approximating figures to the center of gravity of the figure. 4. 4. The Determination of a Subclass of Decreasing Figures and the Proof of Theorem II-32 of De centro The problem faced by Valerio, who was aided by the material described above, can therefore be summed up as follows: to determine suitable conditions for the following properties: • the sequence of the centers of gravity of the approximating figures circumscribed around a given decreasing figure is monotonic ; • the center of gravity of the figure is an upper bound of this sequence ; • the sequence of the centers of gravity converges at the center of gravity of the figure. In more intuitive and less modern language, the problem can be described in following terms. Firstly, it is hypothesized that every time the number of the small figures that make up the circumscribed approximating figure is “doubled” (or in other words, the height of the cylinders or parallelograms of which it is composed is halved), its center of gravity “descends” towards the base. Secondly, it is necessary to show that the center of gravity of the given decreasing figure always remains “below” the center of gravity of any one of its approximating figures. If these two results can be demonstrated, starting from appropriate hypotheses, it is then easy to show that a circumscribed approximating figure can be found, whose center of gravity is arbitrarily close to the center of gravity of the decreasing figure whose center of gravity is to be determined. One only has to apply the techniques of Archimedes contained in the second book of his Plane Equilibria or those developed by Commandino for the parabolic conoid. Then theorem II-32 can be proved easily. We do not intend to go into the details of Valerio’s complicated procedure here; we shall limit ourselves to an indication of how he may have arrived at the determination of a (sufficient) condition which guarantees the convergence a priori. 1 1 The reconstruction we present is based on an analysis of propositions II-26 to 29, in which Valerio proves the “monotonicity” of the sequence of the centers of gravity of the figures approximating a decreasing figure. We have to admit that this is a fairly free reconstruction; it goes without saying that, in line with the style of the mathematics of the period, Valerio does not supply any indication about the heuristics that led him to this result.
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The condition of convergence of the centers of gravity of approximating figures to the center of gravity of a decreasing figure.
Consider a figure F around which the approximating figure P * composed of P1* and P2* is circumscribed. If the heights of each of P1* and P2* are halved, another approximating figure P will be obtained, which is composed of P0, P1, P2 and P3. P1* is thus replaced by P0 +P1, and P2* by P2 +P3. If one wants the center of gravity of P to be “lower” than that of P *, it is sufficient that the upper part taken away from P * to obtain P is proportionally larger than the lower part that is taken away. From this intuitive fact, it is possible to deduce a sufficient condition for the convergence. It is clear that the center of gravity of P0 +P1 is lower than that of P1* (because the latter is situated on the line that separates P0 and P1, and the former will have to be below it, for P1 > P0 ). And similarly, the center of gravity of P2+P3 will be lower than that of P2*. Now, the center of gravity of P * is the point that divides the line joining the centers of gravity of P1* and P2* in the ratio P2*:P1*; and the center of gravity of P is the point that divides the line joining the centers of gravity of (P0 +P1) and (P2 +P3) in the ratio (P2 +P3):(P0 +P1). Since the centers of gravity of (P0 +P1) and (P2 +P3) are below those of P1* and P2*, we may hope that also the center of gravity of P will be lower than that of P *. For this to happen, it is sufficient for the ratio (P2 +P3):(P0 +P1) to be greater than the ratio P2*:P1*. This latter ratio is the same as P3 :P1, so that we have (P2 +P3):(P0 +P1) > P3 :P1. Alternately (cf. Elements V-14), and separando (V-17), 1 P2 :P3 > P0 :P1, 1 Though the propositions for the manipulation of ratios in the Elements are not proved for inequalities of ratios, these manipulations preserve the inequalities, too. Pappus explicitly proves this at the beginning of the propositions in Book VII of the Collection, and Campanus added the proofs of these inequalities at the end of his edition of Book V.
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that is, P0 :P1 < P2 :P3. Then, since the figures Pi (cylinders or parallelograms) are of equal height, they will be in the same ratio as their respective bases Si. Therefore, the relation between the figures Pi carries over to that between the bases Si, which are the sections of F taken at equal distances; so that: S0 :S1 < S2 :S3. One can easily see that this latter condition regarding four sections is equivalent to the following one, which consists only of three sections at equal distances: Sm :Sµ < Sµ :SM, Sm in which Sm, Sµ and SM designate the smallest, medium and largest sections respectively. 1 This result can be expressed as follows: For every group of three equidistant sections of a decreasing figure, the ratio of the smallest section to the medium one must be smaller than that of the medium to the largest one.
Assuming that this condition is satisfied (II-29), Valerio is now able to demonstrate that the sequence of centers of gravity of approximating figures circumscribed to a decreasing figure descend monotonically: Prop. II-29 (Summary): Given a decreasing figure circa axim or circa diametrum, whose sections are such that, if three equidistant sections are taken, the ratio of the smallest section to the medium one is smaller than that of the medium to the largest one, it is possible to circumscribe an approximating figure around it, whose center of gravity is closer to the base than any other [assigned] approximating figure. 2 1 Suppose that for each group of four sections the property under examination holds. Let three sections, Sm, Sµ, and SM be given. Taking a section σ1 at the midpoint between Sm and Sµ and a section σ2 at the midpoint between Sµ and SM, we will obtain, from the condition of four sections:
and that hence, ex aequali,
Sm : σ1 < Sµ : σ1 : Sµ < : σ2
σ2
: SM
Sm : Sµ < : Sµ : SM as desired. The converse is obvious. It should be observed that there is no explicit proof in Valerio of the equivalence of the property for the groups of four and that of the groups of three, even if, in the proof of theorem II-29, he passes from a consideration of three sections to four sections. 2 CGS, p. 47: “Datae figurae circa diametrum vel axim in alteram partem deficienti super basim
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Modern readers would expect here an explicit definition of a sub-class of decreasing figures by Valerio himself, which satisfies this additional condition, and for which he develops his new method for the determination of the centers of gravity (II-32, see below). However, Valerio does not give a name to this sub-class; we shall call it the class of “mµM figures”, for the sake of the convenience. 1 Proposition II-30 establishes that the center of gravity of an approximating figure must always fall “above” the center of gravity of an mµM figure, thus correcting the logical flaw Valerio had found in Commandino. Now Valerio has no difficulty, in II-31, in demonstrating that the sequence of the centers of gravity of the approximating figures circumscribed around an mµM figure has the center of gravity of the figure as its supremum (least upper bound): 2 It is possible to circumscribe around every said [mµM] figure a figure composed of cylinders, ... or parallelograms, in such a way that the distance from its center of gravity to the center of gravity of the said figure is smaller than any assigned length. 3
The proofs of propositions 30 and 31 closely follow the lines of Archimedes’ PE, II-6, and Commandino’s Liber de centro gravitatis, proprectam lineam vel circulum, vel ellipsim, cuius figurae basis et sectiones omnes parallelae segmenta aequalia diametri intercipientes ita se habeant, ut quarumlibet trium proximarum minor proportio sit minimae ad mediam, quam mediam ad maximam, figura quaedam ex cylindris, vel cylindri portionibus, vel parallelogrammis aequalium altitudinum circumscribi potest, cuius centrum gravitatis sit propinquius basi quam cui uslibet datae figurae, qualem diximus quae praedictae figurae circa diametrum vel axim circumscripta sit”. We have preferred here to offer a paraphrase rather than a faithful translation of this complex enunciation. We shall not dwell on the full proof of this proposition, expounded in (Passalacqua, 1991), pp. 91-6. We shall limit ourselves here to the observation that in order to conclude, Valerio makes use of a series of lemmas proved in preceding propositions, where he considers levers loaded with various sets of weights. 1 In modern terms, Valerio’s condition is equivalent to requiring that the figure be “logarithmically convex”. If f (x) is the monotonic function that defines the figure, Valerio’s condition can be translated into the requirement that ∀ x and for fairly small values of ⑀, the following must hold:
f ( x − ⑀) f ( x) < , f ( x) f ( x + ⑀) or, taking the logarithm of f, log f ( x − ⑀ ) + log f ( x + ⑀ ) < log f ( x ). 2 This means that the function f (x) must be concave. 2 We continue to suppose an abscissa that goes “down” on the diameter (or axis) starting from the vertex (cf. note 1 p. 100). 3 CGS, p. 51-II: “Omni praedictae figurae, figura quaedam ex cylindris, vel cylindri portionibus, vel parallelogrammis aequalium altitudinum circumscribi potest, cuius centri gravitatis distantia a praedictae figurae centro gravitatis sit minor quantacumque longitudine proposta”.
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osition 28. Thus they do not contain any interesting novelties. It should be emphasized once again, however, that what in Archimedes was a process of reasoning adapted to the particular case of the parabola, here becomes a general theorem, valid for all mµM figures. Having organized his basic material, Valerio can finally proceed to the proof of II-32, which generalizes the paradigmatic case of the paraboloid and the triangle: given two mµM figures, decreasing around the same axis or the same diameter, if the sections of these figures are proportional, then the figures will have the same center of gravity.
Proposition II-32 (CGS-2 p. 53).
The proof is simple. Let the two figures be G and T. The center of gravity G of G will be situated on their common axis. It is to be proved that G is also the center of gravity of T. If, ab absurdo, this were not true, let us suppose that it is situated at another point, H, which will fall either above or below the point G. If it falls higher, take a figure G * circumscribed around G, whose center of gravity K is distant from G by less than GH (II-31); therefore K will be situated under H. Let an approximating figure T * of T be constructed, which is “homologous” to the one just constructed, i.e., T * is made of cylinders (or parallelograms) of the same height of those circumscribed around G. Since the cylinders (or parallelograms) of T * and G * are as their bases, that is, as the sections of T and G which are always proportional by the premise of the proposition, T * and G * will have the same center of gravity K. 1 But then the 1 This result is guaranteed by a lemma, proposition II-25, which states that if there are two series of magnitudes along a straight line, which are, taken two by two, proportional and have
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center of gravity of T *, the approximating figure of T, would be situated below H, the presumed center of gravity of T : this is impossible, because it conflicts with proposition II-30. The case in which the center of gravity L of the figure T falls below G is treated in similar way. Before closing our examination of this proposition, we emphasize once again that, even if we have often used a modern terminology, we do not mean to imply that the concepts of sequence (progression), monotonicity, and convergence are present in Valerio–even less in Archimedes. These are concepts that are extremely useful in order to explain the general lines of certain procedures of Archimedes or Valerio, but they are not to be confused with what these authors actually prove. What we can interpret today in terms of the convergence of sequence of centers of gravity, were but lemmas introduced in order to reach a precise goal for them, and not lemmas for proving theorems about sequences. Archimedes wanted to reach a particular result: he intended to demonstrate that the centers of gravity of similar segments of the parabola are similarly placed, and hence to deduce the position of the center of gravity of the segment of a parabola. Valerio’s intention was more general: he wanted to obtain a theorem that would allow him, starting from appropriate premises, to determine the position of the center of gravity of one figure from that of another figure. However, a formalized theory of convergence of sequence, and the concept of sequence itself as a recognizable mathematical object, were alien to these two mathematicians. 4. 5. Beyond the Pillars of Hercules Theorem II-32 will prove to be an extremely powerful instrument in the hands of Valerio: it enables him to determine the centers of gravity of “all” the solids: “many of these in two ways, some in three ways” [“multa autem ex his duplici, quaedam triplici via”, as he proudly proclaims in the preface to De centro (p. 2)]. Here we mean by “all the solids” what we call “Archimedean solids,” in particular conoids and spheroids and their segments. The application of II-32 is very simple. Let us take II-41, the proof of the center of gravity of parabolic conoid we briefly sketched in § 4.2. the center of gravity in common, then the two series of magnitudes have the common center of gravity. (CGS-II-25, “Si sint quotcumque magnitudines, et aliae illis multitudine aequales, binaeque sumptae in eadem proportione, quae commune habeant centrum gravitatis, centra autem gravitatis omnium sint in eadem recta linea; primae et secundae tanquam duae magnitudines commune habebunt centrum gravitatis.”)
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First, Valerio demonstrates that the triangle and the parabolic conoid are two decreasing figures of the mµM class. Secondly, he shows that the sections of the triangle and the conoid are proportional. And at this point, les jeux sont faits: the conditions of proposition II-32 are satisfied, and he only has to apply it to obtain the result: the center of gravity of the parabolic conoid is the same as that of the triangle, so that it divides the axis in the ratio of 2:1. For Renaissance geometry, the center of gravity of the parabolic conoid was a sort of extrema Thule: nobody, not even Maurolico – probably the greatest mathematician of the XVI century – had proceeded beyond it. Furthermore, the result was already known from Archimedes’ Floating Bodies, and this work had guided Commandino in his unsuccessful attempt to devise a convincing proof. Valerio goes well beyond these Pillars of Hercules: he easily succeeds in determining centers of gravity which were wholly unknown in the mathematics of his period: in particular, that of the hemispheroid and – above all – that of the hyperbolic conoid (hyperboloid) which is undoubtedly one of the most difficult results in the classical-Renaissance mathematics. 1 1 The only other attempt known to the authors of the present article to determine the center of gravity of the hyperboloid in the Renaissance period was that of the young Galileo, who wrote to Guidobaldo del Monte on July 16, 1588: « On another occasion, I will send you the proof that in obtuse-angled conoid [=hyperboloid], the center of gravity divides the axis in the following way: the part towards the vertex has to the remaining part the same ratio as the sum of the axis and the double of the annex the axis has to the sum of the annex to the axis and one third of the axis. » (“Un’altra volta gli manderò dimostrato che in conoide obtusangulo centrum gravitatis axem ita dividit, ut pars ad verticem ad reliquam eandem habeat rationem, quam composita ex axe et dupla ad axem adiectae habet ad compositam ex adiecta et tertia parte axis. (Galilei 1968), X, p. 36. The italics are in this edition). The result that Galileo communicates to Guidobaldo is, however, wrong: at least if “annex to the axis” (adiecta ad axem) is taken to mean the line between the vertex and the center of the hyperbola, that is, half of the latus transversum of the hyperbola in classical language, as was the standard usage of the term. Archimedes had presented the result for the hyperbolic conoid in his Method (proposition 11, without supplying any kind of proof, though) in these terms: “The center of gravity of a segment of an obtuse-angled conoid is situated on its axis, at the point which divides the axis in such a way that its part towards the vertex has, to the remaining part, the ratio which [the sum of] three times the axis and eight times the annex has to [the sum of] the axis of the conoid and four times the annex of it”. However, the Method was unknown before its rediscovery by Heiberg in 1906. It is worth mentioning en passant that Galileo repeatedly stated that he had given up the idea of publishing his early work, Theoremata, because “some time later, he ran across the book of Luca Valerio, a prince of geometers, and saw that this resolved the entire subject without omitting anything; hence he went no further, though his own advances were made along quite a different road from that taken by Valerio.” (“incontratosi, dopo alcun tempo, nel libro del Sig. Luca Valerio, massimo geometra, e veduto come egli risolve tutta questa materia senza niente lasciar in dietro, non seguitò più avanti, ben che le aggressioni sue siano per strade molto diverse da quelle del Sig. Valerio. Galilei 1968, VIII, . 313; at the end of the “Fourth Day”. English translation by S. Drake in Galileo, Two New Sciences, Madison 1974. p. 260.) It may be conjectured that one of the things he read in the book of “a prince of geometers” which convinced him to
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However, as we shall see, there are quite a few obscurities in the use that is proposed of II-32. Here the Royal Road tends to get lost in a maze. We shall try to explore this – and to understand the cause for this phenomenon – in the following section. 5. The Dissolution of Form 5. 1. Bomarzo Park Valerio’s method for the determination of the center of gravity of a figure can thus be summed up as follows: • selection of a figure whose center of gravity is known, or at least can be determined, and whose sections are proportional to those of the figure whose center of gravity is sought ; • proof that these figures belong to the mµM class ; • application of theorem II-32 and reduction of the unknown center of gravity to that of the known figure. Availing himself of this method, Valerio not only found outstanding results, as mentioned above, but he also moved away from the realm of classical mathematics. He developed, at least partially, a far more quantitative way of conceiving the relationships between figures than classical mathematics had ever done. However, almost frightened by his own audacity, he then provided alternative proofs, which were, in his opinion, “more natural” (magis naturalis). The swing between radical innovation and fidelity to the classical paradigm is perhaps one of the main reasons for the obscurity of a large part of Books II and III of De centro, and the difficulty in their reading. No doubt this is not the only reason: we have already mentioned the problems involved in the editorial process of the book, which was printed in two editions without careful revision by its author (see § 1.4, above). In particular, the third book was added to the first two in the autumn of 1603, which explains at least one of the peculiarities in this book. In proposition III-5, Valerio proves that every convex figure is an mµM figure in our terms. This practically exempts him (or is presumed to exempt him) from proving that the figures that he considers (for example, the hyperboloid) belong to the mµM class. However, in spite of this proposition, Valerio (in the second book, above all) presents complex, laborious arguments to prove that the figures at issue are mµM figures. abandon his research in this field was the determination of the center of gravity of the hyperboloid: Valerio’s result in fact refuted what Galileo thought he had demonstrated.
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Here we shall concentrate on the problem of his alternative proofs for the center of gravity of hyperboloid, which seem to us a retrogression, though he regards them “more natural”. Before we start our examination of these proofs, we should remember the taste of Valerio’s time, in which people admired wonder, repetition, and complexity. At Bomarzo, near Viterbo, there is a famous park which was built by the Orsini family in the sixteenth century. Walking along its avenues one suddenly encounters grotesque statues, monsters, grottoes, and labyrinths. Valerio’s De centro – and in particular the third book – is a bit like this beautiful and disturbing garden; yet its most interesting parts, those which introduce innovations, seem to have been forgotten by later historians. The aim of the present section is to extend an invitation and offer a sort of visitors’ guide, to explore its complexity in more detail. 5. 2. A Monster: the First Demonstration of the Center of Gravity of the Hyperboloid Let us start with an analysis of proposition II-43, which deals with the center of gravity of hyperbolic conoid; this is perhaps the most difficult problem concerning the solids of rotation of conic sections, and offers a good example of the significance and the limitations of Valerio’s general theorem: Let ABC be a hyperboloid, generated by the rotation of the hyperbola ABC about the axis BD. Let BE be the latus transversum of the hyperbola. From the property of the hyperbola, for any point S on the curve, the following proportion holds (cf. Apollonius, Conics, I-21): SQ2 :BQ ×QE =CD2 : BD ×DE =constant. We explain Valerio’s proof in algebraic terms. This is a choice that might imply a certain lack of faithfulness to the subject of Valerio, but it has the advantage of making certain essential points easier to understand, at least for us modern readers, who are not so familiar with the language of the theory of proportion. Let BD=a, BE=b, and imagine a system of coordinates whose origin is B. Let k be the constant ratio in the symptom of the hyperbola. The equation of the hyperbola is y2 =kx (b+x), which is equivalent to: y2 =kx2 +bkx.
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The center of gravity of the hyperbolic conoid (CGS-2 p. 79).
Now, the left-hand side, y2, is proportional to the circle-section of the hyperboloid by a plane like SZ parallel to the base (in modern notation, the circle SZ has area πy2). The right-hand side, on the other hand, can be separated into two parts: kx2, which is proportional to the square of the abscissa BQ (= x), and bkx, which is proportional to the abscissa itself. Now it is possible to construct two figures, a cone and a paraboloid, whose sections are respectively proportional to these two parts of the right-hand side of the equation. Taking any point M on AD, and letting MD=p, describe a parabola passing through M, with axis BD and vertex B; the equation of this parabola MBN will be
y2 =
p2 x. a
Then consider a triangle BKD, where the point K is taken on the line
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AD such that MD2 :DK2 =BE:BD=b:a). The equation of the cone C obtained by rotating this triangle around the axis BD is:
p2 2 x . ab
y2 =
Similarly, rotating the parabola generates a paraboloid P. If we cut all these solids of rotation (the hyperboloid I, the cone C and the paraboloid P ) by a plane SZ which is parallel to the base (and therefore perpendicular to the axis), the sections that are obtained will be circles; we designate them by Cir (I), Cir (C) and Cir (P), respectively. It can then easily be shown that: 1 Cir (I)=
abk (Cir (C)+Cir (P)). p2
This relation holds for any circles of section generated by any plane such as AC, parallel to the base. Since the ratio abk is constant, for any two p2 sections obtained by parallel planes such as αζ and SZ, the ratio between circles Cir (I) is the same as the ratio between the sums of the circles Cir (C)+Cir (P). Therefore, it follows from II-32 that the center of gravity of the hyperboloid I is situated at the same point as the center of gravity of the figure C + P, the cone C and the paraboloid P put together. As the centers of gravity and the magnitudes (volumes) of the cone and the paraboloid are already known, it is easy to determine the center of gravity of the hyperboloid I using the law of lever. 2 Of course, Valerio’s arguments and conclusion are expressed in the language of the theory of proportion without any symbolism or algebraic formulas, and therefore they are much more complicated (e.g., see the quotation of Valerio’s enunciation in note 2 p. 112-113). Valerio indeed introduced a series of lemmas so that he could manage the situation more easily. What appears to be the most interesting point in this proof is not his alleged use of infinitesimals, because he does not use infinitesimals at all in this proposition. Those arguments concerning the convergence of the centers of gravity of approximating figures are treated once and for all
Fp x H ab
In fact, Cir (C) + Cir (P) = π
2
I K
p2 p2 x = π x ( b + x ) and Cir (I) = πkx (b + x).) a ab 2 To be precise, as we designate the length of the axis BD common to the three figures by a, the center of gravity of the paraboloid is situated at 2/3a, and that of the cone at 3/4a (measured from the vertex). And from the construction of C and P, it is easily confirmed that C : P = a : 3/2b. 1
2
+
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in proposition II-32, and encapsulated therein; they do not appear here in proposition II-43, which we are examining (they should not reappear any more, as long as II-32 is valid; but we must not forget that we are in Bomarzo Park). The central point, in our opinion, is the dissolution of the hyperboloid into two figures whose centers of gravity are known, and the ratio of whose volumes is known. What is even more striking is that the center of gravity of the hyperboloid I is linked to the center of gravity of an impossible solid, a true monster: the sum of the cone C and the paraboloid P, which partially overlap each other. This object, C + P, is not a normal solid that can exist in the common sense of the term and in the spatial intuition of classical geometry; furthermore, the cone and the paraboloid are determined in a purely formal manner, starting from a decomposition of the symptom of the hyperboloid into two terms. In this sense, these solids are more instruments than geometrical figures that possess existence of their own. They are pieces that can be reused. Here the object of interest shifts from geometrical figures as such, which possess a form and position, to their quantitative properties and relationships between them, or better, to the relationship between their sections. As we mentioned in the beginning of this section, Valerio seems to be scared by his own audacity. We have just seen his determination of the center of gravity of the hyperboloid, using the “monster” C + P ; he goes so far as to theorize this procedure in a special corollary to proposition II-32, in which he states that the theorem just proved maintains its validity even if, instead of considering single figures of the mµM class, one considers their sum. But then in Book III, we find some complications, for Valerio proposes an alternative proof as a “more natural” – magis naturalis – one in which not only are monsters avoided, Therefore, the center of gravity of P + C (which coincides with that of the hyperboloid I ) will be situated at a point x, such that
x − 2 a : 3 a − x = C : P = a : 3 b. 3 4 2 Hence it is then relatively easy to reach the conclusion of Valerio’s enunciation of proposition II-43: “The center of gravity of a hyperbolic conoid is a point that can be found – if the axis is divided into twelve parts – in the fourth part starting from the base, which divides the said fourth part in such a way that the part nearer to the base is to the remaining [part], as 3/2 of the latus transversum [b] of the hyperbola that generates the [hyperbolic] conoid is to the axis of the conoid [a].” (“Omnis conoidis hyperbolici centrum gravitatis est punctum illud, in quo duodecima pars axis ordine quarta ab ea, quae basim attingit, sic dividitur, ut pars basi propinquior sit ad reliquam, ut sesquialtera transversi lateris hyperbolas, quae conoides describit ad axim conoidis.” CGS, II-p. 78)
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but so is theorem II-32. However, before examining this alternative, let us have a look at another technique he uses in order to determine centers of gravity. 5. 3. Bowls and Other Oddities: the center of Gravity of the Hemisphere Let us continue, for the sake of simplicity, to use algebraic language. Valerio deals with the center of gravity of the hemisphere in proposition II-33. 1 Consider a hemisphere H generated by the rotation of the circle x2 =r2 –y2 (0 ≤ x ≤ r) and a cone C generated by the rotation of y=x around the y-axis, whose base circle is opposite of that of the hemisphere. Let K be the cylinder circumscribed around C and H. If we cut these three solids by an arbitrary plane P perpendicular to the axis, the radius of the section of H is x, that of the circumscribed cylinder K is r, and the radius of the section of the cone is y. It is easy to show that the section of the cone (a circle of radius y) is always equal to the section of the “bowl” S, the solid figure obtained by taking away the hemisphere H from the cylinder K. Therefore C and S will have the same center of gravity. The center of gravity of the cone is known, and that of the cylinder is known, too. And since K = H + S, we can easily deduce that the center of gravity of the hemisphere divides the axis in the ratio of 5:3, using the law of the lever. This proposition could have been a model of simplicity, like the one for the parabolic conoid (II-41), if Valerio had not reintroduced, for some reason which remains to us completely obscure, approximating figures of the cone and the hemisphere, dwelling on prolix arguments in order to show that the figures in question are of the type mµM. Apparently not satisfied by this proof, Valerio provides two other proofs in Book III, including also the hemispheroids in the enunciation. One is proposition III-31, which is essentially the same as the one we 1 Valerio had already introduced his famous bowl to determine the volume of the hemisphere in proposition II-12. We do not repeat this well-known proposition, partly because it is essentially contained in Valerio’s arguments of its center of gravity in II-33. It should be observed, however, that the studies that have occasionally dwelt on proposition II-12 to create the image of a Valerio as a precursor of infinitesimal calculus generally have not appreciated the fact that this determination of volume, like others found in De centro, is in a certain sense a sort of by-product of the method for the determination of centers of gravity in II-32, a proposition that has never been studied with the attention that it deserves.
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have just seen, except that the treatment is by far in good order. The other, exposited as aliter to III-31 is more interesting to us.
The bowl to determine the center of gravity of the hemisphere.
Hemisphere in De centro. Approximating figures to the cone and to the bowl are constructed (CGS, II-33).
Given the hemisphere ABC generated by the rotation of x2 =r2 –y2, Valerio considers two parabolas, one (P1) with axis AD and vertex A (curve ARB), the other (P2) with axis CD and vertex C (curve CSB), both passing through the point B. Designating the radius of the hemisphere by r, the equation of P2 will be:
x=
r 2 − y2 . r
Consider the plane figure F enclosed by P1 and P2. It can immediately be seen that the ratios between the circle-sections of the hemisphere H and the line-sections of F parallel to the x-axis (AC) are proportional, for example, Cir (KH):Cir (LM)=PQ:RS, etc. Consequently, the hemisphere and F have the same center of gravity. To determine the center of gravity of the bizarre “parabolic triangle” F, Valerio divides it into triangle ABC and the remaining figure which consists of two parabolic segments ARB
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and CSB. The center of gravity of the latter is determined in III-23, using the second book of Archimedes’ PE.
The second proof of the center of gravity of the hemisphere (III-31, aliter).
Valerio’s investigation of the center of gravity of the hemisphere confirms what we stated about the hyperboloid: the figures tend to dissolve into their purely quantitative aspect. The introduction of the parabolic triangle F is completely ad hoc: even if this is not such a monster as the sum of the conoid and the cone, it is nonetheless a bizarre object, and strange for eyes that are accustomed to the regular figures of classical geometry, defined by a uniform procedure of construction. Its role is, once again, purely quantitative, even if the proof was intended to gain admiration of the reader by successfully comparing two things as different as a solid sphere and a plane figure delimited by parabolas. At the same time, the introduction of the bowl can be interpreted as an attempt to moderate this dissolution of the shape, and of the geometric object defined by a procedure of construction, in honor of a more classical point of view. The bowl is, in a certain sense, a natural object: it “exists” and it can be determined by a single procedure of construction. True, the proof depends ultimately on the identification of a quantitative relationship that is crucial for the argument: the sections of the cone are equal to the difference between the sections of the cylinder and those of the hemisphere. But here, this relationship can be interpreted in a more natural way, easier to express by a “natural” solid conforming to the classical paradigm. 5. 4. Where Does the Royal Road Lead? The process of “naturalization” or “geometrization” of the quantitative relationships is even more evident in the alternative proofs for the center of gravity of the hyperboloid. Clearly dissatisfied by the monstrous solid that he introduced in Book II, Valerio not only proposes another solution in Book III, but also goes so far as to add an appendix dedicated
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exclusively to a solution of this problem in a “more natural way”. Apparently, the aims of this triplication of the proof were to eliminate the need to make use of monstrous figures, and to give a solution conforming to the paradigm of classical geometry. In proposition III-39, the center of gravity of the hyperboloid is determined by reducing it to the determination of the center of gravity of a parabolic triangle. Consider the segment of hyperboloid ABC, with the axis having length s=BD, generated by the rotation around the x-axis (BD) of the hyperbola with its vertex at its origin and the latus transversum 2a=BE: y2 =k2x2 +2ak2x. Then the segment contained by the base AC and two parabolas AOB and CPB symmetrically arranged in respect to the axis x, y=± u (k2x2 +2ak2x), has the same center of gravity as the segment of hyperboloid on the x-axis, for any constant u. Valerio constructs these parabolas so that they pass through the same points A and C as the hyperbola, at the base AC of the segments of hyperboloid. 1 He calls the figure T contained by symmetric parabolas
Hyperboloid and parabolic triangle in prop. III-39 1
In our algebraic language, this condition is satisfied if u =
1 . k s 2 + 2as
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and the straight line AC a “parabolic triangle”. Thus, also in this case, the determination of the center of gravity of T is linked to the center of gravity of parabolic segments. By means of somewhat complex proofs, he divides this segment into triangle KBL (lines BK and BL are tangents to the parabolas at the vertex B) and the remaining parabolic segments, then from the centers of gravity and areas of these figures he determines the center of the whole segment, which coincides with that of the hyperboloid. Once again this is a case of “instrumentalization”: also the parabolic triangle T is an oddity (note that it is not even a convex figure). However, its introduction makes it possible to avoid a recourse to the sum of the paraboloid and the cone partially overlapping each other. But Valerio is not yet satisfied. At the end of the third book, he writes: And at this point, we would have arrived at the end of the third book, but for the fact that when the printing of the second book was already finished, another more natural road to the center of gravity of the hyperbolic conoid occurred to me. This (it should be included in the second book, but I will expound it now, among the seven propositions of the following appendix) proves the conclusion by dividing the aforesaid conoid into a parabolic conoid with the same vertex and axis, and the remaining solid figure, without [recourse to] the composite [figure] from two circumscribed figures made of cylinders. 1
In short, this solution uses a bowl: this time a paraboloid is to be hollowed out inside the hyperbolic conoid. Let I be the hyperboloid created by rotating the hyperbola y2 =k2x2 +2ak2x about the x-axis (BD). Then the parabola y2 =2ak2x will generate a paraboloid P with the same vertex and axis as I. If we use S to indicate the hyperbolic-parabolic bowl obtained by removing the paraboloid P from the hyperboloid I, then S will be equal to the cone C generated by the rotation of y=kx around the x-axis. It would be quite 1 CGS-III, p. 79: “Et hic huius tertii libri finis esset, nisi, secundo iam impresso, alia quaedam via magis naturalis me ad conoidis hyperbolici centrum gravitatis reduxisset. Ea igitur, in secundum librum alias inserenda, nunc in sequenti appendice septem propositionibus exposita, per sectionem praedicti conoidis in conoides parabolicum eodem vertice et circa eundem axim, et reliquam figuram solidam, absque composito ex duabus figuris circumscriptis, quae ex cylindris componuntur, propositum concludat. Note that in the sentence “absque composito ... componuntur” Valerio refers to the corollary to II.32, which provides the theoretical basis for using the “monster” (paraboloid + cone) introduced in II.43.
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The hyperbolic-parabolic bowl in the Appendix: Paraboloid GBH is taken away from hyperboloid ABC.
easy to prove that the three figures at issue belong to the mµM class, and that consequently, applying II-32 to them, C and S have the same center of gravity. Then, since I = S + P and the centers of gravity of S and P are known, one could easily determine the center of gravity of I, for it is possible to determine the ratio P : S. This is, at least, the proof that we might expect from our knowledge of proposition II-32. But it is not at all what we find. On the contrary, what is employed here to obtain the ratio P : S is the method of exhaustion developed at the beginning of the second book; then there appear the demonstrations concerning approximation of paraboloid and hyperboloid (Appendix, prop. 4 and 5), though they are already generally demonstrated in I-11. Lastly, in proposition 6, in order to determine the center of gravity of the hyperbolic-parabolic bowl S, Valerio, wishing to avoid recourse to proposition II-32, seems to refer to a proposition of Book I (prop. 38) which is not applicable here, for it is explicitly stated for convex figures. 1 Now we have enough reason to be perplexed. Here not only has the use of monsters been eliminated, as well as the use of figures as demon1 We say ‘Valerio ... seems’ because the quotation that Valerio provides is generic: “from what we demonstrated in Book I” (“ex iis igitur quae in primo libro demonstravimus”). However, we do not enter into details of this highly obscure proof. An analysis of proposition I-38 can be found in (Passalacqua 1991), pp. 70-71.
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strative instruments, but it is the whole methodological structure of De centro that is tottering. The Royal Road peters out into a “more natural” one (via magis naturalis), which is very similar to the paths followed by Archimedes and Euclid long time ago. 6. A Dead End? 6. 1. Significance and Limitations of Valerio’s Geometry We have just seen that Valerio’s Royal Road seems to fade out into nothing, in a multiplication of theorems, techniques, and obscure crossreferences. No doubt this is one of the reasons why Valerio did not enjoy the celebrity of a Cavalieri, and he has always been the victim of partial, or distorted readings and interpretations, even among his contemporaries. 1 Yet, on the other hand, his work had a far greater influence than might appear at first sight. Let us try to sum up briefly what we have discovered in our reading of De centro: • Valerio was the first to break with the Greek model of the mathematical object : he introduces, and uses, classes of figures defined by one or more properties, to prove theorems that are more general and productive (in particular theorem II-32); • he invented the method of exhaustion, codifying in a series of general theorems, the classical technique to establish quantitative relationships between geometric figures. For the first time, the conditions to use that know-how of Euclid and Archimedes were formulated in a explicit way; • in theorem II-32, he introduces ante litteram one of the techniques (the so-called second method of indivisibles) which Cavalieri later codified in his Geometria; • he treated some basic figures as pieces that could be assembled and re-used, although with the limitations of the language of classical geometry. Each of these contributions was to have a considerable influence on his contemporaries. But, as we have tried to illustrate, Valerio seems to draw back before the potential consequences of the novelties that he himself introduces. It is clear, for example, that the results he obtained to prove II-32 could easily be translated into a general theorem about the ratios between two figures: Cavalieri’s principle. Valerio could have 1 As regards the renown and the destiny of Valerio’s work, see Napolitani 1982, § 4.2, pp. 80-85.
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taken this step without any effort; he had at his disposal the material, the techniques, and the methodological know-how to do so. But he did not. His quadrature and cubature (hemisphere, paraboloid, hyperbolicparabolic bowl and yet others) are performed without making use of any “Valerio’s principle”, but are treated in a classical manner (even if he uses his method of exhaustion introduced at the beginning of Book II). We have also seen that he was perfectly capable of dealing with triangles and parabolas, cones and paraboloids, as if they were instruments or “parts” to “assemble” more complicated figures. However, it is nonetheless true that Valerio did not have at his disposal the necessary expressions to carry out the “instrumentalization” of the figures completely. He did not possess a language that corresponded precisely to the “instruments-figures”, and had to express the results of the division of the symptom of the hyperbola in terms of two real solids, the paraboloid and the cone, that occupy their places in the same three-dimensional space. They were still geometric magnitudes, not yet abstract quantity. This caused a problem, that of a figure composed of two figures partially superimposed, which is just incidental for us, but created a serious obstacle for him, an unsurmountable difficulty in his language of the classical mathematics. We have chosen to express Valerio’s results in algebraic language. We hope that this choice has not been misleading. In fact, all three proofs that he proposes for the center of gravity of the hyperboloid are algebraically equivalent; they are all based on the same idea of splitting the equation of a hyperboloid into two terms, if not to say that they are reduced to a single demonstration. Geometrically, however, they are not the same thing at all. The monstrous figure, in which a cone and a paraboloid are united, is one thing; an elegant hyperbolic-parabolic bowl is quite another. And the required techniques are different – often wildly different – if one treats the case by the classical theory of proportion. Indeed, Valerio was a classical geometer. Even if he was a contemporary of Viète, he was not even remotely influenced (like many other Italian mathematicians of his generation and the next) by the revolution that the French mathematician was introducing into geometry: the creation of a sort of union between the abstract manageability of numbers and the ease of representation of geometric magnitudes. Between the use of a general theory and an elegant demonstration à la grecque, he ended up by preferring the latter. Ultimately, it was Valerio’s classical mentality that prevented him fully elaborating and expoliting the more innovatory aspects of his work.
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pier daniele napolitani · ken saito 6. 2. New Wine into Old Bottles: Valerio’s Inheritance
However, if we turn to the person responsible for the direct continuation of Valerio’s work – Bonaventura Cavalieri – we cannot but be caught by the same sensation. In Cavalieri, all the aspects of Valerio’s work we have noticed above are repeated and amplified: indeed, they are developed to a much higher level of abstraction. In particular, the process of instrumentalization of the figure, which appears in Valerio with hesitation and even with confusion, is raised to the level of a method, or a system. The concept of “all the lines” of a figure, a new mathematical object introduced as a class of magnitudes distinct from that of the figures themselves, made a great contribution to the attempt to extract and generalize quantitative relationships between figures. 1 But also in Cavalieri it is possible to see, at least in part, the same phenomenon we have described of Valerio. The classical language of the theory of proportion is suitable to describe figures with fixed positions and with positional relationships with other figures. It was not a language devised to express abstract relationships between magnitudes, independent of their position. Cavalieri’s insistence for this conceptual framework let his geometry become extremely complex and obscure, as with Valerio. It is no wonder that Cavalieri is renowned for the difficulty of his works. There is another aspect to be taken into consideration. We stated several times that Greek geometry does not deal with general objects. This implies a drastic limitation of the objects of geometry, and consequently of the problems to be solved. Valerio’s De centro had practically exhausted everything that was available on the mathematical market at that time regarding centers of gravity. Cavalieri’s Geometria discussed practically all the problems of squaring and cubing, conquering even the new Keplerian solids, parabolas of a higher order, and bizarre problems like the determination of the center of gravity of a body with variable density. In a word, the language of the classical theory of proportion could no longer develop general problems suitable for the general methods that had been introduced. The way to these methods had been opened by Valerio, and Cavalieri proceeded further ahead: but then little remained to be done. The introduction of ars analytica into geometry was to break this wall; it was not so long before Descartes opened a practically infinite new world for mathematicians, by identifying the 1
On this subject, see Giusti 1980 and Andersen 1984.
royal road or labyrinth?
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curves with their equations. The Greek model of geometry was abolished once and for all. It is difficult, however, to imagine Cavalieri and Descartes without Valerio, to imagine their radical innovations without the methodological novelties of De centro gravitatis solidorum. In conclusion, we could say that Valerio put some good new wine into an old goatskin. In itself, this is not a wise thing to do: new wine should be put into new goatskins, for it bursts the old ones. But in this specific case, it was not so bad that the new wine burst the old wineskin: in other words, the impact of Valerio’s work provoked a crisis in the rigidity of the classical paradigm, and helped to create the conceptual context that was to lead to the birth of modern mathematics. References Andersen, Kirsti (1984), Cavalieri’s Method of Indivisibles, «Archive of History of Exact Sciences», 31, pp. 291-367. Baldini-Napolitani (1991), Baldini, Ugo and Napolitani, Pier Daniele, Per una biografia di Luca Valerio. Fonti edite e inedite per una ricostruzione della sua carriera scientifica, «Bollettino di storia delle scienze matematiche», 11, fasc. 1, pp. 3-157. Bosmans, Henri (1913), Les démonstrations par l’analyse infinitésimale chez Luc Valerio, «Annales de la Société Scientifique de Bruxelles», 37, pp. 211–228. Clavius, Christoph (1992), Corrispondenza. Edizione critica a cura di Ugo Baldini e Pier Daniele Napolitani, Dipartimento di Matematica dell’Università di Pisa. Commandino, Federico. Liber De centro gravitatis solidorum, Bologna, Alessandro Benacci. Euclid (2001), Les Elements, traduction et commentaire par B. Vitrac, vol. IV, Paris, P.U.F. Galilei, Galileo (1964–68), Le opere di Galileo Galilei, nuova ristampa dell’edizione nazionale, 20 vols., Florence, Giunti Barbera. Giusti, Enrico (1980), Cavalieri and His Method of Indivisibles, Rome, Cremonese. Giusti, Enrico (1998), Ipotesi sulla natura degli oggetti matematici, Turin, BollatiBoringhieri. (French translation: La naissance des objets mathémathiques, Paris, Ellipses, 2000.) Maracchia, Silvio (1992), Luca Valerio matematico linceo, in La matematizzazione dell’universo. Momenti della cultura matematica tra ’500 e ’600, Assisi, Edizioni Porziuncula, pp. 253–302. Maurolico, Francesco (1685), Admirandi Archimedis Syracusani monumenta omnia mathematica, quae extant, ... ex traditione doctissimi viri D. Francisci Maurolyci, Palermo, “apud Cyllenium Hesperium”. Napolitani, Pier Daniele (1982), Metodo e statica in Valerio, «Bollettino di storia delle scienze matematiche», 2, fasc. 1. Napolitani-Sutto (2001), Napolitani, Pier Daniele and Sutto, Jean-Pierre, Francesco Maurolico et la détermination du centre de gravité du paraboloïde, «SCIAMVS», 2, pp. 187-250. Passalacqua, Lorena (1991), All’alba della matematica moderna: il De centro gravitatis
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canacci, bonini e gli abacisti della famiglia grassini
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Elisabetta Ulivi RAFFAELLO CANACCI, PIERMARIA BONINI E GLI ABACISTI DELLA FAMIGLIA GRASSINI 1. Introduzione
Il gruppo di matematici di cui ci occuperemo nel corso di questo lavoro furono attivi tra l’ultimo quarantennio del XV secolo ed il primo trentennio del XVI, sia come maestri d’abaco sia come autori di trattati che rientrano nel filone della tradizione abacistica. Il nome più noto è quello di Raffaello Canacci. Di lui si ricorda soprattutto La regola dell’argibra o Ragionamenti d’algebra, uno dei pochi manoscritti dei secoli XIV e XV di argomento interamente algebrico, 1 e contenuto nel codice Palat. 567 (c. 1495) della Biblioteca Nazionale di Firenze. 2 In molte parti simile al precedente è l’anonimo Vilume del’argibra, manoscritto Ricc. 2265 (c. 1490) della Biblioteca Riccardiana di Firenze. Sempre del Canacci e più tipologicamente da inquadrare nell’ambito della matematica dell’abaco sono: il Trattato d’arismetricha, pervenuto in due copie nei codici Ricc. 2408 (c. 1485) e nel Redi 101 (c. 1485) della Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze, il Fioretto dell’abacho, nel codice fiorentino Magl. XI, 99 (1490) della Biblioteca Nazionale, ed infine Alchuna ragione, nel Cod. Ital. 334 (1496) della Bayerische Staatsbibliothek di Monaco. 3 La famiglia Grassini ebbe quattro abacisti: Iacopo di Antonio ed i suoi figli Antonio, Giovanni Maria e Marco. Di M° Iacopo conosciamo due scritti: l’Opera alla merchatantia, nel codice Barb. Lat. 3956 (1492) della Biblioteca Apostolica Vaticana, ed il Libretto d’abacho, nel Magl. XI, 123 1 Sull’argomento si veda Laura Toti Rigatelli, L’algebra in Italia nel Tre-Quattrocento, in Contributi alla Storia delle Matematiche. Scritti in onore di Gino Arrighi, Modena, Mucchi, 1992, pp. 41-49. 2 L’opera è stata trascritta e studiata in Angelo Procissi, Sui “Ragionamenti d’Algebra” di Raffaello Canacci, «Atti dell’Accademia Ligure di Scienze e Lettere », IX (1952), pp. 55-76; Idem, I “Ragionamenti d’Algebra” di Raffaello Canacci, «Bollettino dell’Unione Matematica Italiana», III, 9 (1954), pp. 300-323, 420-451; Raffaello Canacci, Ragionamenti d’Algebra: I problemi, a cura e con introduzione di Angelo Procissi, «Quaderni del Centro Studi della Matematica Medioevale», VII, Siena, 1983. Sul suo contenuto si veda anche Raffaella Franci, Laura Toti Rigatelli, Towards a history of algebra from Leonardo of Pisa to Luca Pacioli, «Janus», 72 (1985), pp. 56-57, 68. 3 Cfr. Warren Van Egmond, Practical Mathematics in the Italian Renaissance. A catalog of Italian abbacus manuscripts and printed books to 1600, «Supplemento agli Annali dell’Istituto e Museo di Storia della Scienza di Firenze», I, 1980, pp. 98, 117, 123-124, 152-153, 157, 242-243.
Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche · Vol. XXIV · (2004) · Fasc. 2
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(1497) della Biblioteca Nazionale di Firenze. 1 Il primogenito di Iacopo, Antonio, ha lasciato un’ Operetta d’abacho, Ms. 595, N. 4 della Biblioteca Universitaria di Bologna, che il giovane abacista compose nel 1479/80, 2 all’età di circa vent’anni. Quasi totalmente sconosciuto è l’ultimo degli abacisti da noi presi in esame, Piermaria Bonini, autore di un’opera a stampa dal titolo Lucidario d’arithmetica che fu pubblicata a Firenze nel 1518. 3 Nel nostro lavoro riporteremo innanzi tutto diverse notizie biografiche su ciascuno dei suddetti matematici. Passeremo quindi ad occuparci dell’attività che essi svolsero come maestri d’abaco sia a Firenze che in altre località. Questa seconda parte fornisce un interessante spaccato della storia delle scuole fiorentine, in particolare delle botteghe d’abaco, tra l’ultimo ventennio del XV secolo ed il primo ventennio del XVI; mette in evidenza le relazioni esistenti dal punto di vista didattico tra i Grassini, Raffaello Canacci e Piermaria Bonini; dà infine informazioni sull’insegnamento dell’abaco a Volterra, Prato, Perugia ed Arezzo nella seconda metà del Quattrocento e nel primo Cinquecento. Le notizie qui raccolte sono corredate dai relativi documenti, del tutto inediti. Di questi, i più significativi sono riportati nel corso dell’esposizione, altri sono trascritti in tre Appendici. 4 La documentazione è il frutto di una ricerca che si è svolta a Firenze all’Archivio di Stato, alla Biblioteca Nazionale, all’Archivio dell’Ospedale degli Innocenti, agli Archivi dell’ Opera di Santa Maria del Fiore e della Misericordia, inoltre all’Archivio Storico Comunale di Volterra, agli Archivi di Stato di Prato e Perugia. 5 1
2 Ibidem, p. 57. Ibidem, pp. 120, 208. Pietro Riccardi, Biblioteca Matematica Italiana, Modena, coi Tipi della Società Tipografica, 1893, coll. 153-154; W. Van Egmond, Practical Mathematics in the Italian Renaissance, cit., p. 292. 4 In due precedenti lavori avevamo dato alcune informazioni su Raffaello Canacci e sui Grassini, ma in forma del tutto schematica e senza riferimenti alla corrispondente documentazione. Si veda Elisabetta Ulivi, Benedetto da Firenze (1429-1479), un maestro d’abaco del XV secolo. Con documenti inediti e con un’Appendice su abacisti e scuole d’abaco a Firenze nei secoli XIII-XVI, PisaRoma, 2002 (22, 1 del «Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche») pp. 198, 201, 204, 208209; Eadem, Scuole e maestri d’abaco in Italia tra Medioevo e Rinascimento, in Un ponte sul Mediterraneo. Leonardo Pisano, la scienza araba e la rinascita della matematica in Occidente, a cura di Enrico Giusti e con la collaborazione di Raffaella Petti, Firenze, 2002, pp. 121-159. 5 Nella trascrizione dei documenti abbiamo sciolto le abbreviazioni, introdotto accenti ed apostrofi, ricostruito la punteggiatura e l’uso delle maiuscole; in parentesi quadre abbiamo aggiunto le date talvolta mancanti, e lettere o parole utili alla comprensione del testo. Nei documenti riportati parzialmente i tre puntini di sospensione stanno ad indicare brani da noi omessi nella trascrizione. Tre puntini in parentesi quadre indicano un passo illeggibile. Tre spazi vuoti tra parentesi quadre corrispondono ad una lacuna. Ricordiamo che a Firenze, Prato e Volterra l’anno iniziava il 25 marzo. Nel fare riferimento ai relativi documenti, abbiamo sempre seguito la datazione moderna, mantenendo quella originale solo all’interno dei documenti stessi. Per i documenti aretini cfr. la nota 3 di p. 170. 3
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2. Raffaello di Giovanni Canacci I Canacci erano originari della campagna toscana: secondo alcuni del Popolo di Santo Stefano ad Ugnano, nel Valdarno fiorentino, secondo altri, ma con minore probabilità, del Piviere di San Lazzaro in Valdelsa. Trasferitisi a Firenze, nel Quartiere di Santa Maria Novella, durante i secoli XIV-XVI furono una delle famiglie più ricche e potenti della città. Tra il 1363 ed il 1531 vantarono ben 31 Priori di Libertà, 27 dei Dodici Buonomini e 34 dei Sedici di Compagnia. La famiglia si estinse nell’ultimo quarto del XVIII secolo. Resta tutt’oggi il grande palazzo dei Canacci, edificato verso la metà del XVI secolo nella Piazza di San Biagio, ora Piazza di Parte Guelfa. Quello cui appartenne l’abacista Raffaello di Giovanni era un ramo secondario dei Canacci, ramo non particolarmente ricco e del tutto ignorato nei pur numerosi repertori genealogici della famiglia. 1 Su questo dice molto il fatto che in nessuna delle denunce al Catasto ed alle Decime Repubblicana e Granducale di Raffaello e dei suoi parenti diretti, compare il cognome di famiglia, e che solo molto raramente ciò si verifica in altri documenti da noi reperiti all’Archivio di Stato. Non a caso il Procissi, nel riportare solo due riferimenti al Nostro tratti da due Spogli della Gabella dei Contratti e conservati alla Biblioteca Nazionale di Firenze – sui quali torneremo in seguito –, esprimeva il suo rammarico per l’esito negativo delle indagine biografiche da lui svolte sul Canacci, scrivendo in particolare: “Nessuna indicazione relativa a R. Canacci è stato possibile ritrovare all’Archivio di Stato di Firenze”. 2 Oggi siamo finalmente in possesso di diverse informazioni su Raffaello e sulla sua famiglia, informazioni che ci sono note a partire dalla seconda metà del XIV secolo. Come si deduce dai Catasti degli anni 1427, 1431, 1433, 1442, 3 e da documenti notarili del 20, 24 e 25 ottobre 1444, 4 il nonno paterno del Nostro, Ser Guglielmo di Stefano, nacque infatti tra il 1358 ed il 1367, probabilmente a Firenze, dove svolse l’attività di notaio. Nei primi anni del Quattrocento, Ser Guglielmo si sposò con una non meglio identificaUn doveroso ringraziamento va a Gino Corti per la sua collaborazione nel lavoro di trascrizione. 1 Cfr. ad esempio ASF, Raccolta Sebregondi 1245; Manoscritti 348, 356, 359, 360, 361 (Carte dell’Ancisa), ad vocem; Ceramelli-Papiani 1158. BNF, Passerini 185, ins. 47. 2 A. Procissi, Sui “Ragionamenti d’Algebra”, cit., pp. 58-59 e I “Ragionamenti d’Algebra”, cit., p. 448. 3 Cfr. Appendice 1, documenti 1 e 2; inoltre ASF, Catasto 404, c. 428v; 494, c. 229v. 4 Cfr. Appendice 1, documenti 3 e 4.
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ta Monna Nencia, nata nel biennio 1387-1389. Tra il 1405 ed il 1419, Guglielmo e Nencia ebbero cinque figli: Sandra, Smeralda, Giovanni, Stefano e Niccolò. 1 Ser Guglielmo fu proprietario, fino dal 1427, di vari appezzamenti di terreno “chon chasa da singniore e da lavoratore”, 2 situati all’Impruneta nel Popolo di San Michele a Nezzano, in una località detta Aliossi. Non ebbe però alcun possedimento a Firenze, dove la famiglia abitò infatti sempre in affitto nel Quartiere di Santa Maria Novella, sia nel Popolo di Santa Trinita sotto il Gonfalone dell’Unicorno, sia in quello di San Paolo nel Gonfalone del Leon Rosso. Nencia morì tra il 1433 ed il 1442; Ser Guglielmo presumibilmente nel 1444. Il citato rogito del 25 ottobre di quell’anno, 3 di poco posteriore alla sua scomparsa, stabilì che i beni dell’Impruneta venissero divisi in parti uguali fra i tre fratelli, Giovanni, Stefano e Niccolò, e che gli stessi provvedessero al mantenimento della sorella nubile Sandra, forse l’unica delle due figlie di Guglielmo allora ancora in vita. Dell’altra, Smeralda, abbiamo notizia solo fino al 1427. Dei figli maschi di Ser Guglielmo, nessuno seguì le orme paterne; tutti e tre svolsero invece un mestiere piuttosto umile, quello di “chassettai overo lengnaioli minuti”. 4 Niccolò lasciò la famiglia di origine poco dopo il 1442, rimanendo in Santa Trinita. Ne abbiamo ancora notizia nei suddetti rogiti del ‘44, ma in seguito se ne perdono totalmente le tracce. Morì entro il 1451. 5 Stefano si sposò attorno al 1450 con Francesca o Checca di Salvestro di Luca Verrocchi, dalla quale nacquero sette maschi: Guglielmo, Niccolò, Bartolomeo, Domenico, Antonio, Zanobi e Salvestro. Con la propria famiglia visse anche lui in affitto: prima in Santa Maria Novella, nel Popolo di Santa Trinita ed in quello di San Paolo in Via Benedetta, poi in Santo Spirito, nel Popolo di San Piero in Gattolino sotto il Gonfalone della Ferza. Sempre in Santa Maria Novella ebbe la sua bottega di cassettaio sia in Santa Trinita, che in Santi Apostoli sotto il Gonfalone della Vipera. Oltre che nei Catasti, Stefano compare anche in due rogiti del 15 settembre e del 9 ottobre 1488, 6 che prenderemo in esame a proposito di Raffaello Canacci. Della moglie di Stefano, Francesca, ci rimane la denuncia alla Decima Repubblicana del 1495, posteriore alla morte del marito, un rogito del 3 aprile 1500 nel quale compare assieme ai figli Bartolomeo e Zanobi, 1
2 Cfr. Appendice 1, documento 2. Cfr. l’Albero genealogico. 4 Ibidem, documento 2. 5 Ibidem, documenti 1-5. Ibidem, documento 4. 6 Ibidem, documenti 1, 2, 10, 16, 17; inoltre ASF, Catasto 705, c. 370r; 813, n° 120; 918, cc. 308r-308v. 3
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ed il testamento redatto il 10 dicembre 1503 dove sono nominati come eredi tutti i suoi figli. 1 Anche di Bartolomeo ci è pervenuto il testamento, datato 15 aprile 1510 e precedente di un giorno la sua morte. Nel documento sono esplicitamente citati solo la moglie Lucrezia ed il fratello Zanobi. 2 Bartolomeo lasciò tre figli: Giovanni, 3 Costanza e Lisabetta. Costanza fece testamento il 12 giugno 1530, nominando eredi sua sorella Lisabetta ed i cugini Caterina, Francesca e Domenico, figli di Antonio di Stefano. 4 I sette figli di Stefano di Ser Guglielmo compaiono anche in un rogito del 16 settembre 1503. 5 Guglielmo, Bartolomeo, Zanobi e Salvestro in due rogiti del 22 novembre 1507; 6 Bartolomeo, Zanobi e Domenico in notarili dell’8 gennaio 1505; 7 Guglielmo, Bartolomeo e Zanobi il 31 ottobre 1505; 8 Bartolomeo e Zanobi il 12 dicembre 1500, 9 il 5 luglio 1503, 10 il 5 e l’11 dicembre 1504; 11 infine Salvestro e Zanobi in un testamento del 3 settembre 1516. 12 Alcuni di questi documenti, relativi ai beni ereditati dal padre Stefano, sono, come vedremo, di particolare interesse in relazione al cugino Raffaello, figlio di Giovanni, il maggiore dei tre maschi di Ser Guglielmo. Giovanni, dopo la morte dei genitori, continuò a vivere assieme al fratello Stefano ed alla sorella Sandra “inferma e pocho savia”. 13 Tra il 1448 e l’ottobre del 1451 essi abitarono in una casa del Popolo di San Paolo in Via Bernardina, ora Via de’ Canacci, allora proprietà di Pasquino di Domenico Canacci. Giovanni ebbe anche in affitto da Benedetto di Francesco degli Strozzi una “botteguza” nella scomparsa Via dei Legnaioli del Popolo di Santa Trinita. 14 Verso il 1452, sui quarant’anni, egli si sposò con la figlia ventenne di un notaio, Brigida di Ser Andrea di Giovanni. 15 Nel 1453 nacque la primogenita Oretta 16 che morì in tenera età, anteriormente al marzo 1458. Già dalla fine del 1451, la famiglia aveva lasciato la casa di Via Bernardina e, pur rimanendo nel Popolo di San Paolo, si era poi trasferita non lontano 1 Cfr. Appendice 1, documento 20 ; ASF, Decima Repubblicana 20, cc. 322r-322v ; Notarile 2 ASF, Not. Antec. 18276, cc. 31r-32r. Antecosimiano 18270, cc. 57r-57v. 3 Ibidem, c. 167r : documento del 3 settembre 1516. 4 ASF, Not. Antec. 10107, cc. 274r-274v ; su Costanza cfr. anche Appendice 1, documento 24. 5 ASF, Not. Antec. 18270, cc. 42r-44r. 6 ASF, Not. Antec. 18272, cc. 37r-39v. 7 ASF, Not. Antec. 18270, cc. 159v-161v. 8 Cfr. qui, pp. 132-133. 9 ASF, Not. Antec. 18269, cc. 52v-53r. 10 ASF, Not. Antec. 18270, cc. 15v-16r. 11 Cfr. Appendice 1, documento 22 e lo stesso Not. Antec. 18270, cc. 154v-155r. 12 ASF, Not. Antec. 18276, c. 167r. 13 Cfr. Appendice 1, documento 5. 14 Ibidem, documenti 5 e 6. 15 Ibidem, documento 21. 16 AOSMFF, Registri Battesimali 1 (1450-1460); Oretta fu battezzata il 25 aprile 1453.
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... a pigione in una chasa in Via Benedetta, la quale confinata da primo via, 1/1 Ser Filipo d’Agostino, 1/3 pizochero di San Domenicho ... ,
casa al tempo proprietà di Antonia di Bartolomeo de’ Bardi, e nella quale i Canacci risiedevano ancora nel febbraio del 1458. 1 È quasi sicuramente quella l’abitazione dove nacque Raffaello, che fu battezzato il 23 aprile 1456. In tale data, nel primo dei Registri Battesimali dell’Archivio dell’Opera di Santa Maria del Fiore di Firenze, si legge infatti: Raffaello e Giorgio di Giovanni di Ser Guglielmo, Popolo di San Paolo. 2
Dopo Raffaello, Giovanni ebbe altre due figlie, Lorenza nata nel 1458 3 e Alessandra nata nel 1461/62; di entrambe si ha notizia solo fino al 1480. 4 Negli anni successivi al 1458 e fino al 1480, Raffaello ed i suoi continuarono a cambiare residenza affittando prima ... una meza chasa posta in Borgo Ongnisanti, Popolo di Santa Lucia d’Ongnisanti, da Bonachorso di Gianbono Canacci, e done l’ano di pigione lire trentadue; chonfini via, 2° Bonachorso Chanaci, 3° Biagio d’Agostino, 4° Giovanni di Mariotto, 5
poi ancora una mezza chasa ... nella Via dell’Albero, Popolo di Santa Lucia d’Ognisanti, da Monna Marieta di Niccolò, da primo via, secondo Monna Marietta, 1/3 Piero di Benedetto rimendatore, 1/4 Nicholò di Piero [ ] e Paternostri. 6
Entrambe erano nel Quartiere di Santa Maria Novella, sotto il Gonfalone dell’Unicorno. Nel frattempo, almeno fino al 1469, Giovanni continuò il mestiere di legnaiolo in una bottega di Santa Trinita. Ma al Catasto del 1480, ormai settantenne, egli dichiara di non lavorare “più nulla perch’è in chasa”, e poco dopo, in riferimento al figlio ventiquattrenne Raffaello, continua dicendo: ... e non fa nulla. Soleva stare a linaiuolo e per la moria si partì e non s’è più posto a bottegha perché non si fa più nulla. 7
Dunque Raffaello Canacci, dopo aver compiuto gli studi di abaco, intraprese l’attività di linaiolo. Durante la terribile pestilenza del 1479 lasciò il lavoro e si allontanò da Firenze, rifugiandosi probabilmente 1 2 3 4 6
Cfr. Appendice 1, documento 7. AOSMFF, Registri Battesimali 1 (1450-1460), c. 146r. AOSMFF, Registri Battesimali 1 (1450-1460): Lorenza fu battezzata il 21 maggio 1458. 5 Ibidem, documento 8. Cfr. Appendice 1, documenti 8 e 9. 7 Ivi. Ibidem, documento 9.
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nella casa all’Impruneta. Al suo rientro, però, non ritornò “a bottega” e, dopo un periodo di inattività, iniziò invece la professione di maestro d’abaco che risulta infatti documentata a partire dal 1483 e che il maestro portò avanti almeno fino al 1496. 1 Nel 1488, Raffaello si sposò con Tommasa, detta anche Mattea, nata in Santa Croce verso il 1465, figlia dell’aromatario Iacopo di Niccolò di Ser Lapo e di tale Brigida. 2 Al matrimonio si fa riferimento in due Spogli della Gabella dei Contratti, conservati alla Biblioteca Nazionale; della dote ricevuta da Raffaello si parla in un “Libro Rosso delle Doti delle fanciulle”. Vi si legge rispettivamente: Raphael olim Johannis Ser Guglielmi magister abbachi. Tomasa Jacobi Nicolai Ser Lapi. 3 Raffaello di Giovanni di Ser Ghuglielmo, marito della Tommasa di Iachopo di Nicholò di Ser Lapo, de’ avere a dì 14 di maggio 1488 f. centoventiquatro, s. 5, d. 3 larghi, per resto di suo dota .... 4
Dai precedenti documenti e da atti notarili, si deduce che nel 1488 il padre del Nostro era già morto, lasciando ovviamente erede l’unico figlio maschio, Raffaello, della metà del podere e della casa di San Michele a Nezzano, a sua volta ereditata dal padre Guglielmo. L’altra metà apparteneva ancora al fratello di Giovanni, Stefano di Ser Guglielmo. Proprio quei possedimenti, nello stesso anno 1488, furono oggetto di una questione tra i due proprietari; la vertenza si concluse con un rogito del 9 ottobre il quale stabilì che venissero fatti dei lavori nella casa e nel podere. 5 Dopo il 1488, dall’unione con Tommasa, Raffaello ebbe due figli, Francesco ed Andrea. Cinque anni dopo il matrimonio, come risulta da un notarile del 14 maggio 1493, 6 la famiglia, compresa probabilmente Monna Brigida, la madre di Raffaello, aveva lasciato il Quartiere di Santa 1 Per quanto riguarda una presunta attività pubblica dell’abacista, il Poligrafo Gargani riporta il nome di Raffaello di Giovanni Canacci tra i Capi di guardia della Misericordia di Firenze per l’anno 1496: cfr. BNF, Poligrafo Gargani 467, scheda n° 70. In realtà, nel libro dei “Capi di Guardia” dell’ Archivio della Misericordia, al n° 77, tra gli eletti nell’anno 1496 si legge “Fanucci Raffaello di Giovanni”, ma nel volume non viene mai elencato Raffaello di Giovanni Canacci. In Placido Landini, Istoria della Venerabile Compagnia di Santa Maria della Misericordia della Città di Firenze, Firenze, nella Stamperia di P. Allegrini, 1786, a p. CIII, sempre in riferimento al 1496, 2 ASF, Catasto 1006, c. 327v. si trova “Raffaello di Giovanni Tanucci”. 3 BNF, Magl. XXVI, 141, Spoglio di Ferdinando Leopoldo del Migliore, p. 366. In un altro Spoglio si trova “Raffaello di Giovanni di Ser Guglielmo, maestro d’abbaco. Tommasa di Iacopo di Niccolò di Ser Filippo”, dove il nome del bisnonno di Tommasa è chiaramente errato: BNF, II, IV, 402, Spogli di Cosimo della Rena. Sagittario, p. 342. Sulla moglie di Raffaello si veda anche in 4 Cfr. Appendice 1, documento 18. Appendice 1 il documento 23. 5 Ibidem, documento 17. 6 Cfr. qui p. 164.
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Maria Novella per spostarsi in quello di San Giovanni, nel Popolo di San Lorenzo. Qui infatti, alla Decima Repubblicana del 1495, i Canacci dichiarano di tenere ... una mezza Chasa a pigione da Govanluigi di Pasquale da Nnapoli, posta in Via Chiara, Popolo di San Lorenzo, Gonfalone Leon d’Oro, da primo via, a sechondo Govanluigi sopradetto, a 1/3 Pietro Bechastrini chalzaiuolo, a 1/4 prete Marcho di Gherardo tedescho. 1
Dai Catasti, dalla suddetta Decima del ‘95 e da successivi documenti, fino alla Decima Granducale del 1532, sembra di capire che Raffaello, come già il padre ed il nonno, non ebbe mai una casa di proprietà a Firenze, e che i beni ereditati da Giovanni di Ser Guglielmo furono i suoi unici possedimenti. Nell’ultimo periodo della sua vita, il 5 dicembre 1504, il maestro decise addirittura di vendere per 163 lire di piccioli la sua parte della casa all’Impruneta, o una porzione di essa, ai figli del defunto Stefano, Bartolomeo e Zanobi. 2 In un successivo rogito si legge: Item postea, dittis anno [1505], indictione [octava], die XXXI dicti mensis ottobris. Actum Florentie et in Populo Sancti Pranchatii de Florentia et presentibus Johanne Antonii Pieri Passigli linaiolo Populi Sancte Lucie Omnium Sanctorum de Florentia, et Francisco Alexandri Fidelis legnaiuolo Populi Sancte Marie Novelle de Florentia, testibus etc. Finis Cum sit quod de anno [ ] seu alio tempore veriori Raffael Iohannis Ser Ghuglelmi, civis florentinus, vendiderit Bartolomeo et Zenobio, fratribus et filiis Stefani Ser Ghuglelmi quondam partem domus posite in Plebatu Sancte Marie Inprunete, Comitatus Florentie, loco dito al’Aliossi, infra sua vocabula et confinia, pro pretio et aliquibus et prout constat instrumentum publicum, rogatum manu mei notarii infrascripti sub dicto tempore. Et cum sit prout infrascripte partes asseruerunt quod dictus Raffael sit mortuus et relittis post se [...] suis filiis et relitta Domina Brigida, eius matre et uxore olim dicti Iohannis Ser Ghuglelmi // et relicta etiam dicta Mattea, uxore dicti olim Raffaellis et filia Iacobi Nicolai, aromatarii de Florentia. Et cum sit quod [...] dicte venditionis de qua supra fit mentio, dicti Bartolomeus et Zenobius, tempore mortis ditti olim Raffaellis, restarent debitores in dicta summa librarum sedecim florenorum parvorum. Et cum sit quod dicta Brigida et dicta Mattea sint creditrices dicti olim Raffaellis et hodie eius hereditatis et heredum ... . Et cum sit quod dicti Bartolomeus et Zanobius solverint summam predictam dictis dominabus et pro eis Ghuiglielmo Stefani Ser Ghuglielmi legnaiolo, procuratore dictarum dominarum. Unde hodie ... prefatus Guglielmus Stefani Ser Guglielmi ... confessus fuit ... habuisse dictam summam et quantitatem librarum sedecim parvorum pro residuo predicto ... . 3
1 3
Cfr. Appendice 1, documento 19. ASF, Not. Antec. 18271, cc. 47r-47v.
2
Ibidem, documento 22.
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Così, il 31 ottobre 1505, Bartolomeo e Zanobi consegnarono 16 lire, come saldo dell’acquisto della casa all’Impruneta, al fratello Guglielmo, procuratore della madre e della moglie di Raffaello, eredi dell’abacista già scomparso. Il Canacci morì dunque quasi sicuramente nel 1505, senz’altro tra il dicembre del 1504 e l’ottobre dell’anno successivo. Dopo la sua morte, la famiglia continuò a vivere in non agiate condizioni economiche, tanto che, il 6 novembre 1510, i giovani figli del maestro, Francesco ed Andrea, assieme alla madre Tommasa, affittarono anche una parte delle terre di Nezzano, quella situata al Mangano, al solito Zanobi di Stefano. 1 In seguito, per i figli di Raffaello, la situazione cambiò nettamente, senz’altro grazie ad una qualche attività più rimunerativa di quelle del padre e del nonno. Di fatto, il 18 gennaio 1529, da Costanza figlia ed erede di Bartolomeo di Stefano, essi poterono riacquistare la parte di casa che il padre aveva venduto nel 1504. 2 Prima del 1532 comprarono anche l’altra metà della casa da Andrea di Niccolò, nipote di Stefano di Ser Guglielmo. Sempre nel 1529 divennero anche proprietari di un appartamento in Via Santa Monaca, posto sul Canto alla Cucula, nel Popolo di San Frediano del Quartiere di Santo Spirito, dove abitavano nel 1532. 3 1 3
Cfr. Appendice 1, documento 23. Ibidem, documento 25.
2
Ibidem, documento 24.
Alessandra (n.1461/62-1480)
Giovanni (1516)
Costanza (1529-1530)
Andrea (1532) Lisabetta (1530)
Caterina (1530)
Francesca (1530)
Domenico (1530)
Guglielmo Niccolò Bartolomeo Domenico Antonio Zanobi Salvestro (n.1454/55-1507) (n.1456/57-1503) (n.c.1459-m.1510) (n.c.1462-1505) (n.c.1466-1503) (n.c.1469-1516) (n.c.1476-1516) con Lucrezia (1510)
Andrea (1510-1532)
Raffaello Lorenza (n.1456-m.1504/05) (n.1458-1480) con Tommasa o Mattea di Iacopo di Niccolò (n.c.1465-1510)
Francesco (1510-1532)
Oretta (n.1453-m.1453/58)
Sandra Smeralda Giovanni Stefano Niccolò (n.1405/13-m.1469/80) (n.c.1410-m-1427/31) (n.1409/15-m.1480/88) (n.1412/17-m.1488/95) (n.1418/19-m.1444/51) con Brigida di Ser Andrea con Francesca di Giovanni di Salvestro Verrocchi (n.1431/33-1505) (n.1435/36-1503)
Ser Guglielmo (n.1358/67-m.c.1444) con Nencia (n.1387/89-m.1433/42)
Stefano
Albero genealogico della famiglia Canacci 1
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1 In questo e nei due successivi alberi genealogici, le date precedute da n. ed m. sono quelle (esatte o approssimate) corrispondenti rispettivamente alla nascita ed alla morte della persona cui si riferiscono; le altre sono invece le date del primo, in ordine di tempo, e dell’ultimo (o dell’unico) documento relativo finora noti. Precisiamo inoltre che: c.= circa, p.= prima.
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3. I Grassini Nel Contado di Firenze, più esattamente a Campi, 1 ebbe le sue radici la famiglia del M° Iacopo Grassini, il cui cognome deriva dal padre dello stesso Iacopo, Antonio di Giovanni soprannominato Grassino o Grassina. Sui nonni di Iacopo non abbiamo alcuna informazione, ma è da ritenere che abbiano sempre vissuto nel Contado. Il padre Antonio, nato tra il 1393 ed il 1397, si trasferì a Firenze probabilmente verso la fine del 1433, poco dopo avervi acquistato una casa dal cimatore Niccolò di Antonio di Agnolo, con un rogito del 16 agosto ed al prezzo di 85 fiorini. 2 A quel tempo egli doveva essere già sposato con Lorenza o Nencia, nata tra il 1405 ed il 1412, e figlia del tessitore Arrigo di Giovanni d’Alemagna. 3 Dai Catasti del 1442, 1447, 1458 e 1469 risulta infatti che Antonio ebbe il suo primogenito Giuliano tra il 1431 ed il 1437; seguirono la nascita di Giovanni tra il 1435 e il 1439, e finalmente quella del futuro abacista Iacopo avvenuta tra il 1437 ed il 1441. 4 Iacopo ed il fratello Giovanni – forse anche Giuliano – videro la luce nell’ampia casa che il padre aveva comprato nel 1433, ... cum palchis, salis, cameris, volta, cum orto, puteo et [...] aliis suis pertinentiis, 5 posta in Via Sancta Maria, Popolo di San Felice in Piazza, che da primo via, e secondo Redi di Lorenzo di Stefano Randegli, terzo l’orto dello Spedale de’ Ridolfi, quarto fosso comune alla detta chasa e l’orto della casa di Madonna Annalena che fu di Baldaccio. 6
L’abitazione era dunque situata nel Quartiere di Santo Spirito, sotto il Gonfalone della Ferza, nel Popolo di San Felice in Piazza, all’inizio di Via Santa Maria delle Convertite, una traversa dell’attuale Via Romana. Oltre che con il giardino dello scomparso Ospedale di San Pier Novello, 7 sorto sulle case dei Ridolfi lungo la Via Romana, il sito confinava anche, separata da un fosso comune, col giardino di uno splendido edificio che fu legato a tristi vicende storiche, e tutt’oggi noto come Giardino d’Annalena, nobildonna che anticamente prestò il suo nome al corrispondente tratto della stessa Via Santa Maria. La giovanissima Annalena Malatesta da Rimini, rimasta orfana del 1
2 Cfr. Appendice 2, documento 10. Cfr. qui, p. 159. 4 Ibidem, documenti 1, 2, 4, 10. Ibidem, documenti 6, 7 e 9. 5 Ibidem, documento 16. 6 Ibidem, documento 10. 7 Ne rimane ancora oggi l’iscrizione: “Hospitium Rodolphorum nobilis familiae”. Cfr. Francesco Bigazzi, Iscrizioni e memorie della città di Firenze, Bologna, Forni, 1968 (rist. anast. ed. Firenze, 1886), p. 324. 3
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padre Galeotto e della madre Maria Orsini, fu data in sposa nel 1439 dal suo tutore Cosimo de’ Medici al prode condottiero Baldaccio di Anghiari. Il Signore di Firenze assegnò in dote alla sua figlioccia il palazzo di Via Santa Maria, vicino al quale i Grassini abitavano già da sei anni. Nel 1441, Baldaccio venne fatto uccidere dal Gonfaloniere Bartolomeo Orlandini. La vedova, perduto poco dopo anche il figlioletto Guido Antonio, prese allora l’abito delle terziarie francescane e trasformò il suo palazzo in una casa-convento; lì trovò asilo, tra l’altro, anche Caterina Sforza, vedova di Giovanni de’ Medici il Popolano, col figlio, il futuro Giovanni delle Bande Nere. 1 Di quegli avvenimenti Antonio Grassini, i suoi figli e nipoti, furono diretti testimoni, avendo, seppure non ininterrottamente, abitato nella casa in Via Santa Maria fino all’ultimo decennio del Quattrocento, ed essendone rimasti proprietari fin oltre il primo tentennio del XVI secolo. Antonio di Giovanni, che per tutto il periodo della sua via a Firenze fu “famiglio” o “donzello” dell’Arte di Por Santa Maria, l’Arte della Seta, morì tra il 1458 ed il 1462; la moglie Lorenza tra il 1469 ed il 1480. Suo unico erede universale fu l’ultimogenito, Iacopo. Diversi anni prima della scomparsa di Antonio, il maggiore dei suoi figli, Giuliano, era infatti diventato pazzo e, come si legge già nel Catasto del 1451 “tengholo rinchiuso e leghato”. 2 Il giovane morì tra il 1458 ed il 1469. 3 Il secondogenito, Giovanni, lasciata la casa paterna anteriormente al 1458 era entrato nell’Ordine di Sant’Agostino, col nome di frate Benedetto, svolgendo il proprio ufficio nella Chiesa di Santo Spirito di Firenze. L’informazione ci viene da alcuni rogiti del 23 ottobre 1487, del 26 giugno, 30 giugno e 30 luglio 1488 in cui si parla di un credito di 25 fiorini che Maestro Iacopo aveva con la Badessa del Convento di San Martino a Maiano, della Diocesi di Fiesole, e parte dei quali, due fiorini, erano stati consegnati all’abacista per mano di suo fratello, frate Benedetto. 4 Sia Giuliano che Giovanni, dunque, rimasero celibi e non lasciarono eredi. Iacopo Grassini si sposò nel 1458, quando il padre era ancora in vita. Sua moglie fu Bartolomea o Mea, figlia di Betto di Niccolò un sutore del Popolo di Santo Stefano a Campi, dove la ragazza era nata verso il 1442/ 1 Si vedano in proposito: Elsa M. Dawson, The story of the Palazzo-convent of Annalena, Firenze, G. Giannini e F., [1958]; Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da G. Treccani, V, 1963, pp. 438-440; Pietro Bargellini, Enrico Guarnieri, Le Strade di Firenze, Firenze, Bonechi, II,1977, p. 211 e III, 1978, p. 250. 2 Cfr. Appendice 2, documento 3. 3 Ibidem, documenti 4 e 10. 4 Ibidem, documento 12 e nota relativa.
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43. 1 I due giovani stipularono l’atto di matrimonio il 22 novembre; 2 il giorno seguente Iacopo ed i suoi genitori ricevettero in dote ... inter denarios et res mobiles, inter eos comuni concordia extimatas in totum florenos triginta duos auri ad rationem librarum quatuor et soldorum quinque pro quolibet floreno, de qua quantitate vocaverunt se bene pagatos etc. Et ideo, secundum formam statutorum et ordinamentorum Comunis Florentie ... fecerunt donationem propter nuptias ... de libris quinquaginta florenorum parvorum ... . 3
Dall’unione di Iacopo e Bartolomea nacquero sei figli: Antonio verso il 1460, Margherita nel 1461, Giovanni Maria nel 1468, Raffaello attorno al 1473, Marco verso il 1475, ed un anno dopo Pippa. 4 Oltre alla casa di Via Santa Maria, Iacopo ereditò dal padre anche due poderi nel Popolo di Santo Stefano a Campi. Una vigna situata al Moggione, che il 25 novembre 1462, poco dopo la morte di Antonio, Iacopo e la madre Nencia barattarono con una “chasetta” nella Via della Scala del Popolo di Santa Maria a Campi, proprietà di Daniele di Onofrio Azoni; e una vecchia vigna posta ai Panchoni al Ronco, che il 10 settembre 1466 Iacopo permutò con una vigna più piccola, situata sempre al Moggione e proprietà di Biagio di Antonio di Barnaba. 5 Fu in quel periodo, dopo la scomparsa del padre, che Iacopo intraprese la sua professione di maestro d’abaco, documentata dal 1465 al 1497, alternandosi tra Volterra, Prato, dove ebbe incarichi pubblici, e Firenze, dove insegnò invece in scuole private. Così, prima solo saltuariamente durante i periodi di assenza, poi forse definitivamente e per esigenze economiche, la casa di Via Santa Maria venne data in affitto. Ad esempio, dal Catasto del 1469, dalla Decima Repubblicana e da due documenti notarili del 4 maggio 1495 e 24 ottobre 1502, 6 risulta che per un anno, dal novembre 1468, fu affittata al tessitore Agnolo di Luca; per qualche tempo, fino all’ottobre del ‘96, a Stagio dei Nacci; per due anni, dal novembre ‘96, a Rinaldo di Martino degli Altoviti; e per tre anni, dal novembre 1502, a Piera di Bartolomeo Benvenuti. Nella primavera del 1495, e quasi sicuramente già dal 1493, la famiglia di M° Iacopo abitava sempre in Santo Spirito, ma sotto il Gonfalone del Drago, in una casa situata nel Serraglio “fuor della Porta a San Friano nel Popolo di Santa Maria di Verzaia”; la casa era proprietà di tale Piero di Giovanni, un bastiere, che l’aveva in parte affittata anche al maniscalco Carlo di Lazzaro. 7 1
2 Ibidem, documento 5. Ibidem, documenti 10 e 11. Ibidem, documento 6. 4 Ibidem, documenti 10 e 11; per Margherita, che fu battezzata il 18 febbraio 1461, cfr. AOSMFF, Registri Battesimali 2 (1460-1467). 5 Cfr. Appendice 2, documenti 7-11. 6 Ibidem, documenti 10, 14, 16, 19. 7 Ibidem, documenti 14 e 15; a p. 164 si veda inoltre il rogito del 14 maggio 1493. 3
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In seguito, fin dall’ottobre 1502, Iacopo ed i suoi ritornarono sempre in affitto nel Popolo di San Felice in Piazza. 1 Iacopo Grassini, ormai anziano e cieco, redasse il proprio testamento il 28 gennaio 1508, alla presenza di ben undici testimoni; tra questi Piero di Zanobi di Ser Forese, un artigiano del legno che poi, tra il 1519 ed il 1525, insegnò l’abaco nell’importante Scuola dei Santi Apostoli, in società con Niccolò di Taddeo dei Micceri. 2 Riportiamo in sintesi il documento. In Dei nomine amen. Anno Domini nostri Yesu Christi ab eius salutifera incarnatione MDVII, indictione sexta et die vigesima ottava mensis ianuarii. Actum Florentie, in Populo Sancte Marie Novelle de Florentia, presentibus Ser Buono Laurentii clerico florentino, et fratre Bernaba Iacopi Mafei Berti, et fratre Agustino Bartolomei, ambobus ordinis Sancti Agustini, et Simoncherio Sancti Bernabe de Florentia commorantibus, et Ser Antonio Bernardini Grazini de Grazinis, et Petro Zenobi Ser Foresis fabro lignario et Populi Sancti Fridiani de Florentia, et Andrea Iohannis Andree, et Romano bechamorto, et Berto barbitonsore Populi Sancti Pieri in Gattolino, et Bastiano fabro lignario Populi Sancti Filicis in Piaza, et Zenobio Feni Bartoli chalzolario Populi Sancti Laurentii de Florentia, testibus ad infrascripta omnia proprio nomine infrascripti testatoris rogatis. Quoniam nil certius morte et nil incertius hora mortis, hinc est quod prudens vir Magister Iacobus Antonii Iohannis Grassini, mente et corpore sanus licet cecus et oculis et lumine oculorum charens ... volens ... de bonis, rebus et iuribus suis disponere ... hoc presens suum testamentum ... ordinavit et facere procuravit et fecit, videlicet. In primis animam suam humiliter ac devote omnipotenti Deo eiusque gloriosissime matri Marie eiusque celesti curia Paradisi recomendavit. In omnibus suiis bonis mobilibus et immobilibus ... suos heredes universales instituit, fecit et esse voluit Marchum eius filium maschulum, legitimum et naturalem, pro una dimidia tozius sue hereditatis et Iacobum et Antonium, fratres et filios maschulos, legitimos et naturales, Iohannis Marie, filii ipsius testatoris, et quoscumque alios filios maschulos, legitimos et naturales ... . Item, volens dictus testator restare in formam statutorum et ordinamentorum Comunis Florentie, iure legati reliquit Opere Sancte Marie Floris de Florentia et nove sacristie eiusdem ... libras tres florenorum parvorum. Item iure institutionis reliquit et legavit Iohanni Marie, eius filio maschulo, legitimo et naturali, pro omni et toto eo quod petere posse in hereditate et bonis ditti testatoris, libras quinque florenorum parvorum. // Item iure legati reliquit et legavit Francisce, eius nepti ex filio et olim filia Antonii, filii iamdiu defuncti ditti testatoris ... unam domunculam cum suis habituris et hedificiis positam in Castro Champi, Comitatus Florentie ... in via que dicitur della Schala, infra suos confines. Item, ultra predicta, eidem Francisce iure legati reliquit et legavit unum petium terre laboratie stariorum settem cum dimidio, ad cordam, positum in Populo Sancti Stefani a Campi, Comitatus Florentie, loco dicto Maggione 3 ... . 1 2 3
Cfr. Appendice 2, documento 19. Cfr. E. Ulivi, Benedetto da Firenze, cit., pp. 45, 205. In relazione a questo terreno, il 14 novembre 1496, Giovanni Maria di M° Iacopo a nome
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Item iure legati et ultra predicta eidem Francisce reliquit et legavit ius ... exigendi a Iohanne Loysio Ughi Cigliani omnem ... summam ... pecuniarum per eundem Iohannem Loysium ditto testatori debitam vigore unius semtentie ... Domini Potestatis Civitatis Florentie sub die XI mensis septembris anni Domini 1495, vel, si voluisset ... ius et nomen pensionandi et seu locandi ad pensionem domum ipsius Magistri Iacopi, positam in Civitate Florentie et in Populo Sancti Filicis in Platea et in via que dicitur in Sancta Maria, infra suos confines, pro tempore et termino duorum annorum post mortem ditti testatoris ... quod de pensione predicta ditta Francischa suscipiat florenos XXVIII largos de grossis ... . Item iure legati reliquit et legavit Bartolomea, eius nepti et filia suprascripti Iohannis Marie, florenos quatuordecim largos de grossis extrahendos ... de pensione domus suprascripte postquam ditta suprascripta Francischa extraxerit primo suprascriptos eius legatos, quos voluit esse in partem et pro parte dotis ipsius Bartolomee. // Item iure legati reliquit et legavit Lisabetta, eius nepti ... et filia suprascripti Marci florenos XIIII largos de grossis, extrahendos de pensione domus suprascripte, posquam suprascripta legata ex dicta Francisca, et eos voluit dare in partem et pro parte dotis ditte Lisabette, eius neptis predicte ... . Et hanc dixit et asseruit dittus testator esse et esse velle suum testamentum et suam ultimam voluntatem, quam et quod prevalere voluit omnibus aliis testamentis, codicillis et donationibus causa mortis et quibuscumque aliis ultimis voluntatibus per eum actenus fattis ... . 1
Come si vede, M° Iacopo nominò suoi eredi universali il figlio Marco ed i due nipoti, Iacopo e Antonio, figli di Giovanni Maria Grassini, al quale il padre lasciò solo 5 lire di piccioli. Alla nipote Francesca, figlia del defunto figlio Antonio, l’abacista lasciò la casa ed il terreno al Moggione, a Campi. Inoltre il diritto e la facoltà o di esigere da Giovanni Loisio di Ugo Cigliani una non precisata somma di denaro della quale Giovanni era debitore di M° Iacopo in virtù di una sentenza del Podestà dell’11 settembre 1495, oppure di affittare per due anni, dopo la morte del nonno, la casa di Via Santa Maria, trattenendo dall’affitto totale 28 fiorini larghi di grossi, e destinando invece, della parte rimanente, 14 fiorini ciascuna alle cugine Bartolomea, figlia di Giovanni Maria e Lisabetta, figlia di Marco. In un rogito del 10 agosto 1510, Francesca eleggerà un procuratore proprio per l’esecuzione dei suddetti legati testamentari. 2 Iacopo Grassini morì con buona probabilità poco dopo la stesura del testamento, e comunque senz’altro tra la fine di gennaio del 1508 ed i primi di agosto del 1510. Nel suo testamento non sono nominati né la moglie Bartolomea, e come procuratore del padre, aveva stipulato un atto di vendita con Giovanni Francesco di Iacopo Berti: cfr. Appendice 2, documento 17. Evidentemente il contratto doveva essere stato poi annullato. 1 ASF, Not. Antec. 3606, cc. 48r-49v. 2 Cfr. Appendice 2, documento 20.
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morta dopo la denuncia catastale del 1480, né i figli Raffaello e Pippa, anche questi presumibilmente scomparsi dopo quella data, senza lasciare eredi. La figlia Margherita era morta bambina prima del 1470. 1 Il documento riferisce che all’inizio del 1508 anche Antonio, il primogenito di M° Iacopo, era già morto. Ancora molto giovane, Antonio aveva lasciato la propria famiglia, allontanandosi da Firenze, come racconta tristemente il padre al Catasto del 1480: Non è mecho; più mesi fa si partì, andosene di fuora e non so dove. Aspettone di lui spesa, e ònne affanno et dolore. 2
Evidentemente Antonio si era poi sposato ed aveva avuto la figlia Francesca. Questa, dopo la morte del nonno, si unirà a sua volta in matrimonio con tale Antonio da Milano, rimanendo vedova prima del 1532. Alla Decima Granducale di quell’anno ed alla successiva del 1536, il suo nome si trova all’Estimo del Contado, relativo al Quartiere di Santa Maria Novella, Popolo di Santo Stefano a Campi. Nella sua denuncia del ‘36, Francesca dichiara di abitare alla Porta al Prato, e riporta come possedimenti la casa ed il podere a suo tempo ereditati dal nonno paterno. 3 Il secondo dei figli maschi di M° Iacopo, l’abacista Giovanni Maria Grassini, si sposò presumibilmente prima del 1495. Dalla moglie, della quale purtroppo non conosciamo il nome, nacquero i figli Iacopo, Antonio e Bartolomea, eredi testamentari del nonno Iacopo. Giovanni Maria ebbe anche un altro maschio che fu sepolto il 18 luglio 1499 nella Chiesa di San Felice in Piazza 4 e forse un’altra femmina, anche lei sepolta in San Felice il 27 ottobre 1499. 5 Dunque, nel 1499, Giovanni Maria abitava nel Popolo di San Felice in Piazza, e così anche nell’estate del 1497, come risulta da un notarile del 30 luglio di quell’anno; qui il Grassini compare nelle vesti di procuratore di Don Niccolò di Simone Vespucci, della Precettoria di San Sepolcro, nell’atto di assegnazione di una casa nella Via delle Fornaci in Santo Spirito. 6 L’abitazione che fu di Giovanni Maria e della sua famiglia negli anni 1497-1499, era proprietà del Convento di Santa Croce. Il Grassini la tenne almeno dal maggio del 1496 all’aprile del 1503, pagando ogni sei mesi l’affitto di 17 lire e 10 soldi. Nel “Libro Rosso” dei debitori e creditori di Santa Croce, compilato negli anni 1497-1553, si legge infatti: 1
2 Ibidem, documento 11. Ibidem, documento 10. 4 ASF, Arte dei Medici e Speziali 247, c. 131v. Ibidem, documenti 14 e 23. 5 Ibidem, c. 137r. Qui, in realtà, si legge: “Una figliola di Giuliano Maria dell’abacho”, ma riteniamo che il padre della fanciulla fosse sempre Giovanni Maria. 6 Cfr. Appendice 2, documento 18. 3
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Giovanmaria di Iacopo dell’abbacho de’ dare £. dicassette, s. 10 sono per suo resto di pigione per tutto ottobre 1497, a ragione di £. trentacinque l’anno £. 17, s. 10 Et de’ dare £. dicassette, s. dieci per 6 mesi chominciati addì primo di novembre 1497, finiti per tutto aprile 1498_______________________________ £. 17, s. 10 E de’ dare £. dicassette, s. dieci per 6 mesi chominciati addì primo di maggio 1498____________________________________________________ £. 17, s. 10 E de’ dare £. trentacinque per uno anno chominciato addì primo di novembre 1498, finito per tutto ottobre 1499_________________________________ £. 35, s. Et de’ dare £. dicassette, s. dieci per 6 mesi chominciati addì primo di novembre 1499, finiti per tutto aprile 1500________________________________ £. 17, s. 10 E de’ dare £. trentacinque per uno anno inchominciato addì primo di maggio 1500, finito per tutto aprile 1501___________________________________ £. 35, s. - ... E de’ dare £. trentacinque per uno anno inchominciato addì primo di maggio 1496, finito per tutto aprile 1497____________________________________ £. 35, s. Et de’ dare £. dicassette, s. dieci per mesi sei, inchominciati addì primo di maggio 1501 et finiti per tutto ottobre 1501____________________________ £. 17, s. 10 1 Giovanmaria dell’abbacho de’ dare addì 2 di maggio 1502 £. dicassette, s. dieci per la pigione di mesi sei inchominciati per insino a ddì primo di novembre 1501, finiti per tutto aprile 1502, a ragone di £. 35 l’anno e una ocha___________ £. 17, s. 10 E de’ dare £. trentacinque per uno anno finito per tutto aprile 1503. 2 Giovanmaria di rinchontro de’ avere addì 10 di febraio 1501 £. cinquantatre, s. nove, d. otto per spese fatte in chasa ..._____________________ £. 53, s. 9, d. 8 3
L’intestazione alla stessa filza recita: Questo libro si è de’ frati, chapitolo e Chonvento di Santa Croce di Firenze dell’ordine de’ frati minori. Chiamasi Libro Rosso, in sul quale saranno scritti tutti debitori e creditori di detti frati, chapitolo e chonvento. Inchomincia a c. 1 insino al fine. Tenuto per frate Niccolò di Marco degli Strozzi al presente ghuardiano di detto chonvento, degl’altri ghardani che ssaranno dopo lui e di me Giovanmaria di Iacopo d’Antonio Grassini, nel presente procuratore e ssindacho di detto chonvento, e di tutti gl’altri prochuratori e ssindachi di detto chonvento che verranno doppo me. Chominciato addì primo d’aprile 1497. 4
E, di fatto, nell’elenco dei debitori e creditori troviamo: Giovanmaria dell’abbacho nostro procuratore de’ avere £. secentosessanta per suo salario d’anni cinque, mesi sei, inchominciati addì primo di novembre 1495, finiti per tutto aprile 1501, a rraghone di £. 120 l’anno________________ £. 660, s. - 5 Giovanmaria dell’abbacho de’ avere ... £. centoventi per uno anno chominciato addì primo di maggio 1503, finito per tutto aprile 1504___________ £. 120, s. - 6
Giovanni Maria Grassini fu dunque procuratore e sindaco del Convento di Santa Croce dal novembre 1495 all’aprile 1504, con un salario di 120 lire l’anno. 1 2 5
ASF, Corporazioni religiose soppresse dal Governo francese 92, 69, c. 115s. 3 Ibidem, c. 149d. 4 Ibidem, c. 1r. Ibidem, c. 149s. 6 Ibidem, c. 190d. Ibidem, c. 143d.
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Il suddetto volume riporta una lunga lista in cui sono registrate le entrate e le uscite di Santa Croce, con i relativi pagamenti effettuati tramite Giovanni Maria, quale amministratore di tutte le spese del convento. 1 Attestati del suo ufficio di procuratore si trovano anche in un altro “Libro di Ricordanze” di Santa Croce, relativamente al maggio 1503: Richordo chome a dì 5 di maggio 1503 frate Iacopo di Giovanni Quaratesi, guardiano di Santa Croce di Firenze, et Giovanni Maria di Maestro Iacopo dell’abacho, sindacho et prochuratore di Santa Croce di Firenze, allogorono et apigionarono a linea maschulina di Geri di Gherardo Risaliti una casa posta nel Popolo di Sancto Simone di Firenze, nella Via de’ Vagellai ... . Richordo chome a dì 9 di magio 1503 frate Iachopo Quaratesi, guardiano di Santa Croce di Firenze et Giovanni Maria di Maestro Iacopo dell’abacho, sindacho et prochuratore affittorono et alloghorono a fitto perpetuo a linea masculina una casa posta nel Popolo di Sancto Simone nella Via delle Pinzochere ... a Michele di Giovanni Salvetti e sua linea maschulina. 2 Richordo chome a ddì 11 di magio 1503 frate Iacopo di Giovanni Quaratesi, guardiano di Sancta Croce di Firenze et Giovanni Maria dell’abacho, sindacho di Sancta Croce di Firenze ... apigionarono a linea masculina una casa posta in detto Popolo [di Santo Stefano a Ponte] ... a Donato di Donato del Chorno. 3
Ci sono infine pervenuti diversi rogiti di Santa Croce, stipulati tra il 1497 ed il 1503, che vedono il Grassini in rappresentanza del convento. In particolare, in un contratto del 29 dicembre 1497, si racconta come ... certum fuerit et sit, ut asseruerunt infrascripte partes quod Donatus olim alterius Donati Papi, merciarius Populi Sancti Stefani ad Pontem de Florentia, tenuerit teneatque de presenti ad pensionem a fratribus, Capitulo et Conventu Sancte Crucis de Florentia, ordinis // fratrum minorum Sancti Francisci, et ab hospitalario Hospitalis Sancte Marie Nove de Florentia, et a quolibet dictorum locorum, pro una dimidia, unam domum cum salis, cameris et aliis suis habituris et cum apoteca ad usum merciarii subtus dictam domum, positam in Populo Sancti Stefani predicti et in Via que dicitur Porta Sancta Maria ... et ... etiam clarum fuerit et sit quod dictus Donatus fecerit in ditta domo et apoteca plurima melioramenta aconcimina, de quibus quidem aconciminis factis a dì 22 mensis aprilis proxime preteriti presentis anni usque in presentem diem, fatto et posito diligenti calculo inter dictum Donatum, ex una, et providum virum Iohannem Mariam Magistri Iacopi del’abaco, sindicum et procuratorem dictorum fratrum, Capituli et Conventus Sancte Crucis ..., partibus ex altera, ascendunt in totum ad summam ... librarum quingentarum undecim et s. unius et d. octo piccioli ... . 4
Notiamo che nei precedenti documenti Giovanni Maria compare più 1
Ibidem, cc. 143s-143d, 155s-155d, 190s-190d, 198s-198d. 3 Ibidem, c. 9r. ASF, Corpor. relig. soppr. dal Gov. franc. 92, 133, c. 8v. 4 ASF, Not. Antec. 7896, cc. 321r-321v; cfr. anche le cc. 263v-264r. Inoltre Not. Antec. 7897, cc. 148v, 355r, 555v-556r; 7898, cc. 23r-23v; 7899, cc. 15v, 16r, 31v, 48v, 81v, 118r; 9645, c. 204r. 2
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volte con la qualifica “dell’abaco”, ad evidente testimonianza dell’attività da lui svolta in quel periodo anche come abacista. Analoghi riferimenti, per l’anno 1502, si leggono in un “Libro di debitori e creditori” del Convento di Santa Maria degli Angeli, del quale, tra il 1476 ed il 1479, era stato procuratore un altro ben noto maestro d’abaco, Benedetto da Firenze. 1 In questo libro, Giovanni Maria viene elencato, tra l’altro, come creditore del convento per avere partecipato alla ristrutturazione della taverna di Vinegia, probabilmente nella Piazza omonima del Quartiere di Santa Croce: Possessioni per diverse spese fatte in esse deono dare ... Et a dì 2 d’agosto [MDII] £. XII per tanti rifatti a Giovanmaria dell’abbaco in staia 6 di grano per spese fece alla taverna di Vinegia, per la nostra parte, dal Giornale a c. 6, et grano avere in questo a c. 24_______________________f. -, £. 12, s. Et a dì 5 di settembre £. 35, s. 19, d. 6, posto a c. 50 Giovanmaria avere per tanti li si fanno buoni per la nostra parte delli aconcimi della taverna di Vinegia li quali furono commessi a llui. 2 Giovanmaria all’incontro de’ dare a dì 5 di setembre [MDII] £. IIII, s. X per tanti dice avere avuti da Don Lorenzo come si mostra in una scripta in filza di mano d’esso Giovanni. Conti vechi avere in questo, c. 36______________f. -, £. 4, s. 10 Et a dì detto £. XII, s. 9, d. 6 per staia 6 di grano, à avuto da Don Peregrino più dì sono, posto detto grano avere in questo a c. 24_________f. -, £. 12, s. 9, d. 6 Et a dì detto £. XVIIII per tante, posto qui di sotto Nicholò Panuzi e compagni avere, che tanti per lui di sua volontà gli abbiamo promesso al Giornale nostro a c. 9__________________________________________________f. -, £. 19, s. - 3 Giovanmaria di Maestro Iacopo dell’abbaco de’ avere a dì 5 di settembre £. XXXV, s. XVIIII, d. VI, sono per tanti gli facciamo buoni della nostra parte dell’aconcimi della taverna di Vinegia, li quali furono commessi a llui, poste possessioni dare in questo a c. 10, dal Giornale c. 9_______________________f. -, £. 35, s. 19, d. 6 4
I documenti qui riportati e segnalati, con due già citati rogiti del 1496 sulla vendita di un terreno, 5 unitamente ad un altro documento volterrano del 1500 – di cui parleremo in un successivo capitolo e riguardante la sua attività didattica – sono al momento gli unici in nostro possesso su Giovanni Maria Grassini. Risulta pertanto molto approssimativa la datazione della sua morte, che possiamo solo collocare dopo il 28 gennaio 1508, giorno della redazione del testamento paterno, e prima della Decima Granducale del 1532, dove non abbiamo trovato né il suo nome né quello dei suoi figli Iacopo e Antonio. Non molte, ma più precise indicazioni biografiche siamo in grado di 1 2 3 5
Cfr. E. Ulivi, Benedetto da Firenze, cit., pp. 26-29, 125-180. ASF, Corpor. relig. soppr. dal Gov. franc. 86, 51, c. 10s. 4 Ibidem, c. 50d. Ibidem, c. 50s. Cfr. Appendice 2, documento 17, e la nota 3 alle pp. 138-139.
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fornire sul fratello minore di Giovanni Maria, l’abacista Marco Grassini, il più giovane dei figli maschi di M° Iacopo. Come attestano numerosi documenti – che esamineremo in dettaglio – Marco intraprese molto presto l’insegnamento; nel 1493, attorno ai diciotto anni, era già maestro d’abaco e portò avanti questa attività almeno fino al 1514. Marco si sposò due volte, presumibilmente dopo il 1495. Un atto notarile del 29 agosto 1506 riferisce che Iohannes Aloisius olim Ugonis Iohannis de Ciglianis, pelliparius Populi Santi Fridiani de Florentia, suo nomine proprio et ut heres et hereditario nomine Domine Diamantis eius quondam filie et uxoris olim Marci Magistri Iacopi del’abaco, et ut pater et ligiptimus administrator et vice et nomine Ghaleotti eius filii ... // ... dedidit et donavit Reverendo viro Domino Leonardo Bonefidei, rectori et hospitalario Hospitalis Sancte Marie Nove de Florentia, ibidem presenti, et pro dicto hospitali et eius subcessoribus recipienti et acceptanti, infrascripta bona que sunt ista, videlicet: Una domus cum sala, cameris, curia, terreno, volta et aliis suis habituris et pertinentiis, posita in Civitate Florentie et in Populo Santi Fridiani in via cuo dicitur Borgho Sanfriano ... que bona ut supra donata dissit dictam Diamantem eius filiam accepisse in solutum de anno 1501 et die 16 martii, vel alio veriori tempore ... . 1
Da questo si evince che la prima moglie di Marco fu Diamante di Giovanni Aloisio o Loisio Cigliani, un pellicciaio del Popolo di San Frediano in Santo Spirito, che abbiamo già incontrato nel testamento di Iacopo Grassini. Diamante morì, molto giovane, poco dopo il 16 marzo 1502, giorno in cui aveva ricevuto dal padre una casa in Borgo San Frediano, forse a saldo della sua dote. Verso il 1503, Marco si era infatti già risposato con Maddalena, figlia di Giovanni di Leonardo del Gamba e di Lisabetta di Domenico di Cristofano. La notizia si deduce da un “Libro Bianco delle Doti delle fanciulle”, che riporta: Maddalena, e Romola per secondo, filia di Giovanni di Leonardo Ghamba e di Lisabetta sua donna e filia di Domenico di Cristofano, nata a dì 21 di luglio 1484, de’ avere per dì 23 di febraio 1505 f. dugentotto, s. VI, d. VIII larghi per f. 500 di Monte che Rede di Domenico di Burci sarto, San Giovanni c. 654, permutò nel Comune a dì 22 di febraio 1490 per anni 15, a f. 2, s. 8 di moneta per f. uno largo di dote, al quaderno di permute, c. 23_____________________ f. 208, s. 6, d. 8 Ànne auto a dì XX di giugno 1506 f. cichuantadue, s. 1, d. 8 larghi per il 1/4 per legge, per lei a Marcho di M° Iacopo d’Antonio maestro d’abacho suo marito, ebbe contanti da Ruberto di Francesco Chanacci, Camarlingo al Monte_______ f. 52, s. 1, d. 8 E posto creditore detto Marcho suo marito a’ Libro Azuro del 1503, c. 86, di f. 156, s. 5 larghi, per resto di questo conto______________________ f. 156. s. 5, d. -2 1 2
ASF, Not. Antec. 9659, cc. 191r-192r. ASF, Monte Comune o delle Graticole, Parte II, 3747, c. 213r.
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Dall’unione con Maddalena l’abacista ebbe due figlie: Lisabetta nominata tra gli eredi testamentari del nonno Iacopo, e Bartolomea nata dopo la stesura del testamento, ossia dopo il gennaio 1508. Il 16 marzo 1507 Reverendus pater Dominus Franciscus [ ] Archidiaconus florentinus, omni modo etc. per se et suos heredes etc., locavit ad pensionem Marcho Magistri Iacobi dell’abacho Populi Sancte Lucie Omnium Sanctorum de Florentia, presenti etc., unam domum cum palchis, salis et cantina positam in Populo Sancte Trinitatis de Florentia, in Via detta Parione, confinatam a primo et secundo via, a III Andrea de [...] sociis, infra predictos confines etc. ... die prima mensis iunii proxime futuri et ... pro affictu in quolibet anno florenorum quatuor cum dimidio largorum auri in auro, solvendorum pro sex mensibus in sex menses ... . 1
Dunque, dopo aver vissuto in Santo Spirito con buona probabilità fino al 1501, Marco abitò per un certo periodo nel Quartiere di Santa Maria Novella, sotto il Gonfalone dell’Unicorno; prima nel Popolo di Santa Lucia di Ognissanti, poi dal 1° giugno 1507 in Via del Parione nel Popolo di Santa Trinita. Nel primo decennio del Cinquecento, il maestro lasciò inoltre saltuariamente Firenze per incarichi didattici ad Arezzo e Volterra. Nell’autunno del 1510, egli viveva forse nel Popolo di San Lorenzo del Quartiere fiorentino di San Giovanni, dove venne stipulato un atto notarile del 13 ottobre contenente la nomina conferita dal Grassini ad alcuni procuratori, tutti notai di uno stesso studio: tra questi Ser Tommaso di Piero di Giovanni e Ser Clemente di Iacopo de’ Bernardi. 2 Marco Grassini morì prima del 10 novembre 1523. In un rogito si legge infatti: Item postea dictis anno [1523], indictione [12] et die X mensis novembris. Actum Florentie et in Populo Sancti Stefani Habbatie florentine, et presentibus Ser Piero Francisci [...] et Ser Bernardo Dominici de Vermiglis testibus etc. Adhitio hereditatis sororis Domina Magdalena vidua, uxor olim Marci Magistri Iacopi et olim filia Iohannis Leonardi del Gamba ... sciens et cognoscens Lisabetam eius sororem charnalem et olim filiam ditti Johnnis Leonardi mortuam esse ... iam sunt menses tres ... et hodie superviventibus solum Iohanfrancisco eius fratre et olim filio Iohannis Leonardi et ditta Domina Maddalena eius sorore ... dittam hereditatem ditte Lisabette eius sororis preditte pro dimidia ... adivit ... . Item postea ... Domina Magdalena vidua, sciens et cognoscens Dominam Chaterinam viduam uxorem olim ditti Iohannis Leonardi et olim filiam [ ], eius novercham, mortuam esse ... iam sunt menses quatuor ... relitta tunc post se ditta Lisabetta eius unica filia hodie ut supra mortua, et etiam relittis post se et hodie superviventibus ditta suprascritta Domina Magdalena et Iohanfrancisco eius ut vulgariter dicitur figliastri, et nullis aliis relittis filiis ... ipsius Domine Chaterine / / ... hereditatem ditte Domine Chaterine pro ditta dimidia ... adivit ... . 3 1 3
ASF, Not. Antec. 4, c. 108v. ASF, Not. Antec. 3614, cc. 29v-30r.
2
Cfr. Appendice 2, documento 21.
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Il documento racconta che, in quella data, Maddalena del Gamba era già vedova di M° Marco, e che dopo la scomparsa della sorellastra Lisabetta e della matrigna Caterina di Ser Bindo Ciardi, 1 venne nominata assieme a suo fratello Giovanfrancesco erede dei beni lasciati dalla stessa Caterina. Dopo circa quattro anni e mezzo, da un rogito del 20 marzo 1528, anche questo stipulato in San Lorenzo, si apprende come la solita ... Domina Magdalena olim filia Iohannis Leonardi del Gamba et uxor olim et primo Magistri Marci Magistri Iacopi dell’abacho et secundo uxor Gori Francisci scultoris ... sit mortua iam sunt plures menses proxime presentes ... . 2
Quindi Maddalena morì verso il 1527/28, dopo avere sposato in seconde nozze lo scultore Goro di Francesco Buglioni. A quel tempo anche la figlia Lisabetta, nata dal matrimonio col Grassini e nominata nel testamento di M° Iacopo, doveva essere già scomparsa. Nel rogito del 20 marzo 1528, si stabilì infatti che la metà della casa di Via Santa Maria, che Marco aveva ereditato dal padre, casa che poi era passata a Maddalena e che questa aveva portato in dote al secondo marito, venisse data a Bartolomea, l’unica erede di Marco e Maddalena, e consegnata come dote a suo marito Francesco Buglioni, figlio del suddetto Goro. Quella metà della casa figurerà così tra i possedimenti di Francesco Buglioni alla Decima Granducale del 1532. 3 L’altra metà era stata ereditata dai nipoti di Marco, Iacopo e Andrea, figli di Giovanni Maria. 4 1 Per riferimenti a Caterina ed al suo matrimonio con Giovanni del Gamba si veda BNF, Magl. XXVI, 133, p. 271; Pol. Gargani 906, scheda n° 48. 2 Cfr. Appendice 2, documento 22. 3 Ibidem, documento 14. 4 Si veda il testamento di Iacopo Grassini.
Francesca (1508-1536) con Antonio da Milano
Iacopo (1508)
(n.1468-1508)
Raffaello
(n.c.1475-m.1514/23)
Marco
(n.c.1476-m.1480/1508)
Lisabetta (1508)
Pippa
Iacopo (n.1437/41-m.1508/10) con Bartolomea di Betto di Niccolò (n.1442/43-m.1480/1508)
Bartolomea (1528) con Francesco di Goro Buglioni (1528-1532)
con Diamante di Giovanni Aloisio Cigliani (m.1502/03) e con Maddalena di Giovanni del Gamba (n.1484-m.1527/28)
(n.c.1473-m.1480/1508)
altro figlio [altra figlia] (m.1499) (m.1499)
Giovanni Maria
Antonio Bartolomea (1508) (1508)
Margherita
(n.1461-m.1461/69)
Antonio
Giovanni (frate Benedetto) (n.1435/39-1488)
(n.c.1460-m.1484/1508)
Giuliano (n.1431/37-m.1458/69)
Antonio (n.1393/97-m.1458/62) con Lorenza o Nencia di Arrigo di Giovanni d’Alemagna (n.1405/12-m.1469/80)
Giovanni
Albero genealogico della famiglia Grassini
canacci, bonini e gli abacisti della famiglia grassini 147
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elisabetta ulivi 4. Piermaria di Lorenzo Bonini
Il ramo della famiglia Bonini da cui nacque l’abacista Piermaria di M° Lorenzo era originario di Castel Castagnaio, 1 nel Piviere di Romena in Casentino, zona dalla quale ebbe origine anche la famiglia Da Romena, cui appartenne un altro maestro d’abaco del Quattrocento, Bettino di Ser Antonio. 2 Non ci è noto quando la famiglia Bonini si sia trasferita a Firenze. Sappiamo comunque che vi abitava sicuramente già dalla prima metà del XV secolo, come risulta da alcuni documenti relativi al M° Piero di Puccio, il nonno di Piermaria, ed ai suoi numerosi figli. Nonostante abitassero a Firenze, per tutto il corso del Quattrocento, dei parenti più diretti di Piermaria – nonni, genitori e fratelli – non si ha traccia né nei Catasti fiorentini né all’Estimo del Contado. Dunque, anche in questo caso, si è resa difficile la ricostruzione biografica, avvenuta quasi esclusivamente attraverso documenti notarili, come ben noto di non facile reperimento. Il primo della famiglia di Piermaria su cui abbiamo notizie è il già citato nonno paterno, Piero. Piero di Puccio, altrimenti conosciuto ai suoi tempi come M° Piero, 3 era un barbiere che abitò e svolse la propria attività nei Popoli di San Pancrazio 4 e di Santa Trinita del Quartiere di Santa Maria Novella. Ebbe probabilmente due mogli, la seconda di nome Caterina, e almeno dodici figli: Guglielmo, Piera, Lorenzo, Matteo, Marco, Benedetto, Caterina, Paolo, Giovannni Gualberto, Andrea, Lodovica e Angeletta, nati circa tra il 1440 ed il 1480. 5 M° Piero fece testamento il 15 aprile 1488 e morì poco dopo. Lasciò tutte le sue sostanze ai figli Lorenzo, Marco, Benedetto, Paolo e Matteo; dispose inoltre che questi provvedessero al mantenimento della sua vedova Caterina e di tutte le sorelle, fino al loro matrimonio, destinando, a ciascuna di esse, 100 fiorini per la dote. 6 Per quanto riguarda i numerosi figli di Piero Bonini, su Matteo, Caterina e Giovanni Gualberto ci rimangono solo le date di nascita,
1
Cfr. Appendice 3, documento 5. Si veda in proposito E. Ulivi, Benedetto da Firenze, cit., pp. 33, 42-43, 53, 86, 182-187, 197, 2063 Cfr. Appendice 3, documento 1. 207. Cfr. anche la nota 1 a p. 160. 4 ASF, Arte dei Medici e Speziali 21: Matricole, c. 345r. Piero di Puccio fu immatricolato il 18 5 Si veda l’Albero genealogico. aprile 1442. 6 Cfr. Appendice 3, documento 10. 2
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1
rispettivamente 1451, 1460 e 1464. Di Angeletta e Guglielmo, le approssimative date di morte. 2 La maggiore delle figlie, Monna Piera, ebbe due mariti. Il primo fu Angelo di Tommaso di Ser Bartolomeo Nelli che sposò nel 1459; l’altro fu Donato di Paolo, un legnaiolo di Castel San Niccolò in Casentino, con il quale si unì in matrimonio nel 1469, portando in dote una casa di Via della Romita, nel Popolo di San Lorenzo del Quartiere di San Giovanni. Dal secondo matrimonio nacque un figlio di nome Paolo. 3 Di Monna Andrea sappiamo che si sposò il 9 dicembre 1490 con il filatoiaio Matteo di Antonio Lupicini. Sua sorella Lodovica il 24 novembre 1495 con Michele di Bartolomeo Zerini, un ottonaio. Per entrambe, oltre al contratto di matrimonio, rimane la relativa “confessio dotis”. 4 Di Paolo ci è pervenuto l’atto di emancipazione, redatto l’11 luglio 1485, all’età di circa 25 anni. 5 Benedetto, 6 anche lui barbiere, sposò nel 1488 7 una tale Caterina, dalla quale ebbe la figlia Lisabella: di queste si parla in due documenti notarili del 7 maggio e del 30 dicembre 1512, 8 posteriori alla scomparsa di Benedetto. Marco 9 si sposò nel novembre del 1483 con Maddalena di Francesco di Domenico, e fu poi emancipato il 4 dicembre 1486, all’età di 32 anni. 10 Dal matrimonio nacque un maschio di nome Piero, del quale abbiamo un atto di procura datato 4 agosto 1522. 11 La Decima Repubblicana del 1495 12 ed altri documenti c’informano che Marco svolse anche lui l’attività di barbiere e “medico cerusico”, 13 e che almeno fino al 1501 visse, con tutta la famiglia, e lavorò assieme al fratello Benedetto in una casa con bottega “a uso di barbieri e medicarie”, situata “sul canto di Santa Trinita” e proprietà dell’omonimo convento. 14 Era la stessa casa dove abitò e lavorò anche il padre, M° Piero. Nel 1495 i due fratelli erano proprietari di una casa in Via Gualfonda, ora Valfonda, nel Popolo di 1 Matteo fu battezzato il 24 febbraio 1451, Caterina il 18 luglio 1460, Giovanni Gualberto il 12 luglio 1464, tutti nella Chiesa di Santa Trinita: cfr. AOSMFF, Registri Battesimali 1 (1450-1460), 2 (1460-1467). 2 Cfr. ASF, Not. Antec. 9645, c. 328v; Appendice 3, documento 13. 3 BNF, Magl. XXVI, 146, p. 153; Appendice 3, documento 5. 4 ASF, Not. Antec. 7227, cc. 39v, 42v, 241v, 243r. 5 ASF, Not. Antec. 7226, c. 146v. 6 Fu battezzato in Santa Trinita il 28 gennaio 1456: AOSMFF, Registri Battesimali 1 (14507 Cfr. Appendice 3, documento 13. 1460). 8 ASF, Not. Antec. 18274, c. 47r; 18250, cc. 154r-155r. 9 Fu battezzato sempre in Santa Trinita il 26 settembre 1454: AOSMFF, Registri Battesimali 10 ASF, Not. Antec. 7226, cc. 66v-68r, 236v. 1 (1450-1460). 11 ASF, Not. Antec. 11, c. 69v. 12 Cfr. Appendice 3, documento 13. 13 ASF, Not. Antec. 7917, c. 61r. 14 ASF, Corpor. rel. soppr. dal Gov. francese 89, 15, c. 88r.
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Santa Maria Novella, casa che fu poi venduta da Marco il 16 giugno 1508; 1 di una vigna a Peretola ereditata nel 1476 dal fratello Guglielmo; di un podere nel Piviere di Settimo che Benedetto aveva ricevuto in dote dalla moglie nel 1488; infine di un terreno con “chasa da lavoratore” a Lamole, nel Comune di Gangalandi del Valdarno di Sotto, che Marco aveva avuto nel 1487 dal fratello Lorenzo, il padre di Piermaria, e che fu da lui rivenduto il 6 aprile 1517. 2 Marco morì nel 1520. 3 Lorenzo fu per età il primo – o il secondo dopo Guglielmo – dei figli maschi di M° Piero Bonini. Come il padre ed i fratelli Marco e Benedetto, Lorenzo fece il mestiere di barbiere, e fu anche “magister in artis cerusice”. 4 Attorno al 1475, egli si unì in matrimonio con Pippa di Fruosino di Giovanni Fruosini, che gli portò in dote 260 fiorini, 5 ed il 26 gennaio 1477 stipulò il suo atto di emancipazione. 6 Il 7 novembre 1477 ed il 26 marzo 1478 Lorenzo ebbe le sue prime proprietà che comprò, con il denaro della dote di sua moglie, da Simone di Matteo Forestani e da Antonio di Maso Bindi: quattro appezzamenti di terreno a Lamole, in località Fontanella, Valle, Panteraie e Seralingo. 7 Le terre vennero poi assegnate a suo fratello Marco il 17 settembre 1487, a causa di un debito di 90 fiorini che Lorenzo aveva con lo stesso Marco. 8 Al tempo dell’acquisto dei poderi, M° Lorenzo abitava e lavorava ancora in Santa Trinita, con il padre Piero. Poco dopo, probabilmente nel triennio 1476-1479, nacque il suo primogenito Fruosino. Tra il 1477 ed il 1480, Lorenzo acquistò ... unam domum cum apotheca ... acta ad barberiam ... cum palchis, salis, chameris ... positam Florentie super Plateam Madonne ... , 9
nel Popolo di San Lorenzo del Quartiere di San Giovanni, e lì trasferì la propria residenza e la propria attività di barbiere. Di quella casa e di relativi lavori di ristrutturazione si parla in un rogito del 31 maggio 1480. 10 In Piazza Madonna nacquero altri due figli di Lorenzo: Bonino il 28 novembre 1480 e Guasparre il 28 maggio 1483. 11 In quegli anni, esattamente il 13 novembre 1482, Lorenzo acquistò anche, da Geronimo di Francesco de’ Bonsi, una casa in Via dei Ferra1 2 3 4 6 8 10 11
ASF, Not. Antec. 7917, cc. 61r-61v; Decima Grand. 3655, c. 80r. ASF, Decima Grand. 3595, c. 249r. ASF, Ufficiali poi Magistrato della Grascia 191, c. 388v. 5 Cfr. Appendice 3, documento 17. ASF, Not. Antec. 9256, c. 174r. 7 Ibidem, documenti 3 e 4. Ibidem, documento 2. 9 Ibidem, documento 8. Ibidem, documento 9. ASF, Not. Antec. 6082, cc. 116r-116v. AOSMFF, Registri Battesimali 4 (1474-1481), c. 115v; 5 (1482-1492), c. 23v.
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vecchi, nel Popolo di Santa Maria degli Ughi del Quartiere di Santa Maria Novella. 1 Poco dopo la nascita del suo terzogenito, Lorenzo lasciò l’abitazione di Piazza Madonna, affittandola al fornaio Antonio Bonamenti, il 30 ottobre 1483; la bottega di barbiere divenne così una bottega di biadaiolo. 2 Dopo quella di Piazza Madonna, la nuova residenza di M° Lorenzo e dei suoi fu una casa situata sulla Piazza di San Donato in Vecchietti, che un tempo sorgeva lungo l’attuale Via Vecchietti, nell’omonimo Popolo del Quartiere di Santa Maria Novella, sotto il Gonfalone del Leon Bianco. Il 18 febbraio 1486, presumibilmente proprio in quella casa, nacque l’ultimo figlio maschio di Lorenzo, il futuro abacista Piermaria Bonini. Nei Registri Battesimali dell’Archivio dell’Opera del Duomo, tra i battezzati nel febbraio 1486, si trova infatti: Piermaria e Buonaventura di Lorenzo di M° Piero, Popolo di San Donato in Vecchietti, 18 hora 4, battezzato a dì 19. 3
Il 20 ottobre 1488, la casa di San Donato in Vecchietti fu in parte affittata al rigattiere Lotto di Francesco Lotti. 4 A quel tempo, la famiglia di Piermaria abitava di nuovo nel Popolo di San Lorenzo, dove rimase almeno fino al 1490. Lo si deduce da un rogito del 23 settembre di quell’anno, con il quale M° Lorenzo ricevette in dono dal cognato Don Angelo Fruosini, cappellano della Chiesa di Santa Maria a Vico Pisano, unam sepulturam sive tumulum positam in Sanctam Mariam del Fiore de Florentia, schontra chanonicham, que sepultura olim fuit Prioris Chelis et filiorum, scholpita in muro Ecclesie Sancte Marie del Fiore ..., 5
e che diverrà probabilmente il sepolcro della famiglia Bonini. Di M° Lorenzo rimane un testamento redatto il 30 dicembre 1482, in cui sono esplicitamente nominati solo la moglie Pippa ed il fratello Paolo; l’atto fu poi sostituito da un altro testamento, che però non abbiamo rintracciato, e che fu rogato da Ser Piero Orlandi. 6 Eredi universali di Lorenzo furono i suoi quattro maschi: Fruosino, Bonino, Guasparre e Piermaria. Nel documento del 1482 si accenna anche a figlie femmine, ma in forma del tutto generica; una di quelle – lo vedremo in un successivo rogito – ebbe nome Leonarda. 1 2 3 4 5
Cfr. Appendice 3, documento 6; ASF, Not. Antec. 6087, cc. 96v-97r. Cfr. Appendice 3, documento 8. AOSMFF, Registri Battesimali 5 (1482-1492), c. 65r. Cfr. Appendice 3, documento 11. 6 Ibidem, documento 7. Ibidem, documento 12.
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Lorenzo morì quasi con certezza tra il 1497 e l’inizio del 1498, come si evince da tre documenti: Il primo è un lodo del 31 marzo 1501 dove si parla di un debito di 1435 lire che M° Lorenzo aveva nel 1497 con Giovanni di Francesco Rossi, suo socio in una bottega di aromatario; dopo la morte del padre, i fratelli Bonini saldarono il debito in più rate, pagandole al notaio Rosso di Francesco, fratello del detto Giovanni. 1 Gli altri sono due rogiti del 14 e 15 febbraio 1498 che furono stipulati dagli eredi del M° Piero Bonini – i suoi figli Andrea, Marco, Benedetto, Paolo e Matteo – per questioni inerenti al suo testamento e ad un suo credito con l’Ospedale di Santa Maria Nuova. 2 Tra i roganti non compare il nome di Lorenzo, che dunque doveva essere già scomparso. Alcuni atti notarili successivi alla morte di Lorenzo Bonini sembrano attestare che anche i suoi eredi ebbero delle controversie per problemi di eredità. Ricordiamo un compromesso del 24 dicembre 1500, dove si parla di una lite tra i quattro figli di Lorenzo, 3 ed un precedente rogito del 25 marzo 1500 cui si fa riferimento in un atto del 28 febbraio 1510. 4 In tale documento l’Arcivescovo di Firenze, Cosimo de’ Pazzi, quale arbitro di Fruosino, Bonino e Piermaria Bonini e di Niccolò di Domenico Salutati, un discendente del noto Coluccio, stabilì che i fratelli Bonini restituissero in parti uguali alla madre Pippa i 260 fiorini della sua dote, in secondo luogo che la porzione di eredità del loro defunto fratello Guasparre andasse al Maestro Fruosino, e infine che quest’ultimo consegnasse al marito della sorella Leonarda, il detto Niccolò Salutati, 5 200 fiorini come dote della stessa Leonarda. Tre mesi dopo, il 23 maggio, Pippa di Fruosino, fece a sua volta una “Donatio causa mortis” dei propri beni mobili ed immobili, a favore dei figli Bonino e Piermaria. 6 Il citato rogito del 24 dicembre 1500 venne redatto nel Popolo di San Cristofano dal Corso, sotto il Gonfalone del Drago del Quartiere di San Giovanni. È da ritenere che al quel tempo – e già da alcuni anni – i fratelli Fruosino, Guasparre e Piermaria abitassero insieme proprio nel Popolo di San Cristofano, mentre Bonino doveva essersi già sposato, staccandosi dalla famiglia di origine. 1 Ibidem, documento 15. Il lodo è preceduto da due compromessi del 9 e 27 febbraio 1501, fatti tra Ser Rosso e Bartolomeo di Simone Cini, procuratore dei Bonini; lo stesso lodo è seguito dalla relativa ratifica del 23 e 27 aprile. Cfr. ASF, Not. Antec. 18269, cc. 61v-63r, 79r-79v. 2 ASF, Not. Antec. 9645, cc. 328r-328v. 3 Cfr. Appendice 3, documento 14. 4 Ibidem, documento 17; cfr. anche documento 16. 5 Il matrimonio di Leonarda e di Niccolò è ricordato in uno spoglio della Gabella dei Contratti: cfr. BNF, Fondo Princ. II. IV. 403, p. 429. 6 Cfr. Appendice 3, documento 18.
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Fruosino e Guasparre forse non si sposarono. Fruosino nel 1500 era già medico, e morì entro il febbraio del 1530. Guasparre, come si è visto, morì giovane, prima del marzo 1510. Bonino, che fu un facoltoso aromatario, 1 ebbe tre figli: Lorenzo, Andrea e Marietta. Nel novembre del 1514, da Giuliano di Filippo dell’Avveduto, egli acquistò una casa in Via dell’Alloro, nel Popolo di Santa Maria Maggiore in San Giovanni; 2 il 2 luglio ed il 3 dicembre 1523, il 5 e 13 febbraio ed il 28 aprile 1524, il 24 gennaio e 21 luglio 1525 divenne proprietario di alcune terre situate nei Popoli di Santa Maria a Peretola, San Pietro a Quaracchi, San Biagio a Petriolo e Santa Croce all’Osmannoro. 3 Una delle sue botteghe di profumiere fu quella allora nota come lo “speziale de’ Pecori” nella via omonima in San Giovanni. 4 Bonino morì tra il 1526 ed il 1530, lasciando la casa e le terre in eredità ai due figli maschi. 5 Piermaria Bonini si distaccò completamente dalle attività del nonno, del padre e dei fratelli – tutte tra loro legate – divenendo abacista e maestro d’abaco, come risulta documentato almeno per gli anni 15141519. Nel 1518 il Nostro era nel vivo della propria professione, tanto da pubblicare il suo pur breve Lucidario d’arithmetica, di sole 16 carte, una delle prime aritmetiche a stampa. Su questa, in un libro di Deliberazoni dell’Archivio di Stato di Firenze, si legge: Die XXVI iunii 1518 Pro Piermaria de Boninis Item, dicti Domini et Vessillifer, simul adunati etc., actencto qualiter Piermaria Magistri Laurentii de Boninis, civis florentinus, composuit quoddam opus arismetrice, videlicet quosdam libellos abbaci, quos ad comunem utilitatem imprimere seu imprimi facere statuit, et cum omnis labor obtet premium et ad hoc ut ipse ex labore suo aliquid plus lucretur et ad ipsius Piermarie requisitionem impedi, deliberaverunt et mandaverunt quod nullus alius preter dictum Iohannemariam 6 possit et valeat dictum opus et libellos abbaci imprimere nec imprimi facere per se vel alium seu alios sub aliquo quesito colore, sub pena eorum indignationis. Mandantes etc. 7
L’anno successivo alla pubblicazione del suo trattatello, all’età di 33 anni, Piermaria si sposò con Caterina, figlia di Antonio di Ugo Ciofi e di 1
BNF, Magl. XXVI, 133, Spoglio di Ferdinando Leopoldo del Migliore. Zib. VIIII, p. 329. ASF, Not. Antec. 18274, cc. 377r-379v, 386r-386v. 3 ASF, Not. Antec. 11, cc. 222r-223v, 288r-289r; 12, cc. 25v-26r, 30r-30v, 67v-68r, 186v-187r, 4 Cfr. Appendice 3, documento 21. 5 Ibidem, documento 25. 250v-251r. 6 Dovrebbe essere “Piermariam”. 7 ASF, Signori e Collegi, Deliberazioni in forza di Ordinaria Autorità 120, c. 60v. 2
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Ginevra di Luca di Lorenzo Salucci. 1 Al matrimonio si fa cenno in uno spoglio della Gabella dei Contratti di Firenze. 2 Antonio Ciofi era un fornaciaio alquanto benestante. Abitò sempre in una casa di proprietà in Via della Romita, in San Giovanni, ed ebbe case e terreni nei dintorni di Firenze: a Serpiolle, Careggi, Cercina e Buggiano. All’epoca del matrimonio della figlia Caterina, Antonio era già morto. Furono infatti i suoi figli, Ugo e Giuliano, a consegnare al M° Piermaria la dote della sorella, come si legge nella relativa “confessio et promissio dotis” del 9 luglio 1519, che seguì di pochi giorni il matrimonio: Item postea, dictis anno [1519], indictione et die nona dictis mensis iulii. Actum in Populo Sancti Simonis de Florentia, presentibus Pierantonio Francisci de Lottis, furnario ditti Populi, et Martino Zanobii del Broncho, fattore [...]. Piermaria olim Magistri Laurentii de Bonini, magister abbaci et civis florentinus, sponte etc. ... confessus fuit habuisse etc. pro dote ... Domine Chatherine ... filie olim Antonii Ughonis de C[i]ofis, civis florentini, et pro ea ab Ugho et Iuliano fratribus dicte Domine et filiis dicti olim Antonii de C[i]ofis, summam et quantitatem florenorum octuaginta ... inter denarios et bona immobilia ... . // ... . Ideo dicti Ugho et Iulianus dederunt et consignaverunt dicto Piermaria, presenti ... unam domum cum palchis, salis, cameris et curia et volta, stalla ... cum aliis suis pertinentibus ... hodie habitant Masus et Francischus de Binis de Florentia, posita in Via dicta della Romita, cui a primo via, a II Ser Leonardi del Maza, a III dicti de C[i]ofis, a IIII Bartolomeo materassaio, a quinto Geri de C[i]ofis, infra predictos confines .... 3
La casa in Via della Romita, di cui si parla nel documento, e che Piermaria ricevette dai parenti della moglie come parte della sua dote, divenne presumibilmente la residenza dei due sposi, e lo rimase almeno nei primi tempi della loro non lunga unione. Qualche anno dopo, con alcuni atti notarili del 2, 7, 23 e 31 marzo 1525, Piermaria acquistò da Francesco di Bartolomeo del Giocondo parte di una casa situata nel Quartiere di Santo Spirito, sotto il Gonfalone della Ferza. Il sito, del costo di 114 fiorini, si trovava ... in Populo Sancti Felicis in Platea, in via magistra, cui toti domum a primo dicta strata, a II Angeli Francisci de Bugliafa, a III Andree Ser Mattei de Castruccis infra predictos confines ... . 4
e con buona probabilità fu la nuova abitazione del Bonini. I suddetti rogiti del marzo 1525 sono gli ultimi documenti su Piermaria a tutt’oggi noti e compilati quando l’abacista era ancora in vita. 5 1 I genitori di Caterina si erano sposati nel 1483: cfr. BNF, Magl. XXVI, 141, Spogli di Ferdinando Leopoldo del Migliore. Zibaldone genealogico 11, p. 287. 2 BNF, Poligrafo Gargani 338, scheda 209. 3 ASF, Not. Antec. 18278, cc. 417r-417v. 4 Cfr. Appendice 3, documento 21; inotre i documenti 22 e 23. 5 Oltre a questo documento ed a quelli prima elencati, di Piermaria Bonini ci rimane anche
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Alla Decima Repubblicana del 1498, relativa al Gonfalone del Drago in San Giovanni, tra i cittadini fiorentini, compare per la prima ed ultima volta il nome di Piermaria Bonini. Non si tratta della sua denuncia alla stessa Decima, quando peraltro il Bonini aveva solo dodici anni, né quella dei suoi familiari, ma di una breve nota aggiunta dagli Ufficiali del Catasto fiorentino, dove si legge: Piermaria di Maestro Lorenzo Bonini ha di decima s. 16, d. 8 larghi ... . A dì 13 di maggio 1525 di nuovo fu accesa questa posta per beni levati di chonto di Francescho di Bartolo del Giocondo, Gonfalone Leon d’Oro, come nella scripta del Monte n° 19 si dicie. A dì primo di marzo 1529 si leva per scritta n° 121 decta Decima, posti a Lorenzo e Antonio di Bonino. 1
Sempre sotto il Gonfalone del Drago, rispettivamente negli Arroti del 1529-1530, proprio al n° 121, e nella Decima Granducale del 1532, si trova infatti, tra le sostanze di Lorenzo e Antonio di Bonino, nipoti di Piermaria: Una chasa posta in Firenze e nel Popolo di San Felice in Piaza e tiella co’ sua chonfini, comprò Piermaria di Lorenzo Bonini loro zio da Francesco di Bartolomeo del Giocondo, Leon d’Oro, sotto dì 31 di marzo 1525 e per decima di s. 16.8, al Libro Drago, San Giovanni, Decima ‘98, c. 33, sotto nome di Piermaria di Maestro Lorenzo Bonini, e tanto ponete a’ detti e levate da detto Piermaria di Maestro Lorenzo Bonini, Gonfalone detto. 2 Una casa con sua appartenenze posta nel Popolo di San Felice in Piazza e nella via maestra, a primo via, a 2° Angniolo del Bugliafa, 3° Andrea Chastrucci, e più altri veri chonfini, la quale ci è pervenuta da Piermaria nostro zio, chome si vede per uno Aroto 1529 n° 121, in noi detti, per decima di s. 16, d. VIII. 3
Dai precedenti documenti si deduce che Piermaria Bonini morì dopo il 31 marzo 1525 e che inoltre sia lui che la moglie Caterina morirono anteriormente al 1° marzo 1530, senza lasciare figli. A seguito della loro prematura scomparsa, ed in mancanza di eredi più diretti, la casa acquistata da Piermaria nel 1525 andò infatti ai figli del defunto fratello Bonino, Lorenzo ed Andrea. Lorenzo, Andrea e la sorella Marietta, sono gli ultimi membri della famiglia Bonini di cui abbiamo notizie. Marietta si fece monaca col nome di Suor Taddea e negli anni 15251532 fu nel Convento di San Donato in Polverosa. 4 un compromesso del 29 dicembre 1512, in cui si accenna ad una lite con tale Guido di Cino di Guidone: cfr. Appendice 3, documento 19. 1 ASF, Decima Repub. 30, c. 33r. 2 Cfr. Appendice 3, documento 23. 3 Ibidem, documento 24. 4 ASF, Corpor. relig. soppr. dal Gov. franc. 233, 6, cc. 173s-173d.
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Lorenzo, che fu uno speziale, si sposò nel 1532 con Marsilia di Ser Simone Binazzi, sembra poi con tale Marietta. Morì nel 1574 e fu sepolto in Santa Trinita. Il suo nome è legato a quello del grande Benvenuto Cellini; 1 più volte citato nei Ricordi dell’artista, Lorenzo fu anche tra i testimoni al secondo codicillo del testamento del Cellini, redatto il 3 febbraio 1571. 2 1
BNF, Poligrafo Gargani 338, schede 204-207; 339, schede 115-116. BRF, Ricc. 3082, cc. 1v, 32r. Benvenuto Cellini, Ricordi prose e poesia, raccolti e pubblicati dal Dottor Francesco Tassi, Firenze, presso Guglielmo Piappi, III, 1829, p. 244. 2
Piero (1522)
Lorenzo (1530-m.1574) con Marsilia di Ser Simone Binazzi (1532) e Marietta (m.1574)
Antonio (1530-1532)
Marietta (1525-1528)
Piermaria (n.1486-m.1525/30) con Caterina di Ugo Ciofi (1519-m.1519/30)
Lisabella (1512) Leonarda (1510) con Niccolò di Domenico Salutati (n.1485-1510)
Lorenzo Matteo Marco Benedetto Caterina Paolo Giovanni Gualberto (n.p.1451- (n.1451-1498) (n.1454-m.1520) (n.1456- (n.1460) (n.c.1460-1498) (n.1464-m.p.1488) m.1497/98) con m.1498/1512) con Pippa Maddalena con Caterina di Fruosino di Francesco (1512) Fruosini (1483) (1477-1510)
Fruosino Bonino Guasparre (n.1476/79-m.1510/30) (n.1480-m.1526/30) (n.1483-m.1500/10)
Paolo (n.c.1471)
Guglielmo Piera (m.c.1476) (n.c.1442-1480) con Angelo di Tommaso Nelli (1459-m.p.1469) e Donato di Paolo (n.c.1430-1480)
Piero (1442-m.1488/89) con Caterina (1488)
Puccio
Bonino
Albero genealogico della famiglia Bonini
Andrea (1488-1498) con Matteo di Antonio Lupicini (1490-1498)
Lodovica Angeletta (1488-1495) (m.1488/98) con Michele di Bartolomeo Zerini (1495)
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elisabetta ulivi 5. L’insegnamento: scuole e scolari
In questo capitolo procederemo dal punto di vista cronologico, prendendo in esame l’attività svolta come maestri d’abaco da Iacopo Grassini, dai suoi figli Antonio, Giovanni Maria e Marco, da Raffaello Canacci e da Piermaria Bonini, in un arco di tempo che va dal 1465 al 1519. Il più anziano e dunque anche il primo tra gli abacisti di cui ci stiamo occupando ad intraprendere l’insegnamento fu Iacopo Grassini, che come abbiamo già accennato esercitò la sua professione tra Volterra, 1 Prato e Firenze. In due Delibere del Comune di Volterra, datate rispettivamente 19 novembre 1465 e 24 maggio 1466, si legge infatti che i Priori della città ... stantiaverunt sextariam primam Magistri Iacobi magistri abaci, ad rationem CC librarum in anno finitam die XVI presentis, libras 33, s. 6, d. 8 solvendarum sibi per Camerarium dogane ________________________________ £, 33, s.6, d.8 2
Similiter etc. Iacobus Antonii de Florentia magister abaci, a Comuni salariatus et conductus pro II anno prout patet dicto die XXI presentis mensis cum salario 60 florenorum pro dicto secundo anno, acceptavit; ad rationem quattuor librarum pro quolibet florenos. 3
Nel settembre 1465, attorno ai venticinque anni, Iacopo assunse dunque l’incarico di maestro l’abaco pubblico a Volterra, con uno stipendio di 200 lire annue, che gli venivano pagate ogni due mesi. L’anno seguente l’incarico venne confermato e lo stipendio fu portato a 60 fiorini, 240 lire annue. 4 Il 4 settembre del 1467, prima di iniziare il suo terzo anno d’insegnamento, a causa di una pestilenza, Iacopo chiese ed ottenne di ritornare a Firenze, rinunciando ad un periodo di retribuzione. La corrispondente delibera recita: Lecta fuit in suprascriptis Consiliis celebratis die IIII septembris petitio Iacobi de Florentia magister abachi conducti in civitate Vulterrarum, cuius petitionis effectus erat quod cum ipse cupiat recedere ab eadem civitate propter pestem invalescentem, possit id facere absque ullo suo preiudicio; dummodo pro tempore quod steterit extra civitatem non habeat salarium. Et finito tempore suis electionis restituat tempus et pro eo tempore quod restituerit sibi solvatur ad rationem et ratam salarii sui. De quo eius recessu et reditu fiat mentio in manuali cancellerie, per Cancellarium comunis. 1 Qualche informazione, peraltro talvolta inesatta, sull’attività di Iacopo Grassini e dei figli a Volterra si trovava già in Mario Battistini, Il pubblico insegnamento in Volterra dal secolo XIV al secolo XVIII, Volterra, Tip. Carnieri, 1919, pp. 28-29, 45 e 124. 2 ASCV, A nera 46, III, c. 17v. 3 Ibidem, c. 71r. 4 Per questo biennio, altri riferimenti a M° Iacopo sono in: Ibidem, cc. 37v, 53r, 69v, 87v; A nera 47, I, cc. 23v, 50r, 52v, 109v; A nera 47, II, cc. 21v-22r.
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Derogata per lupinos nigros LXIII, albis decem non obstantibus. 1
Il 18 settembre 1467: Iacobus magister abbachi recessit ad urbe Vulterrana causa eundi Florentia, habita licentia propter pestem. 2
Rientrato a Volterra, l’abacista riprese il suo ruolo che tenne, con buona probabilità senza interruzioni, fino a tutto l’ottobre del 1469. 3 Dai soliti libri di Deliberazioni e da altri documenti fiorentini, si deduce che, dopo il 1469 e per diverso tempo, Iacopo Grassini non tornò a Volterra. Nel suo Catasto del ‘69, presumibilmente del mese di agosto, 4 egli scrive infatti: Iacopo d’Antonio di Giovanni Grassini, maestro d’abbacho di Volterra, e al presente a Volterra abito, che vi finischo il tempo a chalen di novembre prossimo 1469,
ed in riferimento alla casa di Via Santa Maria precisa: La quale chasa appigionasi per due anni, che cominciò la pigione addì primo di novenbre 1468, ad Agnolo di Lucha tessitore per pregio di ff. 10 1/4 larghi; funne roghato Ser Francesco di Sino notaio fiorentino. Abisongnami a cchalen di novembre prossimo 1469 torne una pigione per mio abitare perché finisco l’uficio che ò a Volterra e ttorno a Firenze.
In realtà, dal dicembre del 1469 al gennaio del 1476, Iacopo fu maestro d’abaco pubblico a Prato, con uno stipendio annuo prima di 50 e poi di 60 fiorini. Di questi, i due terzi erano pagati dalla Casa Pia del Ceppo Nuovo sorto nel 1410 per volere testamentario di Francesco di Marco Datini, e un terzo dal Ceppo Vecchio. In tre carte di un Libro di creditori et debitori del Ceppo Nuovo si legge infatti rispettivamente: Maestro Iachopo d’Antonio da Chanpi chondotto dal Chomune di Prato per maestro d’albacho per anni due, inchomincati per insino a dì primo di dicenbre 1469 et finendo a dì primo di dicenbre 1471, che debba avere per le rate de’ dua terzi di f. 50 l’anno. E toccha a questa Chasa, per detto tenpo d’anni due in tutto f. sesanza 2/3 a £. 4, s. 4 per fiorino, chome tutto appare per le Riformagioni di Ser Nicholò di Cristofano cancelieri del Comune di Prato, sotto dì primo di dicembre 1469 ________________________________________ f. 66, £. 2, s. 16 Maestro Iachopo d’Antonio Grassini da Firenze maestro d’albacho dee avere f. ciento venti pratesi, cioè a £. 4 e s. 4 per fiorino, per vigore d’uno stanziamento di mano di Ser Nicholò da Richorboli chancelieri del Comune di Prato, per ‘lezione fatta per le manni di Lorenzo de’ Medici perché detto Lorenzo à ‘uto altorità d’elegiere detto maestro d’abacho dal Comune di Prato chon salario di f. sesanta pratesi chome di sopra per ciascheduno anno, che fanno la monta l’anno di £. 168, 1 3 4
2 ASCV, A nera 47, I, c. 116v. ASCV, A nera 47, II, c. 34v. Per i pagamenti dell’anno 1469 cfr. A nera 47, III, cc. 30v, 45r, 71r. Cfr. Appendice 2, documento 10.
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che così tocha a pagare a quasta Chasa per ciascheduno anno dela decta chondotta, chiarì detto Lorenzo, e decretino fusse per anni tre proximi futuri da dovere inchominciare a dì primo di dicenbre 1471 e finire chome segue, che in tutto el deto tempo d’anni tre ne tocha a pagare a questa la sopradetta somma, ch’è f. 120. E più dichiari el sopradetto Lorenzo che detto Maestro Iachopo fusse paghato messe per mese, chome di tutto aparisce nelle Riformagioni di Ser Nicholò da Richorboli chancelieri del Comune di Prato, che fanno la soma per anni tre, ridotti a lire, di £. 504, s. 0. d. 0. Maestro Iacopo d’Antonio Grassini da Firenze de’ avere da questo Cieppo a dì 31 di maggio 1475 f. quaranta pratesi a £. 4, s. 4 per fiorino, quando gl’arà ghuadagnati, e quali sono per lla rata de’ 2/3 di f. 60 pratesi per suo salario fattogli dal Consiglio Gienerale per lla via ordinaria per uno anno fu ricondotto maestro d’albacho in detta terra di Prato, cominciato a dì 25 di gienaio 1474 e finito per tutto dì 24 di gienaio 1475, con detto salario di f. 60 pratesi, de’ quali ne tocha a questa Casa e 2/3, come di consuetudine, cioè f. 40 pratesi e ‘l 1/3 al Ceppo Vecchio di Prato, cioè f. venti pratesi, sì come e’ tutto appare per uno stanziamento di mano di Messer Niccolò di Cristofano cancellieri del comune di Prato apresso di me Niccolò Cambioni camarlingo. Valsono detti f. 40 a £. 4, s. 4 per fiorino ____________ _____________________________________________________ £. 168, s. – 1
Come si vede, la nomina del maestro fu rinnovata nel 1471, ed anche in precedenza, per volere di Lorenzo de’ Medici, su richiesta del Consiglio comunale di Prato. In riferimento a quella nomina, il cancelliere Niccolò Ricorboli, o Risorvoli, il 31 luglio 1471 scriveva personalmente a Lorenzo : Non ò prima risposto a quanto ne’ dì passati scrivesti circa alla riconducta del maestro dell’abaco di qui, perché attendevo intorno a ciò fare mio debito et di poi avisarvi dello effecto et conclusione, la quale è in quel modo che per lo presenti intenderete: Questa mattina pel publico et generale consiglio di questa communità, oportunamente è suto provisto et dato libera commissione alla vostra Excellentia di potere eleggere decto maestro d’abaco o qualunque altro, per quel tempo et termine et chon quel salario che a essa parrà et piacerà. Di che brevi spero, fauctore Deo, per 1 ASP, Casa Pia dei Ceppi 212, cc. 269d, 318d, 386d. Pagamenti relativi allo stesso periodo sono registrati sempre nella filza 212, cc. 290d, 365d, in Casa Pia dei Ceppi 207, cc. 37d, 39d, 61d, e in Casa Pia dei Ceppi 227, c. 370d. Iacopo compare anche tra i debitori della Casa per grano, vino a altro, tra il 1469 e il 1478: cfr. Casa Pia dei Ceppi 212, cc. 269s, 290s, 318s, 365s, 386s; 207, cc. 37s, 39s, 61s; 227, c. 370s. Sulla nomina di Maestro Iacopo cfr. infine ASP, Comune, Diurni, 103, cc. 74r, 111r111v, 116r, 125r, 126r. Oltre a Iacopo Grassini, altri importanti abacisti che insegnarono a Prato e che furono attivi a Firenze nel corso del Quattrocento e del primo Cinquecento sono Lorenzo di Biagio da Campi, Frate Mariotto di Ser Giovanni Guiducci e Niccolò di Taddeo dei Micceri. Su questi si veda: E. Ulivi, Benedetto da Firenze, cit., ad vocem; Eadem, Maestri e scuole d’abaco a Firenze: la “Bottega di Santa Trinita”, in Leonardo Fibonacci. Matematica e società nel Mediterraneo nel secolo XIII, II, «Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche», 24, 1 (2004), pp. 59-61, 63, 72-75; Eadem, Bettino di Ser Antonio, un maestro d’abaco nel Castello di Romena, di prossima pubblicazione sul «Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche». Per l’indicazione dei documenti su Prato si ringrazia Robert Black che ha svolto ed ha in corso importanti studi sull’insegnamento nel Medioevo e nel Rinascimento, in particolare della grammatica, in diverse località della Toscana.
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commissione di questa comunità alla decta vostra Excellentia, a pieno presentialmente riferire. Et tucto s’è governato commodamente et chon conveniente habilità. Al presente non altro. Racomandandomi alla Vostra Excellentia … . 1
Nel 1472, il maestro ebbe l’autorizzazione di assentarsi da Prato per un certo periodo, come si legge in una successiva missiva dello stesso Risorvoli a Lorenzo, datata 20 novembre 1472: All’auta delle vostre lettere, secondo il tenore d’esse, providi che al maestro dell’abaco di qui fusse prolongata la licentia d’absentarsi insino che avesse supplito al bisogno d’Apollonio Baldovini, amico della vostra Excellentia … . 2
Finito il suo incarico a Prato, Iacopo Grassini rientrò a Firenze. Qui si trovava sicuramente nell’estate del 1479, come risulta da un rogito del 7 luglio, in cui compare come testimone. 3 L’anno successivo, al Catasto del 1480, l’abacista scrive: Iacopo d’Antonio di Giovanni Grassini, sono istato alchuna volta a insegnare d’abacho per le vostre chastella, e oggi non ò luogho; prochaccio d’insegnare in Firenze, se cho[sì] arò luogho, perché non so altro exercizio. 4
In quell’anno, e forse già da qualche tempo, sospesi gli incarichi pubblici, Iacopo svolgeva di fatto la sua attività a Firenze, privatamente, come attesta la denuncia catastale di Carlo di Francesco di Neri Pitti. Questi, abitante nel Popolo di Santa Felicita in Santo Spirito, lo stesso Quartiere del Grassini, elenca infatti tra le “Bocche”: Francesco, figliolo legittimo di detto Carlo, d’età d’anni undici; e ista all’abacho a Iacopo Ghrassini. 5
Diversi rogiti, sui quali ci siamo già soffermati, testimoniano che nel biennio 1487-1488, M° Iacopo era sempre a Firenze. 6 Mentre il padre dimorava con la famiglia nella città natale, il primogenito di Iacopo, Antonio Grassini, dopo avere intrapreso l’insegnamento, cui egli stesso sembra accennare all’inizio della sua Operetta d’abacho, lasciò la città per esercitare l’attività altrove. 7 Il 26 gennaio 1483, su richiesta 1 ASF, MAP 27, n. 427. Cfr. Elisabetta Ulivi, Le scuole d’abaco a Firenze (seconda metà del sec. XIII- prima metà del sec. XVI), in Luca Pacioli e la Matematica del Rinascimento, Atti del Convegno internazionale di studi, Sansepolcro 13-16 aprile 1994, a cura di E. Giusti, Città di Castello, Petruzzi, 1998, pp. 44-45. 2 ASF, MAP 28, n. 687. L’ Apollonio Baldovini nominato nella lettera, personaggio tra l’altro del Simposio di Lorenzo, durante il soggiorno del Magnifico a Cafaggiolo ebbe con lui una vivace corrispondenza. Cfr. André Rochon, La jeunesse de Laurent de Médicis (1449-1478), Paris, Les Belles Lettres, 1963, pp. 126, 591; Lorenzo de’ Medici, Lettere, I, a cura di R. Fubini, Firenze, Giunti Barbèra, 1977, pp. 35-36. 3 ASF, Not. Antec. 6082, c. 93v. 4 Cfr. Appendice 2, documento 11. 5 Cfr. Armando Verde, Lo Studio Fiorentino 1473-1503. Ricerche e documenti, Firenze, Olschki, 5 voll., 1973-1994: III, Parte II,1977, p. 1024. ASF, Catasto 994, c. 200r. 6 Cfr. qui, p. 136. 7 Cfr. qui, pp. 126 e 140.
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ed in sostituzione di un maestro Ser Benedetto di Ser Francesco, i Priori delle Arti del Comune di Perugia nominarono maestro d’abaco Antonium Magistri Iacobi florentinum, virum doctum et expertum in facultate et scientia abici usque et per totum mensem februarii proxime venturi, donec postea aliter ipse Magister Benedictus significabit de sua reversione vel non … . 1
L’anno successivo, il 18 giugno 1484, anche i magistrati di Volterra deliberarono per l’insegnamento dell’abaco “de electione Magistri Antonii Magistri Iacobi”. 2 È quasi fuori dubbio che tale M° Antonio fosse lo stesso Antonio Grassini. Nel “periodo fiorentino” di Iacopo Grassini, poco dopo il 1480, anche Raffaello Canacci, abbandonata l’attività di linaiolo, intraprese quella di maestro d’abaco. La relativa documentazione, per gli anni 1483-1486, ci viene da diversi riferimenti che si trovano in due filze degli Ufficiali di Notte, magistratura preposta alla salvaguardia della moralità pubblica. Qui Raffaello compare più volte negli elenchi dei “tamburati”, cioè degli accusati e querelati per violenze ai danni di diversi ragazzi, probabilmente tutti studenti dello stesso Canacci. L’8 aprile 1483, sono elencati: Bartolomeo [ ] de’ Baldovinetti, Niccolao del Ceraiuolo, Dominicho Iacopi calzaiuolo, Iohanne Antonii de Romena, Francisco de’ Bagnesis 3
Due giorni dopo, sarà la volta di Leonardo di Lodovico “etatis annorum novem vel circa”. In questo caso, non solo Raffaello ma anche suo cugino Domenico di Stefano di Ser Guiglielmo, furono denunciati dal padre del ragazzo, Lodovico di Leonardo Buonarroti, il quale riferì anche che gli episodi erano avvenuti “in presenti anno ... in apoteca abbaci dicti Raffaellis, pluries et pluries”. Il 16 aprile il Canacci, colpevole o innocente che fosse – e di fatto non infrequentemente le accuse si rivelavano del tutto infondate ed ingiuste – si dichiarò reo confesso, evitando così la pena di un anno di carcere alle Stinche, ma non la condanna al pagamento di 20 fiorini. 4 1 ASPG, Consigli e Riformanze, 118, c. 6r. Sulla nomina di Antonio di Maestro Iacopo cfr. anche Vincenzo Bini, Memorie Istoriche della Perugina Università degli Studi e dei suoi Professori, A. Forni, Bologna, 1977 (rist. anast. ed. Perugia, F. Calindri, V. Cantucci e G. Garbinesi, 1816), pp. 522, 598; Giuseppe Ermini, Storia dell’Università di Perugia, Firenze, Leo S. Olschki, 1971, I, p. 584. 2 ASCV, A nera 51, I, c. 45r. 3 Cfr. Appendice 1, documento 11. 4 Ibidem, documenti 12 e 13.
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I due nomi che compaiono nei documenti del 10 e 16 aprile 1483 sono, come è evidente, storicamente di un certo rilievo; Lodovico Buonarroti ed il figlio Leonardo erano infatti il padre ed il fratello del grande Michelangelo. Allora Leonardo, nato il 16 novembre 1473, aveva nove anni e mezzo, 1 e già da qualche tempo frequentava la scuola d’abaco del Canacci; il più giovane Michelangelo, nato a Caprese il 6 marzo 1475, aveva poco più di otto anni, ed era entrato, sembra verso il 1482, alla scuola di grammatica di un maestro Francesco da Urbino per imparare a leggere e scrivere. 2 Considerando che spesso due o più fratelli frequentavano la stessa bottega d’abaco, non si può escludere che, dopo i suoi studi elementari, Michelangelo fosse andato come Leonardo alla scuola d’abaco di Raffaello. C’è tuttavia da chiedersi se, dopo l’increscioso episodio, Lodovico Buonarroti abbia mandato il figlio, o i figli, a studiare dal peraltro ottimo abacista Canacci! Tre anni dopo gli avvenimenti del 1483, ritroveremo Raffaello altre due volte nei libri degli Ufficiali di Notte; anche qui si farà riferimento alla sua bottega d’abaco. Il 28 febbraio 1486, si legge infatti, tra i tamburati: Raphael Canacii, magister geometrie iam sunt tres vel quatuor menses in apotecha. 3
Il successivo 15 aprile l’abacista venne però prosciolto dall’accusa. L’ultima citazione del 18 giugno 1486 è invece un’autoaccusa del Canacci che fece esplicitamente il nome dello studente in causa, tale Animuccia di Bonasio, figlio di un cimatore. 4 Come abbiamo visto, negli anni Ottanta, nonostante si abbiano diversi attestati dell’attività svolta a Firenze dal Canacci e da Iacopo Grassini come maestri d’abaco, non si conosce nessun documento che riferisca sull’ubicazione delle relative scuole. Finalmente, per il biennio 1493-1494, importanti informazioni in proposito ci vengono da due notarili, del 14 maggio e 1° luglio 1493, che riportiamo di seguito. Nel primo si legge: 1 Nel 1491 Leonardo si fece frate domenicano al seguito di Savonarola. Fu nei conventi di Pisa, Viterbo e probabilmente Cortona dove sarebbe morto tra i 1510 ed il 1516: cfr. Renato Della Torre, Vita di Michelangelo, l’uomo, l’artista, Firenze, Arnaud, 1990, pp. 5, 30. 2 Cfr. Giovanni Papini, Vita di Michelangelo nella vita del suo tempo, Milano, Garzanti, 1951, pp. 16-17; Giorgio Vasari, La vita di Michelangelo nelle redazioni del 1550 e del 1568, curata e commentata da Paola Barocchi, Milano-Napoli, R. Ricciardi, I, 1962, pp. 4-5; Dizionario Biografico degli Italiani, 15 (1972), p. 161; R. Della Torre, Vita di Michelangelo, cit., p. 6. 3 Cfr. ASF, Ufficiali di Notte e Conservatori dell’onestà dei Monasteri 23, c. 39r. 4 Cfr. Appendice 1, documenti 14 e 15.
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Rafaello Chanacci insegna l’abacho [e] compagni In Dei nomine amen, die XIIII mensis madii 1493. Actum Florentie in Populo Sancti [ ] de Florentia, presentibus testibus etc., Iohanne Iacobi Petri de Vichio di Mugello, habitatore Florentie Populo Sancte Trinitatis de Florentia, et Pierantonio Nicholai della Stufa, Populi Sancti Laurentii de Florentia. Pateat omnibus evidenter qualibet hodie hac presenti suprascripta die, venerabiles religiosus Ser Rafael, filius Bernardi Ser Iohanis de Martinis, ad presens cappellanus in Hopitale Inocentium de Florentia, ex parte una, et Rafael Iohanis Ser Guglielmi de Chanaccis, Populi Sancti Laurentii de Florentia et Marcus filius Magistri Iachobi Antonii Iohanis, Populi Sancte Marie in Verzaria extra ianuam Sancti Fridiani de Florentia, cum licentia dicti Magistri Iacobi eius patris presentis et licentiam dantis et prestantis etc., ex parte alia etc., se ipsos ad invicem sotietatem contraxerunt in docendo legere et scribere, et dicti Rafael et Ma[r]cus in docendo abacum in domo seu schola ubi ad presens sunt et tenent ad pensionem, sita in Conventu Sancti Martini, iusta aromatarium Crucis, al Canto de’ Ricci, quam societatem incepisse voluerunt die primo presentis mensis madii 1493, et duraturam per menses decem et octo prossime futuros, cum infrascriptis pactis, modis et conditionibus, videlicet. Quod quilibet eorum teneatur frequentare et sollicitus esse in docendo et retinendo pueros quilibet in sua facultate et sic bene se gerere versus eos, ita quod dicta scola non deviet sed multiplicetur de bene in melius, et quod omne lucrum fiendum in dicta sotietate debeat sortiri et dividi inter eos et dividi in hunc modum et formam, videlicet quod dictus Raf[a]el teneatur per ‘trapare et extrahere de dicto lucro soldos octo pro qualibet libra, et dicti Ser Rafael et Marcus soldos sex pro quolibet eorum, pro qualibet libra, etc. Quam divisionem lucri predicti debeat dividi inter eos qualibet edomoda et ut melius et commode eis videtur etc. Quam sotietatem incepisse voluerunt die primo mensis madii 1493, duraturam menses // XVIII prossime futuros, et cum pacto quod quilibet dictorum sociorum teneatur solvere pensionem domus quam tenent et ubi ad presens habitant quilibet pro rata sua, ad rationem lucri suprascripti. Et casu quo quilibet ipsorum deveniret ad aliquam infirmitatem, quos Deus custodiat, sit licitum, non obstante dicta egritudine, per quindecim dies participare in lucro predicto, ac si peius esset et a diebus 15 supra non teneatur aliquid participare donec perveniat ad sanitatem et redeat ad dictum exercitium docendi pueros etc. Et quod licitum sit dictis sotiis, in locum dicti male se habenti in totum auxilium conducere quem voluerint in docendo pueros etc. donec dictus infirmus ad sanitatem revertat. Que omnia etc. dicte partes etc. promiserunt etc. atendere et observare etc., sub pena florenorum 100 stipulatione promissa, obligatione etc. in plenissima forma, denuncia, renumptia etc., pro guarantigia etc. Rogantes etc. 1
Nel secondo: Rafael et Marcus socii et magistri abaci In Dei nomine amen, die primo mensis iulii 1493, Florentie in Populo Sancte Marie Alberigi de Florentia, presentibus testibus etc. Raffaelle Francisci del Becuto, Populi Sancte Marie Maioris de Florentia, et Iohanebatista Magistri Francisci, aromatario Populi Sancti Michelis Berteldi de Florentia. Rafael olim Iohanis de Chanaccis civis florentinus, ex parte una, et Marcus 1
ASF, Not. Antec. 4010, cc. 78r-78v.
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Magistri Iachobi cum licentia dicti sui patris presentis et consentientis, ex parte alia etc., omni meliori modo etc., ad invicem et vicissim, sotietatem in docendo abacum pueros contrasserunt etc., duraturam menses XVI prossimos futuros, initiandos die primo presentis mensis iulii // 1493 et ut sequitur faciendum etc., hac tamen lege et conditione inter dictas partes quod dictus Rafael de lucro fiendo teneatur participare pro qualibet libra soldos XIII et Marcus soldos VII piccioli pro qualibet libra. Que divisio lucri predicti debeat fieri ad rationem predictam de tempore in tempus, prout eis videbitur et commodum esset etc. Cum pacto quod pensio domus in qua ad presens retinent pueros ad docendum, debeat solvi ad ratam predictam etc. Et cum pacto quod casu quo quilibet vel alter eorum in egritudinem perveniret, quod non obstante dicta egritudine debeat participare in lucro predicto per quindecim dies ac si sanus esset etc., et a dictis diebus 15 ultra seu citra, non debeat participare donec ad sanitatem fuerit seu erit reversus et se poterit exercitare in docendo pueros predictos etc. Que omnia etc. promiserunt etc. atendere etc. et observare, sub pena florenorum centum etc., stipulatione promissa etc. Obligantes etc., renumptiantes etc., per guarantigiam etc. Rogantes etc. 1
Dunque, il 14 maggio 1493 venne costituita una società fra tre maestri: Raffaello di Bernardo di Ser Giovanni Martini cappellano dell’Ospedale degli Innocenti di Firenze, che insegnava a leggere e scrivere, ed i maestri d’abaco Raffaello Canacci e Marco Grassini, il giovane figlio di M° Iacopo, che fu presente alla stipulazione del contratto. La società doveva avere una durata di 18 mesi, a decorrere dal passato 1° maggio, fino a tutto l’ottobre 1494. La sede dell’insegnamento era una scuola del Popolo di Santa Maria degli Alberighi nel Quartiere di San Giovanni, situata, come allora si diceva, nel Convento di San Martino, cioè nella zona dove ebbero la loro residenza i Buonomini di San Martino: più esattamente, la casa che ospitò la scuola era al Canto de’ Ricci, ora Canto di Croce Rossa, vicino ad una delle più antiche botteghe fiorentine di speziale “l’aromatario della Croce”, del quale rimane tutt’oggi l’insegna. Il contratto del 14 maggio prevedeva che, dei proventi ricavati, al maestro che insegnava a leggere e scrivere andassero 8 soldi per lira, ed a ciascuno dei due maestri d’abaco 6 soldi per lira. Nel documento del 1° luglio, però, i due abacisti modificarono la clausola che li riguardava, stabilendo che, di tutto il ricavato a loro spettante, a Raffaello andassero 13 soldi e a Marco 7 soldi per lira: questo ovviamente tenendo conto del fatto che Marco Grassini, al tempo più o meno diciottenne, doveva lavorare nella scuola come apprendista ed assistente del più anziano Canacci. I due rogiti stabilivano anche che l’affitto della bottega venisse diviso fra i tre docenti nella stessa proporzione che regolava la ripartizione dei relativi proventi. 1
Ibidem, cc. 79v-80r.
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Oltre che in riferimento ai due abacisti, Marco e Raffaello, ed in rapporto alle vicende delle scuole d’abaco, i due precedenti documenti hanno un’importante e significativa collocazione anche nell’ambito più generale della storia delle scuole fiorentine, poiché, al momento, essi costituiscono il più antico attestato dell’esistenza di una scuola, a Firenze, in cui convivevano l’insegnamento primario della lettura e della scrittura e quello dell’abaco, pur con docenti diversi. Terminati i due anni di società previsti dai contratti del 1493, il Canacci lasciò la scuola al Canto de’ Ricci, spostando la propria attività in tutt’altra zona della città. Alla Decima Repubblicana, rispettivamente di Raffaello Canacci e di Raffaello di Bartolomeo, un pittore del Popolo di Santa Lucia Soprarno in Santo Spirito, si legge infatti, tra gli “incharichi”: Una bottegha in Borgho Santo Iacopo, Gonfalone Nicchio, da Raffaello di Bartolomeo dipintore per prego di f. otto l’anno di pigione, nella quale si fa squola, da primo via, secondo Torrigano d’Antonio Torrigani, a 1/3 il fiume Arno, a 1/4 Iacopo di Lorenzo detto il Centina. 1 Tengho a pigione da Torrigiano Torrigiani, Gonfalone Nichio, una bottegha a uso tienvisi l’abacho, posta in Borgho Sancto Iacopo, da primo via, a 2° el Centina, a 3° Arno, per pregio di f. otto larghi; di poi l’apigono a Raffaello Canaci, Gonfalone Liocorno, per detti f. otto. Òlla a tenere per insino a dì 12 di magio 1495. 2
Il Canacci, nella primavera del 1495, era dunque ad insegnare l’abaco in una scuola di Borgo San Iacopo, sotto il Gonfalone del Nicchio del Quartiere di Santo Spirito; la bottega, proprietà di Torrigiano di Antonio Torrigiani, 3 era stata prima affittata, per 8 fiorini larghi, al pittore Raffaello di Bartolomeo che dal maggio del 1495 l’aveva a sua volta ceduta in subaffitto al Canacci. È ragionevole pensare che quest’ultimo sia rimasto nella bottega del Torrigiani almeno fino all’anno successivo, forse fino alla morte. 4 Ma non abbiamo alcuna informazione certa sull’attività didattica del Canacci posteriore al 1495. Abbiamo lasciato Iacopo Grassini nel 1493, presente al momento della costituzione della compagnia tra suo figlio Marco e gli altri due maestri, 1
Cfr. Appendice 1, documento 19. ASF, Decima Repub. 38, Cittadini a parte, c. 48r. Raffaello di Bartolomeo ebbe una bottega in affitto anche nel Popolo di San Firenze, in San Giovanni. Su di lui si veda Dominic E. Colnaghi, A Dictionary of Florentine Painters, Firenze, Archivi Colnaghi, [1986], ad vocem. 3 ASF, Decima Repub. 4, c. 390r. 4 Rileviamo che Raffaello di Bartolomeo rimase anche in seguito molto legato alla famiglia Canacci. Di fatto, in un rogito del 5 luglio 1503, si parla di un debito che Zanobi e Bartolomeo di Stefano, cugini dell’abacista Raffaello, avevano con un certo Domenico di Giovanni, debito che gli stessi saldarono consegnando il denaro a Raffaello di Bartolomeo come dote di sua moglie Maddalena, figlia del suddetto Domenico: ASF, Not. Antec. 18270, cc. 15v-16r. 2
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nella scuola al Canto de’ Ricci. Due anni dopo, quando la società si era ormai sciolta, nella sua denuncia alla Decima Repubblicana, databile tra il marzo ed il maggio 1495, M° Iacopo scrive: Due palchi tengho a ppigione al Chanto de’ Ricci, che vi tengho isquola d’abbacho. Ne pagho inframenduni grossoni hotto per ciaschuno mese, son di Guido de’ Ricci. 1
Il sito, allora ed in precedenza proprietà di Guido di Piero de’ Ricci, 2 dove nel 1495 Iacopo Grassini teneva una scuola d’abaco, doveva essere la stesso, o parte di quello, in cui nel biennio precedente avevano svolto la loro attività Ser Raffello Martini, il Canacci e Marco Grassini. In definitiva, nella primavera del 1495, la scuola d’abaco al Canto de’ Ricci era gestita da M° Iacopo, molto probabilmente in collaborazione con suo figlio Marco. Non a caso in quella scuola, il 4 maggio 1495, Iacopo e Marco redassero insieme un atto di locazione della loro casa in Via Santa Maria. 3 Ma riapriamo a questo punto i libri di Deliberazioni del Comune di Volterra. Qui, il 4 settembre 1495, si legge che i Priori della città ... pro 14 nigras deliberaverunt proponi in Consilio quod Magister Iacobus magister abbaci intelligatus esse electus in magistro scolarum abaci cum salario florenorum 30 ad rationem £. 4, et cum domo soluta. Que electio incipiat die qua veniet ad exercendum infra tempus tamen sibi a Dominis Prioribus et Collegis stabilitum. 4
Qualche giorno dopo, l’11 settembre, fu di fatto nominato per un anno e con lo stipendio di 40 fiorini Magister Iacobus [ ] de Florentia qui iam pluribus annis elapsis in civitate nostra maxime cum diligentia atque honestate artem arismetrice docuit scolares nostros …, 5
Il 16 novembre ed il 4 dicembre 1495 rispettivamente, gli stessi magistrati ... in audientia congregati in totum numero 19, absente ex eis Piero Antonii Brandini priore infirmo, per fabas 18 nigras stantiaverunt sextariam Magistri Iacobi magistri abbaci solvi per Camerarium dogane. 6 Item per fabas 17 nigras, duobus albis non obstantibus, dederunt autoritatem tassatoribus inveniendis unam domum pro habitatione magistri abbaci scolarum, non edcedendo summam £. 20 in tempore quo stare debet. 7
Dai precedenti documenti si evince che, dopo un lungo periodo di 1 2 3 4 5 6
Cfr. Appendice 2, documento 14. ASF, Catasto 1023, c. 507r; Decima Repub. 34, n° 193. Cfr. Appendice 2, documento 16. ASCV, A nera 59, c. 29v. ASCV, A nera 27, c. 12r. 7 Ibidem, c. 53r. A nera 59, c. 48v.
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assenza, nel settembre del 1495, Iacopo Grassini – lasciata la scuola fiorentina al Canto de’ Ricci, forse al figlio Marco – era tornato a Volterra, con un incarico annuale. Oltre ai 40 fiorini sempre pagati ogni due mesi – e fissati dopo un’ iniziale proposta di 30 fiorini – al maestro spettava anche l’uso gratuito di una casa. Nel 1497, il Grassini era ancora a Volterra, come egli stesso scrive nel suo Libretto d’abacho: Questo libretto s’ ‘chominccia hoggi questo dì VII d’aprile 1497 per mano di me Iacopo d’Antonio Grassini da Firenze, al presente maestro d’isengnare l’abacho nella ciptta di Volterra per loro maestro chondotto da esso chomune. 1
E di fatto, il 15 settembre 1496, i magistrati volterrani avevano deciso di confermare per un altro anno l’abile maestro di Firenze: Attenta probitate bonisque moribus nec non sufficientia Magistri Iacobi Antonii Grassini, nostrae civitatis arismetricae magistri, et quanta cum diligentia continuo sine aliqua temporis intermissione docuit docetque filios nostros, et quod propterea aliquis ex eis ita doctus evasit quod nedum sibi verum esse comitati vestrae poterit honorem ac utilitatem facere. Aliqui vero sunt qui ad hoc ut perfecte dictam artem arismetricae didicisse dici possent indicerent quod dictus Magister Iacobus eos adminus per annum doceret. Idcirco postquam tale bonum laudabile opus inceptum est ad finem perducatur perfectum proponitur presenti opere consilio quatenus placeat eidem providere, stantiare, reformare ac disponere quod dictus Mgister Iacobus intelligatur esse et sit electus atque refirmatus magister artis metricae in civitate nostra pro uno alio anno incipiendo a die sue alterius fievendae electionis et conductae, cum salario, honoribus, oneribus, pactis, modis ac conditionibus in prima eius electione appositis specialiter proponendi. Derogata fuit fabis 59 nigris affirmativis, 14 albis in contrarium repertis non obstantibus. 2
La nomina fu presumibilmente prorogata fino al 1499, e fu forse questo l’ultimo anno d’insegnamento per il M° Iacopo. L’anno seguente, nelle Delibere volterrane, entrerà in scena un altro abacista della famiglia Grassini, Giovanni Maria del M° Iacopo, la cui elezione risale al 28 febbraio 1500: Primo, quod Iohannes Maria Magistri Iacobi Grassini de Florentia intelligatur esse et sit electus magister arismetrice pro uno anno proximo futuro sine aliquo sed cum hoc tamen quod communitas teneatur ei dare domum pro sui habitatione ad sensum consultoris. Derogata fuit fabis LX nigris, XIIII albis non obstantibus. 3
In realtà, nello stesso periodo, come ricordiamo, Giovanni Maria aveva 1
BNF, Magl. XI, 123, c. 1r. ASCV, A nera 60, c. 35v. In riferimento all’incarico di Maestro Iacopo negli anni 1495-1497 cfr. anche Ibidem, c. 42r; A nera 27, cc. 16r, 20v; A nera 58, II, cc. 17r, 23r, 46r, 51v, 71v, 95r, 3 A nera 60, c. 125v. 107r, 132v, 144r; A nera 59, c. 30r; A nera 61, c. 5v. 2
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in corso il suo ufficio di procuratore del Convento di Santa Croce a Firenze. È dunque da ritenere che l’abacista abbia, o rinunciato all’incarico assegnatogli come maestro d’abaco a Volterra, oppure che sia stato temporaneamente sostituito nel suo incarico di sindaco di Santa Croce. 1 Nel primo decennio del Cinquecento, il nome dei Grassini compare per l’ultima volta nelle Delibere volterrane, con M° Marco di Iacopo. L’ “Electio Magistri Marci Magistri Iacopi preceptoris arithmetice pro uno anno” 2 risale al 6 dicembre 1507, quando i magistrati di Volterra stabilirono che ... cum ars arithmeticae sit valde humane generi necessaria multumque honoris ac usus patriae possessoris, nedum ipsi conferat possidenti, provideatur ut in hac vetustissima urbe sit quod illam edoceat et eligatur preceptor arithmeticae pro illo tempore, salario honere ac honoribus quibus et prout consultori videbitur generaliter proponendo. Derogata ad consilium Ser Ioachini Incontri per fabas LX nigras, non obstantibus XIIII albis.
E decretarono poi che la nomina fosse … pro uno anno, cum salario quod datum fuit ultimo electo ad docendum dictam artem, quod sit nitidum, et cum domo pro habitatione … . 3
Gli stessi, il 9 febbraio 1508, stanziarono 28 lire per le suppellettili e la ristrutturazione della casa che avrebbe ospitato la scuola d’abaco e l’abitazione del maestro: ... quia opere pretium fuit diebus elapsis quaedam supellectilia ad usum Magnifici Capitanei XIIII denariorum libris emere et tantumdem in reficienda domo scolarum expendere ut in ea commode praeceptor arithmeticae cui habitatio fuit promissa valeat habitare, provideatur ut dictae librae XXVIII denariorum potuerint et possint expendi, et Camerario camere illas solvere et notarium ad eius exitum ponere debeant et possint impune ad stantiamentum tamen consuetum. Derogata fuit fabis LXVII nigris, XI albis non obstantibus. 4
Già il 31 maggio 1508 M° Marco ebbe la conferma per un secondo anno d’insegnamento: ... quoniam ut inquit Plato nulla estranea utilior disciplina reipublicae quam numerorum cognitio, ipsa enim pigros ingenio excitat solertesque facit, cum numeris fere omnia constent, provideatur ut presens preceptor arithmeticae Magister Marcus Magistri // Iacobi de Florentia refirmetur et seu eligatur pro uno alio anno 1 Di fatto, sappiamo che più volte Giovanni Maria nominò un proprio sostituto. Ad esempio il 26 giugno 1497, il 15 marzo 1499, il 12 settembre ed il 23 novembre 1503: ASF, Not. Antec. 2 ASCV, A nera 68, c. 3v. 9645, c. 204r; 7897, c. 148v; 7899, cc. 81v, 118r. 3 Ibidem, cc. 67r e 67v. 4 Ibidem, c. 71r.
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incipiendo statim presenti eius electione finita, cum salario, pactis et obligationibus contentis in ipsa presenti sua electione specialiter proponendo. Derogata fuit per fabas LXIII nigras affirmativas, albis X non obstantibus. 1
Lo stipendio fu di 210 lire l’anno. 2 Il suddetto biennio è l’unico periodo dell’attività didattica di Marco Grassini che si sia svolto a Volterra. Prima e dopo quegli anni egli insegnò infatti come maestro pubblico ad Arezzo e privatamente a Firenze. Anche l’incarico aretino fu per un biennio, a decorrere dal primo settembre 1501, e con uno stipendio annuo di 35 fiorini. 3 L’attività privata di M° Marco a Firenze è testimoniata dai due atti notarili del 1493 relativi alla società col Canacci – già presi in esame – e da due documenti degli anni 1507 e 1514, che vedremo tra breve. Il primo di questi è contenuto in un Libro di conti e ricordi del mercante Lorenzo di Giovanni Ruspoli. Qui il Ruspoli racconta le interessanti vicende scolastiche dei suoi due figli, Bartolomeo e Giovanni, negli anni 1496-1507: Richordo chome hogi questo dì 21 di novebre 1496 io posi a botegha a ‘parare a legiere Giovanni mio figliuolo chon Lisabetta, istà in Parione Vechio, andò cho’ la tavola. 4 Richordo chome insino a dì 13 di marzo 1502 Bartolomeo mio figliuolo andò a ‘parare a legiere in Santa Maria Novella al maestro che ensegnia a’ fraticini di detta chiesa, andò chosì a stare a ‘nparare per s. [ ]. 5 Ser Simone di [ ] maestro che ‘segna legiere, scrivere e l’abacho diripetto a Horsamichele, mandai a ‘nparare a dì 7 di novenbre 1504: Giovanni di Lorenzo Ruspoli mio figliuolo iscrivere letere merchatile e letere firmate e l’abacho, a rischore perché e venissi buono iscritore e così buono maestro d’abacho; e a Dio piaccia che chosì sia. Bartolomeo di Lorenzo Ruspoli mio sichondo figliuolo a ‘parare a legiere, andò chol Saltero questo dì detto di sopra. Ànne auto a dì 14 di novebre 1504 £. III, s. X, portò Giovanni Ruspoli per parte d’isegliagli iscrivere __________________________________________ £. 3.10 E a dì [ ] di dicenbre 1504 s. 5, portò Bartolomeo per uno mese chol Saltero_ _________________________________________________________ £. -, s. 5 E a dì 20 di febraio 1504 s. VII, portò Bartolomeo Ruspoli _________ £. -, s. 7 E a dì 9 d’aprille 1505 £. una, s. uno, portò Giovanni per inchonto d’iparare 1
Ibidem, cc. 90v-91r. ASCV, A nera 69, c. 128r. Sul Maestro Marco cfr. anche Ibidem, c. 56r; A nera 67, c. 244v; A nera 68, c. 76v. 3 ASA, Provv. 14, cc. 261v-262r; Vacch. 5, c. 175r; Stanziamenti 8, cc. 44r, 46r, 47v. Tali documenti sono pubblicati in Robert Black, Studio e scuola in Arezzo durante il Medioevo e il Rinascimento. I documenti fino al 1530, Arezzo, Accademia Petrarca di Lettere, Arti e Scienze di Arezzo, 1996, pp. 75, 714, 716. 4 ASF, Corpor. rel. soppr. dal Gov. franc. 106, 220, c. 63v. 5 Ibidem, c. 129r. 2
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l’abacho ________________________________________________ £. 1, s. 1 1
Come si legge nel manoscritto, il Ruspoli aveva dunque mandato il figlio Giovanni ad imparare a leggere e scrivere nel novembre 1496, in una scuola di Via del Parione Vecchio, ora Via del Purgatorio, nel Quartiere di Santa Maria Novella; l’insegnante era una maestra di nome Lisabetta. Il più giovane Bartolomeo intraprese invece i suoi studi elementari nel marzo del 1503, nella Chiesa di Santa Maria Novella, col maestro che insegnava ai “fraticini”. Nel novembre del 1504 i due fratelli entrarono alla scuola di tale Ser Simone, quasi sicuramente un prete che insegnava sia a leggere e scrivere sia l’abaco: Bartolomeo per concludere i suoi studi elementari, Giovanni per perfezionare la grammatica italiana, per imparare a tenere la corrispondenza anche commerciale, e per apprendere la matematica dell’abaco, tanto da poter divenire poi “buono iscritore e così buono maestro d’abaco”. La scuola nella quale a quel tempo insegnava Ser Simone era situata di fronte alla splendida Chiesa di Orsanmichele, nel Quartiere di Santa Croce. Proprietà della Compagnia del Bigallo e della Misericordia, era la stessa bottega dove nel triennio 1448-1451 aveva svolto il suo primo periodo d’insegnamento l’abacista Benedetto da Firenze, con tutta probabilità in collaborazione col M° Bettino di Ser Antonio Da Romena; precedentemente al 1448 e per un lungo periodo dopo il 1451, il sito era stato quasi sempre affittato a dei maestri di grammatica, e solo per poco tempo aveva ospitato un merciaio e dei mercanti di lana. 2 Con Ser Simone era ritornato ad essere una scuola d’abaco, oltre che di grammatica. Per Firenze, dopo i due rogiti del 1493 che avevano visto la nascita di una compagnia fra maestri di scuola elementare e di abaco, in una stessa bottega, il documento del Ruspoli è il primo a noi noto in cui si parli di un unico docente per l’insegnamento della lettura, della scrittura e della matematica mercantile. Verso la fine del Quattrocento e nel primo Cinquecento andava quindi attenuandosi la netta distinzione fino allora evidente a Firenze fra scuola di livello elementare e scuola d’abaco. Nel 1505, la casa che aveva ospitato la scuola di Orsanmichele fu affittata ad un lanaiolo, Zanobi di Francesco di Bartolo, che la tenne almeno fino al 1518. 3 1
Ibidem, c. 141r. Si veda in proposito E. Ulivi, Benedetto da Firenze, cit., pp. 41-44, 46-48, 181-185, 206. ASF, Compagnia poi Magistrato del Bigallo e della Misericordia 742, c. 24s; 743, c. 16s; 756, c. 9s. 3 ASF, Comp. poi Mag. del Big. e della Miseric. 14, fasc. 4, c. 58r; 759, cc. 237s, 327s. 2
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Così, Bartolomeo di Lorenzo Ruspoli fu costretto ad intraprendere altrove i suoi studi di abaco: il suo nuovo docente fu Marco Grassini. E di fatto, nel novembre 1507, nel solito libro di conti, Lorenzo Ruspoli scrive: Maestro Marcho di Maestro Iacopo Grasini, maestro d’isegniare abacho de’ avere, a dì 6 di novenbre 1507, fiorini uno largho d’ oro d’achordo, e quali gli do perché egl‘ isengni l’abacho a Bartolomeo mio figliuolo, e al presente gli do un mezo duchato e resto quando egli enterà ne ragionieri e àgli a fare et isegnare tuto l’abacho e fato un buono ragioniere, ed ògli a dare anchora tute le mancie. Ànne auto, a dì 6 di novenbre 1507, £. IIII, s. X, portò e detto contanti _____ __________________________________________________________ £ 3. 10 E a dì 18 detto s. VII piccioli, portò Bartolomeo Ruspoli per danari del fuocho. 1
Evidentemente, nel novembre del 1507, Marco insegnava in una scuola privata di Firenze di cui però il libro del Ruspoli non fornisce informazioni. È anche evidente che Bartolomeo Ruspoli rimase ben poco alla scuola del M° Marco, il quale nel dicembre del 1507 ebbe la nomina a Volterra. L’altro documento fiorentino relativo all’attività didattica di Marco Grassini è anch’esso contenuto in un libro di debitori, creditori e ricordi, il Memoriale di Antonio di Iacopo di Antonio di Tedice degli Albizi. Qui, in data 3 gennaio 1514, il nobile fiorentino scrive: A Maestro Marcho insegna l’abacho a’ mia fanciugli questo dì 3 di genaio detto barili uno di vino, mandò per esso Martino figlio; istà dirinpetto alo Inferno, detto dì _________________________________________________________£. 2. 10 E più, fiaschi dua di vino, portò quello del Benino, istà co’ llui ________£. -, 8 A entrata in questo a c. 145. 2 Maestro Marcho insegnia l’abacho de’ dare a di 3 di gennaio 1513 £. dua, s. 10, sono per barili uno di vino, portò Martino figlio _________________________£. 2. 10 E de’ dare per due fiaschi di vino portò Martino detto, come apare in questo a c. 2 _______________________________________________________ £. -, 8 3
La scuola che nel gennaio del 1514 era frequentata dai figli di Antonio degli Albizi, e gestita da Marco Grassini, doveva trovarsi di fronte alla taverna o alla torre entrambe dette dell’ Inferno, nella via omonima del Quartiere di Santa Maria Novella, 4 tra l’altro nella zona in cui Marco ebbe le proprie abitazioni. Solo quattro mesi e mezzo dopo, e fino al novembre 1515, Antonio degli Albizi scrive ancora: 1 2 4
ASF, Corpor. rel. soppr. dal Gov. franc. 106, 220, c. 169r. 3 Ibidem, c. 145s. AOIF, Estranei 144, 28, c. 2s. Cfr. BNF, Nuovi Acq. 987, c. 9v.
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A dì 18 di maggio 1514 ... A Piermaria Bonini insegnia l’abaco a’ mia fanciugli questo dì 18 detto barili 2 di vino vermiglio, dette Ser Benedetto prete, insegna a’ mia fanciugli l’ano dela volta di Firenze ______________________________________________ £. 5 1 A Piermaria che insegna l’abaco a’ mia fanciugli questo dì 3 [marzo] detto £. 7, s. 10, mandai a mia gabella. 2 Piermaria di [ ] insegna l’abacho de’ dare a dì 18 di maggio 1514 £. cinque contanti, sono per la monta di barili due di vino vermiglio, ebe da me in Firenze, consegnatogli da Ser Benedetto, prete nostro di casa ________________________ £. 5 E a dì 3 di marzo £. sette, s. 10 sono pela monta di tre barili di vino ____ £. 7.10 E a dì 2 di novembre 1515 s. 13, d. 4 contanti, disse per comperare carboni __ ___________________________________________________________ 13.4 3
Quindi, tra il maggio del 1514 ed il novembre del 1515, anche Piermaria Bonini fu maestro d’abaco dei figli di Antonio degli Albizi. 4 I due riferimenti, così temporalmente vicini, agli abacisti Marco e Piermaria, inducono a pensare che, a quel tempo, i due docenti insegnassero in sociètà nella stessa bottega d’abaco di Via dell’Inferno. Il documento del 1514-1515 è l’unico attualmente conosciuto sull’attività didattica di Piermaria Bonini. In riferimento ad un periodo di poco precedente il 1520, possiamo però fare alcune osservazioni e congetture, che prendono spunto da un ormai ben noto atto notarile rogato da Ser Lorenzo Cioli. Il documento, datato 3 dicembre 1519, sanciva la costituzione di una società tra i maestri d’abaco Francesco di Leonardo Galigai e Giuliano di Buonaguida della Valle, probabilmente in una scuola verso Borgo Pinti, nel Quartiere di Santa Croce, riportando anche estesamente le complesse regole contrattuali ed il programma del corso. 5 Lo stesso documento esordiva ricordando che il giovane Giuliano, che nella compagnia col Galigai avrà il ruolo di “buono gharzone”, era stato precedentemente in società, in un’altra bottega, con tale Piermaria, svolgendo quindi con lui il suo primo periodo di apprendistato: Hogni volta Giuliano di Buonaguida della Valle mosterrà a me Francescho di Lionardo Ghaligai una fine tra lui e Piermaria, le quale di presente à mostra, di 1
2 Ibidem, c. 13d. 3 Ibidem, c. 151s. AOIF, Estranei 144, 28, c. 6s. Come racconta lo stesso Antonio, prima di entrare alla scuola d’abaco, i suoi figli impararono a leggere e scrivere con un maestro Camillo e con un Ser Simone che aveva la scuola “sopra lo speziale del Capello”: cfr. Ibidem, cc. 147s, 149s. 5 Cfr. ASF, Not. Antec. 5012, cc. 30r-32r; Richard A. Goldthwaite, Schools and Teachers of Commercial Arithmetic in Renaissance Florence, «The Journal of European Economic History», I, 1972, pp. 418-433; Warren Van Egmond, The Commercial Revolution and the Beginnings of Western Mathematics in Renaissance Florence, 1300-1500. Ph. D. Thesis, Indiana University, 1976, pp. 371372; E. Ulivi, Le scuole d’abaco a Firenze (seconda metà del sec. XIII- prima metà del sec. XVI), cit., pp. 53-54, 58-59; Eadem, Benedetto da Firenze, cit., pp. 51, 198, 207. 4
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mano di detto Piermaria, e che per detta fine si vedrà tra Piermaria e Giuliano esere finito hogni chonvegnia e leghame avesino avuto a fare insieme insino a questo giorno della fine, e per detta aparischa Piermaria licenziare detto Giuliano.
Fino ad oggi si è generalmente pensato che il socio di Giuliano citato nel rogito fosse il Calandri, essendo questi l’unico abacista di nome Piermaria con una documentata attività di maestro d’abaco. Alla luce dei nostri ultimi studi, considerando che anche Piermaria Bonini esercitò l’insegnamento, e soprattutto tenendo presente che nelle filze del Cioli si trovano alcuni rogiti del Bonini, 1 ma nessuno del Calandri, è da ritenere molto probabile che il Piermaria, collaboratore di Giuliano della Valle poco prima del dicembre 1519, fosse proprio Piermaria Bonini. 1
Cfr. Appendice 3, documenti 16, 21 e 22.
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APPENDICI 1, 2, 3 In queste tre Appendici sono trascritti integralmente o parzialmente documenti dell’Archivio di Stato di Firenze su Raffaello Canacci, sugli abacisti Grassini, su Piermaria Bonini e sulle loro famiglie. In ciascuna Appendice i documenti sono riportati in ordine cronologico.
Appendice 1 Documenti sui Canacci 1. Catasto 75: Quartiere di Santa Maria Novella, Gonfalone dell’Unicorno, cc. 311v-312r 1427 Sustanzie di Ser Guglielmo di Stefano: Un podere posto nel Piviere di Santa Maria Impruneta, nel Popolo di San Michele a Nezano, luogho detto al Chanto agli Aliossi, chon chasa da signiore e da llavoratore, chon circha staia 30 di terra, a 1° terra lavoratia e soda, da primo via, 2° fossato, 3° Bartolomo Falchoni, 4° Munistero di Santa Apolonia. Un pezo di terra lavoratia, vignata e ulivata e soda e boschata, che l’ultimo chonfino del primo pezo si è Bartolomeo Falchoni, e l’ultimo chonfino del’8° pezo si è Santa Maria Impruneta, chon più altri chonfini, chome apare per la sua scritta ... // ... . Bocche Se Guglielmo d’età d’anni _____________________________________ LX Monna Nencia sua donna d’anni ________________________________ XL Sandra sua figliuola d’anni ___________________________________ XVIIII Smeralda sua figliuola d’anni __________________________________ XVII Giovanni suo figliuolo d’anni __________________________________ XIII Stefano suo figliuolo d’anni ____________________________________ XI Nicholò suo figliuolo d’anni ______________________________ VIIII ... .
2. Catasto 619: Quartiere di Santa Maria Novella, Gonfalone dell’Unicorno, cc. 529r-529v 1442 Ser Guglielmo di Stefano, Quartiere di Santa Maria Novella Gonfalone Liocorno À di Cinquina soldi tredici, denari dieci ______________________ s. 13, d. 10 Un podere nel Piviere di Santa Maria Impruneta nel Popolo di San Michele a Nezano e luogo detto agli Aliossi, chon chasa da singniore e da lavoratore, e il detto podere è ispezato, cioè chon sette pezi di terra, a primo via, sechondo fosato, a terzo e beni di Santa Maria Impruneta, a quarto e beni di Bartolomeo Falchoni. E del detto podere si sono vende istaiora 12 già fa ani otto, e la tera chonperò Antonello di Mona Selvagia, chontadino, istà nel Popolo di Santa Maria Inpruneta ... . Tengo una chasa a pigione posta nel Popolo di San Pagolo per pregio di f. 6 ½
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l’ano, e la detta chasa è d’Antonio del’Alodo; à sua chonfini primo via, a sechondo Nofri di Filippo chalzaiuolo, a terzo il detto Antonio del’Alodo. // Ser Guglielmo d’età d’anni 84 o più Una sua figliuola inferma d’ani 34 Giovanni suo figliuolo d’età d’ani 29 Stefano suo figliuolo d’età d’ani 27 Nicholò suo figliuolo d’età d’ani 23 E tutti e tre istano o veramente sono chassettai overo lengnaioli minuti.
3. Notarile Antecosimiano 14307, c. 341v 20 ottobre 1444 Item postea, dictis anno [millesimo quadringentesimo quadragesimo quarto], indictione [VIII] et die vigesimo mensis octobris. Actum Florentie in Populo Sancti Pauli, presentibus testibus Niccolao Pieri, famulo Artis Iudicium et Notariorum Civitate Florentie et Antonello Francisci de Fulgineo, habitatore Florentie in Populo Sancti Laurentii, et aliis. Compromissum Stefanus olim Ser Guglielmi Stefani Populi Sancte Trinitatis de Florentia, suo nomine proprio et pro et vice et nomine Johannis sui fratris et filiis olim dicti Ser Guglielmi et de dicto Populo, ex parte una, et Niccolaus eius frater et filius olim dicti Ser Guglielmi et de dicto Populo Sancte Trinitatis, ex parte alia, omnes eorum lites etc. compromiserunt etc. in providos viros Matterini Mei de Sancta Maria Impruneta, Comitatus Florentie, et Cristofanum Rainerii Cristofani cive florentino, tanquam in eorum arbitros et arbitratores etc. ... . 1
4. Ibidem, cc. 342r-345v 25 ottobre 1444 In Dey nomine amen. Anno Domini ab eius incarnatione millesimo quadrigentesimo quadragesimo quarto, indictione VIII et die vigesimo quinto mensis octobris. Actum Florentie in Populo Sancte Trinitatis, presentibus testibus etc. Iuliano Mazuoli de Quarantola, Checho Cambini de Castronovo et Vanne Laurentii de Urbino ... . Domina Sandra, filia olim Ser Guglielmi Stefani notari florentini dicti Populi Sancte Trinitatis ... et Iohannes eius frater ... legnaiuolus ..., et Stefanus eorum frater ... etiam legnaiuolus ..., ex una alia parte, et Niccolaus eorum frater ... legnaiuolus ..., omnium eorum lites etc. compromiserunt in providos viros Matteum Mei de Sancte Marie Impruneta, Comitatus Florentie, et Cristofanum Rainerii Del Pace, civem Florentinum tanquam eorum arbitros et arbitratores ... . In Dei nomine amen. Nos Matteus Mei de Sancte Marie Impruneta et Cristofanus Rainerii Del Pace cives florentini, arbitri et arbitratores electi, nominati et absunti ... laudamus et sententiamus ...: Imprimis, cum inveniamus et nobis constet quod post mortem dicti Ser Guglielmi dicti Iohannes, Stephanus et Nicolaus ... tenuerunt et hodie teneant et possideant communiter pro indiviso ... unum poderem cum domo ... positum in Populo Sancti Michaelis a Nezano, Plebatus Sancte Marie Impruneta ... laudamus etc. que omnia bona predicta et de quibus supra fit mentio remaneant et sint inter eos 1
Nella stessa filza, sempre a c. 341v, si trova la ratifica del compromesso, datata 24 ottobre.
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communia ... . // ... Item laudamus etc. quod dicti suprascripti Iohannis, Stefanus et Nicolaus et quolibet eorum teneant et debeant dare Domine Sandre suprascripte eorum sorori pro victa et necessitatibus corporis ipsius Domine Sandre, dum ipsa vixerit, quolibet anno ... infrascripta bona, videlicet ... . // (c. 345r) Latum, datum, pronuntiatum et promulgatum fuit dictum laudum per dictos suprascriptos arbitros ... in Populo Sancte Trinitatis de Florentia et in domo habitationis dictorum Iohannis et Stefani, presentibus dictis suprascriptis Iohanne, Stefani et Nicolao, ac etiam dicta Domina Sandra ... .
5. Catasto 705: Quartiere di Santa Maria Novella, Gonfalone dell’Unicorno, cc. 368r-369r agosto 1451 Al nome di Dio d’agosto 1451 Dicieva nel primo Chatasto in Ser Guglielemo di Stefano, ebe soldi tre ______ s. 3 Giovanni di Ser Guglielmo di Stefano chasettaio, dicieva la dicina [...] in Ser Guglielmo di Stefano mio padre. Nela dicina [...] 1447 s. 12 ... . Sustanze Uno mezo podere posto nel Piviere di Santa Maria Impruneta, Popolo di Santo Michele a Nezano e chiamasi ali Aliosi. E l’altro mezo detto podere è di Stefano mio fratelo, figliuolo fu de’ detto Ser Guglielmo nostro padre ... . E detto mezo podere à uno pocho di chasa da lavoratore ... //(c. 369r) Tengo una chasa a pigione per abitare da Paquino di Domenicho Chanacci; donne l’ano fiorini dieci di pigione, che detta chasa è posta nel Po[po]lo di San Paolo di Firenze, primo via, a sechondo Francescho di Paolo Chanacci, a terzo e beni di Settimo. Done l’ano f. dieci di pigione. Tengo una botteguza a pigione da Benedetto di Francesco degli Strozzi e de’ frategli. Pagone l’ano fiorini sette di pigione. E la deta bottega è nel Popolo di Santa Trinita di Firenze, nella Via de’ Legnaioli, a primo Benedetto di Francesco degli Strozi e frategli, a sechondo via, a terzo lo [...] degli Strozi. Incharichi Ò una mia sirochia d’ani quarantasei in chasa, ch’è inferma e pocho savia e dole l’ano istaie dodisci di grano, barili quatro di vino, uno mezo oncio d’olio, venti libre dichono insalata, una meza chatasta di lengnie, cinque fastela di fraschoni, testò nostro padre quando vene a morte che ongni ano desi questa quantità mentre ch’ella vive.
6. Catasto 707: Quartiere di Santa Maria Novella, Gonfalone del Leon Rosso, c. 640r agosto 1451 Pasquino di Domenico Canacci ... . Una casa co’ ‘na casetta da lato posta nel Popolo di San Pagholo di Firenze luogho detto Via Bernardina, confina Francescho Canacci e altri, laquale tengho per mio abitare, e l’à tenuta Giovanni di Ser Guglielmo anni tre ... ora a Ognisati vi torno cola brighata mia e tenghola per mio abitare come ò fato per lo passato ... .
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7. Catasto 814: Quartiere di Santa Maria Novella, Gonfalone dell’Unicorno, cc. 123r-123v [20] febbraio 1458 1 Giovanni di Ser Guglielmo di Stefano chasettaio, Gonfalone Liochorno. E primo Chatasto dise i’ Ser Guglielmo E per Chatasto ________ s. 3 E di Cinquina ________ s. 6, d. 8 E di Valsente _________ f. II, s. 9, d. 4 Sustanze Uno pezo podere nel Popolo di San Michele a Nezano, luogo detto l’Aliesa, e una meza chasa chon detto mezo podere, da primo via, 1/1, 1/3 Stefano di Ser Gulielmo mio fratello, 1/4 beni dela Chiesa di Sa’ Michele. La detta Chasa viene da Chatasto di Ser Guglielmo nostro padre e ne’ detto Gonfalone. Rede l’ano: Grano_________________ istaia 24 Vino _________________ barili 20 Orzo__________________ istaia 4 Spelda ________________ istaia 2 Fichi ________________ istaia 2 1/1 Olio ________________ barili 1 1/1 1/1 chatasta di lengnie ___ £. 2 Uno paio di chaponi _____ £. 1 Lavora detto podere Bartolomeo [...], in prestanza e per buoi f. 16; tra danari e bestie _____________________________________________ f. 173, s. 1, d. E più mi truovo uno pocho di botega posa a Santa Trinita, la quale tengo a pigione dalle rede di [...], cioè da Mona Lugrezia di Bastiano [...], Gonfalone Nicchio e pago f. 6 l’anno e una ocha. E detta botega è confinata da primo via, 1/1 Mona [...] di Messer Domenicho Martegli [...]. E in detta botega mi truovo tanta merchatantia fatta e lengname sodo di soma di £. 300, e riscotendo e debitori, e questo è per mio bilancio o più tosto meno ___________________________________________________ f. 75, s. Debitori Simone Formichoni _____________ £. 8______________________ f. 2, s. Batista di Tacino________________ £. 22_____________________ f. 5, s. Giovanni di Biagio da Masa ______ £. 8______________________ f. 2, s. Francesco di Leonardo___________ £. 5______________________ f. 1, s. Giovanni di Chardinale di Rucelaio _ £. 28, s. 14 ________________ f. 7, s. Giovanni di Piero di Vestro _______ £. 12, s. 14 _________________ f. 3, s. E più ò avere da più persone [...] __ £. 28_____________________ f. 7, s. Boche Giovanni di Ser Guglielmo, anni 48 _________________________ f. 200, s. Monna Brigida mia dona, anni 26 __________________________ f. 200, s.Rafaelo mio figlolo, anni 1 mesi 10 _________________________ f. 200, s. E più ò una mi’ sirochia è inferma, e lasciò Ser Guglielmo nostro che ne desimo le spese, e chosì [...] mio fratello e io d’achordo faciemo ch’io le desi ispesa per 1
La data è in fondo alla c. 124v.
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charta di Ser Iachopo Mini; e detta Sandra istà in chasa mecho a mia spese, anni 50 _______________________________________________________ f. - // Io istò a pigione in una chasa in Via Benedetta, la quale confinata da primo via, 1/1 Ser Filipo d’Agostino, 1/3 pizochero di San Domenicho, e pago l’ano a Mona Antonia donna fu di Bartolomeo de’ Bardi [...] £. 40 ________________ f. 142. 17.2 Creditori Benedetto di Francesco degli Strozi_________________________ £. 4, s. 5 Messer Antonio di Bartolomeo Strozi _______________________ £. 30, s. Michele di Tedaldino feraiolo _____________________________ £. 3, s. 8 Sano di Domenicho da Faliano ____________________________ £. 25, s. 2 E più ò a dare a più persone______________________________ £. 28, s. 14
8. Catasto 917: Quartiere di Santa Maria Novella, Gonfalone dell’Unicorno, c. 498r [agosto] 1469 Quartiere Sancta Maria Novella, Gonfalone Liochorno Giovanni di Ser Guglielmo di Stefano chassettaio. Dicieva nel Chatasto de l’ano 1427 in Ser Guglielmo di Stefano mio padre: Ebe di Chatasto 1427 ________________________________ s. 3 Nel Valsente 1451 disse in Giovanni di Ser Guglielmo decto: Valsente ebe fiorini due, soldi nove, denari dieci ____________ f. 2, s. 9, d. 10 Nel Chatasto 1458 ebi soldi tre _________________________ s. 3 Nela Ventina 1468 soldi tre ____________________________ s. 3 Sustanze Uno mezo podere posto nel Popolo di Sancto Michele a Nezano, Piviere di Santa Maria Impruneta, luogo detto agli Aliosi, cho’ una meza chasa per mio abitare chon chasa da lavoratore, che da primo via, a 2° e 3° Stefano di Ser Gulglielmo, 4° e 5° beni di Sancto Michele a Nezano, a 6° e [7°] beni di Sancta Maria Inpruneta, 8° Nicholò di Bartolucio [...], chon più altri veri chonfini. Lavoralo Giovani di Nicholò el detto mezo podere; òlgli pagati uno bue e uno asino, tiene in sul luogo mio, chostarono lire sesanta _____________________________________ £. 60 Rende: Grano istaia 26 ___________________ 26 ... Vino barili ventisei ________________ 26 ... Fave istaia dua ___________________ 2 ... Orzo istaia ______________________ 2 ... Fichi istaia tre ___________________ 3 ... Olio barili 1 1/2 __________________ 1 1/2 Lengna meza chatasta _____________ 1/2 Vantagio: uno paio di chaponi. E più mi truovo uno pocho di bottega di chasetaio, posta in Sancta Trinita, laquale bottega tengo a pigione dalle rede di Bracio da Montone, cioè da Mona Lucrezia dona di Bastiano Chaponi, Gonfalone Nichio, e pago l’ano di pigione f. sei e una ocha; à chonfini primo via, 2° Mona Chastora dona di Messer Domenicho Martelgli, 3° Mona Lucrezia nominata di sopra. Pagone __________ f. 6, una ocha E più tengo a pigione una meza chasa posta in Borgo Ongnisanti, Popolo di Santa Lucia d’Ongnisanti, da Bonachorso di Gianbono Canacci, e done l’ano di pigione
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lire trentadue; chonfini via, 2° Bonachorso Chanaci, 3° Biagio d’Agostino, 4° Giovanni di Mariotto. Pagone l’ano di pigione lire ____________________ £. 32 Beni alienati Vendé Ser Guglielmo di Stefano nostro padre, del decto podere, uno pezo di tera di staiora dodici a grano per f. dua lo staioro a grano. La decta tera vendé a Antonio di Domenicho armaiuolo del Popolo di San Paolo, disse in nome di Giuliano di Giovani Signorini insino a dì 29 di magio 1434, charta fatta per mano di Ser Andrea di Giovanni Cherici, notaio fiorentino, per pregio di f. 24. Boche Giovanni di Ser Guglielmo sopradetto, d’ani _________________________ 60 Mona Brigida mia dona, d’ani ____________________________________ 38 Rafaelo mio figliuolo, d’ani ______________________________________ 12 La Lorenza mia filgliuola, d’ani ___________________________________ 10 L’Alessandra mia figliuola d’ani ___________________________________ 8 La Sandra mia sirochia d’ani sesantaquatro ed è inferma e non à nula, e dole le spese e chalzola e vestola, e lasciò nostro padre che io e Istefano mio fratelo e fratelo di deta Sandra, le desimo ongni ano la vita sua ongniuno di doi per metà. A me tocha tute le spese e le noie, elgli no’ le dà nula; e non ebe mai marito né dota, ed è d’ani 64. Pregovi vi sia rachomandata.
9. Catasto 1010: Quartiere di Santa Maria Novella, Gonfalone dell’Unicorno, c. 121r 1480 Giovanni di Ser Guglielmo di Stefano chassetaio. E di Chatasto nel 1427 s. XVI piccioli ________________ £. -, s. 16 di piccioli Ebbe 1/6 ______________________________________ £. 1, s. 3, d. 4 piccioli Sustaze Un mezo podere posto nel Popolo di Sancto Michele a Nezano, Piviere di Sancta Maria Inpruneta, luogho detto agli Alossi, chon una meza chasa per mio abitare, chasa da lavoratore, da primo via, secondo, terzo Stefano di Ser Ghuglielmo mio fratello, a 1/4 e 1/5 beni di Sancto Michele a Nezano, a 1/6, 1/7 beni di Santa Maria Inpruneta, a 1/8 Nicholò di Bartolomeo, a 1/9 e a 1/10 Cenni e Bino di Simone di Bino, chon più altri veri chonfini. Lavora detto podere Benedetto [...], un bue di stima di £. 3. Rende in parte: Grano staia _______________ staia 28 ... Vino barili _______________ barili 28 ... Fichi staia ________________ staia 4 ... Olio barili ________________ barili 1 1/2 ... Fave staia ________________ staia 3 ... Legne ___________________ meza catasta Vantaggio: un paio di chapponi Incharichi Una mezza chasa tengho a ppigione nella Via dell’Albero, Popolo di Santa Lucia d’Ognisanti, da Monna Marieta di Niccolò, da primo via, secondo Monna Marietta,
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1/3 Piero di Benedetto rimendatore, 1/4 Nicholò di Piero [ ] e Paternostri; e donne l’anno di pigione ... f. 9 1/2 di sugello _____________________ f. 135. 14 Do l’anno alle monache delle Murate uno barile di vino, cioè ogni anno_______________________________________________________ 403. 11 Boche Giovanni di Ser Ghuglielmo d’anni 70, e non lavora più nulla perch’è in chasa ed à chomunato ogni suo chapitale di botegha Monna Brigida mia donna d’età d’anni 47 Raffaello mio figliuolo d’età d’anni 22, e non fa nulla. Soleva stare a linaiuolo e per la moria si partì e non s’è più posto a bottegha perché non si fa più nulla Lorenza mia figliuola d’età d’anni 20; à di dote in sul Monte __________ f. 200 La Sandra mia figliuola d’età d’anni 18 ; à di dote in sul Monte ________ f. 200
10. Ibidem, cc. 473r-473v 1480 Stefano di Ser Guglielmo di Stefano chasettaio ... . Sustantie Un mezo podere posto nel Popolo di Sancto Michele a Nezano, Piviere di Santa Maria Impruneta, luogho detto agli Arossi, chon una meza chasa per mio abitare, chon una chasetta da llavoratore, confini da primo via, 2° e 3° Giovanni di Ser Guglielmo mio fratello, a 1/4 beni di Sancto Michele a Nezano, a 1/5 e 1/6 beni di Santa Maria Impruneta, a 1/7 e beni di [...] e uno a 1/8, con più veri confini .... Incharichi Tengho una chasa a pigione e quivi lavoro a uso di cassettaio, la quale si è di Giovanni di Ser Tommaso, donne l’anno £. quaranta, la quale chasa è nel Popolo di Santo Apostolo, con sua confini ... . Boche Stefano d’età d’anni _______________________ anni 71 Checha mia donna ________________________ anni 45 Ghuglielmo mio figliolo ____________________ anni 25 Nicholò mio figliolo _______________________ anni 23 Bartolomeo mio figliolo ____________________ anni 21 Domenicho mio figliolo ____________________ anni 18 Antonio mio figliolo _______________________ anni 14 Zanobi mio figliolo _______________________ anni 11 e mesi [ ] Salvestro mio figliolo ______________________ anni 4 ... // ... .
11. Ufficiali di Notte e Conservatori dell’onestà dei Monasteri 22, c. 41r 8 aprile 1483 Die VIII aprilis 1483 Raffael Iohannis Ser Guglielmi, qui docet abbachum, notificavit semet ipsum causa evitandi penam et dixit in hoc hanno pluries commisisse vitium sodomie et in variis locis, cum infrascriptis pueris: Bartolomeo [ ] de’ Baldovinetti Niccolao del Ceraiuolo
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Dominicho Iacopi, calzaiuolo Iohanne Antonii de Romena Francisco de’ Bagnesis
12. Ibidem, cc. 41r-41v 10 aprile 1483 Die X aprilis 1483 ... // Raffael Iohannis Ser Guglielmi et Dominicus Stefani Ser Guglielmi et quilibet eorum de per se fuerunt accusati per Ludovicum Leonardi Bonarote, civem florentinum, dicentem dictos Raffaelem et Dominicum commisisse vitium sodomie cum Leonardo, filio dicti Ludovici, in apoteca dicti Raffaelis.
13. Ibidem, cc. 74v-75r 16 aprile 1483 Die XVI aprilis MCCCCLXXXIII ... // Spectabiles viri, officiales prelibati, insimul congregati in locum eorum solite residentie, pro eorum offitio exercendo, ut moris est, ... visa quadam notificatione facta coram eis et eorum offitio per Ludovicum Leonardi Bonarote Simoni, civem florentinum, dicentem Magistrum Raffaelem Iohannis Ser Guiglielmi, qui docet abbacum et civem florentinum, comisisse in presenti anno et iam est mensis [...], in apoteca abbaci dicti Raffaellis, pluries et pluries, vitium soddomie ex parte posteriori cum Leonardo eiusdem Ludovici filio, etatis annorum novem vel circa, prout ipse Leonardus dixit et confessus fuit. Et visa confessione postea facta per dictum Magistrum Raffaelem Canacci nobis et nostro offitio ... et visa citatione personaliter dicto facta per nuntium publicum nostri offitii, et visa forma iuris et statutorum Comunis Florentie et que videnda fuerunt omni meliori modo quo potuerunt, dictum Magistrum Raffaelem condemnaverunt in florenis viginti largis, et ultra predicta ad standum et permanendum in carceribus Comunis Florentie unum annum et minus et prout et sicut per eorum partitum alias declarabitur; et facta liberatione et declaratione intelligatur esse et sit liber absolutus a dictis carceribus [...] remanente cendemnatione dictorum florenorum viginti largorum, dandorum et solvendorum ut et prout per ordinamenta Comunis Florentie disponitur et requiritur. Lata et data etc., presentibus Domenico Salvii et Iohanne Marci famulis, testibus.
14. Ufficiali di Notte e Conservatori dell’onestà dei Monasteri 23, c. 62v 15 aprile 1486 Prefati Officiales similiter in sufficienti numero congregati ... sub die XV aprilis 1486 absolverunt ut supra ... Raphaelem Canacci ... .
15. Ibidem, c. 42r 18 giugno 1486 Die XVIII iunii [1486] Raphael de Canaccis notificavit se ipsum sogdomitasse in apotheca sua, solus, l’Animuccia, filius Bonasii cimatoris.
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16. Notarile Antecosimiano 4032, c. 152v 15 settembre 1488 Item dictis anno [1488], indictione [VI] et die XV mensis settembris. Actum in Comitatu Florentie et in Populo Sancti Miniati a Quintole, presentibus Tomaso Pieri [...] et Marcho Francisci Nannis del Ventura, ambobus ditti Populi Sancti Miniati etc. Stephanus olim Ser Guglielmi Stephani legnaiolus Florentie, Populi Sancti Pieri in Gatolino de Florentia, ex parte una, et Raphael olim Iohannis Ser Guglielmi civis florentini Populi Sancte Lucie Omnium Sanctorum de Florentia, ex parte alia, compromiserunt in Iohannem Bernardi Cinozi et Antonium Domini Pauli de Pangis cives florentinos ... .
17. Ibidem, cc. 158r-158v 9 ottobre 1488 In Dei nomine amen, Nos Iohannes Bernardi Cinozi et Antonius Pauli de Pangnis, cives florentini, arbitri et arbitratores et amicabiles compositores et amici comunes et boni viri, electi et asumpti de compromisso [...] a Stephano Ser Guglielmi, cive et legnaiuolo florentino, ex parte una, et a Raphaello, filio olim Iohannis Ser Guglielmi, eius nepote, ex parte alia, ... volumus et mandamus et condepnamus dittas partes et quamlibet dittarum in hunc modum et formam, videlicet: Imprimis, cum inveniamus et nobis constet quod partes predicte habent et tenent comuniter et pro indiviso quandam voltam positam supra domum dicti Raphaelis [...] quandam aiam aptam ad triturandum granum, positam in Populo Sancti Michaelis a Nezano, Comitatus Florentie ... laudamus, sententiamus et arbitramus et arbitrium et divisionem hoc modo, videlicet quod volta preditta pertineat [...] unicuique pro dimidia, et condepnamus partes preditte ad faciendum unum murum in medio dicte volte de lateribus et calcio sumptibus et depensis dittarum partium hinc ad unum annum proxime futurum, et volumus quod dittus Raphael possit et [...] liceat capere quamquam partem sibi ditte volte voluit ... . / /... . Item laudamus, ut supra condepnamus dittum Raphaelem ad faciendum et curandum suis sumptibus et depensis quod cierta aqua que cadit in quodam fossone, quod vadat per viam magistram, et quod possit facere unam foveam versus gratam campi ditti Stefani, per quam durat et vadam ditta aqua, dummodo quod dicta fossa fiat sine dapno ditti Stephani, et ad sic faciendum ut supra condemnamus. Latum, datum, pronuntiatum, promulgatum fuit suprascriptum laudum ... sub anno Domini MCCCCLXXXVIII, indictione VI, die nona ottobris mensis, presentibus Aloysio Iusti Pieri, Populi Sancti Laurentii [...] et Francisco Antonii Buoni, Populi Sancte Marie Impruneta de Florentia, testibus.
18. Monte Comune o delle Graticole, Parte II, 3745, c. 698r 14 maggio 1488-18 agosto 1491 Raffaello di Giovanni di Ser Ghuglielmo, marito della Tommasa di Iachopo di Nicholò di Ser Lapo, de’ avere a dì 14 di maggio 1488 f. centoventiquatro, s. 5, d. 3 larghi per resto di suo dota, abattuto f. 41, s. 8, d. 5 larghi à auto per 1/4 per leggie, creditrice al Libro Giallo secondo, c. 16, levato da’ libro de’ ritratto de l’anno 1488,
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c. 14, non è licentiato ____________________________________ f. 124, s. 5, d.3 A dì 12 d’aprile 1489 pose chonditione a f. 124, s. 5, d. 3 larghi che per di qui a mesi 15 non se ne possi fare chontratto sanza licenza di Micho di Nicholò Chapponi, ma ‘l detto Micho, passato detto tempo, ne possi fare la sua volontà di licenza di detto Raffaello e di licenza di Iachopo di Nicolò, padre di detta Tommasa, al quaderno di permuta, c. 58. Posto a dì 8 di luglio 1490 f. 124, s. 5, d. 3 larghi, cioè pose chonditione a detti f. 124, s. 5, d. 3 larghi che per da oggi a uno anno non se ne possi fare alchuno chontratto sanza licenza di Francesco di Bartolomeo di Luca Benvenuti, ma pasato detto anno, detto Francesco ne possi fare la sua volontà di licenza di detto Raffaello e di licenza di Iacopo di Nicholò di Ser Lapo, padre di detta Tommasa, donna di detto Raffaello, e di licenza di Micho di Nicholò Chapponi, condizione in detto credito al quaderno di permuta, c. 65. Posto a dì 18 d’aghosto 1491 f. 124, s. 5, d. 3 larghi Allesandro di Francesco di Cristofano di Piero di licenza di Francesco di Bartolomeo di Luca Benvenuti, condizione di sopra e condizione che non se ne possa fare alchuno contratto sanza licenza di Giuliano di Pazzino [...] per sodamento di un podere posto a piè di Malmantilia, comprato per detto Giuliano a Monna Felice [...] di detto Allesandro per f. 342 di sugello netti, come disono aparire carta per mano di Ser Antonio di Ser Batista Bartolomei sotto dì 14 di giugno 1476 e con tutte l’altre conditioni usitate per sodo di beni, come apare al quaderno di permuta, c. 89 [...] e comprare beni a dichiaratione di detto Giuliano, ò degli Uficiali del Monte.
19. Decima Repubblicana 21: Quartiere di Santa Maria Novella, Gonfalone dell’Unicorno, c. 381r 1495 Rede di Giovanni di Ser Guglielmo di Stefano chassettaio, disse la Schala inchamerata dell’anno 1481 in Giovanni sopradetto. Sustanze Un mezzo podere posto nel Popolo di Sancto Michele a Nezzano Piviere di Santa Maria Impineta, luogho detto agl’Arossi, chon una mezza chasa chon detto podere per loro abitare, chon fattoio da olio e chon chasa da lavoratore; da primo via, secondo e 1/3 Rede di Stefano di Ser Guglielmo, a 1/4 e 1/5 beni di Sancto Michele a Nezzano, a 1/6 e 1/7 beni di Sancta Maria Impineta, a 8° Nicholò di Bartolucco, a 9° e 10° Rede di Cenni e Rede di Bino di Simone di Bino, a 11° Bernardo di Nicholò, a 12° Rede d’Orso del Pace. Tenghovi suo uno bue di valuta di f. 8 larghi. Lavora detto podere Iacopo di Nicholò di Checho e figliuoli. Rende in parte: Grano staia XXX ___________________ staia 30 Vino barili XXV____________________ barili 25 Olio barili IIII _____________________ barili 4 Fichi staia X_______________________ staia 10 Fave staia 3 _______________________ staia 3 Legne meza chatasta Vantaggio: uno paio di chapponi e 60 huova __________________ f. 30, s. 2 Incharichi Tenghono una mezza Chasa a pigione da Govanluigi di Pasquale da Nnapoli, posta in Via Chiara, Popolo di San Lorenzo, Gonfalone Leon d’Oro, da primo via, a
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sechondo Govanluigi sopradetto, a 1/3 Pietro Bechastrini chalzaiuolo, a 1/4 prete Marcho di Gherardo tedescho. Danone l’anno £. XL, cioè £. 40 di pigone. Una bottegha in Borgho Santo Iacopo, Gonfalone Nicchio, da Raffaello di Bartolomeo dipintore per prego di f. otto l’anno di pigione, nella quale si fa squola, da primo via, secondo Torrigano d’Antonio Torrigani, a 1/3 il fiume Arno, a 1/ 4 Iacopo di Lorenzo detto il Centina ________________________________f. -
20. Notarile Antecosimiano 3608, cc. 246v-247v 3 aprile 1500 Item postea, dictis anno [MCCCCC], indictione [III] et die 3 mensis aprilis. Actum Florentie et in Populo Sancte Trinitatis, et presentibus Bernardo Iacobi et Francisco Thomasii, ambobus lignaris, testibus etc. Domina Francisca vidua, uxor olim Stephani Ser Guglielmi et olim filia Salvestri Luce Verochi, constituta etc. asserens etc. carere mundualdo etc., petiit a me sibi dari etc. in suum et pro suo legitimo mundualdo Bartholomeo, eius et ditti olim Stephani filium, presentem ... . // Item postea ... Domina Francisca vidua, cum consensu ditti suprascripti Bartolomei sui legitimi mundualdi ... et dittus Bartholomeus et Zanobius fratres charnales et olim filii ditti Stephani Ser Guglielmi ... recognoverunt se esse veros debitores Domine Lucretie vidue, uxoris olim Dominici Johannis ditto el Cortopasso, et olim filie Stephani Mathei, et Johannis et Petri fratrum charnalium et olim filiorum ditti Dominici ... de summa et quantitate librarum noningientorum quadraginta quinque et soldorum quindecim florenorum parvorum, et hoc pro et ochasione, ut vulgo dicitur, di panchoni di noce e assi d’albero e di noce, e mozature e altri legnami eisdem venditos et datos per dittos Petrum et Iohannem et Dominam Lucretiam ... // ... .
21. Notarile Antecosimiano 4034, c. 304v 1° dicembre 1504 Procura Item postea dictis anno [1504], indictione [VIII] et die primo mensis decembris. Actum in Comitatu Florentie et in Populo Sancti Michaelis de Nezano, presentibus Laurentio Iohannis Chechucci, laboratore terrarum dicti Populi et Iohanne Antonii Fruosini etiam dicti Populi etc. Domina Brigida, vidua, uxor olim Iohannis Ser Guglielmi et filia olim Ser Andree Iohannis [...] et ad presens habitatrix in ditto Populo ... fecit etc. suum procuratorem etc. Iacobum Pieri barbitonsorem, vocatum [...] Populi Sancte Lucie de Florentia ... .
22. Notarile Antecosimiano 18270, cc. 150v-151r 5 dicembre 1504 Venditio Item postea dictis anno [1504], indictione [VIII] et die quinta dicti mensis decembris. Actum in Populo Sancte Trinitatis de Florentia, et presentibus Francisco Perfetti de Massa Lunigana, habitante ad presens in dicto Populo, et Francisco Laurentii Antonii Populi Sancti Martini a Brozi, testibus etc. Raphael Iohannis Ser Guglielmi de Canaccis, civis florentinus, eius nomine proprio et omni meliori modo etc., dedit et vendidit Bartolomeo et Zenobio,
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fratribus et filiis olim Stefani Ser Ghuiglelmi, legnaioli de Florentia, presentibus et pro se et suis heredibus ementibus etc. partem domus posite in Populo Sancti Michaellis a Nezano, Comitatus Florentie, loco dicto agl’Aliossi, videlicet unam cameram et salam di palcho ditte domus sive partis domus que est prope domum dictorum emptorum et ut vulgo dicitur “al lato alla torre overo colombaia” domus dictorum emptorum [...]. Et promisit dictus Raphael dictis emptoribus presentibus etc. defensionem generalem dictorum bonorum in forma plenissima ... . // Quam vendictionem fecit dictus Raphael pro pretio et summa veri et iusti pretii librarum centum sexaginta trium, videlicet librarum 163 parvorum, de qua summa dictus Raphael confessus fuit se habuisse summam librarum centum parvorum, et residuum solvere promiserunt dicti emptores ad omnem requisitionem dicti Raphaellis ... .
23. Notarile Antecosimiano 18273, cc. 139r-139v 6 novembre 1510 Locatio Item postea, dictis anno, indictione [XIII] et die sexta dictis mensis novembris. Actum Florentie, in Populo Sancti Laurentii de Florentia, presentibus Antonio Iacobi de Barberino de Mugello [...] . Domine Tommasie, vidue, filie olim Iacobi Nicholai aromatarii, et uxori olim Raffaellis Iohannis Ser Ghuglelmi [...], Laurentium Mariotti de Mugello [...] suum mundualdum dedi ... . Franciscus olim Raffaellis Ser Guglielmi, civis florentinus, suo nomine proprio ac etiam vice et nomine Andree eius fratris minori, legitime etatis, pro quo de rato promisit, alias etc., et dicta Domina Tommasia eius mater et uxor olim dicti Raphaellis, suo nomine proprio [...] et cum consensu dicti sui mundualdi presentis etc., locaverunt Zenobio olim Stefani Ser Ghuglielmi, civi florentino, presenti et pro se et suis heredibus conducenti, plura petia terrarum laboratia, vineata, olivata et soda [...] quod fuit olim dicti Raffaellis, mariti dicte Domine Tommase, videlicet omnia petia terre [...] posita ultra stratam et in loco dicto Mangano, infra quecumque vocabula [...] pro tempore et termino annorum trium proxime futurorum, pro annuo affictu florenorum quatuor [...] et sic pro dictis tribus annis pro florenis duodecim ... // ... .
24. Notarile Antecosimiano 6243, c. 402r 18 gennaio 1529 Indictione prima, die 18 Ianuarii [1528]. Actum Florentie in Populo Sancte Marie Nepotecosa de Florentia et presentibus Niccolao Laurentii Antonii Mazochi et Giusto Francisci Ghini corario Populi Sancti Ambrosii de Florentia, testibus etc. Venditio Cum sit quod de anno domini 1504 Raffael Iohannis Ser Guglielmi et Domina Brigida eius mater vendiderunt Bartolomeo et Zenobio fratribus et filiis Stefani Ser Guglielmi, legnarii, quondam domum seu partem domus videlicet partem superiorem unius domus posite in Comitatus Florentie et in loco ditto agli Aliossi, Populi Sancti Michaelis a Nezano, pro pretio £. 163 piccioli ... . Et cum sit quod postea et iam sunt anni 19 ... dittus Bartolomeus mortuus est ... Domina Costantia eius filia et heres ... velit dictam ... partem domus reddere er retrovendere filiis et
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heredibus dicti Raffaellis pro dicto pretio ... . Itoque ... retrovendidit Francisco et Andree fratribus et filiis dicti olim Raffaellis ... dictam dimidiam et partem domus de quo supra fit mentio ... .
25. Decima Granducale 3611: Quartiere di Santa Maria Novella, Gonfalone dell’Unicorno, cc. 1bisr-1bisv 1532 Francesco e Andrea fratelli e figliuoli furono di Raffaello di Giovanni di Ser Guglielmo, abitano al Chanto alla Chuchulia, nella Via di Santa Monacha. Disse la Decima 1498 in Rede di Giovanni di Ser Guglielmo di Stefano chassetaio, c. 381. Sustanze Un 1/2 podere chon 1/2 chasa da signiore e da lavoratore posto nel Popolo di Santo Michele a Mezano, Piviere di Santa Maria Impruneta, luogho detto agli Aliossi, chon uno fatoio da olio, a primo via, 2°, 3° Rede di Stefano di Ser Giuliano, 1 4°, 5° beni di Santo Michele a Mezano, 6°, 7° beni di Santa Maria Impruneta, 8° Rede di Nanni contadino [...], per entrata di f. 30, s. 2 __________________ f. 30, s. 2 Beni aquistati e non achoncci Una parte di chasa posta nel Popolo di Santo Michele a Mezano, luogo detto di sopra, cho’ medesimii confini, con una parte di volta chon uno chasolare, che l’altra parte fue mia, chome si vede nel podere di sopra, laquale ò conperata d’Andrea di Nicholò di Stefano di Ser Ghuglielmo legnaiuolo per f. 35 larghi, roghò Ser Domenicho da Chatignano, soto suo dì, la quale troverete soto la posta di Mona Francesca dona fu di Stefano di Ser Ghuglielmo, Gonfalone detto, c. 322. Interchiusa nel mezo podere ch’è per entrata di f. XXXI, d. 5 ed è per uso di detto 1/2 podere; così ogi la tengo chongiunta cho’ la mia 1/2 ... chol podere di sopra per mio uso ... // ... . Una chasa posta al Chanto ala Chuculia, nel Popolo di Santo Friano, a primo via, 2° Lucha Torni, 3° Berto pizichagniolo, 4° rede di Maestro Lorenzo Tucci, la quale ò comperata da Agniolo di Michele di Rosore guainaio e Francescho suo nipote, la quale non fu mai data a decima ne’ detti nomi, e tenghola per mio uso, chostomi f. 180, rogato Ser Antonio Parenti d’aprile 1529 ... .
Appendice 2 Documenti sui Grassini 1. Catasto 610: Quartiere di Santo Spirito, Gonfalone della Ferza, c. 146r 1442 Dinanzi di voi Signori Dieci Uficiali della nuova istribuzione, si raporta per me Antonio di Giovanni famiglio dell’Arte di Porta Santa Maria della Cità di Firenze. Una chaseta la quale io habito cholla mia famiglia, posta in Via Santa Maria dalle Chonvertite, che da primo via, 2 la Chaterina figluola fu di Salvi Randegli, 3 lo Spedale di Sa’ Lorenzo, 4 foso chomune. Non ò niun’altra sustazia né altra rendita. E quando deta chasa s’apigionasse se n’arebbe lire quatordici. 1
Dovrebbe essere “Ser Guglielmo”.
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Antonio detto d’età d’anni______________ 45 Lorenzia mia donna d’anni _____________ 30 Giuliano nostro figluolo d’anni __________ 10 Giovanni d’età d’anni _________________ 7 Iachopo d’età d’anni __________________ 2 Di graveza in Chontado s. tredici, d.______ 1.
2. Catasto 651: Quartiere di Santo Spirito, Gonfalone della Ferza, c. 1057r 18 febbraio 1447 1 Antonio di Giovanni chiamato Grasino, famiglio al’Arte di Porta Santa Maria. Non ò di graveza né Chatasti nulla. E nella Decina e Dispiacente sono miserabile, e non ò nulla di graveza. Sustanzie Una chaseta posta in Via Santa Maria dalle Chonvertite, Popolo di San Felice in Piaza, che da primo via, 2° lo Spedale di Sa’ Lorenzo, 4° la chontesa fu di Baldacco, nella quale io abito cholla mia famiglia e maserizie. Boche Antonio di Giovanni chiamato Grasino, famiglio del’Arte di Porta Santa Maria, d’anni 50 Dona Nencia mia donna d’anni 40 Giuliano mio figliolo d’ani 10 Giovanni mio figluolo d’ani 8 Iachopo mio figluolo d’ani 6 Incharichi Fu tasato agl’Uficiali del Monte per gl’Uficiali del’Estimo per anni XVIII in s. venti per ano: òne paghati anni uno, dura anchora anni 17.
3. Catasto 690: Quartiere di Santo Spirito, Gonfalone della Ferza, c. 904r 1451 Antonio di Giovanni chiamato Grassino, famiglio del’Arte di Porta Santa Maria. Nel primo Chatasto non ò nulla, ch’ero a graveza in Chontado, e di poi fu tassato a gl’Uficiali del Monte, e pagho la tassa. O’ di graveza al presente nel Chonfalone della Ferza s. tre, d. tre che sono nel beneficio. Sustanzia di detto Antonio Grassino Una chasetta nella quale abito al presente cholla mia famiglia posta in Via Santa Maria dalle Chonvertite, che da primo via, 2° Lorenzo di Stefano Randegli, 3° lo Spedale di San Piero de’ Ridolfi e da 4° la chontessa fu di Baldacco. La detta chasa chonperai da Nicholò d’Antonio d’Agnolo ciecho, del Popolo di San Pier Maggiore insino dell’anno 1432, charta fatta per mano di Ser Riccho Ispinegli. Non ò niuna altra chosa e sono vechio di 55 anni, chon cinque boche, che ò un figluolo di XX anni ch’è pazzo e tengholo rinchiuso e leghato. Abiatemi per rechomandato. 1
In fondo alla c. 1057v si legge “Rechò Antonio Grasini decto a dì 18 di febraio”.
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4. Catasto 791: Quartiere di Santo Spirito, Gonfalone della Ferza, c. 275r [febbraio] 1458 Dinanzi a voi Signori Ufficiali, io Antonio di Giovanni Grassini vi porto tutte le mia sustantia e intrata, e primo. Una casa per mio habitare posta nello Popolo di San Felicie in Via detta Santa Maria, che da primo via, da 2° Lorenzo Randegli, da 3° lo Spedale de’ Ridolfi, da 4° Madanala (sic) contessa e donna che fu di Baldaccio. Una vigna di istaiora nove posta nel Popolo di Santo Martino a Campi, che da primo via, da 2° Mona Alexandra di Paolo Rucelai, da 2° Domenicho di Ghuido del Monacho, da 3° Domenicho di Michele vocato el Pacca, da 4° Vanni di Pagolo Rucelai, rende l’anno per parte barili VI perché è vignia vechia ________ b. VI Una peza di vignia di staiora VIIII, posta nello detto Popolo, che da primo via, da 2° Mona Alexandra di Pagolo di Vanni Rucelai, da 3° lo Spedale di San Michele da Campi, da 4° Piero Bucherelli, rende l’anno per parte vino ___________ b. XII Boche Antonio di Giovanni Grassini, vechio e infermo, d’ettà d’anni 65 ________f. 200 Monna Nencia mia donna d’ettà d’anni 50 _________________________f. 200 Giuliano mio figiuolo, istato pazzo et è più di dieci anni, d’ettà d’anni 26__f. 200 Iacopo mio figliuolo d’ettà d’anni 17_____________________________ f. 200
5. Notarile Antecosimiano 16777, c. 135v 22 novembre 1458 Matrimonium Item postea dictis anno [MCCCCLVIII], indictione [septima], die vero XXII mensis novembris. Actum in Populo Plebis Sancti Stephani de Champi, presentibus testibus ad hec vocatis, habitis et rogatis, videlicet Mechero Petri Nenci de Champi et Paglino Blaxii Nannis, magistro legnaminis, ambobus Populi Sancti Stephani predicti et aliis. Domina Bartholomea, filia Becti Nicholai sutoris de Champi, Populi Plebis Sancti Stephani predicti, cum consensu dicti Betti sui patris ibidem presentis et eidem consentientis etc., ex parte una, et Iacobus Antonii Iohannis alias Grassina, Populi Sancti Petri in Ghattolino de Florentia, ex parte alia, per verba de presenti, interrogatione et responsione et anuli datione et receptione ad invicem et vicissim, legitimum matrimonium contraxerunt. Rogans etc.
6. Ibidem, cc. 136r-136v 23 novembre 1458 Item postea eisdem anno et indictione predictis, die vero vigesimo tertio mensis novembris. Actum in Populo Sancti Felicis in Piaza de Florentia, presentibus testibus ad hec vocatis, habitis et rogatis, videlicet Batholomeo Iohannis Macthei basterio, et Philippo Andreee bottario, ambobus dicti Populi Sancti Felicis predicti. Mundualdum Domine Laurentie, alias Domine Nencie, filie olim Arrigi Iohannis et uxoris Antonii Iohannis, presenti et petenti, ego Petrus, iudex ordinarius et notarius infrascriptus, dedi et decrevi in eius et pro suo mundualdo legitimo et generali ad omnia per eam petita, Sanctem olim Masi Andree de Champi, ibidem presentem
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et esse volentem, cuius consensu ipsa possit se et sua bona obligare et infrascripta sua negotia exercere, dicens eidem facto esto mundualdo huic Domine etc. ... . Dotis confessio Prefata Domina Laurentia, alias Domina Nencia, cum consensu, licentia et parabola et auctoritate dicti Sanctis Masi Andree, eius legitimi mundualdi eidem per me dati, ac etiam cum consensu dicti Antonii Iohannis eius viri, ibidem presentis et eidem Domine consentientis etc., et Iacobus eius filius et filius etiam dicti Antonii, cum consensu etc. dicti Antonii eius patris ibidem presentis et consentientis etc., et dictus Antonius Iohannis et quilibet eorum in solidum etc., certificata tamen primo dicte Domine etc., ex certa scientia et non per errorem et non spe alicuius future numerationis, fuerunt confessi et contenti habuisse et recepisse etc. a Betto Nicholi, sutore Populi Plebis Sancti Stephani de Champi, dantem etc., in dotem, pro dote et nomine dotis Domine Bartholomee, eius filie et uxoris dicti Iacobi, ut de matrimonio inter eos contracto constat manu mei notarii infrascripti, inter denarios et res mobiles inter eos comuni concordia extimatas in totum florenos triginta duos auri ad rationem librarum quatuor et soldorum quinque pro quolibet floreno, de qua quantitate vocaverunt se bene pagatos etc. Et ideo, secundum formam statutorum et ordinamentorum Comunis Florentie, prefata Domina Laurentia et Iacobus, consensu quo supra, et dictus Antonius et quilibet eorum in solidum etc. fecerunt donationem propter nuptias dicto Betto recipienti // pro dicta Domina Bartholomea et eius heredibus etc. de libris quinquaginata florenorum parvorum, promictentes dicto Betto ut supra recipienti et stipulanti dictam dotem reddere, restituere et consignare et donationem solvere constante matrimonio vel soluto etc., Florentie, Pisis, Senis et ubique etc., et non [...] aliquam solutionem etc., nisi per publicum instrumentuum finis vel per istud sibi redditum dampnatum etc., pro quibus etc. obligationibus etc., cum pacto dotali et aliis in similibus usitatis etc. Rogans etc., per guarantigiam etc.
7. Notarile Antecosimiano 16794, cc. 143r-145v 25 novembre 1462 In Dei nomine amen. Anno Domini ab eius salutifera incarnatione millesimo quatuorcentesimo sexagesimo secundo, indictione XI, et die XXV mensis novembris. Actum in Civitate Florentie, in Popolo Sancti Stephani ad Pontem, presentibus testibus ad infrascripta omnia et singula vocatis, habitis et rogatis, videlicet Iohanne Naldi Baldi, lanaiuolo Populi Sancti Laurentii de Florentia, et Laurentio Iohannis Laurentii, bechario Populi Sancti Ambrosii del Florentia. Domine Nencie, filie olim Arigi Iohannis, textoris pannorum linorum et uxoris olim Antoniii Iohannis Grassina, famulo Artis Porte Sancte Marie de Florentia, presenti et petenti, ego Petrus ... notarius ... dedi ... in eius et pro suo mundualdo ... Cennem Christophani Aliotti, vaginarium ... presentem et esse volentem et acceptantem ... . Item postea incontinenter, dictis anno, indictione, die et loco et coram dictis suprascriptis testibus ... . Prefata Domina Nencia, cum consensu, licentia ... dicti Cennis, eius legitimi mundualdi ... dixit et asseruit se claram, certam et advisatam fore et esse, et Iacobus filius dicte Domine et dicti olim Antonii Grassina, habitatores ambo in Populo Sancti Iacobi Supra Arnum de Florentia ... iure proprio et in perpetuum, dederunt, vendiderunt, tradiderunt, cesserunt // et concesserunt Danielli quondam Honofri Azonis, lanifici, civi florentino, ibidem presenti et pro
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se et suis heredibus recipienti et ementi, infrascripta bona, videlicet: Unum petium terre vineate, stariorum septem et panorum septem et pugnorum decem ad cordam, mensurarum florentinarum ... quod petium terre positum est in Populo Plebis Sancti Stephani de Champi, in loco dicto Roncho sive Moggione sive aliter, confinatum a primo via, a II bona Plebis Sancti Stephani predicti, a III Pieri Antonii de Bucherellis, a IIII Domine Sandre, uxoris olim Pauli de Oricellariis ... . //(c. 145r) Quam venditionem fecerunt dicti venditores pro pretio ... in summa florenorum quadraginta quinque et soldos decem otto ad aurum ... // ... .
8. Notarile Antecosimiano 16778, cc. 492v-493v 25 novembre 1462 Emptio Item postea, dictis anno [MCCCCLXII], indictione [XI] et die [XXV mensis novembris] predicto. Actum in Populo Sancti Stephani ad Pontem, presentibus testibus etc. Iohanne Naldi Baldi, lanaiuolo Populi Sancti Laurentii de Florentia, et Laurentio Iohannis Laurentii, bechario Populi Sancti Ambrosii de Florentia ... // (c. 493r) ... . Prefatus Daniel quondam Honofrii Azonis, civis florentinus // omni modo etc. per se et suos heredes, iure proprio et in perpetuum, cum pacto quod infrascripta domus primo et ante omnia sit obnoxia et obligata ipsi Danielli pro securitate, defensione, remotione suprascriptorum bonorum per eum emptorum. Et quod in casu quo dicta suprascripta bona eidem Danielli molestarentur vel evincerentur liceat dicto Danielli redire ad infrascriptam domus et bona, ad sui libitum et pro predictis preferantur omnibus creditoribus dictorum venditorum et infrascriptorum emptorum quivis antiquioribus, non preiudicando aliquibus facientium, pro ipso Danielle infrascripto instrumento emptionis etc. Et cum dicta conditione dedit vendidit, tradidit, cessit et concessit suprascripte Domine Nencie, vidue uxori olim dicti Antonii Iohannis Grassina et dicto Iacobo eiusdem Domine et dicti olim Antonii filio, et quilibet eorum ibidem presentes et ementes infrascripta bona, videlicet unam domum cum palchis, salis, terreno et modico orto, positam in Castro Campi, in via cui dicitur la Via della Schala, confinata a primo dicta via, a II heredes Iohannis del Chornachia et alios, a III [ ], a IIII [ ] ... . Quam venditionem fecit pro pretio florenorum triginta auri ... .
9. Notarile Antecosimiano 16780, cc. 238r-241r 10 settembre 1466 In Dei nomine amen. Anno Domini ab eius salutifera incarnatione millesimo quadringentesimo sexagesimo sexto, indictione quartadecima et die decima mensis settembris. Actum in Civitate Florentie, in Populo Sancti Stephani Abbatie Florentine, presentibus testibus ad infrascripta omnia et singula vocatis, habitis et rogatis, videlicet Ser Bartholomeo Michaelis de Charmignano, Ser Tommaso Ser Iuliani del Maza, et Ser Iacobo Domini Iacobi del Maza, civibus et notariis florentinis. Domine Nencie, vidue, filie olim Arrigi Iohannis de Alamannia et uxori olim Antonii Iohannis vocati Grassina, domicelli Artis Porte Sancte Marie Civitatis Florentie, presenti et petenti, ego Petrus iudex ordinarius et notarius publicus infrascriptus ... dedi et decrevi et datum confirmavi in eius ei pro suo mundualdo ... Ser Antonium olim Christophani Antonii, civem et notarium florentinum ... . Item postea incontinenti ... prefata Domina Nencia, cum consensu ... dicti Ser Antonii eius legitimi mundualdi ... et Iacobus filius dicte Domine Nencie et dicti
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olim Antonii Iohannis vocatis Grassina, suo proprio et privato nomine et ut et tanquam heres et hereditatis nomine dicti olim Antonii Iohannis, eius patris, ... permutaverunt Blaxio olim Antonii Bernabe de Champi ..., Comitatus Florentie, ibidem presenti et recipienti pro se ipso et suis // heredibus, et cui vel quibus iura sua concessit, ac etiam pro et vice et nomine Christophani, fratris charnalis ipsius Blaxii et filii olim dicti Antonii ... unum petium terre laboratie, stariorum novem vel circa ... positum in Populo Sancti Stephani de Champi Comitatus Florentie, in loco cui dicitur a’ Panchoni al Roncho, confinatum a I via, a II Vannis de Oricellariis, a III Antonii Bambelli, a IIII Guidonis del Monacho de Champi, infra predictos confines ... . Que bona dicta Domina Nencia dicto consensu et dictus Iacobus dixerunt ... dicto Blaxio, dicto nomine, fuisse et esse comunis valoris et estimationis florenorum viginti otto auri ... . Et predicta omnia et singula fecerunt dicta Domina Nencia, dicto consensu, et dicto Iacobus ... pro uno petio terre vineato, stariorum octo vel circa ... posito in Populo Sancti Stephani predicto, loco dicto Moggione, confinato a primo via, a II Pieri del Fontana, a III heredum Philippi Branchatii de Oricellariis, a IIII Bruni del Groppante ... // ... .
10. Catasto 908: Quartiere di Santo Spirito, Gonfalone della Ferza, c. 22r [agosto] 1469 Quartiere di Santo Spirito, Gonfalone Ferza Iacopo d’Antonio di Giovanni Grassini, maestro d’abbacho di Volterra, e al presente a Volterra abito, che vi finischo il tempo a chalen di novembre prossimo 1469. Dichono le portate di tutte le nostre gravezze abbiamo avute per insino a hora in mio padre Antonio di Giovanni detto Grassino, stava all’Arte di Por Santa Maria. Nel Chatasto del 1427 non siamo a nnulla perché chominciamo a ppaghare la gravezza di Firenze nella Nuina 1436, ch’avemo di Nuina s. VI, d.VIII. Et nella Graziosa 1442 lasciarono biancho perché avemo e paghavamo s. XIIII, d. I d’Estimo. Di poi a dì 20 di maggio 1446 fu tassato dagli Uffiziali dell’Estimo e chavarolo in tutto dell’Estimo, la qual tassa si paghò agl’Ufiziali del Monte di Firenze. E nel Valsente 1451 ebbe _______________ s. III E nel Chatasto 1457 ebbe_______________ s. III E di Ventina 1468 ebbe ________________ s. III Sustanzie Una chasa per nostro abitare posta in Via Sancta Maria, Popolo di San Felice in Piazza, che da primo via, e secondo Redi di Lorenzo di Stefano Randegli, terzo l’orto dello Spedale de’ Ridolfi, quarto fosso comune alla detta chasa e l’orto della casa di Madonna Annalena che fu di Baldaccio. La quale casa comperamo da Nicholò d’Antonio d’Agnolo cimatore per insino dell’anno 1433 a dì 16 d’agosto, costò ff. LXXXV, funne roghato Ser Riccho di Domenico Ispinegli notaio fiorentino. La quale chasa appigionasi per due anni, che comiciò la pigione a ddì primo di novenbre 1468 ad Agnolo di Lucha tessitore per pregio di ff. 10 1/4 larghi, funne roghato Ser Francesco di Sino notaio fiorentino. Abisongnami a cchalen di novembre prossimo 1469 torne una pigione per mio abitare perché finisco l’uficio che ò a Volterra e ttorno a Firenze. Una vingnetta di 6 staia 1/2, posta nel Chomune di Chanpi, Popolo di Sa’ Stefano, che dda primo via, secondo Piero del Fontana e frategli, Popolo di Santa
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Maria a Chanpi, terzo Rede di Filipo di Brachazio Rucellai, quarto Bruno del Gruppante; la quale vigna ebbi in baratto da Biagio d’Antono di Barnaba, Popolo di Sa’ Stefano a Chanpi, ch’a llui ne detti una vigna vechia, che liel detti per terra lavoratia, la quale è posta nel Comune di Canpi, la quale vigna vechia acchatastai nel 1457. E di tal baratto ne fu roghato Ser Piero di Ser Andrea Bonci notaio fiorentino [...], alloghata a mezo la sopradetta vingna a Nanciotto di Ciengi, Popolo di Sa’ Lorenzo. Rendemi in parte barili 10 di vino, che ispendo per palare detta vigna £. 5 l’anno. Una chasetta nel Chastello di Chanpi, che da primo via, secondo da Lorenzo Bozzoli e frategli, Popolo di Santa Maria a Chanpi, terzo Giusto del Pociante vinattiere del Popolo di San Martino a Chanpi, quarto Nanni di Checcho d’Angnolo, Popolo di San Martino a Chanpi. La qual chasetta tengho per mio uso di vendemmia, la qual chasa ebbi in baracto da Danniello di Nofri d’Azone, che gliene deti in baratto in vingna che achatastai nel 1457, la quale è posta nel Chomune di Chanpi, era in circha di 7 istaiora, che n’ebbe a rifare indietro f. 12, i quali [...], e di tale contrapatto ne fu roghato Ser Piero di Ser Andrea Bonci, notaio fiorentino, che fu a ddì 25 di novembre 1462. Bocche Iacopo d’Antonio predetto d’età d’anni ________ 32 Monna Nencia mia madre inferma, anni _______ 65 Mea mia donna d’età d’anni ________________ 27 Antonio mio figluolo d’età d’anni ____________ 9 Giovanmaria mio figluolo, mesi______________ 10
11. Catasto 997: Quartiere di Santo Spirito, Gonfalone della Ferza, c. 313r 1480 Iacopo d’Antonio di Giovanni Grassini, sono istato alchuna volta a insegnare d’abacho per le vostre chastella, e oggi non ò luogho; prochaccio d’insegnare in Firenze, se cho[sì] arò luogho, perché non so altro exercizio. Ebbi di Chatasto in mio nome proprio nel 1470 _________________ s. 5 a oro Ebbi di Xesto in detto nome __________________________ s. 16, d. 8 piccioli Sustanze Una chasa per mio habitare posta nel Popolo di San Felice in Piaza nella Via Santa Maria, che da primo via, secondo l’orto dello Spedale de’ Ridolfi, terzo Redi di Lorenzo di Stefano Randegli, quarto fosso comune a ddetta chasa et all’orto d’Annalena fu di Baldaccio. Una vingna di staiora 6 1/2, posta nel Comune di Chanpi, luogho detto Moggione, Popolo di Santo Stefano, Pieve di Chanpi, che da primo via, secondo Piero del Fontana e frategli del Popolo di Santa Maria a Chanpi, terzo Redi di Filippo Rucellai. Vino ________________________________________ Rende in parte barili 8 Una chasetta trista vi tengho un tinetto, posta nel Chastello di Chanpi, che da primo via, secondo Lorenzo Bozoli e frategli, Popolo di Santa Maria, terzo Rede di Giusto Poccianti, Popolo di San Martino a Chanpi, la quale è per mio uso e bisogno.
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Bocche Iacopo detto d’età ____________________________ anni 42 Monna Mea mia donna ________________________ anni 37 Antonio mio figliuolo__________________________ anni 19. Non è mecho; più mesi fa si partì, andosene di fuora e non so dove. Aspettone di lui spesa, e ònne affanno et dolore. Giovanmaria mio figliuolo ______________________ anni 10 Raffaello mio figluolo__________________________ anni 7 Marcho mio figluolo___________________________ anni 5 1/2 Pippa mia figliuola ____________________________ anni 4, nonn à dote
12. Notarile Antecosimiano 2616, cc. 183r-184v 23 ottobre 1487 Item postea, dictis anno Domini nostri Yesu Christi ab eius salutifera incarnatione millesimo quadringentesimo ottuagesimo septimo, indictione sexta, die martis vigesimatertia mensis ottobris. Actum Florentie, in audientia publica [...] iusta Ecclesiam Sancte Marie in Campo de Florentia, in domo solite habitationis, et udientie et residentie [...], presentibus testibus ad hec vocatis, habitis et rogatis presbitero Luca Iohannis Bizechi de Burgo Colline de Casentino, rectore Ecclesie Sancti Laurentii de Monte Isone, florentine Diocesis, et nobili viro Petro olim Masi Geri della Rena, cive florentino Populi Sancti Petri Maioris de Florentia. Certum esse dicitur quod Iacobus Antonii Iohannis, magister abbaci Populi Sancti Felicis in Platea de Florentia sit creditor Domine abbatisse et monialum et Monasterii et Conventi Sancti Martini de Maiano, plebatus Fesulis, fesulane diocesis, in summam et quantitatem florenorum vigintiquinque largorum de auro in auro, solvendorum vigore mutui. Et certum esse dicitur quod dictus Iacobus pro dicta quantitate egit contra dictam Dominam abbatissam et moniales et monasterium de anno presenti MCCCCLXXXVII et de mense iulii dicti anni, vel alio veriori tempore. Et propterea dicta Domina abbatissa dicti Monasterii Sancte Marie de Maiano predicti extitit et extat excomunichata, prout hec et alia plura in actis et per acta Curie fesulane dicitur contineri. Et quod postea dictus Magister Iacobus, ut asseruit, de dicta summa habuit et recepit a dicta abbatissa et monialibus et monasterio et pro dicta abbatissa [...] // dicto Antonio Dominici Martini et pro dicto Domino Antonio a fratre Benedicto, fratre dicti Iacobi et fratre ordinis Sancti Augustini et Ecclesie Sancti Spiritus de Florentia ... florenos duos aureos largos ... . Unde hodie ... quia dicta Domina abbatissa et muniales ... restant debitores dicti Iacobi in summa et quantitate florenorum vigintitrium largorum de auro in auro ... dicta Domina ... et muniales tenent dare et solvere dicto Magistro Iacobo ... / / ... dictam quantitatem florenorum vigintitrium hoc modo videlicet: florenos duos aureos ... per totam diem vigesimam septimam presentis mensis ottobris, et per totum mensem novembris proxime futurum et presentis anni florenos quinque largos ..., per totum mensem decembris ... florenos novem ... . Et de omni residuo quantitatis predicte et ultra predicta, de expensis factis in Curia fesulana et de quinque barilia vino cum dimidio, que dictus Magister Iacobus habuit de vino cuiusdam vinee dicti monasterii, dicta Domina abbatissa et moniales et monasterium teneantur et debeant locare eidem Magistro Iacobo quandam vineam dicti Monasterii, stariorum septem vel circha, positam in Populo Sancti Andree ad Sanctum Dompninum, loco dicto Ronco, cui a I via, a II heredum Nicholai de
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Buonvannis, a III dicte Ecclesie Sancti Andree predicte ... pro quinque annos proxime futuros ... // ... . 1
13. Notarile Antecosimiano 4032, c. 81v 9 febbraio 1488 Procura Item dictis anno [1487], indictione [V] et die [nona mensis februarii]. Actum Florentie in Populo Sancte Marie in Campo de Florentia, presentibus Ser Benedetto Nicholai Nannis notario et Bartolomeo filio ditti Ser Beneditti, testibus etc. Iacobus olim Antonii Grassini [ ] civis florentinus Populi Sancti Felicis in Platea de Florentia omni modo etc. fecit suum procuratorem Franciscum Stephani Giorgi ordinis Sancti Augustini de Florentia ibidem presentem et volentem etc. ... .
14. Decima Repubblicana 6: Quartiere di Santo Spirito, Gonfalone della Ferza, c. 210r [marzo-maggio] 1495 Iacopo d’Antonio di Giovanni Grassini abita al presente fuor della Porta a San Friano, nel Popolo di Santa Maria di Verzaia. La graveza della Schala inchamerata dall’anno 1481 in detto Iacopo disse in detto Ghonfalone. Sustanzie Una chasa cho’ suoi habituri posta nel Popolo di San Felice in Piaza, in Via Santa Maria delle Convertite, che da primo via, sechondo l’orto dello Spedale del Ridolfi, terzo herede di Papi di Stefano di Lorenzo Randegli, quarto un fosso chomune alla detta chasa e al Munistero d’Annalena di Baldaccio. La qual chasa per necessità è appigionata a Stagio di [ ]naccio e per anchora la tiene e attenerala per insino tutto hottobre 1496. Poi, se a Ddio piacerà, vi tornerò io. Ònne l’anno di pigione f. tredici e un terzo larghi di grossoni ___________ f. 13, s. 6, d. 8 a oro larghi di grossoni Al ’32 in Francesco e altri di Ghoro Buglioni, Gonfalone Dragho Santo Spirito, per la metà _________________________________________________________ f. 8 2 Una chasetta posta nel Chastello di Champi, che da primo via, secondo Pagholo d’Antonio Poccianti da Champi, habita nel Popolo di San Martino nel detto Chomune di Champi, terzo Francho di Mechero di Checo d’Angnolo, habita in detto Popolo, quarto Nicholò di Giovanni Bozoli e frategli, habitano nel Popolo di Santa Maria in detto Chomune di Champi. La qual chasetta tengho per mio uso di farvi un pocho di vendemmia e altre mie masserizuole. Al’Estimo Santa Maria Novella n° 30, c. 219 in Monna Francesca d’Antonio, per entrata di f. 1.12. 3 Un pezzuolo di staiora sei e mezo in circha di vingna, posta in Moggione, luogho detto Roncho, Popolo di Santo Stefano a Champi, che chominciai l’anno già taglata 1 Nel Not. Antec. 2616 si trovano altri tre rogiti di M° Iacopo relativi allo stesso debito, due compromessi ad una ratifica, datati 26 giugno, 30 giugno e 30 luglio 1488: cfr. le cc. 325r-326v, 345v-346r. 2 Qui ed in seguito, le parti in corsivo sono postille aggiunte dagli Ufficiali del Catasto e sono riferite alla proprietà elencata immediatamente prima. 3 Si riferisce alla Decima Granducale del 1532 di Francesca di Antonio Grassini, che però non ci è pervenuta.
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circha a uno staioro, che ffo persiero di taglarla tutta da quest’anno in là, perché in mia parte recale da 3 a 4 barili di vino, che le channe mi chostano più che non vale la detta vingna; me la lavora Antonio di Busino da Champi, vocato Tambusino. Al’Estimo Santa Maria Novella n° 30, c. 219 in detta, per entrata di f. 2.12. Le sopradette entrate Prima per la sopradetta chasa appigionata al sopradetto Stagio di [ ]nacci f. 13 1/ 3 larghi di grossi Per la vingna nominata di sopra, barili 3 di vino ______________ barili 3 di vino Incharichi La chasa dove al presente habito fuor della Porta a San Friano nel Popolo di Santa Maria in Verzaia, è di Piero di Giovanni bastiere, che ‘n un ceppo medesimo habita anchor detto Piero bastiere e figli. Do l’anno di pigione per quello che io habito £. trentotto di piccioli. Due palchi tengho a ppigione al Chanto de’ Ricci, che vi tengho isquola d’abbacho. Ne pagho inframenduni grossoni hotto per ciaschuno mese, son di Guido de’ Ricci.
15. Decima Repubblicana 9: Quartiere di Santo Spirito, Gonfalone del Drago, c. 1215r 1495 Piero di Giovanni di Nofri bastiere ... . Una chasa per mio uso abitare posta nel Popolo di Santa Maria di Verzaia, posta nel Seraglio di fuora dela Porta a San Friano ... . Un’altra chasa posta in detto Popolo e luogho detto, da primo via, secondo Charlo di Lazaro malischalcho, 1/3 la Chiesa di Verzaia. Laqual chasa l’ò apigionata a Maestro Iachopo che ‘nsegna l’abacho, e una parte a Charlo di Lazaro malischalcho per pregio di £. 70 fra tutta dua ... .
16. Notarile Antecosimiano 6090, cc. 43r-43v 4 maggio 1495 Locatio Magistri Iacopi Antonii et filii Item postea, eisdem anno [1495], indictione [XIII] et die IIII maii. Actum Florentie, in Populo Sancte Marie Alberighi et in schola abbachi et presentibus testibus videlicet Macteo Francisci Iusti de Arrighis Populi Sancti Felicis in Platea, chardaiuolo, et Ghuasparre Magistri Iacopi Manfredis, chardaiuolo Populi Sancti Fridiani de Florentia. Magister Iacopus olim Antonii Iohannis Grassini, magister abbachi Populi Sancte Marie de Verzaria extra muros, et Marchus eius filius, consensu et presentia et licentia dicti Magistri Iacopi et pro se et eius fratre, locaverunt ad pensionem Rainaldo olim Martini Chacce de Altovitis, Populi Sancti Filicis in Patea, presenti et conducenti pro se et suis heredibus etc., unam domum cum palchis, salis, cameris, volta, cum orto, puteo et cella et aliis suis pertinentiis, positam Florentie in dicto Populo Sancti Filicis in Platea de Florentia, in Via di Baldaccio, cui a I via, a II viridari Hospitalis de Ridolfi, a III heredum Papini Salvi de Randellis, a IIII fosso comune cum dicta domo et mulierum di Baldaccio, infra predictos confines etc., et pro tempore et termino duorum annorum, initiandorum die primo mensis
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novembris proxime futuri 1496, pro pensione quolibet anno florenorum quindecim de sugello. Quam pensionem dictorum duorum annorum dictus Rainaldo dedit et solvit et numeravit dictis locatoribus in grossis et quatrinis ... . // ... . Item declaraverunt dicte partes ad invicem etc. quod cum ipse Rainaldus habuit dictam domum a Stasio de Naccis per totum mensem ottobris proxime futuri 1496, quia pensionarius dictus Stasius dicte domus, quod dictus Rainaldus sit in concordiam de dicta pensione usque in dictum tempus cum dicto Stasio et quod pensio usque ad dictum tempus, videlicet per totum dictum mensem octobris 1496, solvatur dicto Stasio etc.
17. Notarile Antecosimiano 9256, c. 337v 14 novembre 1496 Item postea, dictis anno [1496], indictione [XIIII] et die XIIII mensis novembris. Actum Florentie in Populo Sancti Stefani Abbatie Florentine et presentibus testibus Ser Francesco Angeli Vannis de Pulicano et Ser Iacopo Iohannis Blasii de Prato Veteri, civibus et notariis florentinis. Emptio Iohannemaria filius Magistri Iacobi Antonii Grassini, magistri arismetrice, civis florentinus, ut et tanquam procurator et procuratorio nomine ditti Magistri Iacobi sui patri [...] et de eius mandato sufficienti constat manu mei notarii infrascripti sub die XXVII mensis augusti anno 1495, 1 omni modo etc., per se et suos heredes ... dedit et vendidit Iohanne Francisco olim Iacobi Maffei Berti aromatario, civi florentino, presenti et pro se et nominandi ab eo ementi, infrascripta bona, videlicet: Unum petium terre vineate stariorum septem in circa, positum in Populo Sancti Stefani a Champi, Comitatus Florentie, loco detto Magone, cui a primo via, a II Francesco Romuli sutoris, a III bona Ubertini de Oricellaris, a IIII Leonardi Angeli Bagloni, infra predictos confines etc. ... . Quam venditionem fecit pro pretio florenorum triginta de sugello solvendorum per dittum emptorem ab nominando ab eo infra 45 dies proxime futuros ab hodie etc. ... .
18. Ibidem, c. 180r 30 luglio 1497 Aditio tenute cuiusdam domus Preceptorie Sancti Sepulcri Item postea eisdem anno [1497], indictione [XV] et die XXX mensis iulii. Actum Florentie in Populo Sancti Pieri in Ghattolino, et presentibus testibus Iohanne Antonii Domini Rossi de Giovanninis Populi Sancti Filicis in Platea et Deo Mariotti Angeli, bechario Populi Sancti Ilari a Colombaia, Comunis Florentie. Iohanmaria Iacopi Antonii Grassini Populi Sancti Filicis in Platea de Florentia, sindicus et ut sindacus et procurator Domini Nicholai Simonis Iohannis de Vespuccis, preceptoris Sancti Sepulcri, ut de eius mandato ad quem pluries constare dixit manu Ser Francisci de Monteverdi, civis et notarii florentin sub suo datali, omni modo etc., adivit tenutam unius domus cum suis pertinentiis posita Florentie in dicto Populo Sancti Pieri in Ghactolino in Via que dicitur in Boffio et seu in Via delle Fornaci ... a I dicta via, a II Domine Nanne olim serve Iohannis de Actavantibus, a III Domine Marie Masini de Bardis, infra predictos confines etc ... . 1
L’atto di procura è nello stesso Not. Antec. 9256, c. 292r.
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19. Notarile Antecosimiano 4034, c. 248r 24 ottobre 1502 MCCCCCII, indittione VI Locatio ad pensionem Item dictis anno, indittione, die vero XXIIII mensis ottobris. Actum Florentie in Populo Sancte Felicitatis, presentibus Piero Simonis de Formiconibus, cive florentino Populi Sancti Felicis in Platea de Florentia, Antonio Andree Pieri legnaiuolo et cive florentino Populi Sancti Petri in Gattolino de Florentia, testibus etc. ... . Magister Iacobus quondam Antonii Iohannis Grassini magister arismetrice, civis florentinus Populi Sancti Felicis, per se et suos heredes [...] dedit et locavit ad pensionem prefate Domine Piere [olim Bartholomei Aloysi de Benvenutis], vidue, uxori olim Domini Baldassarris Nicholai olim Iohannis Nicholai de Biliottis de Florentia et Populi Sancte Felicitatis de Florentia, et quolibet in solidum ... infrascripta bona, videlicet: unam domum cum palcis, salis, cameris, volta et cum puteo et orto et aliis suis habituris et hedifitiis, positam Florentie in Populo Sancti Felicis et in via que dicitur la Via di Sancta Maria, cui a I dicta via, a II bona Hospitalis de Rudolfis, a III bona heredum Salvi Randelli, a IIII fosso ... ad habendum etc., pro tempore et termino trium annorum proxime futurorum, incipiendorum die primo mensis novembris proxime futuri presentis anni ... pro pensione quolibet anno annorum predittorum florenorum quattuordecim librarum di grossi, facendum solutionem de sex mensibus in sex menses ratam tangentem ... .
20. Notarile Antecosimiano 3610, cc. 333v-334r 10 agosto 1510 Item postea dittis anno [1510], inditione [13] et die decima mensis agusti. Actum in Populo suprascripto [Sancti Petri in Gattolino] et presentibus Petro Antonii Johannis purgatori et Antonio Michelis testore drapporum ambobus dicti Populi [...]. Domina Francischa Antonii Magistri Iacobi Antonii de Grassinis ... cum consensu suprascripti Dardani Johannis Laurentii linaioli, sui legitimi mundualdi ... cum aceptatione legati sibi Domine fatti per Magistrum Icobum, eius avum paternum, rogati manu mei notarii infrascripti sub suo tempore ... fecit etc. suum procuratorem Matheum Francisci Dominici ad agendum, ad exigendum etc. ... //... .
21. Notarile Antecosimiano 18273, c. 132r 13 ottobre 1510 Mandatum Item postea dictis anno [1510], indictione[XIII] et die tredecim mensis ottobris. Actum Florentie et in Populo Sancti Laurentii de Florentia, presentibus Cristofano Laurentii pizichagnolo et Biancho Brucholi. Magister Marchus Magistri Iacobi dell’abbacho, suo nomine ... fecit suos procuratores Ser Tommasum Pieri Iohannis et Ser Clementem Iacopi de Bernardis et alios notarios apothece ... .
22. Notarile Antecosimiano 3616, cc. 80r-81r 20 marzo 1528
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1527, indictione prima Item postea, dittis anno, indictione, et die XX mensis martii. Actum Florentie et in Populo Sancti Laurentii, et presentibus Raffaello Iacopi torcitore, et Paulo Angioli Poli scultoris, testibus etc., et Simone Iohannis magniano, testibus etc. Domine Bartolomee olim filie Magistri Marci Magistri Iacopi dell’abacho et uxori Francisci Gori Francisci scultoris ... pro suo legitimo mundualdo Dominicum Michaellis [...] ditti Francisci ... dedi ... . Item postea ... . Cumque Domina Magdalena, olim filia Iohannis Leonardi del Gamba et uxor olim et primo Magistri Marci Magistri Iacopi dell’abacho et secundo uxor Gori Francisci scultoris, habuerit quamdam dimidiam domus cum suis habituris, positam in Populo Santi Felicis in Platea et in Via Sancte Marie, infra suos confines, tanquam bona que fuerunt olim dicti Magistri Marci, et per eam acepit in solutum per Iohannem, die ottavo iulii 1524 ... pro dotis suis. Et cum sit quod ... ditta Domina Magdalena fuerit postea secundo data in uxore ditto Goro et tacite dos data primo viro est dote secundo de iure ... . Et cum sit quod dicta Domina Magdalena sit mortua iam sunt plures menses proxime presenti ... . // Et etiam sit quod dictus Gorus habuerit et receperit quoddam creditum Montis ... florenorum 101, s. 19, d. 2 ab ipsa Domina Magdalena pro suis ipsius Gori negotiis facendis, et promiserit ipsi Domine illud restituere prout patet per publicum instrumentum. Et volentes ditti Gorus et Domina Bartolomea et Francischus inter se amichabiliter componere ..., dittus Gorus ... dedit et consignavit etc. ditta[m] dimidiam domus ... // ... . Et quam domum sive dimidiam domus ... convenerunt etc. quod ipsa sit et stare debere pro dote ipsius Domine Bartolomee, data ipsi Francisci eius viro ... preditto ... .
23. Decima Granducale 5237: Estimo di Santa Maria Novella, c. 516v 1536 Santa Maria Novella, Popolo di Santo Stefano a Campi Monna Francesca vedova donna fu d’Antonio da Milano, habita alla Porta al Prato, alla Decima a c. 219 in detta di n° 30. 1 Una casetta posta nel Castello di Campi che da primo via, a 2° Pagholo d’Antonio Poccianti, a 3° Messer Chodichecco, quale è per decima s. 2. 8 larghi _____________________________________________________ s. 2. 8 larghi Uno pezo di terra lavoratia di staiora 7 in circa, luogo detto Ronco in Moggione, che a primo via, a 2° Francesco di Girolamo Rucellai, e più veri confini, quale è per Decima di s. 4. 4 larghi _______________________________ s. 4. 4 larghi
Appendice 3 Documenti sui Bonini 1. Notarile Antecosimiano 7222, c. 250r. 22 aprile 1468 Item postea dictis anno [MCCCCLXVIII], indictione [prima] et die XXII aprilis. Actum in Civitate Florentie et in Populo Sancti Romuli de Florentia, presentibus testibus Francisco Antonii Marci Populi Felicis in Platea de Florentia et presbitero 1
Cfr. la nota 3 a p. 195.
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Iuliano Dominici cappellano in Sancta Lucia de’ Magnolis de Florentia. Pateat omnibus evidenter quod Donatus olim Pauli Mathie legnaiuolus Populi Sancte Lucie Omnium Sanctorum de Florentia ... vendidit et tradidit nobili viro Iohanne olim Cennis de Ugolinis civi florentino ... unam domum ... positam in Populo Sancte Lucie Omnium Sanctorum ... . Et insuper promisit dictus venditor dicto emptori recipienti et stipulanti ... quod Pierus Pucci Bonini, barbitonsor Populi Sancte Trinitatis de Florentia, alias Magister Pierus, stabit fideiussor pro eo ... .
2. Notarile Antecosimiano 6081, c. 184v 26 gennaio 1477 Emancipatio Laurentii Magistri Pieri barbitonsoris Item postea eisdem anno [1476], indictione [nona] et die XXVI ianuarii. Actum Florentie in Populo Sancte Trinitatis, et presentibus testibus Andrea Antonii Andree, legnaiuolo Populi Sancti Pieri Maioris de Florentia et Filippo Francisci Nannis Nuti, fabbro Populi Sancti Nicholai Ultra Arnum. Laurentius Magistri Pieri Pucci Bonini, barbitonsor Populi Sancte Trinitatis, constitutus coram dicto Magistro Piero eius patre, et in presentia suprascriptorum testium et mei Iohannis notarii infrascripti, humiliter petiit a dicto Magistro Piero eius patre, potestatis nexibus nihili liberari. Quo audito dictus Magister Pierus eidem Laurentio, ut iusto et humiliter petenti audiens, eundem Laurentium ibidem presentem et emancipationem petentem, emancipavit et a sacre sue patrie potestatis nexibus liberavit ad hoc ut ipse Laurentius suo proprio iure possit deinceps contrahere, textare et omnes contractus facere et alteri se obligare ... .
3. Notarile Antecosimiano 6082, cc. 32r-33r 7 novembre 1477 Emptio Laurentii Magistri Pieri Item postea eisdem anno [1477], indictione [X] et die VII mensis novembris. Actum Florentie, presentibus testibus videlicet Simone Becti del Basso, laboratore Populi Sancte Marie de Lamole, Comunis Ghanghalandi, et Piero Masi Simoncioni vochato Palanchino, Populi Sancti Fridiani. Simon olim Mactei Francisci de Forestanis, laborator terrarum // Populi Sancte Marie a Llamole, Comunis Ghanghalandi Plebatus Santi Ypoliti, omni meliori modo ..., pro se et suis heredibus et pro et vice et nomine Iuliani, Pieri, Sanctis, Iohannis et seu Nannis, eius filiis, pro quibus et quolibet eorum de rato promisit quod ratificabunt presentem contractum venditionis quando erunt legitime etatis annorum decemocto ... vendidit ... Laurentio Magistri Pieri Pucci barbitonsori Populi Sancte Trinitatis de Florentia ... infrascripta bona, cum pacto quod dicta bona sint oblighata et ypothecata Domine Pippe, uxori dicti Lurentii, pro eius dotibus: Petium unum terre stariorum decem vel circha ... positum in Comitatu Florentie ... in Populo Sancte Marie a Llamole, loco dicto Pozo alla Fontanella ... . Item unum alium petium terre, positum in dicto Comune ... loco dicto alla Costa et seu alla Valle, stariorum sex vel circha ... . Item unum alium petium terre, positum in loco dicto alle Panteraie et seu a’ Magliuoli Vechi, stariorum otto vel circha ... // ... .
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4. Ibidem, cc. 56r-56v 26 marzo 1478 Emptio Laurentii Magistri Pieri In Dei nomine amen, anno Domini ab eius salutifera incarnatione millesimo quatuorcentesimo septuagesimo ottavo, indictione [XI] et die XXVI mensis martii. Actum Florentie in Populo Sancte Trinitatis et presentibus testibus videlicet Ser Pieri Benedicti presbitero dicti Populi et Ciolo Michaelis Cioli, scharpellatore Populi Sancte Marie e Ssettignano. Antonius olim Masi Bindi del Mozeiana, vetturale de Nuovoli, Populi Sancti Pieri in Selva Comunis Ghanghalandi, omni modo etc. pro se et suis heredibus, vice et nomine Bartolomei sui filii ... vendidit et concessit Laurentio Magistri Pieri Pucci, barbitonsori Populi Sancte Trinitatis de Florentia, presenti et ementi pro se et suos heredes, infrascripta bona: Stariora XVI et panora septem ad chordam terre boschate, posite in Comitatu Florentie, in Comuni Ghanghalandi et in Populo Sancti Pieri in Selva et loco detto al Rio di Seralingho // ... . Et hoc fecit dictus venditor pro pretio ... florenorum tredecim largorum, s. 15, d. 6, et que quantitas dixit dictus emptor solvisse de propria pecunia dotis sue uxoris ... .
5. Catasto 1017: Quartiere di San Giovanni, Gonfalone del Leon d’Oro, c. 357r 1480 Monna Piera figliuola di Maestro Piero di Puccio Bonini da Castel Castagnaio et donna di Donato di Paolo legnaiolo di Castel San Nicholò di Chasentino. Non ebi mai graveza né in Firenze né in Contado. Sustanze Una chasetta co’ sua habituri posta nel Popolo di San Lorenzo di Firenze e nella Via della Romita, la quale comperai dalle Rede di Maso delle Bombarde della dote mia, già sono anni XI in circha, cioè dell’anno 1469, e del mese di maggio, carta per mano di Ser Nicholò Ferrini, notaio fiorentino, la quale tengho per mio habitare, la quale casa è confinata da primo via, sechondo Rede di Lionardo di Federigo barbiere per pregio di f. 56 di sugello. Boche Monna Piera detta d’età d’anno_______ 38 Donato di Paolo d’età d’anni _________ 50 Pagolo suo figliuolo d’età d’anni ______ 9
6. Notarile Antecosimiano 6084, c. 27r 13 novembre 1482 Item postea eisdem anno [1482], indictione [XV] et die XIII mensis novembris. Actum Florentie in Curia Mercantie et presentibus testibus Ser Giorgio Ser Santis, et Ser Bernardo Pieri Bernardi de Baronibus. Jeronimus Francisci Donati Ugolini de Bonsis, Populi Sancti Fridiani de Florentia ... vendidit quandam eius domum cum apotecha posita in via que dicitur tra’ Ferravechi ... Magistro Laurentio Magistri Pieri Pucci ... .
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7. Ibidem, cc. 36v-37r 30 dicembre 1482 Testamentum Magistri Laurentii barbitonsoris. Revocatum per aliud testamentum manu Ser Pieri de Orlandis. Idem postea, eisdem anno [1482], indictione [XV] et die XXX decembris. Actum Florentie in Populo Sancti Laurentii et presentibus testibus videlicet Andrea Antonii Salimbeni sartore Populi Sancti Fridiani, Francisco Antonii Dominici Pauli Savelli variario Populi Sancti Felicis in Platea, Francisco Antonii Chechi Bonamenti fornario Populi Sancti Laurentii, Miniato Tinghi Bartolomei cartolario, Bartolomeo Antonii Dominici legnaiuolo, Paulo Benedicti Bernardi Morelli aromatario, et Simone Bartolomei Iohannis Faldossi de Ancisa fornario, omnibus dicti Populi Sancti Laurentii. Quoniam nihil est certius mortis, nihil est incertius ora mortis, hinc est quod nobilis vir Magister Laurentius Magistri Pieri Pucci, barbitonsor dicti Populi Sancti Laurentii, filius emancipatus dicti Magistri Pieri ... nolens intestatus decedere et volens de suis bonis et iuribus presentibus et futuris, providere per hoc testamentum quod dicitur sine scriptis, prochuravit et fecit hoc modo, videlicet. Imprimis ... sepulturam sui corporis elegit et esse voluit in sepultura et ubi videbitur eius uxori si tunc ipsam viveret sui aut ubi at in quo loco videbitur et placebit infrascripto Paulo ... // ... . Item reliquit et legavit Domine Pippe, eius uxori, dictam usufructuariam, tota tempore vite sue, videlicet dicte Domine Pippe, omnium et singulorum suorum bonorum tam mobilium quam immobilium, ubicunque existentium ... . In omnibus autem suis bonis mobilibus et immobilibus, iuribus et actionibus presentibus et futuris dicti testatoris, sibi heredes instituit, fecit et esse voluit suos filios maschulos, tam natos quam nascituros videlicet dicti testatoris, equis portionibus. Cum hoc quod si decederet sine filiis, tunc sibi heredes substituit eius filias feminas equis portionibus; et secuta eorum et seu earum morte, tunc sibi heredes substituit et esse voluit Paulum, eius fratrem carnalem, et filium dicti Magistri Pieri, et eius filios maschulos per lineam maschulinam ... .
8. Ibidem, c. 129r 30 ottobre 1483 Item postea eisdem anno [1483], indictione [prima] et die XXX mensis ottobris. Actum Florentie in Arte Oliandorum, et presentibus testibus Ughuccione Ghinozzi de Pazzis et Pierantonio Donatis de Fiorellis, Populi Sancti Fridiani. Magister Laurentius Magistri Pieri Pucci, barbitonsor emancipatus etc. ... locavit ad pensionem Francischo olim Antonii Chechi Bonamentis fornario ... unam domum cum apotheca olim acta ad barberiam et hodie acta ad biadaiuolum, cum palchis, salis, chameris ... positam Florentie super Plateam Madonne ... .
9. Notarile Antecosimiano 5047, cc. 60r-61r 17 settembre 1487 In Dei nomine amen. Anno Domini 1487, die XVII mensis septembris. Actum Florentie, in Populo Sancti Donati inter Vechiettis, et presentibus testibus [ ]. Magister Laurentius, filius Magistri Petri Puccii barbitonsoris ..., ex una, et Magister Marchus, filius Magistri Petri Puccii et frater carnalis dicti Magistri Lau-
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rentii ..., ex alia, ... omnes ipsorum lites et differentia remiserunt ... in venerabilem religiosum Dominum Bartholomeum Mattei de Soderinis, dignissimum priorem Sancti Fridiani ... . In Dei nomine amen. Nos Bartholomeus Matthei de Soderinis ... // ... laudamus, sententiamus et arbitramus videlicet: Imprimis, namque, cum nobis constet, ... dictum Magistrum Laurentium fuisse et esse ... debitorem dicti Magistri Marci ... de summa florenorum nonaginta auri de sigillo ... damus et adiudicamus in solutum ... pro dicta quantitate florenorum 90 de sigillo dicto Magistro Marco ... infrascripta bona, videlicet: Imprimis unum petium terre stariorum decem vel circha ad chordam, vineate, boschate, olivate et prative, posite in Comitatu Florentie et in Comune Ghanghalandi et in Populo Sancti Michaelis a Lamole, loco dicto Pozo alla Fontanella ... . Item unum petium terre posite in dicto Comune, loco detto alla Chosta overo alla Valle, stariorum sex, olivate et boschate ... . // Item unum petium terre vineate et boschate ... positum in dicto Populo et loco detto alle Pateraie, vel a’ Magniuoli Vecchi, stariorum octo vel circha ... . Item unum petrium terre boschate stariorum XVIII ... positum in in Comune Ghanghalandi et in Populo Sancti Petri in Silva, loco detto al Rio de Seralugho ... . Item unum petium terre lavoratie, olivate et boschate stariorum X vel circha, positum in dicto Populo, loco detto alla Chosa ... .1
10. Diplomatico, normali, Ospedale di Santa Maria Nuova 15 aprile 1488 In Dei nomine amen. Anno Domini nostri Ieshu Cristi eb eius salutiferea incarnatione millesimo quadringentesimo octuagesimo octavo, indictione sexta, die quintadecimo mensis aprilis. Actum Florentie in Populo Sancte Trinitatis, in domo infrascripti testatoris, presentibus testibus ad infrascripta proprio hore infrascripti testatoris vocatis, habitis et rogatis, videlicet Antonio Pagni Neri, fabro Populi Sancti Felicis in Piaza de Florentia, Bernardo Iacobi Iusti hospitatore al Chammello dicti Populi Sancte Trinitatis de Florentia, Bernardo Stephani Rosselli pictore Populi Sancti Marci de Florentia, Iohanne Zanobi Antonii barbitonsore Populi Sancti Michaelis Vicedominorum de Florentia, Piero Dominici Leonardi legnaiuolo Populi Sancti Pieri Ghattolini de Florentia, Iohanne Benedicti Pieri legnaiuolo Populi Sancte Marie in Verzaia extra muros, Simone Nicholai Antoniii fabro Populi Sancti Georgii de Florentia. Cum nihil sit certius morte nihiloque incertius die et hora mortis ... Magister Pierus Pucci Bonini barbitonsor Populi Sancte Trinitatis de Florentia ... de suis bonis per hoc nuncupativum testamentum, quod dicitur sine scriptis, in hunc modum facere procurabit et fecit et procurat ... . Item, iure legati, reliquit et legavit et voluit quod certe eius filie femine et maxime Andrea, filia femina dicti testatoris hodie inupta, nutriatur et alimentetur per infrascriptos filios et heredes dicti testatoris, insimul cum Domina Caterina uxore dicti testatoris et eisdem filiabus alimenta condecentia, vitus et vestitus tribuantur usque quo nubent et maritabuntur, et eisdem dari voluit per dictos suos filios et heredes et quilibet ipsarum tempore nuptus florenos centum pro earum et cuilibet earum dotibus. Et ad sic 1 In un’altra filza dello stesso notaio si trova il relativo “Compromissum inter fratres”, sempre del 17 settembre 1487: ASF, Not. Antec. 5052, cc. 36r-36v.
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faciendum dictos suos filios obligavit, cum hoc tamen salvo quod ad nihilum suprascriptorum teneatur et obligatus sit Magister Laurentius eius filius etc. In omnibus autem aliis suis bonis etc., suos heredes universales instituit, fecit et esse voluit: Magistrum Laurentium Magistrum Marchum Benedictum Paulum Mattiam, eius filios legitimos et naturales equis portionibus etc. ... . Ego Iohannes Ser Lodovici Giannuzzi, notarius florentinus ... scripsi et publicavi et per me cum meo signo subscripsi.
11. Notarile Antecosimiano 6087, c. 154r 20 ottobre 1488 Locatio Magistri Laurentii barbitonsoris Item postea eisdem anno [1488], indictione [VI] et die XX mensis ottobris. Actum Florentie in Populo Sancti Tommasi et presentibus testibus, videlicet Francisco Bernardi Nicholai de Charduccis et Iohanbatista Lapi sartoris. Magister Laurentius olim Magistri Pieri Pucci, barbitonsor Populi Sancti Lurentii ... locavit ad pensionem Lotto olim Francisci Lotti, righatterio Populi Sancte Matie Supra Arnum et Sandro olim Mattei Pieri Giovannini, righatterio Populi Sanci Iacobi in Champo Corbolino, partem superiorem unius domus posite in Via seu Platea Sancti Donati inter Vechiettis, cum entrata parte posteriori, cum puteo comuni et cum residuo dicte domi superiori, infra suos confines ... .
12. Notarile Antecosimiano 6088, cc. 20v-21r 23 settembre 1490 Emptio sepulture Magistri Laurentii barbitonsoris Item postea eisdem anno [1490], indictione [8] et die XXIII mensis septembris. Actum Florentie, in Arte Oliandorum et presentibus testibus Ser Bernardo Pieri de Baronibus et Iohanfrancisco Iacobi Pieri, famulo dicte artis. Don Angelus olim Fruosini Iohannis Fruosini, monachus ordinis chamal // dulensis et ad presens chappellanus in Plebe Sancte Marie Vichi Pisani, Episcopati pisani, omni modo etc., per se et suos heredes etc., iure proprio et in perpetuum, dedit et vendidit Magistro Laurentio Magistri Pieri Pucci, barbitonsori Populi Sancti Laurentii de Florentia, presenti et ementi per se et suos heredes etc., unam sepulturam sive tumulum positam in Sanctam Mariam del Fiore de Florentia, schontra chanonicham, que sepultura olim fuit Prioris Chelis et filiorum, scholpita in muro Ecclesie Sancte Marie del Fiore ... et pro pretio librarum unius, quam quantitatem fuit confessus habuisse, et illud plus quod valeret eidem donavit titulo donationis etc. ... .
13. Decima Repubblicana 39, Cittadini a Parte: Quartiere di Santa Maria Novella, Gonfalone dell’Unicorno, c. 117r 1495 Quartiere di Santa Maria Novella, Gonfalone Liocorno
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Maestro Marcho et Benedetto, fratelli et figliuoli di M° Piero barbiere in sul canto di Santa Trinita et nel Popolo di Santa Trinita, in sul qual chanto loro e detto loro padre hanno fatta l’arte tanto tempo che non è memoria, in contrario non à auto graveza né in Firenze né in Chontado. Sustanze Una chasa posta in Gualfonda nel Popolo di Santa Maria Novella, la quale ho murata di nuovo, comperai el terreno da San Michele Berteldi l’anno 1491 per f. 20 larghi in oro ... òlla apigionata a Ridolfo di Domenicho di Cresci per anni 3 ... . Una chasa da lavoratore con uno pezo di terra lavoratia e ulivata e vignata e boschata di staiora 30 in circa a chorda cho’ suoi vochaboli e chonfini, posta nel Popolo di Santa Maria a Lamole, Contado di Firenze, luogho detto Seralingo ... . Comprala f. 90 di sugello da M° Lorenzo di M° Piero barbiere mio frattello ... . Un pezo di vigna di staiora 6 in circha posta nel Popolo di Santa Maria a Peretola, luogo detto al Gorgho, fra sua vocaboli et confini, rimaseci della heredità di M° Guglielmo nostro fratello dell’anno 1476 ... . Una presa di terra lavoratia, vignata, in tutto di staiora X e mezo a chorda in tre pezi, posta nel Piviere di Settimo, luogho detto all’Albereto, fra loro vocaboli e confini, el quale ebbe in dota Benedetto soprascritto per la valuta di f. 88 di sugello ... l’anno 1488 ... . Incharichi Tegniamo a pigione una chasa in sul canto di Santa Trinita la quale abbiamo tenuta sempre a pigone da’ frati di Santa Trinita; diamone l’anno di pigione f. 24 et una ocha ... .
14. Notarile Antecosimiano 15664, cc. 104r-104v 24 dicembre 1500 Compromissum Die mercurii XXIIII mensis decembris 1500, indictione IIII Egregius artis medicine doctor Magister Eufrosinus quondam Magistri Laurentii Magistri Pieri, eius proprio et privato nomine et pro et vice et nomine Gasparis et Piermarie, fratrum suorum et filiorum quondam dicti Magistri Laurentii et heredum pro quarta parte ex testamento dicti olim Magistri Laurentii, quam hereditatem ad cautelam dicti Magistri Eufrosini adivit et prendidit ex testamento predicto ... // ..., ex parte una. Et Boninus, eius frater et filius dicti Magistri Laurentii eius patris, pro alia quarta parte ex testamento predicto, et quam adivit ex dictis modis et nominibus, ex alia, et omni meliori modo etc., generaliter omnes et singulas eorum lites commiserunt et compromiserunt etc. im providos et discretos viros Michaelem Bernabe aromatarium d’emporio, habitatore Florentie in Populo Sancti Laurentii de Florentia, et Aloisium Salamonis del Garbo aromatarium Populi Sancti Romoli, et Bartholomeum Simonis Mathei Cini, tanquam in eorum arbitros ... . Actum in Populo Sancti Christofori dal Chorso, presentibus Piero Andree Benedicti, Populi Sancti Laurentii de Fllorentia, et Sandro Becti Stephani, Monasterii Populi Sancte Marie Nove de Florentia, testibus etc. 1 1
Lo stesso rogito si trova anche nel Not. Antec. 15667, c.n.n.
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15. Notarile Antecosimiano 18269, cc. 70r-72r 31 marzo 1501 In Dei nomine amen. Nos Dominus Carolus olim Domini Angeli olim Nicholinis, legum doctor et advocatus florentinus, et Clemens olim Cipriani de Ser Nigi, civis et mercator florentinus, arbitri et arbitratores ... electi et deputati a Ser Rosso olim Francisci Iohannis Rossi, cive et notario florentino ... et ut heres ab intestato pro una dimidia olim Iohannis eius fratris carnalis ..., ex parte una, ac etiam a Bartholomeo olim Simonis Mathie Cini cive florentino, procuratore et procuratorio nomine Magistri Eufrosini olim Magistri Laurentii Magistri Pieri, constitutus ab eo eius nomine proprio et ut et tanquam herede pro una quarta parte dicti olim Magistri Laurentii, eius patris; ac etiam a dicto Bartholomeo, pro et vice et nomine Guasparis et Piermarie, fratrum et filiorum et heredum quilibet ipsorum pro una quarta parte dicti olim Magistri Laurentii, eius patris ...; ac etiam a Bonino, filio olim Magistri Laurentii ... // ..., volentes dictes partes iustitiam mediante componere ..., Dei nomine reposito, pro tribunali sedentes ad cautelam in infrascripto loco quem elegimus etc., omni meliori modo inter dictas partes, dictis modis et nominibus [...] laudamus etc. in hunc qui sequitur modum et formam, videlicet: Imprimis, cum inveniamus et nobis constet qualiter Magister Laurentius olim Magistri Pieri Pucci, pater dictis Magistri Eufrosini et eius fratrum, de anno Domini MCCCCLXXXXVII, et de mense iulii dicti anni, seu alio tempore veriori, recognovit se fuisse et esse verum et legitimum debitorem dictorum fratrum et heredum dicti olim Iohannis Francisci Rossi et causis et occasionibus cuiusdam apotece et societatis in apotheca aromatarii factam per dictum Magistrum Laurentium et Iohannem, dum vivevant, et aliis rationibus et causis, de quibus in dicta recognitione debiti preditti continetur et fit mentio, de summis et quantitate librarum millequadrigentorum triginta quinque, videlicet librarum 1435 ... . Item cum inveniamus ... dictum Ser Rosso ... fuisse et esse solutum et satisfactum in pluribus vicibus de infrascriptis summis et quantitatibus de quibus infra continetur et fit mentio, videlicet ...: Primo de summa et quantitate ... £. 237, s. 11, d. 2 ... Item de summa et quantitate .... £. 500 ... Item de summa et quantitate ... £. 268 ... // Item de summa et quantitate librarum quinque ... Item de summa et quantitate ... £. 5, s. 13 ... Item de summa et quantitate ... £. 13, s. 8 ... . Item, cum inveniamus dictus Ser Rosso de dictis suprascriptis summis et quantitatibus ... dictarum librarum 1435 ... restare verum et legitimum creditorem dictorum filiorum et heredum ditti Magistri Laurentii de summa et quantitate ... £. 405, s. 7, d. 10 ... condemnamus ... dictum Boninum ad solvendum dictam summam et quantitatem librarum 405, s. 7, d. 10 ... hoc modo et forma, videlicet et non alias: Quolibet mense ducatos duos de auro in auro largos, videlicet £. 14 florenorum parvorum ... // (c. 72r) ... . Latum, datum ... de anno Domini 1501 et die ultima mensis martii, indictione quarta ... in domo habitationis dicti Domini Caroli olim Nicholini, posita Florentie in Populo Sancti Procoli de Florentia et presentibus Matheo olim Benardini Domini Octonis, legum doctoris et Domino Mathio olim [ ] olim Landinis ... .
16. Notarile Antecosimiano 5407, cc. 173r-173v 28 gennaio 1510
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In Dei nomine amen. Anno Domini nostri Iesu Christi, ab eius salutifera incarnatione MCCCCCVIIII, indictione XIII er die XXVIII mensis ianuarii dicti anni. Actum in camera infrascripti Reverendissimi Domini Archiepiscopi, presentibus etc. Ser Andrea Banci dell’abacho, 1 cive et notario florentino, et Ventura Petri Pauli de Gharghonsa [...]. Pateat omnibus evidenter qualiter Domina Pippa vidua, filia olim Fruosini Iohannis Fruosini et uxor olim Magistri Laurentii Magistri Petri Bonini de Florentia petiit et in suum mundualdum [...] Petrum Paulum Michaelis Blaxii [...]. Item postea, dictis anno, indictione et die ... . Prefata Domina Pippa, cum consensu predicto ... certificata de importantia presenti contractus ... suo nomine proprio st vice et nomine Piermarie, eius et dicti olim Magistri Laurentii filii, pro quo de rato promisit ... et Boninus filius dicti olim Magistri Laurentii, suo nomine proprio et ut filius et coniuncta persona dicti Piermarie ... et Magister Fruosinus, filius dicti olim Magistri Laurentii, pro se et suos heredes, ex parte una, et [...] Nicolaus filius emancipatus Dominici Marsilii de Salutatis, maior XXV annorum ut dixit, pro se et suos heredes, ex parte alia, generaliter etc. omnes eorum lites compromiserunt in Reverendissimum ... Dominum Cosmum de Paccis, Dei et Apostolice Sedis gratia Archiepiscopum florentinum, presentem etc., tanquam in dictarum partium // arbitrum et arbitratorem ... .
17. Ibidem, cc. 213r-215v 28 febbraio 1510 In Dei nomine amen. Nos Cosmus de Paccis ... Archiepiscopus florentinus, arbiter et arbitrator et admirabilis compositor electus et absuntus ... pronuntiamus, sententiamus et arbitramur ... . //(c. 214r) In primis, cum reperiamus et nobis constet dictum Magistrum Laurentium confessum fuisse recepisse pro dote dicte Domine Pippe, uxore sua, florenos 260 auri, et post dictam confessatam dotem decessisse, relictis post se superviventibus prenominatis Magistro Eufrosino, Bonino, Piermaria et Ghaspare, eius filiis, et successive fuisse latum laudum inter dictos fratres per certos arbitros et arbitratores ... et fuisse declaratum inter cetera dictos prenominatos filios dicti Magistri Laurentii teneri et obligatos esse dotari de bonis hereditariis Leonardam eorum sororem de florenis ducentis largis de grossis. Et post modum dictum Ghasparem transtulisse in dictum laudum omnia iura sibi competentia in bonis paternis, pro dote et seu principio dotis dicte Leonarde. Et post predicta, mortum esse et decessisse dictum Ghasparem, relictis post se et superviventibus dictis eius fratribus et Lionarda eius sorore. Et stantibus premissis, omnem portionem tangentem dictum Ghasparem in hereditate dicti olim Laurentiii, patris sui, ultra dictos florenos ducentos largos de grossis, spectare et pertinere dicte et ad dictam Leonardam. Et postea dictam Leonardam iura sua predicta tam dictorum florenorum 200 largorum de grossis quam sibi quesita virtute dicte donationis transulisse in personam dicti Magistri Eufrosini, fratris sui, et ortam esse exinde differentiam inter dictos fratres et Dominam Pippam, eorum matrem, ex 1 Il notaio Ser Andrea di Banco era figlio del maestro d’abaco Banco di Piero Banchi: cfr. in proposito E. Ulivi, Benedetto da Firenze, cit., pp. 43-45, 53, 198, 204-205. In questa Appendice 3, i documenti 18, 19 e 21 sono contratti rogati da Ser Andrea, le cui filze si conservano all’Archivio di Stato di Firenze, nel Notarile Antecosimiano 1-18.
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causis suprascriptis, nos volumus ut supra partes ad concordiam reducere et lites terminare, dicimus et declaramus dictos filios dicti Magistri Laurentii et ipsius heredes pro equali portione teneri et obligatos esse solvere, et eos ad solvendum condemnamus dicte Domine Pippe // eorum matri dotes per dictum Magistrum Laurentium legittime confessatas ... in termino duorum mensium proxime futurorum ab hodie ... et ita ipsos condemnamus ... . Item declaramus de dicta hereditate et bonis hereditariis dicti olim Magistri Laurentii, ultra premissas dotes dicte Domine Pippe, debeant extraheri floreni ducenti largi de grossis pro dote dicte Leonarde, filie dicti olim Magistri Laurentii ... qui floreni 200 largi de grossi debeant consignari marito dicte Leonarde per manuum dicti Magistri Eufrosini ... . // Item, salvis premissis super per nos, laudamus, factis detractionibus dotium predictarum de dicta hereditate dicti olim Magistri Laurentii, dicimus et declaramus quartam partem dicte hereditatis pertinere et spectare ad dictum Boninum, et aliam quartam partem ad dictum Piermariam, et residuum licet medietatem dicte hereditatis ... ad dictum Magistrum Eufrosinum ... . Item, condemnamus dictum Magistrum Eufrosinum ad dandum et solvendum dicte Leonarde, eius sorori, sive eius viro, pro dote ... florenos 200 largos de grossis ... . In ceteris vero remittimus ... ad laudum latum inter dictas partes de anno Domini 1500 [ ] et die XXV mensis martii dicti anni ... . // Latum die 28 februarii 1509 in camera dicte Reverendissimi Domini ... .
18. Notarile Antecosimiano 5, cc. 151r-151v 23 maggio 1510 Die 23 maii 1510, indictione XIII Donatio causa mortis facta filio per matrem Domina Pippa vidua, filia olim Fruosini Iohannis Fruosini, fabri, et uxor olim Magistri Laurentii Magistri Petri, barbitonsoris, cum consensu Iacobi Luce Francisci, forbiciarii Populi Sancte Marie Novelle de Florentia, sui legitimi mundualdi ... post eius mortem dabit et donavit etc. Bonino et Petro Maria eius filiis legitimis et naturalibus, presente dicto Bonino et mihi notario infrascripto, ... omnia sua bona mobilia et immobilia presentia et futura ... // ... . Actum Florentie, in Populo Sancte Marie Floris de Florentia, in domo habitationis mei notarii ... .
19. Notarile Antecosimiano 6, cc. 114r-114v 29 dicembre 1512 Die 29 decembris 1512, indictione prima Compromissum Guido Cini Guidonis, linaiuolus Populi Sancti Michaellis Vicedominorum de Florentia, et Marchus eius filius ..., ex parte una, et Petrus Maria Magistri Laurentii Magistri Petri de Boninis civis florentinus, ex parte alia, omnium eorum lites ... compromiserunt in providum virum Onifarum Alexandri de Bellaccis, civem florentinum, tanquam dictarum partium arbitrum etc. ... // ... .
20. Notarile Antecosimiano 9, cc. 183v-185r 6 agosto 1519 Die 6 augusti 1519, indictione VII
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Marchus olim Marci [...] de Bindis civis florentinus, procurator et procuratorio nomine Laurentii olim Johannis de Baldis civis florentini ... locaverunt Bonino Magistri Laurentii, aromatario, ... unam apothecam ad presens ad usum aromatarii, positam Florentie prope angulum de Pechoris vulgariter dicto “lo spetiale de’ Pechori”, pro tempore annorum quinque ... // (c. 185r) ... . Actum Florentie in Populo Sancti Laurentii ... .
21. Notarile Antecosimiano 5427, inserto n° 52 2 marzo 1525 In Dei nomine amen. Anno Domini nostri Iesu Christi ab eius salutifera incarnatione MDXXIIII, indictione XIII et die secundo mensis martiii. Actum in Cancelleria Officialium Turris et presentibus Berto Ghini famulo rotellini, et Antonio Filippi famulo dictorum officialium. Venditio Pateat omnibus evidenter qualiter spectabilis vir Franciscus Bartolomei del Giocondo, civis mercator florentinus, suo nomine proprio et ut pater et legitimus administrator Bartolomei, Pieri et Andree, eius filiorum ... promisit quod infra XV dies proximos ab hoc die ratificabunt omnia infrascripta et se in solidum oblabuntur ad defensionem generalem infrascriptorum bonorum infra vendendorum ... // Piermarie Magistri Laurentii de Boninis civi florentino presenti pro se et omnibus heredibus et successoribus recipienti et ementi, infrascrittas partes infrascritte domus posita in Populo Sancti Felicis in Platea, in via magistra, cui toti domus a primo dicta strata, a II Angeli Francisci de Bugliafa, a III Andree Ser Mattei de Castruccis infra predictos confines, videlicet: La sala terrena e camera terrena nella quale si entra per detta sala con uno stanzino overo chiusino co’ le sue appartenenze, e la sala, camera e anticamera sopra il primo palco e sopra la sala, camera e stanzino terreno e anticamera terrena, e la volta sotto la camera e anticamera terrena e la volta sotto la camera e anticamera, e la terza parte dell’orto drieto alla detta casa e a presso a detta casa cioè la prima parte, che l’uscio della chasa, andito di detta casa, viottolo e truogolo e sala a chomune ... . Et predictam venditionem et omnia et singula suprascripta fecit prefatus Franciscus pro pretio et nomine veri et iusti pretii declarandi per Cosmum Petri, legnarium, et Antonium Tommasii, legnarium, ambos in concordia ... . Et de quo quidem pretio declarando ut supra, prefatus Piermaria promisit dicto Francisco ... solvere cum effectu ... florenos centum largos de auro in auro infra XV dies proximos futuros ... .
22. Notarile Antecosimiano 5413, cc. 288r-288v 7 marzo 1525 Laudum In Dei nomine amen. Nos Cosmus Petri et Antonius Tomasii lignarii et ad presens caput magister Officialium Turris Civitatis Florentie, arbitri et arbitratores etc. electi et absumpti per compromissum a Francisco Bartolomei de Giocondo modo et nominibus in compromisso ipsius, ex parte una, et a Piermaria olim Magistri Lurentii de Boninis ... ex parte alia ... viso et cognito dicto compromisso ... .
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Imprima, conciosiacosa che noi troviamo essere lite e differentia infra lle dette parte del pregio di una parte di casa venduta per detto Francesco Giocondi a detto Piermaria Bonini per il prezzo da dichiararsi, come di tutto appare carta per mano di Ser Lorenzo Cioli notaio fiorentino, del presente mese di marzo o altro più vero tempo. Et veduto, oculata fide, e beni venduti et quelli misurati et bene examinati et le ditte parti udito tutto quello hanno volsuto dire intorno ad ciò per questo nostro presente lodo, sentenza, arbitrio e arbitramento, dichiariamo il prezzo di detta parte di casa venduta per detto Francesco al detto Piermaria ascendere alla somma e quantità di fiorini centoquatordici larghi d’oro in oro ... // ... . Lata, data in audientia Officialium Turris die VII mensis martii anni Domini MDXXIIII, presentibus Taddeo Bernardi de Antilla et Piero [...]. 1
23. Decima Repubblicana 211: Arroti del 1529/30: Quartiere di San Giovanni, Gonfalone del Drago, c. 29r, n° 121 1° marzo 1530 Lorenzo e Antonio di Bonino di Lorenzo Bonini, Decima ‘98 in Bonino di Lorenzo Bonini, al Libro Verde 1/4. Sustanze Una chasa posta in Firenze e nel Popolo di San Felice in Piaza e tiella co’ sua chonfini, comprò Piermaria di Lorenzo Bonini loro zio da Francesco di Bartolomeo del Giocondo, Leon d’Oro, sotto dì 31 di marzo 1525 e per Decima di s. 16.8 al Libro Drago, San Giovanni, Decima ‘98, c. 33, sotto nome di Piermaria di Maestro Lorenzo Bonini, e tanto ponete a’ detti e levate da detto Piermaria di Maestro Lorenzo Bonini, Gonfalone detto. E per uno Aroto dell’ano 1526 dal Libro Verde 1/4, c. 249, Drago Sa’ Giovanni, sotto nome di Bonino di Maestro Lorenzo di Piero Bonini per resto di f. 1.13.2 per più beni. E tanto ponete al detti e levate da Bonino detto in detto 1/4, c. 249. Salda per me Niccholò Pollini questo dì 12 d’ottobre 1529, e toccha di Decina f. 2.9.10 che se ne leva s. 16, d. 6 da Piermaria de’ Maestro Lorenzo, Drago, San Giovanni, c. 33; e da’ Libro Verde 1/4, c. 249, f. 1.13.12 da Bonino di Maestro Lorenzo. In tutto f. 2.9.10 _______________________________________________ f. 2.9.10
24. Decima Granducale 3640: Quartiere di San Giovanni, Gonfalone del Drago, cc. 141v-143r 1532 Lorenzo e Antonio, fratelli e figliuoli di Bonino di Maestro Lorenzo Bonini, habitano nel Popolo di Santa Maria Maggiore, nella Via dell’Aloro. Disse la Decima al Libro Verde 1/4, a c. 249, in Bonino nostro padre, e di poi l’anno 1529, a Decima 1498 c. 331 in noi detti. 2 Sustanze Una casa chon sua appartenenze posta nel sopradetto Popolo e via, la quale comprò Bonino nostro padre da Ser Giuliano di Filippo dell’Aveduto per f. 350. Rogato Ser Bartolomeo del Rosso, e serve per nostro habitare. 1 Subito dopo, a c. 289r, si trova la relativa “Promissio defensionis generalis” del 23 marzo 2 ASF, Decima Repub. 30, c. 331r. 1525.
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Una casa con sua appartenenze posta nel Popolo di San Felice in Piazza e nella via maestra, a primo via, a 2° Angniolo del Bugliafa, 3° Andrea Chastrucci, e più altri veri chonfini, la quale ci è pervenuta da Piermaria nostro zio, chome si vede per uno Aroto 1529 n° 121, in noi detti, per decima di s. 16, d. VIII. // Beni aquistati e non achonci Un podere chon chasa da ssignore e da llavoratore con terre lavoratie, vingniate, ulivate, boschate, pasturate e sode, posto nel Popolo di Santo Sefano a Pozolaticho Podesteria del Ghaluzzo, luogho detto la Chava ... compramo da Rede di Raffaelo torcitore e da Monna Leonarda sua donna ... sotto dì [ ] gennaio 1530 ... . Beni alienati e non achonci Un pezzo di terra vingniata e parte lavoratia, posta nel Popolo di Santa Maria a Peretola, luogho detto al Borgho, con sui confini, consengniato in baratto d’una chasa posta in Palazuolo, con Tommaso di Santa Croce, con altri beni come appiè si vede, e detto pezzo è per decima di s. 8, d. 2, sotto la posta di Bonino nostro padre al Libro Verde decimo, a c. 249. Più pezzi di terra posti nel Popolo di San Biagio a Petriolo a altri popoli, lavoratie e vingniate, per staiora 70 in circha, con loro confini, come si vede per più Arroti al Libro Verde decimo, a c. 249, in Bonino di M° Lorenzo Bonini, le quale ò venduto a Tommaso di Francesco di Ser Michele da Santa Croce, Gonfalone Unicorno ... // ... .
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elisabetta ulivi Elenco delle sigle
AOIF: Archivio dell’ Ospedale degli Innocenti, Firenze AOSMFF: Archivio dell’ Opera di Santa Maria del Fiore, Firenze ASCV: Archivio Storico Comunale, Volterra ASA: Archivio di Stato, Arezzo ASF: Archivio di Stato, Firenze ASP: Archivio di Stato, Prato ASPG: Archivio di Stato, Perugia BNF: Biblioteca Nazionale, Firenze BRF: Biblioteca Riccardiana, Firenze
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Juanini, Juan Bautista - Nueva idea physica. Zaragoza, La Puyada, 1685. Kasmach, Francisco Guilhelme - Almanach prototypo. Lisboa, Craesbeeck, 1644. Kepler, Johannes - Ad Vitellionem paralipomena. Frankfurt, Marn, 1604. Kepler, Johannes - Apologia pro Harmonices mundi adversus de Fluctibus. Frankfurt, Tampach, 1622 Kepler, Johannes - De cometis. Augsburg, Aperger, 1619. Kepler, Johannes - De stella nova. Praha, Sess, 1606. Kepler, Johannes - Dioptrice. Augsburg, Franck, 1611. Kepler, Johannes - Harmonices mundi. Linz, Planck, 1619. Kestler, Johann - Physiologia Kircheriana. Amsterdam, Jansson, 1680. Kircher, Athanasius - Arithmologia. Roma, Varesi, 1665. CD 32 Galli, Nicolò - Discorso sopra l’inondazione del Tevere nell’alma città di Roma. Roma, Stamperia della Camera Apostolica, 1609. Giornale dei letterati. Vol. 1-12. Roma, Bernabò, 1675-1679. Huygens, Christiaan - Opera varia. Vol. 1-2. Leyden, vander Aa, 1724. Huygens, Christiaan - Opuscula posthuma. Vol. 1-2. Amsterdam, Jansson, 1728. Kircher, Athanasius - Iter extaticum coeleste. Herbipoli, Endter, 1660. Kircher, Athanasius - Magneticum naturae regnum. Roma, De Lazaris, 1667. Kircher, Athanasius - Tariffa Kircheriana. Roma, Tinassi, 1679. Knittel, Caspar - Cosmographia elementaris. Nürnberg, Endter, 1674. Lagalla, Giulio Cesare - De phoenomenis in orbe Lunae. Venezia, Baglioni, 1612. CD 33 Cassini, Jean Dominique - Description et usage du planisphere céleste. Paris, Desnos. Intieri, Bartolomeo - Apollonius ac Serenus promotus. Napoli, Sellitto, 1704. Intieri, Bartolomeo - Ad nova arcana geometrica detegenda aditus. Benevento, Tipografia Episcopale, 1703 Iseppi, Giovanni - Esposizione di una nuova macchina per escavare il fango di sotto acqua. Venezia, Casali, 1776 Jacquier, François - Elementi di perspettiva secondo li principii di Brook Taylor. Roma, Salomoni, 1755. Jacquier, François - De veteri quodam solari horologio nuper invento. Juan, Jorge e De Ulloa, Antonio - Observaciones astronomicas y phisicas. Madrid, Zunˆ iga, 1748. Kaestner, Abraham Gotthelf - Geschichte der Mathematik. Vol. 1-4. Göttingen, Rosenbusch, 1796-1800. Kaestner, Abraham Gotthelf - De habitu matheseos et physicae ad religionem. Leipzig, Langenhem, 1752. Keill, John - Introductiones ad veram physicam et veram astronomiam. Leyden, Verbeek, 1739. Kramer, Matthias - Il secretario di banco. Venezia, Hertz, 1707. La Caille, Nicolas-Louis - Astronomiae fundamenta. Paris, Collombat, 1757. La Condamine, Charles - Journal du voyage fait par ordre du Roi a l’équateur. Paris, Imprimerie Royale, 1751. La Condamine, Charles - Mesure des trois premiers degrés du méridien dans l’hémisphere austral. Paris, Imprimerie Royale, 1751. La Hire, Philippe - Tables astronomiques. Paris, Montalant, 1735.
La Hire, Philippe - Tabulae astronomicae. Paris, Boudot, 1702. La Marche - Les usages de la sphère et des globes. Paris, rue du Foin St. Jacques, an VII (1798). CD 34 La Caille, Nicolas-Louis - Leçons élémentaires d’astronomie. Paris, Guerin et Delatour, 1755. La Caille, Nicolas-Louis - Leçons élémentaires de mécanique. Paris, Guerin et Delatour, 1757. Lagrange, Louis - Lettera a Giulio Carlo di Fagnano. Torino, Stamperia Reale, 1754. Lagrange, Louis - De la résolution des équations numériques de tous les degrés. Paris, Duprat, an VI (1798). Lalande Joseph Jérome - Astronomie. Vol. 1-3. Paris, Veuve Desaint, 1771. Lalande Joseph Jérome - Réflexions sur les cometes qui peuvent approcher la Terre. Paris, Gibert, 1773. Lambert, Johann Heinrich - Système du monde. Berlin, 1784. Lambert, Johann Heinrich - La perspective affranchie de l’embarras du plan géometral. Zurich, Heidegger, 1759. Lambert, Johann Heinrich - Die freye Perspektive. Zurich, Heidegger, 1759. Le Blond, Guillaume - Elemens de fortification. Paris, Jombert, 1752. Lecchi, Antonio - Trattato de’ canali navigabili. Milano, Marelli, 1776. Lecchi, Antonio - De sectionibus conicis. Milano, Marelli, 1758. Peri, Giovanni Domenico - Il negotiante. Venezia, Hertz, 1707.
BOLLETTINO DI STORIA DELLE
SCIENZE MATEMATICHE
BOLLETTINO DI STORIA DELLE SCIENZE MATEMATICHE Il Giardino di Archimede Un Museo per la Matematica
Direttore Enrico Giusti Vice direttore Luigi Pepe Comitato di redazione Raffaella Franci Paolo Freguglia (segretario) Giorgio Israel Pier Daniele Napolitani Clara Silvia Roero Laura Toti Rigatelli
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SCIENZE MATEMATICHE
Anno XXV · Numero 1-2 · Gennaio-Dicembre 2005
PISA · ROMA ISTITUTI EDITORIALI E POLIGRAFICI INTERNAZIONALI MMVI
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SOMMARIO Giacomo Michelacci LE LETTERE DI CHARLES HERMITE A ANGELO GENOCCHI (1868-1887) Introduzione
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Cronologie
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Le lettere di Charles Hermite a Angelo Genocchi (1868-1887)
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Indice dei nomi
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Indice storico
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Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche · Vol. XXV · (2005) · Fasc. 1-2
le lettere di charles hermite a angelo genocchi
Giacomo Michelacci LE LETTERE DI CHARLES HERMITE A ANGELO GENOCCHI (1868-1887)
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INTRODUZIONE*
L e cento lettere scritte da Charles Hermite a Angelo Genocchi fra il 22 novembre 1868 e il 23 aprile 1887, conservate nel Fondo Genocchi depositato alla Biblioteca Comunale Passerini-Landi di Piacenza, vengono pubblicate integralmente in questo volume per la prima volta. 1 Le lunghe ricerche delle responsive di Genocchi alle lettere di Hermite, presso numerosi archivi e biblioteche francesi, hanno avuto esito negativo, e la supposizione che fossero disperse è stata rafforzata dalle informazioni che mi sono pervenute da Pierre Dugac, che in una lettera del novembre 1997, mi ha scritto che alla morte di Hermite, la sua corrispondenza fu affidata a suo genero, Emile Picard, e che, alla morte di quest’ultimo, tutti i documenti in suo possesso, compresa la corrispondenza di Hermite, furono riposti in un deposito di custodia che, in seguito, finì completamente distrutto da un incendio. Scrive Dugac «Ainsi une des correspondences mathématiques les plus prestigieuses est partie en fumée». * Esprimo vivi ringraziamenti a Livia Giacardi dell’Università di Torino, per il prezioso materiale storico su Genocchi che mi ha inviato e per avermi incoraggiato a realizzare questo lavoro. È con grande rimpianto che esprimo la mia gratitudine alla memoria di Pierre Dugac, dell’Ecole pratique des hautes études, che negli ultimi anni ha voluto inviarmi preziose informazioni sulla sorte delle responsive di Genocchi a Hermite. Ringrazio sentitamente Patrick Habets e Jean Mawhin dell’Université Catholique de Louvain, per le interessanti informazioni e il materiale storico che mi hanno trasmesso. Desidero inoltre ringraziare Isabelle Stabarin e in modo particolare Livia de Savorgnani dell’Università di Trieste per gli utili suggerimenti filologici. La mia più viva riconoscenza va ai responsabili degli archivi e delle biblioteche che ho consultato, per la costante disponibilità e la cortesia che mi hanno manifestato, in particolare a Florence Greffe dell’Académie des sciences di Parigi, Massimo Baucia della Biblioteca Passerini-Landi di Piacenza, Elena Borgi dell’Accademia delle Scienze di Torino, Renzo Vienna, Laura Garbolino della Biblioteca “G. Peano” del Dipartimento di matematica dell’Università di Torino. Desidero inoltre rivolgere i miei ringraziamenti alle seguenti istituzioni le cui biblioteche ed archivi mi hanno prestato il massimo aiuto nella ricerca documentaria: l’Académie Française, il Collège de France, l’Ecole Normale Supérieure, l’Ecole polytechnique, l’Ecole des ponts et chaussées, il Musée de la marine, il Muséum d’histoire naturelle, l’Académie des inscriptions et belles-lettres, l’Institut catholique de Paris, l’Assemblée nationale, l’Observatoire de Nice, l’Università di Bordeaux, l’Institut Mittag-Leffler, l’Académie Royale de Belgique, l’Università di Heidelberg, l’Università di Göttingen, la Clark University, l’Università di Helsinki e infine l’Accademia dei Lincei, la Biblioteca Laurenziana di Firenze, la Fondazione Sella di Biella, la Biblioteca nazionale universitaria di Torino, la Biblioteca civica di Torino, il Dipartimento di matematica “G. Vitali” di Modena, la Biblioteca Estense universitaria di Modena, l’Istituto Lombardo. Accademia di scienze e lettere di Milano, il Dipartimento di matematica “Guido Castelnuovo” dell’Università di Roma “La Sapienza”. 1 Di sei lettere del medesimo carteggio, scritte dal 6 settembre 1882 al 7 gennaio 1883, sono stati pubblicati brevi estratti, funzionali al seguente lavoro: U. Cassina, L’area di una superficie curva nel carteggio inedito di Genocchi con Schwarz ed Hermite, «Rendiconti dell’Istituto Lombardo di Scienze e Lettere», 83 (1950), pp. 311-328. Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche · Vol. XXV · (2005) · Fasc. 1-2
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Il carteggio qui pubblicato offre moltissimi motivi di interesse documentario in cui la matematica occupa un posto di rilievo. Le idee di interesse comune ai due corrispondenti vengono talvolta citate in modo semplicemente accessorio, ma molto spesso, occupano le missive per lunghi periodi di tempo, riprendendo i risultati di lavori a stampa sia dei corrispondenti sia di altri matematici, con commenti critici, approfondimenti e proposte di ragionamenti e dimostrazioni alternative. L’interesse va sopratutto all’analisi e ad alcuni suoi problemi classici, ma sono presenti anche, sia pure spesso solo incidentalmente, la teoria dei numeri la geometria e questioni di storia della matematica. Ma nella corrispondenza non si parla soltanto di matematica: oltre ad avvenimenti di rilievo della vita accademica e culturale, vi sono notizie sui numerosissimi matematici che popolano il carteggio, tra i quali alcuni tra i maggiori interlocutori scientifici di ambedue i corrispondenti come Weierstrass, Kronecker, Schwarz, Picard, Jordan, Poincaré e alcuni dei più significativi del panorama matematico dell’Italia post-unitaria come Cremona, Brioschi, Faà di Bruno e in particolare quelli che, al pari di Genocchi, insegnarono a Torino, come Chiò, Plana, Peano, Siacci, Menabrea, D’Ovidio, Dorna. Malgrado la corrispondenza presenti una sostanziale eterogeneità, emergono alcuni nuclei tematici che sono spesso discussi in gruppi di missive contigue e talvolta ripresi o accennati a distanza di tempo. Nel sistema delle note si usano i riferimenti incrociati attraverso tutto il carteggio, al fine di identificare la trama riguardante un singolo tema e si trovano riportati in nota i riferimenti bibliografici degli articoli citati nel testo, ma anche, quasi sempre, degli articoli principali a cui questi rinviano, sia dei due corrispondenti sia di altri matematici. Il carteggio inizia con una missiva del 22 novembre 1868 in cui Hermite annuncia che farà, all’imminente seduta dell’Accademia delle scienze di Parigi, la presentazione del manoscritto che Genocchi gli ha inviato. Si tratta della dimostrazione di un teorema di teoria dei numeri enunciato da Cauchy nel 1840, come estensione di un teorema di Gauss, un argomento che, come si legge nelle righe di chiusura della breve lettera, riporta alla memoria di Hermite alcune sue ricerche, sulla determinazione del numero delle classi di equivalenza di forme quadratiche a coefficienti interi e discriminante negativo. Dopo questa missiva il carteggio si interrompe fino al 2 luglio 1875, quando Hermite scrive di aver ricevuto da Genocchi alcuni suoi lavori e dove spiega i motivi del ritardo, che Genocchi sembra aver lamentato, dell’inizio della stampa di una edizione delle opere di Cauchy, ritardo dovuto alla lunga e complessa elaborazione preliminare dei criteri da
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seguire nell’edizione. Anche la lettera successiva, del dicembre 1876, segue dopo un lungo intervallo di tempo e spiega le iniziative che hanno preceduto l’edizione delle opere di Lagrange curata da Serret, volte a ritrovare i manoscritti dispersi, necessari all’edizione. Il carteggio diventa più fitto a partire dalla missiva del 4 gennaio 1878, in cui Hermite esprime a Genocchi la sua gratitudine verso l’Accademia delle scienze di Torino che ha voluto nominarlo Socio straniero il 30 dicembre dell’anno precedente. Nella missiva del 6 febbraio 1878, Hermite annuncia che presenterà all’Accademia delle scienze, per la pubblicazione, la parte analitica della lettera ricevuta da Genocchi, che, come si può evincere, rivendicava la priorità di alcuni risultati sulle funzioni interpolari pubblicati da Hermite in quello stesso anno e da Genocchi pubblicati molti anni prima. 1 Le funzioni interpolari rivestivano vari motivi di interesse applicativo e Genocchi, oltre ad esporne la teoria nel suo trattato di analisi matematica,2 aveva iniziato a pubblicare sull’argomento già da molti anni. Hermite, in un suo articolo, aveva dato, sotto forma di integrale multiplo, l’espressione del resto della formula di interpolazione di Lagrange 3 quando se ne consideri un numero determinato di termini, e Genocchi, scrivendogli, spiegava i contenuti di un suo lavoro che risaliva al 1855 dove aveva impiegato per lo stesso scopo degli integrali multipli, simili a quelli usati da Hermite, e quest’ultimo, al fine di rispettare la priorità di Genocchi, aveva comunicato all’Accademia delle scienze di Parigi l’estratto della sua lettera. 4 L’interesse di ambedue i corrispondenti per le proprietà della funzione Γ (x) è affidato a numerose lettere che iniziano con quella del 29 dicembre 1878, con uno scambio di osservazioni e approfondimenti che dura nel tempo. In apertura di quella stessa missiva Hermite cita con ammirazione un lavoro da poco pubblicato da Genocchi, in cui tratta la convergenza di una serie che Binet 5 aveva incontrato nello studio degli integrali euleriani. Il problema di trovare delle approssimazioni della funzione Γ (x) si collegava a quello di determinare il resto del classico sviluppo in serie di Stirling di log Γ (x) 1
Cfr. nota 2, p. 36. A. Genocchi, Calcolo differenziale e principii di calcolo integrale pubblicato con aggiunte dal Dr. Giuseppe Peano, Torino, F.lli Bocca, 1884, pp. 90-99, si vedano nelle Annotazioni, N. 84-88 le notizie storiche la bibliografia e le osservazioni sull’utilità, rilevata da Peano, non solo numerica, delle funzioni interpolari. 3 C. Hermite, Sur la formule d’interpolation de Lagrange, «Journal für die reine und angewandte Mathematik», 84 (1878), pp. 70-81. 4 La questione viene ricordata nella lettera n. 6, p. 38. Le funzioni interpolari sono accennate 5 Cfr. nota 1, p. 48. anche nelle lettere nn. 13, 16, 48, 74; pp. 57, 65, 129, 176. 2
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r −1
FH x − 12 IK log x − x + 12 log 2π + ∑ r((−1r) − ) ⋅ xB 2 2 1
2r 2 r −1
r =1
.
Le somme parziali di questa serie asintotica, per un certo numero di passi, alternano approssimazioni sempre migliori del valore di quel logaritmo, ma proseguendo se ne scostano definitivamente. Il problema che si poneva consisteva nello stabilire quanti termini si devono sommare per ottenere la migliore approssimazione, per un dato valore della variabile. Genocchi si era occupato del problema e in una nota a pie’ di pagina di un suo articolo 1 del 1854 aggiungeva di aver trovato l’espressione di quel resto, già trovata da Schaar 2 nel 1848 e riportata da Liouville nel 1852, e di aver da essa dedotto conseguenze di un certo interesse, ma di rimandarne l’esposizione ad altra occasione. Della questione si occupò anche Limbourg 3 mentre Genocchi vi ritornerà molto più tardi, presentando le sue proprie dimostrazioni riunite nella memoria 4 del 1883, pubblicata nel 1887, dal titolo: Intorno alla funzione Γ (x) e alla serie dello Stirling che ne esprime il logaritmo, che Hermite ha ricevuto 5 nell’agosto del 1883. In questo lavoro Genocchi utilizza l’espressione integrale del resto della serie, già stabilita da Schaar e Liouville e determinandone il minimo al variare dell’indice r, trova che il numero dei termini della serie di Stirling che occorre sommare per ottenere la massima approssimazione è [π x+1/2] oppure [π x+1/2] + 1. Hermite dedica gran parte della lettera del 18 settembre 1883 alle osservazioni critiche, alle varianti e alle domande che il lavoro gli ha suggerito. 6 L’argomento è citato marginalmente anche nelle missive nn. 55, 57, 58, 60, 91, 92, fra le quali, quelle dal n. 55 al n. 60, testimoniano, sempre con brevi cenni, che Bourguet aveva sollevato delle obiezioni sul risultato di massima approssimazione trovato da Genocchi. Le obiezioni nascevano dal confronto tra i risultati di Genocchi e quelli da lui pubblicati nel 1880 nella sua tesi di dottorato. 7 Il punto controverso viene esposto da Bourguet nella sua lettera a Genocchi 8 del 2 dicembre 1883. La discussione si è conclusa in favore di Genocchi, come si legge in quella stessa missiva e come scrive Hermite nella lettera 9 del 3 gennaio 1884.
1 4 7
Cfr. nota 3, p. 51. Cfr. nota 3, p. 51. Cfr. nota 7, p. 58.
2 5 8
Cfr. nota 4, p. 51. Cfr. nota 2, p. 132. Cfr. nota 1, p. 145.
3 6 9
Cfr. nota 5, p. 51. Cfr. let. 52, p. 137. Cfr. let. 60, p. 149.
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Un altro tema di ricerca sull’approssimazione della funzione Γ (x) è legato alla funzione di Prym. Nella missiva del 29 febbraio 1879 Hermite cita un lavoro di Prym in cui viene trattata la scomposizione della funzione Γ (x) nella somma di due funzioni P (x) e Q (x) di cui la prima, espressa attraverso una serie, presenta dei poli semplici nei punti 0, –1, –2,..., mentre l’altra è una trascendente intera rappresentata attraverso una serie di potenze, i cui coefficienti sono espressi sotto forma di integrali generalizzati. 1 La funzione
z
∞
Q( x ) = ν x −1 e − ν dν 1
che Hermite chiama funzione di Prym, è stata oggetto di un lungo dialogo con Genocchi, che in un suo articolo del 1859, aveva studiato lo sviluppo in serie per fattoriali reciproci della seguente funzione che la generalizza:
a f = zν
Γ α ,y
∞
y
α −1 − ν
e dν .
Questo articolo, che Genocchi gli ha inviato 2 nel febbraio 1881, ha attratto l’attenzione di Hermite che lo discute in varie missive, riconoscendolo affine ad una sua ricerca, il cui oggetto principale era l’espressione sotto forma esplicita di quella medesima funzione considerata da Genocchi. I risultati della sua ricerca, come Hermite stesso anticipa nella missiva del 2 febbraio 1881, verranno pubblicati di lì a poco sul «Journal de Crelle». 3 Gli ulteriori sviluppi sui risultati di Genocchi, sono esposti nelle lettere 4 del 2 marzo e del 10 marzo 1881 dove Hermite propone di studiare l’integrale che si ottiene da Q(x) con una sostituzione di variabile, da cui ricava, come si legge nella stessa missiva, una relazione ricorrente fra i coefficienti della serie trovata da Genocchi per Q(x). Ma su questo punto Hermite stesso nutre dei dubbi sulla legittimità di alcune sue deduzioni, come accenna in chiusura della lettera, che certamente avranno incontrato la rispondenza di Genocchi e che sfociano nelle esitazioni espresse nella missiva successiva 5 del 30 marzo 1881 che lo inducono ad un abbandono della strada intrapresa. L’argomento viene ripreso con la breve missiva del 7 maggio 1881 a cui Hermite ha allegato un manoscritto del suo allievo Bourguet, proponendone a Genocchi una eventuale presentazione all’Accademia delle 1 4
Cfr. nota 1, p. 53. Cfr. lett. 15, 16; pp. 62, 65.
2
Cfr. nota 2, p. 60.
3 5
Cfr. nota 3, p. 60. Cfr. let. 17, p. 67.
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Scienze di Torino. Hermite riteneva che in quel lavoro sulla funzione Γ (x), Bourguet avesse superato le difficoltà che avevano arrestato la sua ricerca. Ma dalla lettera del 2 giugno 1881 si evince 2 che Genocchi avrebbe trovato su quel manoscritto un errore che Hermite stesso non aveva riconosciuto. Di conseguenza su proposta di quest’ultimo, Genocchi presentò all’Accademia di Torino, soltanto la parte di quel manoscritto 3 che riguarda il calcolo delle radici della funzione Γ′(x). L’argomento viene ripreso un anno più tardi con la lettera del 22 luglio 1882 ove si apprende che Genocchi invierà ad Hermite una sua ricerca sulla funzione di Prym, 4 mentre nella missiva del 14 agosto 1882 Hermite segnala un articolo di Winckler sull’integrale euleriano di seconda specie, 5 affine a quella ricerca che Genocchi stava proseguendo e di cui Hermite avrebbe presto ricevuto il manoscritto. Con la lettera del 6 settembre 1882, quest’ultimo, che aveva già ricevuto e letto i risultati che si attendeva da Genocchi, ne cita alcuni e iniziando a commentarli scrive che Genocchi ha trovato, per la funzione di Prym, una serie, che «est bien préférable a celle que j’ai donnée, et vous avez certainement découvert ainsi l’expression analytique définitive de la transcendante qui représente la partie holomorphe de Γ (x)». 6 Ulteriori commenti si trovano nella lettera 7 del 22 settembre 1882 dove Hermite, che ha ormai terminato la lettura del manoscritto, dice di non aver trovato alcuna obiezione da sollevare, se non la difficoltà nell’afferrare alcuni passaggi concettuali, per i quali suggerisce a Genocchi qualche modifica alla redazione e l’aggiunta di qualche parola di spiegazione prima della pubblicazione del manoscritto, che avverrà nello stesso anno. 8 Un altro tema che affiora dal carteggio è l’interesse dei due corrispondenti per le ricerche critiche di Chiò sulla serie di Lagrange. Nella missiva del 22 febbraio 1882, Hermite scrive di aver appena letto lo scritto che Genocchi gli ha inviato, sulla vita e sulla produzione scientifica del suo maestro e amico Felice Chiò. Si tratta del necrologio intitolato Notizie intorno alla vita e agli scritti di Felice Chiò, pubblicato nel 1871 sul «Bullettino» di Boncompagni e accompagnato dal Catalogo dei lavori di Chiò, scritto dallo stesso Boncompagni. 9 In quella commemorazione Genocchi rievoca gli studi critici di Chiò, che molti anni prima avevano suscitato l’ostilità dei matematici torinesi, 1
2 Cfr. nota 4, p. 71. 3 Cfr. nota 2, p. 75. Cfr. let. 19, p. 70. 5 Cfr. nota 2, p. 93. 6 Cfr. let. 32, p. 94. Cfr. nota 3, p. 92. 7 Cfr. nota 1, p. 100. L’argomento è ricordato incidentalmente anche nelle missive nn. 33, 40, 42, 47; pp. 97, 112, 116, 128. 8 A. Genocchi, Sur les fonctions de M. Prym et de M. Hermite, «Bulletin de l’Académie Royale des Sciences, des Lettres et des Beaux-Arts de Belgique», s. 3, 4 (1882), pp. 438-451. 9 Cfr. nota 1, p. 79. 4
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rappresentati da Menabrea, che in difesa dell’orientamento teorico ereditato da Lagrange, si opponevano ai nuovi metodi di rigore che ispiravano i lavori di Chiò, improntati a Cauchy e alla sua scuola. 1 La serie, che era già nota a Lambert verso la metà del Settecento e usata per approssimare le radici di equazioni algebriche trinomie, fu studiata da Lagrange, che oltre a darne una regola di convergenza stabilì che la radice che essa approssima fosse quella minima. Chiò, riesaminando criticamente i risultati di Lagrange, riconobbe inesatta sia la sua regola di convergenza, sia l’asserzione che la radice approssimata dalla serie fosse quella minima e oltre a dare le condizioni che rendono esatta la regola di convergenza di Lagrange, formulò un enunciato corretto, di semplicissima dimostrazione, che stabilisce quale radice dell’equazione, fra quelle reali, viene individuata dalla serie, nel caso di una equazione a termini reali. Hermite che non aveva mai utilizzato i risultati di Chiò su cui Genocchi richiamò la sua attenzione, insegnava le proprietà della serie nel suo corso di analisi alla Sorbona ponendosi da un punto di vista diverso, che espone nella lettera 2 del 31 marzo 1882. Un altro tema di analisi che emerge dal carteggio riguarda la scoperta da parte di Schwarz e di Peano di un errore nella definizione di area di una superficie curva data da Serret e allora impiegata correntemente. Le missive di Schwarz a Genocchi su questo tema e le responsive di quest’ultimo, unite ad alcune lettere di Hermite a Genocchi, 3 contengono gli elementi per la ricostruzione delle vicende e delle pubblicazioni sul tema. La teoria dei numeri, malgrado fosse uno dei principali interessi scientifici dei due corrispondenti e da ambedue coltivata per molti anni, 4 non è presente nel carteggio se non sporadicamente. Nella missiva del 12 giugno 1883, Hermite scrive di essere ritornato 1 I lavori di Chiò suscitarono un’aspra e annosa polemica con Menabrea che si rinnovò in occasione della commemorazione di Chiò ad opera di Genocchi (cfr. note 1, 2, p. 79; 1, p. 80; 2, p. 83). Un cenno si trova più avanti nel tempo, nella lettera del 4 giugno 1886 (cfr. nota 2, 2 Cfr. let. 26, p. 81. p. 216). 3 L’argomento è stato trattato da Ugo Cassina (cfr. nota 1, p. 11). Tuttavia si è provveduto a riportare tutte le informazioni e i riferimenti bibliografici utili, nelle note alle lettere in questione che sono quelle del 6, 13, 22 settembre, del 16 otobre 1882 e quella del 7 gennaio 1883 (cfr. note 2, p. 96; 7, p. 99; 1, p. 101; 2, p. 104; 2, p. 110; 1, p. 111). 4 Sui fondamentali contributi di Hermite si veda E. Picard, L’œuvre scientifique de Charles Hermite, «Annales de l’Ecole Normale Supérieure», s. 3, 18 (1901), pp. 9-34. Per quanto riguarda Genocchi, Hermite stesso scriveva nella sua lettera a Siacci del 12 marzo 1889 «mais c’est l’Arithmétique Supérieure, qui me semble avoir principalement occupé l’éminent Géometre; ses recherches ayant eu pour objet la théorie des nombres complexes, la loi de réciprocité dans la théorie des résidus quadratiques, la résolution en nombres entiers des équations indéterminées» (cfr. F. Siacci, Cenni necrologici di Angelo Genocchi, «Memorie della Reale Accademia delle Scienze di Torino», s. 2, 39 (1889), pp. 463-495, p. 470).
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all’aritmetica e annuncia l’imminente pubblicazione di un suo articolo sulle applicazioni aritmetiche della teoria delle funzioni ellittiche. Quell’articolo, del 1884, tratta le relazioni tra il numero delle classi di forme quadratiche di discriminante negativo e le funzioni ellittiche, su cui Kronecker, nel 1875, aveva pubblicato dei risultati che Hermite riprende e dimostra ponendosi, come lui dice, da un punto di vista differente. 1 In quella stessa missiva del 12 giugno, parlando delle funzioni ellittiche, scrive «les développements en série de la théorie des fonctions elliptiques, m’ont paru contenir des conséquences pour l’Arithmétique qui n’ont pas encore été remarquées. Les formules révèlent à l’observation pure et simple, et sans efforts de l’esprit, tant de belles propriétés des nombres, que j’en suis confondu, et les connaissant depuis si longtemps, je les admire toujours plus vivement». E riporta nella stessa lettera, traendole dal suo lavoro, alcune conseguenze aritmetiche delle espressioni analitiche da lui trovate. Nella missiva del 26 febbraio 1884, Hermite cita una nota di Genocchi, 2 appena presentata da Bertrand all’accademia delle scienze di Parigi, che sarà di lì a poco pubblicata sui «Comptes Rendus». La nota ripropone, a fronte di una recente pubblicazione, quei risultati che Genocchi aveva pubblicato nel 1868 sugli «Annali di matematica pura e applicata», in cui dimostrava con un metodo elementare l’esistenza di infiniti numeri primi esprimibili con le forme lineari nkx±1 e mx±1 con n primo e k,m numeri interi qualunque. La missiva del 13 maggio 1884 riporta 3 la dimostrazione di un risultato sulle somme dei numeri delle classi di forme quadratiche di discriminante –D. Nella lettera del 6 ottobre 1884, Hermite accenna a una lettera di Gauss che si credeva perduta e che il principe Boncompagni, che lui ricorda con ammirazione, ha rinvenuto e pubblicato. 4 La lettera di Gauss è del 30 aprile 1807 ed è la risposta ad una missiva di Sophie Germain del 20 febbraio 1807. In essa Gauss trova non esatte due proposizioni sulle forme quadratiche, contenute in una nota che la Germain gli aveva inviato contestualmente. Genocchi aveva riportato in dettaglio la critica di Gauss nel suo studio della corrispondenza di quest’ultimo con la Germain pubblicato nel 1879 sugli «Atti» dell’accademia delle scienze di Torino e successivamente in un lavoro del 1884, pubblicato sul «Bullettino» di bibliografia e di storia di Boncompagni, dedicato ad alcune proposizioni di Gauss sulle forme quadratiche del tipo y2 ±nx2. 1 3
Cfr. nota 3, p. 128. Cfr. let. 70, p. 170.
2 4
Cfr. nota 2, p. 156. Cfr. nota 2, p. 176.
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Hermite ricorda quest’ultimo lavoro con apprezzamento in apertura della sua lettera del 5 novembre 1884. Nella stessa, citando i numeri perfetti 1 e ricordando che Euler ha dimostrato che quelli trovati da Euclide sono gli unici numeri perfetti pari, domanda a Genocchi se dopo questo risultato, i numeri perfetti siano stati oggetto di altre ricerche. A questa domanda, che gli è stata posta da Lipschitz, lui crede di poter rispondere negativamente e dice che così pensa anche Tchebichev da lui interpellato, ma come scrive nella medesima missiva è da Genocchi che si attende una risposta definitiva. Negli interessi scientifici di Genocchi gli studi storici hanno occupato un ruolo di tutto rilievo, ne è testimonianza la corrispondenza con Boncompagni da lui intrattenuta tutta la vita. Ma oltre ai lavori di ricerca in questo campo, i lavori specificamente matematici di Genocchi si strutturano con una ricerca storica ricchissima e accurata, fatto che nel tempo contribuì a creagli la fama di raffinato erudito. 2 Nel 1882 si compiva il centenario della Società italiana delle scienze detta dei XL. L’anno successivo Genocchi 3 pubblicò un articolo sulla vita e le opere di alcuni dei suoi soci più illustri attingendo, come lui stesso scrive, da alcuni suoi scritti pubblicati nel 1873 sul «Bullettino» di Boncompagni. Hermite nella missiva dell’11 agosto 1883 cita e commenta con interesse l’articolo, 4 che lo riguarda direttamente, dato che alcune pagine riportano un’accurata rassegna degli autori e delle ricerche che hanno contribuito a trovare, per l’equazione di quinto grado, la risolvente che si prestava alla soluzione dell’equazione generale mediante le funzioni ellittiche, ottenuta da Hermite, Kronecker e Brioschi. La lettera del 14 febbraio 1884 contiene un accenno ad un altro lavoro prevalentemente storico 5 di Genocchi nei «Comptes rendus» dell’accademia delle scienze di Parigi, che critica un lavoro di d’Ocagne del 1883 sulla generazione delle ovali di Decartes proposta da Chasles. L’articolo di Genocchi si presenta come una risposta fondamentalmente critica nei confronti di d’Ocagne, che nella sua nota non cita e sembra ignorare i precedenti contributi, che Genocchi precisa con una breve ma puntuale rassegna storica sull’argomento. 1
Cfr. let. 76, p. 182. Si vedano per esempio le lettere inviate a Siacci dopo la morte di Genocchi da Brioschi e Beltrami (cfr. F. Siacci, Cenni necrologici..., cit. pp. 482-483, 485). Genocchi si è dedicato a ricerche storiche molto elevate, valga ad esempio il suo studio di circa cinquanta complessi problemi tra i più significativi della matematica medioevale. Si veda in proposito l’interessante articolo: E. Picutti, I contributi di Genocchi alla storia della matematica medioevale, in Angelo Genocchi e i suoi interlocutori scientifici, a cura di A. Conte, L. Giacardi, Torino, Deputazione subalpina di storia patria, 1991, pp. 241-280. 3 Che alla Società dei XL apparteneva fin dal 1861. 4 Cfr. nota 3, p. 132. 5 Cfr. nota 4, p. 153. 2
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Nella missiva del 6 ottobre 1884 Hermite scrive alcune osservazioni sul trattato di calcolo differenziale di Genocchi, 1 da poco pubblicato con la collaborazione di Peano, e dice che avrà occasione di farne altre, inteso che lo terrà presente nelle sue lezioni di analisi alla Sorbona. Ma nella missiva del 31 ottobre 1884, Hermite, che ha avuto da Genocchi delle informazioni sulle vicende che hanno accompagnato la pubblicazione di questo testo, scrive di essere sorpreso di quanto è venuto a sapere, e cioè che Peano l’avrebbe pubblicato col nome di Genocchi ma contro i suoi intendimenti. 2 Ma in aggiunta ai commenti su quello che ha saputo, formula una valutazione più autentica, se così può dirsi, del trattato e del suo orientamento, esprimendo anche delle riserve sull’opportunità di un uso eccessivo del rigore nell’insegnamento elementare, che, lui scrive «est trop souvent un épouvantail fait pour inspirer l’aversion et l’horreur, donc point trop de rigueur» e riferendosi a questo proposito all’apparato complicato di certe dimostrazioni di Darboux sulle funzioni discontinue, scrive «jamais, de mon plein gré, je consentirai à les faire entrer dans mes leçons de la Sorbonne». 3 Nelle lettere dell’1 e del 13 maggio 1884, vi è un cenno alla polemica fra Peano e Gilbert, che ha accompagnato le osservazioni critiche di Peano sulla dimostrazione del teorema del valor medio data da Jordan nella prima edizione del suo Cours d’Analyse. 4 Nella lettera del 22 febbraio 1878 si trova un’allusione alle geometrie non euclidee e alle ricerche critiche di Genocchi su questo tema, 5 che incontravano una corrispondenza nell’atteggiamento conservatore di Hermite, che nella medesima missiva afferma «vous avez exprimé sur ces étranges conceptions de la géométrie non Euclidienne, de l’espace à courbure constante ou non, une opinion qui est fondamentalement la mienne», un giudizio questo, che sarà ripreso anche più avanti nel tempo come mostra la lettera del 7 febbraio 1884, dove si legge «je revendique l’honneur d’être votre compagnon parmi les chevaliers de la Manche, qui combattent contre les moulins à vent, e je vous réitère l’expression du plaisir que j’ai eu à lire vos travaux, et vos appréciations que j’adopte pleinement sur la géométrie non Euclidienne». 6 Genocchi aveva contribuito allo studio di questo tema dal 1869 al 1877, con dei lavori in cui, riprendendo una memoria di Daviet de Foncenex sui principi della meccanica, e rilevando il nesso tra i fondamenti della geometria e quelli
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2 Cfr. nota 1, p. 179. Cfr. nota 1, p. 177. Cfr. note 1, p. 169; 1, p. 170. Cfr. let. 62, p. 152.
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Cfr. nota 1, p. 180. Cfr. nota 2, p. 39.
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della meccanica, sviluppava una critica approfondita di quella memoria, concludendo nel 1877 con un lavoro intitolato: Sur un mémoire de Daviet de Foncenex che contiene una critica al modello della geometria iperbolica dato da Beltrami.
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CRONOLOGIE * Cronologia di charles hermite 1 1822 Charles Hermite nasce il 24 dicembre a Dieuze capoluogo del dipartimento della Meurthe da Ferdinand e Madeleine Lallemand. 1840 Entra al Collège Louis-le-Grand nella classe di Mathématiques préparatoires in vista dell’ammissione all’Ecole polytechnique di Parigi. 1842 Pubblicazione del suo primo lavoro significativo Considérations sur la résolution algébrique de l’équation du cinquième degré, cfr. C. Hermite, Œuvres complètes, Paris, Gauthier-Villars, 1905-1917, 1, pp. 39. Entra all’Ecole polytechnique di Parigi da cui verrà estromesso dopo un anno a causa di una infermità congenita al piede destro. 1843 Nel mese di gennaio comunica a Jacobi i risultati della sua ricerca sul problema della divisione e trasformazione delle funzioni ellittiche e abeliane. Questa tematica verrà coltivata in prevalenza fino al 1847: cfr. C. Hermite, Œuvres cit., 1, pp. 10-75. 1847 Il 12 luglio supera l’esame di baccalauréat ès Sciences. Risalgono a quest’anno quattro lettere a Jacobi intorno alle forme quadratiche, agli irrazionali algebrici e all’uso di variabili continue in aritmetica, temi che coltiverà in prevalenza fino al 1853: cfr. C. Hermite, Œuvres cit., 1, pp. 94-234. 1848 Il 9 maggio supera l’esame di licence ès Sciences physiques. Nel mese di luglio l’Ecole polytechnique di Parigi gli affida le funzioni di examinateur d’admission (che dureranno fino al 1860) aggiungendovi, a partire dal 12 dicembre, quelle di répétiteur d’Analyse. Chiamato al Collège de France al posto di Libri, vi rimane due anni. Insegna teoria dei numeri e teoria delle funzioni ellittiche. 1854 Da quest’anno fino al 1864 si occupa prevalentemente della teoria degli invarianti: cfr. C. Hermite, Œuvres cit., 1, pp. 296-439. 1855 Studia le connessioni tra la teoria dei numeri e le funzioni theta * Le seguenti Cronologie sono limitate ai dati essenziali e sono funzionali alla lettura del presente carteggio. 1 Sono state utilizzate le seguenti biografie: E. Picard, L’œuvre scientifique de Charles Hermite, «Annales de l’Ecole Normale Supérieure», s. III, 18 (1901), pp. 9-34; G. Darboux, Notice historique sur Charles Hermite, Paris, Gauthier-Villars, 1905; Dictionary of scientific biography, New York, C. Scribner’s sons.
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1856
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1859 1862 1863 1866 1869 1870 1873
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relative alla trasformazione delle funzioni abeliane: cfr. C. Hermite, cit., 1, pp. 482-486, 2, pp. 1-4. Il 13 luglio è nominato socio dell’Académie des sciences di Parigi nella sezione di geometria, succedendo a Binet. Si ammala gravemente di vaiolo, la vicinanza di Cauchy in questo periodo ravviva le sue convinzioni cattoliche. Utilizza la riduzione in forma trinomia dell’equazione di quinto grado per darne le radici mediante le funzioni ellittiche, argomento di ricerca che, con lo studio delle equazioni modulari, sarà prevalente fino al 1864: cfr. C. Hermite, Œuvres cit., 2, pp. 5-86. Pubblicazione della Théorie des équations modulaires et la résolution de l’équation du cinquième degré, Paris, Mallet-Bachelier. L’Ecole Normale Supérieure di Parigi fonda una nuova maîtrise de conférences e gli affida un’insegnamento ch’egli professerà per sette anni. Il 6 maggio assume le funzioni di examinateur des élèves all’Ecole polytechnique di Parigi. Pubblicazione del testo Sur l’équation du cinquième degré, Paris, Gauthier-Villars. L’11 novembre viene promosso professore di analisi all’Ecole polytechnique, succedendo a Duhamel. Occuperà questa cattedra fino al 1876, anno in cui sarà sostituito da Jordan. Il 18 maggio, dopo una breve supplenza diviene professore di Algèbre supérieure alla Sorbona, come successore di Duhamel. Studia l’approssimazione delle funzioni e dimostra la trascendenza del numero e: cfr. C. Hermite, Œuvres cit., 3, pp. 150-181. Pubblicazione del Cours d’analyse de l’école polytechnique, Paris, Gauthier-Villars. Viene nominato corrispondente straniero all’Accademia Pontificia dei Nuovi Lincei, diverrà socio ordinario nel 1887. Da quest’anno fino al 1881 circa, prevale l’interesse per le applicazioni delle funzioni ellittiche e per l’equazione di Lamé: cfr. C. Hermite, Œuvres cit., 3, pp. 266-418, 4, pp. 8-15. Il 30 dicembre la Reale Accademia delle Scienze di Torino lo nomina socio straniero. Il 13 luglio la Società Italiana delle Scienze lo nomina socio straniero. Pubblicazione in litografia del Cours de M. Hermite professé pendant le 2e semestre 1881-82, redigé par M. Andoyer, Paris, Hermann. Il 16 dicembre la Reale Accademia dei Lincei lo nomina socio straniero.
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1897 Lascia l’insegnamento. 1901 Il 14 gennaio muore a Parigi. Cronologia di angelo genocchi 1 1817 Angelo Genocchi nasce il 5 marzo a Piacenza da Carlo e Carolina Locatelli. 1838 Si laurea in giurisprudenza a Piacenza. 1845 Il 12 novembre viene nominato professore sostituto alla facoltà di legge di Piacenza. 1846 Diviene titolare della cattedra di Istituzioni civili a Piacenza. 1848 Per ragioni politiche emigra a Torino dove segue le lezioni di Plana e quelle di Chiò, dedicandosi completamente agli studi matematici. Si occupa di teoria dei numeri iniziando le sue ricerche sui residui quadratici. Negli anni si occuperà anche di equazioni diofantee e di metodi di approssimazione legati alle serie asintotiche, pubblicando prevalentemente dal 1851 ai primi anni ’60. 1852 Pubblicazione della memoria Note sur la théorie des résidus quadratiques, «Memoires couronnés et mémoires des savants étrangers, Académie royale des sciences, des lettres et des beaux-arts de Belgique», 25 (1852), pp. 1-54. 1854 Nell’ambito dei suoi interessi storici inizia ad occuparsi della matematica medioevale che studierà fino al 1857. 1855 Pubblicazione della memoria Sopra tre scritti inediti di Leonardo Pisano pubblicati da B. Boncompagni. Note Analitiche, «Annali di scienze matematiche e fisiche», 6 (1855), pp. 161-209. Studio storico, unito ad una impostazione algebrica dei problemi proposti da Leonardo Pisano nel 1225, nel Flos e nel Liber Quadratorum, testi riportati alla luce da Boncompagni nel 1853. 1857 Vince il concorso ad una cattedra presso l’Università di Torino e nel mese di novembre viene nominato reggente la cattedra di Algebra e Geometria complementare. 1859 Viene promosso professore ordinario. 1860 Passa ad insegnare Geometria superiore. Pubblicazione della memoria Formole per determinare quanti siano i numeri primi fino ad un 1 Sono state impiegate le seguenti biografie: G. Peano, Angelo Genocchi, «Annuario della Reale Università di Torino», 1889-90, pp. 195-202; F. Siacci, Cenni necrologici di Angelo Genocchi, «Memorie della Reale Accademia delle Scienze di Torino», s. II, 39 (1889), pp.463-495; L. Giacardi, Genocchi, Angelo in Dizionario biografico degli italiani, 53, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 1999; Angelo Genocchi e i suoi interlocutori scientifici, a cura di A. Conte, L. Giacardi, Torino, Deputazione subalpina di storia patria, 1991.
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1875 1877
1881 1884
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dato limite, «Annali di matematica pura ed applicata», 3 (1860), pp. 52-59. Si tratta di una recensione della memoria B. Riemann, Über die Anzahl der Primzahlen unter einer gegebenen Grösse, «Monatsberichte der Berliner Akademie», November 1859. Passa all’insegnamento di Analisi superiore. Insegna Algebra complementare e geometria analitica fino al 1865. Viene eletto socio nazionale della Reale Accademia delle Scienze di Torino. Assume l’insegnamento di Calcolo differenziale e integrale che conserverà definitivamente. Scrive un testo delle sue lezioni, che non si curerà di pubblicare, di cui la Biblioteca Passerini-Landi di Piacenza conserva i manoscritti autografi intitolati: Calcolo differenziale (1865-66 con aggiunte e note fino al 1885) e Introduzione alle lezioni di calcolo differenziale (1867 con aggiunte e note fino al 1881). Pubblicazione della memoria Intorno alla formazione ed integrazione di alcune equazioni differenziali nella teorica delle funzioni ellittiche, «Memorie della Reale Accademia delle Scienze di Torino», 2, 23 (1866), pp. 223-362. Inizia ad occuparsi delle geometrie non-euclidee e della relazione tra i fondamenti della geometria e quelli della meccanica. Studierà questi argomenti fino al 1877 dedicandovi cinque lavori. Pubblicazione di una prima memoria dedicata a questi temi Intorno ad una dimostrazione di Daviet de Foncenex, «Atti della Reale Accademia delle Scienze di Torino», 4 (1869), pp. 323-327. Avvia l’edizione della corrispondenza di Lagrange, che curerà fino al 1879, pubblicandola in quattro memorie. Viene eletto socio nazionale della Reale Accademia dei Lincei. Pubblicazione della memoria conclusiva dei suoi studi sulle geometrie non-euclidee Sur un mémoire de Daviet de Foncenex e sur les géométries non-euclidiennes, «Memorie della Reale Accademia delle Scienze di Torino», s. II, 29 (1877), pp. 365-404 in cui critica l’interpretazione della planimetria non-euclidea proposta da Beltrami. La malferma salute gli impedisce l’insegnamento e viene supplito da Peano allora suo assistente. Pubblicazione a suo nome il trattato: Calcolo differenziale e principii di calcolo integrale con aggiunte del Dr. Giuseppe Peano, Torino, Bocca, la cui stesura è stata curata da Peano dal 1883. Subito dopo la pubblicazione del lavoro, Genocchi ne disconosce la paternità. Svolge regolarmente l’insegnamento interrotto nel 1881. Lo riprenderà l’anno successivo, riuscendo a tenere solo poche lezioni.
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1885 Viene eletto presidente della Reale Accademia delle Scienze di Torino. Verrà rieletto nel 1888. 1886 È eletto senatore del Regno d’Italia. 1889 Il 7 marzo muore a Torino. Nota al testo Le lettere di Hermite a Genocchi, oggetto della presente edizione, fanno parte di un vasto epistolario depositato presso la Biblioteca Comunale Passerini-Landi di Piacenza. Il materiale epistolare, costituito da più di duemila documenti, è il prodotto delle relazioni scientifiche e culturali intrattenute da Genocchi con numerosi studiosi italiani e stranieri. L’accesso e l’utilizzazione di questo materiale è reso ora più facile, grazie ad un utilissimo strumento descrittivo del fondo, compilato da Lorenza Fenoglio, che ordina le missive sull’elenco alfabetico dei mittenti. 1 Nell’ambito di questo ampio fondo, il carteggio costituito dalle cento lettere di Hermite, pubblicato in questo volume, occupa le buste dalla MM.1 alla MM.2. Il carteggio è in buono stato di conservazione, le lettere sono scritte a penna su fogli di carta comune ripiegati per metà (vi è un unico caso di carta intestata, segnalato in nota) e presentano una numerazione progressiva scritta a matita a sinistra in testa a ciascuna. In alcuni anni i fogli sono listati a lutto. Tutte le lettere risultano datate tranne alcune eccezioni. Le date sono collocate prevalentemente in testa, talvolta in calce e riportano in forma costante la precisazione del luogo, seguita dalla cifra che indica il giorno, di seguito il mese espresso in lettere con l’iniziale maiuscola e infine l’anno scritto in cifre in forma estesa; gli elementi della data si seguono, tranne in rarissimi casi, senza punteggiatura. Queste caratteristiche sono state rispettate nella trascrizione, ma per ragioni di uniformità grafica, si è normalizzata la collocazione della data secondo la forma tradizionale di impaginazione, provvedendo a collocarla in testa ad ogni missiva con allineamento a destra. Le buste non sono state conservate con il carteggio e questo ha reso più complicato l’inquadramento cronologico delle missive nn. 22, 45, 65, 86 con data incompleta o mancante, per le quali si è fornita una ricostruzione della data, la cui deduzione, riportata in nota, impiega le informazioni interne a ciascuna missiva o riscontri reperiti nel resto del carteggio. Le integrazioni delle date sono riportate 1 L. Fenoglio, L’epistolario di Angelo Genocchi. Schedatura, in Angelo Genocchi e i suoi interlocutori scientifici, a cura di A. Conte e L. Giacardi, Torino, Deputazione subalpina di storia patria, 1991, pp. 303-393.
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tra parentesi quadre come ogni inserzione editoriale ad eccezione delle lettere nn. 45 e 65, per le quali, ad evitare l’indicazione esplicita ed ingombrante del periodo di redazione, si è preferito limitarsi alla sigla [s.d.] posta in testa a ciascuna con allineamento a destra. Nella lettera n. 68, nella data autografa “Paris 6 Mars 1884”, l’indicazione del mese è incompatibile colle informazioni interne alla missiva. Una postilla, aggiunta dalla mano di Genocchi, suggerisce una collocazione temporale che, come viene spiegato in nota, risulta essere coerente colle informazioni interne al carteggio ed è stata perciò inserita come indicazione sostitutiva del mese. Analogamente, nella lettera n. 8 si trova una postilla, attribuibile a Genocchi, che sembra suggerire una correzione dell’indicazione del mese nella data autografa. La presunta correzione non ha trovato alcuna indicazione di sostegno all’interno del carteggio, come viene indicato in nota, di conseguenza è parso opportuno lasciare inalterata la data autografa di Hermite. Le lettere, nell’ordine cronologico che in tal modo si è stabilito, sono state trascritte contrassegnandole con un numero progressivo posto in testa a sinistra di ciascuna, che viene seguito, separato da un punto e posto in parentesi quadre, dal numero corrispondente della numerazione che si trova sugli originali. La numerazione che viene utilizzata nel corso della presente edizione sarà di norma abbreviata all’essenziale, utilizzando solo il primo numero di ciascun contrassegno. La trascrizione del testo è basata su stampe tratte da un microfilm, collazionate con gli originali ogni qualvolta le esigenze di decifrazione lo abbiano reso necessario. La grafia di Hermite pone alcuni problemi di decifrazione: mentre tende a svolgersi con regolarità sul rigo, al contrario presenta spesso una scarsa differenziazione tra i caratteri fra loro e sopratutto tra maiuscole e minuscole, le singole lettere di una stessa parola diventano spesso assai minute o sono solo accennate e questo rende complicata la decifrazione di numerose parole. Queste difficoltà sono state sempre superate per i termini di uso corrente, che finivano per essere identificati attraverso il contesto, per alcuni nomi propri invece, le difficoltà sono state superate attraverso collazioni con gli originali e con riscontri e ricerche d’archivio. In proposito si deve rilevare che il carteggio, oltre a considerare in modo ampio e preponderante il mondo della matematica, riporta numerosi eventi della vita accademica e molti avvenimenti storici e politici, di cui Hermite è stato un diretto testimone, o eventi del passato di cui ha avuto notizia, avvenimenti che sono quasi sempre rievocati con
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commenti e valutazioni personali. A tali riferimenti si accompagnano sia i nomi di numerosi matematici, sia quelli di personaggi del mondo accademico estranei all’ambito della matematica, colleghi di Hermite alla Sorbona o al Collège de France, e perfino i nomi di uomini politici francesi e italiani o ammiragli e generali francesi e prussiani. I nomi estranei all’ambito delle scienze matematiche sono stati quasi sempre oggetto di ricerca ai fini della corretta decifrazione, e le notizie biografiche che sono state raccolte a tale scopo è sembrato utile raccoglierle succintamente nell’Indice storico. Le lettere sono riprodotte col criterio di conservare il testo originale, a tale scopo, ma tenendo presente l’esigenza di fruibilità del testo, è prevalsa la scelta di normalizzare i termini difformi rispetto al linguaggio corrente del tempo, e di indicare in nota quanto si presenta sull’originale. I rari termini arcaici, segnalati in nota, sono stati trascritti integralmente. Vanno inoltre segnalati alcuni termini di uso frequentissimo, che presentano in modo costante una grafia particolare, che non trova riscontro nella lingua normalizzata del periodo: “la quelle”, “la qu’elle”, “les qu’elles”, “les quels”, “au quel”, “aux quels”, che sono usati al posto di, “laquelle”, “lesquelles”, “lesquels”, “auquel”, “auxquels”, analogamente si trova la variante “maintennant”, al posto di “maintenant”. 1 Inoltre per alcuni termini si rilevano delle varianti che potrebbero essere considerate comuni errori materiali, se non fosse per la loro diffusione in tutto il carteggio e per costanza con cui sono impiegate: si tratta delle scritture “doeuil”, “joints”, “néamoins”, “guerre”, al posto di “deuil”, “joins”, “néanmoins”, “guère”. Per tutte queste varianti, data la frequenza del loro uso, si è preferito normalizzarle, senza segnalarne in nota il corrispondente originale, allo scopo di non appesantire eccessivamente e senza ragione l’apparato delle note. Le sigle come “1r”, “1e”, “3me”, “Fr”, “St”, “Rle” e simili sono state conservate. Le rare abbreviazioni, che non corrispondono a quelle codificate nell’uso della lingua francese, o nei casi in cui si è ritenuto opportuno per la fruizione del testo, sono state sciolte ponendo le corrispondenti integrazioni in parentesi quadre, in sostituzione del punto che costantemente le accompagna. Non appaiono indizi dell’elaborazione delle lettere, esse sembrano scritte senza ripensamenti salvo gli emendamenti di errori materiali, la correzione di qualche anticipazione di parola o inavvertenze consistenti 1 Le citate varianti ortografiche sono codificate e corrispondono ad una grafia fonetica diffusa ancora oggi sopratutto al confine tedesco (Mosella, Lorena dove nasce Hermite). Si veda: F. Brunot, Histoire de la langue française des origines à 1900, Paris, Colin, 1905; rist. agg. 1966; J. P. Seguin, La langue française au XVIIIe siècle, Paris, Bordas, 1972.
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in ripetizioni di scritture. La maggioranza di tali casi non ha rilevanza allo scopo primario dell’edizione, potendosi ovunque cogliere perfettamente la continuità del testo e di norma non vengono segnalati in nota. Nei rari casi, che sono specificati in nota, in cui si presentano macchie che ricoprono totalmente o parzialmente una parola, o sovrapposizioni di due parole, si è provveduto a inserire dei supplementi in coerenza con il contesto, racchiudendoli in parentesi quadre. Si è normalizzato l’uso degli accenti che sono spesso solamente accennati e si è provveduto a ristabilirli nei casi in cui risultavano mancanti, in modo analogo a quanto è stato riservato alle cediglie e ai traits d’union. Sono state conservate senza rilevarle in nota, le variazioni nell’uso delle maiuscole e delle minuscole, quelle nella grafia del nome proprio “Lincei” molto ricorrente e oscillante in “Linceï”, “Lyncœi”, “Lyncœï”, “Lyncei”, “Lynceï” e le variazioni nella grafia di “Chiò” e “Felice Chiò” che nell’originale sono costantemente “Chio” e “Felix Chio”. Le altre rare variazioni nella grafia di nomi propri che ricorrono una volta soltanto, sono state conservate segnalandole in nota. Sono state conservate le grafie francesizzate di alcuni cognomi, mentre la punteggiatura è stata rispettata anche nei casi in cui non è in perfetta coerenza col senso del testo, mentre è stata integrata solo nei rarissimi casi in cui fosse strettamente necessario per cogliere immediatamente il senso del discorso. Sugli originali i poscritti sono collocati in calce dopo la firma e senza alcuna sigla di contrassegno; nella trascrizione si è mantenuta la medesima collocazione facendola precedere dalla sigla [P. S.]. Un analogo trattamento è stato riservato alle frasi marginali scritte verticalmente sul bordo della lettera, che nell’originale, si trovano collocate, di solito, nella pagina finale. Nella missiva n. 92 si trova una postilla attribuibile a Genocchi, scritta in italiano, posta in calce alla terza pagina dell’originale, con la funzione, sembra, di promemoria. La postilla è stata trascritta con il testo conservando la sua collocazione. L’attribuzione a Genocchi si fonda sul riconoscimento dell’autografia, accertata riscontrando campioni coevi della sua scrittura. Le sottolineature autografe dello scrivente sono state sostituite trascrivendo in corsivo le scritture interessate. Anche le rare citazioni latine sono rese in corsivo. L’impaginazione della scrittura matematica non è sempre conforme al modello originale, dove in molti casi le formule matematiche, anche estese, sono collocate lungo il testo e scritte talvolta su righe successive. È parso quindi opportuno, per esigenze di maggiore chiarezza grafica,
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scorporare le formule troppo ingombranti scritte nel testo, trascrivendole su righe a sé. La scrittura matematica è stata riprodotta integralmente con qualche raro intervento, il segno usualmente impiegato nel testo è stato reso con . Nel riportare le formule, alcune sviste formali di manifesta evidenza sono state emendate e segnalate in nota. Le note riportano le informazioni storiche e scientifiche necessarie alla comprensione del testo: in esse si identificano i lavori a stampa citati e si danno le informazioni essenziali sui contenuti di quelli che presentano particolare rilievo o rivestono un interesse reiterato, si stabiliscono inoltre i richiami interni che individuano i gruppi di lettere riguardanti uno stesso tema. Per alleggerire le note, da esse sono escluse le informazioni biografiche, alle quali si riserva un apposito Indice storico, cui compete la funzione di raccogliere le sintetiche schede biografiche dei personaggi citati nelle lettere, siano essi matematici siano personaggi estranei al mondo della matematica, di cui forniscono notizie le più accreditate fonti premesse allo stesso Indice. I dati biografici di personaggi molto noti, quando siano citati incidentalmente, come Napoleone o Leopardi, sono stati esclusi, vengono riportati, limitandoli ai dati essenziali, quando interessano parti rilevanti di qualche missiva. Le fonti utilizzate per la compilazione di ciascuna scheda sono indicate in calce a ciascuna ricorrendo alle apposite sigle quando non siano segnalate per esteso. Tutti i personaggi citati nelle lettere sono compresi nell’Indice dei nomi che consente il loro reperimento all’interno del carteggio.
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1.[1] Paris 22 Novembre 1868 Monsieur, Je m’empresse de vous accuser réception de la lettre dont vous m’avez honoré, et de vous informer que je me ferais un plaisir de présenter à la prochaine séance de l’Académie pour être imprimé dans les Comptes rendus votre excellent article, sur un théorème de Cauchy. 1 La question des formes variées dont le polynôme X est susceptible, en y remplaçant x par – x2 et –x4 est extrêmement curieuse, et là évidemment l’Algèbre nous a ménagé une de ses rares ouvertures par lesquelles nous pouvons pénétrer dans le monde arithmétique. Votre article Monsieur est extrêmement intéressant, et M. Liouville j’en suis sûr n’en pensera pas autrement que moi. Si les devoirs de mon enseignement à l’École Polytechnique et à l’ École Normale, ne me prenaient tout mon temps je reviendrais avec le plus vif plaisir à ces belles questions où viennent se joindre Gauss, Cauchy et Dirichlet. Ainsi j’avais songé jadis à l’équation en tang π avec cet 2 espoir (peut-être vain) de parvenir par la voie n de l’Algèbre, à l’expression du nombre des classes quadratiques de a 2π déterminant 3 –n, au moyen de la somme ∑ tang n . Le temps pris par mes leçons et la fatigue qui en est la suite me font ajourner ces recherches. Veuillez agréer Monsieur l’expression de la haute considération avec laquelle j’ai l’honneur d’être Votre dévoué serviteur Ch. Hermite 1 A. Genocchi, Sur un théorème de Cauchy, «Comptes rendus hebdomadaires des séances de l’Académie des Sciences», 67 (1868), pp. 1035-1037. L’articolo, che riguarda l’aritmetica, riporta una dimostrazione di un teorema enunciato da Cauchy come estensione di un teorema di Gauss: se n è un intero dispari non divisibile per alcun quadrato, o il prodotto di un tal numero dispari per 4 o per 8, il quadruplo del primo membro dell’equazione binomia xn – 1 = 0 privato delle radici non primitive, potrà ridursi alla forma quadratica X2 ± nY2, X e Y essendo due funzioni intere della variabile x a coefficienti interi. Cfr. A. Cauchy, Sur les fonctions alternées et sur diverses formules d’analyse, «Comptes rendus hebdomadaires des séances de l’Académie des Sciences», 10 2 Nell’originale: cette. (1840), pp. 178-181. 3 Qui Hermite accenna alla determinazione del numero delle classi di forme quadratiche a coefficienti interi di discriminante (determinante) negativo, ed equivalenti rispetto a una trasformazione lineare unimodulare sui loro coefficienti. Questo problema, che già si pose Gauss e di cui compare la soluzione corretta coi cenni essenziali della dimostrazione in un suo manoscritto incompiuto, del periodo 1830-1835, fu ripreso e risolto da Dirichlet (cfr. Mathematics of the 19th Century, ed. A. N. Kolmogorov, A. P. Yushkevich, Basel, Birkhäuser Verlag, 1992, pp. 92-94, 137-170; P. G. Lejeune-Dirichlet, Vorlesungen über Zahlentheorie, Braunschweig, 1871). Per una valutazione sulle ricerche di Genocchi nella teoria dei numeri cfr. C. Viola, Alcuni aspetti
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2.[2] Aix-les-Bains (Savoie) 2 Juillet 1875 Monsieur, Votre lettre m’offre une occasion que je suis heureux de saisir pour vous témoigner les sentiments de haute estime que depuis longtemps m’ont inspirés vos travaux; je dois y joindre aussi mes remerciements pour l’obligeance que vous avez eue de m’envoyer vos mémoires, et je regrette que mon éloignement de Paris en m’empêchant de les avoir sous les yeux me prive du plaisir de vous signaler ceux qui m’ont le plus intéressé. Je me dédommagerai Monsieur, en vous instruisant dans l’état actuel des choses, en ce qui concerne l’importante question de la réimpression 1 des Œuvres de Cauchy, et en vous faisant part des motifs qui ont amené un retard que nous ne regrettons pas moins que vous, dans les résolutions à soumettre à l’Académie. Et d’abord un classement par ordre de matières, comme celui qui a été si heureusement employé par M. Schering, 2 pour les œuvres de Gauss, a paru présenter, en raison même de la nature du génie de Cauchy, des difficultés insurmontables. Souvent en effet, on trouve dans un seul et même mémoire, des résultats qui intéressent l’Analyse pure, et différentes théories d’Analyse, en même temps que des applications à l’Astronomie ou à la Physique. Dans l’impossibilité de faire une répartition par ordre de matières, des écrits dell’opera di Angelo Genocchi riguardanti la teoria dei numeri, in Angelo Genocchi e i suoi interlocutori scientifici, a cura di A. Conte, L. Giacardi, Torino, Deputazione subalpina di storia patria, 1991, pp. 20-25. Per la storia della teoria aritmetica delle forme cfr. L. E. Dickson, History of the theory of numbers, 3 voll., New York, Chelsea, 1952, vol. III. 1 Si tratta della pubblicazione delle opere di Cauchy (Œuvres complètes, Paris, 1882-1974) pubblicate su iniziativa dell’Académie des sciences di Parigi e da questa affidate alla direzione scientifica della sua Section de géométrie. Per i dettagli storici si veda l’introduzione di R. Taton al vol. XV delle Œuvres (1974). Il catalogo dei lavori di Cauchy che doveva servire di base alla pubblicazione delle sue opere fu quello che accompagna la sua biografia scritta da Valson nel 1868 in due volumi, che malgrado fosse criticata per l’impostazione agiografica, svolse pertanto un ruolo significativo. (cfr. C. A. Valson, La vie et les travaux du baron Cauchy, 2 voll., Paris, Gauthier-Villars, 1868). Una recensione particolarmente critica sul lavoro di Valson venne pubblicata da Bertrand nel 1869, come Hermite stesso riferisce nella lettera del 22 febbraio 1882 (cfr. nota 1, p. 81). 2 Schering, che dal 1852 fu studente a Göttingen, dove rimase per tutta la sua vita insegnando matematica, curò dal 1863 l’edizione dei primi sette volumi delle opere di Gauss (Werke, LeipzigBerlin, 1863-1933) corredate da commenti inediti e ampie analisi dei suoi contributi, che sono stati classificati per argomenti. L’edizione, pubblicata dalla Königliche Gesellschaft der Wissenschaften zu Göttingen, alla morte di Schering (1897) fu proseguita da Klein che contribuì, attraverso il reperimento di documenti e manoscritti, all’arricchimento dell’archivio di Gauss a Göttingen. L’edizione in dodici volumi fu terminata nel 1933.
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de Cauchy, où il faut bien reconnaître plus de génie que d’unité de vue, l’ordre chronologique a été adopté non seulement comme évitant l’arbitraire, mais parce qu’il offre la succession et l’enchaînement des idées de l’inventeur, ce qui a paru préférable à toute classification. On a été d’accord, également pour une reproduction textuelle; les rectifications, les éclaircissements les commentaires, si désirables et souvent si indispensables, pour des œuvres à la fois imparfaites et admirables, entraîneraient dans un travail immense, et reculeraient trop la publication. Mais un sérieux dissentiment s’est produit sur la question suivante. Les écrits de Cauchy se partageant naturellement en trois divisions, à savoir: ouvrages séparés, articles de Comptes rendus, et mémoires détachés publiés en dehors des Comptes Rendus, à laquelle convient-il de donner la priorité? Mon sentiment personnel et ma conviction bien arrêtée, c’est que les articles des Comptes rendus, réclament impérieusement au point de vue de l’utilité pour tous les géomètres, et dans l’intérêt de la gloire de leur auteur, d’être immédiatement réédités. Je crois en effet que leur dissémination dans 40 gros volumes, met une difficulté matérielle qui équivaut à l’impossibilité de les étudier dans leur ensemble et surtout d’essayer d’y retrouver un résultat qu’on sait cependant y être. C’est réduire sans doute à quelque chose de bien modeste, le rôle des éditeurs des œuvres de Cauchy, en se bornant à réunir bout à bout, une suite d’articles, qui seront tous reproduits textuellement et sans commentaires. Mais la conviction que cette réunion d’articles, fera pour la première fois connaître, un grand nombre des plus belles productions de Cauchy, restées comme enfouies dans une volumineuse collection, me fait vivement désirer qu’on attaque sur le champ cette portion importante de l’œuvre totale. Malheureusement pour moi, cette conviction n’est point partagée par plusieurs de mes honorés confrères qui donnent aux ouvrages séparés, Analyse algébrique, Cours de l’ École Polytechnique, Exercices mathématiques, une préférence fondée principalement sur ce motif, que les ouvrages sont épuisés, tandis que toutes les bibliothèques scientifiques contiennent certainement la collection des Comptes rendus. Mais je dois me borner à ces quelques indications, qui m’autorisent sans doute, Monsieur, à solliciter dans le but de nous éclairer, votre avis que tous nous accueillerons 1 avec la plus grande gratitude, et c’est en vous renouvelant l’expression de mes sentiments de haute estime, que je vous prie de me croire Votre très humble et dévoué serviteur. Ch. Hermite 1
Nell’originale: que tous nous accueillerons tous.
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3.[3] Paris 27 Décembre 1876 Monsieur, J’ai lu avec le plus grand intérêt la lettre que vous m’avez fait l’honneur de m’adresser, et je m’empresse de vous donner l’assurance que je répondrai autant qu’il m’est possible à vos intentions, en m’associant aux mesures que l’Académie jugera devoir prendre, pour obtenir les pièces nécessaires à l’édition des Œuvres de Lagrange 1 entreprise par M. Serret. Je dois néanmoins Monsieur vous déclarer bien ouvertement, que l’initiative de ces mesures, je ne puis la prendre, et qu’en croyant utile comme vous l’intervention de l’Académie, il ne m’appartient aucunement de la provoquer. C’est au bureau de l’Académie, et spécialement, ce me semble, à MM. les Secrétaires perpétuels que revient de droit un tel honneur. L’ Édition des Œuvres de Lagrange est en effet publiée sous les auspices du Ministère de l’Instruction Publique, et l’intervention du Ministre des Affaires Étrangères auprès de Lord Ashburnham, 2 pourrait être directement réclamée et obtenue par M. Serret. Que l’Académie appuie cette demande, qu’elle s’en fasse l’organe officiel, c’est à elle ou plutôt aux savants éminents qui la représentent, comme Secrétaires perpétuels, d’en être juges. Plus tard je connaîtrai mieux, après m’en être 1 Si tratta dell’edizione delle opere di Lagrange (Œuvres de Lagrange, Paris, 1867-92). Serret ha curato l’edizione dei primi dieci volumi (1867-84), l’undicesimo (1888) e il dodicesimo (1889) sono stati pubblicati a cura di Darboux; le lettere sono raccolte nei due successivi volumi pubblicati nel 1882 e nel 1892 con un commento dello storico L. Lalanne, il tredicesimo a cura di Serret e il quattordicesimo a cura di Darboux. 2 L’annuncio del possibile intervento del Ministro degli esteri francese presso il bibliofilo inglese Bertram Ashburnham si collega, così sembra suggerire la lettera, al reperimento di documenti di rilevante utilità per l’edizione delle opere di Lagrange curata da Serret. Il riferimento ad Ashburnham si collega con ogni probabilità al fatto che quei manoscritti potevano trovarsi tra i quattro cospicui gruppi di codici della sua collezione (1923 mss. del fondo Libri, acquistati nel 1847; 702 mss. del fondo Barrois e 996 del fondo Stowe, acquistati nel 1849 oltre ad una così detta appendice di circa 250 pezzi). Dei fondi d’origine esistono cataloghi che si riferiscono alla permanenza dei codici presso lord Ashburnham e un indice generale per autori: A catalogue of the Mss. at Ashburnham place, London, 1853, printed by Charles Francis Hodgson. In questo sono elencati due codici di Lagrange: Lettres inédites et memoires mathématiques e Memoires sur le calcul des eclipses. Traduit de l’allemand. Nel fondo Libri erano conservate alcune lettere di Eulero a Lagrange (Ashb. 1853) e di D’Alembert a Lagrange (Ashb. 1855). L’intera collezione fu messa in vendita dal 1880, dopo la morte di Ashburnham avvenuta nel 1878. Molte notizie sulla discussa origine della collezione che fu al centro di una inchiesta promossa dal ministero della pubblica istruzione francese, si trovano in: Léopold Delisle, Les manuscrits du comte d’Ashburnham. Rapport au ministre de l’instruction publique et des beaux-arts..., Paris, 1883. Questo vasto rapporto contiene fondamentalmente gli esiti delle indagini ministeriali sulla provenienza dei fondi Libri e Barrois. Vi si trovano inoltre delle osservazioni sui più antichi manoscritti dei fondi e le indicazioni bibliografiche dei cataloghi dei fondi originari.
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entretenu avec ceux de mes confrères qui y sont directement intéressés, une question dont je n’ai entendu parler qu’indirectement par un membre de l’Académie qui mêlait le nom de Libri à celui de Lord Ashburnham. Et c’est ce qui m’a fait sentir combien elle était délicate, combien par suite il est nécessaire de la laisser à ceux qu’une situation plus élevée permet de juger à fond et d’apprécier les choses. Mais une autre question dont vous voulez bien aussi me parler, Monsieur, présente moins de difficultés, ou plutôt des difficultés d’une nature moins complexe. Point n’est besoin en effet d’intervention diplomatique, pour publier les Œuvres de Cauchy, mais il faut de l’argent, et il s’agit pour l’Académie qui ferait pour son plus illustre géomètre, ce qu’a fait pour Gauss, la Société Royale de Gœttingue, 1 d’obtenir du gouvernement, et spécialement du Ministère de l’Instruction Publique, les fonds nécessaires à une entreprise considérable. Une certaine connexion lie la publication des Œuvres de Cauchy à celle 2 de Lagrange, et cette dernière une fois terminée on espère que l’autre enfin pourrait être commencée. Veuillez agréer Monsieur, avec mes souhaits pour la nouvelle année, pour votre bonheur et le succès de vos travaux, la nouvelle assurance de ma haute estime et de mes sentiments bien dévoués. Ch. Hermite 4.[4] Paris 4 Janvier 1878 Monsieur, Je reçois avec émotion la nouvelle de l’insigne honneur que m’a accordé votre illustre Académie en me nommant l’un de ses Associés Étrangers 3 et je viens vous prier de vouloir bien être auprès de vos honorés confrères interprète de ma respectueuse et profonde reconnaissance. Vous voulez bien aussi Monsieur, m’inviter à occuper une place dans le recueil des Mémoires de l’Académie qui vient de m’honorer d’une si haute distinction; il ne tiendra pas à moi de répondre bientôt à votre bienveillant appel, m’estimant heureux qu’il me soit ainsi permis de vous offrir un faible témoignage d’une gratitude et d’une sympathie que je sens mieux que je ne puis l’exprimer. 1 Si tratta della Königliche Gesellschaft der Wissenschaften zu Göttingen che ha patrocinato l’edizione delle opere di Gauss citate nella precedente lettera del 2 luglio 1875 (cfr. nota 2, p. 2 Nell’originale: celles. 32). 3 Si tratta della nomina di Hermite a Socio Straniero della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali che gli fu conferita con voto unanime dei dodici soci presenti, dalla Reale Accademia delle Scienze di Torino nella seduta di domenica 30 dicembre 1877.
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Je suis Monsieur avec les sentiments de la plus haute estime votre reconnaissant et bien dévoué confrère Ch. Hermite 5.[5] Château de St. Germain-en-Laye 1 (Seine-et-Oise) Le 6 Février 1878 Monsieur, Au nom de l’équité et de la justice je viens vous prier de m’autoriser à communiquer à l’Académie la partie analytique de votre dernière lettre, afin qu’elle paraisse dans les Comptes rendus. 2 Je connais très imparfaitement les Annales de Tortolini, 3 et les archives de Grunert; 4 la méthode que vous avez donnée en 1855 pour établir la formule sommatoire de 1 La prima pagina della presente missiva è redatta su un foglio di carta intestata che reca allineate a sinistra le scritte: Ministère / de / l’instruction publique / et des beaux-arts / Direction / des / musées nationaux / Musée de St-Germain; a destra il luogo, l’articolo che precede la cifra del giorno, il mese e le prime tre cifre dell’anno. La data è integrata dalle aggiunte autografe. 2 L’estratto della lettera di Genocchi a cui fa riferimento Hermite è il seguente: A. Genocchi, Sur la formule sommatoire de Maclaurin et les fonctions interpolaires, «Comptes rendus hebdomadaires des séances de l’Académie des Sciences», 86 (1878), pp. 466-469. Questa breve nota riporta in sintesi i risultati di due lavori: la parte riguardante la serie di Maclaurin di un suo articolo del 1855 (A. Genocchi, Intorno ad alcune formule sommatorie, «Annali di scienze matematiche e fisiche», 6 (1855), pp. 70-114, pp. 91-107) e alcuni suoi risultati del 1869 sulle funzioni interpolari di Ampère e sul resto della formula d’interpolazione di Newton sotto forma di integrali multipli (A. Genocchi, Relations entre la différence et la dérivée d’un même ordre quelconque, «Archiv der Mathematik und Physik», 49 (1869), pp. 342-345). Genocchi ha scritto la nota rivendicando la priorità dei suoi risultati ai quali Hermite, come si legge in questa missiva e nella successiva ha reso giustizia (cfr. let. 6, p. 38). Hermite, alcuni giorni dopo la morte di Genocchi, nella sua lettera a Siacci del 12 marzo 1889, scriverà: «Genocchi s’est beaucoup occupé des fonctions interpolaires d’Ampère, et je me suis rencontré avec lui sur ce sujet, en donnant, sous forme d’intégrale multiple, l’expression du reste dans la formule d’interpolation de Lagrange, lorsqu’on l’arrête à un nombre déterminé de termes. Le résultat que j’avais cru découvrir avait été anciennement obtenu par lui, et, pour établir ses droits de priorité, j’ai donné communication à l’Académie des Sciences d’une lettre sur cette question importante, qui a paru dans les Comptes-rendus...». La lettera di Hermite è riportata da Siacci: Id., Cenni necrologici di Angelo Genocchi, «Memorie della Reale Accademia delle Scienze di Torino», s. II, 39 (1889), pp. 463-495, p. 470. Per la definizione e le proprietà delle funzioni interpolari si veda: A. Genocchi, Calcolo differenziale e principii di calcolo integrale pubblicato con aggiunte dal Dr. Giuseppe Peano, Torino, 1884, pp. 90-95; nelle Annotazioni che precedono il testo si veda l’interessante nota storica N. 84-87, pp. XX-XXIII. 3 Si tratta degli «Annali di scienze matematiche e fisiche compilati da Barnaba Tortolini», fondati da Tortolini nel 1850, che presero poi il nome, tuttora conservato, di «Annali di matematica pura e applicata», nella seconda serie pubblicata a Roma (1858-66) in collaborazione con Betti, Brioschi e Genocchi. 4 Si tratta del periodico «Archiv der Mathematik und Physik», fondato da Grunert nel 1841.
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Maclaurin ne m’était donc jamais venue sous les yeux, mais ce sont surtout les expressions de ∆n f(x) et des fonctions interpolaires au moyen d’intégrales multiples, qu’il est pour moi absolument nécessaire de citer au plus tôt, 1 pour ne point manquer à un devoir de justice, puisque vous m’avez précédé dans une voie que je me croyais seul à tenir. Il me serait extrêmement agréable de m’acquitter de ces devoirs en publiant la lettre que vous m’avez adressée et dont je vous remercie sincèrement, et sauf avis contraire de votre part, j’en donnerai communication à l’Académie, non dans la prochaine séance, mais dans la suivante 2 devant à la fin de la semaine m’absenter de Paris pour quelques jours. M. Siacci m’a récemment fait savoir que le Prince Boncompagni désirait connaître l’époque où M. Gauthier-Villars commencerait enfin, l’impression des Œuvres de Cauchy pour en donner la bonne nouvelle aux lecteurs de son recueil, et une demande que j’avais faite afin de répondre à ses intentions n’avait eu comme je le lui ai dernièrement écrit qu’un résultat à peu près négatif. Maintenant les choses ont changé de face, et lundi dernier j’ai reçu l’autorisation la plus formelle de M. Gauthier-Villars de faire savoir au Prince Boncompagni qu’il peut s’il le juge convenable, annoncer dans le Bullettin bibliographique, 3 que ses presses fonctionnent, et que le vœu si longtemps ajourné des admirateurs du grand géomètre Français est enfin rempli. En ce qui concerne les Comptes Rendus où tant de richesses enfouies sont restées presque inconnues au moins pour le plus grand nombre, la nouvelle édition sera véritablement une résurrection, et le plaisir de voir tant de trésors d’Analyse me récompensera déjà de la peine de corriger les épreuves, que je dois partager avec M. Bouquet, M. Puiseux et M. Bonnet, car M. Chasles à cause de son âge et M. Serret à cause de sa santé ne s’en occuperont point. Je me promets Monsieur d’étudier prochainement, avec les soins que réclament les sujets qui touchent de si près à mes propres recherches, votre article du C[ahier] 49 des Archives de Grunert 4 et s’il y a lieu de vous en écrire. Recevez, en attendant, mes remerciements pour l’annonce que vous avez bien voulu me faire de l’envoi du brevet de membre étranger de votre Académie. 5 C’est un de ces encouragements bien rares qui donnent les moyens de surmonter les peines attachées au 1
Nell’originale: plutôt. L’estratto della lettera di Genocchi (cfr. nota 2, p. 36) fu presentato da Hermite all’Académie des sciences nella seduta di lunedì 18 febbraio 1878. 3 Si tratta del «Bullettino di bibliografia e di storia delle scienze matematiche e fisiche» fondato da Boncompagni nel 1868. 4 Richiama ancora l’articolo di Genocchi: Relations entre la difference... (cfr. nota 2, p. 36). 5 Cfr. nota 3, p. 35. 2
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travail et les défaillances qu’il amène et que j’éprouve souvent. J’y suis on ne peut plus sensible, et avant de vous adresser un travail qui soit d’une manière quelconque le témoignage de ma gratitude, je viens vous prier d’accepter la pauvre image de l’auteur, ainsi que les sentiments de profonde et bien vive reconnaissance qui vous sont tout particulièrement dus. J’y joins Monsieur l’expression de ma haute estime, en me disant Votre bien dévoué et affectionné confrère Ch. Hermite 6.[6] Paris 22 Février 1878 Monsieur, Vous trouverez dans le prochain n° des Comptes rendus, la lettre que vous m’avez autorisé à communiquer à l’Académie et dont j’ai corrigé les épreuves avec tout le soin possible. 1 Il me tardait de vous rendre ainsi justice en reconnaissant que bien longtemps avant moi vous aviez obtenu, au moins pour la formule d’interpolation due à Newton, l’expression du reste, sous forme d’intégrale multiple. Je n’ai sans doute point besoin de vous assurer que le mémoire des Annales de Tortolini sur quelques formules sommatoires, ni la note en Français 2 sur les relations entre la différence et la dérivée d’un même ordre quelconque, n’étaient venus à ma connaissance, et c’est avec le plus grand plaisir que j’en ai fait l’étude dans les exemplaires que vous avez eu l’obligeance de m’envoyer. Je regrette seulement de n’avoir pu mettre à profit dans mon cours de l’ École Polytechnique, votre déduction si claire et si facile, mais qui avait échappé avant vous, et qui vous appartient entièrement, pour établir la relation: n
∆
y = hh1 ... hn–1 f n (x + θ h + ... + θ n–1 hn–1)
Comme vous Monsieur, j’avais senti qu’il y avait quelque chose de ∆n y meilleur à dire relativement à la limite: n , que ce qui se trouve dans d y tous les traités élémentaires, lesquels se transmettent si fidèlement et 1 Si tratta dell’estratto della lettera di Genocchi a Hermite, citato nella lettera del 6 febbraio 1878, che Hermite ha presentato all’Académie des sciences per la pubblicazione (cfr. nota 2, p. 36). 2 Si tratta dei due lavori di Genocchi del 1855 e del 1869 già citati nella lettera del 6 febbraio 1878 (cfr. infra nota 2, p. 36).
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comme s’ils craignaient d’y toucher, tant de choses médiocres ou mauvaises. Et c’est, ce qui m’avait porté à conclure cette proposition, de la série de Taylor, préalablement établie, mais votre méthode est de beaucoup préférable. Le temps et surtout une suffisante liberté d’esprit me manquent maintenant pour étudier en les approfondissant comme il serait nécessaire vos recherches sur la formule de Lagrange, de Cauchy, de Binet, et je vous sais extrêmement gré d’en avoir extrait la démonstration de la formule de Maclaurin et des importantes propositions de M. Malmsten. Vous êtes Monsieur d’une école mathématique qui est aussi la mienne; tous deux nous faisons de cette analyse, de la bonne vieille roche, qui avant tout veut être simple et claire, en suivant les maîtres qui se nomment Euler, Lagrange, Gauss et Jacobi. À Dieu ne plaise que je veuille diminuer le mérite et le génie des maîtres plus nouveaux, et je ne refuse point mon admiration au génie de Riemann. Mais son influence sur la Science présente me semble moins heureuse que celle des grands inventeurs qui l’ont précédé. Dans un beau et important travail 1 que vous avez bien voulu m’adresser il y a quelques mois et dont j’ai fait la lecture pendant les vacances dernières avec le plus grand plaisir, vous avez exprimé sur ces étranges conceptions de la géométrie non Euclidienne, de l’espace à courbure constante ou non, etc une opinion qui est fondamentalement la mienne. 2 Votre appréciation 1
Nell’originale: important de travail. Hermite allude all’atteggiamento critico di Genocchi verso le geometrie non euclidee. Le ricerche di Genocchi sull’argomento, dal 1869 al 1877, furono pubblicate nelle seguenti memorie: 1) Intorno ad una dimostrazione di Daviet de Foncenex, «Atti della Reale Accademia delle Scienze di Torino», 4 (1869), pp. 323-327. 2) Dei primi principi della meccanica e della geometria in relazione al postulato d’Euclide, «Memorie di matematica e fisica della Società italiana delle Scienze (detta dei XL)», s. III, 2 (1869), pp. 153189. 3) Lettre à M. Ad. Quetelet, secrétaire perpétuel de l’Académie, sur diverses questions mathématiques, «Bulletin de l’Académie Royale des Sciences de Belgique», s. II, 36 (1873), pp. 124-139, pp. 181196. 4) Sunto di una memoria di A. Genocchi. Intorno ai principi della geometria, «Atti della Reale Accademia delle Scienze di Torino», 12 (1877), pp. 489-494. 5) Sur un mémoire de Daviet de Foncenex et sur les géométries non euclidiennes, «Memorie della Reale Accademia delle Scienze di Torino», s. II, 29 (1877), pp. 365-404. Un’ analisi sui loro contenuti critici e sulla controversia di Genocchi con Beltrami relativa alla interpretazione della geometria iperbolica sulla pseudosfera si trova su: L. Fenoglio e L. Giacardi, La polemica Genocchi-Beltrami sulle superficie pseudosferiche: una tappa nella storia del concetto di superficie, in Angelo Genocchi e i suoi interlocutori scientifici, a cura di A. Conte, L. Giacardi, Torino, Deputazione subalpina di storia patria, 1991, pp. 155-209. Inoltre su questo argomento che trova in Genocchi un attento interlocutore si trovano informazioni e approfondimenti nell’edizione: L. Boi, L. Giacardi, R. Tazzioli, La découverte de la géométrie non euclidienne sur la pseudosphère. Les lettres d’Eugenio Beltrami à Jules Hoüel (1868-1881), Paris, A. Blanchard, 1998. In riferimento a Genocchi, oltre all’introduzione, si vedano le lettere in appendice e le citazioni che lo riguardano, lungo tutto il testo. 2
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de ce genre de travaux est on ne peut plus concluante, et en vous lisant je me laissais aller à croire qu’il y a pour la Science, comme une Providence particulière, qui accorde ou retire, ou au moins dispense moins largement ses dons. Je pense que notre temps qui a revu et qui revoit la guerre, et qui partage, je parle hélas pour la France, des nouvelles catastrophes, porte le sceau d’une fatalité qui pèse même sur la Science. Vous voyez Monsieur que je me mets parmi les laudatores temporis acti, 1 je me mets surtout parmi ceux qui aiment et honorent les travaux consciencieux et approfondis comme les vôtres, et c’est en vous exprimant toute l’estime et la sympathie qu’ils m’inspirent que je vous renouvelle l’expression de mes sentiments affectueux et bien dévoués Ch. Hermite 7.[7] Paris 21 Juin 1878 Monsieur, J’avais compté sur les vacances pour m’acquitter de la promesse que vous me rappelez, et satisfaire à un engagement d’honneur en payant une dette de vive et profonde reconnaissance. Cependant et quel que 2 soit le peu de temps que me laissent mes devoirs je ne veux point laisser votre bienveillant appel sans un mot de réponse; j’ajournerai, afin d’avoir tout le loisir nécessaire, une recherche plus étendue à laquelle j’ai songé, pour me donner l’honneur de l’offrir à l’Académie par votre intermédiaire, et m’adressant en ce moment à l’auteur de nombreux et excellents travaux sur le théorie des intégrales Eulériennes, je me permets de vous communiquer sur un point fondamental de cette théorie la remarque suivante. Cauchy a montré rapidement dans son mémoire sur les intégrales définies prises entre des limites imaginaires 3 (page 44) comment on peut conclure de l’équation: π
2u
1
cot π u =
1 1 1 + + + ... 2u 2 u 2 − 1 u 2 − 4
È un adattamento di un verso di Orazio, Ars poetica, 173. Nell’originale: quelque. 3 Si tratta di: A. Cauchy, Mémoire sur les intégrales définies, prises entre des limites imaginaires, Paris, 1825. 2
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la formule approchée, pour n très grand: 1
n n+ 2 1 = 2π 1 ⋅ 2 ⋅ 3... ne n
en ajoutant bien peu de chose à son analyse, vous allez voir qu’on parvient à la relation:
FH
log Γ ( n ) = n −
IK
1 1 log n − n + log 2π + 2 2
z
0
−∞
ϕ ( x ) e nx dx
où j’ai fait: e x (2 − x ) − 2 − x x2 1− ex
ϕ( x) =
a
f
et qui est aussi l’une de ses belles découvertes. Je présenterai ainsi sous un point de vue nouveau, la théorie des intégrales Eulériennes, en me bornant à rapprocher aux pensées du grand géomètre, qu’un long intervalle de temps a 1 séparées, disjecti membra poëtæ. 2 Pour cela, je pars de la formule: π cota π =
z a−1 − z − a dz 0 1− z
z
1
qui se tire aisément de la relation: π cot a π − cot bπ =
z
∞
0
z a−1 − z b−1 dz 1− z
en faisant d’abord, b = 1–a, et transformant ensuite l’intégrale en une autre dont les limites sont zéro et l’unité, au moyen de l’égalité:
z
∞
0
z
1
z
∞
F ( z ) dz = F ( z ) dz + F ( z ) dz = 0
1
z LMN 1
0
F (z) −
FH IK OP dz Q
1 1 F z z2
J’observe maintenant que du développement: 1 zn = 1 + z + z 2 +L+ z n−1 + 1− z 1− z
1
Nell’originale: à.
2
Sono le parole di Orazio, Satire, I, 4, 62.
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on conclut ce résultat: 1 1 1 1 − + − +L + a 1− a a +1 2 − a 1 z a −1 − z − a 1 1 + − + z n dz a + n −1 n − a 0 1− z
π cotaπ =
z
1 − a et posons z = ex, nous obtiendrons la 2 formule sur laquelle je vais opérer, à savoir:
Changeons encore a en
1 1 − + 1 1 −a +a 2 2 1 1 + − + 2n − 1 2n + 1 −a +a 2 2
π tang aπ =
1 1 − +L 3 3 −a +a 2 2 0 ax e − e − ax nx 1 1 e dx −∞ e 2 x − e − 2 x
z
Je passe dans le premier membre les fractions partielles
1 1 −a 2
−
1 1 +a 2
, je
multiplie ensuite par a da, et j’intègre entre les limites a = 0, a = 1 . Un cal2 cul facile, que je développerai plus bas, donne d’abord, l’intégrale définie:
z! 1 2
0
π tang aπ −
"
1 1 1 − a + 1 + a ada = 1 − log 2π 2 2
Passant ensuite au second membre, j’observe que l’intégration des fractions simples, s’effectuera par la formule:
z! 1 2
0
"
1 1 2k + 1 k + 1 − ada = −1 + log 2k + 1 − a 2k + 1 + a 2 k 2 2
et nous conduira à l’expression: 3 5 7 − n + 1 + log 2 + log 3 − log 2 + log 4 − log 3 + 2 2 2 2n − 1 log n − log ( n − 1) L+ 2
a
f a
f
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qui se réduit facilement à: 2n − 1 log n 2 Enfin et à l’égard de l’intégrale définie qui forme le terme complémentaire, nous trouverons immédiatement: − n + 1 − log Γ ( n ) +
1
1
e 2 x ( x − 2) − e − 2 x ( x + 2) e −e da = 0 2x2 Faisant donc comme plus haut: 1 2
za
− ax
ax
f
1
ϕ ( x) =
1
e 2 x ( x − 2) − e − 2 x ( x + 2) 1
1
x 2 e 2x − e −2x
=
e x (2 − x ) − 2 − x x2 1− ex
a
f
vous voyez que la relation obtenue: 1 1 − log 2π = − n + 1 − log Γ ( n ) − log 2π +
1 2
z
0
z
0
ϕ ( x ) e nx dx
−∞
ϕ ( x ) e nx dx
donne bien l’équation de Cauchy:
FH
log Γ ( n ) = n −
IK
1 1 log n − n + log 2π + 2 2
−∞
Toutefois elle n’est établie qu’en supposant n un nombre entier et il me reste à l’étendre, ce qui sera facile, à un argument quelconque, mais auparavant je remarquerai que la fonction j (x) est pour toute valeur réelle de la variable, positive et moindre que l’unité. On a en effet, si l’on pose: 1 αn = : 1 ⋅ 2 ⋅ 3K n ϕ( x) =
x2 x4 2 + (α 6 − α 7 ) 4 +L 2 2 x2 x4 1 + α 3 2 + α 5 4 +L 2 2
α 2 − α 3 + (α 4 − α 5 )
et vous voyez que les coefficients des diverses puissances de la variable au numérateur sont positifs et inférieurs aux coefficients des puissances du même exposant dans le dénominateur. Nous pouvons donc poser:
z
0
−∞
ϕ ( x ) e nx dx = θ
z
0
θ
−∞
n
e nx dx =
Nell’identità che segue, che si presenta nell’originale, si osserva che l’addendo – log 2π 2n − 1 al secondo membro è spurio, esso è stato inavvertitamente scritto al posto di log n. 2 1
44
giacomo michelacci
θ étant plus petit que un, ce qui démontre la formule:
FH
log Γ ( n ) = n −
IK
θ 1 log n − n + log 2π + 2 2n
Soit ensuite en remplaçant le nombre entier par une quantité a quelconque: 1 1 0 F ( a ) = a − log a − a + log 2π + ϕ ( x ) e ax dx 2 2 −∞ nous aurons:
FH
IK
z
1 1 1 D a2 F ( a ) = + 2 + a 2a 2
z
0
−∞
x 2ϕ ( x ) e ax dx
1 par la progression 1+ ex 1− e x 2x + e + ··· qui est convergente lorsque la variable est négative, et il vient ainsi:
Cela posé je remplace dans l’intégrale,
x 2ϕ ( x ) e ax = ( 2 − x ) e ( a+1 ) x + e ( a+2 ) x +L − ( 2 + x ) e ax + e ( a+1 ) x +L = − ( 2 + x ) e ax − 2 xe ( a+1 ) x − 2 xe ( a+2 ) x −L d’où:
1 2
z
0
−∞
1 1 1 1 + +L x 2ϕ ( x )e ax dx = − + 2 + a 2a ( a + 1) 2 ( a + 2) 2
Nous avons donc:
D a2 F ( a ) =
1 1 1 + + +L = Da2 log Γ ( a ) a 2 ( a + 1) 2 ( a + 2) 2
et par conséquent: F(a)=log Γ (a), puisque l’égalité a lieu quand la variable est un nombre entier quelconque. J’ai encore à vous donner la détermination de l’intégrale dont j’ai fait usage en commençant:
z! 1 2
0
π tang aπ −
1 + 1 −a 2
"
1 a da = 1 − log 2π 1 +a 2
Pour cela, je remarque qu’en faisant:
F ( a ) = log
1 − 4a 2 cos aπ
le lettere di charles hermite a angelo genocchi
45
on aura:
F ' ( a ) = π tang aπ −
1
1
+
1 −a 2
1 +a 2
de sorte que nous pouvons intégrer par parties et écrire:
FH IK z F (a)da z 1 4 = log − z log a1 − 4 a f da + z log cos a π da 2 π 1 2
0
1 1 F ' ( a )a da = F − 2 2 1 2
1 2
0
1 2
2
0
0
Or on obtient facilement:
z
1 2
0
a
f
log 1 − 4 a 2 da = log 2 − 1
et il ne reste plus qu’à trouver l’intégrale
z
1 2
0
log cosa π da
que je représente par A. Mettons A=
z z
1 2
0
1 − a au lieu de a, on aura: 2
log sin aπ da
et il sera facile de voir aussi qu’on obtiendrait: 1
A = 1 log sin aπ da 2
d’où par suite: 2A =
z
1
log sin aπ da
0
C’est cette remarque si simple qui conduit à la valeur cherchée. Ayant en effet: 2A =
z
1 2
0
z
1
log sin a π da + 2 log cos aπ da = 0
z
1 2
0
b
d’où: 2A =
z
1 2
0
log
sin 2aπ 1 da = − log 2 + 2 2
z
1 2
0
g
log sin aπ cos aπ da
log sin 2 aπ da
46
giacomo michelacci
1 vous voyez qu’en remplaçant a par a , dans cette dernière intégrale on 2 obtient:
z
1 2
z
1 1 log sin aπ da = A 0 2 0 1 et nous en concluons immédiatement: A = − log 2 et la valeur de 2 l’intégrale proposée en résulte. Je m’empresse de porter cette lettre à la poste pour qu’elle arrive en temps utile; dans quelques jours vous recevrez la suite. Mes remerciements pour votre article sur les fonctions interpolaires et la nouvelle assurance de ma haute estime et de mes sentiments bien dévoués log sin 2aπ da =
Ch. Hermite 8.[8] Paris 5 Octobre 1878 1 Monsieur, Je réponds à votre appel, mais non comme je l’avais espéré, et comme je l’aurais voulu. Toutes les vacances qui sont ordinairement mon temps le meilleur pour le travail, j’ai été malade d’une fièvre larvée et dans un état de faiblesse tel que tout travail sérieux m’a été impossible. C’est seulement depuis quinze jours que j’ai pu me remettre un tant soit peu à l’étude, mais sans pouvoir me risquer à entreprendre une recherche difficile, qui exige de grands efforts. Je me suis donc résigné à ne point poursuivre ce que je m’étais proposé de vous adresser pour l’Académie, il y a quelques mois, et craignant en voulant faire mieux, de ne faire rien, je me suis rejeté sur des questions moins nouvelles, mais plus faciles afin d’être sûr de tenir une promesse et de remplir un engagement auxquels j’avais grandement à cœur de ne point manquer. Permettez-moi Monsieur de vous demander d’exprimer encore, en offrant mon petit travail à l’Académie, 2 l’expression de mes sentiments de respectueuse et vive 1
Nell’originale superiormente alla parola “Octobre” si trova scritta da una mano diversa l’abbreviazione “novem”. L’annotazione è fatta a penna con inchiostro più chiaro e di colore tendente al bruno, mentre il testo base di Hermite è in inchiostro nero tendente al grigio. La mano sembra essere di Genocchi, come risulta da un confronto con la sua grafia nel Registro delle lezioni di Calcolo infinitesimale dell’anno accademico 1877-1878 (lezioni 85-88) conservati alla Biblioteca Comunale Passerini-Landi di Piacenza (Fondo Genocchi, busta SS). Tuttavia la correzione che la postilla sembra suggerire non trova alcun riscontro interno alla presente missiva. 1 z a −1 − z − a 2 Si tratta del lavoro seguente: C. Hermite, Sur l’integrale dz , «Atti della Reale 0 1− z Accademia delle Scienze di Torino», 14 (1878), pp. 91-115.
z
47
le lettere di charles hermite a angelo genocchi 1
gratitude, pour l’insigne honneur que je dois à sa bienveillance. C’est également avec joie et reconnaissance que j’ai reçu, quelques jours avant de tomber malade, le titre 2 qui me fait une seconde fois votre confrère, comme membre de la Société Italienne. Ce qui serait Monsieur, la meilleure récompense du travail, que l’espoir de trouver des amis, parmi ceux qui loin de moi poursuivent les mêmes études et portent le même fardeau, souvent bien lourd. M. De Gasparis ne sait point qu’un ami commun m’a depuis longtemps parlé de lui, et qu’il me semble presque le connaître. M’est-il permis Monsieur de vous dire qu’en vous lisant, il me semble aussi vous entendre? en m’enhardissant à votre égard, avec la plus grande indiscrétion, j’oserai vous adresser une prière; c’est de vouloir bien dans votre prochaine lettre, me donner l’expression dé1 couverte pour Γ ( x ) , par M. Weierstrass, dont vous parlez dans un de vos écrits, comme prouvant la possibilité d’un développement suivant 1 les puissances descendantes de x . Il m’a été impossible, à cause des notations, de rien saisir dans son mémoire sur les Facultés Analytiques. 3 Soyez aussi assez bon Monsieur, pour me rappeler au souvenir de M. Siacci, et lui dire que la maladie a arrêté pour quelque temps encore la suite de mes recherches sur l’éq[uation] de Lamé. 4 Veuillez lui demander, s’il lui serait agréable d’avoir ma pauvre image, et dans le cas où il témoignerait la désirer, la lui offrir de ma part. Mes sentiments de haute estime et d’affection. Ch. Hermite 1
Cfr. nota 3, p. 35. Hermite allude alla sua elezione a Socio Straniero della Società Italiana delle Scienze, avvenuta il 13 luglio 1878, ricoprendo il posto lasciato vacante tra i Soci Stranieri dalla morte del chimico e fisico francese Antoine César Becquerel avvenuta il 18 gennaio 1878 (cfr. «Memorie di matematica e fisica della Società Italiana delle Scienze», s. III, 4 (1882), p. XVI). 3 Si tratta della memoria: K. Weierstrass, Über die theorie der analytischen Facultäten, «Journal für die reine und angewandte Mathematik», 51 (1856), pp. 1-60. 4 Le funzioni ellittiche di seconda specie, cioè le funzioni doppiamente periodiche che si riproducono, a meno di un fattore costante per l’addizione di un periodo, hanno una parte fondamentale nella produzione di Hermite che le impiega nell’integrazione di una equazione che Lamé aveva incontrato nella teoria del calore, e precisamente l’equazione lineare del secondo ordine y = [n(n + 1) k2 sn2 x + h]y 2
con k il modulo, n un intero e h una costante. Lamé ne aveva ottenuto l’integrazione per valori particolari della costante h, Hermite l’ha integrata per un qualsiasi valore di h e ne ha applicato l’integrazione alla soluzione del problema del moto di un corpo solido con un punto fisso e al moto del pendolo composto. I risultati conseguiti furono pubblicati nella seguente grande memoria: C. Hermite, Sur quelques applications des fonctions elliptiques, in Id., Œuvres complètes, Paris, 1905-1917, 3, pp. 266-418. Per le ricerche degli analisti dell’Ottocento su questa equazione si veda: A. R. Forsyth, Theory of differential equations, 6 voll., Cambridge, 1890-1906, vol. IV, p. 464.
48
giacomo michelacci
9.[9] Paris 25 Décembre 1878 Monsieur, Par votre article intitulé: Éclaircissements sur une note relative à la fonction log Γ(x), 1 vous m’avez révélé la grande importance que jusqu’à présent je n’avais point reconnu du mémoire de Binet sur les intégrales Eulériennes. 2 Les découvertes de Cauchy sur ce sujet ont éclipsé les travaux moins éclatants, mais fondamentaux cependant, d’un géomètre du plus grand mérite dont le nom ni les résultats ne sont mentionnés dans nos ouvrages élémentaires, comme ils devraient l’être. Sans vous Monsieur, je mériterais encore le reproche que j’adresse à d’autres, et j’avoue n’avoir compris le sixième et dernier paragraphe du long, du trop long mémoire de Binet, qu’après avoir lu votre démonstration
FH
log Γ ( x ) = x −
IK
1 log x − x + c + ∑ β i X i 2
Cette démonstration m’a extrêmement intéressé en raison de son caractère si singulièrement élémentaire dans un sujet d’analyse si élevée, et vous me permettrez de vous en faire mon bien sincère compliment. Je ne vous suis pas moins reconnaissant d’avoir fait acte de justice envers Binet, à qui vous aurez rendu en outre un important service, en dégageant en termes si simples et si clairs, la démonstration de la convergence de sa série. 3 J’avais même songé à faire à l’article que vous avez bien voulu présenter à l’Académie une addition ayant pour objet d’établir qu’en faisant: 1 1 1 = − + + α 1 x + α 2 x 2 +K + α n x n +K x 2 log (1 − x )
on a: 1 6
β0 = ,
β i = ( 2 i + 1)α i − ( 2 i + 4 )α i+1 ,
1 A. Genocchi, Eclaircissements sur une Note relative à la fonction log Γx, «Archiv der Mathematik und Physik», 61 (1877), pp. 366-384. 2 La memoria citata è la seguente: J. Binet, Mémoire sur les intégrales définies Eulériennes et sur leur application à la théorie des suites, ainsi qu’à l’évaluation des fonctions des grands nombres, «Journal de l’Ecole Polytechnique», 16, 27 (1839), pp. 123-343. 3 Il riferimento è in particolare agli sviluppi del capitolo III a p. 371 dell’articolo citato all’inizio della lettera (cfr. qui nota 1).
le lettere di charles hermite a angelo genocchi
49
mais j’y ai renoncé, ce résultat étant presque sans valeur aucune. J’avais aussi songé à introduire dans la fonction
z
∞
Γ ( a ) = x a−1 e − x dx 0
la substitution 1 – e –x =z, qui semble devoir conduire, par la transformée:
z
1
0
− log (1 − z )
a −1
dz
en développant la puissance du logarithme, à une série convergeante. L’intérêt de cette série serait d’avoir pour coefficients des nombres rationnels, ainsi en posant:
− log (1 − z )
a −1
= z a−1 1 + f 1 ( a ) z + f 2 ( a ) z 2 +K
on aurait: Γ (a) =
1 f 1 (a) f 2 (a) + + +K a a +1 a + 2
la quantité fi (a) étant un polynôme en a du degré i, à coefficients rationnels. Mais j’y ai encore renoncé n’ayant point réussi à obtenir une expression du reste de la série, qui en montre a posteriori, la convergence. J’ai encore des remerciements à vous adresser pour votre obligeance de m’avoir indiqué le fondement de la démonstration que M. Weierstrass a donnée de son beau théorème sur 1 . C’est là encore une Γ( x) proposition que devraient donner tous les auteurs, et qu’aucun ne mentionne. La Faculté des Sciences l’a proposée à ma demande comme sujet d’argumentation à un candidat au doctorat et j’ai insisté pour obtenir le calcul numérique, des premiers coefficients de la série: 1 x3 x4 = x + Cx 2 + (C 2 − S 2 ) + (C 3 − 3CS 2 + 2S 3 ) +K Γ( x) 2 6
qui sans doute doivent décroître plus rapidement que ceux de e− x = 1−
x x2 + −K 1 1⋅ 2
puisque Γ(x) augmente bien plus rapidement que ex. Ce calcul serait ce me semble d’une grande importance et il y a lieu de s’étonner que
50
giacomo michelacci
personne ne l’ait encore entrepris. Mais je m’étonne surtout que les séries procédant suivant les fonctions
Xi =
1⋅ 2 K i x ( x + 1)K( x + i )
qui sont convergentes pour toutes les valeurs réelles et positives de la variable, en offrant la singularité d’être nécessairement divergentes, pour toutes les valeurs imaginaires, comme p.ex. sin x sin 2 x + + etc ., 1 2
n’aient point dans l’Analyse la place qui leur revient. Mes remerciements sincères et bien affectueux, Monsieur, pour le don de votre portrait que j’ai reçu avec le plus grand plaisir. Permettez-moi aussi de vous demander si après la publication dans les actes de l’Académie de mon article, 1 vous consentez à sa reproduction dans le Journal de M. Borchardt et veuillez bien agréer avec mes souhaits de bonne année la nouvelle assurance de ma plus haute estime et de mes sentiments bien dévoués Ch. Hermite [P.S.] M. Ledieu 2 correspondant de l’Institut, me demande d’appeler votre bienveillante attention, sur les ouvrages qu’il a adressés à l’Académie, comme candidat au prix Bressa. 3 1 Si tratta dell’articolo che Hermite ha inviato all’Accademia delle Scienze di Torino e di cui fa cenno nella lettera precedente (cfr. nota 2, p. 46). 2 Si tratta della partecipazione al Premio Bressa (cfr. qui nota 3) per il quadriennio 1875-78. Il nome di Ledieu di incerta decifrazione sull’originale, si trova nella lista dei partecipanti al Premio per il 1878 pubblicata negli «Atti della Reale Accademia delle Scienze di Torino», 15 (1879-80), p. 327. Il suo nome appare anche come socio corrispondente dell’ Académie des sciences di Parigi nella Section IV - Géographie et Navigation: cfr. Etat de l’Académie des Sciences au 1er Janvier 1878, «Comptes rendus hebdomadaires des séances de l’Académie des Sciences», 86 (1878), p. 9. 3 Il Premio Bressa fu istituito dalla Reale Accademia delle Scienze di Torino per volontà di Cesare Alessandro Bressa che, legando i suoi beni all’Accademia, dispose nel suo testamento del 4 settembre 1835 che l’usufrutto servisse all’istituzione di un premio da accordarsi alternativamente in un biennio a studiosi di qualunque nazionalità, e nel biennio successivo a studiosi italiani. Per i dettagli sul programma ed il regolamento del premio discussi e approvati nell’adunanza del 10 Dicembre 1876 cfr. Programma per il premio Bressa, «Atti della Reale Accademia delle Scienze di Torino», 12 (1876-77), pp. 30-32; Regolamento interno pel conferimento del premio Bressa, «Atti della Reale Accademia delle Scienze di Torino», 12 (1876-77), pp. 33-34.
le lettere di charles hermite a angelo genocchi
51
10.[10] Paris 25 Février 1879 Monsieur, Permettez-moi de vous adresser l’accusé de réception demandé par l’Académie pour le dernier n° (Nov. Déc.) des Atti, 1 d’y joindre aussi mes remerciements pour le don généreux que l’Académie fait à ses membres étrangers de ses publications et notamment du magnifique volume de ses mémoires que j’ai reçu l’année dernière. Ce devoir me donne l’occasion de m’entretenir un moment avec vous et j’en profite Monsieur, pour vous dire tout le prix que j’attache à votre théorème sur l’approximation de la série de Stirling, 2 en vous exprimant le regret que vous ayez abandonné à d’autres, qui ne vous ont point cité, la démonstration d’un résultat si intéressant. 3 Je n’ai vu en effet votre nom, ni dans le mémoire de Schaar 4 sur les intégrales Eulériennes ni dans celui de M. Limbourg, 5 tous deux consacrés à la question que vous avez traitée. Une telle omission ne restera point à ma charge lorsque je publierai le second 1 Si tratta degli «Atti della Reale Accademia delle Scienze di Torino» la cui pubblicazione era annuale come quella delle «Memorie della Reale Accademia delle Scienze di Torino» di cui Hermite, come qui accenna, ha ricevuto copia. 2 La serie asintotica citata si trova nel seguente trattato sulle serie: J. Stirling, Methodus differentialis, sive tractatus de summatione et interpolatione serierum infinitarum, Londini, 1730, pp. 135-139. 3 Si tratta del resto della serie asintotica di Stirling per il logaritmo della funzione Γ (x) di Eulero. Le somme parziali di questa serie, per un certo numero di passi, alternano approssimazioni sempre migliori del valore di quel logaritmo, ma proseguendo se ne scostano definitivamente. Il problema che si poneva agli analisti del tempo consisteva nello stabilire la migliore approssimazione per un fissato valore della variabile. Genocchi in una nota a piè di pagina (p. 95) del suo articolo: Sur quelques particularités de formules d’analyse mathématique (Lettre de M. Genocchi a M. Quetelet), «Bulletin de l’Académie Royale des Sciences, des Lettres et des Beauxarts de Belgique», 21 (1854), pp. 84-95 aggiungeva di aver trovato l’espressione di quel resto, già trovata da Schaar nel 1848 e riportata da Liouville nel 1852 (cfr. qui nota 4), e di aver da essa dedotto conseguenze di un certo interesse, ma di rimandarne l’esposizione ad altra occasione. Della questione si occupò anche Limbourg (cfr. qui nota 5) mentre Genocchi vi ritornerà molto più tardi, presentando le sue proprie dimostrazioni riunite nella seguente memoria del 1883, pubblicata nel 1887: A. Genocchi, Intorno alla funzione Γ (x) e alla serie dello Stirling che ne esprime il logaritmo, «Memorie di matematica e di fisica della Società Italiana delle Scienze (detta dei XL)», s. III, t. 6 (1887), n. 2, pp. 1-18; appendice pp. 19-24. Questo articolo verrà citato da Hermite nella lettera dell’11 agosto 1883 (cfr. nota 2, p. 132). 4 Si tratta della memoria seguente: M. Schaar, Mémoires sur les intégrales eulériennes et sur la convergence d’une certaine classe de séries, «Mémoires couronnés et mémoires des savants étrangers publiés par l’Académie royale des sciences, des lettres et des beaux-arts de Belgique», 22 (1848), pp. 3-16. Cfr. anche: J. Liouville, Sur les fonctions gamma de Legendre, «Journal de Mathématiques pures et appliquées, publié par Joseph Liouville», 17 (1852), pp. 448-453. 5 Si tratta della memoria seguente: H. J. J. Limbourg, Sur un point de la théorie de la formule de Stirling, «Mémoires couronnés et mémoires des savants étrangers publiés par l’Académie royale des sciences, des lettres et des beaux-arts de Belgique», 30 (1861), pp. 3-21.
52
giacomo michelacci
volume de mon cours d’Analyse, auquel je songe de temps en 1 temps, mais ce qu’il y aurait de mieux ce serait que vous-même vous voulussiez bien revenir sur le sujet. 1 Qu’arrive-t-il donc si l’on admet que π a + soit exactement un nom2 bre entier? Il serait bien intéressant si l’on obtenait une preuve de l’irrationalité de π dans quelque contradiction qui résulterait de cette supposition, et à ce propos je ne puis assez vous exprimer mon étonnement que le fait de cette irrationalité, jusqu’à présent n’intervienne jamais dans l’analyse. Travaillant peu et avec peu de fruit depuis ma maladie, j’ai cependant songé au théorème important sur 1 de M. Weierstrass; mais j’ai Γ( x) renoncé à m’en occuper, présumant que la notion des facteurs primaires, découverte par le grand analyste, donnait immédiatement la preuve de cette proposition. Vous savez que M. W[eierstrass] nomme facteur primaire d’une fonction qui s’évanouit pour x=a, l’expression:
FH 1 − ax IK e
x x2 xn + +K+ n a 2 a2 na
où n est un entier qui dépend de la nature de la fonction. On a ainsi:
FH
sin π x = π x ∏ 1 −
IK
x xi e , i = ±1, ±2,K i
i=0 étant seul excepté, le produit étant convergent quel que 2 soit l’ordre des facteurs, de telle sorte que la forme ordinaire s’obtienne en multipliant les facteurs primaires qui correspondent à des valeurs de i égales et de signes contraires. Sous ce point de vue le caractère holomorphe de Γ (1x ) , résulterait sur le champ, de l’expression:
FH
IK
x 1 x = C ⋅ eC x × ∏ 1 + e − i Γ( x) i 1
, i = 1, 2,K, ∞
dont je dois la communication à M. Schwarz, qui sans doute l’a recueillie dans une leçon. Quelques mots seulement m’en ont été dits dans un court entretien lors de mon voyage à Gœttingue, qui me sont revenus à l’esprit et m’ont entièrement détourné de tenter ainsi de démontrer, ce qui l’est déjà d’une manière si parfaite. M. Heine d’autre part m’a 1 2
Nell’originale: à. Nell’originale: quelque.
le lettere di charles hermite a angelo genocchi
53
donné connaissance d’un très beau travail de M. Prym (T[ome] 82. J[ournal] de B[orchardt]), 1 qu’on peut résumer ainsi. Soit en désignant par a une constante positive quelconque: Γ( x) =
z
∞
0
e − ξ ξ x −1 dξ =
z
a
0
z
∞
e − ξ ξ x −1 dξ + e − ξ ξ x −1 dξ = P ( x ) + Q ( x ) a
La fonction
z
∞
Q( x ) = e − ξ ξ x −1 dξ a
qui est uniforme et de plus holomorphe, car on a pour x = α + iβ, cette valeur:
z
z
∞
∞
Q( x ) = e − ξ ξ α −1 cos log ξ β dξ + i e − ξ ξ α −1 sin log ξ β dξ a
a
toujours finie, quels que soient α et β. C’est la première intégrale qui seule est restreinte, aux valeurs positives de la variable; mais par le développement en série de l’exponentielle, on obtient: 2
P( x ) =
z
a
0
LM1 − ξ + ξ −LOP ξ N 1⋅ 2 Q 2
x −1
dξ = a x
LM 1 − a + a −LOP N x x + 1 1⋅ 2( x + 2) Q 2
ce qui donne naissance à une fonction uniforme, dans toute l’étendue du plan, et qui représente la partie fractionnaire de Γ (x). Cette partie fractionnaire devient la partie principale, où les résidus sont mis en évidence, si l’on pose avec Prym, a = 1. De Q (x), pourrais-je peut-être vous reparler une autre fois, mais vous voyez que la véritable nature de Γ (x) ressort avec évidence, de sa définition même. Avec la plus haute estime et l’assurance de mes sentiments bien dévoués Ch. Hermite 1 La citazione allude al «Journal für die reine und angewandte Mathematik» fondato da Crelle a Berlino nel 1826, diretto da Borchardt dal 1880. La memoria citata è: F. E. Prym, Zur Theorie der Gammafunction, «Journal für die reine und angewandte Mathematik», 82 (1877), pp. 165-172. In questa memoria si dimostra che l’integrale euleriano di seconda specie Γ (x) può scomporsi nella somma P(z)+Q(z) dove:
P( z ) = Q( z ) =
z
∞
1
1 1 1 −L + − z 1!( z + 1) 2!( z + 2)
∞
e − ξ ξ z −1dξ = ∑ c ν z ν ν =0
,
cν =
1 ν!
z
∞
1
e−ξ ξ
log ν ξ dξ ,
ν
= 0, 1, K
La funzione Q(z) è una trascendente intera ed è quella che Hermite denomina funzione di Prym. 2 Nell’originale: quelque.
54
giacomo michelacci
11.[11] Paris 19 Février 1880 Monsieur, Je viens de corriger les épreuves de votre note sur la loi de réciprocité de Legendre étendue aux nombres non premiers, 1 que j’ai été heureux de présenter à la dernière séance de l’Académie et qui m’a fait un extrême plaisir. Sans vouloir rien diminuer du mérite du travail de M. Schering, je ne puis cependant m’empêcher de trouver qu’il met en œuvre tout un appareil analytique bien complexe, tandis que votre méthode a au plus haut degré, le caractère de simplicité et d’élégance de tout ce qui sort de votre plume. Vos réflexions sur l’induction sont justes et intéressantes, 2 elles m’amènent à vous soumettre une proposition qui n’aura peut-être point votre assentiment. Je crois qu’on doit dire des mathématiques, qu’elles sont une science d’observation. Je repousse comme de toute fausseté que les géomètres soient les créateurs de leur science, et rien ne me semble plus contraire à la vérité et à la réalité des choses, que ce que dit M. Poinsot, dans les termes suivants: “Le calcul est un instrument qui ne produit rien par lui-même et qui ne rend en quelque sorte que les idées qu’on lui confie. Si nous n’avons que des notions imparfaites, ou si l’esprit ne considère la question que d’un point de vue borné, ni l’Analyse ni le calcul ne lui apporteront plus de lumière, et ne donneront à nos résultats plus de justesse et d’étendue etc, etc”. 3 Dans un ouvrage intitulé: de la méthode a posteriori expéri1 Si tratta della memoria: A. Genocchi, Sur la loi de réciprocité de Legendre étendue aux nombres non premiers, «Comptes rendus hebdomadaires des séances de l’Académie des Sciences», 90 (1880), pp. 300-302. L’articolo, che riporta anche notizie storiche, estende la legge di reciprocità per i residui quadratici a coppie di numeri dispari anche composti, ma primi fra loro, fondandosi su un lemma di Gauss generalizzato da Schering. Genocchi aveva trattato questa stessa estensione già negli anni cinquanta dandone una dimostrazione elementare (cfr. A. Genocchi, Note sur la théorie des résidus quadratiques, «Mémoires couronnés et mémoires des savants étrangers, Académie royale des sciences, des lettres et des beaux-arts de Belgique», 25 (1852), pp. 1-54). 2 Hermite si riferisce ancora al lavoro di Genocchi (cfr. qui nota 1) e all’osservazione che lui pone a conclusione delle brevi note storiche finali: «Ainsi, rien n’est plus certain qu’un fait plusieurs fois affirmé par Euler et par Gauss, savoir que, surtout dans la théorie des nombres, l’induction amène la découverte de vérités dont la démonstration est très difficile et pour longtemps élude tous les efforts, et que les méthodes les plus simples sont ordinairement les dernières à se présenter. Euler a même publié sur ce sujet un Mémoire étendu dont le titre est: Specimen de usu observationum in Mathesi pura». (Cfr. L. Euler, Leonhardi Euleri Opera omnia. Series I. Volumen II. In Commentationes arithmeticae, volumen primum. Edidit Ferdinand Rudio, Lipsiae et Berolini, B. G. Teubneri, MCMXV, pp. 459-492). 3 L. Poinsot, Théorie et détermination de l’équateur du système solaire, in Id., Elémens de statique, septième édition, Paris, Bachelier, 1837, pp. 385-425, p. 400. In questa memoria Poinsot espone
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mentale et de la généralité de ses applications, publié en 1870, par le vénéré doyen de notre Académie, et de la science Française, M. Chevreul, vous trouverez une note que l’auteur a bien voulu insérer et qui contient ma protestation contre les assertions de Poinsot. 1 Cette note s’il vous convenait d’y jeter les yeux, vous donnerait en même temps les raisons dont je crois pouvoir appuyer, la proposition précédemment énoncée que les mathématiques, et tout spécialement l’Analyse abstraite, sont le produit, sont le résultat de l’observation, et non une création arbitraire de notre esprit. Les géomètres me semblent autant les serviteurs que les maîtres de leur science. Leur œuvre même donne naissance à une force qui les dirige et à laquelle à moins de ne plus avancer, ils ne peuvent se soustraire. C’est malgré les plus légitimes répugnances de l’intelligence qu’on a été engagé dans l’emploi des quantités négatives et imaginaires, des quantités imaginaires surtout, dont d’Alembert a dû dire “allez en avant et la foi vous viendra” Les généralisations successives d’opérations qui ont leur naissance dans le mécanisme arithmétique, qui de l’addition nous conduisent aux fonctions, ne sont pas à mon avis, des créations de notre esprit, mais un fruit de l’activité intellectuelle, appliqué à des réalités qui existent en dehors et indépendamment de nous et de notre intelligence, comme le monde des sciences physiques et naturelles existe en dehors des physiciens et des naturalistes. Enfin je crois, et l’arithmétique me donnera peut-être un motif à l’appui de mon sentiment, je crois à l’action des forces qui en s’associant à notre libre arbitre, font concourir à ce but déterminé d’avance, et aboutir au même point, des travaux qui se poursuivent à travers des siècles, dans l’ignorance de ce but. Je ne puis assez admirer que Fermat, puis ses successeurs, Euler, Legendre, Gauss, aient été engagés dans ces recherches sur la décomposition des nombres en carrés; puis dans la théorie des formes quadratiques, qui ne devait être, comme il résulte des beaux travaux de M. Kronecker, qu’une anticipation, de la théorie des fonctions elliptile ricerche sulla determinazione dell’equatore del sistema solare da lui presentate all’Académie des sciences di Parigi nel marzo del 1828. La soluzione di Poinsot introduce un complesso di ipotesi meccaniche più ampio di quello considerato da Laplace nella sua Mécanique céleste, e in tal modo ottiene un risultato che corregge quello di quest’ultimo. In questo contesto Poinsot inserisce l’osservazione sul ruolo strumentale del calcolo, qui riportata da Hermite. 1 Si tratta del testo seguente: M. E. Chevreul, De la méthode a posteriori expérimentale et de la généralité de ses applications, Paris, Dunod, 1870. In questo saggio compare in appendice (p. 341) una nota di Hermite in cui, in opposizione all’orientamento strumentalista di Poinsot, egli difende il suo orientamento realista di tipo platonico nei confronti della natura della matematica. Cfr. la lettera di Hermite a Stieltjes del 13 maggio 1894 in Correspondence d’Hermite et de Stieltjes publiée par les soins de B. Baillaud et H. Bourget, 2 voll., Paris, Gauthier-Villars, 1905, vol. II, p. 398. Cfr. anche: G. Darboux, Notice historique sur Charles Hermite, Paris, Gauthier-Villars, 1905, pp. 24-29.
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ques. Mais ce serait Monsieur, abuser de votre patience, que de vous entretenir plus longtemps de tous ces rêves. Pour répondre à votre intention, j’ai demandé à M. Bertrand, notre secrétaire perpétuel, si l’Académie possédait la démonstration trouvée par Sophie Germain de l’impossibilité de l’équation xn + yn + zn = 0, pour n = p – 1, p étant un nombre premier 8k + 7, et j’ai eu la satisfaction d’apprendre que la sœur de Sophie Germain, Madame Dutrochet, la femme du célèbre physiologiste, avait à sa mort légué à l’Académie le trésor de ses manuscrits scientifiques qui sont ainsi à notre disposition. En attendant Monsieur que je puisse vous faire part de ce que j’y aurai découvert, veuillez recevoir mes sincères remerciements pour votre dernière lettre, et la nouvelle assurance de ma plus haute estime et de mes sentiments tout dévoués Ch. Hermite 12.[12] Paris 23 Mars 1880 Monsieur, Les papiers de Mlle Sophie Germain qui ont été donnés à la bibliothèque de l’Institut, ont été récemment mis à ma disposition. Ces manuscrits contiennent peu de choses, je n’y ai rien vu de réellement digne d’intérêt et à mon grand regret j’ai constaté qu’il ne s’y trouve absolument rien concernant le théorème de Fermat. De singuliers et tristes récits m’ont été faits par un des sous-bibliothécaires au sujet des manuscrits de Mlle Sophie Germain qui auraient été volés vendus, dispersés, puis rachetés en partie à Londres par un parent de cette femme illustre. La bibliothèque de l’Institut aurait ainsi recueilli quelques parties d’un précieux et riche trésor qu’un de ses membres se serait approprié pour en trafiquer, comme de bien d’autres pièces scientifiques ou littéraires d’un prix inestimable. On m’a appris en même temps qu’un lot de manuscrits plus considérable que celui que nous possédons à notre bibliothèque se trouverait à la bibliothèque nationale. Mais l’accès dans cet établissement étant plus difficile, je n’ai pu encore y faire les recherches nécessaires pour répondre à vos intentions. Je dois aussi vous faire l’aveu que dans le second semestre de l’année scolaire, mon cours et tous mes devoirs à la Faculté me laissent peu de temps libre. Le travail qui est facile et agréable pendant les vacances, que je sois sur le bord de la mer ou dans les Pyrénées, mais dans tous les cas bien loin de cet odieux et horrible enfer de Paris, me devient d’autant plus pénible que l’année
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s’avance et que par suite la fatigue augmente. Ainsi je réclame votre indulgence et je vous prie de m’excuser si je vous fais attendre une enquête qu’il est indispensable d’entreprendre, quelque peu d’espoir qu’on ait sur le résultat. Les mains habiles autant que déloyales qui ont soustrait à nos archives, le mémoire d’Abel couronné par l’Académie des Sciences, sur les intégrales à différentielles algébriques, n’auront sans doute pas épargné davantage le manuscrit absolument ignoré et inédit d’une découverte relative au théorème de Fermat. J’ai été Monsieur bien éprouvé il y a quinze jours par la perte d’un de mes neveux, Henry Hermite, professeur de géologie à l’Université Catholique d’Angers, mort des suites d’une fluxion de poitrine qu’il avait contractée dans un voyage géologique aux Iles Baléares. Chaque année hélas depuis longtemps, est attristée par un deuil de famille, la mort frappant tour à tour les parents de Madame Hermite et les miens. Vous n’êtes point seul, vous le voyez Monsieur, à avoir des épreuves, et j’ai un droit de plus à vous prier de recevoir l’assurance d’une vive et bien sincère sympathie que je joins à la haute estime que vous m’inspirez. Votre bien affectueusement dévoué Ch. Hermite [P.S.] M. Siacci a-t-il réussi dans sa candidature à l’Université? 1 13.[14] Paris 22 Janvier 1881 Monsieur. Des affaires de famille et une des plus importantes et des plus graves qui puissent être, le mariage de ma fille, m’ont bien détourné de tout travail dans ces derniers mois. Ces affaires terminées je vais m’y remettre; tout d’abord je me permettrai cependant de vous apprendre que ma fille porte maintenant un nom qui ne vous est peut-être pas entièrement inconnu. C’est un de mes élèves, M. Picard qui est devenu mon gendre, et je vous demande votre sympathie pour le jeune géomètre, ayant toute confiance que vous ne la lui refuserez point. Vous savez qu’il a traduit pour les Annales de l’École Normale Supérieure, le mémoire important 1 Nel 1871-72 la Facoltà di scienze dell’Università di Torino conferì a Siacci l’incarico del corso di Meccanica celeste. Questo corso, la cui denominazione nel 1875 venne mutata in quella di Meccanica superiore, fu tenuto da Siacci come professore straordinario e dal 1879 come ordinario. È possibile che Hermite stia chiedendo notizie proprio su quest’ultima nomina (cfr. G. Morera, Francesco Siacci, «Atti della Reale Accademia delle Scienze di Torino», 43 (1908), pp. 568-578).
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de M. Weierstrass sur les fonctions analytiques uniformes d’une variable; 1 c’est de ce mémoire et des articles que le grand géomètre a publié dans le n° d’Août 1880, des Monatsberichte, 2 que je suis occupé présentement, ayant l’intention d’en donner les principaux résultats dans mes leçons à la Sorbonne. Me réservant de vous en entretenir une autre fois, j’appelle en ce moment votre attention sur une thèse relative aux intégrales Eulériennes, dont vous vous êtes occupé et que vous aimez. Si vous voulez bien parcourir l’exemplaire que je joins à cette lettre, vous verrez qu’étant extrêmement mal rédigée, elle contient néanmoins de bonnes et excellentes choses. L’histoire en est singulière. M. Bourguet qui à plus de 40 ans n’est jamais allé dans l’enseignement, au delà des classes les plus élémentaires, et qui enseigne encore à des commençants, à des enfants, les opérations premières de l’arithmétique, m’a présenté il y a trois ans, un travail en me demandant s’il pouvait être accepté comme thèse pour le doctorat ès sciences. Rien n’était plus insuffisant et plus médiocre, et c’est si j’ose dire, par charité et pour ne point trop le contrister, que je lui ai donné le conseil d’étudier le mémoire de Binet 3 et celui de Weierstrass sur les facultés analytiques. 4 Une année se passe, je ne pensais plus guère au conseil ni à celui à qui je l’avais donné, lorsqu’il m’est revenu avec une œuvre déjà plus sérieuse. M. Bourguet avait calculé avec 16 décimales, les coefficients des puissances de la 1 variable, jusqu’à la 22me!, des développements de Γ (x) et de ( ) , et vous Γ x pensez cette fois qu’il a reçu bon accueil. C’était là cependant, plus laboris quam artis, mais je lui indique les mémoires de M. Prym 5 et de M. Heine, 6 et après une nouvelle année, je le revois ayant obtenu un résultat analytique dont j’aurais été extrêmement fier si j’y étais parvenu. Vous verrez dans sa thèse, 7 une limite supérieure extrêmement simple et
1 Si tratta dell’articolo: K. Weierstrass, Mémoire sur les fonctions analytiques uniformes (Traduit par M. E. Picard), «Annales scientifiques de l’école normale supérieure», 8 (1879), pp. 111-150. 2 Il 5 e il 12 agosto 1880 Kronecker ha presentato le seguenti memorie di Weierstrass all’Accademia delle scienze di Berlino: K. Weierstrass, Über einen functionentheoretischen Satz des Herrn G. Mittag-Leffler, «Monatsberichte der königlich preussischen Akademie der Wissenschaften zu Berlin», 1880, pp. 707-717 (Berlin 1881); Id., Zur Functionenlehre, ibid., pp. 719-743. 3 È con ogni probabilità la vasta memoria di Binet sugli integrali euleriani del 1839 e già citata nella lettera del 25 dicembre 1878 (cfr. nota 2, p. 48). 4 Si tratta di: K. Weierstrass, Über die theorie der analytischen Facultäten, «Journal für die reine und angewandte Mathematik», 51 (1856), pp. 1-60. 5 Potrebbe trattarsi di: F. E. Prym, Zur Theorie der Gammafunction, cit., cfr. nota 1, p. 53. 6 Potrebbe essere l’articolo di Heine citato da Bourguet (p. 30 della sua tesi di dottorato: cfr. qui nota 7). In tal caso si tratta di: E. Heine, Einige Anwendungen der Residuenrechnung von Cauchy, «Journal für die reine und angewandte Mathematik», 89 (1880), pp. 19-39. 7 L. Bourguet, Thèses présentées à la Faculté des Sciences de Paris pour obtenir le grade de docteur
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approchée du coefficient dans le développement de Γ ( x ) , et de Q(x) de M. Prym, de xn ; n’est-ce pas là une belle et importante chose? C’est vous Monsieur qui m’avez appris que M. Weierstrass avait découvert et démontré que 1 est une fonction uniforme holomorphe dans tout Γ( x) le plan; ayant été vivement frappé de ce beau résultat, j’ai désiré savoir quelque chose sur son développement, et ce m’a été une véritable satisfaction que M. Bourguet ait rempli et au delà de mes intentions. Le no de Février du Journal des Savants contiendra le rapport 1 que j’ai fait à l’Académie en comité secret, sur les travaux de Borchardt et de M. Brioschi; lisez-les avec indulgence, s’ils ont eu surtout pour but d’obtenir l’élection des deux éminents géomètres, le but a été atteint, mais ils sont à bien des égards insuffisants et incomplets. L’expression par des intégrales multiples, des fonctions interpolaires que vous avez donnée dans un travail trop peu connu, me semble extrêmement importante et même fondamentale en Analyse. J’espère que votre article des Comptes rendus, 2 la fera connaître comme elle le mérite, et je l’emploierai pour mon compte, étant entré dans la même voie que vous, sans plus connaître que d’autres, ce que vous aviez fait avant moi. La santé de M. Serret, si gravement atteinte il y a plusieurs années, où on a cru le perdre, à la suite d’une congestion, est maintenant très bonne, mais il ne reprendra sans doute jamais son enseignement, ès sciences mathématiques. 1re Thèse - Développement en série des intégrales eulériennes. 2e Thèse Propositions données par la Faculté, Paris, Gauthier-Villars, 1880. Il lavoro, che ha un carattere numerico, riguarda l’integrale euleriano di seconda specie Γ (x) e le serie di Stirling e di Binet del suo logaritmo. Il lavoro riporta numerosi risultati tra cui vari sviluppi in serie di potenze delle funzioni Γ (x) e 1 per i quali viene calcolato un notevole numero di coefficienti. Viene trattato Γ( x) in particolare il calcolo di numerosi coefficienti dello sviluppo in serie di potenze della funzione Q(x) di Prym (cfr. nota 1, p. 53). Per quanto riguarda il resto della serie di Stirling (cfr. nota 3, p. 51) Bourguet fornisce l’indice del resto minimo. Le tabelle finali riportano i coefficienti caso per caso, calcolati con 16 cifre decimali. Per i coefficienti degli sviluppi in serie di 1 e di Q(x) Γ( x) viene elaborato un metodo di calcolo diretto ma vengono anche date delle approssimazioni con maggiorazioni semplici. 1 Si tratta dell’articolo: C. Hermite, Travaux et découvertes mathématiques de M. Borchardt et de M. Brioschi, «Journal des savants», Janvier 1881, pp. 62-68. In una prima parte dell’articolo si trova un’analisi critica della produzione scientifica di Borchardt che ha motivato nel 1876, la sua nomina a membro corrispondente nella sezione di geometria dell’accademia delle scienze di Parigi. Nella seconda parte si trova l’analisi della produzione di Brioschi sulla cui base l’accademia stessa gli ha accordato l’unanimità dei suffragi nominandolo membro corrispondente, nella seduta del 6 dicembre 1880, come successore di Borchardt, deceduto a Berlino il 21 giugno 1880. 2 L’espressione delle funzioni interpolari (che noi chiamiamo differenze divise) tramite integrali multipli si trova nell’estratto di una lettera di Genocchi che era di recente pubblicazione e che Hermite ha citato nella lettera del 6 febbraio 1878 (cfr. nota 2, p. 36).
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et je crois qu’il n’a pu que bien peu travailler à la seconde édition de son cours de calcul diff[érentiel] et int[egral]. Avec l’expression de ma plus haute estime, mes sentiments de sincère affection. Ch. Hermite 14.[15] Paris 2 Février 1881 Monsieur, Je suis on ne peut plus sensible à l’intérêt que vous avez bien voulu prendre au mariage de ma chère fille, et aux sentiments de sympathie que vous m’exprimez pour M. Picard. Ce me sera un vif plaisir de lui en faire part et de lui envoyer l’article extrait des C[omptes] R[endus] 1 de l’Académie de Turin sur les fonctions interpolaires que vous lui destinez et que je viens de recevoir. En même temps m’est arrivé votre article bibliographique des Annali di mathematica 2 qui m’a paru excellent et qui m’a d’autant plus intéressé qu’il touche en un point à mes propres recherches. Vous verrez prochainement en effet dans le Journal de Berlin 3 une lettre que j’ai adressée à M. Schwarz, sur les intégrales Eulériennes, et dont l’objet principal, est d’obtenir une expression sous forme explicite de la quantité
z
∞
ξ x −1 e − ξ dξ
a
dont la limite inférieure est une constante positive quelconque, et qui donne en supposant a = 1, une fonction uniforme holomorphe de x, Q(x), de M. Prym, d’un grand intérêt. Or à la page 5, vous êtes amené à cette même fonction
a f=z v
Γ α ,y
∞
y
α −1 − v
e dv
1 Hermite si riferisce agli «Atti della Reale Accademia delle Scienze di Torino», rivista su cui Genocchi ha pubblicato sulle funzioni interpolari i due articoli seguenti: A. Genocchi, Intorno alle funzioni interpolari, «Atti della Reale Accademia delle Scienze di Torino», 13 (1877), pp. 716729; Id., Sopra una proprietà delle funzioni interpolari, ibid., 16 (1880), pp. 269-275. Dal contesto della lettera non è dato capire a quale dei due Hermite fa riferimento. 2 Si tratta dell’articolo seguente: A. Genocchi, Serie ordinate per fattoriali inversi, «Annali di matematica pura e applicata. Rivista bibliografica», 2, 6 (1859), pp. 367-384. Di questo esiste un estratto conservato alla Biblioteca Comunale Passerini-Landi di Piacenza (coll. 3R. I. 49), rispondente alla numerazione di pagine a cui si riferisce Hermite in questa missiva. 3 Si tratta dell’articolo seguente: C. Hermite, Sur l’intégrale eulérienne de seconde espèce, «Journal für die reine und angewandte Mathematik», 90 (1881), pp. 332-338.
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(je remplace x de votre formule par y) et l’analyse que vous exposez semble devoir conduire à un développement en série de factorielles réciproques de cette fonction. Permettez-moi donc d’appeler votre attention, sur un cas particulier il est vrai, des applications que vous faites de la formule, α (α − 1) α 1 1 = − + −L x + α x x ( x + 1) x ( x + 1)( x + 2)
mais qui aurait une grande importance. 1 Les erreurs historiques que vous signalez avec raison dans la thèse de M. Bourguet, sont excusables, si vous vous souvenez du récit que je vous ai fait de l’origine de cette thèse. 2 Les lettres d’Euler à Goldbach, sont peu connues parmi nous, et je vous dois l’aveu d’une ignorance non excusable, car c’est votre lettre qui pour la première fois m’a donné connaissance du produit: 3 1 ⋅ 2 m 21− m ⋅ 3m etc. 1+ m 2 + m Les épreuves de la thèse de M. Bourguet m’ont été communiquées, et j’y avais fait nombre de corrections dont il n’a pas été tenu compte, pour un motif triste et pénible que j’ai connu plus tard. L’auteur qui donne des leçons pour vivre, a été contraint de regarder à la dépense qu’occasionnent les corrections! Vous avez tort Monsieur, d’imputer à vous-même ce qui est le fait des recueils auxquels vous avez donné vos écrits, et plus encore de la paresse ou au moins de cette force d’inertie qui retient la plupart des géomètres rivés à deux ou trois publications périodiques. Je vous donne l’assurance 1 Questa frase è al termine della seconda facciata dell’originale e si riferisce alle applicazioni che Genocchi ricava nel suo lavoro (cfr. nota 2, p. 60) elaborando la formula qui citata, dovuta a Schlömlich e ottenendo in tal modo sviluppi in serie di fattoriali reciproci per il logaritmo integrale, il seno e coseno integrali e per l’integrale che esprime la funzione di Prym (cfr. nota 1, p. 53). Hermite, sta iniziando una discussione che riguarda una di queste applicazioni. Il brusco passaggio, nella facciata successiva, ad un altro argomento, ci lascia supporre l’esistenza di un foglio semplice o doppio intercalato che si sarebbe perduto, per quanto la consistenza della missiva sia sempre stata indicata di un foglio (piegato verticalmente in due e scritto sulle quattro facciate). 2 Cfr. la lettera precedente del 22 gennaio 1881 (let. 13, p. 57). 3 In una lettera del 13 ottobre 1729 Euler comunicò a Goldbach questo prodotto infinito dandolo come sviluppo di m!, e come ricorda Genocchi stesso «riprodusse questa espressione nel suo Calcolo differenziale interpolando la serie 1, 1 · 2, 1 · 2 · 3, ...», cfr. A. Genocchi, Intorno alla funzione Γ (x) e alla serie dello Stirling che ne esprime il logaritmo, «Memorie di matematica e di fisica della Società Italiana delle Scienze (detta dei XL)», s. III, t. 6 (1887), n. 2, pp. 1-18, p. 12. Cfr. Leonhard Euler und Christian Goldbach. Briefwechsel 1729-1764, «Abhandlungen der deutschen Akademie der Wissenschaften zu Berlin», Klasse für Philosophie, Geschichte..., 1 (1965), pp. 1923; la formula si trova anche in L. Eulero, Institutiones calculi differentialis, 2 voll., Ticini, 1787, vol. II, pp. 660-662. Nell’originale Hermite scrive 3 al posto di 3m.
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que j’ai été l’écho du sentiment général, en plaçant votre nom parmi ceux qui tiennent le premier rang dans la science de votre pays, comme vous pourrez le voir dans le rapport sur les travaux de M. Brioschi. Mais les recueils allemands et surtout le Journal de Crelle 1 sont plus lus que les journaux Italiens, et cependant, je crois avoir révélé, un véritable trésor resté je ne puis m’expliquer comment, absolument ignoré bien que contenu dans le Journal de Crelle. C’est l’admirable théorème de Staudt sur les nombres de Bernouilli, dont il donne la partie fractionnaire, et que le hasard, un pur hasard m’y a fait découvrir. 2 Lire et dans diverses langues les travaux si multipliés de notre temps, est un travail extrêmement difficile et absolument nécessaire; vous ne doutez point j’espère qu’au moins en ce qui vous concerne, je ne m’en acquitte, et avec les sentiments de profonde estime et de sympathie, dont je vous prie de recevoir le témoignage bien sincère. En vous réitérant mes remerciements bien affectueux, auxquels je joins ceux de ma fille et de mon gendre, croyez-moi Monsieur, votre bien sincèrement dévoué, Ch. Hermite
:
+
1 et celui de M. [P.S.] La différence entre votre résultat n = E π a + 2 3 4 Bourguet, est-elle bien importante?
15.[16] Paris 2 Mars 1881 Monsieur, C’est bien en effet d’après l’article du Journal de M. Liouville dont vous 1 È il periodico: «Journal für die reine und angewandte Mathematik», che fu fondato da Crelle nel 1826 e da lui diretto fino al 1851. 2 Si tratta del teorema di Clausen e Staudt: ognuno dei numeri di Bernoulli B è uguale a un n numero intero, alternativamente diminuito o aumentato della somma dei reciproci di tutti i numeri primi che, diminuiti dell’unità, dividono 2n. La sua dimostrazione venne data da Staudt nella memoria: Id., Beweis eines Lehrsatzes, die Bernoullischen Zahlen betreffend, «Journal für die reine und angewandte Mathematik», 21 (1840), pp. 372-374. Quasi contemporaneamente Clausen ha enunciato lo stesso teorema ma senza dimostrazione in una nota pubblicata su «Astronomische Nachrichten», 17 (1840), p. 406. Per i dettagli su questo teorema cfr. N. Nielsen, Traité élémentaire des nombres de Bernoulli, Paris, Gauthier-Villars, 1923, pp. 240-245. 3 Col simbolo E(x) viene indicata la parte intera di x. L’espressione riportata da Hermite, indica il numero dei termini della serie di Stirling che, sommati, forniscono la migliore approssimazione del logaritmo della funzione Γ (x) di Eulero, argomento che era stato trattato da Bourguet nella sua tesi di dottorato (cfr. nota 7, p. 58) e ripreso poi da Genocchi che, sull’espressione del resto minimo di quella serie e sui risultati di Bourguet scriverà una nota in appendice al suo lavoro del 1887 (cfr. nota 2, p. 132). 4 Nell’originale questo poscritto si trova addossato alla firma e separato dal resto della lettera con delle parentesi.
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faites mention, que j’ai attribué à Plana ce que vous me dites appartenir à son élève Félix Chio, plus occupé de faire des découvertes que soucieux comme tant d’autres de s’en faire honneur. 1 De votre lettre je m’autoriserai, si vous le permettez, pour restituer à l’éminent géomètre, aussitôt que j’en aurai l’occasion, dans l’intérêt de son droit comme de la vérité, ce qui lui appartient. Vous me causez aussi Monsieur une grande surprise en m’apprenant que M. Bellatis 2 avait découvert le même théorème que Clausen et Staudt sur les nombres de Bernouilli. Quelle fatalité pèse donc sur le Journal de Tortolini 3 qui ensevelit comme dans un tombeau tant de choses importantes si dignes d’être connues des géomètres! Je crois toutefois que l’admirable résultat que Clausen et Staudt ont donné simultanément dans les recherches astronomiques de Schumacher et dans le Journal de Crelle 4 est bien antérieur à l’année 1852. Bien des choses sont à dire au sujet du développement 5 de votre fonction ϕ (x). Il me semble que Q0 , Q1 ,..., Qm, etc. contiennent un facteur Γ (µ), de sorte qu’en supprimant dans les deux membres de votre équation ce facteur, on en tire un développement en série de quantités simplement rationnelles pour la transcendante
x µ −1 e x
z
∞
x
e−v dv . vµ
Permettez-moi de vous chicaner et de vous chercher querelle en contestant un peu que ce développement soit absolument explicite. Il reste je trouve, beaucoup à faire pour écrire la valeur du polynôme entier en 1 Nel 1838, Plana sollecitò Chiò a studiare il seguente problema proposto dal «Journal de mathématiques pures et appliquées» (fondato da Liouville nel 1836): fra i piani tangenti ad un ellissoide trovare quello sul quale il triangolo determinato dai suoi tre piani principali abbia un’area minima. Chiò inviò una soluzione a Liouville che la cita nel suo giornale nei termini seguenti: «Dans une note q’un élève de M. Plana vient de m’adresser, mais qui n’a pu être inséré dans ce Journal, l’auteur arrive à l’équation du troisième degré [...], et, pour démontrer la réalité de ses trois racines, il emploie un artifice que lui a communiqué l’habile professeur de Turin». È possibile che nella sua missiva a Hermite, Genocchi, che fin dal 1871, anno della morte di Chiò, scrisse più di una volta in difesa del suo nome, abbia rivendicato anche per questo contributo, ciò che è merito di Chiò nei confronti di Plana. Cfr. J. Liouville, Sur la théorie des équations transcendantes, «Journal de mathématiques pures et appliquées», 3 (1838), pp. 337-341; A. Genocchi, Notizie intorno alla vita ed agli scritti di Felice Chiò, «Bullettino di bibliografia e di storia delle scienze matematiche e fisiche», 4 (1871), pp. 363-380, p. 365 e nota 4. 2 Il nome Bellatis, che è risultato irreperibile in tutti i repertori che sono riuscito ad avere a disposizione, è presumibilmente un lapsus calami. Il passo della lettera potrebbe riferirsi a Giusto Bellavitis di cui Genocchi, dalle parole di Hermite, deve aver ricordato il nome a proposito della scoperta del teorema di Clausen e Staudt sui numeri di Bernoulli (cfr. nota 2, p. 62). L’ eventuale ruolo di Bellavitis in questa scoperta andrebbe ulteriormente approfondito. 3 Cfr. nota 3, p. 36. 4 Cfr. nota 1, p. 62. 5 Le considerazioni nel seguito della missiva si riferiscono al lavoro di Genocchi che Hermite ha ricevuto e da lui citato nella precedente lettera del 2 febbraio 1881 (cfr. nota 2, p. 60).
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µ de degré m, Fm(µ), résultant de la relation:
z
∞
Q m = − t (1 − t )( 2 − t ) L( m − 1 − t )t µ −1 e − t dt = Fm ( µ )⋅ Γ ( µ ) 0
Quoi qu’il en soit vous obtenez la formule
z
∞
x
LM N
F (µ) F2 ( µ ) e−v 1 − x 1− µ x + 1 + +K µ dv = e x x ( x + 1) x ( x + 1)( x + 2) v
OP Q
bien remarquable par sa simplicité, et qui vous donne en particulier, pour la fonction de M. Prym: 1
z
∞
1
LM N
OP Q
1 1 1 e−v dv = 1 + F (µ) + F (µ) + K e 1⋅ 2 1 1⋅ 2 ⋅ 3 2 vµ
Mais afin qu’il soit bien établi que j’ai un caractère dyscole, je me plaindrai, j’exprimerai le regret de rester dans l’ignorance si cette formule ne subsistait 2 pas quel que 3 soit µ. Je voudrais savoir si pour une valeur imaginaire quelconque de cette quantité, on n’a point Limite
1 F (µ) = 0 1⋅ 2 K n n
pour n infini. De M. Schwarz à qui je suis heureux que vous ayez accordé une distinction bien méritée, 4 je suis également sans nouvelles, ma lettre sur les intégrales Eulériennes est restée sans réponse. 5 Et je n’ose m’adresser pour me tirer d’inquiétude à M. Schering, à qui je vais écrire, sachant depuis mon voyage à Gœttingue qu’il y a entre eux un abîme. Oserais-je vous prier de me dire votre avis sur une note de moi que M. Chevreul a publiée dans son ouvrage: de la méthode a posteriori, expérimentale? 6 Mes sentiments affectueux et tout dévoués Ch. Hermite
1
Per la funzione di Prym cfr. nota 1, p. 53. 3 Nell’originale: quelque. Nell’originale: subsisterait. 4 Schwarz divenne Socio corrispondente della Reale Accademia delle Scienze di Torino, nella Classe di Scienze fisiche matematiche e naturali, il 19 dicembre 1880. 5 È la lettera sugli integrali euleriani, che Hermite, come accenna nella lettera del 2 febbraio 1881, ha inviato a Schwarz per la pubblicazione (cfr. nota 3, p. 60). 6 Cfr. nota 1, p. 55. 2
le lettere di charles hermite a angelo genocchi
65
16.[17] Paris 10 Mars 1881 Monsieur, Permettez-moi une remarque encore sur la formule à laquelle vous êtes parvenu 1 et qui me semble extrêmement intéressante: ∞
e−ξ
a
ξ
z
x
dξ =
LM N
OP Q
F ( x) F2 ( x ) a− x + +L 1+ 1 a a + 1 ( a + 1)( a + 2) e
Dans cette formule Fm (x) représente un polynôme entier en x de degré m, défini par la relation suivante: Fm ( x ) =
( −1) m ∞ ξ ( ξ − 1)L( ξ − m + 1)ξ x −1 e − ξ dξ Γ( x) 0
z
On en conclut facilement: Fm+1(x) = mFm(x) – xFm (x + 1) d’où: F1 = –x , F2 = x2 , F3 = – x(x2 + 1) F4 = x(x + 4x – 1) , F5 = – x(x4 + 10x2 – 5x + 8) etc. 3
Mais vous posez l’importante question de l’étendue, ou des limites de la représentation de l’intégrale par ces polynômes, je crois pouvoir y répondre et démontrer que votre formule subsiste dans tout le plan. Voici à cet effet une nouvelle définition et une autre origine pour les polynômes Fm (x). J’observe qu’en faisant dans la fonction de M. Prym: 2
z
∞
ξ − x e − ξ dξ
1
la substitution: ξ
= 1 – log (1 – ζ)
on a pour transformée:
z
1
0
a f
1 − log 1 − ζ
−x
dζ
1 Gli sviluppi che si trovano in questa missiva fanno seguito a quelli della precedente del 2 marzo 1881 (cfr. nota 5, p. 63) in cui Hermite ha approfondito alcuni aspetti del lavoro di Genocchi citato nella lettera del 2 febbraio 1881 (cfr. nota 2, p. 60). 2 Sulla definizione della funzione di Prym cfr. nota 1, p. 53.
66
giacomo michelacci
Cette intégrale est certainement finie, bien qu’à la limite supérieure la fonction [1 – log (1 – ζ )]–x soit infinie pour x<0, tandis qu’elle est infinie pour ζ = 0, si l’on suppose x > 0. Pour fixer les idées je me place dans la première hypothèse, et je vérifie a posteriori que l’intégrale:
z
1
1− ε
1 − log (1 − ζ )
−x
dζ
est nulle en effet pour ε = 0, en prenant pour – x un nombre entier positif, ce qui permet d’effectuer explicitement l’intégration. Ceci posé, et en considérant pour ε infiniment petit, la quantité
z
1−ε
0
1 − log (1 − ζ )
−x
dζ
je remarque qu’on a en série convergente, entre les limites de l’intégrale: ζ
ζ2
ζ3
1 − log (1 − ζ ) = 1 + + + + L 1 2 3
On peut donc poser en série également convergente, pour toute valeur réelle ou imaginaire de x:
LM1 + ζ + ζ + LOP N 1 2 Q 2
−x
ζ
ζ2
ζm
F ( x) + L + F ( x) + L = 1 + F1 ( x ) + 1 1⋅ 2 2 1 ⋅ 2K m m
entre les mêmes limites des valeurs de ζ, et nous en concluons l’expression suivante de la fonction de M. Prym:
z
1
0
1 − log (1 − ζ )
−x
dζ = 1 +
F1 ( x ) F2 ( x ) + +L 1⋅ 2 1⋅ 2 ⋅ 3
Mais c’est précisément votre formule qu’on retrouve par cette voie, comme vous allez le voir. Prenez en effet la dérivée par rapport à ζ de l’équation précédente, vous aurez: −
LM N
OP Q
ζ ζ2 x 1+ + L 1−ζ 1 2
− ( x +1 )
ζ
ζm
= F1 ( x ) + F2 ( x ) + L + F ( x) + L 1 1 ⋅ 2Km m+1
et bien facilement par suite, Fm+1 (x) = mFm (x) – xFm (x + 1)
le lettere di charles hermite a angelo genocchi
67
C’est donc la loi de formation des polynômes Fm (x) qui a été donnée comme conséquence de votre méthode, et sous ce nouveau point de vue, la convergence de la série:
F1 ( x ) F2 ( x ) + +L 1⋅ 2 1⋅ 2 ⋅ 3 étant établie, vous voyez que votre expression de l’intégrale 1+
z
∞
a
e−ξ ξx
dξ =
LM N
OP Q
F ( x) a− x +L 1+ 1 a a +1 e
est convergente, a fortiori, puisque a est supposé positif, égal ou supérieur à l’unité. Peut-être m’objecterez-vous qu’il y a doute que les puissances dont l’exposant est quelconque réel ou imaginaire d’une série convergente, soient également des séries convergentes pour les mêmes valeurs de la variable. En attendant votre jugement sur ce point, je vous remercie extrêmement de l’envoi que vous avez bien voulu nous faire à M. Picard et à moi, de votre excellente note sur les fonctions interpolaires 1 qui éclaircit des propositions absolument fondamentales en Analyse, et dont je pourrai avoir occasion de vous reparler. Avec les sentiments de la plus haute estime, votre bien sincèrement dévoué Ch. Hermite 17.[18] Paris 30 Mars 1881 Monsieur, Vous savez sans doute qu’une place à l’Académie dans la section de Géométrie est en ce moment vacante par la mort de M. Chasles 2 qui m’a fait devenir le doyen de cette section. J’ai eu par suite des devoirs à remplir qui m’ont bien détourné de l’Analyse, et sur la question posée entre nous, 3 de la convergence du développement suivant les puissances de ζ, de la fonction:
1 − log (1 − ζ ) 1
x −1
= 1 + ζ F1 ( x ) +
ζ2
1⋅ 2
F2 ( x ) + L +
ζn
1⋅ 2 ⋅ K n
Fn ( x ) + L
Cfr. la lettera del 2 febbraio 1881 (nota 1, p. 60). Chasles morì a Parigi il 12 dicembre 1880. 3 Gli sviluppi che seguono si collegano a quelli della lettera precedente del 10 marzo 1881 (cfr. let. 16, p. 65). 2
68
giacomo michelacci
je ne puis fournir encore lumière, et je dois plutôt vous apporter de nouveaux doutes. La variable ζ se trouve engagée sous deux genres de fonctions distinctes, d’abord le logarithme, puis l’exposant qui doit être supposé quelconque, réel ou imaginaire. À coup sûr log (1 – ζ) est convergent pour Mod ζ < 1; à coup sûr ainsi [1 – log (1 – ζ)]x–1, sera développable suivant les puissances de log (1 – ζ) et très certainement suivant les puissances de ζ, si l’on a la condition: Mod log (1 – ζ) < 1. Mais au delà, et jusqu’à ζ < 1, j’hésite infiniment, ainsi Monsieur j’abandonne la voie qui me mène à ces embarras, et c’est de votre méthode, que j’attends la solution de la difficulté. L’expression de Fn (x) que vous avez découverte est on ne peut plus remarquable, et j’ai l’intime conviction que vous pénétrez beaucoup plus avant que je ne puis le faire, dans la nature de la transcendante de M. Prym, 1 par votre analyse. Si vous y revenez pour établir le fait de la convergence, tout alors vous appartiendra, et mon apport se limitera à la remarque suivante. Désignez les coefficients du binôme, par:
n1 =
n ( n − 1) n , n2 = , etc. 1 1⋅ 2
on aura cette expression: Fn (x + 1) = xn + n3xn–2 + n4 xn–3 + (8n5 + 10n6)xn–4+ + (26n6 + 35n7)xn–5 + ··· Mais vous le voyez, je n’obtiens que les premiers termes, et les coefficients suivants se compliqueront sans doute, ce qui ne laisse guère d’espoir d’obtenir une expression complètement explicite. La candidature me servira d’excuse pour mon insuffisance excusationum umbracula quoerens, j’en suis tout rempli, j’ai dû me jeter dans la mêlée, et parler au comité secret de l’Académie. Il y a eu en effet une grande bataille et des divisions parmi ceux qui combattaient sous le même drapeau. J’ai été seul de mon avis dans la section pour que M. Darboux fût présenté en première ligne ex aequo avec M. Jordan, et seul encore pour que M. Halphen fût mis à part et avant M. Mannheim. 2 Il m’a fallu déclarer le dissentiment devant l’Académie, au comité secret 1
Cfr. nota 1, p. 53. Il verbale del Comité secret dell’Académie des sciences di Parigi di lunedì 28 marzo 1881 riporta che Hermite, decano della Section de Géometrie, ha presentato la lista seguente dei candidati al posto reso vacante dalla morte di Chasles: Jordan, Darboux, Laguerre, Halphen, Mannheim, Appell, Picard, Poincaré. Hermite ha presentato i titoli di Jordan, Halphen e Poincaré. Lo scrutinio, nella seduta successiva di lunedì 4 aprile 1881, è stato a favore di Jordan. 2
le lettere di charles hermite a angelo genocchi
69
de la dernière séance; heureusement que Darboux s’étant désisté en faveur de Jordan, ce dernier a été en fait notre candidat à tous. Mais que M. Mannheim est un habile homme! Il a eu pour lui M. Liouville, et tout un parti d’admirateurs de sa géométrie, M. Frémy, M. Dupuy de Lome, M. Janssen, M. Faye etc. C’est contre ces éminents confrères que M. Bertrand, et moi nous avons défendu la cause de l’Analyse; qui me diton paraît décidément devoir l’emporter, sans que cependant ce soit absolument sûr, au scrutin de lundi prochain. Recevez Monsieur la nouvelle assurance de mes sentiments affectueux et tout dévoués Ch. Hermite 18.[19] Paris 27 Avril 1881 Monsieur, C’est une question qui ne me paraît point sans intérêt que celle de décider jusqu’à quelle limite des valeurs de ζ, on peut assurer la convergence du développement de la quantité [1 – log (1 – ζ)]x–1 suivant les puissances croissantes de cette quantité. 1 Peut-être offre-t-elle une épreuve du théorème général de Cauchy, de nature à faire ressortir des conditions nécessaires à son application, qui n’ont pas été mises suffisamment en évidence. L’histoire de l’Analyse offre bien des exemples de théorèmes importants auxquels on s’est confiés en leur accordant une généralité trop grande, qu’il a fallu restreindre, et c’est l’expérience, ce sont les applications qui ont révélé l’erreur. Il est sage d’attendre cependant, et de se réserver avant de s’en prendre à Cauchy. Aussi je me propose de laisser dormir un peu cette question, ayant en outre pour motif que d’autres sujets qui me préoccupent, ne me laissent pas la liberté d’y réfléchir aussi à fond qu’il faudrait. Permettez-moi Monsieur, de solliciter votre opinion sur une remarque que j’ai eue dernièrement à l’esprit, au sujet de ce que les physiciens et les naturalistes philosophes appellent “le sentiment de la continuité dans les lois de la nature”. Ne pensez-vous point que ce sentiment soit simplement un écho de la conception des fonctions de l’Analyse qui ont servi depuis Newton, jusqu’à Laplace et Poisson à l’expression des lois de nature qui ont pu être soumises au calcul? Je rattache donc le sentiment en question, aux formules de la mécanique céleste, et à un état de la science de l’Analyse, 1 L’ argomento si collega agli sviluppi trattati a partire dalla missiva del 2 febbraio 1881 (let. 14, p. 60), e in particolare in quelle del 2, 10, 30 marzo 1881 (lett. 15, 16, 17; pp. 62, 65, 67).
70
giacomo michelacci
qui me semble avoir entièrement changé de face, depuis Riemann. De nos jours on voit sous des formes variées, dont Jacobi et même Cauchy n’auraient pu avoir l’idée, se révéler dans nombre de circonstances des discontinuités dans les fonctions, qui changent entièrement les idées anciennes sur la façon de concevoir leur mode d’existence. Ceci posé, et en admettant que les propriétés générales des fonctions, soient 1 en quelque chose, un reflet des lois générales de la nature, qui autorise dans la conception de ces lois, à tenir compte des résultats acquis par l’Analyse ne serait-il pas naturel, et même nécessaire aujourd’hui, d’admettre des discontinuités dans les phénomènes du monde réel et objectif, comme dans le monde subjectif des mathématiques, et d’abandonner en y renonçant complètement, ce sentiment “de la continuité dans les lois de la nature”. Je ne sais Monsieur si vous êtes partisan des théories évolutionnistes, 2 et des idées du grand naturaliste Darwin, idées qui reposent moins sur des faits que sur une conception pure de l’esprit. Pour moi je vous avoue que comme géomètre, et sans chercher par conséquent des raisons en dehors de la science, je les repousse, croyant me conformer plus sincèrement aux réalités démontrées, et à la certitude acquise, et à l’induction légitime, qu’en leur donnant mon acquiescement. Pardonnez-moi Monsieur ce bavardage et recevez la nouvelle assurance de mon affection bien sincère et bien dévouée Ch. Hermite 19.[20] Paris 7 Mai 1881 Monsieur, J’ai pensé que vous auriez plaisir à connaître le travail 3 ci-joint de M. Bourguet sur la théorie des intégrales Eulériennes. Vous verrez que la
1
2 Nell’originale: évolutionistes. Nell’originale: soit. Come si legge nella lettera successiva, del 2 giugno 1881 (let. 20), il manoscritto di Bourguet sugli integrali euleriani, che Hermite ha allegato alla presente missiva, si inserisce per una sua parte, nella questione della convergenza dello sviluppo in serie della funzione [1 – log (1 – ζ)]x–1 secondo le potenze di ζ di cui Hermite ha scritto nelle lettere del 10 e del 30 marzo 1881 (cfr. lett. 16, 17; pp. 65, 67), questione sulla quale, come qui Hermite scrive, sia lui che Genocchi si sarebbero arrestati, e di cui Bourguet avrebbe trovato la soluzione. Nella stessa lettera del 2 giugno (let. 20, p. 71), si legge che, in accordo con le critiche di Genocchi, Hermite finirà per riconoscere un errore di Bourguet. Tornerà sull’argomento anche nella lettera del 10 giugno successivo (let. 21, p. 73). La sequenza delle lettere datate che riguardano questo lavoro, permette di stabilire una datazione per la successiva lettera 22, p. 75. 3
le lettere di charles hermite a angelo genocchi
71
1
question de convergence qui nous a arrêtés l’un et l’autre a été traitée et résolue d’une manière vraiment intéressante, aussi et sous toute réserve de votre jugement, je vous ferai la proposition de publier dans les Atti 2 les deux notes dont se compose ce travail. La seconde vous fournirait l’occasion d’indiquer les résultats auxquels vous êtes parvenu de votre côté et qui ont servi de point de départ aux recherches de l’Auteur. Permettez-moi Monsieur de saisir cette occasion pour vous faire part d’un événement de famille et vous annoncer le prochain mariage de ma nièce Mademoiselle Amélie Bertrand, 3 fille de M. Alexandre Bertrand directeur du musée archéologique de St Germain avec M. Appell, le jeune et savant géomètre. M. Appell a été à l’ École Normale le camarade de mon gendre, et je l’ai eu également pour élève à la Faculté des Sciences. C’est un bon et excellent jeune homme que nous avons été extrêmement heureux de faire entrer dans la famille. En vous renouvelant Monsieur l’expression de ma haute estime, je vous prie de me croire votre bien affectueusement dévoué Ch. Hermite 20.[21] Paris 2 Juin 1881 Monsieur, J’aurais bien dû avant de vous envoyer le travail de M. Bourguet en avoir fait une étude plus attentive et faire moi-même à l’auteur les observations extrêmement fondées que contient votre avant-dernière lettre. 4 Depuis que je l’ai reçue, j’ai ouvert avec M. Bourguet une correspondance qui m’a donné satisfaction en partie, mais le point qui nous touche le plus, je veux dire ce qui concerne la fonction [1 – log (1–z)]x–1, n’a pas été éclairci de la manière que j’aurais désirée. Permettez-moi d’y revenir encore une fois avec vous. La définition précise de ce que l’on nomme 1
Nell’originale: arrêté. Si tratta degli «Atti della Reale Accademia delle Scienze di Torino». 3 Amélie Bertrand era una nipote di J. Bertrand e di Hermite e cugina di Picard. 4 Si tratta del manoscritto di Bourguet, inviato da Hermite a Genocchi con la precedente lettera del 7 maggio 1881 (cfr. nota 3, p. 70), sul quale come si rileva in queste prime righe della lettera, Genocchi ha sollevato delle riserve. Dal seguito di questa missiva, il problema, che rimane insoluto, sembra quello di stabilire se, e in che regione del campo complesso, la funzione [1 – log (1 – ζ)]x – 1 è olomorfa rispetto alla variabile x. Il manoscritto di Bourguet pare non abbia risolto questo problema e, di conseguenza, come si legge nel seguito, seguendo quanto Hermite propone, Genocchi ne considererà solamente la parte che tratta gli zeri della funzione Γ′(x) e lo presenterà all’Accademia delle Scienze di Torino nella seduta del 19 giugno 1881, per la pubblicazione sugli «Atti» (cfr. nota 2, p. 75). 2
72
giacomo michelacci 1
point critique manque, dans la théorie des fonctions. Aussi dans le cas présent, voici ce qui me semblait devoir être établi, afin d’être rigoureux et parfaitement clair. Soit d’abord: z = ρeiθ, puis: 2 1 – z = Reit , et enfin: 1 – log (1 – z) = 1 – (log R + it) = 4 eiΘ On sait parfaitement que sous la condition ρ <1, t est une fonction de θ qui reprend la même valeur aux limites, t=0, t=2π. Je demande maintenant de prouver que l’argument Θ a la même propriété, et ne s’augmente point d’un multiple de 2π, lorsque la variable primitive t, se change en t + 2π, et ce n’est qu’autant que cette démonstration me sera donnée, que j’accorderai que la fonction [1–log (1–z)]x–1, est holomorphe pour toute valeur de x, à l’intérieur du cercle de rayon un. M. Bourguet n’est pas entré dans cette voie que je lui indiquais, et j’aurais dû moi-même entreprendre la recherche que je lui avais indiquée. Mais j’avouerai avec l’excuse d’un peu de fatigue, que la paresse l’emporte “video meliora proboque, deteriora sequor”. 3 Je ne fais vraiment rien en dehors de mes leçons de la Sorbonne qui sont une préoccupation sérieuse ayant à enseigner aux élèves de l’École Normale quelques uns des beaux et grands résultats de M. Weierstrass, dans la théorie générale des fonctions, et les points essentiels de la théorie des fonctions elliptiques. Je vous proposerai, si vous le voulez bien, de prendre dans le travail que je vous ai envoyé, pour la présenter à l’Académie, la partie concernant le calcul des racines de l’équation Γ′(x)=0, en laissant de côté tout le reste, cette partie étant ce me semble vraiment intéressante, et complétant la théorie de la fonction Γ en un point essentiel. L’auteur dont je crois vous avoir conté l’histoire, rédige mal, mais il a un talent d’un genre spécial, incontestable, et en corrigeant les épreuves, je me chargerai avec grand plaisir de rendre la rédaction moins imparfaite. Je vous félicite vivement Monsieur d’avoir fait à Turin, ce que malgré tout mon désir, je ne réussirai sans doute pas à faire à Paris pour M. Weierstrass, 4 qu’il serait aussi de l’honneur de notre Académie des Sciences de nommer associé étranger. Vous savez quelle part nous pouvons revendiquer, par les relations de Legendre avec Abel et Jacobi, pour le grand prix des 1 Col termine «point critique» Hermite si riferisce al punto di diramazione di una funzione multiforme di variabile complessa: cfr. C. Hermite, Cours...Professé pendant le 2e Semestre 188182 rédigé par M. Andoyer. Second tirage, revu par M. Hermite, Paris, Hermann, 1883, p. 41. 2 Per una banale svista nella formula scritta sull’originale si trova 1 – log R +it al posto di 3 Ovidio, Metamorfosi, VII, 20. 1 – (log R + it). 4 Weierstrass è stato eletto socio straniero della Reale Accademia delle Scienze di Torino, nella Classe di scienze fisiche matematiche e naturali, il 29 maggio 1881 al posto di Chasles.
le lettere di charles hermite a angelo genocchi
73
1
sciences mathématiques, donné à M. Rosenhein, dans cette branche de l’Analyse où M. Weierstrass a fait d’immortelles découvertes. Continuer une tradition remontant aux fondateurs de la théorie des fonct[ions] elliptiques et Abéliennes, c’est à mes yeux une importante obligation pour l’Académie, et quelques uns de mes confrères, entre autre mon beau-père M. Bertrand avec qui je me suis entretenu de ce sujet, partagent mon sentiment. Mais M. Bertrand m’a averti qu’il existait un parti nombreux gardant toutes les rancunes de la guerre, qui ferait 2 à la candidature du grand géomètre allemand une opposition acharnée. C’est déplorable et infiniment regrettable, mais c’est ainsi, je ferai cependant tout mon possible, avec l’espérance que si je suis battu, vous me consolerez de ma défaite. Avec mes remerciements bien sincères pour la bienveillance que vous me montrez pour M. Bourguet et l’expression de ma plus haute estime, je vous renouvelle Monsieur l’assurance de mon affection la plus dévouée. Ch. Hermite [P.S.] Les quantités S n de M. Bourguet, 3 sont celles d’Euler: 1 1 1+ n + n + L 2 3 21.[22] Paris 10 Juin 1881 Monsieur, Recevez tous mes remerciements pour la bonté que vous avez de présenter à l’Académie et de publier dans les Atti 4 la portion du travail de M. Bourguet qui concerne l’équation Γ′(x)=0. C’est un point réellement intéressant dans la théorie de la fonction Γ et malgré ses imper1 Jacobi aveva formulato il problema d’inversione per un integrale abeliano su una curva di genere p. Il problema per il genere p = 2 fu l’argomento del lavoro con cui Rosenhein vinse nel 1851 il Grand prix des Sciences mathématiques dell’Académie des sciences di Parigi, indetto nel 1846. Il lavoro è il seguente: G. Rosenhein, Mémoire sur les fonctions de deux variables et à quatre périodes, qui sont les inverses des intégrales ultra-elliptiques de la première classe, Paris, 1851. 2 Nell’originale: feraient. Γ' (1+ x ) 3 Bourguet nel calcolo delle derivate successive della funzione ha trovato alcune Γ (1+ x ) proprietà dei numeri Sn, riportati da Hermite in questo poscritto. Si tratta di otto sviluppi in serie contenenti tali numeri che si trovano in appendice al manoscritto di cui si tratta in questa missiva (cfr. qui nota 4). 4 Si tratta del manoscritto discusso nelle lettere del 7 maggio e del 2 giugno 1881 (cfr. nota 3, p. 70 e nota 4, p. 71) che verrà di lì a poco pubblicato: L. Bourguet, Sur la détermination des maxima et minima de la fonction Γ (x), «Atti della Reale Accademia delle Scienze di Torino», 16 (1880), pp. 758-772.
74
giacomo michelacci
fections de rédaction, la note de l’auteur ne déparera point vos Comptes rendus. 1 Permettez-moi de vous prier de m’adresser les épreuves à corriger, M. Bourguet me laissera volontiers faire les légères modifications de rédaction que je jugerai convenables, et je me chargerai de vous les retourner sans retard. M. Schwarz s’est donc enfin décidé à vous donner signe de vie, en vous faisant ainsi une faveur dont il ne me juge point digne. Mais je ne lui en sais pas mauvais gré, et c’est avec le plus grand plaisir que je reçois par vous la nouvelle de la publication de la théorie des fonctions elliptiques de M. Weierstass 2 qu’il a commencée. Le grand géomètre a apporté dans cette théorie un élément analytique entièrement nouveau, en donnant sous forme d’un produit de facteurs primaires les fonctions Θ, Θ1, H, H1. Pour H(x), par exemple, ces facteurs primaires sont:
LM1 − 2mK +x2m′iK ′ OP e N Q
x x2 + 2 mK + 2 m ′iK ′ 2 (...) 2
et l’on n’a plus les embarras et les difficultés des produits infinis dont la limite varie avec l’ordre des facteurs. Ce perfectionnement si important n’est pas le seul qui soit dû à M. Weierstrass, et c’est rendre aux amis de l’Analyse un signalé service, que de n’en pas laisser la connaissance exclusive, aux étudiants de l’Université de Berlin. Vous êtes trop bon Monsieur, de penser que vous trouverez quelque profit dans mes leçons de la Sorbonne; vous n’y auriez qu’un écho éloigné de celles de M. Weierstrass, que je recueille par tous les moyens possibles. Je dois à M. Wiltheiss, privat-docent de l’Université de Halle sur Saale, la communication de la décomposition en facteurs primaires, que je n’aurais pu absolument aborder, sans sa bonne obligeance, et que j’exposerai demain à mes élèves. J’ai appris avec bien du regret les inquiétudes que vous avez pour votre vue, 3 et dont M. Catalan m’avait déjà dit quelque chose; ne vous donne-t-on pas le conseil de renoncer aux livres et à l’étude autant que possible, pour vivre à la campagne, de la vie physique? Avec mes vœux et mon conseil à moi de vous ménager pour le travail, je vous renouvelle Monsieur l’assurance de ma plus sincère affection Ch. Hermite 1
Si tratta degli «Atti della Reale Accademia delle Scienze di Torino». Schwarz, che fu allievo di Weierstrass, ha fatto conoscere la nuova forma che quest’ultimo aveva dato alla teoria delle funzioni ellittiche, pubblicando la raccolta seguente: H. A. Schwarz, Formeln und Lehrsätze zum Gebrauche der elliptischen Funktionen, nach Vorlesung und Aufzeichnungen des Herrn K. Weierstrass, Göttingen, 1881-1885. 3 Hermite si riferisce alla vista di Genocchi che fu sempre più precaria fin dalla sua gioventù. 2
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22.[23] [Paris Juillet 1881] 1 Monsieur, Vous avez fait à M. Bourguet le plus grand plaisir en accueillant le travail que je vous ai adressé, 2 et dont je vous envoie les épreuves corrigées et revues par lui et par moi. J’aurais désiré vous remercier de ce bon accueil en vous donnant une note pour les Atti, mais la fin de l’année scolaire 3 impose d’ennuyeux devoirs d’examens de baccalauréat et de licence qui empêchent un travail plus sérieux. Je viens à l’instant de corriger 21 compositions pour les examens de demain, me demandant en pensant à vous, si pareille corvée vous échoit, comme professeur de l’Université. C’est pendant tout le mois de Juillet et pendant la chaleur accablante de Paris à ce moment, qu’il faut ainsi bon gré mal gré travailler. Aussi n’estil point d’écolier à souhaiter plus vivement que moi l’heure de la délivrance et des vacances. Je compte au commencement d’Août fuir Paris pour la province; sans l’ombre du plus léger scrupule je déserterai le devoir électoral, abandonnant à la Providence, de conduire et de diriger le suffrage universel aux élections qui auront lieu en Septembre. 4 1 La data è mancante ed è stata ricostruita in base ai seguenti elementi. Hermite in questa missiva, fa riferimento ad un lavoro di Bourguet, di cui invia a Genocchi le bozze corrette. Questo è con ogni probabilità il medesimo manoscritto di Bourguet che Hermite inviò a Genocchi, con la lettera del 7 maggio 1881 (cfr. nota 3, p. 70), corretto da Genocchi come conferma la lettera del 2 giugno 1881 (cfr. nota 4, p. 71), mentre la lettera del 10 giugno 1881 (cfr. nota 4, p. 73) dice che Genocchi avrebbe presentato il lavoro alla Reale Accademia delle Scienze di Torino per pubblicarlo sugli «Atti» (Genocchi lo ha presentato il 19 giugno 1881). La presente missiva, citando le bozze corrette di un articolo di Bourguet, accolto per la pubblicazione, tramite l’interessamento di Genocchi (cfr. qui nota 2), sembra omogenea alle lettere dalla 19 alla 21 e posteriore a quest’ultima. Questi elementi lasciano ragionevolmente presumere che l’anno della missiva sia il 1881. In favore di questa data vi è poi la citazione del suffragio universale e del congresso di Algeri (cfr. qui nota 4 e nota 1, p. 76). Il mese è luglio in quanto gli esami del baccalauréat, a cui Hermite fa cenno, si tenevano dal 10 luglio all’1 settembre a partire dall’anno 1878 (cfr. Ministère de l’Instruction Publique, Annuaire pour l’année 1878, Paris, 1878). Il luogo è Parigi come risulta chiaramente leggendo il passo da «Je viens à l’instant de corriger» a «Je compte au commencement d’Août fuir Paris pour la province». 2 Il manoscritto di Bourguet citato nelle lettere del 7 maggio, 2 e 10 giugno (cfr. lett. 19, 20, 21; pp. 70, 71, 73) è stato pubblicato sugli «Atti»: L. Bourguet, Sur la détermination des maxima et minima de la fonction Γ (x), «Atti della Reale Accademia delle Scienze di Torino», 16 (1880), pp. 758-772. Bourguet ha ringraziato Genocchi per l’interessamento alla pubblicazione, in una lettera scritta da Parigi il 12 giugno 1881, conservata alla Biblioteca Comunale Passerini-Landi di Piacenza, Fondo Genocchi, Busta X1. 3 Nell’originale: scholaire (in uso nella lingua del tempo cfr. Littré, Dictionnaire de la langue française, Paris, Jean-Jacques Pauvert, rist. 1956). 4 Si tratta delle elezioni a due turni dell’Assemblée nationale della terza repubblica che si svolsero il 21 agosto e 4 settembre 1881.
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De ces prochaines élections, je n’augure rien de bon; j’ai bien plutôt crainte que l’inévitable triomphe des radicaux n’amène des catastrophes. En France c’est toujours le parti des violents qui l’emporte, et actuellement tout élément de résistance fait absolument défaut. Notre pauvre pays ne mérite plus d’être heureux, et il ne l’est plus. On dit que nous sommes brouillés avec l’Angleterre et l’Italie, et tout dernièrement M. Darboux me contait qu’au Congrès Scientifique d’Alger 1 où il est allé, les savants Italiens ont décliné toutes les invitations qui leur avaient été adressées d’y prendre part. On dit aussi que les affaires de Tunisie sont le prélude d’une levée de boucliers des musulmans, et d’une véritable guerre de religion contre nous en Afrique. Mais laissons de côté les préoccupations sur l’avenir aussi inutiles qu’inquiétantes. Permettezmoi de vous demander si vous connaissez M. Klein l’éminent géomètre de Leipsick; 2 on m’a dit, mais je n’y ajoute point une foi entière, que dans ses leçons il se serait exprimé avec malveillance, à l’égard de M. Picard à propos de ses récentes publications, et aussi à l’égard de son compatriote M. Fuchs. Il m’a fait indirectement des avances auxquelles j’aurais cédé plus volontiers, si je n’avais été mis ainsi en quelque défiance de lui. En espérant bien Monsieur que vous ne jugerez point plus que moi, que la brouille des nations doive avoir pour conséquence la brouille des particuliers qui n’en peuvent mais, 3 je vous renouvelle l’expression de mes sentiments les plus affectueux et les plus dévoués Ch. Hermite 23.[24] Paris 27 Décembre 1881 Monsieur, J’ai le plaisir de vous informer que la section de Géométrie de l’Académie des Sciences, a voulu vous donner un témoignage de ses sentiments de haute estime pour vos travaux mathématiques et toute votre carrière scientifique. Elle a décidé à l’unanimité et en vous choisissant le premier avec M. Brioschi, parmi les géomètres de l’Italie, qu’il vous serait offert un exemplaire des Œuvres complètes de Cauchy, publiées sous sa 1 Nell’aprile del 1881 si tenne ad Algeri un congresso scientifico. Non sono riuscito a reperire in biblioteche italiane e straniere gli Atti di quel congresso. Se ne parla, però, in Felix Augustin de Pulligny, Six semaines en Algèrie: notes de voyage d’un membre du congrès scientifique tenu à Alger 2 Sta per Leipzig. (avril 1881), Paris, Morel, 1881. 3 Forma in uso all’epoca, documentata in E. Littré: Dictionnaire de la langue française, Paris, Jean-Jacques Pauvert, rist. 1956.
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direction et dont le premier volume vient de paraître. Vous recevrez dans quelques semaines ce volume, ainsi que la notification officielle qui vous sera adressée au nom de l’Académie par le Secrétaire perpétuel M. Bertrand. Ce m’est une véritable satisfaction de vous l’annoncer par avance, c’est aussi de tout coeur que je joins à cette annonce mes souhaits de bonne année et mes voeux pour vous, votre famille, et l’heureuse continuation de vos travaux. Le dernier mémoire que vous avez bien voulu m’envoyer et dont je vous remercie beaucoup, me montre que vous travaillez plus que moi, qui ai grand peine à venir à bout de mes recherches depuis si longtemps commencées sur l’équation de Lamé. 1 Les questions traitées par Euler et Lagrange et qui sont le sujet de votre travail, m’ont extrêmement intéressé, lorsque j’étais, comme vous l’êtes toujours, dévoué à l’arithmétique. Et ce n’est point que la théorie des nombres ne me recherche, mais je vois le temps s’écouler, les années fuir rapidement et j’ai quelque idée que c’est bien juste si je réussis à finir des questions analytiques entreprises et en particulier mon cours d’Analyse de l’École Polytechnique. J’ai dû faire dernièrement quelques leçons en remplacement de M. Bertrand et je me suis permis de vous en envoyer la rédaction faite par un élève, pour que vous jugiez de quelle manière je comprends l’enseignement aux commençants de la théorie générale des fonctions, et dans quelle mesure je crois pouvoir faire entrer les découvertes de M. Weierstrass sur cette théorie, dans les éléments. Dans l’espérance de recevoir de vos nouvelles, je vous renouvelle Monsieur avec l’expression de ma plus haute estime, l’assurance de mes sentiments affectueux et bien dévoués Ch. Hermite [P.S.] Un exemplaire des Œuvres complètes de Cauchy, sera offert à l’Académie des Sciences de Turin. 24.[25] Paris 8 Février 1882 Monsieur, Permettez-moi de vous demander si une intervention occulte de ma part a eu l’effet que je désirais et a réalisé mon intention. 2 L’inexplicable 1
Sui contributi di Hermite all’equazione di Lamé cfr. nota 4, p. 47. La prima parte di questa missiva si riferisce all’elezione di Weierstrass citata nella lettera del 2 giugno 1881 (cfr. nota 4, p. 72). 2
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retard mis par M. Weierstrass à répondre à votre Académie et à lui témoigner sa reconnaissance de son élection comme membre étranger, m’a suggéré la pensée de lui faire parvenir par une voie amie la déplorable impression que produisait sa négligence. Vous savez peut-être que j’ai été étroitement lié avec M. Borchardt son plus intime et le plus dévoué de tous ses amis; je dois à cette circonstance d’être entré en rapport avec le grand géomètre, et Madame Borchardt après la mort de son mari sert encore de lien entre nous. Je me suis adressé à elle, immédiatement après avoir reçu votre dernière lettre, et tout dernièrement j’ai reçu l’assurance que sur ses instances, M. Weierstrass avait enfin réparé ses torts. Mais Madame Borchardt n’est pas à Berlin; une affection de poitrine qui me donne les plus grandes inquiétudes l’a obligée 1 de partir avec une dame de compagnie de Madame sa mère, et c’est de Stuttgard 2 où elle s’est arrêtée, se rendant à Menton ou même à Palerme, s’il est nécessaire, qu’elle m’a écrit. Sans vouloir supposer quelque chose de trop défavorable de la part du plus distrait et du plus négligent des géomètres, et qui est cependant un excellent homme, je me permets de vous demander, si vous avez fini par recevoir de lui une satisfaction trop tardive. Je dois aussi Monsieur vous expliquer un autre retard dont je suis cause, mais que vous ne me reprocherez point. Sur une observation que j’ai faite à M. Gauthier-Villars, le sous-titre du premier volume des œuvres de Cauchy a dû être changé, et il a été nécessaire de faire “un carton”, ce qui a empêché l’envoi dont je vous ai fait l’annonce, de vous parvenir aussitôt que je l’avais présumé. Sans vous prévenir je me suis permis de disposer de votre nom en saisissant l’occasion que m’a donnée un travail de M. Laguerre, pour restituer à Félix Chio, la méthode mémorable attribuée à Plana pour démontrer la réalité des racines d’une classe d’équations algébriques ou transcendantes. 3 Les recherches de M. Laguerre sur la théorie des équations me semblent extrêmement belles, il doit les réunir dans un ouvrage qui je pense intéressera vivement les géomètres, et qui ne tardera pas à être publié. Dans le cas où vous connaîtriez les circonstances de la découverte de Félix Chio, et de quelle manière il est arrivé que son nom n’ait jamais été prononcé, je suis persuadé que M. Laguerre se fera un plaisir de 1
2 Sta per Stuttgart. Nel testo: obligé. Cfr. la lettera del 2 marzo 1881 (nota 1, p. 63), che lascia capire che Genocchi avrebbe sostenuto la priorità di Chiò nei confronti di Plana, nella scoperta di un metodo che consente di provare la realtà delle radici di una equazione algebrica di terzo grado. Per i dettagli sul metodo e per una valutazione sulla sua utilità si veda: J. Liouville, Sur la théorie des équations transcendantes, «Journal de mathématiques pures et appliquées», 3 (1838), pp. 337-341. 3
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contribuer à réparer une injustice, en lui donnant place dans son ouvrage. Veuillez agréer Monsieur la nouvelle expression de mes sentiments de haute estime et de sincère affection Ch. Hermite 25.[26] Paris 22 Février 1882 Monsieur, Je viens de parcourir votre notice sur la vie et les écrits de Félix Chio, ainsi que le catalogue de ses travaux par le Prince Boncompagni, 1 que vous avez eu également la bonté de m’envoyer. Vous m’avez appris Monsieur tout d’abord qu’en Italie les hommes de science sont unis par des liens d’estime et d’amitié qui sont malheureusement assez rares chez nous où la tendance à l’isolement devient de plus en plus manifeste. Et puis vous m’avez profondément et bien justement humilié. Le trait à l’adresse de M. Eugène Rouché que vous décochez dans la dernière phrase de votre notice, m’atteint en pleine poitrine. Chaque année à la Sorbonne j’expose la série de Lagrange, 2 et pas plus que M. 1 Si tratta del necrologio scritto da Genocchi in onore del suo maestro Chiò, che si era spento a Torino all’età di 58 anni, il 28 maggio 1871: A. Genocchi, Notizie intorno alla vita e agli scritti di Felice Chiò, «Bullettino di bibliografia e di storia delle scienze matematiche e fisiche», 4 (1871), pp. 363-380. Questo scritto è accompagnato dalla seguente appendice: B. Boncompagni, Catalogo dei lavori di Felice Chiò, ibid., pp. 381-400. 2 Hermite fa riferimento alle ricerche di Chiò sulla serie di Lagrange. Come ricorda Genocchi, nelle Notizie, (cfr. qui nota 1), p. 366, fin dal 1757 Lambert aveva pubblicato questa ben nota serie, usata per la risoluzione di equazioni algebriche trinomie; nel 1764 la comunicò ad Euler senza dimostrazione e più tardi a Lagrange, i quali ne fecero argomento delle loro investigazioni. Quest’ultimo la applicò al caso di un’equazione della forma x = u + f (x) dando una regola di convergenza della serie (cfr. J. L. Lagrange, Nouvelle méthode pour résoudre les équations littérales par le moyen des séries, «Mémoires de l’Académie royale des Sciences et Belles-Lettres de Berlin», 24 (1770), rist. in J. L. Lagrange, Œuvres, Paris, Gauthier-Villars, 1869, vol. 3). Inoltre cercò di dimostrare che se f (x) è una funzione intera della x la serie fornisce la radice minima dell’equazione (cfr. Id., Traité de la résolution des équations numériques de tous les degrés, (Note XI), Paris, 1798, 2a ed. 1808, rist. in J. L. Lagrange, Œuvres, Paris, Gauthier-Villars, 1879, vol. 8). Chiò, riesaminando criticamente i risultati di Lagrange, riconobbe inesatta sia la sua regola di convergenza, sia l’asserzione che la radice espressa fosse quella minima e oltre a dare alcune condizioni che rendono esatta la regola di convergenza di Lagrange, formulò un enunciato corretto, di semplicissima dimostrazione, che stabilisce quale radice dell’equazione, fra quelle reali, viene individuata dalla serie, nel caso di una equazione a termini reali. I risultati, presentati in un manoscritto e numerose note alla Reale Accademia delle Scienze di Torino dal 15 giugno 1842 al 4 giugno 1843, furono giudicati immeritevoli di approvazione il 2 luglio 1843, su relazione di Menabrea. Chiò, tramite l’Académie des sciences di Parigi, ricorse al giudizio di Cauchy, che riesamiando il manoscritto, assieme a Binet, lo ritenne degno di essere pubblicato. Ne seguirono le due memorie: F. Chiò, Recherches sur la série de Lagrange. Premier mémoire e Id., Recherches sur la série de Lagrange. Second mémoire, «Mémoires presentés par divers savants étrangers», 12 (1854), pp. 340-423; pp. 424-468.
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Rouché je ne fais mention du théorème découvert par Félix Chio, non par mauvaise intention, mais parce 2 qu’ayant eu sous les yeux dans le recueil des savants étrangers, le beau mémoire sur lequel votre notice rappelle si justement l’attention, j’ai par paresse, toujours remis à un autre moment de l’étudier. C’est qu’hélas, il y a tant à étudier ! Mais une occasion se présentera pour moi de rendre justice à l’éminent géomètre, lorsque je publierai le second volume de mon cours d’analyse, qui contiendra mes leçons à l’ École Polytechnique et à la Sorbonne, et dans lequel j’exposerai la série de Lagrange. Diverses recherches m’ont empêché jusqu’ici de rédiger ces leçons mais je compte m’y mettre aussitôt que j’en aurai fini avec cette interminable équation de Lamé 3 qui m’a pris des années de travail et pourrait m’occuper jusqu’à la fin de mon existence, si je m’attachais à toutes les questions qu’elle me suggère successivement. Permettez-moi Monsieur de vous annoncer la prochaine arrivée du premier volume des Œuvres de Cauchy; j’ai été informé que les lettres d’envoi, avaient été expédiées à M. Bertrand en ce moment absent de Paris, pour recevoir sa signature, et M. Gauthier-Villars s’empressera de vous le faire parvenir. Quelle tardive justice l’Académie des sciences rend enfin à l’une de ses plus grandes gloires, et à son plus grand géomètre! Cauchy n’a point recueilli de ses confrères l’estime et l’affection qu’il méritait à tant de titres. Poncelet a été violent et grossier à son égard, Poinsot disait de lui qu’il n’avait aucun mérite, et M. Bertrand dans un article du Journal des Savants de 1870, où il rend compte d’un ouvrage L’aspra controversia di Chiò con Menabrea che ne derivò emerse anche nell’ottavo Congresso degli scienziati italiani che ebbe luogo a Genova nel 1846, dove Chiò, il 18 settembre 1846, espose i contenuti dei suoi principali teoremi (cfr. A. Genocchi, Notizie, cit., p. 367; U. Bottazzini, La matematica e le sue ’utili applicazioni’ nei congressi degli scienziati italiani, 1839-1847, in I congressi degli scienziati italiani nell’età del positivismo, a cura di G. Pancaldi, CLUEB, Bologna, 1989, pp. 11-68). La polemica acquista rilevanza anche nel quadro dell’affermazione in Italia del rigore dei nuovi metodi analitici impiegati da Cauchy. Per ulteriori particolari e per la bibliografia sugli scritti editi e inediti di Chiò sulla serie di Lagrange, si vedano le Notizie di Genocchi e il Catalogo di Boncompagni (cfr. nota 1, p. 79). 1 Al termine delle sue Notizie, (cfr. nota 1, p. 79), Genocchi scrive: «In questi ultimi anni il signor Eugène Rouché presentò all’Istituto di Francia una Memoria intorno alla serie di Lagrange, che sopra relazione del signor Bertrand venne approvata e fu stampata nel Journal de l’Ecole Polytechnique, 39e cahier e nel Recueil des Savants Etrangers, tom. XVIII (1868). È singolare che nè la memoria nè la relazione fanno alcun cenno dei teoremi del Chiò nè quelli di Cauchy dianzi indicati, che stabiliscono i caratteri della radice espressa dalla serie» (cfr. Notizie, p. 380). Questa mancanza nei confronti di Chiò, che Hermite, come qui accenna, sente anche sua, sarà da lui riparata citando le ricerche di Chiò nell’edizione del 1883 del suo corso di analisi (cfr. C. Hermite, Cours... Professé pendant le 2e Semestre 1881-82 rédigé par M. Andoyer. Second tirage, revu par M. Hermite, Paris, Hermann, 1883, p. 131). 2 Nell’originale: par ce. 3 Cfr. nota 4, p. 47.
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de M. Valson intitulé, la vie et les travaux d’Augustin Cauchy, et dont j’ai écrit la préface, non seulement malmène fort M. Valson, mais se permet de faire de Cauchy une odieuse caricature. J’ai fait à M. Bertrand, de son article, des reproches qui ont failli me brouiller avec lui; je me suis fait l’écho, m’a-t-il dit de l’opinion générale sur Cauchy. Quel malheur Monsieur, pour l’honneur scientifique de la France, qu’une telle opinion ait pu s’y produire, et trouver un écho, dans le Secrétaire perpétuel pour les Sciences mathématiques! Recevez Monsieur la nouvelle assurance de ma plus haute estime et de mes sentiments bien dévoués Ch. Hermite 26.[27] Paris 31 Mars 1882 Monsieur, Le point de vue auquel se place F. Chio 2 dans son étude approfondie de la série de Lagrange est bien différent de celui que j’adopte dans mes leçons. Permettez-moi de vous l’indiquer succinctement. Je commence par la remarque suivante. Soient F = 0 et F + Φ = 0 deux équations dans lesquelles F et Φ représentent des fonctions uniformes et holomorphes à l’intérieur et sur le contour d’une aire S; je dis qu’à l’intérieur de cette aire, les deux équations ont le même nombre de racines, si en suivant le contour on a toujours Φ
<1 F Effectivement le nombre µ des racines de F = 0, est: Mod
µ=
z
1 D log F dz 2π i ( S ) z
et le nombre µ1 des racines de la seconde, est semblablement: µ1 =
1 2π i
z
(S)
D z log ( F + Φ ) dz
1 L’articolo è il seguente: J. Bertrand, La vie et les travaux du baron Cauchy, «Journal des savants», avril 1869, pp. 205-215. Si tratta di una recensione del seguente saggio: C. A.Valson, La vie et les travaux du baron Cauchy, 2 voll., Paris, Gauthier-Villars, 1868. Per il significativo apporto di Valson alla pubblicazione delle opere di Cauchy cfr. nota 1, p. 32. 2 Per i lavori di Chiò sulla serie di Lagrange cfr. nota 2, p. 79. Nella presente missiva Hermite si pone da un punto di vista diverso da quello di Chiò. Gli argomenti qui riportati riproducono succintamente la sua esposizione della serie di Lagrange che si trova nel suo corso di analisi, si veda: C. Hermite, Cours... Professé pendant le 2e Semestre 1881-82 rédigé par M. Andoyer. Second tirage, revu par M. Hermite, Paris, Hermann, 1883, pp. 130-133.
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les intégrales se rapportant au contour de S, décrit en entier, une seule fois, dans le sens direct. Cela étant nous avons: 1 µ1 − µ =
1 2π i
z
(S)
FH
D z log 1 +
Φ
F
IK dz
or on sait que log (1+ ζ) est une fonction uniforme de ζ, sous la condition Mod ζ <1, qui reprend la même valeur, lorsque partant d’un point on y revient en décrivant un contour fermé. Nous avons par conséquent µ1 – µ =0, comme j’ai voulu l’établir. De là résulte en faisant: F = z – a , Φ = – α f (z) où f(z) est holomorphe, que l’équation de Lagrange Π(z)
= z–a– α f (z) = 0
n’aura jamais qu’une seule racine, dans une aire qui contient le point z = a si l’on détermine la constante α par la condition que sur le contour on ait: α f (z) <1 Mod z−a Maintenant cette condition assure la convergence du développement en série suivant les puissances croissantes de α d’une fonction quelconque de cette racine que je nomme ζ, et que je prends sous cette forme: Θ (ζ ) Π ′ (ζ )
=
Θ (ζ ) 1 + α f ′ (ζ )
Je l’établirai au moyen de la formule: Θ (ζ )
Π' (ζ )
=
1 2π i
Θ( z ) dz ( S ) Π( z )
z
d’où l’on tire en effet un développement suivant les puissances de α, en employant cette identité: n −1
α f (z) α f (z) 1 1 1 + = + +L+ = 2 Π( z ) z − a − α f ( z ) z − a ( z − a) ( z − a)n
+
α f (z)
b
n
( z − a)n z − α f ( z )
g
1 Nella formula seguente è stato aggiunto il fattore che, a causa di un’evidente dimen2 πi ticanza, manca sull’originale. 1
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Laissant de côté la détermination des coefficients, je considère uniquement le reste de la série, qui est: 1 J= 2π i
z
(S)
n
α f ( z ) Θ( z )
1 dz = 2π i ( z − a) n Π( z )
z
(S)
LM α f ( z ) OP N z−a Q
n
Θ( z )
Π( z )
dz
Cette intégrale s’exprime de la manière suivante, en désignant avec M. Darboux par λ un facteur dont le module est <1, et par z0 une certaine valeur de la variable z, en un point du contour de S, et par σ la longueur de ce contour, à savoir:
LM N
σλ α f ( z 0 ) J= 2π i z 0 − a
OP Q
n
Θ( z 0 ) Π( z 0 )
Or le module de la quantité α f (z)
z−a étant comme on l’a supposé, moindre que l’unité, la limite de J est nulle lorsque le nombre n augmente indéfiniment. En vous remerciant Monsieur, trop tardivement de votre envoi qui m’a fait le plus grand plaisir, et où se trouve entre autres le 3me mémoire sur la série de Lagrange, 1 je le mettrai à profit, pour donner dans ma leçon sur cette série le théorème de la page 4, en attendant qu’il me soit possible, de rapprocher l’Analyse de F. Chio, de ce que je viens de vous indiquer en quelques mots. En ce moment j’ai une surcharge de travail, avec des examens qui se sont ajoutés à mes leçons, et le courage me manque pour entreprendre quoi que ce soit en dehors de ce que je suis absolument obligé de faire. Seriez-vous assez bon Monsieur pour m’informer si comme j’ai tout lieu de le croire, M. Menabrea s’est trouvé dans l’impossibilité de faire une réponse à vos observations concernant sa note, observations qui me semblent on ne peut plus concluantes, de sorte que vous auriez eu le dernier mot, dans la discussion soulevée. 2 1 Si tratta di una memoria postuma di Chiò, il cui autografo fu presentato e depositato presso la Societé Philomatique de Paris, il 31 ottobre 1868. Genocchi, il 14 aprile 1872, a mezzo di una copia fatta eseguire da Boncompagni, l’ha presentata alla Reale Accademia delle scienze di Torino, per pubblicarla sugli Atti: F. Chiò, Troisième mémoire sur la série de Lagrange. Résumé fait par l’Auteur, «Atti della Reale Accademia delle Scienze di Torino», 7 (1871-72), pp. 647-661. Di questa esiste un estratto, conservato presso la Biblioteca Comunale Passerini-Landi (coll.: 6I.IV.9.9) la cui paginazione corrisponde puntualmente alla citazione. 2 Le ricerche critiche di Chiò sulla serie di Lagrange e la controversia che queste hanno acceso tra lui e la Reale Accademia delle scienze di Torino, nella persona di Menabrea, che fu il suo
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En espérant que le volume de Cauchy est enfin parvenu à Turin, pour vous et l’Académie, je vous renouvelle l’expression de ma plus haute estime et de mes sentiments bien dévoués Ch. Hermite 27.[28] Paris 13 Avril 1882 Monsieur, Si j’étais votre voisin, votre collègue à l’Université de Turin, je me ferais du droit de l’amitié votre médecin, et je vous imposerais de force une ordonnance qui consisterait à renoncer au travail. J’entends dire le travail intense et à outrance, étant bien convaincu que la seule cause des douleurs nerveuses dont vous venez de souffrir, se trouve dans la tension continuelle de l’esprit et dans la passion du travail qui vous a fait dépasser la limite de vos forces. Un moment vient et il est venu pour moi où il est nécessaire de diminuer son labeur; il n’est pas raisonnable et il n’est principale avversario (cfr. nota 2, p. 79), risalgono a più di trent’anni prima della data della presente missiva. Sopita la polemica, alla morte di Chiò (1871), Genocchi, scrivendone il necrologio (cfr. nota 1, p. 79) e ricordando gli eventi trascorsi, indusse Menabrea a riaccendere la vecchia controversia, e a scrivere una nota di risposta in cui dichiarava doversi ancora dire l’ultima parola sulla questione (L. F. Menabrea, Intorno ad uno scritto del sig. prof. Angelo Genocchi. Lettera del conte Luigi Federico Menabrea a D. B. Boncompagni, «Bullettino di bibliografia e di storia delle scienze matematiche e fisiche», 5 (1872), pp. 301-305). Fecero seguito due risposte di Genocchi, una che riporta, con molta precisione e in tono polemico, numerosi argomenti critici contro il suo oppositore (A. Genocchi, Intorno ad una lettera del. sig. Conte L. F. Menabrea. Appunti di Angelo Genocchi, «Bullettino di bibliografia e di storia delle scienze matematiche e fisiche», 5 (1872), pp. 535-542), l’altra è una nota, di analogo tenore polemico, presentata alla Reale Accademia delle scienze di Torino il 17 novembre 1872 (Id., Di una controversia intorno alla serie di Lagrange, «Atti della Reale Accademia delle Scienze di Torino», 7 (1872), pp. 18-31. Segue poi un articolo di Menabrea, che in difesa di Lagrange, riportata i particolari dei procedimenti di quest’ultimo (L. F. Menabrea, Un’ultima lettera sulle peripezie della serie di Lagrange in risposta al prof. Angelo Genocchi per L. F. Menabrea a D. B. Boncompagni, «Bullettino di bibliografia e di storia delle scienze matematiche e fisiche», 6 (1873), pp. 435-457) a cui fece seguito la replica di Genocchi (A. Genocchi, Breve risposta al signor Conte L.F. Menabrea, ibid., 6 (1873), pp. 530-532). La polemica ha avuto eco anche sui «Comptes rendus», dell’Accademia di Parigi dove si trovano i seguenti articoli: L. F. Menabrea, Note sur l’identité des formules données par Cauchy pour déterminer les conditions de convergence de la série de Lagrange, avec celles qui ont été établies par Lagrange lui-même, «Comptes rendus hebdomadaires des séances de l’Académie des Sciences», 77 (1873), pp. 1358-1361. A. Genocchi, Observations relatives à une note précédente de M. Menabrea, concernant la série de Lagrange, ibid., pp. 1541-1544. La polemica, dai toni molto aspri, è indicativa delle resistenze che si opponevano all’orientamento di rigore ispirato ai metodi introdotti da Cauchy (cfr. U. Bottazzini, Angelo Genocchi e i principi del calcolo, in Angelo Genocchi e i suoi interlocutori scientifici, a cura di A. Conte, L. Giacardi, Torino, Deputazione subalpina di storia patria, 1991, pp. 31-60, pp. 32-35 e L. Pepe, Angelo Genocchi e l’edizione della corrispondenza di Lagrange, ibid., pp. 221-240, pp. 229-232).
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pas permis à tout le monde, de répondre comme M. Guizot à M. Villemain, qui l’engageait à se ménager à la tribune: C’est pour périr bientôt que le flambeau s’allume, Mais il brille un instant sur les autels des Dieux! Je vous confesse donc, pour vous prêcher d’exemple, qu’après une leçon à la Sorbonne, je ne fais plus rien de la journée, je lis les Orientales de M. Victor Hugo, ou les articles de journaux qui annoncent que l’Italie veut faire la guerre à la france. J’attends à voir M. Siacci entrer dans Paris, avec vos valeureuses légions, et me conduire chargé de chaînes à Turin ou à Milan, en m’imposant pour rançon d’écrire un mémoire dans les Annali ou les Atti. Mais à entreprendre un calcul sérieux, difficile, j’y renonce absolument, le flambeau ne s’allume point et la paresse règne sans partage. Vous avez Monsieur si près de vous pour vous reposer, ces stations délicieuses qu’on vient chercher de si loin, je ne puis m’empêcher de croire qu’elles vous seraient un remède efficace, et vous rendraient vite votre bonne santé. Je prends l’engagement de vous y écrire, de vous parler d’Analyse et de ce qui arrive aux Analystes, je commencerai si vous voulez par vous faire part d’un petit désagrément qui tout récemment vient de m’échoir. 1 On a pensé que mes élèves de la Sorbonne étant de la même pâte que ceux de l’ École Polytechnique, suivraient facilement mes leçons s’ils en avaient un résumé, comme il est d’usage dans cette École, pour tous les cours. Mon cher ami et mon collègue M. Bouquet m’a proposé pour rédiger ce résumé, un élève distingué de l’École Normale, et entre nous il a été convenu, pour ne point faire appel par une demande d’argent au Ministère, que nous faisons les frais de l’impression lithographique, en donnant 2 ou 300 Fr chacun. Mais un petit libraire de la rue de Sorbonne, ancien élève de l’École Normale, à qui on s’est adressé, n’ayant pas demandé moins de 1200 Fr, nous nous sommes trouvé assez peu chevaleresques pour reculer devant le total, et comme il offrait de se charger de tous les frais de la publication, on lui a concédé l’entreprise. Il en résulte, ce qui est peu brillant, que chacun de mes auditeurs, achète mes leçons lithographiées, au prix de 25 centimes. Et puis autre chose encore. C’est m’a-t-on dit un juif converti, et un très digne et très excellent homme. Mais l’âpre convoitise du gain, ne se convertit jamais chez les juifs, aussi mon éditeur n’ayant point un devoir me donner un, je dis un seul et unique exemplaire, des leçons que j’ai faites, et dont j’ai pris la peine de revoir la rédaction, il m’a fallu pour voir mon texte, donner mes 25 centimes. Il ne fait point m’a-t-on assuré 1
Nell’originale: m’écheoir.
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une mauvaise affaire, avec les 1200 Fr qu’il a avancés et risqués, et je suis pour lui, une poule à plumer. Ce n’est point sans intention Monsieur que je vous fais ce commérage; la série de Lagrange 1 fera l’une de mes leçons, et mon terrible éditeur publiera la méthode que je vous ai communiquée et que vous [avez] eu la bonté de me demander pour les Atti. J’ai, vous le comprenez, un véritable scrupule à offrir ainsi à votre Académie, une leçon de mon cours, qui paraît ailleurs que dans ses Comptes rendus. Ce scrupule, je vous le soumets; je ferai ce que vous aurez jugé convenable, seulement je vous demanderai dans le cas où vous penseriez devoir publier ma leçon d’attendre non à la séance prochaine, mais à celle qui suivra, pour offrir de ma part cette leçon à l’Académie. 2 Quelque chose m’est passé par l’esprit que peut-être je pourrais y ajouter, si 3 j’ai un peu de temps pour y réfléchir. Permettez-moi Monsieur de vous faire part de l’heureuse naissance de Jeanne Picard, 4 parvenue à son huitième jour, et de joindre à mes vœux pour votre prompte et complète guérison, la nouvelle assurance de mes sentiments de haute estime et de bien sincère affection Ch. Hermite 28.[29] Paris 17 Mai 1882 Monsieur, Je viens vous demander si comme je le souhaite vivement, le mieux qui est survenu dans votre santé se confirme, et si vous êtes rendu à votre liberté intellectuelle et à votre travail. Les devoirs universitaires dont nous avons la charge sont surtout onéreux à la fin de l’année scolaire et je suppose qu’à l’Université de Turin comme à la Sorbonne, lorsque la chaleur rend le travail plus pénible, il y a deux longues séances 1 La serie di Lagrange e gli studi critici a riguardo, è stato argomento delle lettere precedenti del 22 febbraio e del 31 marzo 1882 (cfr. let. 25, p. 79; let. 26, p. 81). 2 Questo articolo, chiesto da Genocchi, sarebbe apparso sugli «Atti della Reale Accademia delle Scienze di Torino», riportando una lezione di Hermite sulla serie di Lagrange, tratta dal suo corso di analisi e che Hermite, come qui scrive, ha qualche scrupolo a pubblicare, perché, trattandosi di una lezione, non la considera, sembra, adatta ad apparire sulla rivista dell’Accademia. Sottoponendo queste perplessità a Genocchi, Hermite si affida alle sue decisioni, e dato che sugli «Atti» non appare alcun articolo di Hermite negli anni 1882-83, è possibile che Genocchi abbia finito per condividere le ragioni di Hermite. L’impostazione di Hermite, per quanto riguarda la serie di Lagrange, è fondata sulla memoria di Rouché (cfr. nota 1, p. 80), ed è esposta nel suo corso di analisi; si veda: C. Hermite, Cours... Professé pendant le 2e Semestre 1881-82 rédigé par M. Andoyer. Second tirage, revu par M. Hermite, Paris, Hermann, 1883, pp. 130-133. 3 Nell’originale: s’y. 4 Si tratta della primogenita di Emile Picard genero di Hermite.
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d’examens, avec des compositions à lire et à noter. Vous achèterez donc par un surcroît d’efforts le droit de demander à quelque belle vallée le repos qui vous est nécessaire, et auquel j’aspire aussi. Mais en attendant je continue mes leçons qui ont lieu pendant le semestre d’été, et j’apprends à mes élèves, à propos d’une proposition intéressante de M. Laguerre le nom de Félix Chio, qui reviendra encore quand j’en serai à la série de Lagrange. 1 En ce moment je traite une question qui vous a aussi occupé, la valeur de log Γ (x) lorsque a est un grand nombre. 2 A tort ou à raison, pour cette question comme pour les propriétés fondamentales de la fonction Γ, j’ai voulu prendre mon point de départ dans une définition, analytique, je veux dire qui a lieu dans tout le plan, de cette fonction, à savoir: 1 1 +L D 2 log Γ ( a ) = 2 + a ( a + 1) 2 Ainsi en posant: F(a) = D2 log Γ (a), je remarque qu’on a immédiatement: 1 F ( a + 1) − F ( a ) = − 2 a +∞
F ( a ) + F (1 − a ) = ∑ −∞
FH
1 π 2 = aπ sin (a + n)
IK
2
et enfin:
FH
F (a) + F a +
1 n −1 +L+ F a+ = n 2 F ( na ) n n
IK
FH
IK
Encouragé par cet abord si facile, j’ai essayé de tirer de la même source le beau résultat que vous connaissez si bien de Binet et de Cauchy. J’ai remarqué en premier lieu que l’aire de la courbe y = 12 , comptée à x partir de a jusqu’à l’infini, évaluée par la méthode des trapèzes, donne l’équation:
z
∞
a
LM N
OP LM Q N
OP Q
dx 1 1 1 1 1 1 + +L 2 = 2 + 2 2 + 2 a ( a + 1) 2 ( a + 1) ( a + 2) 2 x
Or on tire de là la valeur: 1 1 F (a) = + 2 a 2a 1
Cfr. nota 2, p. 79; nota 1, p. 80. Hermite, come accenna più avanti, ha tratto gli sviluppi che seguono questo punto della missiva, dal suo corso di analisi, si veda C. Hermite, Cours... Professé pendant le 2e Semestre 188182 rédigé par M. Andoyer. Second tirage, revu par M. Hermite, Paris, Hermann, 1883, pp. 93-100. 2
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qui est d’autant plus approchée que a sera plus grand. Or l’expression
z
0
xe ax dx = −
−∞
1 a2
donnant facilement:
F (a) = − il suffit d’y joindre
z z
xe ax x dx −∞ 1 − e 0
1 1 1 0 ax e ( x − 2) dx + 2 =− a 2a 2 −∞ pour obtenir l’équation: 1 1 1 0 ax F (a) = + 2 + e ϕ ( x ) dx a 2a 2 −∞ en faisant:
z
ϕ( x) = x − 2 −
2e x x 1− ex
C’est de là et en intégrant deux fois, que je conclue la formule cherchée. Bientôt, si la chose vous intéresse, vous verrez ma déduction dans les feuilles lithographiées de mes leçons, rédigées par M. Andoyer chef de la division des sciences de l’Ecole Normale. Andoyer est un charmant garçon, tout plein gentil, qui met quelquefois un peu du sien, dans ce qu’il écrit, mais qui a le grand mérite de s’attacher au côté historique et de ne pas omettre systématiquement tout nom propre, comme nos auteurs classiques, M. Bertrand, M. Serret, et d’autres. Aussi verrez-vous avec Félix Chio, M. Mittag-Leffler, M. Casorati, etc, etc. Savez-vous Monsieur, que notre gouvernement vient de donner la décoration de la légion d’honneur à M. Weierstrass? J’ai quelque lieu d’espérer que M. Kronecker, moins détaché peut-être des biens d’ici bas, et des honneurs extérieurs que son illustre compatriote, recevra bientôt la même distinction. Et puisque je suis amené à parler de décorations, permettez-moi de vous adresser mes félicitations au sujet du titre de commandeur qui vous est maintenant donné, et que j’ai vu avec le plus grand plaisir dans les Atti. En vous priant de me faire bientôt savoir si vous joignez aux honneurs, le bien plus précieux, d’être rendu à la santé et à vos travaux, 1 1 È possibile che Hermite si riferisca ancora alla vista di Genocchi (cfr. nota 3, p. 74) che fin dalla sua gioventù fu sempre più minata, tanto che a causa della sua quasi cecità, cadde rompendosi un ginocchio e come conseguenza, malgrado le cure ricevute, rimase invalido. Questo incidente verrà accennato da Hermite nella lettera del 6 ottobre 1882 (let. 35, p. 101).
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je vous renouvelle l’expression de ma plus haute estime et de ma bien cordiale affection Ch. Hermite 29.[30] Paris 25 Juin 1882 Monsieur, Je viens aussi de payer tribut à l’infirmité humaine, j’ai été pendant huit jours obligé d’interrompre mes leçons et lorsque je les ai reprises, il était temps qu’elles fussent près de leur terme. Ma confidence ne vous est point faite pour vous servir de consolation, le mal des autres ne pouvant servir de remède à ceux qui souffrent. Mais je me donne en vous faisant part de ce qui me survient l’occasion de recevoir de vos nouvelles et d’apprendre si vous réussissez comme je le désire à vous débarrasser des palpitations qui vous font tant souffrir. Je viens aussi vous faire part des démarches que je tente pour obtenir que M. Kronecker reçoive la même distinction que M. Weierstrass. Peut-être vous aurais-je déjà dit avoir obtenu de M. Dumas qu’il voulût bien prendre en main cette affaire, en faisant connaître à M. Freycinet, les titres si éminents et la grande situation scientifique, du successeur de Dirichlet et de Gauss. Il y a quelques jours j’ai été informé qu’une demande officielle de la décoration de la légion d’honneur pour M. Kronecker, au nom des deux secrétaires perpétuels M. Dumas et M. Bertrand, allait être adressée au Président du Conseil, et j’ai tout lieu d’espérer qu’elle aura un plein succès. Mais d’un jour à l’autre, par suite des circonstances que vous connaissez, M. de Freycinet, à la suite d’une interpellation sur les affaires d’Égypte, peut n’avoir plus de décorations à donner. Aussi me tarde-til que le décret concernant M. Kronecker soit revêtu de la signature du Président de la République. Permettez-moi aussi de vous faire part d’une nouvelle mathématique de grande importance, que je tiens de Madame de Kovalewski qui est en ce moment à Paris. M. Weierstrass lui a écrit que M. Lindemann avait démontré que π est un nombre transcendant! Malheureusement il ne donne dans sa lettre aucune indication sur la méthode de l’auteur, mais il annonce que son travail sera publié prochainement. 1 L’annonce que j’ai reçue de cette belle découverte m’a fait penser de nouveau à l’arithmétique que j’ai abandonnée depuis long1 Sulla trascendenza di π Lindemann scriverà i due seguenti lavori: C. L. F. Lindemann, Über die Ludolph’sche Zahl, «Sitzungsberichte der königlich Preussischen Akademie der Wissenschaften zu Berlin», 2 (1882), pp. 679-682; C. L. F. Lindemann, Ueber die Zahl π, «Mathematische Annalen», 20 (1882), pp. 213-225.
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temps pour l’Analyse. L’arithmétique est fort avare de ses vérités et elle les fait payer chèrement, aussi je n’entreprendrai jamais plus une recherche de longue haleine. Mais à l’occasion je prouve quelque plaisir à lui faire comme un larcin je veux dire à rencontrer sans le chercher un petit résultat. C’est ce qui m’est arrivé à propos d’une formule d’Eisenstein 1 qui autrefois m’avait extrêmement frappé donnant le nombre des solutions de l’équation: x2 + y2 = n ou < n sous la forme suivante: n n 1 + 4 E( n) − E +E − etc. 3 5 Seriez-vous assez bon pour me dire s’il existe à votre connaissance une démonstration de ce beau résultat qu’Eisenstein a donné sans démonstration dans le Journal de Crelle? J’ai lieu de croire qu’il est possible d’obtenir de même par la fonction 2 E(n), la somme des nombres des classes de formes de déterminant négatif –D, pour: D = 1, 2, 3, ... n, et c’est ce que je chercherai aussitôt que les examens de baccalauréat et de licence seront finis à la Sorbonne. Prochainement Monsieur je me donnerai le plaisir de vous offrir l’hommage de mes leçons de cette année, rédigées par un des élèves de l’ École Normale, et je serai heureux que vous voulussiez bien y jeter les yeux, tout en vous demandant de les parcourir avec indulgence. En attendant je vous renouvelle avec tous mes vœux pour votre santé l’expression de ma plus haute estime et de mes sentiments bien affectueux Ch. Hermite
LM N
FH IK FH IK
OP Q
30.[31] Paris 22 Juillet 1882 Monsieur, Je suis moins heureux que vous qui êtes délivré des examens; j’en fais à la Faculté des lettres et à la Faculté des sciences, j’ai à lire et à noter de nombreuses compositions sur des questions d’arithmétique et de géométrie élémentaire. Un employé de la Sorbonne viendra tout à l’heure avec un paquet de copies que je recevrai pour la rémission de 1 Si tratta dell’articolo seguente: G. Eisenstein, Geometrischer Beweis des Fundamentaltheorems für die quadratischen Reste, «Journal für die reine und angewandte Mathematik», 28 (1844), pp. 246-248; p. 248. Per una banale svista nella formula di Eisenstein riportata nell’originale, manca l’addendo 1. Hermite tornerà sull’argomento in chiusura della lettera del 14 febbraio 1884 (cfr. let. 63, p. 153), dove riporta la formula esatta. 2 Il simbolo E (x) indica la parte intera di x.
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mes péchés, pour gagner les indulgences nécessaires à mon salut. En attendant d’accomplir l’œuvre satisfactoire, je me donne le plaisir de répondre à votre bonne lettre et tout d’abord de vous apprendre que M. Kronecker a reçu comme M. Weierstrass la décoration de la légion d’honneur. C’est sur la proposition de M. de Freycinet notre confrère de l’Académie des sciences, que le Président de la République a accordé à l’illustre géomètre cette distinction si méritée, et c’est M. Dumas qui a fait connaître à M. de Freycinet les titres éminents de M. Kronecker. M. Dumas a bien voulu me charger, le jour même où le décret a été signé, de l’annoncer au nouveau chevalier, et j’ai su que mon télégramme envoyé à Berlin, en était reparti, pour trouver en Suisse, Madame et Mademoiselle Kronecker. Mais d’autres Monsieur sont moins heureux, et ne recueillent point à cause des circonstances, la récompense due à leurs mérites. Mon cher ami M. Bouquet, proposé depuis plusieurs années pour le grade d’officier auquel il a tous les droits, est repoussé par le Ministre, pour ce seul et unique motif, qu’il est clérical! La passion anticléricale peut aller plus loin, et ne pas se contenter d’arrêter l’avancement dans la légion d’honneur. Un journal artistique et littéraire, qui paraît tous les huit jours, et qui appartient à l’opinion radicale s’est occupé de l’enseignement mathématique de la Sorbonne, et nous a couverts 1 d’outrages, M. Bouquet et moi. Mon cours est une conversation abracadabrante, à bâtons rompus, avec d’interminables digressions et de perpétuelles chevauchées à travers toute l’Europe. J’ai l’air d’un vénérable prêtre, je parle avec onction des intégrales définies, de la divine Providence à propos des fonctions elliptiques, et il ne manque pour être dans le ton, que l’in nomine patris, au début et à la fin des leçons. Je suis exécré des étudiants, et j’ai moi-même d’ailleurs, rendu justice à la clarté de mon enseignement, en faisant lithographier chacune de mes leçons. Je confie ces leçons à votre jugement, mais en vous avouant que les injures du journal, le Passant, me donnent envie de me faire suppléer, et même me font craindre qu’un nouveau pas vers le radicalisme, qui donne au conseil municipal de Paris l’autorité qu’il convoite sur l’enseignement supérieur, n’amène ma mise à la retraite. Vous pensez Monsieur, combien vivement m’a intéressé la belle découverte de M. Lindemann, qui comble une immense lacune dans la science. L’auteur a bien voulu m’en faire part dans une lettre que vous trouverez dans le dernier no des Comptes rendus, 2 et j’ai été chargé par 1
Nell’originale: couvert. L’estratto della lettera di Lindemann a Hermite qui citata è il seguente: F. Lindemann, Sur le rapport de la circonférence au diamètre, et sur les logarithmes népériens des nombres commensurables ou des irrationelles algébriques, «Comptes rendus hebdomadaires des séances de l’Académie des Sciences», 95 (1882), pp. 72-74. 2
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M. Liouville de lui faire parvenir ses plus vives félicitations. M. Darboux a été aussi extrêmement frappé, et publiera dans son Bulletin, 1 une traduction Française de l’article des Sitzungberichte, sur le nombre de Ludolph. M. Lindemann a dépassé infiniment le point auquel je m’étais arrêté, et il a eu le bonheur d’attacher son nom à l’aire des grandes choses de l’Analyse. Peut-être pourrais-je revenir sur son analyse, mais auparavant j’ai besoin de 2 vacances, et d’un air meilleur que celui de Paris. C’est en Lorraine, à Flanville, près Metz, que je compte me rendre au commencement du mois prochain, pour oublier le folliculaire du Passant, et reprendre courage au travail. J’y recevrai Monsieur avec le plus grand plaisir, communication de vos recherches sur Q(x), qui excite vivement ma curiosité, 3 et j’espère que vous me ferez part de votre modus vivendi, pour bien profiter des vacances, dans l’intérêt de votre santé. Permettezmoi aussi de vous prier d’offrir à Madame F. Chio mes sentiments de sympathie respectueuse, et veuillez croire à la nouvelle assurance de ma plus haute estime et de mes sentiments bien sincèrement dévoués. Ch. Hermite 31.[32] Flanville, par Metz (Lorraine) 14 Août 1882 Monsieur, J’avais cru qu’en quittant Paris le bon air de la campagne et le loisir me porteraient au travail, mais je ne me sens porté qu’à la paresse, et je songe moins à l’Analyse qu’aux terribles événements de la guerre de 1870 dont les souvenirs m’environnent. La propriété de mes parents de Lorraine chez lesquels je me trouve en ce moment a été occupée par le général Kamecke et son état-major pendant le siège de Metz; un village tout voisin qui se nomme Montoy 4 a été le théâtre d’une action sanglante le 31 Août, le dernier effort tenté sans succès hélas, pour percer les lignes de l’armée allemande et se réunir à MacMahon. Ces noms devenus historiques par nos lamentables revers, de Borny, Rezonville, St Privat, 5 viennent à tout propos, tout familièrement et rappelant de 1
Sulla rivista di Darboux da lui fondata con Hoüel nel 1870 e da lui sempre diretta, sarà pubblicata una recensione dell’articolo: C. L. F. Lindemann, Ueber die Zahl π, «Mathematische Annalen», 20 (1882), pp. 213-225 (cfr. «Bulletin des Sciences mathématiques», 9 (1885), p. 103). 2 Nell’originale: des. 3 Da questo accenno si apprende che Genocchi invierà ad Hermite una sua ricerca sulla funzione di Prym Q (x) (cfr. nota 1, p. 53). 4 Il piccolo villaggio di Montoy nella Mosella è oggi fuso con Flanville (Montoy-Flanville). 5 Sono alcune località della Mosella presso Metz che nella guerra franco prussiana del 1870
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tragiques souvenirs. Mais ces souvenirs, la France ne les a guère; elle préfère se livrer à une orgie de démocratie radicale, elle désorganise l’armée, la magistrature, persécute la religion pour prendre sa revanche, et chaque jour c’est un nouveau pas vers la commune souveraine et maîtresse. Je ne sais Monsieur, si je ne vous l’ai point déjà dit, je crois la France perdue, je crois que la Révolution et le suffrage universel seront inévitablement et prochainement notre mort. Cependant il est mieux de s’occuper que de se préoccuper et j’agirai plus sagement en éloignant les pressentiments qui m’obsèdent, si fondés qu’ils soient. Vos recherches que vous poursuivez je l’espère à Rivoli, sur l’expression analytique sous forme explicite de la fonction entière Q (x), m’intéressent vivement comme vous le pensez bien, et ce me sera un grand plaisir de connaître les résultats que vous aurez obtenus sur un point si important et si curieux de la théorie de l’intégrale Eulérienne. 1 Au sujet permettez-moi d’appeler votre attention sur un travail que vient de publier M. Winckler, sous le titre suivant: Über die Entwickelung von dem Euler’schen Integrale zweiter Gattung abhängiger Ausdrücke in Reihen, dans les Sitzungsberichte de l’Académie des sciences de Vienne, (Mai 1882), 2 et qui m’a semblé intéressant, bien qu’à cause de l’Allemand, je n’en aie pris connaissance que superficiellement. En pensant toujours à la fonction 3 E(x), mais sans travailler bien sérieusement, comme il serait nécessaire, j’ai fait la remarque suivante que je prends la liberté de vous soumettre. Si l’on désigne par a, b, et n, trois nombres entiers, on a la relation suivante:
FH n −b a IK + E FH n −b2a IK + E FH n −b3a IK + L n −bI n − 2b I n − 3b I = E FH + E FH + E FH +L K K a a a K E
les deux suites étant prolongées jusqu’à ce que les fractions sous le signe furono teatro di sanguinose battaglie: quella di Borny (che oggi fa parte di Metz) contro il generale prussiano von der Golz. A Rezonville e Saint-Privat-la-Montagne i francesi persero due battaglie il 16 e il 18 agosto 1870 rispettivamente. 1 Questa frase che richiama quella analoga scritta alcuni giorni prima nella precedente missiva del 22 luglio 1882 (cfr. nota 3, p. 92) ribadisce che Hermite si attendeva da Genocchi un manoscritto che, come si vedrà nelle lettere successive riguarda lo sviluppo in serie della trascendente intera Q (x) di Prym (cfr. lett. 32, 34, 40; pp. 94, 100, 112). 2 Si tratta dell’articolo seguente: A. Winckler, Über die Entwickelung einiger von dem Euler’schen Integrale zweiter Gattung abhängiger Ausdrücke in Reihen, «Sitzungsberichte der kaiserlichen Akademie der Wissenshaften, mathematisch-naturwissenshaftliche Classe», 85 (1882), pp. 1039-1067. 3 La notazione E (x) indica la parte intera di x.
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E, deviennent moindres que l’unité. Vous voyez qu’en particulier pour b = 1 on obtient la somme: E
FH n a− 1IK + E FH n −a 2 IK + E FH n a− 3IK + L
Je suis bien touché et je vous remercie vivement de la sympathie que vous me témoignez à l’occasion des injures dont j’ai été couvert par le journal le Passant, 1 et qui je ne vous le cache pas, m’ont péniblement impressionné. L’auteur de l’article a fait appel à certaines opinions exprimées par M. Duvaux, député de Nancy, et rapporteur du budget de l’Instruction Publique en 1881, et d’après lesquelles, l’enseignement de la Sorbonne devrait revenir suivant les droits de l’ancienneté, aux professeurs des Facultés de province. De telles opinions témoignent d’une intelligence des besoins de l’enseignement supérieur, que je vous laisse à apprécier; elles peuvent aussi avoir pour conséquence, que mon gendre Émile Picard, soit envoyé en province attendre ces droits que donne l’ancienneté, et cède la suppléance qu’il occupe, à quelque professeur plus ancien et plus radical que lui. Or M. Duvaux est maintenant ministre de l’Instruction publique; il était il y a peu d’années professeur de cinquième au Lycée de Nancy, avant de se jeter dans la politique. Tout cela est bien triste, et vous conviendrez que nous avons sujet d’être inquiets. Mes sentiments de la plus haute estime et du plus sincère attachement. Ch. Hermite 32.[33] Flanville par Metz (Lorraine) 6 septembre 1882 Monsieur, La formule de développement à laquelle vous êtes parvenu pour l’intégrale
z
∞
a
v − x e − v dv
à savoir:
z
∞
a
v − x e − v dv =
LM N
OP Q
V1 V2 a 1− x 1 + + +L a a a ( a + 1) a ( a + 1)( a + 2) e
1 Questo attacco subito da Hermite e da Bouquet da parte della stampa radicale si trova descrito nella lettera del 22 luglio 1882 (let. 30, p. 90).
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est bien préférable à celle que j’ai donnée, et vous avez certainement découvert ainsi l’expression analytique définitive de la transcendante qui représente la partie holomorphe de Γ (x). Votre analyse que j’ai étudiée à plusieurs reprises, est un peu difficile et a dû vous demander bien des efforts. Deux points m’ont surtout frappé; le premier consistant en ce que la fonction entière:
LM(1 − t )FH 1 − 2t IK L FH 1 − mt− 1IK OP N Q a pour limite supérieure: a1 − t fFH 1 − t4 IK L FGH 1 − ( mt− 1) IJK 2
2
2
2
2
et le second ayant pour objet la relation:
Vm' +1 = mVm' − ( x − 1)Vm qui vous permet de démontrer la convergence de votre série pour toute valeur de la variable. 1 J’ai cherché, afin de répondre à votre intention, mais sans pouvoir jusqu’ici en découvrir, des objections à votre démonstration, et je dois me borner à vous exprimer le vœu qu’elle devienne plus facile et plus simple. J’ai même tort de dire plus simple, car rien n’est plus élémentaire que d’établir que si le développement subsiste pour l’exposant x, il doit aussi avoir lieu pour l’exposant x – 1, mais je désirerais que le chemin soit abrégé, et qu’elle devienne plus courte. Vous m’avez Monsieur, causé quelque surprise en rappelant des résultats de Legendre dont j’avais eu le tort de négliger absolument l’ouvrage, et qui s’était occupé avec succès de la quantité Γ (a, x) ainsi que M. Augustus de Morgan dont le nom seul m’est connu, par des citations, n’ayant vu son traité de calcul différentiel et intégral. Permettez-moi de vous demander si le développement de Γ (a, x) en fraction continue qu’a donnée 1 I risultati di Genocchi, che Hermite in questa lettera dice di aver studiato e di cui scrive un commento, sono contenuti nel manoscritto sulla funzione Q (x) di Prym, che Hermite diceva di attendere (cfr. nota 3, p. 92; nota 1, p. 93) e che ha ricevuto, come afferma in chiusura di questa missiva (cfr. nota 3, p. 97). Hermite continuerà a discuterne nella lettera del 22 settembre 1882 (let. 34, p. 100) dove scrive che, rispondendo al desiderio di Genocchi, si premura di inviargli il suo parere sui suoi risultati, in vista della loro pubblicazione sul «recueil de l’Académie Royale de Belgique», giudicando il lavoro inattaccabile anche se in alcuni punti manca qualche parola di spiegazione. Dalle formule riportate nella presente missiva si riconosce che il lavoro, pubblicato dopo qualche tempo, è il seguente: A. Genocchi, Sur les fonctions de M. Prym et de M. Hermite, «Bulletin de l’Académie Royale des Sciences, des Lettres et des Beaux-Arts de Belgique», s. 3, 4 (1882), pp. 438-451, si vedano in particolare le pp. 442-45 e 448. Infine, nella lettera del 26 gennaio 1883 (let. 40, p. 112), Hermite nomina esplicitamente il lavoro già stampato, inviatogli da Genocchi, dicendo che gli era ben noto, avendolo letto da sue precedenti comunicazioni, e precisamente dal manoscritto di cui si tratta nella presente missiva.
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Legendre, ne serait pas précisément la formule que M. Tannery a publiée dans les Comptes rendus, 1 il y a deux ou trois mois, et qui est aussi un développement en fraction continue. Il y aurait lieu dans ce cas à une restitution que M. Tannery, j’en suis bien sûr, s’empresserait de faire. Je vous suis tout reconnaissant de vouloir bien lire mon cours de la Faculté; votre critique et vos observations me seraient on ne peut plus utiles, et je me permets de vous les demander avec in[si]stance, afin de faire disparaître mes erreurs et inadvertances, dans un second tirage que l’ Éditeur M. Hermann, est dans l’intention de faire. J’ai déjà appris que je dois subir un assaut de M. Schwarz, 2 pour avoir eu le tort de dire, que l’aire d’une [surface] courbe, est la limite de la somme des rectangles 3 inscrits, proposition que de récents travaux ont montré être sujette à exceptions. M. Schwarz est un homme terrible, qui veut aussi croiser le fer avec M. Mittag-Leffler, à cause d’une inadvertance qui lui est échap1 Hermite allude all’articolo seguente: J. Tannery, Sur les intégrales eulériennes, «Comptes rendus hebdomadaires des séances de l’Académie des Sciences», 94, 26 (1882), pp. 1698-1701. In questo lavoro si considera la scomposizione ottenuta da Prym: Γ (x) = P (x) + Q(x), (cfr. nota 1, p. 53). I coefficienti dello sviluppo in serie di potenze della trascendente intera Q(x) erano stati già espressi da Bourguet nella sua tesi di dottorato (cfr. nota 7, p. 58) sotto forma di integrale definito, ma la complicazione di questo faceva desiderare uno sviluppo più semplice. Tannery ne fornisce una determinazione a partire da uno sviluppo di Q (x) in frazione continua nel caso reale. 2 Questo accenno di Hermite all’attacco che si attende da Schwarz può essere compreso conoscendo i fatti che precedono la presente missiva. Schwarz esaminando già nel 1880 la definizione di area di una superficie curva data da Serret nella prima edizione del suo corso di analisi e impiegata da Hermite nelle sue lezioni, ne aveva mostrato l’inesattezza con un esempio critico, da lui annunciato a Genocchi con la lettera del 19 dicembre 1880 (Fondo Genocchi, Biblioteca Comunale Passerini-Landi, Piacenza, busta LL.5). In una lettera successiva del 25 dicembre 1880 (Fondo Genocchi, busta LL. 6) oltre a rilevare l’errore anche nella seconda edizione di Serret, Schwarz inviava a Genocchi un modello in carta della superficie poliedrale che inscritta in un cilindro circolare retto rappresentava materialmente il suo esempio critico. Genocchi nella lettera del 4 gennaio 1881 (H.A. Schwarz, Gesammelte Mathematische Abhandlungen, 2, Berlin, 1890, p. 369) riconoscendo fondata la sua critica sollecitava Schwarz a spedirgli un testo scritto, che quest’ultimo gli spedì con la lettera dell’8 gennaio 1881 (Fondo Genocchi, busta LL. 7). Genocchi dichiarava convincenti le spiegazioni ricevute nella lettera del 13 gennaio 1881 (H.A. Schwarz, Gesammelte..., p. 369) e nella lettera del 26 maggio 1882 (ibid., p. 369) comunicava a Schwarz che Peano si era lui stesso accorto dell’inesattezza della definizione di Serret. Infine chiese a Schwarz, nella lettera del 28 luglio 1882 (ibid., p. 370) una nota sull’argomento, da presentare all’Accademia delle Scienze di Torino. I fatti che precedono, di cui Hermite ha qualche sentore, gli fanno prevedere un attacco di Schwarz, per aver impiegato, con Serret, la medesima definizione errata di area di una superficie curva. La definizione si trova in J.A. Serret, Cours de calcul différentiel et integral, 2 voll., Paris, Gauthier-Villars, 1868, vol. II, p. 296; 2a ed., 1879, vol. II, p. 293. Una dettagliata ricostruzione storica dello svolgersi degli eventi relativi alla questione qui sommariamente accennata, si può trovare nel seguente articolo: U. Cassina, L’area di una superficie curva nel carteggio inedito di Genocchi con Schwarz ed Hermite, «Rendiconti dell’ Istituto Lombardo di Scienze e Lettere», 83 (1950), pp. 311-328). 3 Nel testo si legge «rectangles» mentre l’esempio di Schwarz considera triangoli.
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pée dans un de ses articles publiés dans les Comptes rendus, au commencement de cette année, et c’est pour prévenir cette attaque, qu’à la demande de M. Weierstrass, M. Mittag-Leffler a publié il y a trois semaines, une rectification dans les Comptes rendus. 1 Je serais heureux d’apprendre que votre station à Rivoli, aura été autant que je le souhaite favorable pour votre santé, et que vous profitez pleinement comme je le fais moi-même du temps des vacances. Mais j’en profite surtout pour ne point travailler, ne me sentant point l’ombre de courage à entreprendre quoi que ce soit. Je garde encore Monsieur le texte des recherches que vous m’avez communiquées, afin de les relire [de] 2 nouveau, et de trouver le défaut de la cuirasse, s’il existe et si je le puis; je vous le renverrai dans ma prochaine lettre. 3 En attendant veuillez agréer la nouvelle assurance de ma plus haute estime, et de mon affection bien dévouée. Ch. Hermite 33.[34] Flanville, par Metz (Lorraine) 13 Septembre 1882 Monsieur, Mes vacances sont attristées par des maladies survenues dans ma famille et l’inquiétude qu’elles me causent; je ne travaille pour ainsi dire point et votre dernière lettre me renouvelle le reproche que je m’adressais moi-même de trop tarder à vous écrire. En quittant Paris, j’avais cependant formé de beaux projets de recherches, mais le temps s’écoule rapidement et les questions que j’avais eues 4 en vue demeurent à peine ébauchées. Voici l’une d’elles. Vous savez qu’un des points les plus difficiles dans la théorie des fonctions elliptiques, consiste à déterminer la valeur de Θ (0), et ce point est en même temps de la plus grande 1 L’articolo oggetto della critica di Schwarz è il seguente: G. M. Mittag-Leffler, Sur la théorie des fonctions uniformes d’une variable, «Comptes rendus hebdomadaires des séances de l’Académie des Sciences», 94, 15 (1882), 1040-1042. L’imprecisione rilevata da Schwarz viene riportata e rettificata da Mittag-Leffler nella nota: G. M. Mittag-Leffler, Sur la théorie des fonctions uniformes d’une variable, «Comptes rendus hebdomadaires des séances de l’Académie des Sciences», 95, 7 (1882), 335-336. 2 Nell’originale «de» è ricalcato sull’accenno di un’ altra parola. La decifrazione è resa difficile a causa di una macchia. 3 Il riferimento è al manoscritto inviato a Hermite da Genocchi, i cui contenuti sono commentati all’inizio di questa missiva (cfr. nota 1, p. 95). 4 Nell’originale: eu.
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importance. J’ai quelque espoir de parvenir par une voie nouvelle à la relation de Jacobi: 2k' K
Θ ( 0) =
π
en la tirant d’une des propositions de la théorie des fonctions uniformes. Mais ma prétention ne s’arrête pas là, et pour ne plus rien laisser à faire, j’ai entrepris en supposant au module une valeur imaginaire quelconque, de déterminer le signe de la racine carrée, question délicate qui s’impose de toute nécessité. En voici une autre de même nature et tout aussi malaisée. En posant:
K=
z
π
2
0
dϕ 1 − k 2 sin 2 ϕ
K' =
z
π
2
0
dϕ 1 − k' 2 sin 2 ϕ
quantités qui sont fonctions de k2, mais non, fonctions uniformes, comme vous savez, et K'
q = e−π K ,
on a: 2 4 q + 2 4 q 9 + 2 4 q 25 + L k= 1 + 2q + 2q 4 + L quel est le signe à adopter pour k , en supposant encore K 2 une quantité imaginaire? Je crois bien que dans les deux cas la réponse est la même, et que la racine carrée doit être prise de manière que sa partie réelle soit positive. Ces quantités K et K ′, me donnent bien à penser; à l’intérieur d’un cercle de rayon égal à l’unité, et dont le centre est à l’origine, elles sont des fonctions absolument uniformes de k2, et il est aisé de reconnaître que pour un point de l’intérieur de ce cercle, le signe de 2k' K π
et de k , se détermine comme je viens de le dire. Mais ce qui me préoccupe, c’est qu’au delà du cercle, et pour un point quelconque du plan, ces quantités tout en ayant une valeur unique, entièrement déterminée, lorsqu’on suppose comme on le peut, les deux intégrales rectilignes, cessent cependant d’avoir le caractère de fonctions uniformes, qu’elles possédaient 1 incontestablement à l’intérieur du cercle. Elles ne 1
Nell’originale: qu’elle possédait.
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2
reprennent pas en effet la même valeur, lorsque k décrit un contour fermé qui comprend à son intérieur les points k2 = 0, k2 = 1, et c’est alors que les déterminations des signes exigent bien des efforts. Ces questions me recherchent pendant que la cavalerie Allemande galope 1 autour de Flanville, en répétant le drame des grandes batailles livrées auprès de Metz. J’entends les fanfares, le bruit des canons et les fusillades; les risbans 2 et les dragons Prussiens sont dans un chemin au bas de notre jardin, et mon petit-fils qui a 11 ans, traverse leurs rangs en jouant; il vient tout joyeux me dire que les soldats allemands l’ont regardé. Et puis Monsieur, je recueille de la bouche des amis de ma famille, qui étaient à la bataille de Beaumont, 3 des détails navrants, et d’autres qui étaient francs-tireurs, des récits qui me font connaître la guerre, dans sa lamentable et odieuse réalité. Savez-vous que les francstireurs qui devaient après Reichofheim, 4 faire sauter le pont de Saverne, 5 pour arrêter la marche du Prince Royal, ont été prévenus par la trahison d’un suscitateur des Vosges, qui a passé aux Prussiens? Je n’en finirais pas sur ce sujet; adieu Monsieur, vous m’en voudriez de vous entretenir de mes tristes pressentiments qui m’annoncent de nouvelles catastrophes; je reçois à l’instant votre lettre du 11, et tout d’abord je vous remercie extrêmement du développement en fraction continue, que vous avez pris la peine de me communiquer, et qui m’intéresse vivement. Je garde encore le texte de vos recherches, pour y revenir; ma première lettre vous le restituera avec ce que j’aurai pu trouver à remarquer sur votre analyse. 6 M. Schwarz est un habile géomètre, mais qui paraît devenu grincheux, pour d’autres encore que pour moi. 7 Avec l’expression de ma plus haute estime et de ma bien sincère affection. Ch. Hermite
1
2 Nell’originale: risbands. Nell’originale: galoppe. La battaglia di Beaumont è del 30 agosto 1870. 4 Questo nome è verosimilmente una alterazione di Reichshoffen, nome con cui è nota la battaglia di Froeschwiller (Alsazia, chiamata Woerth dai prussiani) che, nella guerra franco prussiana, fu teatro della sconfitta francese del 6 agosto 1870. 5 Saverne è presso Strasburgo. 6 Hermite si riferisce al manoscritto di Genocchi citato nelle lettere del 22 luglio e del 14 agosto 1882 (cfr. nota 3, p. 92; nota 1, p. 93) e commentato in quella del 6 settembre 1882 (cfr. nota 1, p. 95). 7 Questa frase si collega all’attacco che Hermite si attende da Schwarz, di cui ha scritto nella precedente missiva del 6 settembre 1882 (cfr. nota 2, p. 96). 3
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34.[35] Flanville 22 Septembre 1882 Monsieur, Un jour M. Darboux me parlant de M. Weierstrass, me disait qu’il lisait les mémoires du grand géomètre comme s’il avait à la main pour s’éclairer, une lampe de mineur qui n’éclaire que la portion du sol où pose le pied. Ne soyez point fâché et ne m’en voulez point, si votre travail me produit la même impression; cependant et à force d’avoir sous les yeux vos formules, je mets bas les armes et je confesse n’avoir pu découvrir une objection à faire à votre analyse. Quelques modifications dans la rédaction, la rendront certainement moins difficile à saisir, et avec quelques mots d’explications, des difficultés disparaîtront. 1 Par exemple, en ce qui concerne la limite du produit: 2 2 1 1 − 2a cos 2ϕ + a 4 − 4 a cos 2ϕ + a L ⋅ ⋅ a2 1 + 2a + a 2 4 + 4a + a 2
mais c’est ma mauvaise disposition, j’ai hâte de vous le dire, qui me fait réclamer des explications. Et puisque vous avez la bonté de me demander mon imprimatur pour le recueil de l’Académie Royale de Belgique, je m’empresse de vous l’envoyer. J’y joins mes bien vives et bien sincères félicitations pour l’insigne honneur que vous venez de recevoir de cette Académie 2 qui vous a accordé le titre qu’elle a aussi donné à M. Chasles. Ses mémoires contiennent pour les mathématiques un grand nombre de travaux intéressants et trop peu connus, et que j’ai consultés avec fruit en particulier pour la théorie des intégrales Euleriennes. Vous me parlez Monsieur de la mort de M. Liouville 3 qui laisse un vide immense dans la Science Française et qui m’a bien attristé. Ce matin même j’ai reçu une autre douloureuse nouvelle et qui causera aussi une grande impression dans le monde mathématique. M. Briot 4 a succombé à une affection 1 Hermite conclude i suoi commenti sul manoscritto di Genocchi di cui ha scritto in alcune precedenti lettere, in particolare in quella del 6 settembre 1882 (cfr. nota 1, p. 95). Il lavoro, che verrà pubblicato dopo qualche tempo, è il seguente: A. Genocchi, Sur les fonctions de M. Prym et de M. Hermite, «Bulletin de l’Académie Royale des Sciences, des Lettres et des Beaux-Arts de Belgique», s. 3, 4 (1882), pp. 438-451, in particolare alla p. 446 si può trovare il prodotto infinito che Hermite qui riporta. 2 Il 15 dicembre 1881 Genocchi è stato eletto membre associé dell’Académie Royale des Sciences, des Lettres et des Beaux-Arts de Belgique. L’1 dicembre 1845, il medesimo titolo era stato conferito a Chasles che era già correspondant dal 4 febbraio 1829. 3 Liouville è morto a Parigi l’ 8 settembre 1882. 4 La morte di Briot, è avvenuta a Bourg-d’Ault (Francia) il 20 settembre 1882.
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du cœur qui depuis longtemps inquiétait ses amis, mais qu’on ne croyait point menacer son existence à si bref délai. Nous retournerons dans quelques jours à Paris, et j’aurai à m’occuper de revoir mon cours de la Faculté, dont l’éditeur paraît désirer de faire un second tirage. Si vous pensiez qu’il convient à M. Peano, que je cite la remarque importante qu’il a faite en même temps que M. Schwarz, sur les cas d’exceptions du théorème élémentaire concernant l’aire des surfaces courbes; 1 je le ferais avec le plus grand plaisir, et j’attendrai une communication de vous à cet égard. En vous priant Monsieur dans le cas où quelque inadvertance vous aurait frappé, de m’en avertir pour me corriger, je vous renouvelle l’expression de ma plus haute estime et de mes sentiments de sincère affection. Ch. Hermite 35.[36] Paris 6 Octobre 1882 Monsieur, J’apprends avec le plus vif regret le douloureux accident dont vous avez été la victime, et qui vous condamne à deux mois de réclusion. 2 Je fais les vœux les plus sincères pour qu’il n’ait point de suites fâcheuses et que [vous] retrouviez la complète liberté de vos mouvements, avec la guérison et la consolidation de la fracture. Permettez-moi à cette intention de vous demander d’appeler l’attention de votre médecin, sur les eaux sulfureuses des Pyrénées, Barèges et Luchon, auxquelles en France on attribue une grande efficacité. Personnellement au moins, je sais qu’un de mes amis qui a eu dans un accident de chemin de fer, la jambe cassée, a été envoyé à Barèges, et s’en est extrêmement bien trouvé. Pensant bien que vous ne pouvez pas écrire, je demande à M. Siacci d’avoir l’obligeance de me donner de vos nouvelles; en attendant et comme si 1 Peano aveva trovato, indipendentemente da Schwarz, un esempio critico che mostrava l’erroneità della definizione di area di una superficie curva data da Serret nel suo corso di analisi e adottata da Hermite stesso nelle sue lezioni. Peano lo comunicò al suo maestro Genocchi, del quale era assistente all’Università di Torino, e quest’ultimo ne diede comunicazione a Schwarz (cfr. infra nota 2, p. 96). Come Schwarz anche Peano considerò una superficie poliedrale a facce triangolari inscritta in un cilindro circolare retto. Hermite, come si legge nella presente missiva, è disposto a citare anche il suo nome nella seconda edizione del suo corso di analisi, e per questo chiede a Genocchi una comunicazione in proposito. Ma nelle pagine del corso, sarà citato solo il nome di Schwarz. (cfr. C. Hermite, Cours... Professé pendant le 2e Semestre 1881-82 rédigé par M. Andoyer. Second tirage, revu par M. Hermite, Paris, Hermann, 1883, pp. 35-37). 2 Genocchi, anche a causa della crescente debolezza della vista, cadde rompendosi un ginocchio, verso la fine di settembre del 1882.
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je venais près de votre lit, causer avec vous, je vous conterai ce qui se passe en ce moment à la Sorbonne. La mort de M. Liouville et de M. Briot, 1 laisse deux chaires vacantes, il y en a même une troisième celle de M. Puiseux qui prend sa retraite, à cause d’une maladie de la vessie qui le fait beaucoup souffrir. Vous pensez que les candidatures ne manquent point, et c’est de la province qu’elles viennent en grand nombre. C’est un fait historique que la province n’aime point Paris; on est jaloux et méfiant de la capitale, non malheureusement sans de graves motifs, car nos déplorables révolutions ont toujours été l’œuvre, ou plutôt le coup de main, d’une minorité de Parisiens audacieux, sur la majorité du pays, épouvantée. Ces causes générales ont des conséquences jusque dans la petite sphère universitaire, 2 et nos collègues des Facultés de province nous détestent cordialement, et en désirant extrêmement nos places, disent de nous tout le mal possible. Quatre candidats à ma connaissance, arrivent à tire d’aile 3 et comme des cormorans affamés, MM. de St Germain, de Caen, Boussinescq 4 de Lille, Frédéric Morin, de Marseille, Émile Mathieu de Nancy ce dernier haineux et méchant à lui seul plus que tous les autres. À Paris, M. Maurice Lœvy, 5 qui est plein de talent et de mérite, se porte aussi candidat, mais il est déjà singulièrement bien pourvu, étant ingénieur en chef des Ponts et Chaussées chargé d’un service actif, Professeur au Conservatoire des Arts et Métiers, suppléant de M. Bertrand au Collège de France, etc. Notre vénéré doyen M. Milne-Edwards a eu la pensée d’offrir à M. Bertrand lui-même, la chaire de calcul des probabilités et de physique mathématique qu’occupait Briot, et j’ai été chargé d’ouvrir les négociations. M. Bertrand hésite, il se dit vieux, fatigué, et semble vouloir appliquer le principe de la moindre action, mais on ne désespère point cependant d’avoir son consentement. Pour les deux autres chaires, celle de mécanique générale, et de mécanique appliquée, M. Milne-Edwards, et je lui en suis bien reconnaissant, les tient en réserve, en les donnant à Émile Picard et à Poincaré, à titre de chargés de cours, de sorte que tous deux puissent atteindre l’âge exigé par la loi, pour être dans quelques 1 La morte di Liouville e quella di Briot sono citate nella lettera del 22 settembre 1882 (cfr. note 3, 4; p. 100). 2 Nell’originale: universitaires. 3 Nell’originale: d’ailes. 4 Si tratta di V. J. Boussinesq che, dal 1873, era professore d’analisi a Lille. Il suo nome verrà citato più avanti, con quello di Lippmann, nella lettera del 3 febbraio 1883 (let. 41, p. 114), quando Hermite riferirà sulla nomina del successore di Briot alla cattedra di fisica matematica alla Sorbona. 5 Può trattarsi di Maurice Lévy i cui dati biografici sembrano in accordo con le informazioni della missiva.
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années nommés titulaires. Vous dire quels cris de paon vont jeter les provinciaux, et les protestations indignées, contre les passe-droits, les accaparements, les arrangements de famille, que se permet la Sorbonne, serait impossible. Le folliculaire du journal le Passant qui m’a déjà déchiqueté, 2 à propos de mon cours, va certainement affiler sa plume; je n’ai qu’à me résigner. Adieu Monsieur, veuillez recevoir avec mes souhaits les plus affectueux pour votre guérison, la nouvelle assurance de ma plus haute estime et de mes sentiments tout dévoués. Ch. Hermite 36.[37] Paris 16 Octobre 1882 Monsieur, Je viens vous demander, en prenant M. Siacci pour votre secrétaire, de vouloir bien me faire connaître comment s’est passée cette dernière semaine, et comment vous supportez l’immobilité qui vous est commandée. 3 Permettez-moi en même temps de vous informer de ce qui survient à la Sorbonne que les circonstances ne condamnent point au repos, tant s’en faut. M. Bertrand a sur les bras des affaires et du travail autant qu’il en peut prendre; il n’y veut rien ajouter et par conséquent nous laisse dans l’embarras en refusant absolument la chaire de Physique Mathématique que nous lui avions offerte. La question qui n’exige point une solution immédiate, se reproduira dans quelques mois et nous avons le répit pour tâcher de trouver une solution. Mais pour ce qui concerne les deux chaires de Mécanique un complet changement s’est produit par suite de M. [Puiseux] 4 qui au lieu de prendre immédiatement sa retraite reste encore notre collègue jusqu’au mois de Mars prochain. Nous allons 1 Picard divenne suppléant di Bouquet alla Sorbona per il corso di meccanica fisica e sperimentale (20 ottobre 1881-giugno 1885). Poincaré che era stato nominato maître de conférences di analisi alla Sorbona (21 ottobre 1881) rimarrà tale, come Hermite stesso conferma nella lettera successiva del 16 ottobre 1882 (let. 36) dove precisa che quanto era stato predisposto per Picard e Poincaré subirà un cambiamento (cfr. C. Charle, E. Telkes, Les professeurs de la faculté des sciences de Paris. Dictionnaire biographique (1901-1939), Institut national de recherche pédagogique. Editions du CNRS, 1989, p. 227, 231). 2 Nell’originale: déchicqueté. 3 L’allusione è all’incidente occorso a Genocchi, citato nella lettera del 6 ottobre 1882 (cfr. nota 2, p. 101). 4 Il nome risulta mancante esattamente alla fine della prima pagina dell’originale, probabilmente per una dimenticanza intercorsa nel voltare pagina. Si può comunque dedurre che si tratta di Puiseux dal seguito della presente missiva e dalla precedente lettera del 6 ottobre 1882 (let.
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donc nommer M. Tisserand comme successeur de M. Liouville, en nous proposant de lui donner la chaire d’Astronomie de M. Puiseux qui rentre plus directement dans sa spécialité, à cette époque du mois de Mars. De là résulte que M. Poincaré reste et demeure dans sa situation de l’année dernière ainsi que Picard. 1 Mais vous ne pouvez vous imaginer que de pas et de démarches, de visites et de rencontres les uns chez les autres, avant d’obtenir cet arrangement qui ajourne tous les embarras à six mois. Aussi ai-je éprouvé comme un sentiment de bien-être et de profond repos en revenant au travail, et m’occuper du second tirage de mon cours. Vous avez eu Monsieur la bonté de me donner un renseignement précieux sur la remarque faite par M. Schwarz, et votre assistant M. Peano, au sujet de l’insuffisance de la définition classique de l’aire des surfaces courbes, et ce que vous m’en avez dit m’a donné l’idée de demander à M. Schwarz, l’autorisation d’indiquer sa remarque, dans mon cours. Sachant par vous d’ailleurs et par moi-même combien peu il aime à écrire, j’ai cru utile de l’informer qu’à moins d’un avis contraire, je considérerai son consentement comme acquis. 2 En attendant, et en revoyant la rédaction un peu raboteuse de mon élève Andoyer, je me suis trouvé conduit à dire un mot du théorème de Fagnani sur la différence des arcs d’ellipse. 3 Quel homme, Monsieur que Fagnani, et comprend-on 4 que son nom ne soit point mille fois plus 35, p. 101), dove si legge che Puiseux si sarebbe presto ritirato dall’insegnamento a causa di una malattia alla vescica. Invece si sa che Puiseux chiese il pensionamento sei mesi prima della sua morte (avvenuta il 9 settembre 1883), cioé proprio nel marzo 1883, accennato nella presente missiva. Inoltre, alcune righe dopo, Hermite spiega che nel mese di marzo (1883) la cattedra di astronomia di Puiseux sarebbe passata a Tisserand. 1 I cambiamenti di cui Hermite scrive riguardano quanto era stato predisposto sugli insegnamenti di Picard e Poincaré annunciati nella lettera precedente del 6 ottobre 1882 (cfr. nota 1, p. 103). 2 Questa frase indica l’evolversi degli eventi riferiti nelle precedenti missive del 6 e del 22 settembre 1882 (cfr. nota 2, p. 96; nota 1, p. 101). Hermite è messo al corrente, da parte di Genocchi, dell’esempio critico, dato da Schwarz e da Peano sull’insufficienza della definizione di area di una superficie curva, formulata da Serret e adottata da Hermite stesso nelle sue lezioni. Hermite pensa di pubblicare l’esempio di Schwarz nella seconda edizione del suo corso di analisi, e per questo gli scrive chiedendo il suo consenso. Ma Schwarz in una lettera a Genocchi del 22 ottobre 1882 (Fondo Genocchi, Biblioteca Comunale Passerini-Landi, Piacenza, busta LL. 11), spiega di aver ricevuto da Hermite, qualche giorno prima, una cartolina postale, alla quale ha risposto con una lunga lettera, allegando una nuova stesura della sua nota critica sulla definizione di area di una superficie curva, che spedisce anche a Genocchi e spiega di aver chiesto a Hermite, per una questione di onestà, di voler comunicare a Serret il contenuto della nota, prima di pubblicare una dimostrazione che demoliva quanto quest’ultimo aveva prodotto sull’argomento. 3 Si tratta del teorema di Fagnano sulla determinazione geometrica della differenza di archi di ellisse (cfr. C. Hermite, Cours... Professé pendant le 2e Semestre 1881-82 rédigé par M. Andoyer. Second tirage, revu par M. Hermite, Paris, Hermann, 1883, p. 15). 4 Nell’originale: comprend-t-on.
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célèbre, que celui de Landen, si au-dessous de lui! Voudriez-vous bien me donner sur votre grand inventeur, quelques détails biographiques, que je placerai dans mes prochaines leçons? Je prends la liberté de continuer ma lettre en m’adressant à votre cher secrétaire 1 M. Siacci, pour l’informer que les exemplaires de son théorème sur les éq[uations] canoniques de la Mécanique, et les groupes de quatre points statiques, 2 sont remis à leurs destinataires et le prier de faire parvenir mes remerciements et mes compliments à M. Novarese. Les points statiques m’intéresseraient extrêmement, si j’avais le temps nécessaire pour lier connaissance avec eux, et je me sens vivement attiré par l’analyse claire et symétrique de M. Siacci. Mais je dois me limiter, ne pouvant plus donner à l’Analyse que les restes d’une ardeur qui s’éteint. Me serait-il permis d’engager M. Novarese à étudier au sujet de la multiplication de l’argument dans les fonctions elliptiques, le beau et singulier résultat découvert par M. Kiepert et M. Halphen, qui au moyen de fonctions auxiliaires font disparaître entièrement le module, dans l’expression de sin am(nx)? Je termine Monsieur en m’adressant à vous en même temps qu’à M. Siacci, pour vous dire que, faute de grives, on prend des merles. J’ai ajouté à la rédaction d’Andoyer cette minuscule remarque que l’arc des courbes unicursales: x=
B , C y= A A
à savoir S=
z
( BA' − AB' ) 2 + (CA' − C' A ) 2 dt A2
se ramène uniquement aux intégrales de première et de seconde espèce.3 1 Siacci aiutava Genocchi nella corrispondenza a causa dell’incidente occorsogli (cfr. nota 2, p. 101). 2 Siacci, che fu professore di meccanica all’Università di Torino, coltivò la teoria creata da Hamilton e studiata da Jacobi, delle equazioni canoniche della dinamica. È possibile che Hermite alluda alla seguente memoria: F. Siacci, Teorema fondamentale nella teoria delle equazioni canoniche del moto, «Atti della Reale Accademia dei Lincei», s. 3, 12 (1881-82), pp. 423-436. Per quanto riguarda quelli che Hermite qui chiama «points statiques», potrebbe trattarsi di un argomento della teoria del moto di un corpo rigido con un punto fisso, trattato nella seguente memoria: F. Siacci, Le quaterne statiche nei sistemi di forma invariabile, «Memorie di matematica e di fisica della Società Italiana delle Scienze (detta dei XL)», s. III, t. 4 (1882), n. 4, pp. 1-16. Per i dettagli sulla produzione di Siacci su questi argomenti si veda: G. Morera, Francesco Siacci, «Atti della Reale Accademia delle Scienze di Torino», 43 (1907-1908), pp. 568-578. 3 Hermite tratta la rettificazione dell’arco di una curva unicursale nel suo corso di analisi (cfr. C. Hermite, Cours... Professé pendant le 2e Semestre 1881-82 rédigé par M. Andoyer. Second tirage, revu par M. Hermite, Paris, Hermann, 1883, pp. 24-25).
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Dans l’attente de quelques mots de M. Siacci, veuillez Monsieur recevoir avec tous mes vœux la nouvelle assurance de mes sentiments les meilleurs et les plus dévoués Ch. Hermite 37.[38] Flanville par Metz (Lorraine) 10 Décembre 1882 Monsieur, J’ai été obligé la semaine dernière de quitter Paris pour venir dans ma famille de Lorraine, et j’ai laissé chez moi l’article extrêmement intéressant de M. Mamiani 1 sur Fagnano, que vous avez eu la bonté de m’envoyer en communication. Je m’empresserai dès mon retour de vous le retourner, mais ayant enfin un moment de loisir je le mets à profit pour m’entretenir avec vous, vous demander des nouvelles de votre santé et vous exprimer l’espoir que ma lettre ne vous trouvera plus condamné à l’immobilité. 2 Par M. Siacci je sais quel ennui vous en éprouvez et je ne me rends que trop bien compte de la souffrance pour un esprit actif, de ne pouvoir agir. Mais vous rendez-vous compte de la contrariété pour un nonchalant et un paresseux comme moi de l’obligation de prendre part à mille affaires, d’être arraché à la rêverie, de ne pouvoir suivre en paix ni un calcul ni une idée! Nous avons un nouveau Ministre de l’Instruction Publique, dont on dit beaucoup de bien comme homme, mais que la Providence a suscité dans sa justice, ou son courroux, pour le châtiment des professeurs de la Sorbonne, et tout particulièrement le mien. M. Duvaux qui avant d’être homme politique a appartenu à l’enseignement des Lycées, juge non sans apparence de raison, que c’est un abus scandaleux, que des professeurs de la Faculté des Sciences, gagnent l’argent de la République en ne faisant par année que 25 leçons. En conséquence il entend imposer un minimum de 40 leçons, avec la sanction d’une retenue proportionnelle du traitement, pour chaque leçon omise. La terrible menace a éclaté comme un coup de foudre dans le ciel serein de la Sorbonne, M. de Lacaze Duthiers, M. Hébert, M. Duchartre, M. Bonnet, qui ont comme moi des cours d’un seul semestre, ont jeté des cris de paon. M. de Lacaze Duthiers a déclaré 1 Si tratta di: G. Mamiani, Elogi storici di Federico Commandino G. Ubaldo del Monte Giulio carlo Fagnani, letti all’Accademia Pesarese, Pesaro, 1828. 2 Il riferimento è all’incidente di Genocchi di cui alla lettera del 6 ottobre 1882 (cfr. nota 2, p. 101).
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qu’en droit strict, le Ministre ne pouvait demander à un professeur nommé à une chaire qui n’a jamais été occupée que pendant un semestre, de professer l’année entière; M. Hébert a défendu, avec éloquence, les intérêts de la Science qui a besoin de temps pour les recherches et le travail. Enfin il s’est trouvé un malin qui a ouvert un avis plein de sagesse, en priant notre Doyen M. Milne-Edwards, de laisser le vent courir sur les tuiles, et de ne point trop se presser de répondre au Ministre, sur ces délicates questions; le temps pouvant suffire à lever bien des difficultés; sublata causa tollitur effectus. 1 Mais nous avons eu à la Faculté, d’autres affaires plus graves, et il est arrivé que je suis sorti de mon petit domaine algébrique pour me lancer avec imprudence dans la thermochimie et la thermodynamique, qui sont à mille lieues de mes préoccupations ordinaires. Nous avions à remplacer Briot, 2 et à nommer à une chaire de Physique Mathématique; j’ai pris fait et cause pour un de nos jeunes maîtres de conférences, M. Lippmann 3 dont M. Helmholtz m’a fait le plus grand éloge, et sans l’ombre de fond, sans rien savoir clairement du principe célèbre de la conservation de l’énergie totale j’ai argumenté comme j’ai pu, sans trop connaître la question et peu satisfait de moi. Enfin et tout dernièrement la Faculté m’a délégué en compagnie de M. Hébert et de M. Berthelot, pour entrer en rapport avec MM. du Conseil Municipal, qui veulent bien faire une petite part dans leur budget, aux intérêts de l’enseignement supérieur. Mais j’ai trouvé le moyen de me dérober à cette nouvelle charge, en priant mon cher ami M. Bouquet, qui a bien voulu y consentir, d’aller en mon lieu et place, faire commerce d’amitié avec les ogres radicaux, au Pavillon de Flore. Après le Conseil Municipal, c’est la Chambre des députés qui s’est occupée de nous. À la tribune où des voix puissantes proclament la gloire de la république, les droits imprescriptibles de la libre pensée, en écrasant le cléricalisme et le monarchisme, M. Laisant et M. Bischoffsheim célèbre par sa générosité pour l’Astronomie, ont parlé de Cauchy et de Riemann, des fonctions elliptiques, et des quaternions, hélas! Ces députés dévoués à la chose publique, ont voulu appuyer le gouvernement qui proposait la création d’une seconde chaire de calcul infinitésimal, et ont donné pour motifs à l’appui de cette demande, qu’on n’enseignait à la Faculté, ni la théorie des fonctions elliptiques, ni les méthodes de Cauchy et de Riemann, ni aucune des découvertes de l’analyse à l’étranger. Mais j’abrège Monsieur, je n’en finirais point à tout vous dire; je veux cepen1 2 3
È un adagio giuridico. La morte di Briot è annunciata nella lettera del 22 settembre 1882 (cfr. nota 4, p. 100). Lippmann fu maître de conférences alla Sorbona dal 1878.
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dant vous apprendre encore que M. Weierstrass a été mis sur la liste des candidats à la place d’Associé étranger, vacante à l’Académie des Sciences, par le décès de M. Woehler 1 de Gœttingue. J’aurais désiré vous communiquer le rapport dont j’ai été chargé; j’ai principalement insisté sur la tradition qui a associé depuis Legendre, l’Académie au progrès de la théorie des fonctions elliptiques, en rappelant les grands prix des Sciences mathématiques décernés à Abel et Jacobi, puis à M. Rosenhein, 2 et qui appelle si naturellement à décerner à M. Weierstrass, pour l’éclat de ses découvertes, la plus haute récompense dont elle dispose. Au reste et pour cette fois, c’est M. Bunsen 3 qui sera élu très certainement, plus tard il ne tiendra pas à moi que le tour de M. Weierstrass n’arrive. Adieu Monsieur, en vous chargeant de mes amitiés pour M. Siacci, et de mes remerciements pour le Prince Boncompagni, que je citerai à la Faculté à l’occasion de Fagnano, je vous renouvelle avec les vœux les plus sincères pour votre guérison, l’expression de mes sentiments les meilleurs et les plus dévoués Ch. Hermite 38.[39] Paris 30 Décembre 1882 Monsieur, Je suis heureux en venant vous offrir mes souhaits de bonheur pour la nouvelle année de pouvoir y joindre mes félicitations d’être enfin guéri de l’accident qui vous a pendant si longtemps condamné à un repos bien pénible. J’offre aussi par votre intermédiaire mes vœux à votre ami excellent et si dévoué M. Siacci; puissiez-vous l’un et l’autre poursuivre paisiblement vos travaux, et jouir du bonheur que vous doit bien la Providence, pour prix de votre dévouement à la Science. Cependant Monsieur, je ne vous cache point les inquiétudes que je ressens devant l’année qui va s’ouvrir. J’ai lu hier le récit des manifestations des Étudiants Italiens en faveur de l’assassin Oberdank, et je me demande si le 1 Si tratta del chimico Friedrich Wöhler, morto a Göttingen il 23 settembre 1882, che nel 1864 era divenuto associé étranger all’Académie des sciences di Parigi. 2 Il Grand Prix des Sciences mathématiques del 1830 fu assegnato ad Abel (qualche mese dopo la sua morte avvenuta a Froland, in Norvegia, il 6 aprile 1829) e Jacobi, per i loro fondamentali contributi alla teoria delle funzioni ellittiche. Rosenhein lo vinse nel 1851, risolvendo un problema sugli integrali ellittici suggeritogli da precedenti ricerche di Jacobi, come è accennato nella lettera del 2 giugno 1881 (cfr. nota 1, p. 73). 3 Bunsen che era correspondant dell’Académie des sciences di Parigi dal 1853 (nella sezione di chimica), divenne associé étranger nel 1882.
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souffle de délire et de démence qui court chez nous, agiterait aussi vos universités. Notre situation intérieure préoccupe beaucoup, et il n’est point douteux qu’on ressent partout un malaise précurseur d’une crise prochaine. Mais qu’y faire! Vous avez sans doute vu dans le dernier Compte rendu, 2 le témoignage de la reconnaissance de l’Académie envers le Prince Boncompagni, qui a enrichi de pièces précieuses, l’édition qui se prépare des Œuvres de Fermat. Mais cette édition ne se fait point sans difficultés. Les deux principaux collaborateurs, M. Lucas et M. Henry, 3 sont devenus ennemis, d’amis qu’ils étaient. M. Bertrand m’a fait le curieux récit de leur mésintelligence, qui tient surtout à une action autoritative 4 exagérée de M. Lucas, à l’égard de M. Henry. M. Lucas semble extrêmement original, et la commission à laquelle je n’appartiens pas, qui préside à la publication entreprise, a bien du mal avec lui. Mais il est protégé par M. Laisant, membre de la chambre des Députés et je tiens encore de M. Bertrand, que si la Chambre eût accordé les fonds demandés par le gouvernement, pour la création à la Sorbonne, d’une seconde chaire d’Analyse, M. Lucas aurait été recommandé au choix du Ministre de l’Instruction Publique, 5 par son ami. Faute de cette chaire, il serait question d’une autre, et en sa faveur, on créerait au Collège de France, un enseignement nouveau ayant pour objet la théorie des 1
Nell’originale: soufle. Il principe Boncompagni faceva regolarmente dono all’Académie des sciences di Parigi del «Bullettino di bibliografia e di storia delle scienze matematiche e fisiche» da lui fondato. Il numero del mese di luglio 1880 contiene il lavoro seguente che evoca le ricerche sui manoscritti di Fermat: C. Henry, Supplément au travail intitulé «Recherches sur les manuscrits de Pierre de Fermat, suivies de fragments inédits de Bachet et de Malebranche», «Bullettino di bibliografia e di storia delle scienze matematiche e fisiche», 13 (1880), pp. 437-470, contenente integrazioni al lavoro: Id. Recherches..., ibid., 12 (1879), pp. 477-568, pp. 619-740. Va segnalato che nel Post-scriptum che si trova alla p. 740 di questo lavoro si precisa che Edouard Lucas nutriva da molti anni il progetto di una edizione delle opere di Fermat. Il Supplément è citato nella seduta dell’Académie des sciences del 27 giugno 1881 (cfr. «Comptes rendus hebdomadaires des séances de l’Académie des Sciences», 92 (1881), p. 1490). 3 Si tratta dell’edizione delle Œuvres de Fermat curata da Charles Henry e Paul Tannery in quattro volumi pubblicati a Parigi tra il 1891 e il 1912 e di cui apparve il Supplément aux tomes I-IV, nel 1922. Fra le fonti manoscritte impiegate in questa edizione, vanno segnalati i due manoscritti di fondamentale importanza, appartenenti al principe Boncompagni e da lui messi a disposizione dei curatori dell’edizione, rinnovando e integrando largamente le fonti dell’antica edizione del 1679, curata da Samuel Fermat. I due manoscritti, senza i quali l’edizione non avrebbe potuto essere intrapresa, annunciati da Boncompagni a Henry con una lettera del 27 maggio 1881, sono noti come il Manoscritto Arbogast-Boncompagni e il Manoscritto Vicq-d’AzyrBoncompagni. Una loro descrizione con le liste degli opuscoli e delle lettere che essi contengono si può leggere nell’ Avertissement del primo volume dell’edizione, dove vengono anche riportati i complessi avvenimenti che hanno segnato la ricerca delle fonti documentali. Il supplemento è fondato, come è noto, su manoscritti inediti scoperti da C. de Waard nel 1914 a Groningen e a Firenze (per i dettagli cfr. l’Introduction del Supplément aux tomes I-IV). 4 Così sull’originale. 5 Il ministro della pubblica istruzione qui citato era J. Duvaux. 2
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nombres. Vous voyez qu’il est bon par le temps présent, d’avoir un député influent, dans sa manche. Permettez-moi Monsieur de vous adresser le commencement du second tirage de mon cours de la Sorbonne; la suite vous sera envoyée dans peu de semaines. J’ai fait mes efforts pour qu’il soit plus digne de l’appréciation bienveillante que vous m’en avez faite, et que j’estime comme la meilleure et la plus précieuse des récompenses. 1 Vous avez bien voulu m’annoncer l’envoi du volume et de la médaille commémorative de la fondation de la Société Italienne; mais ils ne me sont pas encore parvenus; j’espère cependant que l’envoi n’est que retardé et qu’il n’aura pas été égaré. Avec mes sentiments pour vous et M. Siacci, de la plus haute estime et d’une sincère affection. Ch. Hermite 39.[40] Paris 7 Janvier 1883 Monsieur. À la page 35 de mes leçons, vous avez dû lire ces mots: Sur une définition erronnée de l’aire des surfaces courbes. Communication faite à M. Ch. Hermite par M. Schwarz de Gottingue; c’est la reproduction textuelle de ce qui a été écrit par M. Schwarz, lui-même, dont la note a été rédigée à ma prière, pour être insérée dans le texte de mes leçons, 2 En remerciant 1 Si tratta delle litografie della seconda edizione del corso di analisi che Hermite invierà regolarmente a Genocchi in segno di stima: C. Hermite, Cours...Professé pendant le 2e Semestre 1881-82 rédigé par M. Andoyer. Second tirage, revu par M. Hermite, Paris, Hermann, 1883. 2 Si tratta di una nota di rettifica della definizione di area di una superficie curva che conclude gli avvenimenti riferiti nelle precedenti missive del 6 e 22 settembre e del 16 ottobre 1882 (cfr. nota 2, p. 96; nota 1, p. 101; nota 2, p. 104). Hermite aveva chiesto a Schwarz la stesura della nota di rettifica, avvertendolo di volerla pubblicare nella seconda edizione del suo corso di analisi. Schwarz aveva chiesto a Hermite di avvertire Serret (autore della definizione) prima di pubblicare la sua nota di rettifica. Hermite come qui spiega ha incaricato Bouquet di avvertirlo e dalla presente missiva si sa che nè lui nè Hermite lo hanno fatto, temendo di portare un inutile danno a Serret già anziano e molto malato (aveva abbandonato quasi ogni attività accademica e morirà circa due anni dopo, il 2 marzo 1885). Hermite infine, affrettandosi, pubblica sul suo corso la nota, che apparve nelle litografie alla fine del 1882 (cfr. C. Hermite, Cours... Professé pendant le 2e Semestre 1881-82 rédigé par M. Andoyer. Second tirage, revu par M. Hermite, Paris, Hermann, 1883, p. 35). Questa decisione priverà Schwarz della possibilità di pubblicare il suo risultato sugli «Atti della Reale Accademia delle Scienze di Torino», com’era già stato concordato con Genocchi (cfr. nota 1, p. 111), essendo inopportuno pubblicare un risultato non più inedito. Genocchi, è probabile, deve aver rilevato la mancanza di tatto di Hermite nei confronti suoi e della rivista di Torino (questo spiega le scuse che vengono espresse in questa missiva). La nota di Schwarz sarà pubblicata molti anni dopo (cfr. H. A. Schwarz, Gesammelte Mathematische Abhandlungen, 2, Berlin, 1890, p. 309).
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le savant géomètre, je l’ai informé que cette publication se ferait sans tarder, et que l’éditeur m’avait promis, comme il l’a fait, d’y ajouter la figure de la page suivante. Comment donc, M. Schwarz peut-il vous envoyer pour les Atti, 1 ce qu’il savait devoir paraître ailleurs! C’est pour moi absolument incompréhensible, à moins peut-être, qu’un cours lithographié ne lui paraisse point une publication suffisante. Je ne m’explique point davantage qu’il vous ait écrit attendre encore de M. Serret, une réponse qui ne viendra jamais, à ses objections si fondées, sur la définition donnée dans son ouvrage. J’ai en effet encore informé M. Schwarz, que depuis une attaque de congestion, qui a mis sa vie en danger, et l’a contraint de renoncer à l’enseignement, M. Serret tout en continuant avec l’aide de ses amis, de M. Bouquet surtout, l’édition des œuvres de Lagrange, n’était guère en disposition de satisfaire à sa demande. Confidentiellement si vous le permettez bien, je vous dirai qu’ayant chargé M. Bouquet de donner la communication de M. Schwarz, à M. Serret, j’ai été abordé par lui, à une séance de l’Académie, avec une émotion fort vive. M. Bouquet avait cru que je devais lire à la séance, et publier dans les Comptes rendus, une critique qui aurait contrarié et affligé notre Confrère, et j’ai dû m’empresser de le rassurer en lui disant qu’il ne s’agissait point d’une polémique devant l’Académie, mais d’une remarque à flanc dans le texte de mes leçons. Je n’ai donc point et je n’aurai jamais sans doute le sentiment de M. Serret, mais M. Bouquet m’a donné le sien, et l’amitié partiale y a plus de part que l’Analyse. Il juge que les conditions restrictives dont la nécessité est mise hors de doute, se trouvent implicitement, dans la démonstration que donne l’ouvrage de M. Serret, 2 de l’existence de la limite. Implicitement, est facile à dire, et sans doute, vous jugerez qu’en matière d’éléments tout doit être complètement explicite. J’ai appelé sur la même question l’attention de M. Bertrand, mais des affaires de famille, qui réclament toute sa sollicitude, et qui l’inquiètent extrêmement, ne lui laissent point la liberté de s’occuper de questions de calcul.
1 L’idea di presentare la nota all’Accademia delle Scienze di Torino fu di Genocchi che sollecitò Schwarz a completarne la stesura per l’apertura del successivo anno accademico, come si legge nella lettera di Genocchi a Schwarz del 28 luglio 1882 (H. A. Schwarz, Gesammelte Mathematische Abhandlungen, 2, Berlin, 1890, p. 370). 2 Bouquet, come si vede, resta del parere che le condizioni restrittive, essenziali alla correttezza della definizione di area di una superficie curva, sarebbero implicite nel ragionamento di Serret, esposto nel suo corso di analisi. Di questo vi sono due edizioni, nelle quali si usa la medesima definizione erronea di area di una superficie curva: J. A. Serret, Cours de calcul différentiel et integral, 2 voll., Paris, Gauthier-Villars, 1868, vol. II, p. 296; 2a ed., 1879, vol. II, p. 293.
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Permettez-moi encore de vous informer que les premières feuilles qui vous ont été envoyées, ont été adressées en même temps aussi à M. Schwarz, ce qui me porte à penser que la publication dans les Atti, doit être dans ses intentions, sans doute parce qu’il juge que la publication dans mes leçons n’est point suffisante. Mais ne croyez point je vous en supplie que j’aie agi traîtreusement et vilainement à l’égard des Atti; ne mettez pas en doute que j’aime les Atti, que je vous aime bien aussi, et encore M. Siacci. Que M. Laisant et M. Bischofsheim, déclarent à la Chambre des députés, qu’il n’est point question dans les leçons de la Sorbonne, des méthodes de l’étranger, je ne me plaindrai point, afin de rester loin d’eux à l’écart; mais à vous, Monsieur, je me plaindrai tant, et à M. Schwarz, s’il est nécessaire que vous en viendrez à reconnaître, que dans cette circonstance, les apparences seules ont été contre moi. Dans cette espérance, je vous renouvelle et je vous rappelle des sentiments d’amitié trop anciens j’espère, pour que vous laissiez y passer le plus léger nuage et envers et contre toutes les apparences je me dis votre bien sincèrement et affectueusement dévoué. Ch. Hermite 40.[41] Paris 26 Janvier 1883 Monsieur. Je viens de lire avec grand intérêt votre travail publié dans les Bulletins de l’Académie Royale de Belgique, 1 que vous avez eu la bonté de m’envoyer et dont le fond m’était déjà connu par vos précédentes communications. La limitation que vous donnez du produit:
LM(1 − t )FH 1 − 2t IK L FH 1 − mt− 1IK OP N Q
2
votre méthode indirecte mais bien ingénieuse pour établir que si le développement de l’intégrale
z
∞
a
e−v dv v x −1
1 Si tratta dell’articolo: A. Genocchi, Sur les fonctions de M. Prym et de M. Hermite, «Bulletin de l’Académie Royale des Sciences, des Lettres et des Beaux-Arts de Belgique», s. 3, 4 (1882), pp. 438-451. Di questo lavoro Genocchi aveva inviato il manoscritto a Hermite già da alcuni mesi, chiedendogli di comunicargli le sue critiche, prima di inviarlo ad una rivista: cfr. le lettere del 6 e 22 settembre 1882 (nota 1, p. 95; nota 1, p. 100).
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subsiste pour l’exposant x, il doit également avoir lieu pour x–1, m’intéressent vivement, et appelleront certainement l’attention des géomètres. Je regrette que vous n’ayez point donné explicitement les premiers des polynômes V1, V2, etc. ce qui aurait permis de mieux saisir la physionomie de votre exposition; je regrette surtout de ne pouvoir prendre corps à corps vos résultats sur un point d’Analyse qui me touche tout particulièrement; je dirai qu’on ne peut tout faire, pour m’excuser de ne faire presque rien. J’espérais au moins vous envoyer la suite et la fin de mes leçons de la Sorbonne, 1 mais l’éditeur M. Hermann me traîne en longueur, le lithographe dont il dispose est malade, et je ne sais quand 2 j’en finirai. Permettez-moi de vous demander si vous vous trouvez remis de l’indisposition qui vous a été causée par le mauvais hiver de cette année, et s’il vous est enfin permis de marcher. Votre activité intellectuelle doit vous rendre l’immobilité physique pénible et je souhaite extrêmement apprendre que vous allez à l’Université faire vos leçons. En causant un jour avec M. Brioschi, je lui ai demandé et non absolument en plaisantant, si en cas d’événements révolutionnaires qui me chasseraient de la Sorbonne, je pourrais obtenir une chaire en Italie, et il a eu la bonté de me répondre qu’il s’y emploierait. Ce souvenir me revient maintenant, et au train dont 3 vont les choses je ne repousse point le rêve de devenir votre collègue. Vous figurez-vous Monsieur que nous nous répartissons les matières du calcul différentiel et du calcul intégral, et qu’ensemble nous interrogeons les candidats aux grades universitaires! Nous venons dans notre quartier de faire une élection de député, en remplacement de Louis Blanc; les murs ont été couverts d’affiches rouges, et je ne vous cache point que les programmes politiques et professions de foi des candidats, me donnent quelque inquiétude sur l’état mental de la population. L’un d’eux déclare que sans le terrassier, l’œuvre du géomètre serait vaine, un autre affirme que le quartier de la Sorbonne est le cerveau de Paris, tous demandent la suppression du budget des cultes, la suppression ou la modification démocratique du Sénat, la suppression de l’inamovibilité de la magistrature, etc, et ces belles choses sont appuyées par de nombreux électeurs, qui mettent sur les affiches rouges, leurs noms et leurs professions: tailleur coiffeur, boucher, charcutier, marchand de vins, marchand de crépins, lamentable procession qui me semble conduire le deuil de la France. Adieu Monsieur, en vous exprimant le désir ne point tarder à recevoir de vos 1 Hermite aveva iniziato da qualche tempo a spedire a Genocchi le litografie della seconda edizione del suo corso di analisi: cfr. la lettera del 30 dicembre 1882 (nota 1, p. 110). 2 Nell’originale: qu’en. 3 Così sull’originale.
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nouvelles, je vous renouvelle l’assurance de ma plus haute estime et de mes sentiments de sincère affection Ch. Hermite 41.[42] Paris 3 Février 1883 Monsieur, J’apprends avec bien du regret que vous êtes souffrant, obligé de ménager vos pas et de renoncer à vos leçons de l’Université. Aussi je viens vous demander des nouvelles de votre santé et en vous envoyant mes vœux pour un prompt et complet rétablissement, 1 je me permettrai de causer auprès de votre lit de malade, et de vous faire la confidence de mes misères. Sans être retenu ni empêché par quelque indisposition, j’éprouve un sentiment de fatigue, un manque de courage et d’entrain au travail qui me fait passer des heures à rêver tristement, aegri somnia, 2 au lieu de m’occuper comme il serait nécessaire. Des circonstances extérieures je ne me préoccupe point, si inquiétantes qu’elles soient, parce q[ue] l’on s’habitue à tout, même au malheur. Si elles me touchent, ce n’est qu’en un point, et parce que la commission du budget de la Chambre des députés est d’une extrême malveillance pour la Sorbonne, et l’enseignement supérieur. Cette commission est souveraine, c’est la suite de cette situation pleine de périls qui en ce moment met le pouvoir législatif au-dessus du gouvernement qui se laisse dominer et conduire par des députés connaissant peu les choses, et désireux d’exercer leur tyrannie anonyme. Donc la commission du budget veut que les professeurs dont le cours ne comprend qu’un semestre fassent néanmoins un minimum de 40 leçons, et déjà M. Bonnet qui est professeur d’Astronomie, a été contraint d’ajouter chaque semaine à ses deux leçons, une troisième sous forme de conférence. Grâce à la bonté de notre vénéré doyen M. Milne-Edwards, j’ai été épargné au moins jusqu’à nouvel ordre. Ingénieusement et subtilement, M. Milne-Edwards a fait entendre au Ministre de l’Instruction Publique, que la publication autographiée de mon cours de l’année dernière, représentait et au delà, un travail de 40 leçons, et on veut bien par suite me laisser continuer comme par le 1 A causa dell’infermità dovuta all’incidente occorsogli (cfr. nota 2, p. 101) Genocchi fu costretto a interrompere le sue lezioni universitarie dal 22 aprile 1882, affidandole alla supplenza 2 Orazio, Ars poetica, 7. di Peano.
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passé. Mais bien d’autres choses s’ajoutent à mes devoirs d’enseignement; des commissions, des réunions pour examiner les titres des candidats à une chaire vacante, puis des rapports sur leurs travaux. C’est pour la chaire de Physique Mathématique, qui était occupée par Briot que j’ai eu tous ces ennuis. 1 L’électricité, la thermochimie, la thermodynamique, les phénomènes electrocapillaires, et que sais-je encore, toutes sortes de belles choses dont je ne sais rien absolument, me sont cependant venues sous les yeux. Je les ai regardées sans bien les comprendre, et je les ai admirées sans les connaître, puis à ma honte j’ai écrit un rapport que j’ai lu devant mes honorés collègues de la Sorbonne. Point n’aurait été nécessaire d’un grand effort, pour désarçonner le rapporteur, aussi me suis-je réfugié dans des considérations chimériques, sur le concours et l’association nécessaire de la Physique et les Mathématiques, sur les grands progrès accomplis aux mêmes époques dans les deux sciences; j’ai osé dire que la découverte de la formule de Fourier qui joue un si grand rôle dans le domaine abstrait du calcul, est due aux recherches entreprises pour les questions physiques, etc, etc. Bref c’est un jeune physicien, M. Lippmann qui a réuni la presque unanimité des suffrages pour succéder à Briot, et le candidat présenté en seconde ligne a été M. Boussinesq. Mais que j’aurais mieux fait de m’occuper de votre développement de Q (x), et de rester sur mon terrain, 2 au lieu de perdre mon temps à faire des rapports sur ce que j’ignore complètement, et à feindre malhonnêtement de n’être pas étranger à l’optique, à l’hydrodynamique etc. Ce mensonge, et les efforts qu’il m’a coûté, m’ont causé une fatigue qui en est la juste punition, et je me délasse en vous faisant un récit qui est une confession. Permettez-moi de vous prier de me dire à quelle page s’arrête l’envoi que je vous ai fait des premières leçons de mon cours, 3 afin que je puisse le compléter; veuillez aussi me pardonner mon bavardage, et croyez Monsieur à mes sentiments de la plus sincère et de la plus cordiale affection. Ch. Hermite 1 Sulla nomina del successore di Briot si vedano le lettere del 6 ottobre e del 10 dicembre 1882 (cfr. lett. 35, 37; pp. 101, 106). 2 La funzione di Prym Q(x) (cfr. nota 1, p. 53), è a più riprese discussa con Genocchi nelle precedenti missive. 3 Si tratta dell’invio dei fogli litografati della seconda edizione del suo corso di analisi che da tempo Hermite inviava a Genocchi.
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42.[43] Paris19 Février 1883 Monsieur. Mon éditeur M. Hermann m’ayant encore informé hier d’un nouveau retard, je ne puis attendre qu’il m’ait livré les dernières feuilles de mes leçons, 1 et que j’aie ainsi un envoi à vous faire, pour vous demander de vos nouvelles. Bien souvent je me demande si vous avez pu mettre à profit quelques journées où le soleil n’a pas fait défaut, pour sortir de votre chambre que vous avez dû garder si longtemps et respirer en plein air. Je me fais cette question pendant que moi-même au Luxembourg, je reste au soleil des heures entières, à rêvasser et à paresser indignement au lieu de travailler comme je le devrais. Mais je ne le fais point; video meliora proboque, deteriora sequor, 2 et je donnerais toutes les mathématiques du monde, tous les royaumes de la terre avec leur gloire, pour vivre au bord de la mer de l’existence d’un zoophyte, ou d’une annélide arénicole. Les questions sont maintenant si difficiles à traiter et demandent tant d’efforts, que c’est à être absolument découragé. M. Mittag-Leffler, me dit qu’un de ses élèves s’étant occupé de P(x) et Q(x), a été amené à présumer que très certainement les équations P(x)=0, et Q(x) =0, n’ont aucune racine. 3 Votre fonction serait donc ainsi de la forme: Q(x)=eR(x) où R(x) serait holomorphe! Quelle énigme, au moins pour moi, mais je vous le propose dans l’espoir que les considérations analytiques que vous avez employées pourraient peut-être servir à attaquer la question. Ne me sentant point le courage d’avoir affaire avec le sphinx, je pense à mes leçons, et je me contente de modifier quelque peu l’exposition de vérités absolument élémentaires, pour les présenter à mes élèves. Ainsi en désignant par R un polynôme de degré quelconque n, en x, et considérant les intégrales des fonctions rationnelles de x et R j’exposerai de la manière, leur réduction aux fonctions des trois espèces. Soit d’abord: J= 1 2 3
z
P dx R
Si tratta ancora delle litografie di cui alla nota 3, p. 115. Ovidio, Metamorfosi, VII, 20. Per la definizione delle funzioni P (x) e Q(x) cfr. nota 1, p. 53.
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où P est un polynôme entier, je dis qu’on peut faire:
z
J=A R+
N dx R
N étant un polynôme dont le degré ne surpasse point n – 2. Soit en effet, U une fonction déterminée par la condition: U R= J c’est-à-dire: 1 R
U=
z
P dx R
Il est aisé de voir, qu’alors même que le degré de R serait impair, le développement de U suivant les puissances décroissantes de la variable, ne contient que des termes rationnels, et a la forme: U=G+S G étant un polynôme entier, et
S=
α
x
+
β
x2
+K
Or la relation: (G + S ) R = J nous donne: S R = J −G R et le second membre, se met sous la forme:
z
H dx R H étant un polynôme entier. Cela posé, si vous désignez son degré par m, le premier terme du développement de l’intégrale suivant les puissances descendantes de la variable, sera de degré: m − n + 1; en l’égalant 2 au degré du premier membre qui est: n − 1, on trouve sur le champ: 2 m=n –2 ce qui démontre la proposition énoncée.
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Soit ensuite: J=
z
M N R
dx
je mets la fraction M , sous la forme: N
Q M P = α +1 + β +1 +K N A B A, B étant des polynômes dont les facteurs linéaires sont tous inégaux, et j’envisage la quantité
z
P dx A α +1 R
Supposons maintenant A et R, premiers entre eux; je puis alors écrire: P=GA+HRA′ G et H étant des polynômes entiers, et j’en conclus:
z
z
z
FH IK
1 P G dx = dx − H R D x α dx = A A α +1 R Aα R Dx (H R ) G H R = dx + dx − α Aα A Aα R
z
z
C’est donc la réduction de l’intégrale proposée, à une semblable, où l’exposant α, est remplacé par α –1. Je vous épargne le cas où A et R ont des facteurs communs; je ne vous parle point non plus du Prince Napoléon, ni des Princes d’Orléans, ni de notre affreux gâchis politique. Avec tous mes vœux pour votre santé, je vous renouvelle l’expression de mes sentiments les plus affectueux et les plus dévoués. Ch. Hermite 43.[44] Paris 16 Mars 1883 Monsieur, Nous avons depuis une semaine un retour d’hiver qui me fait penser à vous et non sans quelque inquiétude. Vous aviez commencé à sortir en
le lettere di charles hermite a angelo genocchi
119
plein air et au beau soleil, je me demande si la neige se voit dans les rues de Turin comme à Paris, et si vous n’avez pas été obligé de renoncer à vos promenades. Pour avoir de vos nouvelles, je viens vous faire part des inquiétudes que cause à tout le monde l’anniversaire lugubre de la Commune de 1871, et des menaces de la démagogie anarchique, contre le bourgeois. Ce n’est pas loin de chez nous, qu’une femme du nom de Louise Michel, qu’on nomme la grande citoyenne ou la vierge rouge, a été vue tenant un drapeau noir sur les plis duquel se détachaient en lettres blanches ces mots sinistres “du pain ou la mort”. Les journaux officieux avaient annoncé qu’elle serait arrêtée et envoyée aux assises; hélas elle est libre! Cependant tout annonce que les mesures les plus énergiques sont prises pour le maintien de l’ordre, et que s’il en est besoin, ce qu’à Dieu ne plaise, la troupe marchera. Permettez-moi Monsieur pour oublier ces angoisses, 1 d’entrer dans le monde des illusions, de la chimère, et de me figurer que je suis votre collègue et le collègue de M. Siacci à l’Université de Turin. Nous nous sommes répartis les matières de l’enseignement, vous m’avez demandé d’apprendre aux élèves l’art d’intégrer les fonctions rationnelles d’une variable et en quelques mots voici la leçon que je ferais sur cette question. Étant proposé d’intégrer la fraction Π( x) , Φ( x)
je mets le dénominateur en appliquant la méthode élémentaire des racines égales, sous la forme suivante: Φ(x)=Aα
+1
Bβ +1 Cγ +1...
A, B, C, ... désignant des polynômes entiers, n’ayant plus que des facteurs simples. Cela posé, soit: F=Aα Bβ Cγ ...
G=ABC ...
de sorte qu’on ait: Φ(x)=FG
Je dis qu’on peut déterminer deux polynômes P et Q, de manière qu’on ait:
z
Π( x) dx = Φ( x)
1
z
Q P dx + F G
Nell’originale: angoises.
120
giacomo michelacci
Pour l’établir, je remarque d’abord qu’on peut faire: F ′ α A ′ βB ′ N = + +K= F A B G N étant un polynôme entier premier avec G, sous la condition qu’aucun des entiers α, β ... ne soit nul. Nous pouvons alors écrire: Π (x)=NU+GV
où U et V sont entiers, ce qui donne:
z
Π( x) dx = Φ( x)
z z
NU V dx + dx FG F
Mais dans le second membre, la première intégrale, se transforme ainsi:
z
NU U F′ U U′ dx = dx ⋅ dx = − + FG F F F F
z
z
et nous en concluons, la formule suivante:
z
Π( x) U dx = − F Φ( x)
+
z
U′ + V dx F
C’est par conséquent une formule de réduction qui ramène l’intégrale proposée à une autre dans laquelle le dénominateur F a ses exposants diminués tous d’une unité. On pourra en faire l’application réitérée, 1 jusqu’à ce qu’on soit amené, au cas exclu 2 tout à l’heure, où l’un de ces exposants est nul. Je considère ce cas, et je fais: Φ(x)=ABβ
+1
Cγ +1 ... , F=Bβ C γ ... , G=BC ...
de sorte qu’on ait: Φ =AFG
Soit ensuite: F ′ β B′ γ C ′ N = + + ... = F B C G
N et G seront premiers entre eux, et même AN et G, je puis donc écrire: Π(x)=ANU+GV 1
Nell’originale: réitée.
2
Nell’originale: exclus.
le lettere di charles hermite a angelo genocchi
121
ce qui donne:
z
Π( x) dx = Φ( x)
z
z
NU V dx + dx FG AF
Or le même calcul que précédemment, conduit à la relation:
z
Π( x) U dx = − F Φ( x)
+
z
U′ V dx + dx F AF
z
C’est une formule de réduction dont l’application répétée donne le résultat annoncé. Je supprime des conséquences, je quitte le monde des chimères, je renonce à me voir professeur en Italie, je reviens à la réalité triste, et je termine par une confidence. Deux de mes élèves maintenant officiers de marine et lieutenants de vaisseau, après avoir voyagé et séjourné en Espagne, en Allemagne, en Hongrie etc., m’ont dit que partout ils avaient trouvé une pitié dédaigneuse pour la France, et revenaient de leurs voyages honteux et humiliés! Dans deux jours, la foule criera, vive la Commune, vive Louise Michel... Adieu Monsieur, mes vœux bien affectueux pour votre santé, et la nouvelle assurance de mes sentiments les plus dévoués Ch. Hermite 44.[45] Bain-de-Bretagne (Ille-et-Vilaine) 28 Mars 1883 Monsieur, Vos travaux et ceux du P. Pépin sur une catégorie des théorèmes arithmétiques dus à Fermat et à Fibonacci me paraissent soulever une question qui m’est venue à l’esprit en lisant votre dernière lettre. À l’imitation de ce qu’Euler a fait avec tant de succès, pour la décomposition des nombres en carrés, ne serait-il pas possible de trouver des identités analytiques, équivalentes à ces propositions? De cette manière elles ne représenteraient plus dans le domaine mathématique des provinces isolées et comme des atolls 1 dans l’océan Pacifique; elles acquerraient ce me semble un nouveau degré d’intérêt en se rattachant à l’Analyse générale qui tirerait grand profit de l’annexion. Je suis extrêmement frappé de cette mystérieuse concordance 1
Nell’originale: attols.
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giacomo michelacci
d’un si grand nombre de belles découvertes arithmétiques qui se succèdent en s’enchaînant de Fermat à Euler, Lagrange et Gauss avec la théorie des fonctions elliptiques, dont nous voyons maintenant qu’elles n’ont été qu’une anticipation. Au risque de vous sembler bien mystique, je ne puis m’empêcher de reconnaître comme l’action d’une force agissant en dehors et au-dessus des géomètres, qui coordonne leurs efforts et les dirige vers un but qu’ils ne soupçonnent point, lorsqu’à deux siècles d’intervalle, et en poursuivant des objets si différents, je les vois se rencontrer dans les mêmes résultats. À cet égard bien d’autres faits seraient à joindre à celui qui m’a surtout impressionné parce que je me suis occupé des fonctions elliptiques, et seront sans doute l’un des grands intérêts de l’histoire de la science. Ils enseignent à mon avis que dans cet ordre de travaux qui semblent ne relever absolument que du libre arbitre, nous sommes cependant serviteurs autant que maîtres, et que pour notre grand avantage, notre liberté que je n’entends pas restreindre, est subordonnée. Mais c’est bien m’éloigner des équations du P. Pépin, que je regrette de voir si peu au courant de ce qu’il aurait eu tant d’intérêt à connaître, et c’est d’autant plus sa faute que vous êtes le seul géomètre à vous occuper avec succès des questions qu’il a traitées. Ici Monsieur où je passe mes vacances de Pâques, auprès de ma belle-mère Madame Bertrand, je ne traite aucune question, aucune idée ne me vient, et mon labeur mathématique consiste à apprendre le système métrique, à un enfant auquel elle s’intéresse. Permettez-moi de vous faire part d’une circonstance relative à la petite localité de Bain de Bretagne, qui a eu de bien grandes et lamentables suites. Lorsque le Prince Napoléon s’est évadé du fort de Ham, où il était retenu prisonnier après l’aventure de Boulogne, il est venu se présenter au Maire, M. Blandin, ancien soldat de l’Empire, qui au lieu de faire son devoir en arrêtant le fugitif, s’est empressé de lui délivrer un passeport, et de faciliter une évasion dont la ruine présente de la France, a été la conséquence. Mais il faut se détourner de la politique, et au lieu d’accorder encore une place à Louise Michel, j’aime mieux vous apprendre que lundi prochain, à la séance solennelle de notre Académie des Sciences, l’Arithmétique aura une double part aux prix décernés. 1 Vous savez peut-être que la question mise au concours, concernait les beaux théorèmes qu’Eisenstein a énoncés sans démonstration, dans le T[ome] 35 1
La giuria del Grand Prix des Sciences Mathématiques ha deliberato nel Comité secret del 5 marzo 1883 (cfr. Registre du Comité secret de l’Académie des Sciences, années 1882-1902, pp. 29-30). I commissari erano Hermite, Bonnet, Bertrand, Bouquet, Jordan. I nomi dei vincitori sono stati annunciati nella seduta pubblica annuale del 2 aprile 1883.
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123
1
de Crelle, sur le nombre des décompositions d’un entier en cinq carrés. Trois mémoires ont été adressés à l’Académie, l’un est sans valeur, mais les deux autres sont d’une telle importance, et d’un mérite si égal, que nous avons demandé à l’Académie et obtenu d’elle, qu’elle doublât le prix. L’un des auteurs couronnés est M. Smith 2 d’Oxford; l’autre un étudiant de Koenigsberg, M. Hermann Minkowski, 3 un tout jeune homme certainement, qui s’annonce ainsi comme un continuateur d’Eisenstein; Jam nova progenies coelo demittitur alto! 4 N’admirez-vous pas cette heureuse fortune de l’Allemagne, où des talents nouveaux succèdent à ceux qui lui ont été ravis par une mort prématurée. Je vous remercie Monsieur ainsi que M. Siacci des encouragements que vous donnez à la méthode d’intégrer les fonctions rationnelles qu’une future Commune, me fera peut-être enseigner ailleurs qu’à la Sorbonne; je vous renouvelle aussi tous mes vœux pour votre santé, en vous priant de recevoir la nouvelle assurance de ma plus haute estime et de ma bien cordiale affection Ch. Hermite 45.[13] [s.d.] 5 Monsieur, Vous venez de faire une perte bien douloureuse et je m’empresse en apprenant par votre lettre cette triste nouvelle, de vous offrir affectueusement mes sincères condoléances. Il y a plusieurs années j’ai eu le même malheur, et j’en ai trop ressenti le chagrin pour ne point compren1 G. Eisenstein, Note sur la représentation d’un nombre par la somme de cinq carrés, «Journal für die reine und angewandte Mathematik», 35 (1847), p. 368. 2 Con i significativi lavori sulle forme quadratiche n-arie, Smith giunse al teorema di scomposizione dei numeri naturali come somma di cinque e di sette quadrati. Eisenstein aveva provato il teorema per tre quadrati e Jacobi per due, quattro e sei. È con questi risultati che Smith vinse il Grand Prix des Sciences Mathématiques di cui parla Hermite in questa missiva. Il premio gli fu assegnato postumo il 5 marzo 1883 (morì il 9 febbraio 1883 a Oxford). 3 In occasione del concorso per il Grand Prix des Sciences Mathématiques bandito nel 1881, che l’Académie des sciences di Parigi avrebbe assegnato nel 1883, Minkowski, ancora studente, produsse una memoria che ricostruiva l’intera teoria delle forme quadratiche n-arie da indicazioni frammentarie di Eisenstein. Con quel lavoro condivise il premio con Smith. 4 Virgilio, Bucoliche, IV, 7. 5 La data è ricostruibile in base ai seguenti elementi. La missiva si rapporta a quella del (mercoledì) 28 marzo 1883 (let. 44, p. 121) dove Hermite, prima dell’annuncio ufficiale dell’Académie des sciences di Parigi (lunedì 2 aprile 1883), terminando in tono disteso, comunicava i nomi dei vincitori del Grand Prix des sciences mathématiques dell’Académie (deliberato nel Comité secret del 5 marzo 1883: cfr. nota 1, p. 122) come risulta dal passo: «L’un des auteurs couronnés est M. Smith d’Oxford; l’autre un étudiant de Koenigsberg M. Hermann Minkowski, un tout jeune homme
124
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dre le vôtre et m’y associer. Depuis longtemps j’étais en retard avec vous n’ayant pas trouvé comme je le désirais l’occasion de voir M. Laguerre afin de l’entretenir au sujet de votre article des Annali di Mathematica de 1859. 1 J’aurais eu aussi mille choses à vous dire au sujet des deux grands prix des sciences mathématiques décernés dans la séance solennelle de notre Académie, (et non point d’un seul prix partagé), et d’une incompréhensible agitation qui s’est produite à ce sujet dans la presse, en France et à l’étranger. Un rédacteur du Journal la Paix, poussé par je ne sais quel motif de méchanceté, a publié en sachant bien qu’il mentait, une nouvelle inepte, et outrageuse pour l’Académie, 2 qui a été immédiatement reproduite par le Français, le Temps, la Liberté, le XIXe Siècle, le Figaro, et peut-être encore par d’autres, puis par les Journaux Allemands. L’Académie après avoir proclamé les noms des deux lauréats, serait revenue en comité secret, sur sa décision, ayant reconnu une erreur dans le mémoire de M. Minchowski, et en se déjugeant aurait donné un seul et unique grand prix à M. Smith. Vous pensez quelle émotion cet odieux mensonge a produit en Allemagne, la National Zeitung de Berlin s’en est fait l’écho, M. Kronecker et nombre de ses confrères de l’Académie s’en sont émus, et le grand géomètre a pris la généreuse initiative de protester en demandant l’insertion d’une lettre certainement, qui s’annonce comme un continuateur d’Eisenstein[...]». La presente missiva si collega a quella, trattando i particolari della campagna di stampa sollevata da molte testate francesi e tedesche, su una presunta scorrettezza nell’assegnazione del Grand Prix (cfr. qui nota 2). Di conseguenza la presente missiva non è anteriore al 28 marzo 1883 (data della let. 44, p. 121) ed è anteriore a quella del 22 maggio 1883 a partire dalla quale non vi è più traccia dell’argomento. 1 Si tratta dell’articolo seguente: A. Genocchi, Serie ordinate per fattoriali inversi, «Annali di matematica pura e applicata», 2 (1859), pp. 367-384. L’articolo che Hermite ha citato per la prima volta nella lettera del 2 febbraio 1881 (nota 2, p. 60) è stato largamente discusso nelle lettere del 2, 10 e 30 marzo 1881 (lett. 15, 16, 17; pp. 62, 65, 67) e in quella del 27 aprile 1881 (let. 18, p. 69). 2 Sul quotidiano repubblicano «La Paix» del mercoledì 4 aprile 1883, apparve alla pagina 2 sotto il titolo: «Séance publique annuelle de l’Académie des sciences», la lista dei premi assegnati, ove per la geometria si citano il Grand Prix des Sciences Mathématiques e i premiati J.S. Smith e H. Minkowski. Il medesimo quotidiano, il giorno 11 aprile 1883, alla pagina 2, sotto il titolo «Echos de Paris» scrisse: «A l’issue de sa séance publique, l’Académie des sciences s’est réunie hier en comité secret, pour réparer une erreur qui a été commise dans la distribution des prix [...] le sujet proposé pour le prix de mathématique était connu et avait été traité, dix ou douze ans auparavant, par M. Smith, savant anglais. Un étudiant de Kœnisberg, M. Herman Minkowski, avait envoyé exactement le même mémoire que M. Smith: une faute de calcul, commise par ce dernier, avait été fidèlement reproduite par l’étudiant allemand». Il quotidiano «Le Temps» del martedì 3 aprile 1883 riportava la notizia dell’assegnazione del premio e i nomi dei vincitori e il mercoledì 11 aprile 1883 riportava con qualche parola di differenza il medesimo attacco del quotidiano «La Paix», annunciando poi una smentita, il mercoledì 18 aprile 1883, avvallata da Bertrand e Jordan: «M. Smith, on le savait, s’était occupé de ce theorème; M. Minkowski pouvait connaître ce qu’il avait écrit à cet égard; c’était son droit. Mais, encore une fois, la démonstration de ce dernier est parfaitement originale». Sulla questione, interessanti dettagli si trovano nell’articolo: J. P. Serre, Smith, Minkowski et l’Académie des sciences, «Gazette des Mathématiciens», avril 1993, n. 56, pp. 2-9.
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où il prenait notre défense, à la Rédaction du Journal. Cette insertion n’a pas d’abord été consentie, à cause de l’article du Temps qui semblait confirmer l’inqualifiable procédé de l’Académie, mais M. Kronecker n’a point tardé à savoir par une dépêche, mise immédiatement sous les yeux du Rédacteur en chef de la National Zeitung, que les faits répandus étaient faux. Sa lettre qui est extrêmement convenable a donc paru, suivie d’une rétractation du Français, qui s’était empressé sur les instances de M. Camille Jordan, de reconnaître qu’il avait été induit en erreur, de sorte que l’œuvre abominable de l’odieux folliculaire de la Paix, n’aura pas été de longue durée. La commission de l’Académie vivement touchée de la démarche de M. Kronecker, lui a envoyé un télégramme pour lui témoigner sa reconnaissance, enfin M. Bertrand dans l’avantdernière séance de l’Académie, a trouvé l’occasion de dissiper tous les nuages amoncelés sur cette affaire. Vous voyez qu’elle fait peu d’honneur à la presse Française, mais je n’avais point besoin de pâtir du fameux principe de la liberté de la Presse, pour l’avoir en horreur; chez nous au moins c’est la liberté de l’injure et de la calomnie. Je vais immédiatement écrire à M. Piquet, 1 au sujet du théorème de Fermat généralisé, en regrettant beaucoup de n’avoir point prévenu ce qui est arrivé. Un soupçon m’avait traversé l’esprit, la forme n
x n − ∑ x a + ∑ x ab − K n
n’était point nouvelle pour moi, mais ne me souvenant pas au juste où je l’avais vue, j’ai eu le tort de m’en rapporter à l’auteur. M. Serret a toutes les apparences d’une bonne santé, je l’ai rencontré il n’y a pas longtemps à l’Académie, et nous avons échangé quelques mots; mais je ne crois pas qu’il reprenne jamais l’enseignement, un certain embarras de parole lui restant, de l’attaque de congestion qui a mis sa vie en danger en 1872. Il s’est fait suppléer au Collège de France par un ingénieur des mines M. Vicaire, 2 au grand chagrin de M. Laguerre, qui aurait vivement désiré avoir cette situation pour prendre place dans l’enseignement. Veuillez Monsieur recevoir l’expression de mon affectueuse sympathie 1 Potrebbe trattarsi di Louis Didier Henri Picquet. Va notato in favore di questa ipotesi che Hermite lo cita come interessato al teorema di Fermat generalizzato su cui Picquet ha scritto un articolo: L. D. H. Picquet, Une généralisation du théorème de Fermat, «Comptes rendus hebdomadaires des séances de l’Académie des Sciences», 96 (1883), pp. 1136-1139. 2 Serret che viveva in solitudine a Versailles era gravemente malato e morirà il 2 marzo 1885. Nell’insegnamento di meccanica celeste al Collège de France che tenne dal 1861 al 1885, fu sostituito da Vicaire, come supplente, dal 1883 al 1885. Questo stesso insegnamento, col nome di Mécanique analytique et céleste, passò poi, nel 1885, a Maurice Levy.
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et l’assurance de ma plus haute estime et de mes sentiments bien sincèrement dévoués Ch. Hermite 46.[46] Paris 22 Mai 1883 Monsieur, En vous envoyant la lettre ci-jointe que je viens de recevoir de M. Laguerre, 1 je viens vous demander si les beaux jours que nous avons si longtemps attendus ont été autant que je l’espère favorables à votre santé et s’il vous a été possible de reprendre vos promenades. De promenades je n’ai fait guère quelque besoin et quelque envie que j’en aurais, étant retenu à ma table de travail, comme un chien à l’attache. J’éprouve plus que l’année dernière la fatigue de l’enseignement, et ce n’est point sans efforts que je parviens à parler à la Sorbonne, pendant une heure un quart ou un peu plus. Vous m’avez rendu Monsieur un service dont je tiens à vous remercier, en me donnant l’indication du volume 21 des Comptes rendus qui contient l’article omis dans la table des matières de M. Chasles sur la lemniscate. 2 Il m’a paru qu’il pouvait pour sa partie essentielle, se résumer dans la remarque suivante. Soit: X=
x
2x2 − 1
, Y=
x2 −1 2x2 − 1
d’où: X2 + Y 2 =
1
2x − 1 2
, X2 − Y 2 =
1 ( 2 x − 1) 2 2
et par conséquent: (X2 +Y 2)2 =X2 –Y 2 équation d’une lemniscate. Si l’on construit par rapport aux mêmes axes coordonnés, 3 l’hyperbole y=
x2 −1
1 La lettera di Laguerre che Hermite ha allegato alla presente missiva non si trova nel Fondo Genocchi conservato presso la Biblioteca Comunale Passerini-Landi di Piacenza e sembra essere perduta. 2 Si tratta del seguente articolo: M. Chasles, De quelques propriétés des arcs égaux de la lemniscate, «Comptes rendus hebdomadaires des séances de l’Académie des Sciences», 21 (1845), 199-201. 3 Nell’originale: coordonnées.
le lettere di charles hermite a angelo genocchi
127
on aura: X Y = x y de sorte que les points correspondants des deux courbes, se trouvent sur les mêmes rayons vecteurs issus de l’origine. Maintenant on trouve: Dx X = −
2x2 + 1 ( 2 x 2 − 1) 2
, DxY = −
x ( 2 x 2 − 3) ( 2 x 2 − 1) x 2 − 1
puis: (D x X) 2 + (D xY ) 2 =
1 ( x 2 − 1)( 2 x 2 − 1)
et pour l’arc d’hyperbole:
2x2 − 1 x2 −1 de sorte que les arcs correspondants des deux courbes compris entre deux rayons vecteurs, représentent les intégrales: ds 2 =
z
dx , et ( x − 1)( 2 x 2 − 1) 2
z
2x2 −1 dx ( x − 1)( 2 x 2 − 1) 2
Les constructions géométriques qui donnent des arcs égaux dans la lemniscate, conduisent ainsi à des arcs correspondants de l’hyperbole, dont la différence est rectifiable, et réciproquement. Vous connaissez le grand mérite mathématique de M. Halphen, l’un des plus éminents géomètres de notre pays; il vient d’éprouver le plus triste des mécomptes. Il s’est porté candidat à une place vacante d’examinateur d’admission à l’École Polytechnique, où il n’a été jusqu’ici que simple répétiteur; on lui a préféré M. Laurent, qui a incontestablement du mérite, mais que tout le monde regarde comme lui étant infiniment inférieur. En m’annonçant avec chagrin, ce déplorable résultat, M. Halphen m’a fait part de son intention de renoncer à l’École Polytechnique, et de rentrer dans l’armée, où sous peu il aura le grade de chef d’Escadron d’artillerie; pourvu qu’il ne renonce pas entièrement au moins à ses travaux! M. Siacci est plus heureux, et j’espère qu’il deviendra aussi officier supérieur, et sans quitter l’Université. Veuillez Monsieur avoir la bonté de me rappeler à son souvenir, et recevez la nouvelle assurance de mes sentiments les meilleurs et les plus dévoués Ch. Hermite
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47.[47] Paris 12 Juin 1883 Monsieur, Je viens de relire avec grand plaisir dans l’exemplaire que vous avez eu la bonté de m’envoyer, les recherches sur le développement de l’intégrale 1
z
∞
a
v − x e − v dv
dont nous nous sommes entretenus pendant les vacances de l’année dernière. Combien je désirerais que votre santé se rétablît complètement 2 et que vous soyez enfin délivré de la souffrance! J’espère que vous mettrez à profit les vacances qui vont bientôt venir, et je suppose que votre médecin en disposera pour vous envoyer dans quelque station thermale, prendre les eaux. À notre âge Monsieur la question de santé s’impose et nous devons compter avec des nécessités que nous ne subissions ni ne connaissions quand nous étions plus jeunes. Maintenant je ne puis plus sans un grand sentiment de fatigue, faire une leçon et parler pendant une heure un quart, à la Sorbonne. Je ne puis plus faire un calcul, sans me tromper et être condamné à le recommencer plusieurs fois, ce qui me fait inutilement perdre mon temps. J’ai cependant été ramené à l’Arithmétique, mais non à ces questions délicates et difficiles comme celles qui ont fait l’objet de vos recherches sur certaines équations indéterminées. Les développements en série de la théorie des fonctions elliptiques, m’ont paru contenir des conséquences pour l’Arithmétique qui n’ont pas encore été remarquées. Les formules révèlent à l’observation pure et simple, et sans efforts de l’esprit, tant de belles propriétés des nombres, que j’en suis confondu, et les connaissant depuis si longtemps, je les admire toujours plus vivement. Permettez-moi de vous indiquer un résultat qui se trouve immédiatement, comme vous le verrez dans un article du Bulletin de l’Académie de St Petersbourg intitulé: Remarques arithmétiques sur quelques formules de la théorie des fonctions elliptiques. 3 Si l’on désigne par f (n) le nombre des décompositions d’un entier n≡5 Mod 8, 1 Si tratta del lavoro di Genocchi sulle funzioni di Prym e di Hermite citato nella lettera del 26 gennaio 1883 (cfr. nota 1, p. 112) il cui manoscritto Genocchi aveva inviato a Hermite nell’estate del 1882 e a lungo discusso con lui (cfr. nota 1, p. 95; nota 1, p. 100). 2 La salute di Genocchi era precaria, anche a causa dell’incidente occorsogli nel 1882 (cfr. nota 2, p. 101). 3 Si tratta dell’articolo: C. Hermite, Sur quelques conséquences arithmétiques des formules de la
le lettere di charles hermite a angelo genocchi
129
en cinq carrés impairs dont les racines sont supposées positives, on a: f (5) + f (13) + K + f ( n ) = ∑ E a
LM N
n − 4 aa ′ + 1 2
OP Q
Dans cette formule E (x) représente l’entier contenu dans x, et la somme s’étend à tous les nombres impairs a et a′, tels qu’on ait: n–4aa′>0 Relativement aux décompositions analogues en trois carrés impairs des nombres n≡3 Mod 8, on a: f ( 3) + f (11) + K + f ( n ) = ∑ ( −1)
a −1 2
E
LM N
n − 4 aa ′ + 1 2
OP Q
N’est-ce pas une chose bien singulière que ce caractère arithmétique propre aux formules de la théorie des fonctions elliptiques, et n’est-on pas en droit d’en conclure que l’Analyse et la théorie des nombres ne sont au fond, qu’une seule et même doctrine? Adieu Monsieur, et recevez les vœux que je vous adresse bien affectueusement pour votre santé, en vous renouvelant l’assurance de mes sentiments les meilleurs et les plus dévoués Ch. Hermite 48.[48] Paris 15 Juillet 1883 Monsieur, J’ai reçu votre dernière lettre en Lorraine où j’ai été passer quinze jours à l’intention de prendre quelque repos avant de commencer le travail ennuyeux et fatigant des examens de la Sorbonne pendant le mois de juillet. Vous jugez avec trop de bienveillance les résultats dont je vous ai donné communication, et je me sens plus touché que je ne puis vous dire de la bonté que vous me témoignez toujours. Pour la mériter théorie des fonctions elliptiques, «Bulletin de l’Académie impériale des sciences de St. Pétersbourg», 29 (1884), 325-352. Questo articolo stabilisce, ponendosi da un punto di vista diverso, dei risultati di Kronecker del 1875, sulle funzioni ellittiche e l’aritmetica delle forme quadratiche (cfr. L. Kronecker, Über quadratische Formen von negativer Determinante, «Monatsberichte der königlich preussischen Akademie der Wissenschaften zu Berlin» (1876), pp. 223-236).
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complètement il me faudrait un travail et des efforts dont je ne me sens point le courage; c’est tout juste si je puis remplir mes devoirs, et je dois prendre sur moi, pour lire avec le soin nécessaire les compositions des candidats au baccalauréat et écouter avec patience leurs réponses aux questions de l’examen. La fatigue et le malaise physique me portent à la tristesse, et je dois l’avouer, à une indifférence pour les recherches mathématiques qui n’est pas éloignée de l’aversion. Je ne réussis point à tenter de surmonter ce dégoût, je m’embrouille dans des fautes de calcul et j’arrive à cette conclusion que je ne ferais pas plus mal de ne plus absolument rien faire. Je serais Monsieur bien heureux d’apprendre si vous avez quitté Turin, pour prendre le repos dont vous aussi vous avez besoin, et ne vous occuper que de votre santé! C’est hélas un soin dont notre âge fait sentir la nécessité, et je n’aurai certainement point le privilège dont a joui M. Chasles qui a fait à 70 ans, ses découvertes célèbres sur les caractéristiques. Buffon rapporte que l’existence d’un cheval a pu être prolongée bien au delà de la limite ordinaire, en le soumettant à un travail léger et en rapport avec ses forces décroissantes. Je ne serai point ce cheval, les circonstances m’imposeront jusqu’au dernier moment, un labeur dont rien ne diminuera le fardeau. Seulement il arrivera que mes leçons de la Sorbonne seront moins longues, et tandis que les années précédentes je parlais presque toujours une heure et demie, cette année je n’ai guère pu dépasser une heure un quart. Pardonnez-moi Monsieur ces tristes confidences et ces plaintes qui ne révèlent point beaucoup de force d’âme, permettez-moi d’espérer que vous me donnerez bientôt de vos nouvelles, et veuillez en attendant recevoir la nouvelle assurance de mes sentiments les plus affectueux et les plus dévoués Ch. Hermite. [P.S.] Le dernier n° des Atti contient un intéressant article de M. Peano sur les fonctions interpolaires, 1 mais dans lequel j’ai regretté qu’il n’ait pas été fait mention de vos recherches sur le même sujet 1 Si tratta dell’articolo seguente: G. Peano, Sulle funzioni interpolari, «Atti della Reale Accademia delle Scienze di Torino», 18 (1882), pp. 573-580. In questo articolo si impiegano le funzioni interpolari estese al campo complesso per approssimare una funzione olomorfa definita in un campo limitato C del piano complesso in cui vengono fissati n punti. Le funzioni interpolari dei vari ordini, quelle che noi chiamiamo differenze divise, relative agli n punti prefissati, si possono mettere, in questo caso, sotto forma di integrali definiti presi lungo il contorno di C, con essi viene costruito il polinomio approssimante della data funzione dando anche per il resto una espressione in forma integrale. Si suppone poi che il numero n dei punti interni al campo C cresca indefinitamente, la data funzione olomorfa sarà allora sviluppabile in serie di funzioni interpolari quando il resto abbia per limite lo zero. Vengono esaminati infine alcuni esempi di sviluppi in serie di funzioni
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49.[49] Paris 28 Juillet 1883 Monsieur, Quand ma lettre vous parviendra, je serai dans un petit port de mer voisin de la Rochelle, qui se nomme Fouras, où je passerai le mois d’Août avec ma fille Madame Forestier et ses enfants. Le mois de Septembre j’irai comme l’année dernière en Lorraine à Flanville, avec Madame Picard, 1 et je compte que vos nouvelles me parviendront dans ces deux localités, où je vais chercher le repos et oublier les tracas de Paris. Je voudrais bien aussi pouvoir ressaisir l’arithmétique et l’analyse que j’ai abandonnées ou qui m’ont fui pendant tout le temps des maudits examens de la Sorbonne. Mais il y a là hélas, à maudire quelque chose de plus grave que l’ennui d’interroger sur l’arithmétique et la géométrie élémentaires, tout autour de moi la préoccupation est extrêmement vive à l’égard de l’épidémie qui nous menace maintenant de bien près, des cas de choléra ayant été annoncés à Londres. C’est la réalisation malheureusement de ce que m’avait prédit il y a quelques semaines, M. Duclaux le collaborateur de M. Pasteur et l’un de nos collègues de la Sorbonne. Je ne sais Monsieur, si dans les grandes épidémies de 1849 et de 1865, l’Italie a été victime au même degré que Paris et la France, puissiez-vous n’être pas frappé comme nous l’avons été surtout en 1849, où le nombre de décès n’a pas été moindre que dans l’année 1832, de terrible mémoire! Permettez-moi de vous conter de quelle manière les pauvres algébristes sont victimes maintenant de la passion politique. Vous savez que M. Bouquet le collaborateur de Briot, qui a eu la part principale dans l’œuvre commune, a été depuis plusieurs années déjà à l’Académie des Sciences. C’est un des hommes les plus honorables et les plus estimés par son caractère, dans la Science Française, et la Faculté des Sciences, par l’organe de notre vénéré Doyen M. Milne-Edwards, a demandé pour lui au Miinterpolari. Genocchi ha pubblicato dei lavori sull’argomento, come Hermite ricorda in questo poscritto, ma relativamente al caso reale. Per la priorità di un suo risultato nei confronti di Hermite si veda la lettera del 6 febbraio 1878 (nota 2, p. 36). Per le definizioni e le proprietà delle funzioni interpolari si veda: A. Genocchi, Calcolo differenziale e principii di calcolo integrale pubblicato con aggiunte dal Dr. Giuseppe Peano, Torino, 1884, pp. 90-95. 1 La primogenita di Hermite sposò Georges Forestier che fu ingegnere e inspecteur général des ponts et chaussées. La sua secondogenita sposò nel 1881 E. Picard (cfr. let. 13, p. 57) che fu allievo di Hermite e successivamente suo collega alla Sorbona e all’Académie des sciences di Parigi (cfr. G. Darboux, La vie et l’œuvre de Charles Hermite, «La Revue du Mois», Tome I, Janvier-Juin 1906, pp. 37-58, p. 44).
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nistère de l’Instruction Publique, la décoration d’officier de la légion d’honneur, il y a cinq ou six ans, en renouvelant chaque fois qu’il y a lieu, cette demande. Le Ministre a déclaré que M. Bouquet était le chef du parti clérical dans l’Université, et la décoration n’a pas été accordée! Vous avez aussi les partis et les divisions politiques chez vous, mais je ne crois point que la Science ait eu à en souffrir à un pareil point. En vous exprimant le désir qu’un temps plus favorable vous permettra de quitter Turin comme je quitte Paris, je vous renouvelle Monsieur avec mes vœux pour votre santé, l’expression de mes sentiments les meilleurs et les plus dévoués Ch. Hermite 50.[50] Fouras (Charente Inférieure) 11 Août 1883 Monsieur, Votre lettre me confirme comme j’avais pu le conclure de la lecture des journaux qu’aucun homme de science n’a été victime de la catastrophe d’Ischia, 1 c’est une sorte de consolation qui ne m’empêche point cependant de sentir toute l’horreur de cette catastrophe dont les récits qui nous parviennent sont navrants. Avec votre lettre me sont parvenus votre mémoire sur la fonction 2 Γ (x), dont je vous reparlerai quand j’en aurai fait l’étude, et votre article sur la Société des XL, 3 que la difficulté de l’Italien ne m’a pas empêché de lire avec le plus vif intérêt. Tout d’abord 1
Si tratta del sisma del 28 luglio 1883 che devastò la costa settentrionale dell’isola d’Ischia. Si tratta dell’articolo seguente: A. Genocchi, Intorno alla funzione Γ (x) e alla serie dello Stirling che ne esprime il logaritmo, «Memorie di matematica e fisica della Società Italiana delle Scienze (detta dei XL)», s. III, t. 6 (1887), n. 2, pp. 1-18. L’articolo, pubblicato nel 1887, fu presentato il 30 maggio 1883 e finito di stampare il 20 luglio 1883. Hermite ne ha ovviamente ricevuto l’estratto (Napoli, 1883). In questa memoria Genocchi ritorna sul problema della serie asintotica di Stirling esponendo le sue dimostrazioni di risultati che risalgono a Liouville, Schaar e Limbourg. Di questa serie, molto studiata da alcuni analisti della seconda metà dell’Ottocento, Hermite ha discusso nella lettera del 25 Febbraio 1879 (note 2, 3, 4, 5; p. 51). L’argomento viene ripreso nelle lettere 52, 55, 57, 58, 60; pp. 137, 142, 145, 146, 149. 3 Si tratta dell’articolo seguente: A. Genocchi, La società dei XL e alcuni degli scienziati che le furono ascritti, «Rivista Europea – Rivista Internazionale», 33 (1883), Fasc. 3, pp. 335-343. Scritto nel centenario della Società italiana delle scienze, l’articolo, ricordando i matematici che ne fecero parte, riporta le principali notizie storiche sulle loro ricerche riguardanti la risoluzione delle equazioni algebriche. Sulla generale equazione di quinto grado, Genocchi ricorda anche le ricerche di autori meno famosi, i cui risultati preliminari ne hanno tuttavia reso possibile la soluzione: «Non furono senza frutto i tentativi del Malfatti, e in principal modo la sua risolvente del sesto grado ebbe la fortuna d’essere citata in questi ultimi anni come la più atta a dare quella risoluzione delle equazioni di quinto grado col mezzo di trascendenti ellittici, che fu ottenuta, come è noto, quasi ad un tempo da due insigni analisti de’ nostri giorni, il francese Hermite e il prussiano Kronecker. Del calcolo eseguito dal Malfatti ebbe a trattare minutamente il professore Francesco 2
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je dois vous remercier d’avoir rappelé la part que j’ai eue avec M. Kronecker et M. Brioschi aux travaux dont l’équation du cinquième degré a été le sujet à notre époque; je joindrai aussi à mes remerciements quelques remarques. J’aurais désiré que vous eussiez présenté aux lecteurs de la Rivista, la question de la résolution des équations comme la question de laquelle est sortie l’Analyse. Qu’elle se soit posée et imposée avec une absolue nécessité, quelle ait été ensuite sa singulière destinée, c’est ce dont j’aurais aimé vous avoir vu dire quelque chose. Tartaglia, Cardan et Bombelli qui sont des précurseurs sont des Italiens, et devaient vous y engager puisqu’ils vous appartiennent. N’y aurait-il pas eu quelque intérêt à présenter la résolution de l’éq[uation] du 5me degré provoquant à leur suite deux siècles d’efforts inutiles, et qui ne pouvaient aboutir et à faire ressortir cette condition imposée au labeur scientifique, de s’épuiser en pure perte en se confiant aux analogies les plus plausibles et en même temps les plus trompeuses? N’y aurait-il donc point comme une loi impitoyable, dura lex, obligeant à sauter à l’aveugle, tous les points d’un espace immense, tantôt fécond, tantôt stérile, et une fortune inégale qui refuse à une époque et accorde à une autre? N’est-ce pas un fait résultant de l’histoire de la Science, que souvent les questions qui se posent de la manière la plus nette et dont l’importance suscite le plus d’efforts, trompent l’attente en déjouant tous ces efforts, parce que leur solution exige des éléments, des notions qui ne seront obtenus que bien plus tard? J’aurais donc désiré que dans le domaine de la plus positive des sciences, vous eussiez fait allusion au destin aveugle, à la fatalité antique qui a sa part mystérieuse dans toutes les choses humaines. Mais pour en revenir à la résolution des équations, je ne crois pas impossible d’établir historiquement, que l’inanité des tentatives pour la résolution algébrique, a provoqué les recherches relatives à la résolution par approximation, qui en ayant un but plus modeste a ouvert la voie plus féconde qui l’a liée à l’Analyse générale. En résumé, la fortune, le bonheur ont une incontestable part dans le labeur scientifique; les efforts absolument stériles et inutiles pour leur objet direct, sont une nécessité qu’on ne peut éviter, parce que c’est au prix de ces efforts que se trouve la voie profitable à suivre, et c’est ce que démontre ce me semble l’historique concernant l’équation du 5me degré. Mon temps se passe à ne rien faire, je me promène sur la grève du petit port de Fouras, à l’embouchure de la Charente en rêvassant et sans travailler sérieusement. J’ai eu l’idée du développement en fraction Brioschi il quale dimostrò come la risolvente da esso conseguita si presti al metodo di Kronecker già da Brioschi esposto in un lavoro che l’Hermite lodò grandemente e dichiarò remarquable et plein d’invention affermando d’averlo studiato con ammirazione e d’averlo preso per guida».
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continue de la quantité suivante (x–a)α (x–b)β où je suppose les exposants tels qu’on ait: α + β =k, k étant entier, positif ou négatif. Supposons k positif, pour fixer les idées, voici comment s’obtiennent les dénominateurs des réduites. Soit: D xn ( x − a ) n +α ( x − b ) n + β = ( x − a ) α ( x − b ) β A
les polynômes A seront du degré n, et donnent les dénominateurs. Soit en effet: ( x − a ) n +α ( x − b ) n + β = P +
ε
x
+
ε′
x2
+K
P étant la partie entière; en prenant la dérivée d’ordre n des deux membres, on trouve:
A ( x − a )α ( x − b ) β = B +
J x
n +1
+
J′
x n+2
+ ...
B étant entier, et cette égalité montre immédiatement que B est la A réduite d’ordre n. Pour avoir les numérateurs B, je cherche de même les dénominateurs de la quantité inverse: (x–a)– α (x–b)– β ils seront donnés par l’équation: D xn ( x − a ) n −α ( x − b ) n − β = ( x − a ) − α ( x − b ) − β B.
Cela étant, j’observe que le numérateur de la réduite d’ordre n, de la quantité proposée (x–a)α (x–b)β, est du degré n+k, puisqu’on suppose α + β = k je dois donc dans la relation ci-dessus, changer n en n+k pour avoir le polynôme de degré voulu, et écrire par suite: D xn + k ( x − a ) n + k−α ( x − b ) n + k− β = ( x − a ) − α ( x − b ) − β B.
La réduite est donc, sauf un facteur constant,
1 B . Soit par exemple: α = , 2 A
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1 ; le dénominateurs ou le numérateurs des réduites du développe2 ment en fraction continue de ( x − a )( x − b ) seront déterminés ainsi: β=
1
1
D xn ( x − a ) n + 2 ( x − b ) n + 2 = ( x − a )( x − b ) A 1
1
D xn +1 ( x − a ) n + 2 ( x − b ) n + 2 =
1 B ( x − a )( x − b )
Adieu Monsieur, pardonnez-moi mes divagations sur la fatalité et le destin aveugle et croyez toujours à mes sentiments les plus affectueux et les plus dévoués Ch. Hermite [P.S.] Est-ce qu’il y a donc deux Académies des Lyncœi? 1 51.[51] Fouras 26 Août 1883 Monsieur, Aussitôt mon retour à Paris dans quelques semaines je m’empresserai de donner communication à M. Bourguet de votre mémoire sur les intégrales Eulériennes dont une première lecture m’a déjà fait apprécier l’intérêt et de vous faire part des réflexions qu’il nous aura à tous deux suggérées. 2 Vous m’avez fait grand plaisir de me mettre au courant des circonstances que j’ignorais entièrement sur l’Académie Pontificale des Lyncœi, mais ce n’est point sans tristesse que je vois une des sociétés scientifiques les plus anciennes et non des moins illustres avoir été la victime des catastrophes politiques de votre pays et de notre temps. Ce que j’ose qualifier de catastrophe est à vos yeux une victoire et un triomphe dont se glorifient le plus grand nombre des Italiens. Victoire qui a retenti douloureusement dans tout l’univers catholique en provoquant des applaudissements que vous désavouez et dont j’ai horreur, de tous les ennemis de l’ordre et de la société dans le monde entier! 1 Hermite si riferisce alla scissione dell’Accademia Pontificia dei Nuovi Lincei, che era avvenuta molti anni prima. L’argomento sarà ampiamente considerato nelle lettere che seguono: del 26 agosto, 9 ottobre, 15 novembre, 27 novembre e 18 dicembre 1883 (lett. 51, 53, 56, 57, 58; pp. 135, 139, 143, 145, 146). 2 Si tratta dell’articolo di Genocchi sulla serie di Stirling, citato nella lettera dell’11 agosto 1883 (cfr. nota 2, p. 132), un argomento di interesse per Hermite, che il suo allievo Bourguet aveva trattato da un punto di vista numerico nella sua tesi di dottorato (cfr. nota 7, p. 58).
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Combien hélas sont complexes les choses de ce monde, et quelle anxiété on ressent à reconnaître le mal uni au bien, la cause généreuse de la patrie Italienne associée à l’œuvre de la révolution, qui vous menace comme nous-mêmes. Si vous me permettez de vous dire ma pensée tout au fond, je crois que les Papes respectables et excellents de ce siècle, sont les victimes de ceux du 16me siècle, comme Louis XVI de Louis XIV et de l’odieux Louis XV. Je crois que la papauté n’aurait point perdu le pouvoir temporel si elle en eût usé conformément aux vues de la Providence, et que la France ne serait pas aujourd’hui en République, et toujours au bord d’une émeute ou d’une révolution si Louis XIV n’avait pas été un affreux égoïste et Louis XV un monstre de luxure. C’est dans ce sens que je reconnais en la subissant, une impitoyable sanction de la loi morale dans l’histoire. Mais n’eût-il donc pas été plus généreux aux vainqueurs de respecter dans l’Académie Pontificale des Lyncœi, les immortels souvenirs de ce qu’ont fait les Papes pour la gloire de l’Italie, en servant pendant les siècles la cause des sciences et des lettres? Arracher après le dernier lambeau de terre, un nom, celui d’une société savante, pour ce beau résultat qu’il y ait en présence l’Académie Royale d’hier, tâchant d’anéantir l’Académie Pontificale en possession d’état, légitime s’il en fut, en lui prenant ce qui n’est pas possible de lui ôter, c’est faire de la révolution. 1 Aussi Monsieur je vous vois avec grande satisfaction prendre en main la cause de la Société Italienne des XL 2 dont il eût été si naturel, ne serait-ce qu’en raison de son nom, de vouloir faire la première société savante de l’Italie, en évitant le tort de donner le titre de Royal, à ce qui n’appartient pas au Roi. Vous connaissez tous mes sentiments d’estime et d’amitié pour M. Brioschi, et je dois d’autant moins lui chercher querelle, et me faire des affaires avec lui, que je n’ai absolument rien à voir ni à dire dans la question. Que ce soit donc entre 1 In seguito alla domanda accennata nel poscritto della lettera dell’11 agosto 1883 (let. 50, p. 132), Hermite deve aver ricevuto da Genocchi le informazioni, che lui sembrava ignorare, sugli avvenimenti che tredici anni prima sfociarono nella scissione della Pontificia Accademia dei Nuovi Lincei. Gli avvenimenti, commentati da Hermite con molta impressione in questa lettera, riguardano il passaggio della Pontificia Accademia dei Nuovi Lincei al nuovo regno d’Italia (discusso nella seduta dell’Accademia del 2 ottobre 1870) e al conseguente mutamento della denominazione in Reale Accademia dei Lincei. La scissione fu decretata nella seduta del 4 dicembre 1870, quando alcuni soci, non aderendo al nuovo ordine politico, abbandonarono la seduta: undici partecipanti su venticinque decisero di mantenere in vita l’Accademia Pontificia che mantenne la vecchia denominazione e rimase attiva nella Città del Vaticano. Per ulteriori dettagli cfr. D. Carutti, Breve storia dell’Accademia dei Lincei, Roma (1883); cfr. inoltre il catalogo della mostra storica dal titolo: L’Accademia dei Lincei e la cultura europea nel XVII secolo, a cura di A.M. Capecchi, C. Forni Montagnana, P. Galluzzi, A. Nicolò, G. Paoloni, Roma, 1992. 2 Genocchi divenne Socio nazionale della Società italiana delle scienze (detta dei XL) nel 1861 ma non ricoprì alcuna carica accademica, dunque questa frase si riferisce con ogni probabilità al lavoro sulla Società italiana delle scienze (detta dei XL) citato nella lettera precedente dell’11 agosto 1883 (cfr. nota 3, p. 132).
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nous seulement, que mon sentiment se soit produit, de première impulsion, en apprenant ce que vous m’avez fait le premier savoir. Je vous demanderai aussi, en vous remerciant d’une appréciation que je rapporte en entier à votre amitié, de conserver de même entre nous seuls, d’autres réflexions historiques, sur l’histoire de l’Algèbre, écrites comme vous me donnez le droit de le faire, currente calamo. Je ne suis qu’un pauvre algébriste à qui votre article excellent a causé une impression dont vous avez reçu l’écho, mais je sens distinctement que l’histoire d’une théorie importante d’Algèbre demande autre chose qu’une impression fugitive, et exige un travail que je n’ai point fait. 1 Hélas Monsieur ni ce travail ni d’autre, quoique vous en disiez; je ne suis qu’un paresseux, et en quittant demain les bords de la Charente, ce sera dans les landes de Bretagne que je promènerai la même oisiveté. C’est en vous donnant mon adresse à Bain-de-Bretagne, où je vais voir Madame Bertrand ma belle-mère, que je vous renouvelle l’expression de mes sentiments les plus affectueux et les plus dévoués Ch. Hermite 52.[52] Bain-de-Bretagne 18 Septembre 1883 Ille-et-Vilaine Monsieur, En attendant que j’aie donné communication à M. Bourguet de votre beau travail sur la fonction 2 Γ (x), permettez-moi pour mon compte particulier de vous exprimer tout le plaisir que m’a causé votre démons1 1 tration donnée dans le § II du théorème n< π a+ , n + 1 π a+ . 2 2 J’attache beaucoup de prix à ce résultat qui fournit une détermination précise et extrêmement remarquable du nombre des termes de la série de Stirling qu’on doit prendre pour obtenir la plus grande approximation possible. Une autre chose qui me plaît beaucoup aussi, c’est votre déduction de la formule de Binet et de Cauchy: ∞ 1 1 1 e − px dx µ ( p) = − −x − x 2 x 1− e 0
z LNM
OP Q
1 Il riferimento è all’articolo di Genocchi, sulla storia delle ricerche algebriche dei matematici della Società italiana delle scienze, citato nella lettera precedente dell’11 agosto 1883 (cfr. nota 3, p. 132). 2 Tutta la parte matematica della missiva si riferisce al lavoro di Genocchi sulla serie di Stirling, citato nella lettera dell’11 agosto 1883 (cfr. nota 2, p. 132).
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giacomo michelacci
de la série de Gudermann: µ ( p) =
∑ LMNFH p + n + 2 IK log FH 1 + p + n IK − 1OPQ 1
1
Mais pourquoi donc l’introduction momentanée de la quantité infiniment petite ε, pour limite inférieure, dans l’intégrale
z
− px
LM 12 − 1x + FH 12 + 1x IK e OP e dx N Q (1 − e ) x
∞
−x
ε
−x
La quantité sous le signe d’intégration, n’est-elle pas identiquement:
LM 1 −1e N
−x
OP Q
1 1 e − px dx ? − − 2 x x
Je préfère écrire en changeant x en –x: µ ( p) =
z
−∞
0
LM 1 −1e N
x
OP Q
px 1 1 e dx − − 2 x x
et j’ai remarqué que l’on obtient aisément la différence µ (p+1)– µ (p) et par conséquent la propriété fondamentale de log Γ (x). On a effectivement
z
−∞
µ ( p + 1) − µ ( p ) = − f ( x ) dx 0
en faisant: f ( x) =
FH 21x + x1 IK e + FH 21x − x1 IK e px
2
( p +1 ) x
2
et il suffit de décomposer f(x), en éléments simples, ce qui donne:
FH
f ( x) = p +
1 2
IK LM e N
px
OP Q
LM N
e px − e ( p +1 ) x − e ( p +1 ) x − Dx x x
pour obtenir:
z
∞
0
FH
f ( x ) dx = p +
p +1 1 log + 1. p 2
IK
Mais l’intégrale de Schaar, que vous donnez p[age] 6: 1 π
z
∞
0
log
1 dt −2 π pt + t2 1 1− e
OP Q
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ne se traite pas aussi facilement, et j’ai dû lâcher prise après d’inutiles efforts. 1 J’aurais bien quelque envie de vous chercher une querelle d’Allemand au sujet de la relation:
FH
(1 − x ) 1 +
x 2
IK FH 1 − x3 IK K = x π 1 − x Γ e1 + j Γ e j 2
2
en vous faisant l’amer reproche de ne point avoir introduit dans le premier membre, les facteurs primaires, afin d’avoir un produit absolument convergent et une fonction holomorphe. Mais je laisserai cette question pour vous dire que la revue des deux mondes a publié sans nom d’auteur dans le n° du 15 Septembre un article intitulé: Italie et Levant, notes d’un marin, qui est à l’adresse de la France, une leçon d’histoire aussi douloureuse que méritée, et qu’en lisant avec tristesse et chagrin cet article, j’ai pensé à M. Siacci dont le devoir est de préparer la guerre contre nous, de chercher les défauts de notre cuirasse. Veuillez Monsieur, en attendant les événements, me rappeler à son bon souvenir; veuillez bien aussi me donner des nouvelles de votre santé dont vous ne me parlez plus, et croyez toujours à mes sentiments de la plus sincère et de la meilleure affection. Ch. Hermite 53.[53] Paris 9 Octobre 1883 Monsieur, Je me trouve sous la menace d’un deuil de famille, venant d’apprendre que ma belle-sœur, malade de la poitrine depuis plusieurs années se trouvait à toute extrémité, et qu’on n’avait plus d’espoir de la conserver. En attendant d’être obligé de partir d’un instant à l’autre, je m’empresse de vous remercier de votre dernière lettre, et en même temps de vous exprimer quelque surprise qu’il ne vous ait pas été parlé des eaux de Barèges dans les Pyrénées, réputées si efficaces pour la consolidation des fractures, telles que celle qu’a amenée votre chute sur la rotule. 2 Mais Dieu me garde, n’étant point médecin, d’oser faire autre chose que de vous engager à appeler sur Barèges l’attention de votre docteur. Permet1 Va segnalato che alla pagina 6 del lavoro di Genocchi di cui qui si tratta, nell’espressione dell’integrale di Schaar si trova e–2πpt al posto di e2πpt che si legge sull’originale. 2 Si tratta dell’incidente subito da Genocchi, citato nella lettera del 6 ottobre 1882 (cfr. nota 2, p. 101).
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tez-moi maintenant d’appeler votre attention bienveillante à vous, sur une affaire qui m’est toute personnelle, et dont je désire vous parler, connaissant la droiture et l’élévation de votre jugement, afin de savoir si voulant bien faire, je ne me suis point trompé. Le Colonel Perrier, mon confrère de l’Institut, m’a demandé de la part de M. Sella, qu’il a vu à Rome, si je consentirais à faire partie de l’Académie Royale, des Lyncœi. J’ai répondu que j’avais lieu de croire à un sentiment d’hostilité entre la nouvelle et l’ancienne Académie des Lyncœi; 1 qu’ayant eu il y a 10 ans, l’honneur d’être nommé Correspondant de l’Académie Pontificale, 2 je me croyais le devoir de rester fidèle, à la reconnaissance due aux hommes de science, qui m’avaient honoré de leurs suffrages; que j’étais purement et simplement un algébriste, rempli d’estime et d’affection pour mes amis mathématiciens d’Italie et que je ne pouvais douter qu’il ne me pardonnassent point d’avoir eu la crainte d’être un transfuge. Il ne m’a pas été indifférent Monsieur, de renoncer ainsi à une haute distinction qui m’était offerte, et qui m’aurait été bien précieuse en m’attachant par un nouveau lien à la Science Italienne, qui a été pour moi si généreuse et si bonne. Mais la question de science, m’a paru si connexe avec un intérêt qui n’était pas exclusivement scientifique, et c’est à vous en qui j’ai la plus entière et la plus absolue confiance, que je m’adresse pour savoir si je n’ai point fait erreur, et risqué peut-être de m’aliéner des sympathies auxquelles je tiens on ne peut plus. Mais encore une fois, je n’ai pu supporter la pensée d’être un déserteur, et de contrister peut-être, pour avoir un titre plus brillant, des confrères qui m’ont honoré du titre dont ils disposaient. Dans l’espérance d’un mot de vous, Monsieur, sur ce point, je vous renouvelle bien affectueusement avec mes vœux pour votre santé, l’expression de mes sentiments les meilleurs et les plus dévoués Ch. Hermite 1 Il tema della scissione dell’antica Accademia Pontificia dei Nuovi Lincei, Hermite lo ha citato e commentato nelle precedenti missive dell’11 e 26 agosto 1883 (cfr. nota 1, p. 135; nota 1, p. 136). In questa missiva si legge poi, che tramite Perrier (si tratta probabilmente di François Perrier), ha ricevuto da Quintino Sella la richiesta di far parte della Reale Accademia dei Lincei. I rapporti tra i due tronconi nati dalla scissione (nota 1, p. 136) furono inizialmente molto aspri e Hermite teme, anche a distanza di anni, che accettare di far parte della Reale Accademia dei Lincei possa alienargli delle simpatie nella Pontificia, a cui apparteneva (cfr. qui nota 2). La risposta di Genocchi a Hermite si trova nella sua lettera del 17 novembre 1883 a Sella, in cui dopo aver riportato puntualmente le perplessità di Hermite, scrive: «Risposi che quella ostilità vivace nei primi anni ora è calmata e che egli poteva accettare la nuova nomina senza far torto agli Accademici Pontifici i quali dovranno anzi rallegrarsi di veder confermato da altri Corpi scientifici il giudizio da loro pronunciato». (La lettera a Sella, allora Presidente della Reale Accademia, è conservata presso la Fondazione Sella: Biella, Archivio Sella S. Gerolamo, Carte Quintino Sella, serie Accademia dei Lincei, mazzo 11, fascicolo 49). 2 Hermite fu eletto socio corrispondente straniero dell’Accademia Pontificia dei Nuovi Lincei il 25 maggio 1873 e socio ordinario il 27 febbraio 1887.
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54.[54] Paris 12 Octobre 1883 Monsieur, En arrivant à Paris je me trouve entraîné dans un tourbillon d’affaires, qui ne font point oublier cependant d’envoyer à M. Bourguet votre mémoire sur les intégrales Eulériennes, 1 ni ce que vous m’avez appris de l’accident survenu à Mademoiselle Siacci. Permettez-moi de vous prier de m’apprendre s’il n’a pas eu de suites fâcheuses, et en même temps de me rappeler au bon souvenir de M. Siacci, qu’il soit occupé ou non à préparer la guerre de l’Italie contre la France. C’est la mort si regrettable de notre confrère M. Puiseux, 2 qui nous donne à pourvoir à son remplacement à l’Académie dans la section de Géométrie et à la Faculté, et va nous amener les questions de candidatures qui sont toujours délicates difficiles et désagréables. Tout donne à penser que M. Darboux prendra sa place à l’Académie, 3 mais il faudra classer les autres candidats sur la liste de présentation, et faire des rapports. À la Faculté, M. Tisserand lui succédera dans sa chaire d’astronomie, 4 en quittant celle de Mécanique rationnelle qu’il occupe actuellement. Nous voudrions tous qu’Appell qui a fait les conférences et la suppléance, vînt à sa place, mais nous sommes arrêtés par une disposition réglementaire qui empêche qu’on devienne professeur à la Faculté avant 30 ans. Pour éluder la difficulté et tourner l’obstacle, nous allons demander qu’on le nomme chargé de cours, et qu’on ne déclare point la vacance de la chaire, mais les vautours qui circulent autour, vont remplir l’air de leurs cris déchirants, et les journaux radicaux de leurs protestations aussi indignées que peu fondées contre le népotisme des professeurs. C’est Émile Mathieu de Nancy, et Boussinescq 5 de Lille qui adjureront éloquemment le gouvernement de la République, de donner enfin satisfaction aux professeurs de province, en faisant cesser l’accaparement de Paris qui garde toutes les bonnes places pour lui. J’ai dû dans ces circonstances rendre visite à notre illustre doyen M. Milne-Edwards, et j’ai eu le chagrin de le voir bien changé et bien 1 Il riferimento è al lavoro di Genocchi citato nella lettera dell’11 agosto 1883 (cfr. nota 2, p. 2 Puiseux è morto il 9 settembre 1883. 132). 3 Darboux è stato eletto all’Académie des sciences di Parigi nella sezione di geometria il 3 marzo 1884. 4 Tisserand fu professore ordinario di meccanica razionale (1878-96), passò alla cattedra di meccanica celeste nel 1883 e il suo insegnamento di meccanica razionale andò ad Appell che avendo solo ventotto anni e non potendo divenire professore prima dei trent’anni d’età, iniziò l’insegnamento come chargé de cours e nel 1885 divenne successore alla cattedra di Tisserand. 5 Si tratta di J.V. Boussinesq.
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affaibli. Il a été atteint l’hiver dernier d’une jaunisse qui a vivement inquiété en raison de ses 86 ans, et le mauvais teint de son visage, semble annoncer qu’elle revient. Mais si le corps est plus faible, les facultés de l’intelligence sont intactes, et je ne puis vous exprimer avec quel intérêt je l’ai écouté m’expliquer son différend 1 avec M. Owen, sur la circulation du sang dans les crustacés, qu’il exposait avec une clarté admirable. Je vous remercie beaucoup de votre brochure sur Léon Foucault, 2 dont une partie m’échappe à cause de l’Italien, mais pas tout cependant, et qui me montre que l’inventeur Français a eu chez vous des précurseurs, auxquels il était juste de faire une part, dans la découverte des signes visibles de la rotation de la terre. J’ai beaucoup aimé Foucault, nous allions dîner ensemble, et dans les petits théâtres du quartier, quand nous n’avions tous deux que vingt et quelques années. J’ai appris avec satisfaction que votre santé générale est bonne, mais comment votre médecin ne vous at-il point ordonné des douches d’eau sulfureuse, pour combattre la raideur de la jambe; 3 dois-je plutôt faire reproche au malade de ne se point prêter docilement et avec patience, au traitement nécessaire? Mes sentiments de la plus sincère et de la plus cordiale affection Ch. Hermite 55.[55] Paris 22 Octobre 1883 Monsieur, J’ai donné votre mémoire sur les intégrales Eulériennes 4 à M. Bourguet, ainsi que je vous l’ai écrit dernièrement, et je viens de recevoir de lui, une lettre où il élève quelques objections au sujet de la démonstration de votre théorème du § II. Je crois devoir vous le communiquer, afin que vous puissiez lever les difficultés qu’il signale, le sujet ayant une grande importance. Je suis en ce moment tout occupé d’arithmétique et à mille lieues par suite des intégrales Eulériennes. Je me débats comme je puis contre des fonctions numériques, telles que la suivante:
∑ ( −1) 1
λ −1 2
Nell’originale: different. Si tratta dell’articolo seguente: A. Genocchi, Rassegna di scritti intorno alle deviazioni dei pendoli e alla sperienza del Foucault, «Bullettino di bibliografia e di storia delle scienze matematiche e fisiche», 15 (1882), pp. 631-636. Si tratta di una breve rassegna storica sugli studi attinenti al moto di rotazione della terra. 3 Si tratta dell’incidente occorso a Genocchi mesi prima (cfr. nota 2, p. 101). 4 Si tratta del lavoro di Genocchi citato nella lettera dell’11 agosto 1883 (cfr. nota 2, p. 132). 2
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où λ désigne tous les diviseurs d’un entier n ≡ 3 mod 4, qui sont inférieurs à sa racine carrée, parce qu’elle joue un rôle dans la théorie des formes quadratiques de déterminant 1 –n. Peut-être pourrais-je un jour, vous communiquer le résultat de mes recherches sur cette question, lorsque j’aurai atteint mon but, si du moins j’y parviens. En attendant Monsieur, vous n’ignorez point sans doute qu’ici la politique fait grise mine, et que les républicains nos maîtres et seigneurs, sont en discorde et à la veille de se livrer une grande bataille. Je ne sais si vous aurez appris que l’article de la revue des deux mondes, article anonyme, mais dont l’auteur est un officier général de la marine, qui est intitulé Italie et Levant, 2 a amené une réponse courtoise, inspirée par des intentions bienveillantes pour la France, écrite dit-on par un haut fonctionnaire de votre Ministère de la Marine. Nous ne sommes donc pas encore sur le point de nous combattre sur terre et sur mer, bien que la terrible éventualité puisse surgir un jour. En vous renouvelant Monsieur ma prière de me donner des nouvelles de l’accident survenu à Mademoiselle Siacci, et vous offrant tous mes vœux pour que votre santé n’ait pas à souffrir du mauvais temps et des pluies continuelles de ces derniers jours, je vous prie de croire toujours à mes sentiments les plus affectueux et les plus dévoués Ch. Hermite 56.[56] Paris 15 Novembre 1883 Monsieur, Avant de partir pour la Lorraine où je suis appelé pour assister au service de ma belle-sœur que nous venons d’avoir le malheur de perdre, je m’empresse de répondre à votre dernière lettre, et tout d’abord au sujet des eaux de Barèges de vous parler d’un fait dont j’ai eu tout particulièrement connaissance. Lors du siège de Sébastopol en 1854, à la première attaque de la ville par les armées et les flottes alliées, une bombe tombant sur le vaisseau Amiral, la Ville de Paris, éclata dans la cabine de l’Amiral Hamelin, le renversa et blessa grièvement son aide de camp, M. Zédé lieutenant de vaisseau. M. Zédé fut ramené en France, et transporté à Barèges dans le plus déplorable état, ses jambes ayant été 1
Dell’argomento Hermite ha già scritto a Genocchi a partire dal 1868 (cfr. nota 3, p. 31). L’articolo anonimo citato è: Italie et levant. Notes d’un marin, «Revue des deux mondes», LIII année, troisième période, 59 (1883), pp. 422-452. 2
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brisées en plusieurs endroits par les éclats du projectile ennemi. Or la régénération et la consolidation des parties osseuses ont été si complètes, que le malade a retrouvé l’usage de ses jambes, a pu reprendre son service dans la marine, et parvenir au grade de contre-amiral, qu’il occupe actuellement. Votre médecin n’ignore point certainement des propriétés curatives aussi merveilleuses, et si les raisons dont il est juge ne s’y opposent point, je ne puis m’empêcher de penser que Barèges ferait complètement disparaître les suites de votre accident. Vous m’avez fait Monsieur le plus grand plaisir et c’est un service dont je vous suis extrêmement reconnaissant que vous m’avez rendu, en m’informant que la situation présente entre l’Académie Royale et l’Académie Pontificale des Lyncœï, m’ôtait les motifs qui me faisaient craindre d’être un transfuge de l’une en acceptant l’honneur d’appartenir à l’autre. 1 Permettez-moi donc de vous prier de faire savoir à M. Sella que grâce 2 à vous, je renonce avec bonheur à préférer être un ingrat plutôt qu’un renégat, et que débarrassé de scrupules qui n’ont plus de raisons d’être, j’accepte de mes amis Italiens, auxquels je dois tant, et avec la plus vive gratitude, le titre qui m’attache à eux par un nouveau lien. Soyez assez bon aussi pour dire à M. Sella, que j’ose me recommander à lui du souvenir de Charles Ste Claire Deville, avec qui j’ai été intimement lié, et par qui j’ai su qu’un minéralogiste 3 pouvait être en même temps un homme d’état, un ministre, et occuper à la fois une place dans l’histoire de son pays et dans la science. Pour vous Monsieur, comme pour moi, l’algèbre sera à jamais notre unique domaine, et notre pèlerinage en ce monde, n’aura point de station dans la politique. J’ai encore l’impression de la physionomie si pâle et si triste de M. de Freycinet, dans un entretien que je crois vous avoir raconté, et qui m’a donné l’occasion de demander pour M. Weierstrass, une décoration qui a été gracieusement accordée. L’exercice du pouvoir doit être bien amer pour laisser de telles traces, et quoique l’algèbre et l’arithmétique ne soient point toujours faciles ni commodes, je leur resterai pour sûr à jamais fidèle. En ce moment je tente de faire changer la décoration de M. Weierstrass et de M. Kronecker, en une autre plus brillante, et je ne suis pas absolument sans espoir qu’ils soient tous deux promus commandeurs. C’est le seul contact avec
1 Hermite ha accolto il suggerimento che Genocchi gli ha dato, in risposta alle perplessità da lui espresse nella lettera del 9 ottobre 1883, e ha deciso di accettare il titolo offertogli dalla Reale Accademia dei Lincei, nella persona di Sella suo presidente. A quest’ultimo sarà Genocchi a darne comunicazione nella sua lettera del 17 novembre 1883 (cfr. infra nota 1, p. 140). 2 Nell’originale: grâces. 3 Sella oltre a essere ministro e uomo di stato si occupò di mineralogia.
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la politique, ou plutôt avec le Ministre des Affaires Étrangères, que j’aurai jamais, et vous ne m’en détournerez point. Adieu Monsieur, mes bien sincères remerciements avec l’expression de mon amitié la plus dévouée Ch. Hermite 57.[57] Paris 27 Novembre 1883 Monsieur, M. Bourguet à qui votre lettre a été immédiatement envoyée, vient de m’écrire qu’il a besoin d’étudier à nouveau votre mémoire 1 avant de vous répondre; il me demande aussi d’émettre un avis sur le point en discussion entre vous. Mais je craindrais d’ajourner ainsi le débat, n’étant point préparé comme les combattants, et il me faudrait pour bien rapprendre la question, et ne pas me faire battre par l’un et par l’autre, plus de temps que vous ne voudriez m’en accorder. J’ai donc prié M. Bourguet de me laisser à mon arithmétique, et de vous exposer ses raisons sans mon intervention. En attendant, je vous signale immédiatement d’après lui, que l’une des relations dont vous faites usage dans votre analyse, à savoir: u n+1 2 n ( 2 n − 1) S 2 n+2 = ⋅ un S2 n ( 2π a ) n
doit être rendue à Binet, qui l’a donnée avant vous, dans son mémoire du Journal de l’École Polytechnique. 2 Vous avez été bien bon et je vous remercie beaucoup d’avoir fait connaître à M. Sella, qu’après avoir eu, et bien à tort, une grande crainte de l’Académie Royale des Lyncœi, je serai extrêmement heureux et 1 Si tratta dell’articolo di Genocchi sulla serie di Stirling, citato nella lettera dell’11 agosto 1883 (cfr. nota 2, p. 132), un argomento di interesse per Hermite, che il suo allievo Bourguet aveva trattato da un punto di vista numerico nella sua tesi di dottorato (cfr. nota 7, p. 58). Dalle parole di Hermite non è dato sapere quale fosse l’obiezione sollevata da Bourguet su un risultato dell’articolo di Genocchi. Un chiarimento può tuttavia trovarsi nella lettera di Bourguet a Genocchi, del 2 dicembre 1883, dove si legge che il punto in discussione era il numero dei termini dello sviluppo in serie di Stirling del logaritmo della funzione Γ(x), che occorre sommare per ottenere la migliore approssimazione di quel logaritmo (la lettera di Bourguet è conservata presso la Biblioteca Comunale Passerini-Landi di Piacenza, Fondo Genocchi, Busta X1. Va segnalato che nella medesima Busta è conservata una pagina autografa di Genocchi che risponde all’obiezione di Bourguet). 2 Si tratta della memoria di Binet sugli integrali euleriani citata nella lettera del 25 dicembre 1878 (cfr. nota 2, p. 48).
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honoré, d’être une nouvelle fois votre confrère et le sien, en appartenant à cette grande Société, les scrupules qui me faisaient hésiter ayant été par vous si complètement dissipés. 1 J’ai fait part aussi au Colonel Perrier du résultat de votre intervention, et il ne me reste plus en cette affaire, que ce qu’il y a de plus important, de plus essentiel et de plus obligatoire. C’est de vous remercier d’avoir bien voulu me donner votre suffrage dans la section mathématique; je [joins] 2 à mes sincères et bien affectueux remerciements la remarque que mes amis mathématiciens Italiens, en m’appelant à faire partie des plus grandes Sociétés Scientifiques du Royaume, m’ont fait contracter envers eux une dette de reconnaissance que je n’acquitterai jamais. Qu’il me serait agréable si je pouvais disposer de mon temps et voyager, d’aller dans le pays des beaux-arts, non pour admirer les merveilles de l’art humain que je n’apprécie guère parce que je ne les connais point, mais pour exprimer à mes amis connus et inconnus, mes sentiments de reconnaissance et de sympathie. Hélas les vacances prochaines qui sans doute vous verront à Barèges dans les Pyrénées, je les passerai pour motifs de santé, aux eaux de la Bourboule, dans le Puy-de-Dôme, où mon médecin me menace de m’envoyer pour me guérir d’une inflammation chronique, non douloureuse mais gênante de la trachée. La politique chez nous, semble de plus en plus vouloir faire grise mine, à l’intérieur et à l’extérieur; tout le monde est inquiet et en Lorraine où j’ai passé la semaine dernière, les allures des Allemands font craindre la guerre. Rien d’obtenu encore des démarches commencées auprès de M. Jules Ferry, qui a autre chose à penser qu’à nous faire le plaisir de nommer commandeurs MM. Weierstrass et Kronecker. En vous renouvelant Monsieur, l’expression de mes sentiments les plus affectueux et les plus dévoués Ch. Hermite 58.[58] Paris 18 Décembre 1883 Monsieur, J’aurais bien voulu éviter d’être érigé en juge, mais après avoir cherché à me soustraire à cet office en le concédant à M. Bourguet, voici que M. Bourguet réclame et exige absolument que nous conférions ensem1
Cfr. nota 1, p. 144.
2
L’originale in questo punto presenta una cancellatura.
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ble sur le point de votre mémoire relatif à la série de Stirling, qui est en litige. 1 Nous prendrons donc rendez-vous, aussitôt que ses devoirs lui en laisseront la liberté, dans le but de proclamer votre innocence, ou de vous convaincre d’erreur. À cette occasion permettez-moi de vous informer que l’affaire dont je vous ai précédemment entretenu, concernant M. Weierstrass et M. Kronecker, est en bonne voie. Il m’avait été demandé de faire visite au Président du Conseil, pour lui faire un exposé des mérites scientifiques des deux éminents géomètres, et je ne vous dissimule pas que l’aventure m’a semblé si périlleuse, j’ai été d’avance si certain que je compromettrais la cause que je voulais servir, par la terreur et l’épouvante que j’éprouverais devant M. Jules Ferry, que j’ai demandé instamment de remplacer la visite par une note écrite. Ma proposition a été acceptée, mon écriture et non ma personne ont affronté les regards du Ministre et hier j’ai appris avec joie qu’une promesse formelle avait été faite de nommer commandeurs M. Weierstrass et M. Kronecker. Toutefois en me donnant cette bonne nouvelle on m’a demandé le secret, jusqu’à ce que le décret ait été signé par le Président de la République, et en effet les circonstances sont telles que d’un jour à l’autre le Ministre peut tomber devant un vote des chambres, ou plutôt de la chambre des députés. J’ai reçu de M. Sella l’annonce toute amicale, et qui m’a extrêmement touché de mon élection par l’Académie Royale des Lyncœï. 2 J’ai appris aussi d’autre part que cette société était réorganisée à nouveau, et allait devenir l’Académie Nationale Italienne. Est-ce exact, et seriez-vous assez bon pour me dire quelques mots des nouvelles conditions d’existence qui lui sont faites? Encore une fois Monsieur mes remerciements pour la part, la grande part que vous avez prise à mon élection, et à l’insigne honneur que j’ai reçu, et la nouvelle assurance de mes sentiments de la plus sincère et de la plus cordiale affection Ch. Hermite 1 Si tratta ancora del lavoro di Genocchi sulla serie di Stirling, che è stato discusso a partire dalla lettera dell’11 agosto 1883 (cfr. nota 2, p. 132) e su cui Bourguet ha sollevato un’obiezione, che è solo accennata da Hermite nella lettera del 27 novembre 1883 (let. 57, p. 145) di cui tuttavia si possono conoscere, in modo indiretto, i particolari essenziali che si trovano nella lettera di Bourguet a Genocchi del 2 dicembre 1883 (cfr. nota 1, p. 145). 2 La Reale Accademia dei Lincei ha eletto Hermite socio straniero della Classe di Scienze Fisiche Matematiche e Naturali, in data 16 dicembre 1883. Nella circolare n. 272 dell’accademia in data 13 dicembre 1883 relativa alla stessa tornata di elezioni risultano eletti soci stranieri per la matematica tra gli altri anche Kronecker, Weierstrass, Fuchs e Klein.
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59.[59] Paris 30 Décembre 1883 Monsieur, Votre lettre m’a extrêmement intéressé, et en prenant connaissance de tout ce que vous avez eu la bonté de me communiquer sur l’organisation de l’Académie Royale des Lincœï, je ne pourrais m’empêcher de reconnaître que dans le domaine de la science l’Italie nouvelle a son idée puissante et féconde, de sorte qu’en persistant à regretter amèrement et à déplorer bien des choses à l’origine, la nation se dégage de ces choses et grandit chaque jour. Vous Monsieur vous voyez de près ce que je ne puis qu’entrevoir avec quelques articles de revue, et sans doute vous comparez avec votre situation florissante et grandissante celle de notre pays qu’on ne peut peindre de couleurs bien favorables. Vous ne vous occupez point de politique, et je voudrais bien aussi ne point m’en occuper plus que vous, mais elle s’occupe de moi et me voici parti en guerre, en guerre contre deux députés! Ne souriez pas trop de l’aventure je ne l’ai point cherchée, voici la circonstance qui l’a amenée. Tout dernièrement le Doyen de la Faculté des Sciences, nous a réuni sur l’invitation de M. Jules Ferry, et nous a informés que des dispositions malveillantes de la chambre des députés, nous exposaient à des attaques auxquelles le Ministre voulait répondre, et que des renseignements et des documents lui étaient nécessaires. Un député ex-transporté de Nouméa, M. Rocques de Filhol, s’en prend à ceux d’entre nous qui cumulent; il se propose de présenter à la chambre un projet de loi pour prévenir les abus déplorables du cumul, et obtenir ce beau et glorieux résultat qu’on ne puisse parvenir dans l’Instruction Publique à un traitement supérieur à 10 ou 15 mille francs. La chambre lui donnera certainement pleine et complète satisfaction, et en attendant elle accueille ce qui peut servir à nous déconsidérer. C’est ici Monsieur qu’avec mon cher ami M. Bouquet, sans avoir été personnellement désignés, nous sommes cependant bien en cause. M. Laisant et M. Bishoffsheim, le généreux bienfaiteur de l’astronomie, l’opulent personnage qui s’est fait un titre de ses libéralités pour poser sa candidature à une place d’académicien libre, ces deux honorables membres de la chambre, ont prononcé à l’occasion d’une demande de crédit, des discours renfermant les allégations suivantes. On n’enseigne à la Sorbonne ni les méthodes de Cauchy, ni les découvertes de Riemann, ni la théorie des fonctions elliptiques, ni la théorie des quaternions! Puis en frappant d’un autre
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côté; on n’y enseigne, ni la théorie de la chaleur, ni la capillarité, ni l’analyse spectrale! Vous savez bien que partout où on me fera enseigner, je parlerai des fonctions elliptiques, mais M. Bishoffsheim est sûr du contraire, et du haut de la tribune de la chambre, l’affirme comme un fait. 1 Quant 2 à M. Laisant, il s’est borné à déclarer qu’on n’enseignait dans la chaire d’Analyse de la Faculté, aucune des méthodes de l’étranger, tandis qu’en Allemagne toutes les découvertes de la science ont accès dans les Universités! Ayant pris la parole pour rétablir la vérité des faits et ajouter que les travaux des jeunes géomètres sortis de la Faculté étaient une réponse péremptoire aux discours des députés radicaux, M. Bouquet m’a dit tout bas: Hermite, vous avez parlé avec beaucoup d’éloquence, mais prenez garde, vous avez pour ennemis les deux députés. Je puis d’autant me soustraire à la conséquence, qu’à la demande de M. Milne-Edwards, j’ai donné pour figurer dans le procès verbal de la réunion, tout ce que j’ai dit de désagréable, pour ces deux affreux farceurs. Excusez-moi Monsieur de vous parler ainsi de ce qui vient de m’occuper, jamais il ne vous arrivera pareille chose; jamais les radicaux du parlement n’iront vous chercher noise sur votre cours à l’Université. Permettez de vous offrir bien affectueusement mes voeux les plus sincères, pour que votre santé vous rende en toute liberté, à votre enseignement et à vos travaux; puisse Monsieur et bien cher ami, cette nouvelle année ne vous apporter que du bonheur, pour vous et tous ceux que vous aimez; c’est en vous offrant de tout coeur mes souhaits que je vous renouvelle l’expression de mes sentiments de la plus haute estime et de la plus cordiale affection. Ch. Hermite 60.[60] Paris 3 Janvier 1884 Monsieur, Je viens d’avoir la visite de M. Bourguet, et je m’empresse de vous 1
Hermite si è occupato delle funzioni ellittiche per gran parte della sua vita scientifica, traendo da esse un’ispirazione costante anche in campi diversi dall’analisi. Oltre alle sue ricerche fondamentali che iniziarono nel 1843 e alle famose applicazioni all’equazione di Lamé e alla soluzione dell’equazione di quinto grado, le funzioni ellittiche entrarono nel suo insegnamento fin dal 1868 sia alla Sorbona che all’Ecole polytechnique. Sull’argomento rimane una sua importante memoria, scritta nel 1849, che è apparsa postuma nel 1996, a cura di Bruno Belhoste, che l’ha corredata di una vasta e dettagliata analisi storica dell’evoluzione delle ricerche di Hermite nel settore e dei suoi contributi allo sviluppo dei fondamenti della teoria fin dagli anni ’40 (cfr. B. Belhoste, Autour d’un mémoire inédit: la contribution d’Hermite au développement de la théorie des fonctions elliptiques, «Revue d’histoire des mathématiques», 2 (1996), pp. 1-66). 2 Nell’originale: Quand.
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informer qu’il vous donne raison complètement et sans réserve, de sorte que l’indétermination que vous avez signalée subsiste pour lui comme pour vous. 1 Permettez-moi aussi, puisque vous vous intéressez à mes démarches pour MM. Weierstrass et Kronecker, de vous apprendre que dans quinze jours d’après l’assurance donnée par le chef du protocole, au Ministère des Affaires étrangères, les deux décrets qui leur accordent les décorations de commandeurs, seront soumis à la signature du président de la République. La question du cumul préoccupe vivement, parce que l’un d’entre nous M. Serret se trouve tout particulièrement en cause. Vous savez qu’il y a dix ans, à la suite d’une congestion qui a mis sa vie en danger, notre collègue a dû renoncer non au travail, puisqu’il a continué l’édition de Lagrange, 2 mais à l’enseignement qui lui était devenu impossible. Il a donc pris des suppléants au collège de France et à la Faculté, et comme en outre il est membre du bureau des longitudes, sa situation au point de vue pécuniaire s’est trouvée fort bonne. Mais on trouve maintenant qu’il est abusif, qu’un professeur qui ne professe pas, et un membre du bureau des longitudes qui n’y fait rien, reçoive un traitement de 17, 000 Fr, et nous craignons bien qu’il ne soit la première victime du principe qu’on veut faire prévaloir. Je vous conterai Monsieur dans ma première lettre, les suites de mon entrée en campagne contre M. Laisant et M. Bischoffsheim; j’irai de l’avant aussi loin que mon doyen le jugera nécessaire, et au besoin je dirai que M. Genocchi, M. Brioschi, auraient certainement témoigné une extrême surprise qu’on m’accusât, de ne pas enseigner la théorie des fonctions elliptiques, 3 de ne parler ni de Cauchy, ni de Riemann; mais au premier mouvement de la politique qui nous fera verser encore un peu plus à gauche, je payerai les frais de la guerre. Adieu Monsieur et la nouvelle assurance de mes sentiments les meilleurs et les plus dévoués Ch. Hermite 61.[61] Paris 28 Janvier 1884 Monsieur, Je ne vous écris que pour vous entretenir de choses bien tristes. Après avoir perdu ma belle-sœur, je suis maintenant en deuil de ma belle-mère, 1 Si tratta dell’obiezione che Bourguet ha sollevato su un particolare del lavoro di Genocchi sulla serie di Stirling di cui Hermite parla nella lettera 50 (cfr. nota 2, p. 132; nota 1, p. 145). 2 L’edizione delle opere di Lagrange curata da Serret è stata citata da Hermite nella lettera 3 Cfr. nota 1, p. 149. del 27 dicembre 1876 (cfr. nota 1, p. 34).
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qui nous a été enlevée à un âge avancé après une courte maladie. Je voudrais bien que Dieu me fît la grâce d’une fin aussi douce que la sienne, elle s’est éteinte sans souffrance, ayant auprès d’elle ses deux filles et son fils aîné M. Alexandre Bertrand le Directeur du Musée de St Germain, son autre fils M. Joseph Bertrand n’ayant pu arriver à temps. Elle leur souriait encore une demi-heure avant le moment suprême, tout en disant qu’elle avait peine à trouver ce qu’elle voulait dire, puis la tête a paru s’embarrasser, et sans agonie, sans les angoisses de la mort, elle a rendu l’âme. À mon retour j’ai pu difficilement me remettre au travail, et c’est seulement la semaine dernière que j’ai attaqué de nouveau l’arithmétique. J’ai eu à faire usage d’une formule sur laquelle Dirichlet a fondé ses belles recherches sur les valeurs moyennes, et qui est d’une grande importance. La voici sous forme géométrique. Soit y = f(x) une courbe dont l’ordonnée est toujours décroissante lorsque x croît de Oa = a à Ob = b. Posons: 1 E [ f(a)] = λ, E [ f(b)] = µ , a et b étant deux nombres entiers; la somme suivante: b
f ( a + 1) + f ( a + 2)+L+ f ( b ) = ∑ y a +1
se ramène à
∑ x , pour les valeurs: y = µ + 1, µ +2,..., λ
plus la quantité µb – λa. Elle se démontre facilement de la manière suivante. Cherchons dans l’espace limité par l’arc de courbe a′ b′ puis par les droites Oα, Ob, αa′, bb′, combien se trouvent de points dont les coordonnées sont des nombres entiers. Dans le rectangle Oα a′a, le nombre des points est évidemment l’aire du rectangle: Oa · aa′ = aλ. Dans le trapèze curviligne, ce nombre est donné par la somme: f (a+1)+f (a+2)+ ··· + f (b) =
∑y
en tout c’est donc: aλ + ∑ y . Évaluez maintenant d’une autre manière ce même nombre avec des parallèles à l’axe des y, et vous aurez pareillement: µ b + ∑ x donc: µb +
1
∑ x = λa + ∑ y
Il simbolo E(x) indica la parte intera di x.
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ou bien:
∑y = ∑x + µb − λa Bientôt Monsieur j’aurai à vous conter les incidents de la lutte de la Faculté des sciences contre les radicaux de la chambre; aussitôt qu’il sera utile, je m’autoriserai de votre témoignage en faveur de mes leçons, et j’ai déjà fait savoir que j’apporterais aux plus importantes Académies de l’Italie, ce dont on ne se doutait guère. En attendant je vous renouvelle l’assurance de ma plus sincère et cordiale affection. Ch. Hermite 62.[62] Paris 7 Février 1884 Monsieur, Lorsque j’ai demandé il y a deux ans à M. de Freycinet de décorer de la légion d’honneur M. Weierstrass et M. Kronecker, ma demande a été sur le champ accueillie, et les nominations signées par le Président de la République, dans un très court délai. Mais il n’en va pas de même pour le grade de commandeur, et j’ai appris qu’une enquête préalable se faisait en ce moment, et que l’on informe à Berlin sur le compte des illustres géomètres, qui ne s’en doutent point. Ce que durera de temps cette enquête, c’est ce que je ne puis dire, et c’est ce qui m’inquiète, un mouvement de la politique pouvant renverser M. Jules Ferry, d’un jour à l’autre. Enfin j’aurai fait de mon mieux, tout ce que j’aurai pu, mais je ne puis rien sur la politique. M. Darboux dont j’ai eu hier la visite, et qui est beaucoup plus que moi, au courant de ce qui se dit et de ce qui se fait, m’a donné de mauvaises nouvelles, au sujet de la lutte entre les radicaux de la chambre et la Sorbonne. Le ministère de l’Instruction Publique qui avait paru au début se faire notre défenseur et notre allié, nous abandonne, et il nous faudra bientôt sans doute courber la tête sous le niveau égalitaire. Les professeurs des Facultés de province qui nous envient et nous jalousent, ont poussé des cris de paon, parce qu’ils font trois leçons par semaine, et nous seulement deux. On commence à leur donner satisfaction, et à la Faculté des lettres, M. Darmesteter, récemment nommé, a inauguré par ordre, le nouveau système à trois leçons. On exige au Ministère que les professeurs de province, donnent chaque année la liste de leurs publications; une menace de nous imposer la même obligation s’est produite, et notre collègue M. de Lacaze-Duthiers, l’éminent zoologiste, qui fait partie du conseil supérieur de
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l’Instruction Publique, a déclaré dans notre assemblée, qu’il répondrait à cette exigence en déclarant simplement que ses travaux lui avaient mérité le titre de membre de l’Institut. Sa juste fierté n’y fera rien; nous revenons au temps, où un représentant du peuple en mission dans un département du nord, écrivait à la Convention, qu’il avait fait abattre les clochers, qui insultaient à la demeure des sans-culottes. On obligera aussi les titulaires de chaires à un seul semestre, de faire un minimum de 40 leçons, afin de rendre hommage à la sainte égalité. Dieu vous garde Monsieur de la république et de son niveau égalitaire! Je revendique l’honneur d’être votre compagnon parmi les chevaliers de la Manche, qui combattent contre les moulins à vent, et je vous réitère l’expression du plaisir que j’ai eu à lire vos travaux, et vos appréciations que j’adopte pleinement sur la géométrie non Euclidienne. Les quaternions dont M. Bischoffsheim a entretenu la Chambre, 1 en me reprochant de n’en rien dire dans mes leçons, m’inspirent à peu près la même horreur que la géométrie chère à M. Hoüel; 2 nous ne sommes pas Monsieur, à la hauteur du progrès moderne. Jusqu’ici rien de M. d’Ocagne ni d’autres, je vous informerai si j’apprends que votre article des Comptes rendus 3 provoque quelque réclamation. En attendant Monsieur et en vous remerciant de l’intérêt que vous portez à nos tristes affaires, je vous renouvelle l’expression de mes sentiments les meilleurs et les plus dévoués. Ch. Hermite [P.S.] Seriez-vous assez bon pour me faire savoir quels sont en France les élus à l’Académie Rle des Lincei? 63.[63] Paris 14 Février 1884 Monsieur, Le limaçon de Pascal 4 aurait crié comme un paon soyez-en sûr, s’il y avait 1 Sull’attacco dei deputati Bischoffsheim e Laisant, che in un loro intervento alla Camera, avevano denunciato quelle che, a loro dire, erano delle carenze dell’insegnamento superiore, Hermite ha scritto nella lettera del 30 dicembre 1883 (cfr. let. 59, p. 148) e ne ha fatto cenno in quella del 3 gennaio 1884 (cfr. let. 60, p. 149). 2 Hoüel si occupò di geometrie non euclidee. L’atteggiamento critico di Hermite sull’argomento viene accennato nella lettera del 22 febbraio 1878 (cfr. let. 6, p. 38). Sui lavori di Genocchi e sul suo orientamento cfr. nota 2, p. 39. 3 Hermite accenna ad un articolo di Genocchi che è possibile identificare dalle allusioni contenute all’inizio della lettera successiva del 14 febbraio 1884 (cfr. qui nota 4). 4 La curva così detta lumaca di Pascal (scoperta da Etienne Pascal, padre di Blaise Pascal e così chiamata da Gilles-Personne Roberval nel 1650) viene richiamata per alludere all’articolo
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eu moyen, M. d’Ocagne qui est un jeune élève de l’école des Ponts et Chaussées avait été extrêmement empressé d’avoir l’occasion d’attirer sur lui l’attention, mais dorénavant il n’en sera plus question parce qu’il n’y a rien à vous répondre. Mille remerciements d’avoir satisfait à ma curiosité en me faisant connaître ceux de mes honorés confrères de l’Institut avec lesquels je partage l’honneur de faire partie de l’Académie Royale des Linceï, honneur dont je me suis déjà prévalu, sans attendre de notification officielle, et qui sera connu dans les bureaux du Ministère de l’Instruction Publique, où l’on considère bien la Faculté des sciences comme un corps enseignant, mais sans se douter que c’est aussi un corps savant “Sum pius Aeneas, fama super aethera notus!” 1 Permettez-moi Monsieur une petite remarque arithmétique. Soit proposé de trouver combien de points dont les coordonnées sont des entiers impairs positifs ou négatifs se trouvent à l’intérieur d’un cercle de rayon donné N. Considérons pour cela l’équation (2x + 1)2 + (2y + 1)2 = N et les deux ordonnées qui répondent à une même valeur de x:
y=
N − ( 2 x + 1) 2 − 1 N − ( 2 x + 1) 2 + 1 , y1 = − 2 2
Cela posé, le nombre des points cherchés qui se trouvent sur l’ordonnée y, sera en comptant le pied même de l’ordonnée: 2 1 + E (y) ou bien: E (y + 1) seguente, di cui Hermite era già al corrente, avendolo accennato nella lettera precedente del 7 febbraio 1884 (cfr. nota 3, p. 153): A. Genocchi, Sur le limaçon de Pascal, «Comptes rendus hebdomadaires des séances de l’Académie des Sciences», 98 (1884), pp. 81-82. In questo Genocchi richiama la nota seguente: M. d’Ocagne, Sur un mode de génération des ovales de Descartes proposé par Chasles, «Comptes rendus hebdomadaires des séances de l’Académie des Sciences», 97 (1883), pp. 1424-1425, ove d’Ocagne osserva che una delle trasformazioni, indicate da Chasles nel suo Aperçu historique (nota XXI), per ottenere come trasformata del cerchio un’ ovale di Descartes, fornisce invece solamente il caso particolare della lumaca di Pascal. E Genocchi nel suo articolo precisa che questa osservazione risale a Cayley che l’aveva pubblicata nel 1850 e aggiunge che lui stesso se ne era occupato in un suo articolo del 1855 (cfr. A. Genocchi, Sur les Ovales de Descartes, «Nouvelles annales de mathématique», 14 (1855), pp. 202-207) e prosegue poi con una breve ma puntuale rassegna storica sull’argomento. L’articolo di Genocchi sui «Comptes rendus» si presenta come una risposta fondamentalmente critica nei confronti di d’Ocagne, che nella sua nota non cita e sembra ignorare i precedenti contributi. 1 Virgilio, Eneide, I, 378. 2 Il simbolo E(x) indica la parte intera di x.
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Le nombre des points qui se trouvent de même sur y1, sera si l’on exclut le pied de l’ordonnée déjà compté: E (– y1) c’est-à-dire: E (y + 1) puisqu’on a: – y1 = y + 1 Nous aurons donc la quantité cherchée en faisant la somme de
L 2∑ M N
N − ( 2 x + 1) 2 + 1 2
OP Q
pour toutes les valeurs entières que peut recevoir x. Or x varie de zéro jusqu’à l’entier contenu dans:
N −1 , 2 que j’appelle n, puis par une suite de valeurs négatives, jusqu’à – (n + 1), de sorte qu’il parcourt la série: – (n + 1), – n, ... 0, 1, 2, ... n Ces valeurs en nombre pair se groupent deux à deux de cette manière: (0, – 1), (1, – 2), (2, – 3), ... (n, – n – 1) et comme 2x + 1 ne fait que changer de signe lorsqu’on change x en – (x + 1) vous voyez que le nombre cherché est simplement: 4∑ E
F H
N − z2 +1 2
I K
pour z = 1, 3, 5, ..., 2n + 1. J’ai remarqué à cette occasion, qu’on obtient de même par le signe E, le nombre des points dont les coordonnées sont des entiers positifs ou négatifs, contenus à l’intérieur d’une courbe fermée F (x, y) = 0, sous la condition, qu’à une valeur de x ne correspondent que deux valeurs de y, et à une valeur de y, deux valeurs de x. Qu’est-ce donc Monsieur que les Transacti, dont vous me parlez, que vous m’annoncez, et qui ne me sont point encore arrivés? Mais permettez-moi de faire appel à votre bonté en même temps qu’à votre érudition. Je n’ai pu retrouver dans le Journal de Crelle, l’article
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où Eisenstein a le premier donné l’expression du nombre des solutions de x2 + y2 N par la belle formule
LM FH N1 IK − E FH N3 IK +LOP Q N
1+ 4 E
article que la justice m’impose le devoir de citer, avec grand honneur. Dans l’espérance que vous m’en donnerez le moyen, et ajournant à une autre lettre, d’autres choses à vous dire, je vous prie Monsieur de me croire toujours votre ami bien sincère et affectueusement dévoué Ch. Hermite 64.[64] Paris 26 Février 1884 Monsieur, Conformément à votre intention votre article a été présenté par M. Bertrand qui m’a envoyé l’épreuve à corriger; j’espère qu’en le lisant dans le dernier n° du Compte-rendu 2 vous n’y aurez point trouvé de fautes. M. Lefébure qui sans le savoir a publié des résultats que vous aviez depuis longtemps découverts, est un inspecteur d’Académie en retraite, demeurant à Privas dans l’Ardèche. Je ne le connais point personnellement, mais il y a un an, il m’a envoyé un travail dans lequel il pensait avoir démontré le théorème de Fermat par des considérations purement arithmétiques et élémentaires. Rien au monde n’est-ce pas de plus scabreux, de plus périlleux; je ne sache point de questions où il soit plus facile de s’illusionner et où l’erreur soit plus difficile à dénicher. Je 1
Hermite ha già citato questo articolo nella lettera del 25 giugno 1882 (cfr. nota 1, p. 146). Si tratta della nota: A. Genocchi, Sur les diviseurs de certains polynômes et l’existence de certains nombres premiers, «Comptes rendus hebdomadaires des séances de l’Académie des Sciences», 98 (1884), pp. 411-413. La nota riporta dei risultati che Genocchi aveva ottenuto in modo elementare anni prima nel seguente lavoro: A. Genocchi, Intorno ad alcune forme di numeri primi, «Annali di matematica pura ed applicata», s. 2, 2 (1868-69), pp. 256-267, dove, usando la parte razionale r e la parte irrazionale di a + b dimostrava il teorema di esistenza di infiniti numeri primi della k forma n z ± 1 con n numero primo e k, z naturali, e dimostrava inoltre per m, z numeri naturali qualunque, l’esistenza di infiniti numeri primi della forma mz ± 1. Quest’ultimo risultato, ottenuto da Genocchi molti anni prima, è quello che Lefébure ha ritrovato per altra via nel 1884, e pubblicato nel seguente estratto: A. Lefébure, Sur la composition de polynômes algébriques qui n’admettent que des diviseurs premiers d’une forme déterminée, «Comptes rendus hebdomadaires des séances de l’Académie des Sciences», 98 (1884), pp. 293-294. Il teorema è una conseguenza dei risultati del seguente lavoro pubblicato lo stesso anno: A. Lefébure, Memoire sur la composition de polynômes entiers qui n’admettent que des diviseurs premiers d’une forme déterminée, «Annales scientifiques de l’école normale supérieure», s. 3, 1 (1884), pp. 389-404. 2
c
h
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me suis méfié et je me suis récusé. Mais l’article excellent que vous aviez donné aux Comptes rendus m’est comme une garantie du mérite de M. Lefébure qui aura certainement occupé une chaire de mathématique avant d’entrer dans l’inspectorat. Permettez-moi de vous dire que je crois me rappeler quelque chose de M. Serret, mais où et quand, je ne le sais plus, qui a pour objet d’établir qu’il existe une infinité de nombres premiers, compris dans la forme linéaire Hn + h où n est premier, ayant aussi quelques valeurs particulières numériques. Son état de santé me fait hésiter à recourir à lui pour me renseigner; il a toujours un embarras de parole qui ne lui permet point de s’entretenir un peu longuement, et qui se trouve la suite de la congestion qui a failli lui être funeste en 1872; cependant sous tous les autres rapports, son apparence est absolument satisfaisante. Et maitenant Monsieur, veuillez miséricordieusement ouvrir la porte qui donne accès aux confidences. Nous avons à l’Académie une élection à faire dans la section de géométrie en remplacement de M. Puiseux, et lundi dernier a eu lieu en comité secret la discussion des titres. Voici notre liste: 1e Darboux, 2e Laguerre, 3e Halphen, 4e par ordre alphabétique: Appell, Picard, Poincaré. 1 Vous savez les liens qui m’attachent à Appell et Picard, il ne convenait donc pas que je fusse chargé du rapport sur leurs travaux; c’est mon cher ami M. Bouquet qui s’en est chargé, et j’ai gardé à faire le rapport sur Poincaré. Or il est arrivé, ma lecture terminée à l’Académie, qu’on m’a dit “Mais c’est M. Poincaré et non Darboux, ni aucun des autres, placés avant lui sur votre liste, qu’il faudrait nommer”. 2 Darboux n’a point de risques à courir, ce n’est par conséquent point lui, qui se plaindra, puisqu’il sera à coup sûr élu, lundi prochain. Mais les autres et surtout Appell et Picard, lorsque quelqu’écho de l’impression qui m’est parvenue leur arrivera, penseront en eux-mêmes que j’ai sacrifié leurs intérêts, que j’aurais dû défendre, en faveur de Poincaré, qui ne m’est rien, tandis qu’ils me touchent de si près. J’attends à voir éclater l’orage qui m’a menacé déjà lors de l’élection de M. Camille Jordan, et je m’apprête à tendre le dos. 1 Nel verbale manoscritto del Comité secret dell’Académie des sciences, che porta la data di lunedì 25 febbraio 1884, si riscontrano i dati comunicati da Hermite in questa missiva, che risulta scritta il giorno dopo. L’elezione, come conferma il verbale e come Hermite scrive, ha avuto luogo il lunedì successivo, 3 marzo 1884, (il 1884 fu bisestile) con la nomina all’Académie des sciences di Darboux a successore di Puiseux che è morto il 9 settembre 1883. La relazione sui titoli di Darboux, Laguerre e Halphen fu presentata da Jordan, quella su Appell e Picard da Bouquet e Hermite presentò quella su Poincaré. 2 Poincaré sarà eletto nella sezione di geometria dell’Académie des sciences di Parigi il 31 gennaio 1887, Hermite ne parlerà a Genocchi nella lettera del 23 aprile 1887 (cfr. nota 2, p. 224).
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Une autre vilaine aventure; M. Bouquet et moi qui avons été affreusement traités il y a deux ans, dans un mauvais journal, nous sommes de nouveau et tout récemment écharpés dans une feuille intitulée, la Réforme Universitaire, l’organe des jalousies et des haines des Maîtres d’Etudes des Lycées. Il est facile de dire qu’il faut mépriser des attaques parties de si bas; il est malaisé plus que vous ne pensez, d’échapper aux conséquences qu’elles peuvent entraîner, attendu la sympathie des députés radicaux pour tous les opprimés, et leur puissance sur l’administration. J’ai déjà lu votre note sur la série de Stirling; il n’y a rien de tel que de pousser les questions jusqu’à cette dernière limite des applications numériques, pour les éclaircir aussi complètement comme vous l’avez fait, et le sujet méritait tout le soin avec lequel vous l’avez traité. 1 Adieu Monsieur, et mes sentiments d’amitié bien sincère et bien dévouée. Ch. Hermite 65.[71] [s.d.] 2 Monsieur, Permettez-moi de vous donner communication de la lettre ci-jointe, qui se rapporte à votre article des Comptes-rendus 3 et à celui de M. Lefébure. M. Joseph Perott je pense devoir vous en informer, pour le cas où il vous conviendrait d’entrer en rapport avec lui, est un jeune homme d’un talent distingué, qui a suivi à l’Université de Berlin les cours de M. 1 Si tratta del lavoro di Genocchi che Hermite aveva ricevuto nel mese di agosto del 1883 (cfr. nota 2, p. 132) e che ha citato nelle lettere successive sia per alcuni commenti (cfr. let. 52, p. 137) sia per informare Genocchi delle obiezioni che Bourguet aveva sollevato su di un punto del lavoro (cfr. nota 1, p. 145 e lett. 58, 60; pp. 146, 149). 2 La data è stata ricostruita dai seguenti elementi. Nella missiva del 26 febbraio 1884 (let. 64, p. 156) (da “Nous avons à l’Académie une élection à faire” a “lors de l’élection de M. Camille Jordan, et je m’apprête à tendre le dos”) Hermite riferiva i particolari del Comité secret dell’Académie des sciences, di lunedì 25 febbraio 1884 (cfr. nota 1, p. 157), per l’elezione del successore di Puiseux nella sezione di geometria. Il verbale della seduta conferma che Hermite ha dato lettura della sua relazione sui titoli di Poincaré. Nella presente missiva Hermite parla ancora di quella seduta e della sua relazione sui lavori di Poincaré, come risulta leggendo il passo che va da “Lundi dernier a eu lieu le comité secret” a “j’ai reçu hier d’un confrère de la section un terrible coup de boutoir”. Dunque questa missiva non è anteriore al 26 febbraio 1884 e le parole “lundi dernier” indicano che non è posteriore a lunedì 3 marzo 1884. La lettera che Hermite ha allegato alla presente missiva, che è forse di J. Perott e che potrebbe eventualmente contribuire all’inquadramento cronologico, è irreperibile e sembra essere perduta. 3 Si tratta dell’articolo citato nella lettera del 26 febbraio 1884 (cfr. nota 2, p. 156).
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Kronecker et de M. Weierstrass, et qui mérite toute sympathie, parce qu’étant extrêmement riche, il se consacre entièrement à l’étude et à son goût pour les mathématiques. J’ai reçu hier avec grande satisfaction de M. l’Abbé Faà di Bruno, l’indication du travail d’Eisenstein, dont j’avais gardé souvenir, et qu’il m’avait été impossible de retrouver. Peut-être y aurez-vous jeté les yeux, (Crelle T. 28. p. 248); 1 aucune indication n’est donnée sur la voie qui l’a conduit à sa découverte, et c’est bien regrettable. Permettez-moi une remarque sur ce genre de question. Soit proposé de trouver à l’intérieur d’une courbe quelconque, le nombre des points dont les coordonnées sont des entiers, et supposons que cette courbe soit en entier, dans l’angle YOX, des coordonnées positives.
Admettons aussi que pour une valeur donnée de x, OX, on n’ait que deux ordonnées: y = XM, y1 = Xm. Cela étant, le nombre des points situés sur XM, et Xm, dont les coordonnées seront des nombres entiers, je suppose OX un entier, sera évidemment: E (y) et E (y1). La différence: 2 E (y1) – E (y), sera donc le nombre contenu à l’intérieur de la courbe, et la quantité cherchée sera par conséquent:
∑ Eay f − Eayf 1
en attribuant à x, les valeurs entières contenues entre OB et OA. Soit OA = ξ, OB = ξ ′, ces valeurs seront les termes de la suite: E (ξ ) + 1, E (ξ )+2, ..., E (ξ ′) 1 Si tratta dell’articolo di Eisenstein che già fu citato nella lettera del 25 giugno 1882 (cfr. nota 1, p. 90) e nella lettera del 14 febbraio 1884 (cfr. nota 1, p. 156). 2 Il simbolo E(x) indica la parte intera di x.
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Lundi dernier a eu lieu le comité secret pour la discussion des titres des candidats à la place vacante dans la section de géométrie. J’y ai lu mon rapport sur les travaux de Poincaré, et pour récompense de la peine que j’ai prise pour le faire avec soin, j’ai reçu hier d’un confrère de la section, un terrible coup de boutoir, contre lequel je ne me suis défendu qu’en invoquant l’assentiment donné à ce rapport, par d’autres membres de la section. Tantae ne animis cœlestibus, irae! 1 Vous ne me parlez plus jamais de votre santé, j’espère que le petit retour d’hiver que nous avons depuis quelques jours, 2 n’y a point fait tort; en vous remerciant bien d’avoir mis à mon service le coup d’oeil habile de M. Faà di Bruno, je vous renouvelle Monsieur l’assurance de mes sentiments d’amitié bien sincère et bien dévouée. Ch. Hermite 66.[65] Paris 18 Mars 1884 Monsieur, Je me suis entretenu hier à la séance de l’Académie, de M. Sella, 3 avec M. Descloizeaux 4 qui l’a connu personnellement et qui a pour l’illustre défunt la plus haute estime, dans l’intention d’apprendre dans quelles circonstances il a été enlevé par une mort si prématurée. Mais M. Descloizeaux ni M. Daubrée n’en 5 savaient rien, si ce n’est que soit la fièvre typhoïde ou la fièvre endémique de Rome, qui auraient amené la maladie à laquelle a succombé M. Sella. Vous pensez Monsieur combien j’ai été impressionné par la triste nouvelle que les journaux m’avaient fait connaître avant que j’aie reçu votre lettre; M. Sella par suite de la circonstance dans laquelle vous êtes si obligeamment intervenu, n’était plus un étranger pour moi, et les relations commencées sous vos auspices se seraient sans doute continuées à mon grand honneur. C’était m’a-t-on dit le chef du parti conservateur en Italie, sa perte est à tous les titres, à jamais regrettable pour votre pays, auquel il pouvait 1
2 Nell’originale: quelque jour. Virgilio, Eneide, I, 33. Sella fu eletto membre correspondant della sezione di mineralogia dell’Académie des sciences di Parigi il 27 dicembre 1880. Subito dopo la sua morte avvenuta a Biella il 14 marzo 1884, all’Académie des sciences, nella seduta del 17 marzo 1884, Daubrée, anch’egli correspondant della stessa sezione, ha commemorato Sella, dando lettura d’una ampia e dettagliata nota sulla sua attività scientifica (cfr. G. A. Daubrée, Notice sur les travaux de M. Sella, Correspondant de la Section de Minéralogie «Comptes rendus hebdomadaires des séances de l’Académie des Sciences», 98 (1884), 652-656). 4 Si tratta di A. L. O. Des Cloizeaux. 5 Nell’originale: en. 3
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rendre encore les plus grands services. Je ferai part Monsieur, lorsque l’occasion m’en sera offerte à M. Perott et à M. Lefébure, au premier principalement qui n’a point lu votre article des Comptes rendus, 1 avec une suffisante attention, les remarques extrêmement justes que vous me communiquez, et je lirai avec le plus grand intérêt les notes biographiques concernant Lagrange que vous avez données dans le volume publié à l’occasion du centenaire de la fondation de l’Académie de Turin. 2 Hélas nous ne célébrons point en France, de pareils anniversaires, l’Institut est d’origine révolutionnaire, et l’Université a Napoléon pour fondateur! J’ai lieu de croire qu’Eisenstein 3 avait découvert le moyen d’obtenir par la fonction 4 E (x), le nombre des solutions, de f (x, y, z,...) n sous certaines conditions relatives au premier membre, en suivant une marche semblable à celle qui donne l’intégrale multiple
zzz
dx dy dz
sous la même condition, f (x, y,...) n. Considérons par exemple, le nombre de points dont les coordonnées sont des nombres entiers, et qui sont à l’intérieur de l’ellipse: ax2 +by2 =n on l’obtient comme il suit. Ayant tracé l’ellipse, je remarque que pour ON entier, le nombre de ces points qui se trouvent sur l’ordonnée NM, est si l’on compte le pied de cette ordonnée, représenté par: 1+E (NM). Observant que l’on a: OA =
n , OB = a
n , y= b
n − ax 2 b
on en conclut que le nombre des points à l’intérieur de AOB, et sur les limites OA et OB, s’exprime par la formule: 1+ E 1
F n I + EF n I + ∑ EF H aK H bK H
n − ax 2 b
I K
Si tratta della nota citata nella lettera del 26 febbraio 1884 (cfr. nota 2, p. 156). Si tratta della nota biografica seguente: A. Genocchi, Luigi Lagrange, in Il primo secolo della R. Accademia delle Scienze di Torino. Notizie storiche e bibliografiche, Torino, 1883, pp. 86-95. 3 Si tratta dell’articolo di Eisenstein citato nella lettera del 25 giugno 1882 (cfr. nota 1, p. 90) in quella del 14 febbraio 1884 (cfr. nota 1, p. 156) e nella missiva precedente (cfr. nota 1, p. 4 Il simbolo E(x) indica la parte intera di x. 159). 2
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x = 1, 2, 3,K E
F nI H aK
Cette même expression, en supprimant les points situés sur OB, c’est à dire si l’on prend: 1+ E
F n I + ∑ EF H aK H
n − ax 2 b
I K
donne le nombre des points dans BOC; en ajoutant avec la première, on obtient pour le nombre cherché, dans la demi-ellipse: ABC: 2E
F n I + E F n I + 2∑ E F H aK H bK H
n − ax 2 b
I K
Pour la demi-ellipse symétrique: ADC, c’est évidemment le même nombre, moins le nombre des points situés sur le grand axe, qui est: 1 + 2E
F nI H aK
c’est-à-dire: E
F n I + 2∑ E F H bK H
n − ax 2 b
I K
et par conséquent le nombre total cherché, est représenté ainsi: 1 + 2E
F n I + 2E F n I + 4∑ E F H aK H bK H nI x = 1, 2, 3,K E F H aK
n − ax 2 b
I K
Darboux en venant me faire visite après son élection, m’a amicalement mais affectueusement accablé de reproches, au sujet de mon rapport sur
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Poincaré; il m’a dit que j’avais sacrifié Appell et Picard, que j’avais été trop généreux, que s’il y avait eu plus de membres au Comité secret, Poincaré 1 aurait eu beaucoup de voix, etc, etc. Mais tout ce bruit est maintenant dissipé; un affreux journal, organe du prolétariat enseignant, la réforme universitaire, rédigé par des maîtres d’études, nous a pris à partie M. Bouquet et moi, pour notre cours de la Sorbonne. Je fais demain ma première leçon sous une impression peu agréable; d’autre part cependant j’ai eu un vrai plaisir, le secrétaire de la Faculté des sciences, s’est chargé de dire au Directeur de l’enseignement supérieur que j’appartenais à l’Académie de Turin, à l’Académie Royale des Lyncœi etc, et que mes leçons de la Sorbonne avaient reçu bon accueil dans plusieurs universités étrangères; ce qui a produit le meilleur effet. Mon grand vizir M. Dumont qui a été tout surpris, a témoigné sa satisfaction, et a bien voulu dire qu’il n’était vraiment pas possible de m’imposer le minimum de 40 leçons. Sans notre bon et excellent secrétaire, qui a été poussé bien certainement par le doyen de la Faculté, M. Milne-Edwards, je serais toujours pour le Ministère, un professeur, et nullement un homme de science. Adieu Monsieur, avec mes vœux pour votre santé et l’assurance de mon affection la plus sincère et la plus dévouée. Ch. Hermite 67.[66] Paris 31 Mars 1884 Monsieur Le no de la Gazette Piémontaise que vous avez eu la bonté de m’envoyer m’a vivement intéressé, et je vous exprime toute ma gratitude d’avoir bien voulu comme [le] Président de l’Académie de Turin, 2 me réunir à ceux de mes confrères, qui ont exprimé comme M. Daubrée et d’autres, 3 quels regrets leur avait inspirés la perte de M. Sella. 4 Jamais en France, une des Académies de l’Institut, n’aurait écrit à la veuve d’un confrère 1 Sull’elezione di Darboux all’Académie des sciences, del 3 marzo 1883 e sui dissensi in proposito, sollevati da qualche sostenitore di Poincaré si veda la lettera del 26 febbraio 1884 (let. 64, p. 156). 2 Dall’annuario della Reale Accademia delle Scienze di Torino risulta che il presidente in carica alla data della missiva era Ariodante Fabretti, eletto il 6 maggio 1883, mentre Genocchi sarà eletto presidente il 12 aprile 1885 e l’8 aprile 1888, per due trienni successivi. 3 La morte di Sella e la nota sulla sua attività scientifica scritta da Daubrée sono stati degli argomenti della lettera precedente del 18 marzo 1884 (cfr. nota 3, p. 160). 4 Sulla «Gazzetta Piemontese», n. 81 anno XVIII, 21 marzo 1884, a pagina 3 è scritto che in occasione della seduta a classi riunite dell’Accademia delle Scienze di Torino, il suo presidente Ariodante Fabretti «annunzia con parole di vivo cordoglio la morte dell’illustre Quintino Sella».
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décédé, si éminent qu’il fût, et la démarche de l’Académie des Lyncœi les termes excellents de sa lettre à Madame Sella montrent un lien étroit et intime entre vous, que nous n’avons pas. Permettez-moi Monsieur de vous demander, si vous avez repris vos leçons à l’Université, comme je viens de le faire à la Sorbonne; je le souhaiterais parce que ce me serait la preuve la meilleure que les forces et la santé vous sont revenues. 1 Et puis vous n’avez pas à craindre les miasmes venimeuses de quelque méchant journal bien radical, comme récompense de la peine que vous aurez prise. Mais ce sont là de bien petites misères qui disparaissent devant des préoccupations infiniment graves. La chambre des députés s’occupe d’une loi sur l’avancement dans l’armée dont une disposition porte que nul ne peut être nommé officier avant d’avoir passé deux années au régiment. Ce sera par conséquent la mort de l’École Polytechnique et de l’École de St Cyr, c’est bien grave, mais ce n’est pas tout. Le volontariat d’un an sera supprimé, et tout le monde sera obligé de servir trois années durant, sans aucune réduction pour ceux qui font leurs études, ce sera donc un coup terrible pour les études et la vie intellectuelle du pays. Qu’importe aux Jacobins de la chambre! M. Paul Bert Professeur à la Faculté des sciences, et membre de l’Institut, a fait dernièrement à l’École Monge, une conférence à l’appui du système, dans laquelle il s’est agréablement moqué des terreurs des papas et mamans, épouvantés du sort qu’il prépare à leurs enfants. Je viens d’être Monsieur une nouvelle fois grand-père, et en vous annonçant l’heureuse naissance de Charles Picard, je ne puis m’empêcher de vous dire combien je suis inquiet de l’avenir que lui préparent les fous qui nous gouvernent. On n’a que trop parlé de l’aveuglement de l’Empire, ou plutôt de l’Empereur Napoléon en 1870, qui n’a rien voulu voir de ce qui menaçait son existence, l’aveuglement ne me semble pas moindre maintenant pour la République ni moins funeste pour la France. N’y pouvant rien, je m’occupe des préliminaires de la théorie des fonctions elliptiques, et de la réduction des intégrales hyperelliptiques, que j’enseigne à la Sorbonne. Vous ai-je donné une petite note 2 sur ce sujet, publiée dans le Bulletin de M. Darboux? En vous renouvelant Monsieur l’assurance de ma plus haute estime, je reste votre bien sincèrement et affectueusement dévoué Ch. Hermite 1 L’accenno è alla salute malferma di Genocchi a seguito dell’incidente occorsogli molti mesi prima, citato nella lettera del 6 ottobre 1882 (cfr. nota 2, p. 101). 2 Si tratta dell’articolo: C. Hermite, Sur la réduction des intégrales hyperelliptiques aux fonctions de première, de seconde et de troisième espèce, «Bulletin des sciences mathématiques et astronomiques», s. 2, 7 (1883), pp. 36-42.
le lettere di charles hermite a angelo genocchi
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68.[67] Paris 6 [Avril] 1 1884 Monsieur, La courtoisie scientifique est en Italie plus bienveillante et affectueuse que partout ailleurs: c’est le sentiment que j’ai éprouvé bien vivement en lisant avec attention le texte en latin de la notification que je viens [de] recevoir de mon élection par l’Académie des Lyncei. J’ai éprouvé aussi un nouveau et profond regret en voyant avec le titre de Lynceorum princeps, le nom et la signature de M. Sella que nous avons eu le malheur de perdre. C’est votre ami si regretté sans doute qui a écrit sous la forme la plus gracieuse, cette invitation aux associés de donner un souvenir à l’Académie, en lui envoyant des travaux pour le recueil de ses mémoires. Que j’aurais été heureux Monsieur de lui dire que son appel avait été entendu, et de reconnaître la bienveillance qu’il m’a témoignée, en lui adressant un article, aussitôt que j’aurais pu le faire! En attendant que par votre intermédiaire, je réalise mon intention de payer ma dette envers l’Académie, permettez-moi, ayant modifié ma note du bulletin de M. Darboux, sur la réduction des intégrales hyperelliptiques, 2 de vous dire sous quelle nouvelle forme j’ai exposé cette réduction, dans une de mes dernières leçons. Comme offrent une étroite analogie avec cette question, je rappelle d’abord que l’intégration des fractions rationnelles, P peut être présentée ainsi. Soit la fraction proposée; je mets le dénoQ 1 Nell’originale risulta scritta da Hermite, in testa alla prima pagina e alla destra, la data «Paris 6 Mars 1884» al di sotto della quale una mano diversa ha scritto «avril?». Esaminati degli specimina della grafia di Genocchi dal registro delle Lezioni di calcolo infinitesimale del 1884, è possibile riconoscere proprio il suo ductus nel caso della parola «avril» che è aggiunta a matita ed è accompagnata da un piccolo punto interrogativo. Comunque, la data autografa del 6 marzo è errata, per il fatto che nella presente missiva Hermite cita la morte di Sella, dunque la lettera non può essere anteriore al 14 marzo 1884, data della sua morte. Il mese di aprile sembra essere ragionevolmente accettabile se si considera che nella lettera del 31 marzo 1884 Hermite cita i preliminari della teoria delle funzioni ellittiche e la riduzione degl’integrali iperellittici di cui si occupava in quel momento e che insegnava alla Sorbona e, non essendone certo, chiede se ha già inviato a Genocchi un suo articolo sull’argomento, pubblicato sul «Bulletin de M. Darboux» (cfr. nota 2, p. 164). Nella presente missiva riprende l’argomento dando per scontato che Genocchi abbia già il suo articolo e ad esso si riferisce senza preamboli scrivendo: «...permettezmoi, ayant modifié ma note du bulletin de M. Darboux, sur la réduction des intégrales hyperelliptiques, de vous dire sous quelle nouvelle forme j’ai exposé cette réduction, dans une de mes dernières leçons» e nel seguito della lettera espone in che modo ha modificato i contenuti di quella nota citata nella lettera del 31 marzo 1884. Nella lettera dell’1 maggio 1884 e nelle seguenti 2 Cfr. nota 2, p. 164. l’argomento non è più citato.
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giacomo michelacci
minateur, en appliquant la théorie élémentaire des racines égales, sous la forme: Q = Aa+1 Bb+1 ... Ll+1 les polynômes A, B, L, n’ayant que des facteurs simples, et je pose:
P G H I = + + L + l+1 Q A a+1 B b+1 L G, H, I étant polynômes entiers. Cela étant, et considérant la quantité G A a+1
j’observe que A et A′, étant premiers entre eux, on peut écrire: G = MA – aNA′ où M et N sont des polynômes entiers. On en conclut la formule de réduction:
z
G N M−N dx a +1 dx = a + A A Aa
z
qui se vérifie sur le champ, par la différentiation, et vous voyez que de proche en proche, l’intégrale proposée se ramène à une autre semblable, dans laquelle a = 1. Soit donc: F = A B ... L , F1 = Aa Bb ... Ll l’application répétée de cette méthode, nous donne, en désignant par Π et Φ, des polynômes entiers:
z
z
P Π Φ dx = + dx . Q F1 F
Passant aux intégrales hyperelliptiques
z
P dx , Q R
où R est un polynôme de degré quelconque, sans facteurs multiples, je pose semblablement: J P G H = + +L+ s +L Q A a+1 B b+1 S
le lettere di charles hermite a angelo genocchi
167
A, B, ... étant premiers à R, tandis que S et les polynômes qui suivent, sont tous des diviseurs de R. Posons: G = MA – aNA′R, et
b
N1 R
g
Dx N R = on a la formule de réduction:
z
G A
a +1
R
dx =
M − N1 N R dx + Aa Aa R
z
qui se vérifie encore par la différentiation. Soit ensuite: R = ST, nous ferons:
FH 12 IK NS'T
J = MS − s −
b
g
, Dx N T =
N1 T
et l’on en conclura:
z
J S
s
R
dx =
M − N1 N R dx s−1 + S S s−1 R
z
Vous remarquerez que cette formule de réduction s’applique de proche en proche, jusqu’à S = 1, tandis que dans la précédente on ne peut pas faire la supposition de a = 0. De l’une et de l’autre résulte cette conclusion. Posons: F = A B ... , F1 = Aa Bb ... Ss ... on aura
z
P Q R
dx =
Π
F1
+
z
Φ
F R
dx
où Π et Φ, sont encore des polynômes entiers. Désignons enfin par E, la partie entière de Φ , l’intégrale F E dx R
z
se réduit au moyen de la relation:
z
E dx = M R + R
z
N dx R
168
giacomo michelacci
en déterminant le polynôme M, de sorte que le degré de N qui sera nécessairement aussi, un polynôme entier, soit le plus petit possible. Il faut donc prendre pour M la partie entière du développement suivant les puissances descendantes de la variable, de l’expression: 1 R
z
E dx R
Le degré de N, que j’appelle n, celui de R étant r, satisfait donc à la condition: r r −1 = n − +1 2 2 et l’on en conclut n = r – 2. Après avoir ainsi établi la réduction des intégrales hyperelliptiques, j’indique la substitution (réelle ou imaginaire), qui permet de ramener les cas où r est un nombre pair, 2k, aux intégrales de forme semblable où R est de degré 2k – 1, et j’en conclus, qu’elles s’expriment, linéairement, par les fonctions de 3me espèce provenant de la décomposition de Φ , en fractions simples; ensuite par les fonctions de 1re espèce: F
z
xi dx , i = 0, 1, 2, K k − 1 R
dont le développement suivant les puissances descendantes de x, est fini, pour x infini, et enfin par les fonctions
z
x i+ k dx R
de seconde espèce. Comme je serais content Monsieur, si j’avais réussi à vous préparer une leçon! Avec la nouvelle assurance de ma plus sincère et cordiale affection. Ch. Hermite 69.[68] Paris 1r Mai 1884 Monsieur, Je ne suis pas abonné au journal de MM Gerono et Brisse, j’ai fait demander les derniers nos pour prendre connaissance des aménités de M.
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1
Gilbert, mais ne les ayant pas encore obtenus, je ne puis que vous dire une chose; c’est que votre adversaire a blessé d’autres encore que vous par son caractère désobligeant, et en particulier M. Catalan. Ayant donné pour un motif infiniment respectable, pour faire respecter ses convictions religieuses qu’il avait jugées, et non sans motifs, attaquées par un écrit de M. Van Beneden fils, sa démission de membre associé de l’Académie de Belgique, M. Gilbert ne s’en est point tenu là, et M. Catalan dont j’ai eu la visite il y a trois semaines m’a appris cette circonstance fâcheuse, que l’ayant abordé pour l’entretenir comme il le faisait d’habitude, M. Gilbert lui avait déclaré ne plus vouloir aucun rapport avec lui. Faire peser sur M. Catalan l’écrit dont il avait à se plaindre de M. Van Beneden, est d’autant plus excessif, que M. Mansion le professeur distingué de Gand, tout aussi catholique que M. Gilbert, et que des attaques contre la religion, d’un confrère de l’Académie, ne devaient pas non plus laisser indifférent, n’a aucunement imité sa conduite, et a continué d’avoir avec M. Catalan, libre penseur, les relations les meilleures et les plus amicales. Pour employer une locution française, M. Gilbert, est un mauvais coucheur, s’étant fait connaître comme tel, et qui pourra me prendre à partie tout comme vous; je crois donc que vous devez vous défendre, mais juger de qui vient l’attaque, et ne point par suite vous en préoccuper plus qu’il ne faut. C’est à Édimbourg où j’ai été invité à l’occasion des fêtes du 3me centenaire de l’Université, que j’ai reçu votre lettre. J’y ai vu votre ambassadeur M. le Comte Nigra, votre compatriote M. Cremona qui est un homme aimable et dont j’ai fait la connaissance avec plaisir. Les français ont vu avec quelque surprise que M. Nigra ayant été comblé, comme il était juste, de prévenances et d’honneurs, l’ambassadeur de france M. Waddington, membre de l’Académie des Inscriptions et belleslettres, ancien ministre de l’Instruction Publique, sous la Présidence du Maréchal de Mac-Mahon, n’ait point paru à la fête universitaire d’Édimbourg. Serions-nous donc politiquement, en froid avec l’Angleterre? En tout cas l’accueil fait aux représentants des Académies de l’Institut, et des Facultés de France, a été on ne peut plus cordial, et pour mon compte, j’emporte un reconnaissant souvenir de l’Écosse. Je me suis rencontré avec mes anciens et chers amis MM Sylvester et Cayley; j’ai dîné avec Sir William Thompson et son éminent collaborateur M. Tait; j’ai fait aussi la connaissance de M. Salmon de Dublin; et chez tous j’ai 1 L’accenno riguarda una lettera di Gilbert alla redazione dei «Nouvelles annales de mathématiques». L’argomento verrà ripreso con più precisione nella prossima missiva del 13 maggio 1884 (cfr. nota 1, p. 170).
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trouvé une cordialité et une simplicité, qui m’ont plu extrêmement. Adieu Monsieur et avec la nouvelle assurance de mes sentiments les meilleurs et les plus dévoués. Ch. Hermite 70.[69] Paris 13 Mai 1884 Monsieur, M. Picard qui a mis à ma disposition les nos de Janvier et Mars 1884, des Nouvelles annales de mathématiques, m’a exprimé au sujet de la lettre que M. Gilbert a adressée au rédacteur, p. 153, une opinion que je partage complètement. L’idée d’imaginer une fonction f ( x ) = 2 px
de x = 0, à x = a
2 p ( 2a − x )
de x = a, à x = 2a,
puis à n’a pas le sens commun; bref il juge la communication de M. Gilbert, archistupide, 1 elle ne mérite par conséquent point de vous occuper. Mériterais-je de vous occuper un moment, avec la remarque fort simple que voici? 1 Si tratta di una lettera di Gilbert alla redazione dei «Nouvelles annales de mathématiques» diretta a Peano che diede l’avvio ad una polemica riguardo alle ipotesi da impiegarsi nel teorema del valor medio. Qualche mese prima (gennaio 1884) Peano scrisse una prima lettera alla redazione del giornale (cfr. Extrait d’une Lettre de M. le Dr J. Peano, «Nouvelles annales de mathématiques», s. 3, 3 (1884), pp. 45-47) in cui rilevava nella prima edizione del Cours d’Analyse di Jordan, una inesattezza nella dimostrazione del teorema seguente: «Soit y = f (x) une fonction de x dont la derivée reste finie et déterminée lorsque x varie dans un certain intervalle. Soient a et a+h deux valeurs de x prises dans cet intervalle. On aura f (a+h ) – f (a) = µh µ désignant une quantité intermédiaire entre la plus grande et la plus petite valeur de f ′(x) dans l’intervalle de a à a+h» (cfr. C. Jordan, Cours d’analyse de l’Ecole Polytechnique, 3 voll., Paris, Gauthier-Villars, 1882, vol. I, p. 21). Questa forma del teorema del valor medio Jordan la dimostrava considerando i rapporti incrementali in corrispondenza ad una successione di valori a1, a2, ..., an–1 compresi tra a e a+h: [f (ar) – f (ar–1)]/(ar – ar–1) = f ′(ar–1)+ εr ed affermando che le quantità εr tendono a zero quando n tende all’infinito ciò che equivale a supporre per i rapporti incrementali la convergenza uniforme a f′(x) nell’intervallo a, a+h. Peano segnala nella sua lettera che questo è falso se non si ammette la continuità di f ′(x), e dopo aver riportato un esempio conclude che il teorema si dimostra molto facilmente senza supporre la continuità della derivata. Jordan rispose attraverso la medesima rivista che la critica di Peano era perfettamente fondata e gli chiese di comunicargli la sua dimostrazione poichè non ne conosceva alcuna pienamente soddisfacente (cfr. Extrait d’une Lettre de M. C. Jordan, «Nouvelles
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Les formes quadratiques de déterminant – D, non ambiguës, sont définies, si on les représente par (A, B, C), au moyen des conditions, 2B < A, 2B < C, A < C; on exclut la supposition de B = 0, et on leur joint les formes opposées (A, – B, C). J’en conclus que la série indéfinie des premières formes est donnée par l’expression: (m + 2p, p, m + 2p + q) en attribuant à m, p, q, toutes les valeurs entières positives à partir de l’unité. Désignant donc, sous cette condition par f (D), le nombre des solutions de l’équation (m+2p)(m+2p+q)–p2 =D je puis écrire:
∑ x ( m+2p)(m+2p+q)− p = ∑ f ( D ) x D 2
et vous remarquerez que dans le second membre ordonné suivant les puissances croissantes de x, le terme de degré le moins élevé est x 11. Or la série multiple du premier membre, se transforme comme il suit. Le nombre variable q, n’y entre qu’au premier degré dans l’exposant, et j’ai donc:
∑ x ( m+2p)q =
x m+2p , q = 1, 2, K 1 − x m+2p
annales de mathématiques», s. 3, 3 (1884), p. 47). Peano comunicò a Jordan la dimostrazione nella lettera del 16 febbraio 1884 (che è stata pubblicata per la prima volta nel lavoro: M. T. Borgato, Alcune lettere inedite di Peano a Genocchi e a Jordan, in Angelo Genocchi e i suoi interlocutori scientifici. Contributi dall’epistolario, a cura di A. Conte, L. Giacardi, Torino, Deputazione subalpina di storia patria, 1991, pp. 61-97, p. 93). Gilbert, professore all’Università di Lovanio, scese in campo prendendo le difese di Jordan in una lettera (cfr. «Nouvelles annales de mathématiques», s. 3, 3 (1884), pp. 153-55) nella quale, tra l’altro, contesta l’esistenza di una dimostrazione che non impieghi la continuità della derivata: «M. Jordan demande, non sans malice, à voir cette démonstration, laquelle est impossible, puisque le théorème est inexact» e come controesempio usa la funzione che Hermite stesso riporta nella presente missiva. Questa funzione però non è derivabile in un punto dell’intervallo di definizione e non può dunque costituire un controesempio, come Peano rileva nella sua risposta pubblica alle obiezioni di Gilbert (cfr. ibid. pp. 252-56) alla quale allega la dimostrazione che aveva già comunicato a Jordan, dicendo di averla appresa, da studente, alle lezioni di Genocchi, anche se, Peano osserva, la paternità del teorema è da attribuire ad Ossian Bonnet. (Sull’argomento si veda anche: U. Bottazzini, Angelo Genocchi e i principi del calcolo, in Angelo Genocchi e i suoi interlocutori scientifici. cit., pp. 31-60, p. 43, nota 22).
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et cette série prend la forme:
∑
x (m+2p) − p + m+2p 1 − x m+2p 2
2
, m = 1, 2, 3, K p = 1, 2, 3, K
ou encore:
∑
xm
2
+ 4 mp + 3p 2 + m+ 2p
1 − x m+2p
À ce résultat, joignez cet autre facile à établir, que le coefficient de xD, dans le développement de la quantité: x 2 n−1
x 2n
∑ 1 − x 4 n−2 + ∑ 1 − x 2 n
, n = 1, 2, 3,K
est le nombre des formes ambiguës de déterminant –D, et vous obtenez la conclusion suivante: L’expression: 2∑
LM N
x m +4mp+3p + m+2p x 2n−1 x 2n + + ∑ 1 − x m+ 2 p 1 − x 4 n − 2 1 − x 2n 2
2
OP Q
développée suivant les puissances croissantes de x, a pour coefficient de xD, le nombre des classes de formes quadratiques de déterminant – D. Soit maintenant H (D) ce nombre de classes, j’obtiens cette formule:
LM D − m − 4 mp − 3p OP N m + 2p Q D + 2n − 1 O LDO +∑ E L NM 4 n − 2 QP + ∑ E NM 2n QP
H (1) + H ( 2)+L+ H ( D ) = 2∑ E
2
2
Le signe E désigne l’entier contenu dans x; les sommes s’étendant aux valeurs de m, n, p = 1, 2, 3, ... qui rendent les quantités sous les signes E, positives et supérieures, ou au moins égales à l’unité. Pour la première somme:
∑ E LMN
D − m 2 − 4 mp − 3 p 2 m + 2p
OP Q
les limitations des nombres variables m et p, sont données par la condition: 4D+1(2m+2p+1)(2m+6p+1)
le lettere di charles hermite a angelo genocchi
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Dans l’espérance que le commencement de l’été me rendra de bonnes nouvelles de votre santé, et avec l’expression de mon affection constante et bien dévouée Ch. Hermite 71.[70] Paris 25 Mai 1884 Monsieur, La chaleur qui ne vous profite pas, ne m’est pas plus favorable qu’à vous, et je trouve bien dur de parler dans l’amphithéâtre de la Sorbonne, avec cette chaleur ennuyante 1 de ces derniers jours. Ma leçon finie je n’ai aucun courage pour me mettre à l’ouvrage, je ne puis que lire ou dormir, lire la revue des deux-mondes, le Correspondant, ou le Figaro, et gémir de la situation et de la révision constitutionnelle. J’aimerais extrêmement acquitter envers l’Académie des Lincei la dette de la reconnaissance, et puisque mes sommes de nombres de classes vous intéressent, rédiger mes résultats, mais je crois nécessaire pour obtenir au moins une forme meilleure, d’attendre le moment où j’aurai un peu plus de liberté d’esprit. J’avais en vue un sujet elliptique; laissez-moi le choix, je me déciderai suivant ce que je trouverai, si je trouve quelque chose, quand je pourrai me mettre au travail. J’étais en 1841 l’élève de M. Catalan, avec qui j’ai toujours eu de bons rapports, ainsi j’ai eu le devoir de ne point décliner la présidence honorifique du Comité Belge qui veut lui offrir son portrait peint à l’huile, à l’occasion de ses 70 ans, qui d’après la loi Universitaire, l’obligent à prendre sa retraite. M. Friedel, mon collègue à la Faculté et mon confrère à l’Institut, d’autres encore, font partie de ce comité; j’ai envoyé 100 Fr au trésorier du comité à Liège, pour ma souscription, mais puisque vous voulez bien me demander un avis, je vous dirai que ma qualité de Président d’honneur m’a paru demander une offrande supérieure à celle que j’aurais faite, si j’avais dû seulement m’associer à la manifestation. Sans imposer de limites à votre bonne volonté, il me semble que 20 Fr, 40 Fr, au plus serait une souscription convenable. J’ai été bien douloureusement affecté de la perte de Wurtz, 2 avec qui dans ces derniers temps, j’ai eu les meilleurs rapports, des circonstances dont je vous ferai une autre fois le récit, nous ayant beaucoup rappro1
Nell’originale: enuiante.
2
Wurtz morì il 12 maggio 1884 a Parigi.
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chés. C’était un homme excellent, qui avait un excellent cœur; on lui succédera à l’Académie, mais on ne le remplacera pas. En vous renouvelant Monsieur l’expression de mes sentiments les meilleurs et les plus dévoués. Ch. Hermite 72.[72] Fouras (Charente-Inférieure) 7 Août 1884 Monsieur, Depuis bien longtemps que je ne vous ai point écrit et que je suis sans nouvelles de vous j’ai achevé la partie de l’année universitaire la plus laborieuse et la plus pénible, à cause des examens des candidats à la Sorbonne, et de la chaleur qui a été accablante cette année. Je me plais à penser que ma lettre ne vous trouvera plus à Turin, où il ne doit pas faire meilleur qu’à Paris, et que comme moi vous mettez les vacances à profit pour vous délasser. Je les utiliserai aussi pour ma santé, et la semaine prochaine, je me rendrai à la Bourboule où mon médecin m’envoie. Permettez-moi avant de partir de vous faire confidentiellement un récit de ce qui est survenu à l’occasion des décorations demandées pour M. Weierstrass et M. Kronecker. Vous vous souvenez que j’ai pensé avoir eu gain de cause, M. Wurtz 1 qui avait bien voulu prendre la chose à cœur, avait en effet reçu du Ministre des Affaires Étrangères, Président du Conseil, 2 l’assurance la plus formelle que chacun des deux éminents géomètres, recevrait la croix de commandeur. Voici maintenant ce qui est survenu. Suivant l’usage, l’ambassadeur de France à Berlin, a informé le grand Chancelier des dispositions du gouvernement français, afin de connaître ses intentions avant que les décrets conférant les décorations fussent soumis à la signature du Président de la République. Or le Prince de Bismarck a durement déclaré qu’il ne voulait point tant de décorations françaises en Allemagne, et surtout d’un rang si élevé! Vous pensez ce que nous avons éprouvé M. Wurtz et moi, en apprenant la triste nouvelle, et vous jugerez, qu’elle n’est pas à crier par les rues. J’ai moins regretté le résultat pour M. Weierstrass, qui ne tient nullement aux honneurs extérieurs, que pour M. Kronecker qu’on dit n’y être pas aussi insensible; enfin le tort, si tort il y a, est à d’autres qu’à M. Jules Ferry, et à nous. Permettez-moi Monsieur, en vous exprimant 1 2
Cfr. nota 2, p. 173. Si tratta di Jules Ferry, dal 1883 presidente del consiglio e ministro degli esteri.
le lettere di charles hermite a angelo genocchi
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l’espoir, d’avoir bientôt de vos nouvelles, et d’apprendre comment vous avez disposé des vacances, de vous prier de m’écrire à Paris, d’où votre lettre me parviendra sûrement. On dit que quelques cas de choléra se sont produits en Italie, et même à Turin; nous avons grand peur qu’à la rentrée le fléau ne soit rendu à Paris; que Dieu nous garde! En vous renouvelant l’assurance de ma plus haute estime, je vous prie Monsieur de recevoir l’expression de mes sentiments d’affection bien cordiale et bien dévouée Ch. Hermite 73.[73] La Bourboule 31 Août 1884 Monsieur, Je viens vous remercier de votre dernière lettre et en même temps répondre à la bonne invitation que vous me faites de vous donner de mes nouvelles. Comme je crois vous l’avoir déjà dit, mon médecin m’a conseillé de faire une saison à la Bourboule pour soigner les organes de la voix, et cette saison je la termine dans quelques jours, pour passer le reste de mes vacances dans ma famille de Lorraine. [Mais le] 1 médecin auquel j’ai été adressé à la Bourboule, a soupçonné après m’avoir questionné, et par l’analyse chimique a constaté effectivement que j’avais un commencement de diabète, peu grave encore, mais qui demande quelque attention. C’est principalement au travail et au manque d’exercice qu’il attribue cette affection malheureusement non rare chez les hommes d’étude comme nous. Les premiers symptômes qu’il a constatés ont disparu par l’emploi en bains et en boisson des eaux qui renferment une proportion sensible d’arsenic, mais j’ai été prévenu qu’ils pourraient revenir, la même cause amenant les mêmes effets. Je suis donc condamné à un certain régime, à manger peu de pain, à exclure les féculents, les fruits sucrés etc. Savez-vous que M. Camille Jordan va remplacer M. Resal comme rédacteur du Journal des mathématiques de M. Liouville? 2 De [Lorraine] 3 je vous ferai part d’un petit article qu’il m’a demandé pour paraître 1 Questo punto dell’originale è leggibile solo parzialmente per una macchia sul recto del primo foglio filtrata sul verso. 2 Il «Journal de Mathématiques pures et appliquées» fondato da Liouville nel 1836 fu da lui diretto fino al 1874, dal 1875 al 1884 fu diretto da Resal e dal 1885 da Jordan. 3 La macchia di cui alla nota 1 copre parzialmente la parola.
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dans le premier n qui sera publié au mois de Janvier 1 de l’année prochaine. Et puis envers et contre le diabète qui n’est pas pour disposer beaucoup au travail, je m’occuperai de m’acquitter envers l’Académie des Linceï, ne voulant pas que vous me traitiez d’ingrat. Recevez en attendant Monsieur la nouvelle assurance de mes sentiments d’amitié bien sincère et bien dévouée. Ch. Hermite 74.[74] Flanville par Metz (Lorraine) 6 Octobre 1884 Cher Monsieur Genocchi, Le Prince Boncompagni mérite toute la reconnaissance des géomètres, et rend à l’histoire de la Science, par ses découvertes bibliographiques, les plus utiles services. La lettre de Gauss à Sophie Germain 2 est d’une haute importance arithmétique, mais la concision du texte ne laisse pas que de nuire à la clarté; comme vous, et autant que vous, je la trouve obscure, et je ne me chargerai point de l’élucider, n’ayant pas en ce moment la théorie de la composition des formes quadratiques, suffisam-
1 Il lavoro di cui Hermite annuncia la pubblicazione è il seguente: C. Hermite, Sur les fonctions holomorphes, «Journal de Mathématiques pures et appliquées», s. 4, 1 (1885), pp. 9-10. Viene f (z) dimostrato che se f (z) è una funzione olomorfa in tutto il piano complesso per la quale zn resta limitata per z che tende all’infinito, allora f (z) è un polinomio di grado n in z. 2 Si tratta della lettera del 30 aprile 1807, scoperta e pubblicata da Boncompagni, in cui Gauss risponde alla lettera di Sophie Germain del 20 febbraio 1807 (cfr. Lettera inedita di Carlo Federico Gauss a Sofia Germain pubblicata da B. Boncompagni, Firenze, 1879). Genocchi ha scritto un lavoro storico di presentazione della lettera (cfr. A. Genocchi, Due lettere di C. F. Gauss pubblicate dal principe B. Boncompagni, «Atti della Reale Accademia delle Scienze di Torino», 20 (1884-85), pp. 237-242) e altri due lavori significativi, un lavoro del 1879 ne riporta i contenuti nell’ambito di un commento a cinque missive di Sophie Germain e alle relative risposte di Gauss (cfr. A. Genocchi, Il carteggio di Sofia Germain e Carlo Federico Gauss, «Atti della Reale Accademia delle Scienze di Torino», 15 (1879), pp. 795-808, p. 798), un altro lavoro è del 1884 (cfr. A. Genocchi, Alcune asserzioni di C. F. Gauss circa le forme quadratiche Y Y ± nZZ, «Bullettino di bibliografia e di storia delle scienze matematiche e fisiche», 17 (1884), pp. 245-247). Gauss rispondendo alla Germain e lodando il valore di quanto questa gli comunicava nelle sue lettere, trova tuttavia non esatte due sue proposizioni contenute nella nota allegata alla lettera del 20 febbraio 1807. La prima afferma che se la somma dei numeri interi x e y ha la forma h2 +nf 2, con h, f interi e dove n è un numero primo del tipo 4k + 3, allora anche xn +yn è della stessa forma e inversamente se xn +yn è della forma h2 +nf 2, tale sarà anche x+y. L’altra proposizione afferma che se un numero xy è della forma h2 +nf 2, con h, f interi e n numero primo e se x è della medesima forma, allora tale sarà anche y. La Germain afferma correttamente che se questa proposizione è esatta ne risulterebbe la prima. Ma la prima è falsa come Gauss rileva: se si fa n = 11 e se si prendono i numeri x = 15 e y = 8 la somma delle potenze undecime di questi ultimi ha la forma desiderata mentre x + y = 23 non è riducibile alla forma h2 +11f 2.
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ment présente à l’esprit. Mille remerciements pour le bon accueil que vous faites à mon petit opuscule arithmétique, et qui est pour moi la meilleure récompense du travail qu’il m’a demandé. Et à mon tour permettez-moi de vous offrir mes félicitations au sujet de votre calcul différentiel, et principes de calcul intégral, publiés, con aggiunte (avec la collaboration?) de M. Peano. 1 Le § 84, sur les fonctions interpolaires, m’a fait en particulier, le plus grand plaisir. La déduction est si claire et si élégante que je n’ai eu aucunement besoin de recourir au dictionnaire pour la comprendre en entier. Dans la suite, j’espère que vous donnerez l’expression pour une intégrale curviligne, 2 de la quantité f (x1, x2, ..., xn) 1 Si tratta del testo seguente: A. Genocchi, Calcolo differenziale e principii di calcolo integrale pubblicato con aggiunte dal Dr. Peano, Torino, F.lli Bocca, 1884. La pubblicazione di un trattato di analisi fondato sulle lezioni di Genocchi fu proposta da Peano che, nella sua lettera al suo maestro Genocchi in data 7 giugno 1883 (Fondo Genocchi, Biblioteca Comunale Passerini-Landi, Piacenza, busta G2.3), gli chiese di poterlo scrivere lui stesso, seguendo i suoi insegnamenti e auspicando i suoi suggerimenti e il suo controllo prima della pubblicazione. Questa lettera è stata pubblicata nel seguente lavoro: U. Cassina, Alcune lettere e documenti inediti sul trattato di calcolo di Genocchi-Peano, «Rendiconti dell’Istituto Lombardo di Scienze e Lettere», 85 (1952), pp. 337362, pp. 344-345. In questo vengono anche riportate sei lettere di P. Tardy, una lettera di G. Gobbi-Belcredi a Genocchi e una di quest’ultimo a P. Agnelli da cui, come rileva Cassina, risulta chiaramente come Genocchi avesse concesso l’autorizzazione chiesta da Peano. Inoltre in altre lettere a Genocchi, Peano gli sottopose alcune delle osservazioni che poi compariranno sul trattato, si veda in proposito il seguente lavoro: M. T. Borgato, Alcune lettere inedite di Peano a Genocchi e a Jordan, in Angelo Genocchi e i suoi interlocutori scientifici, a cura di A. Conte, L. Giacardi, Torino, Deputazione subalpina di storia patria, 1991, pp. 61-97, pp. 84-93. L’edizione del trattato, annunciata nel 1883, sarà terminata l’anno successivo. Nella prefazione, scritta da Peano in data 1 settembre 1884 si legge: «Il difetto di buoni trattati di Calcolo è troppo sentito in Italia. Onde io, già allievo del chmo prof. Genocchi, ed ora, da alcuni anni, suo aiuto in questa R. Università, credetti cosa opportuna pubblicarne il corso, tanto, ed a ragione, stimato pel suo rigore da quanti lo seguirono. Ma, il dover dare alle lezioni la forma di trattato, e la necessità di comprendervi tutte quelle ricerche che non soglionsi fare nelle lezioni orali, ma che sono indispensabili in un libro, mi obbligò a importanti aggiunte e a qualche modificazione». Questo testo di analisi che fu tra i più apprezzati della seconda metà del diciannovesimo secolo, fu tuttavia rinnegato da Genocchi in una dichiarazione pubblicata su tre riviste: negli «Annali di matematica pura ed applicata», s. 2, 13 (1884), p. 347; nei «Nouvelles annales de mathématiques», 3, 3 (1884), p. 579; nella «Mathesis», 4 (1884), pp. 224-225. La ragione fu, con ogni probabilità, che Genocchi avrebbe ritenuto come una mancanza di riguardo verso di lui, il fatto che Peano, che era allora il suo giovane assistente all’Università di Torino, avesse ritenuto «importanti» le sue aggiunte, come si legge nella prefazione del trattato. Ma forse anche perchè Genocchi avrebbe riconosciuto un’essenziale diversità tra la sua impostazione e quella di Peano; si veda in proposito: U. Cassina, cit., pp. 341-342. Per ulteriori dettagli si veda: U. Bottazzini, Angelo Genocchi e i principi del calcolo, in Angelo Genocchi e i suoi interlocutori scientifici, a cura di A. Conte, L. Giacardi, Torino, Deputazione subalpina di storia patria, 1991, pp. 31-60, pp. 3637. 2 Le funzioni interpolari, a noi note col nome di differenze divise, oltre ad essere trattate da Genocchi nel suo insegnamento, furono argomento di alcune sue ricerche su cui si è incontrato con Hermite già nel 1878 (cfr. nota 2, p. 36). Una breve nota storica sugli sviluppi della teoria a partire da Gergonne e Ampère si trova nel lavoro seguente: A. Genocchi, Intorno alle funzioni interpolari, «Atti della Reale Accademia delle Scienze di Torino», 13 (1878), pp. 716-729. Questa
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qui conduit par la voie la plus élémentaire, à tant d’importants résultats. Vous savez qu’en faisant: F (x) = (x – x1)(x – x2) ... (x – xn) on a: f ( x 1 , x 2 ,K, x n ) =
z
1 f (z) dz 2π i F ( z )
l’intégrale étant prise le long d’une courbe fermée, qui comprend à son intérieur les points x1, x2, ..., xn. J’attache beaucoup d’intérêt à mettre en présence l’une de l’autre, les deux expressions de la même quantité, par une intégrale multiple, celle que vous avez obtenue longtemps avant moi, et la précédente. Le beau résultat du § 86, n’a-t-il pas été par Ampère, dans le Journal de l’École Polytechnique? Mais il y a bien d’autres choses dans votre ouvrage dont j’aurai inévitablement l’occasion de vous parler, attendu que je le mettrai à contribution pour mes leçons de la Sorbonne. Au sujet de la règle de l’Hôpital, pour les expressions ∞ ∞ , depuis bien des années, je ne puis m’empêcher d’en dire, pis que pendre. Elle se trouve dans tous les livres, y compris mon cours de l’École Polytechnique, et me paraît absolument sans valeur. On n’en fait effectivement qu’une seule et unique application, à savoir pour
log x xn la raison en est qu’à l’égard des fonctions algébriques, le quotient des dérivées, est a fortiori, de la même forme ∞ ∞ . Or ne vaut-il pas mieux conclure sur le champ, de la série: ax, ou
ex = 1+
x x2 ex + + K que 1 1⋅ 2 xn
est infini, pour x infiniment grand, puis en faisant ex = z, parvenir à la quantité z log z
a f
LM z OP ? N log z Q n
n
, et à
m
nota, integrata con ulteriori notizie, è stata riportata da Peano sul testo: A. Genocchi, Calcolo differenziale, cit., Annotazioni, N. 84-87, p. XX-XXIII. L’idea di esprimere le funzioni interpolari dei vari ordini attraverso integrali curvilinei nel campo complesso è di Peano, ed era ben nota a Hermite (cfr. nota 1, p. 130).
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Un mot en terminant sur la formule d’Euler qui donne la solution en quantités rationnelles de l’éq[uation] x3 + y3 + z3 + 1 = a J’ai déjà remarqué que ce n’est plus maintenant qu’un cas particulier de la proposition importante due à M. Salmon que toute surface du 3me ordre est unicursale. En partant de la forme ABC+DEF=0 que donne M. Salmon, où A, B, ... sont des fonctions linéaires, ce théorème s’établit immédiatement, car on peut faire D = Aa , E = Bb , F = Cc a, b, c étant des paramètres assujettis à la condition abc = 1, et ces relations donnent rationnellement les coordonnées en a, b, c. L’équation d’Euler, s’offrant sous la même forme, vous voyez qu’on est amené à poser: x + y = a (z + 1), x + θ y = b(z + θ ), x + θ 2y = c(z + θ 2) où θ 3 = 1, et l’on trouvera pour x, y, z, des formules explicitement réelles si l’on remplace a, b et c, par b + θ c, et b +θ 2c. Avec les plus vifs reproches de ne rien me dire de votre santé, et l’assurance de ma plus sincère et cordiale affection Ch. Hermite 75.[75] Paris 31 Octobre 1884 Cher Monsieur Genocchi, Quelle étrange aventure et à laquelle j’étais infiniment loin de m’attendre, que la publication de M. Peano, 1 sous votre nom et contre votre intention! Le pavillon couvre la marchandise et il n’est que trop aisé de 1 Si tratta ancora del trattato citato nella precedente missiva del 6 ottobre 1884: A. Genocchi, Calcolo differenziale e principii di calcolo integrale pubblicato con aggiunte dal Dr. Peano, Torino, 1884. Come si legge, Hermite in questa missiva, condivide il disappunto di Genocchi, da lui pubblicamente manifestato nei confronti di Peano, a proposito di questo testo (cfr. nota 1, p. 177). Sulla base di una generica esigenza di opportunità didattica ed espositiva, si nota una certa riserva di Hermite verso l’orientamento critico e di rigore che contrassegna questo trattato, sul quale basterebbe ricordare le Annotazioni che precedono il testo, che, oltre a riportare notizie storiche, bibliografiche e osservazioni concettuali inerenti i vari capitoli del trattato, rilevano numerose inesattezze di teoremi e dimostrazioni che, come si legge nella Prefazione «si riproducono anche in opere recentissime, benché in gran parte la loro inesattezza fosse già rilevata da varii autori, anche da anni».
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comprendre la tentation à laquelle a cédé votre indiscret et infidèle assistant, je ne comprends que trop surtout que vous ayez protesté contre une soi-disant reproduction de vos leçons qui donne au lecteur, tout autre chose que ce que vos élèves ont recueilli de votre bouche. Mais si voulez bien, je ferai pour un moment abstraction complète du côté moral, afin d’apprécier au seul point de vue mathématique, l’ouvrage dont vous reniez la paternité. Autant que l’embarras de la langue m’a permis d’en juger, il y est fait grandement aux exigences toutes modernes en fait de rigueur. Or est-ce bien dans l’enseignement élémentaire qu’il convient de faire si large place à ces exigences? Ce serait parfait certainement, si la rigueur se conciliait avec une grande simplicité, et surtout une extrême clarté, mais dites-le-moi, mon cher ami, est-ce toujours le cas? Je suis pour mon compte tellement effrayé de l’appareil compliqué de certaines démonstrations, du mémoire de M. Darboux, sur les fonctions discontinues, (dans les Annales de l’École Normale), 1 que jamais, de mon plein gré, je ne consentirai à les faire entrer dans mes leçons de la Sorbonne. Je juge que se serait faire perdre leur temps, à mes élèves, et quelque soit l’honneur dû à la rigueur, en âme et conscience, j’irai de l’avant, et pour rien au monde je ne consacrerai de longues heures à établir que d2u d2u , = dxdy dydx
et autres belles et grandes choses du même genre. 2 Un mot encore làdessus. Quelque chose de la marche historique doit subsister dans l’enseignement; certaines conceptions qui ont servi de transition pour parvenir à d’autres plus profondes, sont d’une intelligence plus facile, et doivent je le crois, être conservées comme offrant une succession plus naturelle dans les idées, pour conduire par un chemin plus aisé quoique plus long, aux résultats acquis en dernier lieu. Quel si grand mal il y aurait-il à prévenir qu’on remet à la fin du cours, ces démonstrations 1 Si tratta del lavoro seguente: G. Darboux, Mémoire sur les fonctions discontinues, «Annales scientifiques de l’Ecole normale supérieure», s. 2, 4 (1875), pp. 57-112; questo lavoro fu seguito da ulteriori sviluppi pubblicati alcuni anni dopo: G. Darboux, Addition au mémoire sur les fonctions discontinues, «Annales scientifiques de l’Ecole normale supérieure», s. 2, 8 (1879), pp.195-202. 2 Il teorema dell’invertibilità dell’ordine delle derivazioni parziali seconde miste che Hermite dice di ritenere superfluo per l’insegnamento degli elementi di analisi è invece uno dei teoremi del testo di Genocchi-Peano, dove si trova anche un esempio di funzione di due variabili in cui non è lecito invertire l’ordine delle derivazioni e la citazione dei nomi di A. Harnack e U. Dini come autori di ulteriori esempi (cfr. A. Genocchi, Calcolo..., cit., p. 136, Annotazioni, N. 103, p. XXV).
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rigoureuses, mais longues et fatigantes, visant certaines circonstances dans le mode d’existence des fonctions, dont on ne peut avoir l’idée, qu’à la fin du cours, et dont il serait aussi déraisonnable de parler, dès le début? Bref, de même que des vérités imparfaites, ont été souvent plus utiles à la science, que si elles eussent été immédiatement produites sous une forme irréprochable, je pense que des notions incomplètes mais immédiatement claires et parfaitement intelligibles valent mieux pour les commençants, que l’affreuse scholastique 1 chère aux modernes. L’admiration a dit Bacon de Verulam, est le principe du savoir, or la rigueur est trop souvent un épouvantail fait pour inspirer l’aversion et l’horreur, donc point trop de rigueur. J’attends vos prochaines publications, relatives aux remarques faites par Gauss, sur l’erreur de Sophie Germain avec d’autant plus de curiosité, que je ne vois aucunement, par quelle voie vous y êtes parvenu. 2 Ne me donnez donc pas le tort tout gratuit de croire que ces résultats n’aient pas d’intérêt, j’aime extrêmement les choses simples et claires, et afin de vous en assurer, je me permets de vous indiquer une démonstration que je crois courte au moins, du théorème de Lagrange sur la périodicité du développement P P' en fraction continue de la racine carrée d’un entier A. Soit , , deux Q Q' réduites consécutives de rang quelconque, et x, le quotient complet, correspondant à la dernière; on aura:
A=
P' x + P Q' x + Q
d’où l’éq[uation] à coeff[icients] entiers: A (Q′ x + Q)2 – (P′x + P)2 = (AQ′2 – P′2)x2 + 2(AQQ′ – PP′)x + AQ2 – P2 = 0 Soit: ε = P′Q – Q′P = ± 1
il est clair qu’on peut écrire: AQ′2 – P′2 = – ε G′ , AQ2 – P2= ε G G et G′, étant deux entiers positifs. Soit de plus: H = AQQ′ – PP′; 1
Così sull’originale. Per le osservazioni di Gauss sulle proposizioni inesatte di Sophie Germain e i lavori di Genocchi sull’argomento cfr. nota 2, p. 176. 2
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la simple identité: H2 + GG′ = A(PQ′ – QP′)2 = A montre que ces trois entiers, G, G′ et H, sont nécessairement limités, donc etc. J’ai passé la dernière semaine la jambe étendue, par suite d’une foulure, ayant été renversé sur le Boulevard St. Michel, par un chien qui s’est malencontreusement jeté dans mes jambes, aujourd’hui j’ai pu sortir, mais en traînant la patte. Adieu cher Monsieur Genocchi, je vous en veux extrêmement de me croire un orgueilleux qui méprise comme au-dessous de moi, les choses arithmétiques simples claires élégantes, comme vous avez le don de le faire, ne m’en croyez pas moins votre ami bien sincère et bien dévoué. Ch. Hermite 76.[76] Paris 5 Novembre 1884 Cher Monsieur Genocchi, Je viens vous remercier de votre envoi et en même temps requérir quelque chose de votre complaisance et de votre science. Votre note sur les formes Y2 ± nZ2, me montre que vous êtes bien plus que moi en intimité avec l’arithmétique, 1 de sorte que vous trouvez facilement et élégamment la solution d’une difficulté qui me mettait dans le plus grand embarras. Permettez-moi donc mon cher ami de puiser dans votre trésor arithmétique, non pas seulement pour moi, mais aussi pour M. Lipschitz, à qui je me ferai un plaisir de transmettre de votre part, le renseignement qu’il me demande. Il s’agit des nombres complets, ou plutôt des nombres parfaits, dont s’est occupé Euclide, dans le livre 7 des éléments. Vous savez qu’Euler dans un mémoire intitulé: de numeris amicalibus, a démontré avec une grande élégance qu’il n’existe point d’autres nombres parfaits pairs, que ceux qui ont été donnés par Euclide, puis il ajoute: Utrum autem praeter hos dentur numeri perfecti impares necne difficillima est quaestio, neque quisquam adhuc, talem numerum invenit, neque nullum talem numerum, omnino dari demonstravit. 2
1
Si tratta del lavoro: A. Genocchi, Alcune asserzioni di C. F. Gauss, ... cit. (nota 2, p. 176). La citazione di Hermite presenta qualche lieve variante rispetto al testo di Euler: cfr. Leonhard Euler, De numeris amicalibus in: Id., Opera omnia, vol. 5: Commentationes atithmeticae, vol. 4, edidit Rudolf Fueter, Genevae, 1944, p. 355. 2
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Or M. Lipschitz se trouvant amené dans une belle recherche, dont vous verrez le point de départ, dans un article publié dans le dernier no des Comptes rendus, 1 à cette question des nombres parfaits, me demande si depuis Euler elle a été l’objet de quelque travail. Je crois bien pouvoir répondre que non, et M. Tchebicheff, (en ce moment à Paris), le pense également, mais cependant j’hésite, et c’est à vous que j’ai recours pour être tiré d’incertitude, et pouvoir fournir avec plus de confiance à M. Lipschitz, le renseignement qu’il demande. M. Camille Jordan doit faire paraître au 1er Janvier prochain, le premier o n du nouveau Journal de Mathématiques, qui va remplacer celui de M. Resal. 2 Vous y verrez les mémoires de M. Halphen, de M. Picard, etc: je lui souhaite meilleur succès, qu’à son prédécesseur. Il y a quelques années, M. Darboux m’avait proposé de me joindre à lui, pour remplacer ensemble M. Resal; j’ai refusé non pas seulement par paresse, mais aussi à cause de ma confiance insuffisante, dans le succès d’une telle entreprise. Un mot encore d’arithmétique, sur le développement en fraction continue des racines des éq[uations] Ax2 +2Bx+C=0, à coefficients entiers. Considérez une racine α de cette équation que je suppose positive et soit: α=
P' λ + P Q' λ + Q
P P' en désignant par , deux réduites consécutives et par λ le quotient Q Q' complet. Soit encore en désignant la seconde racine par β, et par µ la quantité correspondante; à savoir: β=
P' µ + P Q' µ + Q
de sorte que λ et µ, soient les racines de l’équation à coeff[icients] entiers: Gx2 + 2Hx + K = A(P′x + P)2 + 2B(P′x + P)(Q′x + Q) + C(Q′x + Q)2 = 0 On aura d’abord: H2 – GK = B2 – AC 1 Si tratta della seguente memoria: R. Lipschitz, Sur une représentation de la fonction exponentielle par un produit infini, «Comptes rendus hebdomadaires des séances de l’Académie des Sciences», 2 Cfr. nota 2, p. 175. 99 (1884), pp. 701-703.
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et je dis que G et K, sont toujours de signe contraire, à partir d’un certain point du développement. Effectivement λ est positif, et l’on voit que µ, étant donné par l’expression: µ=
β Q− P
P' − Q' β
ou bien: µ=−
Q P' Q − Q' P + Q' Q' ( P' − Q' β )
ou encore en remarquant qu’on a:
P' − Q' α =
ε
Q'
où ε < 1: µ=−
Q P' Q − Q' P + Q' Q' 2 (α − β ) + ε
sera du signe du premier terme, c.-à-d. négatif, lorsque les dénominateurs Q′ auront atteint une certaine grandeur quelque soit α – β. Donc G, H, K, sont limités. Avec la nouvelle assurance de ma bien sincère et toute cordiale affection. Ch. Hermite 77.[77] Paris 11 Février 1885 Cher Monsieur Genocchi, Plaignez mon triste sort, ne me reprochez point de négligence si je tarde à répondre à votre dernière lettre et jetez un regard de commisération sur le travail auquel les circonstances me condamnent. M. Bouquet sur l’avis de son médecin renonce décidément à reprendre son cours, je dois donc en son lieu et place enseigner les rayons de courbure, les rayons de torsion, les formules de M. Frenet et bien d’autres belles choses encore, qu’il me faut d’abord rapprendre. J’ai recours aux auteurs, aux législateurs, au traité de M. Bertrand, à l’ouvrage de M. Camille Jordan, que j’étudie comme un écolier, non quelque fois sans gémir sur leur esthétique, surtout à l’égard du cours de M. Jordan, que je reconnais cependant contenir quantité de bonnes choses. Et comme c’est une loi de ce monde que les contrariétés s’appellent et se superposent, voici
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qu’une autre besogne onéreuse est survenue s’ajouter à la fatigue de mes leçons. Mon éditeur M. Gauthier-Villars, est venu m’informer que le premier volume de mon cours de l’École Polytechnique est épuisé, en me demandant une seconde édition et surtout sa continuation. Je n’ai pu refuser d’entreprendre cette seconde édition, et même je dois dire que les leçons que je viens de faire m’amènent à refondre presque entièrement le calcul différentiel, dont je me suis trouvé mécontent, en me relisant. Quel dommage que je ne vous aie point à côté de moi pour vous consulter sur mes conceptions pédagogiques; j’espère au moins qu’en pensant à vous tout en travaillant, j’aurai mérité que vous me fassiez l’honneur de parcourir ma nouvelle édition, et de me faire connaître comment vous jugez ma façon d’exposer. Enfin mon cher Monsieur, une circonstance dont je vais encore vous dire un mot, fait que je me trouve comme ayant le doigt, entre l’écorce et l’arbre, et serré à pousser des cris de paon. M. Picard et M. Poincaré sont tous deux en présence et en concurrence, pour obtenir à titre définitif la suppléance dont j’ai la charge temporaire, jusqu’au 15 Mars. 1 Une combinaison proposée par Darboux, et acceptée pleinement par presque tous nos collègues de la Faculté, donnait satisfaction à tous les intérêts. À Picard le cours d’Analyse, 2 et à Poincaré ingénieur des Mines, celui de Mécanique, qui se trouve aussi à suppléer, 3 mais le malheur a voulu que M. Serret, titulaire du cours d’Analyse, se refuse à la combinaison projetée, en voulant à tout prix Poincaré pour son suppléant dans la chaire d’Analyse. On lui objecte que Poincaré, si éminent analyste n’a point comme son émule, le don de la parole et que l’intérêt des élèves réclame pour le cours le plus important, celui des deux qui parle le mieux. 4 C’est la lutte perpétuelle entre l’élément normalien et l’élément polytechnicien, qui joue maintenant son rôle, à la Faculté comme à l’Institut, M. Serret et M. Bonnet Polytechniciens ardents, saisissent 1 Il corso di cui Hermite ha avuto un temporaneo incarico e di cui scrive nelle prime righe di questa lettera, è quello di calcolo differenziale di Bouquet, come si legge anche in una lettera a E. Cesaro del 30 gennaio 1885: cfr. P. L. Butzer, L. Carbone, F. Jongmans, F. Palladino, Les rélations épistolaires entre Charles Hermite et Ernesto Cesaro, «Bulletin de l’Académie royale de Belgique. Classe des sciences», 7-12 (2000), pp. 377-417, p. 388. 2 Nelle lettere del 6 e del 16 ottobre 1882 Hermite ha scritto sugli insegnamenti assegnati a Picard e Poincaré (cfr. nota 1, p. 103; nota 1, p. 104). 3 Poincaré che era stato nominato maître de conférences di analisi alla Sorbona (21 ottobre 1881) divenne chargé de cours di meccanica fisica e sperimentale alla Sorbona dal 1885 al 1886 (cfr. C. Charle, E. Telkes, Les professeurs de la faculté des sciences de Paris. Dictionnaire biographique (19011939), Institut national de recherche pédagogique. Editions du CNRS, 1989, p. 231). 4 Sarà Picard, e non Poincaré, ad essere scelto come suppléant di analisi, come Hermite confermerà nella lettera del 23 marzo 1885 (cfr. let. 79, p. 187). La scelta fra Picard e Poincaré ha assunto toni molto aspri di cui Hermite ha scritto molti particolari anche nella lettera a MittagLeffler del 25 febbraio 1885: cfr. Lettres de Charles Hermite à Gösta Mittag-Leffler (1884-1891).Trans-
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l’occasion d’obtenir un succès pour leur cause, avec Poincaré, et je ne puis vous dire quelles allées et venues, quelle agitation, combien de démarches, de visites, de lettres, de confidences qui dévoilent de secrètes jalousies, des uns contre les autres, à propos de cette affaire. Adieu mon cher Monsieur et ami, pardonnez-moi si je ne fais que plaindre et me plaindre, et recevez la nouvelle assurance de mes sentiments de la plus sincère et de la plus cordiale affection. Ch. Hermite 78.[78] Paris 7 Mars 1885 Cher Monsieur Genocchi, Je ne puis vous dire combien douloureuse a été l’impression causée par la mort de M. Serret, 1 frappé dans la rue de Provence, en se rendant à la séance de l’Académie par une attaque d’apoplexie 2 foudroyante. Depuis une atteinte de congestion qui avait déjà mis sa vie en danger en 1872, il avait dû renoncer non au travail, mais à l’enseignement, à cause d’un embarras de parole qui lui rendait le professorat impossible. Mais sa santé générale paraissait excellente, les soins dévoués de Madame Serret avaient écarté tout danger imminent, et M. Camille Jordan qui avait causé avec notre pauvre confrère, la veille de sa mort, m’a dit que rien ne pouvait faire craindre l’affreuse catastrophe qui s’approchait. Ses obsèques, j’ai le regret de vous le dire ont été purement civiles: aucune cérémonie, aucun emblème religieux; un discours de M. Bonnet, de M. Faye, et de M. Renan, 3 devant quelques professeurs de la Sorbonne; un petit nombre de membres de l’Institut, dans la gare du chemin de fer d’Orléans, devant un wagon, 4 prêt à emporter le corps en Touraine, et ç’a eu été tout. Un jeune homme à la porte de la salle d’attente, à la gare, saluait ceux qui avaient assisté à la triste cérémonie; c’était son fils. Il a éclaté en sanglots quand je lui ai serré la main, en me disant que j’avais été le plus ancien ami de son père, qui souvent lui parlait de moi. Hélas mon cher Monsieur, nos relations étaient devenues bien rares; nous étions engagés dans des voies si différentes! Monsieur Bouquet, nous cription et annotations par Pierre Dugac, in «Cahiers du Séminaire d’Histoire des Mathématiques», 6 (1985), pp. 79-216, p. 101, Université Pierre et Marie Curie, Laboratoire de mathématiques fondamentales et Ecole pratique des Hautes Etudes, 1ère section, Sciences mathématiques. 1 Serret è morto il 2 marzo 1885. 2 Nell’originale: appoplexie. 3 Si tratta probablimente dello scrittore Ernest Renan. 4 Nell’originale: vagon, usato anche alcune righe più avanti.
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était comme un dernier lien, c’était lui qui avait pris en main tous les travaux de M. Serret, corrigeant en son lieu et place, les épreuves de l’Édition de Lagrange etc etc. Et puis la maladie est venue qui a obligé cet ami si complaisant à interrompre ses services; M. Bouquet atteint de la goutte a renoncé même à son cours de la Faculté que je fais pour lui. Madame Bouquet que j’ai trouvée à la gare d’Orléans, m’a dit qu’elle s’était opposée à ce que son mari y vînt avec elle; lui aussi a besoin de bien des ménagements! Je ne sais qui poursuivra pour les conduire à leur fin, les publications entreprises par M. Serret, et entre autres la 5me Édition de son Algèbre Supérieure, un bon et excellent ouvrage, qui recommande son auteur à la reconnaissance des géomètres. Mais pardonnez-moi de m’abandonner ainsi en vous écrivant, à mes impressions de tristesse; j’ai toujours devant les yeux, ce wagon tendu de noir sans crucifix, sans prêtre, sans prières, j’entends un de mes confrères me demander si je savais qui avait ainsi proscrit tout emblème religieux! Le jour-même de cette étrange cérémonie, M. Troost et moi qui y assistions, nous avions le matin-même fait notre leçon à la Sorbonne, contre tous les usages, parce que la Faculté n’a été officiellement prévenue et avertie qu’au dernier moment, à midi, deux heures avant de monter en voiture, pour nous rendre au chemin de fer. Permettez-moi de faire effort pour vous distraire et vous arracher un sourire. J’ai obtenu de l’administration une bien grande et une salutaire permission, une grâce qui fait jaser la plèbe scolaire. 1 Au lieu du verre d’eau sucrée officiel, j’ai obtenu de prendre une tasse de thé chaud; et quand l’appariteur, apporte ma théière, on m’a dit que l’auditoire la regarde d’un air d’envie. J’ai remis ma souscription pour le buste de M. Weierstrass, à M. Mittag-Leffler, à son passage à Paris, mais vous ne pourriez pas mieux faire que de l’envoyer à M. Kronecker. Avec mes vœux pour que votre indisposition n’ait point de suites, et l’expression de ma plus sincère et bien dévouée affection. Ch. Hermite 79.[79] Paris 23 Mars 1885 Cher Monsieur Genocchi. Quelle étrange folie que celle de vos étudiants, avec leur enthousiasme pour la mémoire d’un homme qui de propos délibéré a sacrifié à ses projets, la vie d’un de ses amis! L’ardent patriotisme de Mazzini, et toute 1
Nell’originale: scholaire.
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son intelligence, ne peuvent à mon sens, le laver de cette ineffaçable tache de sang, et vos jeunes gens, comme ceux qui les ont appuyés contre la police de Turin, me semblent manquer de sens moral. Ce sont de pareils écarts qui compromettent et peuvent perdre les meilleures causes, la fin ne justifiant pas les moyens. Mais que d’exagérations affligeantes et inquiétantes, ne voyons-nous pas en ce moment chez nous! À propos du budget, on vient de supprimer les bourses des séminaires, et les Facultés de Théologie, ainsi qu’une partie du traitement du Cardinal Archevêque de Paris qui est réduit à 15, 000 Fr, comme un pauvre diable de professeur à la Sorbonne. C’est misérable, et je crains fort que de pareils décris de justice, ne témoignent chez ceux qui nous gouvernent d’un état mental inquiétant, et d’un commencement de déraison. Le monde entier d’ailleurs, semble en démence; on m’a appris aujourd’hui à la séance de l’Académie, que de graves nouvelles sont parvenues à l’endroit du différend Anglo-Russe dans l’Afganistan, dont ceux qui ont connaissance, sont extrêmement inquiets. Puissiez-vous mon cher ami, ne point faire comme nous en 1854! La section de géométrie a pris la résolution de garder le secret sur ses délibérations, au sujet de la présentation qu’elle aura bientôt à faire à l’Académie, des candidats à la place de M. Serret. 1 Mais sans trahir ce secret, je puis bien me faire auprès de vous, l’écho de l’opinion de l’Académie, qui semble entièrement favorable à M. Laguerre. 2 Cependant un rival actif et habile, M. Mannheim a déjà commencé sa campagne, et il n’est pas douteux qu’il n’ait pour lui un certain nombre de nos confrères. Toutefois il n’aura personne de nous dans la section, non que nous contestions son talent et son mérite, nous en faisons tous grand cas, mais nous pensons unanimement que M. Laguerre, M. Halphen, et nos trois jeunes géomètres MM. Appell, Poincaré et Picard, lui sont bien supérieurs. À la fin de cette semaine je vais m’échapper, quitter avec bonheur la Sorbonne, pour m’en aller passer les vacances de Pâques en Lorraine dans ma famille. L’arrêté ministériel qui nomme M. Picard suppléant de la chaire d’Analyse, 3 vient d’arriver au Secrétariat de la Faculté, et il 1
Cfr. nota 1, p. 186. Il verbale del Comité secret dell’Académie des sciences di Parigi del 4 maggio 1885 riporta la graduatoria dei candidati al posto reso vacante dalla morte di Serret, che sono nell’ordine: Laguerre e Halphen ai primi due posti, e come terzi in ordine alfabetico Appell, Mannheim, Picard e Poincaré. Bonnet ha illustrato i titoli di Laguerre, Jordan quelli di Halphen e di Mannheim, Darboux ha illustrato quelli di Appell e Picard ed Hermite quelli di Poincaré. Laguerre sarà eletto nella seduta successiva dell’11 maggio 1885. 3 Hermite accenna agli avvenimenti recenti relativi alla scelta tra Picard e Poincaré per affidare 2
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m’est commode de pouvoir si facilement m’entendre avec mon nouveau collègue, pour nous partager les matières de l’enseignement. La santé de M. Bouquet, laisse à désirer, il éprouve assez de difficulté à marcher, pour ne jamais sortir sans être accompagné de Madame Bouquet, et il n’est que trop probable malheureusement, qu’il ne reprendra désormais plus son cours. En vous renouvelant mon cher monsieur Genocchi l’expression de mes sentiments de la plus sincère et de la plus cordiale affection. Ch. Hermite 80.[80] Paris 21 Avril 1885 Cher Monsieur Genocchi, Je prends la part la plus vive à l’honneur insigne et si grandement mérité que vous a fait l’Académie des Sciences de Turin en vous nommant son Président, 1 et je joins mes cordiales et affectueuses félicitations à celles de tous vos amis. Pouviez-vous mon cher Monsieur recevoir une plus précieuse récompense des travaux de toute votre vie scientifique, et un plus haut témoignage d’estime accordé à la fin à votre caractère et à votre talent, aussi ai-je confiance que malgré les misères de la santé, vous ne me direz plus que la vie n’est point joyeuse, et demande toujours une grande patience. Il y a hélas à la souffrance une part, et à notre âge à vous et à moi, elle ne tend pas à s’amoindrir, mais en recevant de l’Académie le couronnement de votre carrière, je ne puis douter que la plus légitime des satisfactions ne vous apporte une force pour oublier ou plus facilement supporter la peine. M. Bouquet dont vous me parlez, et avec qui je crois vous avoir dit que j’ai depuis longtemps des rapports d’amitié, est atteint malheureusement, bien plus gravement que vous. Ce n’est pas un mal local, ou un accident, c’est la santé générale qui [est] en cause pour lui, et qui l’oblige après avoir renoncé à son cours de la Faculté, à abandonner aussi ses conférences de l’École Normale, qu’il avait cru pouvoir conserver. Il vient du moins de demander un nouveau répit de quinze jours avant de les reprendre, et nous n’avons aucun l’insegnamento di analisi, questione di cui ha scritto nella lettera dell’11 febbraio 1885 (cfr. note 2, 3, 4, p. 185). 1 Genocchi è divenuto presidente della Reale Accademia delle Scienze di Torino il 12 aprile 1885 e rieletto l’8 aprile 1888.
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espoir que dans quinze jours il lui soit possible de mieux monter et descendre un escalier que maintenant. Vous me faites un grand plaisir en m’apprenant que M. Cremona est de vos amis; j’ai fait sa connaissance à Édimbourg l’année dernière, et je me suis trouvé séduit par le charme de sa personne, et la bonté qu’il m’a témoignée. Faut-il maintenant vous confier que la fatalité le fait intervenir comme mon adversaire, dans la grave et difficile question, de l’élection du successeur de M. Serret à notre Académie des Sciences! 1 Une lettre habile et charmante que je viens de recevoir de lui, m’embarrasse extrêmement, ne pouvant lui répondre qu’en déclarant, qu’en âme et conscience, avec le sentiment profond de ma responsabilité visà-vis des candidats, vis-à-vis de l’Académie, et de tous les géomètres, je mets une grande distance, entre M. Chasles, et M. Mannheim en qui M. Cremona voit son continuateur, et le représentant le plus autorisé des études géométriques. À une certaine élévation, la Géométrie et l’Analyse se rejoignent, et M. Chasles par ses découvertes sur les arcs de sections coniques, les lignes géodésiques de l’ellipsoïde, et l’attraction des ellipsoïdes 2 me semble dans la plus intime, la plus étroite union, avec les plus grands Analystes. Est-ce bien le cas de M. Mannheim, dont les travaux sont excellents, sont d’une incontestable valeur, mais appartiennent à une région moins élevée de la science? Ces travaux peuvent-ils soutenir la comparaison avec les découvertes de Poincaré où le génie éclate, avec ceux d’Appell et de Picard, qui touchent aux points les plus difficiles, les plus élevés de l’Analyse? Et M. Cremona lui-même, n’appartient-il pas tout autant, par son illustration mathématique, à l’Analyse qu’à la Géométrie, et de quelle écrasante supériorité sont ses découvertes sur les transformations réversibles des intégrales de différentielles algébriques, etc. etc. sur les mémoires corrects et élégants de M. Mannheim! Cher Monsieur et ami, je m’arrête, j’aurais trop long à en dire sur un sujet inépuisable, mais m’est-il permis de vous charger de faire parvenir à M. Cremona le témoignage de l’amitié pour sa personne, de l’admiration pour son beau talent, pour ses découvertes qui sont l’hon1 Sulla successione di Serret nella sezione di geometria dell’Académie des sciences Hermite ha già spiegato nella lettera del 23 marzo 1885 quali fossero le deliberazioni ancora ufficiose che indicavano Laguerre come candidato designato al posto vacante (cfr. nota 2, p. 188). 2 Chasles produsse anche dei lavori di tipo analitico fra cui sono da ricordare: Id., Mémoire sur l’attraction des ellipsoïdes, «Journal de l’Ecole polytechnique», 25 (1837), pp. 244-265; Id., Sur l’attraction d’une couche ellipsoïdale infiniment mince. Des rapports qui ont lieu entre cette attraction et les lois de la chaleur, dans un corps en équilibre de température, ibid., pp. 266-316; Id., Théorèmes généraux sur l’attraction des corps, in Connaissance des temps ou des mouvements célestes pour l’année (1845), pp. 18-33.
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neur de la science Italienne, [en] même temps que le dissentiment dont je vous ai dit les motifs? Vous êtes notre Président, il vous revient de maintenir l’union; c’est en vous réitérant mes félicitations les plus vives, que je vous prie de croire à mes sentiments de bien sincère et cordiale amitié. Ch. Hermite 81.[81] Flanville, par Metz (Lorraine) 18 Mai 1885 Cher Monsieur Genocchi, La grande bataille académique dont vous connaissez le résultat a été pour M. Laguerre 1 une victoire chaudement disputée; pour moi et pour votre intermédiaire elle m’a fait une fois de plus apprécier la bonté et la rare délicatesse de mon habile adversaire M. Cremona. C’est j’en suis sûr un des traits et non le moins précieux de l’esprit Italien qu’on soit attiré et gagné par ceux qui vous combattent, le dissentiment étant accompagné d’une exquise courtoisie dont l’impression demeure lorsque le conflit a disparu. Le lendemain de l’élection j’étais en chemin de fer pour me rendre dans ma famille de Lorraine où j’ai passé la semaine de congé que nous devons à l’Ascension, l’une des fêtes légales d’après le Concordat. Vous dire que je n’ai absolument rien fait, que j’ai amplement paressé, en passant mes journées avec la revue des deux mondes, sans laisser aucune recherche d’analyse déranger ma paresse, ne m’exposera pas j’en suis bien sûr à vos reproches: nescio quid meditans nugarum, totus in illis. 2 Mais demain j’aurai repris ma chaîne de galérien dans l’ergastule de la Sorbonne, et en attendant je suis préoccupé d’une difficulté d’analyse dont je vous demande la permission de vous dire un mot. Vous trouverez dans la collection des mémoires de notre Académie des sciences, année 1850, Tome 22, si mon souvenir est fidèle, et je crois qu’il ne me trompe point, un article de Cauchy, sur les aires des courbes planes et les aires des surfaces courbes, 3 qui en m’intéressant extrême1 Si tratta dell’elezione di Laguerre all’Académie des sciences di Parigi nella sezione di geometria, al posto lasciato vacante dalla morte di Serret. L’elezione è avvenuta l’11 maggio 1885, ma Hermite, nella lettera del 23 marzo 1885, aveva già informato Genocchi sull’orientamento dell’Académie des sciences sul nome di Laguerre (cfr. nota 2, p. 188) e nella lettera del 21 aprile 1885 giustificava la sua convinzione su Laguerre in opposizione alla candidatura di 2 Orazio, Satire, I, 9, 2. Mannheim sostenuta da Cremona (cfr. let. 80, p. 189). 3 Si tratta dell’articolo: A. Cauchy, Mémoire sur la rectification des courbes et la quadrature des surfaces courbes, «Mémoires de l’Académie des sciences de l’Institut de France», 22 (1850), pp. 315.
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ment, m’a mis dans une véritable anxiété d’esprit. Je le lisais à la bibliothèque de l’Institut en attendant l’heure du vote et de la bataille au scrutin, et à moins que la préoccupation du combat m’ait absolument troublé l’esprit, j’ai cru lire dans le travail du grand géomètre, une proposition qui réduite à ce qu’elle a d’essentiel, consiste dans ce qui suit.
Sur une droite OO′ faisant [avec] 1 un axe AB, l’angle p, projetez un arc de courbe plane, MN, et soit AA′ la projection (Cauchy dit, projection absolue?); vous aurez la formule: MN =
1 4
z
+π
−π
AA' dp
Or à moins d’une complète aberration qui m’aurait fait lire de travers, et ne rien comprendre au texte, il me paraît de toute évidence que le théorème tel que je l’énonce, est archifaux. Car sans changer la projection AA′, il est clair que vous pouvez modifier la forme et la grandeur de l’arc de courbe MN. Me permettrez-vous de vous prier de m’aider à comprendre ce que Cauchy a voulu dire, une aussi énorme erreur n’étant pas supposable surtout dans un article étendu, mais dont aucun point je dois vous l’avouer ne m’a semblé suffisamment expliqué, de sorte que tout l’article reste pour moi enveloppé d’obscurité. En vous priant aussi de faire savoir à l’occasion à M. Cremona, qu’en raison de son intérêt et de son importance j’ai cru devoir déposer aux archives de la Faculté des Sciences, l’exemplaire qu’il a bien voulu me donner de son rapport sur l’enseignement supérieur en Italie, je vous renouvelle mon cher Monsieur Genocchi l’assurance des sentiments que vous me connaissez depuis longtemps, de la plus haute estime et de la plus sincère affection. Ch. Hermite 1
Lacuna nell’originale.
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82.[82] Paris 26 Mai 1885 Cher Monsieur Genocchi, J’ai grande hâte de vous dire ce que je mets à la charge de Mazzini tout prêt à accueillir une rectification, si vous me l’envoyez. En premier lieu et en 1883, c’est en sa présence qu’un de ses complices prenant un poignard sur la table le remit à Gallenga qui venait d’annoncer son intention 1 d’assassiner le roi Charles Albert. En 1837, une lettre de lui contient textuellement ce qui suit: Où pensais-je ainsi le droit de décider de l’avenir et d’entraîner des centaines de milliers d’hommes à se sacrifier eux-mêmes et avec eux tout ce qu’ils avaient de plus cher? Mes souffrances devenaient si vives que je côtoyais la folie. Parfois je m’éveillais subitement la nuit au milieu de mes rêves, et je courais tout en délire à la fenêtre, croyant entendre la voix de Ruffini qui m’appelait etc. Vous savez que Ruffini arrêté à la suite d’une conspiration avait refusé de nommer ses complices, entre autres Mazzini dont il était l’ami intime, et pour échapper au supplice s’était tué dans sa prison. Je vous écris à la hâte et sous l’impression que je recueille à la séance de l’Académie d’une inquiétude extrême, sur ce que peuvent amener les funérailles de Victor Hugo; on craint une levée de boucliers de la commune et une bataille dans la rue; que Dieu nous garde! Adieu mon cher Monsieur, et avec la nouvelle assurance de mon affection la plus dévouée Ch. Hermite 83.[83] Paris 13 Juin 1885 Mon cher Président, Je ne viens plus vous parler de Mazzini, de la liberté des peuples, ni de l’indépendance de l’Italie, mais de votre liberté à vous et de votre affranchissement, en vous félicitant d’avoir fini vos leçons à l’Université. Moins heureux et vous portant envie je viens de préparer ma leçon d’aprèsdemain qui ne sera pas la dernière. Les obsèques de Victor Hugo m’ont donné une journée de congé dont je me serais bien passé; je ne puis supprimer la théorie des fonctions elliptiques de mon cours, pour rendre 1
Nell’originale: son l’intention.
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hommage à la gloire du poète et j’honorerai à ma façon sa mémoire en déplorant de rester dans la ville-lumière, la ville pensée, la ville monde, au lieu de m’en aller en Lorraine. J’ai vu de ma fenêtre la pompe de ses funérailles, le cortège officiel, la garde municipale à pied et à cheval, les fantassins, la cavalerie l’artillerie, les députés, les sénateurs, les membres de l’Institut. La veille, une circulaire du recteur M. Gréard, m’apprenait que cinq de nos collègues de la Faculté des sciences, Darboux que j’ai plaint de tout mon cœur, puis M. Troost, M. Dastre et deux jeunes maîtres de Conférences, étaient désignés et convoqués d’office, pour nous représenter et prendre place immédiatement avant le Tribunal Civil de la Seine! C’était beau comme le pas d’armes du roi Jean; mais au temps du roi Jean la démocratie n’avait point place au soleil, et aux obsèques de celui qui s’est abaissé à la chanter, elle a envoyé, la Société de grelot, la Société de l’Aurore, l’Union humanitaire, les Cuisiniers réunis, les Aspirants cordonniers, les Bottiers du devoir etc. etc. comme pour consacrer sa théorie que le laid, le grotesque, le difforme sont une partie nécessaire de l’art. Est-ce aussi la théorie de Léopardi? Ce n’était pas celle des Feuilles d’Automne, ni des Orientales, et je n’applaudis aucunement à son triomphe dans Hernani, Ruy-Blas, le Roi s’amuse, etc. On raconte Mon cher Président, un mot de M. Bertrand dont j’ai l’indiscrétion de vous faire part: ceux qui disent que Victor Hugo est un crétin, exagèrent. Mais croyez bien que beaucoup d’orateurs officiels qui ont prophétisé que le 19me siècle s’appellerait le siècle de Victor Hugo, de Victor Hugo le grand, sont moins coupables de leurs absurdes emphases, que de leur crainte de faire scandale dans le moment, en disant ce qu’ils pensaient. Je me sauve de la poésie, je m’empresse de fuir les fées, les sylphes, les corsets, les paladins, les archers et les timbaliers, les nains, les chauvessouris, les burgraves etc, je viens vous dire que je ressens quelque chose de l’incomparable honneur de la présence de vos augustes souverains à la séance de l’Académie des Lincéi, et que de loin, de bien loin, mes sentiments de respectueuse sympathie pour le Roi, se joignent à ceux de mes confrères. Ce m’est comme un dédommagement après vous avoir exprimé mon aversion et mon horreur pour les démonstrations des Universités en l’honneur d’une sanglante mémoire, d’applaudir avec l’immense majorité des honnêtes gens, des gens de bon sens en Italie, un Roi qui traite la science comme un des plus grands intérêts du pays. Napoléon III, n’est jamais venu à une séance de l’Institut, toutefois il a fondé un prix à donner tour à tour par les diverses académies, s’élevant à 20,000 Fr et qui nous est échu cette année. 1 La section de géométrie a 1
Si tratta del Prix biennal dell’Institut de France creato da Napoleone III con il decreto dell’11
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proposé M. Halphen, mais d’autres candidats sont mis en avant, et je ne sais vraiment comment on va pouvoir comparer des mérites aussi peu comparables que les voyages de M. Savorgnan de Brazza au Congo, les libéralités astronomiques de M. Bischoffsheim, les découvertes physiologiques de M. Brown-Séquard, et les beaux mémoires d’Halphen. J’ai demandé à M. Bonnet qui m’a promis de s’en occuper, d’éclairer le mémoire de Cauchy sur les rectifications et les quadratures; 1 j’espère qu’il réussira à le débrouiller; pour moi j’y renonce. En vous renouvelant Mon cher Président, l’expression de ma constante et bien cordiale affection. Ch. Hermite 84.[84] Paris 2 Juillet 1885 Mon cher Président, Après les leçons viennent les examens, et demain je commence avec les candidats à la licence pour continuer sans désemparer tout le mois de Juillet, à interroger sur la physique, la chimie, la zoologie, l’arithmétique, la géométrie, etc etc. Permettez-moi avant d’entreprendre ce pèlerinage aux stations multipliées dans toutes les branches de l’enseignement élémentaire, de répondre à votre question au sujet du Mémoire de Cauchy dans le T. 22 des Mémoires de l’Académie des sciences. 2 Ce n’est pas à M. Bonnet, qui est paresseux et malgré sa promesse ne s’est pas occupé du sujet, c’est à M. Picard que je suis redevable des éclaircissements qui font comprendre la pensée de Cauchy, mais en même temps diminuent beaucoup l’intérêt que j’avais pris à son travail. Tout repose sur la manière de comprendre ce qu’il nomme projection absolue, et cette considération introduite par le grand géomètre, ne semble pas à moins que je ne me trompe grandement, appelée à rester dans la science. Agosto 1859 in sostituzione del premio triennale istituito col decreto del 14 Aprile 1855. Il premio, tuttora esistente, viene assegnato di volta in volta, con cadenza biennale, alle cinque accademie che compongono l’Institut de France, premiando l’opera o la scoperta che è designata dalla maggioranza dei suffragi delle accademie riunite. Hermite cita, subito dopo, i nomi di alcuni candidati al Prix biennal dell’Institut de France proposti, nell’ordine, dalle sezioni di geometria, di geografia e navigazione, astronomia e medicina e chirurgia. Per i dettagli cfr. i verbali delle sedute del Comité secret del martedì 2 Giugno e dell’8 giugno 1885. 1 Si tratta della memoria di Cauchy citata nella lettera del 18 maggio 1885 (cfr. nota 3, p. 191). 2 Cfr. qui nota 1.
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Soit AB une droite se projetant en ab sur une droite fixe, qui fait avec l’axe Ox l’angle que Cauchy désigne par p. Si vous désignez par ϕ l’angle de AB avec Ox, de sorte qu’on ait: ab = AB cos (p – ϕ) l’intégrale que Cauchy envisage, est la suivante: 1 4
z
+π
−π
a
f
AB cos p − ϕ dp
et voici de quelle manière singulière, le grand géomètre arrive en effet à obtenir qu’elle coïncide précisément avec AB. Il faut pour cela mettre
cos (p – ϕ) à la torture, en lui enlevant son signe, et écrire si vous voulez:
a f
cos 2 p − ϕ
avec la condition que la racine carrée sera prise positivement. Soit p – ϕ = x, de sorte que l’intégrale devienne
z z
π +ϕ
− π −ϕ
ou encore:
ψ +2π
ψ
cos xdx
cos xdx
en posant: – π – ϕ = ψ. J’admettrai pour fixer les idées que ψ soit positif π
et < , cela étant je décompose l’intégrale, de la manière suivante: 2
z
π
2
ψ
cos xdx +
z
3 π 2
π
2
cos xdx +
z
2π
3 π 2
cos xdx +
z
ψ +2π
2π
cos xdx ,
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puis je me conforme à la convention faite, en changeant le signe de la seconde et de la troisième. J’ai ainsi
z
π
2
ψ
cos xdx −
z
3 π 2
π
2
cos xdx −
z
2π
3 π 2
cos xdx +
z
ψ +2π
2π
cos xdx
et par conséquent:
LMsin π2 − sinψ OP − LMsin 23 π − sin π2 OP − LMsin 2π − sin 23 π OP + sin (ψ + 2π ) − sin 2π Q N Q N Q N c’est-à-dire: 1 – sin ψ – [– 1 – 1] – [– 1] + sin ψ = 4 Vous voyez quelle étrange fonction de l’angle p, représente la projection absolue, d’une suite d’éléments rectilignes tels que AB, et par suite d’une portion de courbe quelconque. Peut-être trouvera-t-on quelque jour et pour un autre but, à modifier cos x, en le rendant toujours et continuellement positif, comme le fait Cauchy; son idée serait alors justifiée, mais l’application géométrique me laisse bien en doute sur sa valeur. Le choléra Espagnol devient bien menaçant, la moitié des malades succombe, il ne faut pas nous dissimuler qu’une terrible calamité nous menace. On me dit à l’École Normale, qu’au laboratoire de M. Pasteur, on garde une réserve défiante, à l’égard du Dr Ferran, nous n’avons donc sans doute qu’à nous résigner. En vous renouvelant mon cher Président l’assurance de mon affection bien sincère et bien dévouée Ch. Hermite 85.[85] La Bourboule (Puy-de-Dôme) 4 Août 1885 Mon cher Président, Mon absence de Paris n’aura occasionné qu’un retard et n’empêchera pas que l’excellente note que vous m’avez adressée qui est un acte de justice nécessaire, soit présentée à la prochaine séance de l’Académie pour être publiée dans le Compte-rendu de cette séance. 1 C’est à la Bourboule où 1 Si tratta della seguente nota: A. Genocchi, Remarques sur une démonstration de la loi de réciprocité, «Comptes rendus hebdomadaires des séances de l’Académie des Sciences», 101 (1885), pp. 425-427. Questa breve nota, che ne richiama un’altra analoga (Id., Sur la loi de réciprocité de Legendre étendue aux nombres non premiers, ibid., 90 (1880), pp. 300-303), contiene
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je me trouve par ordonnance médicale que m’est parvenue votre lettre ainsi que vos deux brochures au sujet desquelles je viens vous faire mon compliment, et en même temps vous exprimer un regret. Et d’abord vous êtes extrêmement clair, je me sens heureux de pouvoir vous lire et vous comprendre sans que vous me demandiez les efforts qu’exigent tant d’auteurs. Ensuite vous êtes un ami dévoué de l’arithmétique que je n’aime pas moins que vous, et la sûreté de votre jugement se manifeste avec une telle force, par exemple à la page dernière, de votre lettre à moi adressée, que je ne puis m’empêcher de vous exprimer l’importance extrême que j’attache à votre appréciation. Le lemme que Gauss a démontré dans l’hiver de 1806-1807, est la chose capitale, dans cette grande question des lois de réciprocité, c’est la pierre angulaire de toutes les démonstrations, qui se sont succédé, et c’est avec bien grande raison que vous dites: on ne sait si les autres auteurs auraient pu par eux-mêmes parvenir à ce lemme, ou s’en dispenser. 1 Vous affirmez ailleurs l’importance de ce lemme, dans votre article, sur quelques théorèmes qui peualcune precisazioni sulla priorità di risultati relativi alla legge di reciprocità di cui Genocchi si era occupato in un lavoro del 1852 (cfr. A. Genocchi, Note sur la théorie des résidus quadratiques, «Mémoires couronnés et mémoires des savants étrangers, Académie royale des sciences, des lettres et des beaux-arts de Belgique», 25 (1852), pp. 1-54). Nella già citata nota del 1880 aveva poi dimostrato la legge di reciprocità per numeri dispari anche composti e primi fra loro servendosi di una estensione di un lemma di Gauss. Una prima precisazione, riguarda la dimostrazione della legge di reciprocità, data da Zeller, estesa a numeri non primi e presentata da Kronecker all’accademia delle scienze di Berlino nel dicembre 1872 (cfr. «Monatsberichte der Königlich Preussischen Akademie der Wissenschaften zu Berlin», (1872), pp. 846-847), la quale, scrive Genocchi, è contenuta nei suoi risultati. Viene successivamente considerata l’estensione del lemma di Gauss, che è attribuita a Schering, a cui quest’ultimo deve essere pervenuto autonomamente per poi comunicarla a Kummer che la presentò all’accademia delle scienze di Berlino nella seduta del 22 giugno 1876 (ibid., (1876), pp. 330-331). Ma Genocchi precisa che nella medesima seduta dell’accademia di Berlino, successiva alla presentazione di Kummer è inserita una comunicazione di Kronecker, che rivendica di aver esposto la stessa estensione nelle sue lezioni dell’inverno 1869-70 e ne espone compiutamente i relativi sviluppi. Risulta dunque che Kronecker conosceva quella estensione prima di Schering. Qualche dettaglio in più sulla questione si trova: A. Genocchi, Intorno all’ampliazione d’un lemma del Gauss, «Bullettino di bibliografia e di storia delle scienze matematiche e fisiche», 18 (1885), pp. 650-651. Genocchi termina la nota riconoscendo Eisenstein come l’autore a cui sono dovuti molti dei risultati da lui impiegati nel suo lavoro del 1852, e scrive di non averli citati in quell’articolo poiché al tempo della redazione non era venuto a conoscenza delle pubblicazioni ingegnose e di grande merito del celebre matematico. Per una valutazione del lavoro del 1852 può essere interessante leggere la lettera di Kronecker a Siacci del 23 aprile 1889, riportata nel necrologio di Genocchi (cfr. F. Siacci, Cenni necrologici di Angelo Genocchi, «Memorie della Reale Accademia delle Scienze di Torino», 39 (1889), pp. 463-495, pp. 480-482). Ancora su questo argomento e sui contenuti della lettera di Kronecker si veda l’articolo: C. Viola, Alcuni aspetti dell’opera di Angelo Genocchi riguardanti la teoria dei numeri, in Angelo Genocchi e i suoi interlocutori scientifici, a cura di A. Conte, L. Giacardi, Torino, Deputazione subalpina di storia patria, 1991, pp. 11-25, pp. 1725. 1 Cfr. A. Genocchi, Sur la loi de réciprocité de Legendre..., cit., p. 302.
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vent conduire à la loi de réciprocité de Legendre, en en donnant à la page 6, une démonstration facile et élégante, 1 et en fait il contient une découverte d’un prix inestimable. En vous exprimant le regret que le nom et les travaux d’Eisenstein ne soient pas mentionnés dans vos articles, je dois vous dire que les démonstrations analytiques si ingénieuses que l’éminent géomètre a publiées dans le Journal de Liouville, 2 reposent sur ce même lemme qui leur sert de fondement essentiel, j’oserai dire qui en contient toute la force. Quel que soit le mérite, et il est incontestable, de toutes les démonstrations, il me semble bien secondaire devant la découverte de Gauss, et la modeste qualification du lemme ne doit pas réussir à en masquer l’éclat. Vous avez à cet égard dit la vérité, et je ne vous cache point qu’il ne me semble pas inutile que les choses soient mises à leurs places. Permettez-moi mon cher Président, de vous annoncer une belle et importante découverte algébrique de M. Gordan, 3 qui j’espère vous intéressera. Elle concerne la réduction de l’équation générale du 5me degré, à l’une de ces deux formes, où n’entre plus qu’un paramètre, et dont la solution s’obtient par les fonctions elliptiques. La première forme est celle de Jerrard, ou de Bring: 4 x5 + x + a = 0, que j’ai employée, et la réduction s’obtient avec deux racines carrées, puis la racine d’une équation du 3me degré. L’autre est celle de M. Brioschi et de M. Kronecker: 5 x5 – 10x3 +4x=Const. 1 Si tratta del seguente lavoro: A. Genocchi, Sur quelques théorèmes qui peuvent conduire à la loi de réciprocité de Legendre, «Bullettino di bibliografia e di storia delle scienze matematiche e fisiche», 18 (1885), pp. 238-243. Di questo esiste un estratto conservato alla Biblioteca Comunale Passerini-Landi di Piacenza (coll. 6I. II. 17-18), rispondente alla numerazione di pagine a cui si riferisce Hermite in questa missiva. 2 Si tratta del «Journal de mathématiques pures et appliquées», fondato da Liouville nel 1836. 3 Si tratta del seguente lavoro: P. Gordan, Sur les équations du cinquième degré, «Journal de mathématiques pures et appliquées», s. 4, 1 (1885), pp. 455-458. 4 Nel 1786 il matematico svedese Bring ridusse l’equazione generale di quinto grado in forma trinomia impiegando una trasformazione di tipo Tschirnhaus i cui coefficienti si esprimono con tre radici quadrate e una radice cubica. Jerrard ottenne lo stesso risultato, indipendentemente e in forma più generale, riducendo un’equazione algebrica di grado n > 3 ad un’equazione in cui i coefficienti dei termini di grado n – 1, n – 2, n – 3 sono nulli. Il primo risultato si trova nel lavoro seguente: E. S. Bring, Meletemata quaedam mathematica circa transformationem aequationum algebricarum, Lund, 1786. L’altro risultato si trova in: G. B. Jerrard, Mathematical Researches, 3 voll., Bristol-London, 1832-1835. Hermite nel suo lavoro sulla soluzione della quintica in termini di funzioni ellittiche modulari, non conoscendo il risultato di Bring, cita solamente Jerrard, affermando che il suo teorema era il contributo più importante alla teoria dell’equazione algebrica di quinto grado, dai tempi di Abel (cfr. C. Hermite, Sur la résolution de l’équation du cinquième degré, «Comptes rendus hebdomadaires des séances de l’Académie des Sciences», 46 (1858), pp. 508-512). La parziale priorità di Bring fu riconosciuta nel 1861 attraverso le ricerche di C. Hill, professore di matematica all’Università svedese di Lund. 5 Va segnalato che Gordan alla pagina 458 del lavoro citato in questa missiva (cfr. qui nota 3) perviene alla trasformata seguente: u5 – 10u3 +45u = cost.
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c’est à cette réduite de l’équation générale que M. Gordan parvient au moyen de trois racines carrées, et dont l’une est celle du discriminant de la proposée. Par conséquent M. Brioschi a été mieux inspiré et plus heureux que moi; il est clair que sa réduite est consacrée à tout jamais, par la découverte de M. Gordan, dans la question de la résolution elliptique de l’équation du 5me degré. Adieu mon cher Président, je me sens bien triste en songeant à l’avenir menaçant que nous préparent les futures élections, et au choléra qui s’avance bien autrement redoutable, que l’année dernière; s’occupe-t-on en Italie du Dr Ferran? Que Dieu nous garde, et en vous renouvelant l’expression de mes sentiments d’amitié bien dévouée Ch. Hermite 86.[86] Flanville par Metz, 6 Septembre [1885] 1 Mon cher Président, J’ai été bien douloureusement affecté en arrivant en Lorraine par une lettre de Madame Bouquet qui m’apprenait que son mari était dans un état désespéré. M. Brouardel qui a été son médecin depuis le début de la maladie avait déclaré qu’on ne pouvait plus avoir l’espérance de le conserver, et c’est en pensant que peut-être j’assisterai à ses obsèques que je suis immédiatement parti pour Paris. Mais un répit semble accordé au malade, Madame Bouquet m’a conduit auprès de lui, je l’ai vu sur son lit presque entièrement paralysé, et ne pouvant plus remuer que la main gauche. Il m’a reconnu, il a même souri, mais je ne puis douter que ce ne soit pour la dernière fois que je l’aie vu et que je lui aie serré la main. Sunt lacrymae rerum et mentem mortalia tangiunt; 2 depuis dix-huit ans, tant à l’École Polytechnique qu’à la Sorbonne, nous avions été associés au même enseignement; toujours et en toute chose nous nous trouvions du même avis, je comptais sur mon bien cher collègue et ami comme il comptait sur moi et il va me manquer bien cruellement. Tel est donc le cours des choses; il faut demander au travail le remède à la tristesse, mais j’avoue n’y point recourir aussi courageusement qu’il le faudrait. Une lettre de M. Catalan m’a appelé sur le 1 In calce all’originale si trova la data apposta da Hermite senza l’indicazione dell’anno. Una mano diversa ha riscritto a matita in alto a destra del primo foglio la data «6 septembre 1885» integrando con l’anno quella finale. La data integrata si rivela esatta perchè in apertura Hermite riporta la notizia che il suo collega ed amico Bouquet è morente, e la sua morte, sappiamo, è 2 Virgilio, Eneide, I, 462. avvenuta il 9 settembre 1885.
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domaine des fonctions Xn, en me communiquant la relation suivante qui est fort élégante, et dans laquelle il faut supposer que n soit impair à savoir: 1 X n − n1 xX n −1 + n 22 x 2 X n − 2 − L − x n = 0 ou encore sous forme symbolique: (X – x)n = 0 En cherchant à la démontrer, j’ai été conduit à cette remarque. Soit pour n quelconque: Xn = F(x) et désignons par a une constante quelconque. On a: F
FH
x−a 1 − 2ax + a 2
IK = FH
X−a 1 − 2a + a 2
IK
n
le numérateur dans le second membre, étant seul symbolique, c.-à.-d. qu’il faut écrire: (X – a)n = Xn – n1aXn–1 +n2a2Xn–2 – ··· Vous voyez que si l’on suppose n impair, le premier membre s’évanouit pour a = x, d’où l’identité intéressante de M. Catalan. Il est curieux que la même relation ait lieu encore, si au lieu du polynôme de Legendre, on prend: F (x) = cos n [arc cos x] ou bien: F ( x) =
sin n [ arc cos x ] 1− x2
On a dans ce dernier cas: F
FH
x−a 1 − 2ax + a 2
IK
1 = 1 − 2ax + a 2
FH
X−a 1 − 2ax + a 2
IK
n
1 Il simbolo X indica l’n-esimo polinomio di Legendre; se ne trova conferma esplicita n nell’ultima parte della missiva. Va segnalato che nell’equazione della riga che segue, ottenuta dallo sviluppo della successiva potenza simbolica, il coefficiente n22 dato nell’originale, dovrebbe essere n2 se si osserva la definizione dell’analoga potenza simbolica, data alcune righe dopo, per x = a.
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Avez-vous lu Mon cher Président un roman de Walter Scott, où un Barde est prié de chanter, et après avoir accordé sa lyre n’en peut tirer que des notes plaintives. L’instrument prophétique annonçait à l’assistance joyeuse, des malheurs prochains; je ne suis ni barde ni musicien, mais malgré moi, je ne vous conte que des tristesses. Les nouvelles du choléra à Toulon sont alarmantes, et j’entends dire que le fléau a abordé l’Italie. Serait-ce vrai? En vous renouvelant Mon cher Président, l’expression de mon constant et bien sincère attachement. Ch. Hermite 87.[87] Paris 12 Décembre 1885 Mon cher Président, J’ai hâte de répondre à votre appel, je viens vous dire que depuis mon retour de vacances j’ai été chargé d’ouvrage, et que M. Kronecker y a contribué en me demandant pour le T[ome] 100 de son Journal, un article qu’il m’a bien fallu écrire. 1 Les difficultés dont il a été la cause ne me sont pas entièrement inconnues, et déjà j’avais appris par M. du Bois Reymond qu’on avait à Berlin la crainte extrême qu’il ne parût pas à la fête dont Weierstrass a été l’objet à l’occasion de son 70me anniversaire, ce qui aurait fait comme un schisme dans l’Allemagne mathématique. Ces prévisions qui avaient sans doute leurs fondements ne se sont pas réalisées, et ce m’a été une grande satisfaction d’apprendre par M. du Bois-Reymond lui-même que M. Kronecker revenant d’un voyage en Italie, s’était l’un des premiers présenté chez son émule pour lui offrir ses félicitations. Mais mon cher Président vous m’affligez en m’apprenant qu’un dissentiment est survenu entre lui et M. Schwarz, qui cependant lui était bien attaché, car je tiens de lui qu’il a voulu qu’un de ses enfants s’appelât Léopold, comme M. Kronecker. Que devenir dans ce conflit entre géomètres illustres qui sont tous des hommes excellents, et quel malheur de se trouver partout le doigt pris entre l’écorce et l’arbre! J’ai la certitude que M. Kronecker qui se blesse trop facilement a le meilleur cœur du monde, et qu’il s’empresse à mettre lui-même une feuille de dictame 2 sur les blessures qu’il a faites aux autres. Vos rapports 1 Si tratta del lavoro seguente: C. Hermite, Remarques arithmétiques sur quelques formules de la théorie des fonctions elliptiques, «Journal für die reine und angewandte Mathematik», 100 (1887), 2 Nell’originale: dictamne. pp. 51-65.
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avec lui ne contredisent pas le sentiment tout favorable que je vous exprime, mais en même temps on ne peut contester une certaine tendance agressive 1 dont M. Camille Jordan lui garde non pas rancune mais souvenir, et que d’autres à ma connaissance ont aussi éprouvée. Permettez-moi mon cher Président, de vous demander si je puis vous adresser quelques exemplaires d’un opuscule, intitulé Sur quelques applications des fonctions elliptiques, 2 dont le premier vous est destiné, en vous priant d’en agréer l’hommage, un autre à l’Académie, avec prière d’en faire en mon nom l’hommage à ceux qui m’ont donné l’honneur de me dire leur confrère, puis à M. Siacci et à M. d’Ovidio, les deux autres. Ensuite mais sous la réserve expresse que ce ne soit pas pour vous un embarras, je pourrais avec votre agrément, joindre au même envoi, des exemplaires pour l’Académie Rle des Lynceï, l’Académie des sciences de Naples, 3 la Société Italienne des XL, avec mission d’en faire également à ces trois corps savants auxquels j’appartiens. Vous m’excuserez si je suis indiscret, pour ce motif que je n’ai avec personne en Italie des rapports suivis et affectueux comme avec vous. Ce n’est d’ailleurs qu’un premier fascicule que M. Gauthier-Villars, m’a presque forcé de publier, le second qui complétera mes recherches sur ce sujet, je l’ajourne quand je serai sorti d’un autre travail qui va m’occuper grandement et me prendre tout mon temps. M. Hermann me demande un 3me tirage de mes leçons de la Sorbonne et quoiqu’il n’y ait pas là d’efforts d’inventions à faire, le labeur est assez sérieux pour que je m’y consacre exclusivement. En vous demandant de ne point me faire attendre votre réponse, je serais désireux de recevoir en même temps votre avis sur les discours prononcés dernièrement à l’Académie Française par M. Bertrand et M. Pasteur; 4 on juge ici que le second orateur a été supérieur au premier. En vous renouvelant Mon cher Président l’expression de mes sentiments les meilleurs et les plus dévoués. Ch. Hermite 1
Nell’originale: aggressive. Si tratta dell’opuscolo seguente: C. Hermite, Sur quelques applications des fonctions elliptiques, Paris, Gauthier-Villars, 1885 (di cui un’esemplare è conservato alla Biblioteca Comunale Passerini-Landi di Piacenza con la collocazione 6F.II. 20). Questo opuscolo riproduce la grande memoria dal medesimo titolo che Hermite pubblicò in numerose riprese, dal 1877 al 1882 sui «Comptes rendus hebdomadaires des séances de l’Académie des Sciences». Il contenuto dell’opuscolo è ripreso integralmente in C. Hermite, Œuvres, 4 voll., Paris, Gauthier-Villars, 1912, vol. III, pp. 266-418. 3 Hermite era stato eletto Socio Straniero dell’Accademia delle scienze fisiche e matematiche di Napoli, nella sezione di Scienze matematiche, il 9 aprile 1881. 4 L’argomento qui accennato viene ripreso nella lettera del 17 dicembre 1885 (cfr. nota 2, p. 204). 2
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88.[88] Paris 17 Décembre 1885 Mon cher Président, Le Journal le Temps, en rendant compte dans un article signé Scherer, 1 de la séance de réception de M. Bertrand à l’Académie Française, 2 a dit que son discours qu’il loue beaucoup, n’a pas eu autant de succès qu’il le méritait. Il est de fait qu’à la lecture cet excellent morceau littéraire gagne beaucoup, on avait un peu de peine à cause de la contexture trop serrée des phrases, à tout comprendre immédiatement en l’écoutant. Et puis une autre circonstance, moins littéraire que météorologique a eu son influence défavorable. L’auditoire à l’exception des privilégiés en petit nombre occupant ce qu’on nomme les places du centre, avait longtemps attendu par un temps froid et neigeux avant de pénétrer dans l’enceinte. On était gelé, ni M. Bertrand ni M. Pasteur n’ont eu les applaudissements auxquels je m’attendais, ce qui n’a pas empêché que les deux discours n’aient eu un grand retentissement et ne soient devenus l’objet de nombreux commentaires. Celui de Pasteur, autant que j’en puis juger et d’après ce qui me revient aurait encore eu un plus grand succès que l’autre; l’orateur était comme vous me le dites justement, sur son terrain, plus que M. Bertrand. Cependant le portrait de M. de Humboldt a paru écrit de main de maître, 3 et Madame Langier qui avait vu de près et beaucoup connu le savant illustre en a fait son vif compliment aux récipiendaires. Madame Hermite se fait en ce moment auprès de son frère, qui l’entendra avec grand plaisir, l’écho de notre opinion sur son discours. Son père lui avait donné ainsi qu’à Madame Picard, Madame Appell, et d’autres dames amies de la famille, des places du centre, de sorte que son honorificence rejaillissait sur tous les siens. Car il faut vous le dire, l’Académie Française est le suprême honneur en France auquel on puisse atteindre dans le domaine de l’intelligence, les autres académies de l’Institut y compris l’Académie des sciences, étant bien au-dessous dans l’opinion publique. 1 Il quotidiano è «Le Temps» di sabato 12 dicembre 1885. L’articolo: La réception de M. Bertrand è firmato Ed. Scherer. 2 J. Bertrand fu eletto il 4 dicembre 1884 all’Académie Française come successore del chimico Dumas, deceduto l’11 aprile 1884. Nella seduta pubblica di ammissione di giovedì 10 dicembre 1885, Bertrand ha pronunciato il discorso citato da Hermite che è una commemorazione del suo predecessore, a cui ha fatto seguito la replica di Pasteur direttore dell’Académie Française. Entrambi i discorsi sono stati pubblicati dall’Institut de France con il titolo: Discours prononcés dans la séance publique tenue par l’Académie Française pour la réception de M. J. Bertrand, Paris, 1885. 3 Nell’elogio di Dumas pronunciato da Bertrand viene citato Alexander von Humboldt (17691859), grande naturalista e geografo del diciannovesimo secolo.
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Vous m’apprenez mon cher Président une bien triste chose en m’annonçant la brouille de Kronecker et de Schwarz, et une lettre de M. Fuchs me fait part en même temps des contrariétés et des grandes difficultés que lui créent les dissidences entre les plus grands mathématiciens. Que se passe-t-il donc de l’autre côté du Rhin, où la discorde semble avoir fait élection de domicile, car la paix mathématique est complète chez nous et je n’en doute pas en Italie! J’ai profité largement surabondamment, je crains même d’avoir dépassé la mesure et abusé de votre complaisance, en vous adressant les exemplaires de mon opuscule elliptique destiné aux savants et corps savants Italiens. Mais je n’ai pu résister au plaisir, et j’ai voulu me donner l’honneur que les Académies dont je suis membre étranger, et les Académiciens dont je suis l’ami, reçoivent par votre intermédiaire un léger témoignage de mes sentiments de reconnaissance et d’affection. Ces sentiments vous sont tout particulièrement dus, mon cher Président, c’est en y joignant mes vœux pour votre santé, pour que vous soyez bientôt rendu à votre enseignement, que je vous renouvelle l’assurance de mon amitié la plus sincère et la plus dévouée. Ch. Hermite 89.[89] Paris 28 Décembre 1885 Mon cher Président, Je viens vous offrir mes souhaits de bonne année, et les vœux que je forme avant tout pour votre santé dont je serais bien heureux de recevoir des nouvelles, depuis que j’ai eu le regret d’apprendre que vous avez dû vous faire suppléer à l’Université. Sans être bien renseigné sur le climat de Turin, je crois cependant savoir qu’il y fait très froid en hiver et très chaud en été, et je ne puis m’empêcher de redouter pour vous ces conditions mauvaises pour les malades atteints de bronchite. Hélas cette question de santé est sérieuse à nos âges, et chaque jour je me sens tenu de compter avec une disposition plus ou moins favorable ou tout à fait défavorable pour le travail. Je n’ai plus comme l’année dernière à faire le cours d’Analyse de la Sorbonne pendant le premier semestre, c’est à M. Picard qu’il revient maintenant, mais j’ai pris une autre charge, qui me demande de l’attention et un sérieux travail. M. Hermann l’éditeur de mon cours lithographié m’a demandé de faire une troisième édition, et c’est ce dont je m’occupe. Il m’a fallu entièrement refondre les premières leçons, et à moins que le courage ne me manque, je me
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propose d’ajouter à ce que j’ai précédemment donné sur les fonctions elliptiques. Le tout mon cher Président, pour être soumis à votre jugement si sûr, au point de vue pédagogique autant et plus qu’au point de vue analytique. Je ne sais si vous partagerez une manière de voir sur laquelle je me permets en ce moment de vous demander votre avis. A tort ou à raison je me suis porté à regarder l’analyse, la géométrie, toutes les branches des mathématiques, comme étant en grande partie, sciences d’observation. Je me figure que les fonctions de l’analyse, les nombres, les courbes et les surfaces, ont une réalité en dehors de nous, et qui s’impose à nous, de sorte que les géomètres sont plutôt les serviteurs que les maîtres et créateurs de leur science. Il me semble que les fonctions elliptiques, les formes quadratiques, etc ne sont point le produit de notre intelligence et de nos efforts, mais qu’avec nos efforts et notre intelligence nous avons réussi à les rencontrer dans un certain domaine des choses réelles, où elles avaient leur existence en dehors de nous. 1 Bref je crois à une réalité subjective, s’imposant tout aussi fatalement, que la réalité objective du monde sensible, et que nous visitons en constatant quelques uns de ses attributs, et faisant des observations que nous rassemblons, dans l’attente d’une lumière que produira la comparaison. Mais je m’aventure, et vous souriez mon cher Président, aussi je me hâte de revenir au positif, à la pratique, bref à la rédaction de mes leçons. Ma théorie serait autant que possible, autant que je le puis, de faire résulter les faits analytiques, d’observations, de sorte que l’exposition se rapproche ainsi, à ce que je crois de moins, de l’invention. Je voudrais mais mon désir peut être figuré par un point asymptotique, que l’étude de l’Analyse fût une promenade, où il n’y aurait d’autre effort que de marcher et de regarder. Je ne sais si c’est Bessel ou Gauss, qui aurait dit que l’Analyse est surtout une science pour les yeux, rien n’exprime mieux mon sentiment intime, et je me laisse aller à croire que chacune des vérités de la science pourra s’acquérir par un simple coup d’œil, lorsqu’on sera parvenus au chemin direct et de moindre étendue qui y conduit. Passant à un autre bavardage, je me permets de vous dire que M. Bertrand donne ce soir un dîner géométrique en l’honneur de notre ami M. Sylvester, et aussi du successeur à Helsingfors de M. Mittag-Leffler, M. Neovius l’élève distingué de M. Schwarz, qui a publié d’excellentes recherches sur les surfaces minima. Madame Appell, Madame Picard, Madame Jordan accompagnent leurs maris, et causeront avec Madame Neovius, pendant que nous disserterons entre nous. 1 Hermite ha già espresso più volte questo suo realismo platonico nei confronti del pensiero matematico (cfr. let. 11, p. 54).
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En vous renouvelant mes souhaits de bonne année et en attendant vos nouvelles, veuillez mon cher Président recevoir l’expression de mes sentiments d’amitié bien sincère et bien dévouée. Oserais-je aussi à cette occasion de la nouvelle année, vous charger de mes compliments pour M. Siacci? Ch. Hermite 90.[90] Paris 25 Janvier 1886 Mon cher Président, Je regrette bien vivement que mes remerciements pour la bonté que vous avez eue de me servir si obligeamment d’intermédiaire auprès des académies et de nos amis communs, pour leur faire parvenir mes opuscules, aillent vous chercher dans votre chambre de malade. Autant que j’en puis juger d’après ce que vous m’apprenez de votre disposition, vous êtes atteint de ce qu’en France nous nommons la grippe, c’est l’affection propre à l’hiver surtout quand il est humide, et nos médecins la guérissent en imposant à leurs malades de garder la chambre en se tenant bien chaudement. Je me permets donc d’entrer chez vous, et de venir auprès de votre feu vous causer des choses du domaine mathématique qui nous intéressent tous deux. Savez-vous d’abord, que Weierstrass n’a reçu ni visites de personnages officiels, ni décoration du gouvernement, à l’occasion du 70me anniversaire de sa naissance, tandis que M. Menzel, le peintre qui a exposé au Louvre plusieurs de ses tableaux, dans une occasion semblable, peu de temps après a été comblé d’honneurs, le prince Impérial étant venu en personne lui adresser ses félicitations. Il faut en conclure que l’austère Allemagne est moins sensible aux triomphes de la science abstraite, qu’aux succès de ses artistes; en Italie si je ne me trompe, les algébristes ne seraient pas moins bien traités que les artistes. Il faut aussi en conclure qu’on doit travailler pour l’amour de la science, et non en vue de l’attention des ministres et des Princes, qui distribuent un peu au gré de leurs fantaisies, les faveurs dont ils disposent. En appliquant ce sage principe, c’est de vous mon cher Président et de quelques-uns de vos amis et nullement de notre République et de ceux qui nous gouvernent que j’attends, si je réussis à la mériter, la récompense du travail dont je m’occupe en ce moment. M. Hermann l’éditeur de mon cours de la Sorbonne, m’a demandé d’en faire une édition nouvelle, et j’y consacre ma peine et mon temps, espérant dans deux mois environ avoir terminé l’œuvre que je
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soumettrai à votre jugement. En attendant permettez-moi de vous dire comment à propos des séries sin x, cos x, je démontre que π est incommensurable. J’opère à peu près comme je l’ai déjà fait pour établir la même chose à l’égard des puissances de e, et voici comment. Soit: X=
sin x , x
puis successivement: 1 sin x − x cos x X1 = − X ′ = x x3 ( 3 − x 2 )sin x − 3 xcos x 1 X 2 = − X1′ = x x5 (15 − 6 x 2 ) sin x − (15 x − x 3 ) cos x 1 X 3 = − X 2′ = x x7
Vous voyez qu’en général on aura: Xn =
Φ ( x ) sin x − Φ 1 ( x ) cos x
x 2 n+1
Φ (x) et Φ1(x) étant des polynômes à coefficients entiers, des degrés n et n–1, ou bien, n – 1 et n, suivant que n est pair ou impair. Et en même temps le développement en série de sin x, donne facilement: 1
Xn =
LM N
OP Q
x2 x4 1 1− + −K 1 ⋅ 3 ⋅ 5...2 n + 1 2( 2 n + 3) 2 ⋅ 4 ( 2 n + 3)( 2 n + 5)
pour toute valeur de n. π b π Ceci posé, faisons x = , et admettons que = , a et b étant entiers. 2 2 a π Pour x = = 1,57K la série 2 S = 1−
x2 x4 + −L 2( 2 n + 3) 2 ⋅ 4 ( 2 n + 3)( 2 n + 5)
est positive, et essentiellement différente de zéro, pour toutes les valeurs n = 1, 2, 3, ..., et ne peut surpasser l’unité, et l’équation précédente en b y faisant ainsi x = , donne le résultat suivant: Φ (x) devient une fraction a 1
È ovvio che l’espressione 1·3·5...2n+1 dell’originale sta per 1· 3 · 5...(2n+1).
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dont le dénominateur est an, où an –1 qu’on peut représenter par An , de a sorte que l’on a: A an
e π2 j
2 n +1
=
1 S 1⋅ 3⋅ 5 K 2n + 1
d’où:
A=
an
π
e2j
2 n +1
1⋅ 3⋅ 5 K 2n + 1
S
ce qui implique contradiction. En effet le premier membre étant entier, le second quand on fait croître n, diminue autant qu’on veut sans jamais devenir nul. Mille remerciements mon cher Président pour le bon et trop indulgent accueil que vous faites à mes confidences esthétiques; c’est à vous seul que je les adresse et à votre amitié que je les confie, j’aurais grande peur de les communiquer à d’autres. M. Siacci est également pour moi d’une bonté à laquelle je suis bien sensible, en me remerciant comme il l’a fait d’avoir donné place à ses belles et profondes recherches sur la rotation, 1 dans mon opuscule; à vous et à lui j’adresse avec mes vœux pour votre prompt rétablissement, l’expression de mes sentiments les meilleurs et les plus dévoués. Ch. Hermite 1 Hermite sul suo opuscolo dedicato alle applicazioni delle funzioni ellittiche, citato nella lettera del 12 dicembre 1885 (cfr. nota 2, p. 203), occupandosi delle applicazioni al problema della rotazione di un corpo rigido intorno a un punto fisso, menziona due lavori di Siacci, dal 1875 professore di meccanica superiore all’Università di Torino, i cui risultati sono succintamente riportati in una sua lettera ad Hermite, del 24 dicembre 1877. Hermite riporta per esteso questa lettera sul suo opuscolo (p. 39), facendola seguire da alcuni particolari di quei lavori che la lettera non riporta e conclude osservando che i risultati di Siacci sono i primi che siano stati aggiunti ai lavori di Jacobi sull’argomento. I lavori sono i seguenti: F. Siacci, Della rotazione dei corpi liberi. Memoria prima [-seconda], «Memorie di matematica e di fisica della Società Italiana delle Scienze (detta dei XL)», s. III, t. 3 (1879), nn. 1, 3, pp. 1-31, 1-39. Una valutazione delle ricerche di Siacci e in particolare di quelle qui citate, sulla teoria delle equazioni canoniche del moto, e quanto quelle ricerche abbiano contribuito a chiarire e diffondere le scoperte di S. Lie in questo settore, si trova nella seguente commemorazione letta all’Accademia delle Scienze di Torino l’1 marzo 1908: G. Morera, Francesco Siacci, «Atti della Reale Accademia delle Scienze di Torino», 43 (1907-1908), pp. 568-578.
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91.[93] Paris 19 Mars 1886 Mon cher Président, Ma conscience me reproche; n’y pouvant tenir, cédant à une force supérieure à laquelle je ne puis résister, et tout à un calcul qui me rappelle un excellent travail que vous avez publié sous ce titre: intorno alla functione Γ(x), et alla serie dello Stirling etc, 1 je viens me rappeler à vous, vous demander de vos nouvelles et vous parler un peu de moi. Le Ministre actuel de l’Instruction Publique, 2 a violemment arraché la Sorbonne à sa quiétude, et a lancé tout à coup l’enseignement supérieur dans la voie du progrès moderne. Un décret tombant comme un aérolite 3 du ciel, a eu pour but de “créer des mœurs universitaires nouvelles”, ce sont les termes mêmes du commentaire explicatif de l’acte révolutionnaire: un conseil général des facultés a été créé, [dans] 4 cette intention, pour faire vivre d’une vie commune le droit et les lettres, la médecine et les sciences, la théologie et la pharmacie; la théologie protestante hélas, car un vote de la chambre a mis fin l’année dernière à l’existence des facultés de théologie catholique. Et c’est par une sorte de suffrage universel qu’ont été élus les membres de ce conseil, les électeurs étant les professeurs des Facultés auxquels ont été adjoints les maîtres de conférences, en attendant sans doute les élèves. Ce même corps électoral a été également appelé à proposer au Ministre, pour les fonctions de Doyen, auxquelles il nommait directement jusqu’ici, deux candidats, entre lesquels il choisit. Je n’ai absolument pas voulu être Doyen, pour remplacer M. Jamin que nous avons eu le malheur de perdre, 5 ayant horreur de l’administration et aussi de la représentation. Mais je me suis laissé élire délégué de la Faculté des Sciences au Conseil général, parce qu’on m’a assuré que je n’aurais rien à y faire. Ce n’est malheureusement pas le cas, et je regrette bien d’avoir cédé à l’amicale insistance de mes Collègues et des jeunes maîtres de conférences qui m’ont donné leurs suffrages en riant. Je fais partie d’une commission, celle des cours libres et je reçois en gémissant les convocations du Président du Conseil 1 Si tratta del lavoro di Genocchi sulla serie di Stirling già citato nella lettera dell’11 agosto 1883 (cfr. nota 2, p. 132). 2 Il riferimento è a René Goblet (1828-1905) che nel 1885 era divenuto ministro della publica istruzione nel governo Brisson ed era rimasto tale nel successivo governo Freycinet allora in carica. 3 Nell’originale: aérolithe. 4 In questo punto l’originale è di incerta lettura. 5 Jamin professore di fisica alla Sorbona morì a Parigi il 12 febbraio 1886.
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général, qui m’arrachent à mon travail, ou à une paresse qui est le délassement du travail. Permettez-moi mon cher Président de vous faire part d’une circonstance qui intéresse Madame de Kowalevski, l’éminente analyste, et dont m’a informé M. Mittag-Leffler. Plusieurs membres de l’Académie des sciences de Stockholm, auraient désiré qu’elle fût appelée à remplir une place vacante dans cette Académie, mais une opposition fort vive s’est produite contre la proposition d’admettre une femme à siéger, quelque fût d’ailleurs son talent scientifique, et Madame de Kowalevski n’a pas été élue. Non seulement elle n’a pas été élue, mais une sorte de malveillance s’est attachée à sa personne, et on a été jusqu’à contester son mérite mathématique. M. Mittag-Leffler me demande de prendre sa défense, et dans cette intention, j’ai obtenu de MM. Camille Jordan, Darboux, Appell, Poincaré, Picard, Tisserand, l’autorisation de joindre au mien leur témoignage en sa faveur. 1 Je viens vous demander, sous les plus expresses réserves de votre convenance, de vous réunir aux géomètres français, et dans le cas où ce ne serait point contraire à votre sentiment, de m’obtenir les adhésions de vos amis mathématiques 2 d’Italie. Je ne dois pas vous cacher que si M. Weierstrass s’est hautement porté garant de la valeur scientifique de Madame Kowalevski, M. Kronecker n’a pas agi de même, et que M. Fuchs, a gardé de Conrart, le silence prudent. 3 Je confie ma demande à votre jugement si droit et si sûr mon 1 Riguardo agli eventi illustrati nella presente missiva, Hermite è stato il portavoce dei più autorevoli matematici francesi nella difesa di Sophie Kowalevski presso gli accademici svedesi, come conferma la lettera del 19 marzo 1886 di Hermite a Mittag-Leffler. In una lettera del 22 marzo 1886, rispondendo a una richiesta di Mittag-Leffler, Hermite riporta, sui lavori della Kowalevski, sia le sue valutazioni sia quelle che gli sono state comunicate dai suoi colleghi dell’Académie des sciences e della Sorbona. Nella medesima missiva cita la tesi di dottorato della Kowalevski con i risultati sull’esistenza ed unicità delle soluzioni delle equazioni differenziali ordinarie e alle derivate parziali. Riferisce poi che Appell e Picard giudicavano di grande valore i lavori da lei pubblicati e ricorda che Poincaré, che si era occupato del problema meccanico delle figure di equilibrio di una massa fluida, aveva espresso sui «Comptes rendus» dell’accademia delle scienze di Parigi il suo grande apprezzamento per le ricerche della Kowalevski relative alla forma dell’anello di Saturno, in cui fu preceduta da Laplace il cui lavoro sull’argomento fu da lei generalizzato. Poincaré scrive in proposito: «...son analyse se rapproche beaucoup de la mienne et je n’ai ajouté que peu de choses aux résultats q’on pourrait facilement déduire de son Mémoire». Cfr. H. Poincaré, Sur l’équilibre d’une masse fluide animée d’un mouvement de rotation, «Bulletin astronomique», 2 (1885), pp. 109-118, p. 109, nota 1; pp. 405-413, p. 405. Infine Hermite riporta che Jordan, Darboux e Halphen giudicavano di grande valore i suoi lavori d’analisi e di fisica matematica. Le lettere citate sono conservate presso gli archivi dell’Institut Mittag-Leffler, Djursholm, Sweden. Occorre segnalare che la lettera citata, del 22 marzo 1886, non si trova tra quelle di Hermite a Mittag-Leffler trascritte da Dugac (cfr. Lettres de Charles Hermite à Gösta MittagLeffler (1884-1891).Transcription et annotations par Pierre Dugac, in «Cahiers du Séminaire d’Histoire des Mathématiques», 6 (1985), pp. 79-216, p. 101, Université Pierre et Marie Curie, Laboratoire de mathématiques fondamentales et Ecole pratique des Hautes Etudes, 1ère section, Sciences 2 Così sull’originale. mathématiques. 3 È un adattamento di una frase dello scrittore Nicolas Boileau (1636-1711): «J’imite de Conrart le silence prudent» (cfr. N. Boileau, Epistre I, Paris, Editions de la Pléiade, 1966, p. 104).
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cher Président, et dans l’espérance de recevoir avec votre décision, des nouvelles de votre santé, de votre travail, de vos cours, si vous les avez repris, comme j’espère, je vous renouvelle l’expression de mes sentiments de l’affection la plus sincère et la plus dévouée. Ch. Hermite 92.[91] Paris 30 Mars 1886 Mon cher Président, Je n’ai pas besoin de vous dire que ce qui vous touche ne me laisse pas indifférent; sans avoir personnellement connu M. Réalis, 1 que j’ai cependant vu un moment, s’entretenir avec M. Liouville au sortir d’une séance de l’Académie, j’avais remarqué beaucoup d’articles qu’il avait envoyés à la Correspondance mathématique 2 de M. Catalan, et dans les Nouvelles Annales 3 de M. Gerono, et qui montraient un esprit très distingué. Nous sommes hélas parvenus l’un et l’autre à une époque de la vie, où les deuils se succèdent plus multipliés, en faisant des vides que rien ne vient plus combler, et je prends une part bien sincère au malheur qui vous prive d’un ami dévoué. Voici trente ans que j’appartiens à l’Académie des sciences, et ce n’est pas sans tristesse qu’autour de moi je ne vois plus aucun de ceux qui m’y ont admis, et dont le souvenir m’est si présent, que s’ils pouvaient revenir siéger, il me semblerait ne les avoir jamais quittés. Mais la tristesse des regrets ne diminue pas le fardeau des devoirs; coûte que coûte il faut travailler et s’arracher à la mélancolie des souvenirs, pour faire ses leçons à la Sorbonne, etc etc. Vous avez été bien bon mon cher Président de répondre à mon appel en faveur de Madame Kowalevski, et je vous serais reconnaissant de vous charger de 1 Hermite si riferisce alla morte di Realis, avvenuta a Torino il 9 febbraio 1886. Realis che studiò ingegneria a Torino e a Parigi, iniziò la professione nel 1844 ma dopo il 1851 si dedicò interamente alla ricerca matematica, pubblicando numerosi lavori sopratutto in teoria dei numeri, che spiegano la sua notorietà nell’ambiente matematico. Genocchi lo ha commemorato con un breve scritto biografico: A. Genocchi, Brevi cenni della vita dell’ingegnere Savino Realis, «Bullettino di bibliografia e di storia delle scienze matematiche e fisiche», 19 (1886), pp. 55-58. Inoltre nella seduta del 18 aprile 1886, la sua figura fu commemorata alla Reale Accademia delle scienze di Torino, da Genocchi stesso, allora suo presidente (cfr. Adunanza del 18 Aprile 1886, «Atti della Reale Accademia delle Scienze di Torino», 21 (1885), pp. 549-551. Si veda anche: E. Catalan, Savin Realis, «Nouvelles annales de mathématiques», s. III, 5 (1886), pp. 200-203. 2 Si tratta del giornale: «Nouvelle correspondence mathématique» fondato da Catalan nel 1874. 3 Si tratta dei «Nouvelles annales de mathématiques» che dal 1842 furono diretti da Gerono e da Terquem.
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mes remerciements pour votre éminent collègue M. d’Ovidio, qui permet de joindre son nom au vôtre. J’ai déjà envoyé à Stockholm, la déclaration expressément autorisée, de MM. Camille Jordan, Darboux, Halphen, Appell, Poincaré, Picard, qu’ils jugent comme étant des travaux de premier ordre les mémoires de Madame Kowalevski, récemment parus dans les Acta, M. J. Bertrand, secrétaire perpétuel, m’a permis également d’ajouter son témoignage à celui des géomètres français, et j’espère qu’on ne sera point sans en tenir compte. Le vôtre et celui de M. d’Ovidio, s’y joindront sans tarder; 1 puisse l’ensemble avoir l’autorité nécessaire en Suède, pour écarter ce qui menace la position qui y a été faite à cette femme illustre! Votre article sur la série de Stirling (*), est doublement intéressant, par vos recherches sur la détermination de l’indice du terme qui donne le maximum de convergence, 2 et par les renseignements historiques que vous avez consciencieusement 3 réunis. Quelle étrange chose que Liouville ait ignoré la belle découverte de Schaar! 4 Et quelle belle chose, que Plana en 1820, ait rencontré l’intégrale de Binet, celle qui est la plus importante, et la plus féconde en conséquences! Mais je veux vous décocher une méchanceté; je ne puis vraiment vous pardonner de dire p. 11, en formulant votre conclusion: π a + 1 < n < π a + 1 , 4 2 “e che a sia <1”. Dès le début de votre recherche, ne devez-vous donc déclarer que a doit être supposé un grand nombre, y aurait-il une question, pour a<1 ou voisin de l’unité? En vous renouvelant mon cher Président, l’expression bien affectueuse de mes vœux pour votre santé, et celle de mes sentiments les meilleurs et les plus dévoués Ch. Hermite (*) Non trovo questo mio articolo. È in lingua italiana ma non ricordo dove l’abbia stampato. Potrebbe Ella per caso darmene qualche indicazione? 5 1 Genocchi, d’Ovidio e Cremona e certamente, tramite Genocchi, altri matematici italiani, hanno risposto all’appello che Hermite gli ha rivolto tramite Genocchi (allora presidente della Reale Accademia delle scienze di Torino), in favore della Kowalevski (cfr. let. 91, p. 210). Nella sua lettera a Mittag-Leffler del 13 maggio 1886 Hermite ha riferito i sentimenti di grande stima per i lavori della Kowalevski che Genocchi aveva autorizzato a esprimere pubblicamente (la lettera è conservata presso gli archivi dell’Institut Mittag-Leffler, Djursholm, Sweden. Se ne rammenta anche la trascrizione in Lettres de Charles Hermite à Gösta Mittag-Leffler (1884-1891).Transcription et annotations par Pierre Dugac, in «Cahiers du Séminaire d’Histoire des Mathématiques», 6 (1985), pp. 79-216, p. 120, Université Pierre et Marie Curie, Laboratoire de mathématiques fondamentales et Ecole pratique des Hautes Etudes, 1ère section, Sciences mathématiques). 2 Viene ripreso l’argomento della lettera precedente del 19 marzo 1886 (cfr. let. 91, p. 210). Si tratta della memoria di Genocchi sulla serie di Stirling citata nella missiva dell’11 agosto 1883 3 Nell’originale: conscienscieusement. (cfr. nota 2, p. 132). 4 Liouville, Schaar e Limbourg diedero rilevanti contributi allo studio della serie di Stirling. 5 Questa annotazione che si trova in calce alla terza pagina dell’originale è autografa di
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93.[92] Paris 10 Avril 1886 Mon cher Président, Voulez-vous bien me permettre de vous parler un peu médecine? Depuis plusieurs années je souffre d’une trachéite, (inflammation de la trachée artère), que notre illustre physiologiste M. Brown-Séquart, qui est aussi un médecin éminent, et un homme excellent a traité avec un succès dont je lui suis profondément reconnaissant. C’est un médicament nouveau qu’il m’a donné, et qu’il avait employé pour lui-même, lorsqu’à la suite de ses études sur la rigidité cadavérique, qui l’obligeaient de tenir ouvertes pendant l’hiver les fenêtres du laboratoire du Collège de France il s’était trouvé atteint d’une bronchite des plus graves. Je me suis permis mon cher Président de lui parler de vous, et je vous envoie son ordonnance, avec quelque espoir qu’elle vous profitera. La Narcéine m’a dit M. Brown-Séquart offre un peu de difficulté à être obtenue parfaitement pure, et il aurait indiqué une dose plus forte s’il était certain, qu’à Turin vous pouvez l’obtenir comme nous la donne M. Rousseau, le fournisseur de produits chimiques pour le Collège de France. Votre médecin vous fixera à cet égard, pour moi je puis vous assurer qu’après huit jours d’emploi des pilules j’ai été complètement débarrassé 1 de quintes de toux qui me prenaient par accès et m’incommodaient extrêmement. M BrownSéquart, s’est lui-même complètement guéri dans le même temps; combien je serais heureux que la nouvelle application ait le même succès! En vous remerciant mon cher Président de l’envoi de votre brochure sur M. Réalis, où j’ai trouvé avec intérêt le nom de M. Bommard, 2 qui a été mon chef comme Directeur des Études à l’École Polytechnique, et en vous renouvelant l’assurance de mon affection la plus sincère et la plus dévouée Ch. Hermite Genocchi, come risulta da un confronto con uno specimen tratto dal Registro delle lezioni di Calcolo infinitesimale tenute da Genocchi nel 1885-86, e con il suo testamento del 25 novembre 1886, conservati alla Biblioteca Comunale Passerini-Landi di Piacenza (Fondo Genocchi, buste SS e GG). L’annotazione, altrimenti incomprensibile, potrebbe spiegarsi col fatto che a questa data Genocchi poteva disporre solo di un estratto dell’articolo, che sarebbe stato pubblicato sulle «Memorie della società italiana delle scienze (detta dei XL)» soltanto nel 1887, cioè un certo tempo dopo la data della presente missiva e che qui abbia scritto un promemoria rivolto ad un collaboratore per ritrovare il lavoro (potrebbe trattarsi di Siacci che ha assistito a lungo Genocchi a causa della precarietà della sua vista e dei postumi di una rovinosa caduta: cfr. nota 2, p. 101). 1 Nell’originale: débarassé. 2 Si tratta della breve nota biografica che Genocchi ha scritto su Realis, citata nella precedente
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94.[94] Paris 4 Juin 1886 Mon cher Président, J’apprends avec chagrin les inquiétudes que vous avez pour votre vue, combien je serais heureux s’il m’était possible de vous faire parvenir quelqu’avis médical utile! Autrefois et pour votre genou, 1 je crois vous avoir parlé des eaux de Barèges, avez-vous demandé l’avis de votre médecin? Je n’ai pas encore terminé comme vous mes leçons d’analyse, et je ne puis pas non plus comme vous l’avez fait, abandonner à un autre les examens qui nous prennent tout le mois de Juillet, ainsi j’aurai bien gagné les vacances qui suivent. En attendant j’ai sur les bras des affaires universitaires d’une autre nature que les leçons et les examens, et pour lesquelles j’ai dû récemment me faire remplacer par mon maître de conférences, qui à ma place a exposé les préliminaires de la théorie des fonctions elliptiques, à la Sorbonne. Peut-être n’aurez-vous pas oublié que j’ai été élu, l’un des trois délégués de la Faculté des sciences, au Conseil général des Facultés, institution toute récente, créée par M. Goblet, 2 à l’imitation je crois du Sénat Académique des Universités allemandes. Mon cher Président, on m’avait dit en m’y envoyant, que je n’aurais rien à y faire; c’est bien loin malheureusement d’être une sinécure, comme je l’espérais. Une grosse question, en dehors des détails administratifs, s’est imposée tout à coup au Conseil; nous avons adressé un vœu au gouvernement en faveur de l’enseignement supérieur, nous avons demandé, sans aucun succès, une atténuation au service militaire obligatoire de trois années, pour les étudiants des diverses Facultés. Et là-dessus j’ai parlé avec l’ardeur imprudente d’un réactionnaire, mais je vous fais grâce de mon éloquence, j’arrive à une autre question aussi imprévue, qui nous a fait siéger soir et matin. L’esprit révolutionnaire qui souffle 3 chez nous, a fait des ravages à l’École de Pharmacie; notre excellent et éminent confrère M. Chatin, Directeur de l’École, a été pris missiva del 30 marzo 1886 (cfr. nota 1, p. 212). Alla nota 2 di questa commemorazione viene riportato il certificato che l’Ecole Royale des ponts et chaussées ha rilasciato il 5 luglio 1843 a Realis, al termine dei suoi studi di perfezionamento come ingegnere, la firma di Bommard che era ispettore di quella scuola, appare in calce al documento. 1 L’allusione è all’incidente occorso a Genocchi, citato nella lettera del 6 ottobre 1882 (cfr. nota 2, p. 101). 2 Si tratta del ministro della pubblica istruzione René Goblet già citato nella lettera del 19 3 Nell’originale: soufle. marzo 1886 (cfr. nota 2, p. 210).
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en grippe par les étudiants, pour des misères, et ces misérables se sont conduits comme des sauvages à plusieurs de ses leçons. Sans respect pour son âge, pour sa grande situation d’homme de science, on lui a jeté du gros gravier, de la farine, des œufs, une autre fois les vitres de l’amphithéâtre où il professe, ont été brisées à coups de pierres, etc. etc. Bref quinze étudiants remarqués par les employés de l’École, comme ayant pris particulièrement part au tumulte, ont été déférés à notre justice. M. Alphonse Milne-Edwards a été délégué par le Conseil, pour faire une instruction, à la suite de laquelle, les délinquants ont comparu devant nous, ont été interrogés et ont présenté leurs moyens de défense. J’étais bien novice à remplir des fonctions de juge, je ne demandais pas mieux que de me laisser aller à l’indulgence, mais je me sentais ensuite d’une déplorable insuffisance pour les devoirs qui m’étaient échus, lorsqu’après un interrogatoire, qui m’avait paru favorable pour l’étudiant, notre collègue le Doyen de la Faculté de droit, déclarait hautement, qu’il était faux, sournois, ce que confirmait M. Brouardel, l’éminent médecin légiste, notre collègue de la Faculté de Médecine. Mon cher Président, je ne suis qu’un malheureux algébriste, qui n’entend rien aux affaires judiciaires, et qu’on aurait bien mieux fait, de laisser à son algèbre. J’y reviens, et je me permets de vous envoyer deux petites brochures; un peu plus tard vous recevrez la 3me édition de mes leçons de la Sorbonne, dont M. Hermann a fait paraître le 1er fascicule, à la demande de quelques élèves. Mais pour l’amour du ciel, ne vous fatiguez pas à lire; faites-vous lire par quelqu’un si le cœur vous en dit, si votre ami M. Beltrami, à qui j’ai envoyé ce 1er fascicule, vous dit qu’il y a quelque chose qui puisse vous intéresser. Je viens de relire l’article que vous avez publié dans les C[omptes] R[endus], en réponse à une note du g[énéral] 1 Ménabréa, article qui est excellent et sans réplique possible. 2 Mais n’avez-vous pas publié ensuite sur la même question de la série de Lagrange, et sur les modules principaux, des valeurs de la variable qui donnent le module minimum, une note que j’ai recherchée avidement, sans pouvoir la retrouver, mais dont le souvenir me reste? Permettezmoi de vous demander, dans quel recueil, j’en pourrais prendre connaissance, car vous n’avez sans doute plus d’exemplaires de ce travail dont vous puissiez disposer. En vous renouvelant mon cher Président l’ex-
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Nell’originale: g l. Il riferimento è alla polemica che si era accesa nel 1872 tra Genocchi e Menabrea, sulla serie di Lagrange. Sui contenuti della controversia, che Hermite ha già citato in alcune lettere di quel periodo, e sugli articoli dei contendenti si veda la lettera del 31 marzo 1882 (cfr. nota 2, p. 83). 2
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pression de ma plus haute estime, et celle de mon affection bien sincère et bien dévouée Ch. Hermite 95.[95] Paris 14 Juin 1886 Mon cher Président, Combien j’ai été heureux, en recevant l’envoi du n° des Atti de 1872, d’apprendre que vous aviez reçu la plus haute des dignités et que le Roi en vous nommant Sénateur, 1 avait voulu donner son couronnement à votre carrière et j’espère aussi honorer notre science. Il faut en France remonter à une époque bien ancienne pour y trouver l’exemple d’un tel honneur concédé à un analyste, et après Laplace, Sénateur du premier Empire, ou comme alors on disait, membre du Sénat conservateur, Lagrange qui a été revêtu de la même dignité, je ne vois plus qu’un seul nom de géomètre, celui de Poisson, avec le titre de pair de France. Mon cher Président, je vous félicite bien sincèrement et bien vivement; les honneurs sont venus vous trouver, et vous n’avez jamais cherché que l’honneur du travail. Vous avez depuis un demi-siècle donné à la science les fruits de votre beau talent avec un absolu dévouement; une justice un peu tardive vous accorde enfin un insigne honneur une récompense éclatante dont vous pouvez être fier, et qui réjouit tous vos amis. Vous me compterez, je pense, dans la foule, vous croirez que je ne suis pas un des moins heureux de vous offrir d’affectueuses félicitations, et d’applaudir en vous voyant honoré du même titre que Brioschi et Cremona. Je fais en même temps des vœux pour le rétablissement de votre santé, avec l’espérance que le contentement et la satisfaction y contribueront mieux que les remèdes. En ajournant un appel à votre érudition et surtout à votre complaisance, au sujet de Lagrange et de quelques autres géomètres, afin de m’aider dans la lutte dont j’ai pris ma part dans la douloureuse question du service militaire obligatoire pour tous, sans exception, et dont je me réserve de vous entretenir plus tard, je vous renouvelle mon cher Président, et mon cher Sénateur du Royaume, mes plus vives félicitations, et l’assurance de mon affection la plus sincère et la plus dévouée Ch. Hermite 1
Genocchi divenne senatore del Regno d’Italia nel 1886.
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96.[96] Paris 29 Juin 1886 Mon cher Président, Vous n’êtes plus seulement un homme de science, comme autrefois, vous êtes devenu homme politique, c’est presque à ce titre que je viens m’adresser à vous en faisant appel à votre bonne obligeance. Je ne sais si vous avez appris que la loi du service militaire obligatoire pour tous, de trois ans, 1 a été présentée aux chambres par le Ministère; cette loi draconienne est une menace terrible pour bien des intérêts, et en particulier pour l’enseignement supérieur de nos facultés et de nos écoles, le seul auquel il me soit permis de songer. Voici une circonstance sur laquelle j’ai appelé l’attention de mon confrère M. Berthelot, membre du Sénat, et comme vous, personnage politique. L’histoire des sciences mathématiques, présente ce fait bien remarquable, que depuis Newton, jusqu’à nos jours, les plus grands géomètres ont fait leur début, avant ou peu après leur vingtième année, en produisant d’emblée, par une divination du génie, des découvertes capitales. Je n’ai pas à vous rappeler, Clairaut, Dalembert, Poisson, Galois, mort à 21 ans! ni d’autre part, Gauss Jacobi Abel, Eisenstein, Riemann, et, puis en Angleterre, Maxwel, Cayley, Sylvester, Sir William Thompson etc. Je viens vous demander au sujet de Lagrange, que se disputent la France et l’Italie, et que vous appelez malgré nous, notre Lagrange, si ce n’est pas à 18 ans qu’a commencé sa correspondance avec Euler, qui aurait eu pour objet la communication de sa grande découverte de la méthode des variations. Je vous demanderai plus, j’aimerais à réunir, afin de les offrir peut-être à M. Berthelot, ou à d’autres membres du sénat, qui voudraient bien en faire usage, tous les arguments, contre le meurtre légal, près de s’accomplir de quiconque dans l’avenir, aura reçu la vocation mathématique. Quels sont donc, mon cher Président, parmi les géomètres et les savants de l’Italie, ceux qu’on peut citer en défendant cette cause sacrée du travail, qui a pour but la science pure? Ne vous semble-t-il pas qu’il y ait comme une communauté d’intérêts entre les étudiants des Facultés de toutes les nations, et que cette menace de la loi militaire contre l’avenir intellectuel de la France, doive être sentie 1 Si tratta della legge Freycinet di cui si parlava dal 1886 e votata il 17 luglio 1889 che introduceva il servizio militare di tre anni obbligatorio per tutti; per i dispensati l’obbligo era di un solo anno, mentre l’esenzione prevedeva un servizio ausiliario e per gli studenti un congedo condizionato.
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même en dehors de la France? Hélas l’Allemagne plus sage, a su concilier l’intérêt militaire, et celui des études; son volontariat qui est une gêne, n’est aucunement un empêchement absolu, pour suivre des cours, dans les universités. Mais nos gouvernements, au nom de l’égalité rejettent maintenant le volontariat, et on peut se demander s’il se trouvera des vocations scientifiques, qui puissent survivre, à l’interruption complète du travail, pendant deux ou trois ans, à l’époque de la vie, où le travail a le plus de prix. En ce moment je me hâte de terminer la 3me édition de mes leçons de la Sorbonne, dont la première partie a été publiée par M. Hermann. Bientôt j’espère vous recevrez la totalité, et si vous avez un moment pendant les vacances pour y jeter un coup d’œil, 1 je n’ai pas à vous dire combien j’ai d’intérêt à recevoir vos observations, pour le fond comme pour la forme, au point de vue pédagogique. Vous savez que notre médecin M. Brown-Séquart a été élu membre de l’Académie des sciences, il a siégé hier, pour la première fois, et a été accueilli avec la plus grande sympathie. 2 Madame Kowalevski a également assisté à la séance, et a reçu l’accueil courtois et aimable, du Président, l’amiral Jurien de la Gravière, auquel elle avait tant de titres. En vous renouvelant mon cher Président, mes vœux pour votre santé, vous priant aussi de faire parvenir mes vives félicitations à M. Siacci, et avec l’assurance de mon affection bien sincèrement dévouée Ch. Hermite [P.S.] Permettez-moi de joindre ma recommandation en faveur de M. Cesaro, à celle de M. Catalan; son talent est vraiment remarquable, et me semble digne de votre intérêt. 3 97.[97] Paris 21 Juillet 1886 Mon cher Président, Nous souffrons cruellement de la chaleur, je me demande si elle est à Turin aussi pénible qu’à Paris et comment alors vous la supportez. Avez1
Nell’originale: d’œuil. Brown-Séquart è stato eletto nella sezione di medicina dell’Académie des sciences il 21 giugno 1886. 3 Questa attestazione di stima per Cesaro da parte di Hermite, potrebbe forse riferirsi alla sua candidatura alla cattedra vacante di algebra superiore all’Università di Palermo, che poi Cesaro ottenne proprio nel 1886 e che lasciò nel 1891 per la cattedra di analisi matematica all’Università di Napoli, che tenne definitivamente. 2
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vous rue du Po, un jardin qui vous repose mieux que l’immense bâtiment de la nouvelle Sorbonne, élevé cette année tout près de mon domicile, qui m’a enlevé de l’air et de l’espace, et dont la façade m’envoie une insupportable 1 réverbération? Au moins j’espère n’avez-vous ni compositions à corriger, ni examens à faire passer; le mois de Juillet qui est si pénible à cause de la chaleur, l’est encore plus en raison de ces maudits examens. Mais après, il me faudra remplir un devoir d’une autre nature, et m’acquitter d’une mission qui me donne quelque inquiétude. Je suis délégué par l’Académie des sciences, avec mon confrère de la section de physique M. Lippmann, pour la représenter aux fêtes du cinquième centenaire de l’Université de Heidelberg. Le conseil général des Facultés de l’Université de Paris, qui a reçu aussi une invitation du pro-recteur, m’a chargé également de la représenter, je vais donc assister au brouhaha officiel, m’incliner respectueusement devant S. A. R. le Grand-Duc, qui est m’a-t-on dit dans l’intention de se faire présenter tous les invités, assister au convivium des étudiants, au défilé du cortège historique, que sais-je encore! Si je ne craignais de vous paraître trop léger, je vous citerais mon cher Président, quelque chose qui me revient en ce moment à l’esprit de l’opéra-comique de Richard Cœur de Lion “La danse n’est pas ce que j’aime, mais c’est la fille à Nicolas”. 2 J’aimerais mieux causer avec vous et Brioschi, qui doit venir croit-on, en prenant le frais, et buvant de la bière que voir les brillants uniformes chamarrés de croix, les panaches des militaires, et entendre la trompette guerrière. Mais je veux vous faire une confession, vous allez recueillir l’aveu déplorable de ma lâcheté. J’ai demandé, dans la crainte du Figaro, qui enverra ses reporteurs à nos trousses, et qui pourrait trouver amusant pour ses lecteurs, de les régaler de mon adresse de félicitations à l’Université, j’ai demandé que cette adresse fût écrite non en français mais en latin. Après une sérieuse délibération, ma requête n’a pas été accueillie on a jugé préférable au latin le plus pur, la langue nationale, pour d’excellentes raisons, auxquelles je n’ai rien trouvé à opposer. Il faut donc que je me résigne; je serai raillé ricané, persiflé, mais j’espère que si l’on 3 arrive comme je le crains, vous me consolerez. En attendant le récit de ce dont je serai le témoin bien ennuyé, mes impressions sur tout ce qui surviendra, je vous renouvelle mon cher Président, avec mes vœux les plus affectueux pour [que] vos souffrances prennent fin, [et] que vous 4 soyez rendu à toute votre activité, l’expres1
Nell’originale: insuportable. Sono le parole di Antonio a Blondel nel primo atto del Richard cœur de lion di Michel-Jean Sedaine (1719-1797). 3 Nell’originale: s’il on. 4 Nell’originale: que je vous. 2
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sion de ma plus haute estime et celle de mes sentiments les plus sincèrement dévoués Ch. Hermite 98.[98] Paris 15 Octobre 1886 Mon cher Président, J’ai appris par votre dernière lettre avec bien du regret que vous luttez toujours contre la souffrance sous des formes diverses, et que vous êtes encore une fois tourmenté par la toux et les rhumes. Il me faut donc de loin vous envoyer tout d’abord mes vœux pour votre santé avec l’espérance que vous vous remettrez assez pour faire le voyage de Rome et siéger au Sénat. Combien il me serait agréable d’avoir l’impression de l’atmosphère 1 politique sur un homme de science, un algébriste tout comme moi, qui jamais ne connaîtra les honneurs que vous avez reçus! En attendant de savoir par vous quelque chose de ce que vous aurez éprouvé en entrant au Sénat, je viens vous faire part de diverses circonstances et tout d’abord vous dire que j’ai été au commencement du mois d’Août aux fêtes du 5me Centenaire de l’Université de Heidelberg, 2 où je représentais l’Académie des Sciences, avec mon jeune confrère M. Lippmann, et en même temps l’Université de Paris comme délégué par le Conseil Général des Facultés. Je ne puis assez vous dire combien j’ai été heureux de m’y rencontrer avec M. Brioschi qui était pour moi comme un allié naturel au milieu des Allemands, me sentant plus complètement à mon aise pour causer avec lui-même qu’avec mes confrères de l’Institut. L’accueil fait aux français a été on ne peut plus cordial, M. Brioschi m’a assuré qu’on a voulu nous faire oublier les ressentiments de la guerre de 1870. Mais je ne m’apercevais de rien, j’évitais autant que possible les corvées officielles pour rester avec MM. Fuchs, Noether, Krause, Weber, etc etc à causer de ce qui nous intéressait, et de tous j’emporte un souvenir excellent qui me réconforte et m’encourage au travail. Maintenant faut-il vous dire, qu’en revenant dans ma famille à Flanville auprès de Metz, j’ai appris que l’on avait cru à une guerre imminente! Les officiers allemands croyaient entrer immédiatement en campagne, leurs femmes avaient déjà reçu des billets de logement pour Mayence 3 1
2 L’Università di Heidelberg fu fondata nel 1386. Nell’originale: athmosphère. Si tratta di Maintz (Magonza) l’antica città tedesca sul Reno, capoluogo del Land RenaniaPalatinato. 3
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etc. On a dit que le vieil Empereur avait seul empêché une prise d’armes qui aurait été, je le crains, la fin de la France. Hélas vous le savez mon cher Président, et Brioschi ne me le cachait point à Heidelberg, notre situation intérieure et extérieure est lamentable, et nous pouvons retrouver sous peu toutes les catastrophes de 1870. Mais je me détourne de ces tristesses pour vous conter des choses plus gaies. Le fils aîné de M. Bertrand, M. Manuel, ingénieur des Mines, qui a été l’un de mes plus brillants élèves à l’École Polytechnique, vient d’épouser Mademoiselle Mascart, la fille de notre confrère de l’Académie des sciences, dont le nom doit vous être connu par ses travaux de physique notamment sur le spectre solaire, et qui est Directeur du service météorologique. Il m’a fallu quitter Flanville pour être avec mon beau-père M. Alexandre Bertrand, témoin du marié, et assister au repas de noces chez Madame Mascart. Vous ne pouvez imaginer quelle affluence de monde le jour de la cérémonie religieuse à St Thomas d’Aquin, jamais je n’avais assisté à pareille fête. Madame Mascart, qui est excellente, est la fille de Briot, et je n’étais pas sans inquiétude sur l’accueil qu’elle pouvait me faire ainsi que sa mère, ayant eu à déclarer au nom de la section de géométrie, lors de la candidature de Bouquet à une place vacante, que nous lui accordions la part la plus importante la plus grande, dans les travaux qui portent leurs noms. Je savais que Briot m’avait rendu seul et unique responsable d’un échec qui lui avait causé un extrême chagrin, attendu qu’en toutes circonstances il avait toujours passé avant son collaborateur, auquel il avait d’ailleurs tendu la main. Mais heureusement je n’ai trouvé trace du ressentiment ni dans Madame Briot ni dans Madame Mascart, et j’espère qu’il n’y en aura pas non plus dans ma nouvelle nièce. Si vous avez été bien attristé mon cher Président de la perte de M. Dorna, 1 vous vous pensez quel a été mon chagrin de la mort de Laguerre, 2 avec qui j’avais de véritables rapports d’amitié, depuis bien des années et qui était le meilleur et le plus droit des hommes; bientôt je verrai à son retour de Bar-le-Duc, Madame Laguerre et ses deux filles: Sunt lacrymae rerum et mentem mortalia tangiunt. 3 En vous renouvelant Mon cher Président avec mes vœux pour votre santé, l’expression de mon affection bien sincère et bien dévouée Ch. Hermite 1 L’astronomo Alessandro Dorna è morto a Borgo San Pietro (presso Moncalieri, in Piemonte) il 19 agosto 1886. 2 Laguerre è morto a Bar-le-Duc il 14 agosto 1886. 3 Virgilio, Eneide, I, 462.
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99.[99] Paris 12 Janvier 1887 Mon cher Président, Depuis plusieurs mois vous ne m’avez plus donné de nouvelles de votre santé, et j’ai grande inquiétude que l’hiver ne vous ait été contraire, ainsi et sans vous tourmenter pour écrire, en vous demandant expressément de ne point prendre la plume, si vous n’y êtes pas disposé mais en vous exprimant combien je serais heureux que quelqu’un auprès de vous puisse me satisfaire et m’apprendre comment vous vous trouvez, je viens me rappeler à votre bon souvenir et causer un moment avec vous. Je vous ferai part des inquiétudes qu’autour de moi mes amis et mes collègues ressentent au sujet des bruits de guerre qui se répandent, et suivant les circonstances, augmentent ou diminuent. Que ceux qui ne sont pas optimistes, et depuis longtemps, c’est mon cas, s’alarment, c’est tout naturel, mais d’autres qui auparavant n’avaient point de craintes, commencent à s’inquiéter beaucoup. On dit mon cher Président que l’Italie unie à l’Allemagne va jeter 400, 000 hommes sur nos frontières du Sud-Est, et que pour nous toute résistance aboutira à d’inévitables désastres. Est-ce vrai, est-ce même possible? Un de mes jeunes collègues de la Faculté de sciences, et un officier d’artillerie qui a été mon élève me l’ont assuré, et non sans émotion. Mais l’Allemagne est encore plus inquiétante; on dit qu’elle est en mesure d’envahir la France avec une rapidité foudroyante, et la distance est maintenant bien petite entre Metz ou les Vosges et Paris. On s’entretient des accroissements de garnison dans les villes frontières des deux pays, des obus nouvellement inventés, auxquels les plus puissantes fortifications ne peuvent résister, ce qui supprime l’obstacle de nos places fortes, etc. etc. Tout cela ne m’empêche point de faire commerce d’amitié avec nos collègues Allemands en Analyse, et de même de causer avec eux de la question brûlante. L’un d’eux M. Caspary, un bon et excellent jeune homme qui est en ce moment à Paris, me dit qu’il ne sait rien des intentions des gouvernements, mais qu’il sait bien que les Algebristes ses concitoyens, et tous les hommes de science, n’ont aucune envie de la guerre, et je n’ai aucune difficulté de l’en croire. J’en aurai encore moins en ce qui vous concerne, si comme je le désire, vous me donnez les mêmes assurances. Vous savez toutefois que la guerre se décide autrement que par la volonté des peuples, et que les gouvernements peuvent y être entraînés, par des raisons de point d’honneur; M. de Bismarck, vient de dire au Reichstag, dans un discours dont tout le monde s’entretient, que la France peut
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avoir un gouvernement auquel les difficultés intérieures, imposent la guerre comme une diversion nécessaire, et il en tire comme conclusion que l’Allemagne doit être armée jusqu’aux dents. Que peut-il sortir de ces préparatifs! Ne me répondez pas, mon cher Président, laissez-moi broyer du noir, en voyant dans un prochain avenir les drapeaux Italiens unis aux drapeaux Allemands, contre la France; mais je vous serai on ne peut plus reconnaissant si vous pouvez confier à quelqu’un le soin de me donner de vos nouvelles, et de m’apprendre de quoi me sortir d’inquiétude. Permettez-moi en attendant de vous offrir mes souhaits les plus affectueux pour votre santé, et d’y joindre les sentiments que vous me connaissez depuis longtemps, de la plus haute estime, et de la plus sincère amitié Ch. Hermite 100.[100] Paris 23 Avril 1887 Mon cher Président, Je viens vous remercier de l’envoi que vous avez eu la bonté de me faire, de la notice extrêmement intéressante du bien regretté M. Réalis qui était je crois un de vos amis les plus affectionnés, sur Jean Plana. 1 Je vous remercie plus encore de me montrer que vous ne m’oubliez pas et de me donner l’espoir que votre santé est devenue meilleure avec le retour des beaux jours. Je m’enhardis donc à vous causer comme par le passé, et tout d’abord à vous confier que je ne rajeunis point, que le travail ne me devient pas plus facile avec l’âge et qu’à préparer chacune de mes leçons, il me faut mettre plus de temps qu’autrefois. Nous avons eu à l’Académie une élection en remplacement de mon bien cher ami Laguerre, qui m’a contraint de remplir mon devoir de doyen de la section de géométrie, en prenant fait et cause pour le candidat qu’elle a choisi, M. Poincaré, 2 et de batailler dans le Comité secret où ont été discutés les 1 Si tratta con ogni probabilità del necrologio scritto in morte di Plana: S. Realis, Giovanni Plana né à Voghera le 8 novembre 1781 mort à Turin le 20 janvier 1864. Extrait du «Bullettino di bibliografia e di storia delle scienze matematiche e fisiche», tome XIX. mars 1886, Rome, 1886. 2 Nel verbale manoscritto del Comité secret dell’Académie des sciences di Parigi che porta la data di lunedì 24 gennaio 1887, si legge che la sezione di geometria, tramite il suo decano Charles Hermite, presentò la seguente lista di candidati al posto reso vacante a seguito della morte di Laguerre (Bar-le-Duc 14 agosto 1886): Poincaré si trova come primo candidato, seguito dai candidati in seconda posizione posti in ordine alfabetico: Appell, Goursat, Humbert, Mannheim, Picard. La relazione sui titoli di Poincaré e Humbert venne letta da Jordan, Halphen ha
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titres des candidats. L’adversaire de Poincaré, M. Mannheim est peutêtre de vos amis mathématiques, 1 et en vous disant que je l’ai combattu, je puis redouter d’avoir encouru votre ressentiment. Le volume que je viens de recevoir de l’Académie des Lyncei, et où j’ai vu un rapport de M. Beltrami, 2 sur un mémoire géométrique de M. Mannheim, très élogieux, ne peut pas me laisser d’incertitude à son égard, et il me faut joindre l’illustre analyste de Pise, à tous mes confrères de l’Académie des sciences qui ne sont pas contents de moi. Mais mon cher Président, vous reconnaîtrez au moins, qu’il était naturel que je prisse en main les intérêts de l’Analyse, et en pareilles circonstances je ne devais pas garder pour moi seul, l’admiration que m’a inspirée 3 le génie du jeune géomètre. En attendant de savoir si je me serai ou non trouvé en désaccord avec vous, je suis sûr que vous serez tout aussi content que moi de la décision que vient de prendre la section de géométrie de publier sous ses auspices les œuvres complètes de Laguerre. 4 C’est M. Eugène Rouché dont vous connaissez peut-être l’excellente notice publiée dans le dernier cahier du Journal de l’École Polytechnique, qui réunit et coordonne les mémoires, et moi-même je revois et je corrige les épreuves. J’avais avec Laguerre de bonnes et affectueuses relations, ainsi qu’avec Bouquet, et leur perte me laisse un vide que rien ne pourra combler. Les découvertes de Laguerre sur la théorie des équations algébriques en particulier, sont extrêmement remarquables et firent époque; il y aurait beaucoup ajouté, s’il eût vécu. Vous parlerais-je maintenant des anxiétés, qui nous viennent encore de l’Allemagne? Depuis hier à la suite d’un incident fort étrange survenu en Lorraine, à la frontière, on se croit de nouveau à la veille de la guerre. Combien vous êtes heureux de n’être pas à la merci d’un voisin avide, et qui si le sort des armes le favorise ne veut rien moins que notre anéantissement: delenda Carthago! Dans l’espérance de quelques mots de vous qui m’informeront de votre état, et en vous renouvelant mon cher Président avec tous mes presentato quelli di Appell e Mannheim, Hermite presentò quelli di Goursat, Darboux quelli di Picard. Poincaré è stato eletto nella seduta successiva del 31 gennaio 1887. 1 Così sull’originale (ricorre in altre missive: arcaismo che si trova riportato in Frédéric Godefroy, Dictionnaire de l’ancienne langue française, Paris, 1938). 2 Sul lavoro qui citato risulta che sugli «Atti della Reale Accademia dei Lincei», s. III, 8 (1884), p. 291, viene specificato che nella seduta dell’1 giugno 1884 il Segretario della Classe di Scienze Fisiche Matematiche e Naturali (Pietro Blaserna) presenta a nome del Socio Cremona una Memoria di ottica geometrica di A. Mannheim. In seguito sugli «Atti della Reale Accademia dei Lincei», s. IV, 1 (1885), p. 296, il Socio Beltrami nella seduta del 12 aprile 1885 ha letto la relazione favorevole alla pubblicazione negli Atti accademici del lavoro di Mannheim dal titolo: Mémoire 3 Nell’originale: inspiré. d’Optique géometrique. 4 I lavori di Laguerre sono stati riuniti a cura di Hermite, Poincaré e Rouché nelle Œuvres de Laguerre, 2 voll., Paris, Gauthier-Villars, 1898-1905.
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vœux pour votre santé, l’expression de mes sentiments d’affection bien sincère et bien dévouée Ch. Hermite
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INDICE DEI NOMI
Abel, Niels Henrik (1802-1829) 57, 72, 108, 218 Alembert, Jean le Rond d’ (1717-1783) 55, 218 Ampère, André-Marie (1775,1836) 178 Andoyer, Henri (1862-1929) 88, 104, 105 Appell, Paul Emile (1855-1930) 71, 141, 157, 163, 188, 190, 211, 213 Appell, Mme, moglie di P.E. Appell 204, 206 Ashburnham, Bertram (1797-1878) 34, 35
Bacon, Francis (1561-1626) 181 Bellavitis, Giusto (1803-1880) 63 Beltrami, Eugenio (1835-1899) 216, 225 Beneden, Edouard (Van) (1846-1910) 169 Bernoulli, Jakob (1654-1705) 62, 63 Bert, Paul (1833-1886) 164 Berthelot, Pierre Eugène Marcellin (1827-1907) 107, 218 Bertrand, Alexandre suocero di C. Hermite (1820-1902) 71, 151, 222 Bertrand, Amelie nipote di C. Hermite 71 Bertrand, Joseph (1822-1900) 56, 69, 73, 77, 80, 81, 88, 89, 102, 103, 109, 111, 125, 151, 156, 184, 194, 203, 204, 206, 213, 222 Bertrand, Manuel, primogenito di J. Bertrand 222 Bertrand, Mme, suocera di C. Hermite 122, 137 Bessel, Friedrich Wilhelm (1784-1846) 206 Binet, Jacques Philippe Marie (1786-1856) 39, 48, 58, 87, 137, 145, 213 Bischoffsheim, Raphaël (1823-1906) 107, 112, 148, 149, 150, 153, 195 Bismarck, Otto Leopold (von) (1815-1898) 174, 223 Blanc, Louis Jean (1811-1882) 113 Blandin, Joseph 122 Bombelli, Raffaele (1526-1572) 133 Bommard, Amédée Alexandre Hippolite (1807-1865) 214 Boncompagni, Baldassarre (1821-1894) 37, 79, 108, 109, 176 Bonnet, Pierre Ossian (1819-1892) 37, 106, 114, 185, 186, 195 Borchardt, Carl Wilhelm (1817-1880) 50, 53, 59, 78 Borchardt, Mme, moglie di C.W. Borchardt 78 Bouquet, Jean Claude (1819-1885) 37, 85, 91, 107, 111, 131, 132, 148, 149, 157, 158, 163, 184, 186, 187, 189, 222, 225 Bouquet, Mme, moglie di J.C. Bouquet 187, 189, 200 Bourguet, L. (1831-1895?) 58, 59, 61, 62, 70, 71, 72, 73, 74, 75, 135, 137, 141, 142, 145, 146, 149 Boussinesq, Joseph Valentin (1842-1929) 102, 115, 141 Brazza, Pierre Savorgnan de (1852-1905) 195 Bressa, Cesare Alessandro (1785-1836) 50
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Bring, Erland Samuel (1736-1798) 199 Brioschi, Francesco (1824-1897) 59, 62, 76, 113, 133, 136, 150, 199, 200, 217, 221 Briot, Charles Auguste (1817-1882) 100, 102, 107, 115, 131, 222 Briot, Mme, moglie di C.A. Briot 222 Brisse, Charles Michel (1843-1898) 168 Brouardel, Paul Camille Hippolyte (1837-1906) 200, 216 Brown-Sequart, Charles Edouard (1817-1894) 195, 214, 219 Buffon, George Louis (1707-1788) 130 Bunsen, Robert Wilhelm (1811-1899) 108
C
ardano, Girolamo (1501-1576) 133 Carlo Alberto (1798-1849) 193 Casorati, Felice (1835-1890) 88 Caspary, Ferdinand (1853-1901) 223 Catalan, Eugène Charles (1814-1894) 74, 169, 173, 200, 201, 212, 219 Cauchy, Augustin Louis (1789-1857) 31, 32, 33, 35, 37, 39, 40, 43, 48, 69, 70, 76, 77, 78, 80, 81, 84, 87, 107, 137, 148, 150, 191, 192, 195, 197 Cayley, Arthur (1821-1895) 169, 218 Cesaro, Ernesto (1859-1906) 219 Chasles, Michel (1793-1880) 37, 67, 100, 126, 130, 190 Chatin, Gaspard Adolphe (1813-1901) 215 Chevreul, Michel Eugène (1786-1889) 55, 64 Chiò, Felice (1813,1871) 63, 78, 79, 80, 81, 83, 87, 88 Chiò, Mme, moglie di F. Chiò 92 Clairaut, Alexis-Claude (1713-1765) 218 Clausen, Thomas (1801-1885) 63 Conrart, Valentin (1603,1675) 211 Crelle, August Leopold (1780-1855) 62, 63, 90, 123, 155, 159 Cremona, Luigi (1830-1903) 169, 190, 191, 192, 217
Darboux, Jean Gaston (1842-1917) 68, 69, 76, 83, 92, 100, 141, 152, 157, 164, 165, 180, 183, 185, 194, 211, 213 Darmesteter, Arsène (1846-1888) 152 Darwin, Charles Robert (1809-1882) 70 Dastre, Albert Jules Frank (1844-1917) 194 Daubrée, Gabriel Auguste (1814-1896) 160, 163 de Saint-Germain, Albert Léon (1839-1914) 102 De Gasparis, Annibale (1819-1892) 47 De Morgan, Augustus (1806-1871) 95 Des Cloizeaux, Alfred Louis (1817-1897) 160 Dirichlet, Peter Lejeune (1805-1859) 31, 89, 151 Dorna, Alessandro (1825- 1886) 222 D’Ovidio, Enrico (1843-1933) 203, 213 Du Bois Reymond, Paul David (1831-1889) 202 Duchartre, Pierre Etienne Simon (1811-1894) 106 Duclaux, Emile (1840-1904) 131 Dumas, Jean Baptiste André (1800-1884) 89, 91 Dumont, Charles Albert Auguste (1842-1884) 163 Dupuy de Lôme, Stanislas Charles (1816-1885) 69
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Dutrochet, René Joachim Henri (1776-1847) 56 Dutrochet, Mme, moglie di R.J.H. Dutrochet 56 Duvaux, Jules Yves Antoine (1827-1902) 94, 106
E
uclide (IV-III sec. a. C.) 182 Eisenstein, Ferdinand Gotthold Max (1823-1852) 90, 122, 123, 156, 159, 161, 199, 218 Euler, Leonhard (1707-1783) 39, 55, 61, 77, 121, 122, 179, 182, 218
F
aà di Bruno, Francesco (1825-1888) 159, 160 Fagnano, dei Toschi Giulio Carlo (1682-1766) 104, 108 Faye, Hervé Auguste Etienne (1814-1902) 69, 186 Fermat, Pierre de (1601-1665) 55, 56, 57, 109, 121, 122, 125, 156 Ferran Y Clua, Jaime (1852-1929) 197, 200 Ferry, Jules François Camille (1832-1893) 146, 147, 148, 152, 174 Fibonacci, Leonardo (1170-1250) 121 Forestier Mme, primogenita di Hermite 131 Foucault, Jean Bernard Leon (1819-1868) 142 Fourier, Jean Baptiste Joseph (1768-1830) 115 Fremy, Edmond (1814-1894) 69 Frenet, Jean Frédéric (1816-1900) 184 Freycinet, Charles Louis (1828-1923) 89, 91, 144, 152 Friedel, Charles (1832-1898) 173 Fuchs, Immanuel Lazarus (1833-1902) 76, 205, 211,221
Gallenga, Antonio (1812-1895) 193 Galois, Evariste (1811-1832) 218 Gauss, Carl Friedrich (1777-1855) 31, 32, 35, 39, 55, 89, 122, 176, 181, 198, 199, 206, 218 Germain, Sophie (1776-1831) 56, 176, 181 Gerono, Camille Cristophe (1799-1891) 168, 212 Genocchi, Angelo (1817-1889) 150 Gilbert, Philippe (1832-1892) 169, 170 Goblet, René (1828-1905) 215 Goldbach, Christian (1690-1764) 61 Gordan, Paul Albert (1837-1912) 199, 200 Gréard, Valéry Clément Octave ( 1828-1904) 194 Grunert, Johann August (1797-1872) 36, 37 Gudermann, Christophe (1798-1852) 138 Guizot, François Pierre Guillaume (1787-1874) 85
Halphen, Georges Henri (1844-1889) 68, 105, 127, 157, 183, 188, 195, 213 Hamelin, Ferdinand Alphonse (1796-1864) 143 Hébert, Edmond (1812-1890) 106, 107 Heine, Heinrich Edouard (1821-1881) 52, 58, 106, 107 Helmholtz, Hermann Ludwig von (1821-1894) 107 Henry, Charles (1859-1926) 109 Hermite, Charles (1822-1901) 110, 149 Hermite, Henri Ferdinand (1847-1880) 57
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Hermite, Mme, moglie di C. Hermite 57, 204 Hoüel, Guillaume Jules (1823-1886) 153 Hugo, Victor (1802-1885) 85, 193, 194 Humboldt, Alexander von (1769-1859) 204
J
acobi, Carl Gustav Jacob (1804-1851) 39, 70, 72, 98, 108, 218 Jamin, Jules Célestin (1818,1886) 210 Janssen, Pierre Jules César (1824-1907) 69 Jerrard, George Birch (1804-1863) 199 Jordan, Camille (1838-1921) 68, 125, 157, 175, 183, 184, 186, 203, 211, 213 Jordan, Mme, moglie di C. Jordan 206 Jurien de La Gravière, Jean-Pierre-Edmond (1812-1892) 219
K
amecke, George Arnold Karl de (1817-1893) 92 Kiepert, Friedrich Wilhelm Ludwig (1846-1934) 105 Klein, Felix (1849-1925) 76 Kowalevsky, Sophie (1850-1891) 89, 211, 212, 213, 219 Krause, Johann Martin (1851-1920) 221 Kronecker, Leopold (1823-1891) 55, 88, 89, 91, 124, 125, 133, 144, 146, 147, 150, 152, 159, 174, 187, 199, 202, 205, 211 Kronecker, Mme, moglie di L. Kronecker 91 Kronecker, Mlle, figlia di L. Kronecker 91
L
acase-Duthiers Felix Henri de (1821-1901) 106, 152 Lagrange, Joseph Louis (1736-1813) 34, 35, 39, 77, 79, 80, 81, 82, 83, 86, 87, 122, 150, 181, 187, 216, 217, 218 Laguerre, Edmond Nicolas (1834-1886) 78, 87, 124, 125, 126, 157, 188, 191, 222, 224, 225 Laguerre, Mme, moglie di E.N. Laguerre 222 Laisant, Charles Ange (1841-1920) 107, 109, 112, 148, 149, 150 Lamé, Gabriel (1795-1870) 47, 80 Landen, John (1719-1790) 105 Langier, Mme 204 Laplace, Pierre Simon de (1749-1827) 69, 217 Laurent, Matthieu Paul (1841-1908) 127 Ledieu, Alfred Constant Hector (1830-1891) 50 Lefébure, A. 156, 157, 158, 161 Legendre, Adrien Marie (1752-1833) 54, 55, 72, 95, 96, 108, 199, 201 Leopardi, Giacomo (1798-1837) 194 Lévy, Maurice (1838-1910) 102 L’Hôpital, François Antoine (1661-1704) 178 Libri Carrucci Dalla Sommaia, Guglielmo Icilio (1803-1869) 35 Limbourg, Henri Joule Joseph (1833,1860) 51 Lindemann, Carl Louis Ferdinand (1852-1939) 89, 91, 92 Liouville, Joseph (1809-1882) 31, 62, 69, 92, 100, 102, 104, 175, 199, 212, 213 Lippmann, Gabriel Jonas (1845-1921) 107, 115, 220, 221 Lipschitz, Rudolf Otto (1832-1903) 182, 183 Lucas, François Edouard Anatole (1842-1891) 109 Ludolph van Ceulen (1540-1610) 92
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M
aclaurin, Colin (1698-1746) 39 Mac-Mahon, Edme Patrice de (1808-1893) 92, 169 Malmsten, Carl Johann (1814-1886) 39 Mamiani della Rovere Terenzio (1799-1885) 106 Mannheim, Amédée (1831-1906) 68, 69, 188, 190, 225 Mansion, Paul (1844-1919) 169 Mascart, Eleuthère Elie Nicolas (1837-1908) 222 Mascart, Mme, moglie di E. Mascart 222 Mascart, Mlle, figlia di E. Mascart 222 Mathieu, Emile Léonard (1835-1890) 102, 141 Maxwell, James Clerk (1831-1879) 218 Mazzini, Giuseppe (1805-1872) 187, 193 Menabrea, Luigi Federico (1809-1896) 83, 216 Menzel, Adolf (1815-1905) 207 Michel, Louise (1830-1905) 119, 121, 122 Milne-Edwards, Alphonse (1835-1900) 216 Milne-Edwards, Henri (1800-1885) 102, 107, 114, 131, 141, 149, 163 Minkowski, Hermann (1864-1909) 123, 124 Mittag-Leffler, Magnus Gösta (1846-1927) 88, 96, 97, 116, 187, 206, 211 Morin, Frédéric 102
N
apoléon Bonaparte (1796-1821) 161 Napoléon, Charles Louis (1808-1873) 118, 122, 164 Neovius, Eduard Rudolf (1851-1917) 206 Neovius, Mme, moglie di E. R. Neovius 206 Newton, Isaac (1642-1727) 38, 69, 218 Nigra, Costantino (1828-1907) 169 Noether, Max (1844-1921) 221 Novarese, Enrico (1858-1892) 105
O
berdan, Guglielmo (1858-1882) 108 Ocagne, Philbert Maurice d’ (1862-1938) 153, 154 Owen, Richard (1800-1892) 142
P
ascal, Etienne (1588-1640) 153 Pasteur, Louis (1822-1895) 131, 197, 203, 204 Peano, Giuseppe (1858-1932) 101, 104, 130, 177, 179 Pépin, Theophile (1825-1903) 121 Perott, Joseph de (1854-1924) 158, 161 Perrier, François (1833-1888) 140, 146 Picard, Charles, figlio di E. Picard 164 Picard, Emile (1856-1941) 57, 60, 67, 76, 94, 102, 104, 157, 163, 170, 183, 185, 188, 190, 195, 205, 211, 213 Picard, Mme, moglie di E. Picard 131, 204, 206 Picard, Jeanne figlia di E. Picard 86 Picquet, Louis Didier Henry (1845-?) 125 Plana, Giovanni (1781-1864) 63, 78, 213, 224
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Poincaré, Henri (1854-1912) 102, 104, 157, 160, 163, 185, 188, 190, 211, 213, 224, 225 Poinsot, Louis (1777-1859) 54, 55, 80 Poisson, Siméon Denis (1781-1840) 69, 217, 218 Poncelet, Jean Victor (1788-1867) 80 Prym, Friedrich Emil (1841-1915) 53, 58, 59, 60, 64, 65, 66, 68 Puiseux, Victor Alexandre (1820-1883) 37, 102, 103, 104, 141, 157
R
ealis, Savino (1818-1886) 212, 214, 224 Renan, Ernest (1823-1892) 186 Riemann, Georg Friedrich Bernhard (1826-1866) 39, 70, 107, 148, 150, 218 Resal, Henri Amé (1828-1896) 175, 183 Roque (de Filhol), Jean Théoxène (1824-1889) 148 Rosenhein, Johann Georg (1816-1887) 73, 108 Rouché, Eugène (1835-1910) 79, 80, 225 Ruffini, Iacopo (1805-1833) 193
Sainte Claire Deville, Charles (1814-1876) 144 Salmon, George (1819-1904) 169, 179 Schaar, Mathieu (1817-1867) 51, 138, 213 Schering, Ernst Christian Julius (1833-1897) 32, 54, 64 Schumacher, Heinrich Christian (1780-1850) 63 Schwarz, Hermann Amandus (1843-1921) 52, 60, 64, 74, 96, 99, 101, 104, 110, 111, 112, 202, 205, 206 Scott, Walter (1871-1832) 202 Sella, Quintino (1827-1884) 140, 144, 145, 147, 160, 163, 165 Sella, Mme, moglie di Q. Sella 164 Serret, Joseph Alfred (1819-1885) 34, 37, 59, 88, 111, 125, 150, 157, 185, 186, 187, 188, 190 Serret, Mme, moglie di J. A. Serret 186 Siacci, Angelo Francesco (1839-1907) 37, 47, 85, 101, 103, 105, 106, 108, 110, 112, 119, 123, 127, 139, 141, 203, 207, 209, 219 Siacci Mlle, figlia di A.F. Siacci 141, 143 Smith, Henry John Stanley (1826-1883) 123, 124 Staudt, Karl Georg Cristian von (1798-1867) 62, 63 Stirling, James (1692-1770) 51, 137, 147, 158, 210, 213 Sylvester, James Joseph (1814-1897) 169, 206, 218
Tait, Peter Guthrie (1831-1901) 169 Tannery, Jules (1848-1910) 96 Tartaglia, Niccolò (ca. 1499-1557) 133 Taylor, Brook (1685-1731) 39 Tchebichev, Pafnuti Lvovich (1821-1894) 183 Thomson, William (1824-1907) 169, 218 Tisserand, François Felix (1845-1896) 104, 141, 211 Tortolini, Barnaba (1808-1874) 36, 38, 63 Troost, Louis Joseph (1825-1911) 187, 194
Valson, Claude Alphonse (1826-1901) 81
indice dei nomi
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Vicaire, Joseph Marie Eugène (1839-1901) 125 Villemain, Abel François (1790-1870) 85
Waddington, William Henry (1826-1894) 169 Weber, Heinrich (1842-1913) 221 Weierstrass, Karl (1825-1897) 47, 49, 52, 58, 59, 72, 73, 74, 77, 78, 88, 89, 91, 97, 100, 108, 144, 146, 147, 150, 152, 159, 174, 187, 202, 207, 211 Wiltheiss, Ernst Eduard (1855-1900) 74 Winckler, Anton (1821-1892) 93 Wöhler, Friedrich (1800-1882) 108 Wurtz, Charles Adolphe (1817-1884) 173, 174
Zédé, Emile-Hippolyte (1827-1900) 143
INDICE STORICO Sigle impiegate ADB BBA BNB DBJ DBF DMF DNB DBI DPF DSB EE FSM IBN IF POG PS
Allgemeine deutsche Biographie, Berlin, Duncker & Humblot British Biographical Archive, London, K.G. Saur Biographie nationale publiée par l’académie royale des sciences, des lettres et des beaux-arts de Belgique, Bruxelles, Bruylant-Christophe Deutsches biographisches Jahrbuch, herausgegeben vom der Deutschen Akademien, Stuttgart Dictionnaire de biographie française. Paris, Letouzey et Ané E. Taillemite, Dictionnaire des marins français, Paris, Editions maritimes & d’outremer, 1982 Dictionary of national biography, London, Smith, Elder & Co., 1885-1900 Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana Dictionnaire des parlementaires français. Depuis le 1er mai 1789 jusqu’au 1er mai 1889. Publié sous la direction de MM. Adolphe Robert, Edgar Bourloton et Gaston Cougny, Paris, Bourloton, 1891 Dictionary of scientific biography, New York, C. Scribner’s sons Enciclopedia europea, Milano, Garzanti La Facoltà di scienze matematiche fisiche naturali di Torino, a cura di C.S. Roero, Torino, 1999 Index bio-bibliographicus notorum hominum, Osnabrück, Biblio Verlag Institut de France, Index biographique de l’Académie des sciences. Du 22 décembre 1666 au 1er octobre 1978, Paris, Gauthier-Villars, 1979 J. C. Poggendorff, Biographisch-Literarisches Handwörterbuch der exacten Naturwissenschaften, Leipzig, J. A. Barth A. C. de Franqueville, Le premier siècle de l’Institut de France. 25 octobre 179525 octobre 1895, Paris, J. Rothschild, 1895-96 A
Abel, Niels Henrik (1802-1829) Nato Finnöy (Isola Norvegese), studiò all’Università di Oslo (1821-25) maturando la sua formazione sulle opere di Euler e Lagrange. Diede contributi fondamentali alla questione della irrisolubilità per radicali delle equazioni algebriche di grado superiore al quarto. Nello studio degli integrali ellittici introdusse innovazioni fondamentali, dando nascita, con Jacobi, alla teoria delle funzioni ellittiche. Diede contributi alla teoria degli integrali di funzioni algebriche irrazionali estendendo a questi un celebre teorema di addizione di Euler sugli integrali ellittici. DSB Alembert, Jean le Rond D’ (1717-1783) Nato a Parigi, studiò diritto medicina e matematica al Collège des QuatreNations. La sua produzione scientifica iniziata nel 1739 si orientò verso la dinamica e l’analisi sulla scia di Newton. Il più rilevante lavoro della sua vasta produzione fu il Traité de dynamique (1743) dove sviluppa e perfeziona in modo critico la formalizzazione della dinamica iniziata da Newton. Fu eletto all’Académie des
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sciences di Parigi nel 1741. Intorno al 1750 divenne l’editore scientifico dell’Encyclopédie di Diderot. DSB Ampère, André-Marie (1775-1836) Nato a Lyon (Francia), insegnò matematica nella stessa città all’inizio della sua carriera. Nel 1803 divenne répétiteur all’Ecole polytechnique e nel 1824 professore di fisica al Collège de France. DSB Andoyer, Henri (1862-1929) Nato a Parigi, allievo dell’Ecole normale supérieure fu maître de conférences all’Università di Toulouse e alla Faculté des sciences di Parigi dove divenne professore di astronomia (1903). Dal 1910 membro del Bureau des longitudes e dal 1919 dell’Académie des sciences di Parigi. Le sue ricerche riguardano sopratutto la meccanica celeste. POG Appell, Paul Emile (1855-1930) Nato a Strasburgo, dal 1873 frequentò l’Ecole normale supérieure di Parigi, conseguì il dottorato nel 1876, nel 1885 ebbe l’insegnamento di meccanica razionale alla Faculté des sciences di Parigi. Fu eletto all’Académie des sciences di Parigi nel 1892 e fu rettore dell’Università di Parigi dal 1920 al 1925. Si occupò di meccanica razionale di cui pubblicò un vasto trattato tra il 1893 e il 1921. In analisi si occupò di equazioni differenziali, di teoria delle funzioni di una variabile complessa e di funzioni ellittiche. DSB Ashburnham, Bertram (1797-1878) Bibliofilo inglese celebre per la sua collezione di manoscritti in quattro serie, ora dispersa. BBA, EE B Bacon, Francis (1561-1626) Nato a Londra, educato a Cambridge, fu filosofo di grande influenza nell’orientamento metodologico della scienza nel sedicesimo secolo. DSB Bellavitis, Giusto (1803-1880) Nato a Bassano (Italia), studiò come autodidatta. Dal 1843 fu insegnante in un liceo di Vicenza e nel 1845 fu nominato professore di geometria descrittiva all’Università di Padova che nel 1846 gli conferì la laurea honoris causa in filosofia e matematica. Nel 1867 passò all’insegnamento di algebra complementare e geometria analitica. Nel 1850 divenne membro della Società Italiana delle scienze e nel 1879 della Reale Accademia dei Lincei. Si occupò sopratutto di geometria ove introdusse il calcolo delle equipollenze, che presenta delle analogie con il baricentrische Calcul di Möbius. Si occupò anche di algebra e di teoria dei numeri. DSB Beltrami, Eugenio (1835-1899) Nato a Cremona (Italia), studiò all’Università di Pavia (1853-56) dove ebbe come maestro Brioschi e a Milano dove Cremona lo orientò allo studio della geometria delle curve e delle superficie. I primi lavori (1862-66) riguardano la geometria
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differenziale delle curve. Nel 1862 divenne professore d’algebra e geometria analitica all’Università di Bologna. Insegnò geodesia all’Università di Pisa (1864-66) e meccanica razionale a Bologna (1866-73) e a Roma (1873-76). Dopo un periodo di insegnamento a Pavia tornò a Roma nel 1891 dove rimase definitivamente. Si occupò di geometria differenziale e il suo cospicuo contributo riguarda lo studio delle superficie a curvatura costante negativa che gli servirono per costruire un modello della geometria iperbolica. Si occupò anche di fisica matematica. DSB Beneden, Edouard Van (1846-1910) Nato a Lovanio (Belgio), naturalista e studioso di embriologia e zoologia di cui divenne professore all’Università di Liegi nel 1874. Fu eletto all’Académie Royale de Belgique nel 1872 e socio corrispondente dell’Académie des sciences di Parigi nel 1901. DSB Bernoulli, Jakob (1654-1705) Nato a Basilea (Svizzera), dopo aver studiato teologia si dedicò alla matematica e all’astronomia. Fu professore a Basilea dal 1687. I suoi vasti interessi spaziarono dall’analisi di cui conobbe quanto produsse Leibniz, all’astronomia, alla meccanica, alla geometria e alla teoria della probabilità. Una sua importante opera, pubblicata postuma a Basilea nel 1713 a cura del nipote Nikolaus, è l’Ars conjectandi, che fu il primo trattato di calcolo delle probabilità. DSB, POG Bert, Paul (1833-1886) Nato a Auxerre (Francia), si licenziò dapprima in legge (1857), conseguì poi il dottorato in medicina (1863) e scienze naturali (1866) a Parigi. Insegnò zoologia e fisiologia prima a Bordeaux (1866-67) e poi al Museo di storia naturale di Parigi (1867-68) e nel 1869 ebbe la cattedra di fisiologia alla Sorbona. Deputato repubblicano nel 1872, sostenne il rinnovamento dell’istruzione pubblica e la riorganizzazione del servizio militare (a cui accenna Hermite: cfr. let. 67, p. 163). DBF, DSB Berthelot, Pierre Eugène Marcelin (1827-1907) Nato a Parigi, chimico. Conseguì il dottorato nel 1854, dal 1865 fu professore di chimica al Collège de France. Fu eletto all’Académie des sciences di Parigi nel 1873 e all’Académie française nel 1900. Fu studioso molto noto. Nel 1881 divenne senatore e ebbe vari incarichi governativi fino al 1896. DSB, POG Bertrand, Alexandre (1820-1902) Nato a Parigi, archeologo. Studiò all’Ecole normale supérieure e all’Ecole française d’Athènes, nel 1865 divenne conservateur del Musée de St. Germain che egli contribuì a fondare. DBF Bertrand, Joseph Louis François (1822-1900) Nato a Parigi, dal 1839 studiò all’Ecole polytechnique e dal 1841 all’Ecole des mines. Insegnò matematica al Collège Saint-Louis (1841-48), nel 1844 divenne répétiteur d’analyse e tre anni dopo examinateur d’admission all’Ecole polytechnique e suppléant del fisico Biot al Collège de France. Nel 1856 divenne professore di analisi matematica all’Ecole polytechnique. Eletto all’Académie des sciences di Parigi nel 1856, vi divenne secrétaire perpétuel nel 1874. Si interessò di fisica matematica, di probabilità, di geometria e di analisi. DSB
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Bessel, Friedrich Wilhelm (1784-1846) Nato a Minden (Germania), studiò astronomia da autodidatta e rivelò il suo grande talento calcolando l’orbita della cometa di Halley sulle osservazioni di Harriot del 1607. Presentò i suoi risultati a Olbers nel 1804 e con il suo aiuto ottenne la possibilità di lavorare come astronomo dapprima a Lilienthal, presso Brema (1806), e poi a Königsberg (1810) dove diresse l’osservatorio astronomico e insegnò per tutta la vita. DSB Binet, Jacques Philippe Marie (1786-1856) Nato a Rennes (Francia), fu studente all’Ecole polytechnique dal 1804, fu professore di meccanica nella medesima scuola e dal 1823 professore di astronomia al Collège de France, dal 1843 fu membro dell’Académie des sciences di Parigi. Le sue memorie riguardano l’analisi, la meccanica e l’astronomia. DBF Bischoffsheim, Raphaël (1823-1906) Nato ad Amsterdam, frequentò l’Ecole centrale des arts et manifactures (1842). Si distinse come mecenate nei confronti di numerose istituzioni scientifiche: interessato al progresso dell’astronomia, finanziò la costruzione di strumenti per gli osservatori di Parigi, di Montsouris, del pic du Midi e la fondazione e la costruzione a sue spese dell’osservatorio di Nizza. Naturalizzato francese nel 1880, nel 1881 fu eletto deputato come candidato repubblicano. DPF, (cfr. anche: M. Fulconis, R. B., «Bulletin de l’A.D.I.O.N.», 26 (1991), pp. 53-57) Bismarck, Otto Leopold (von) (1815-1898) Nato a Schönhausen (Germania), uomo politico tedesco. EE Blanc, Jean Joseph Louis (1811-1882) Nato a Madrid, storico e uomo politico prese parte al governo provvisorio francese del 1848, esiliatosi in Inghilterra ritornò in Francia nel 1870 prendendo parte attiva alla politica nei ranghi della sinistra. DPF Blandin, Joseph Fu sindaco di Bains de Bretagne (Francia), veterano della rivoluzione e dell’impero, fu soldato dal 1793. Tornò a Bain de Bretagne nel 1815. Come Hermite accenna nella lettera del 28 marzo 1883 (let. 44, p. 121) Charles Louis Napoleon (il futuro Napoleone III) nel maggio del 1846, proscritto e in fuga dal maniero di Ham, trovò a Bains de Bretagne l’aiuto di Blandin e potè in tal modo riparare in Belgio e poi a Londra. (Estratto da un documento rilasciato dalla Mairie di Bains de Bretagne il 13 dicembre 2000) Bombelli, Raffaele (1526-1572) Nato a Bologna, matematico e ingegnere. È celebre la sua Algebra, che rimase a lungo manoscritta. I primi tre libri di argomento algebrico furono pubblicati a Bologna nel 1572, la parte geometrica che non fu mai pubblicata e che si credeva perduta, fu riscoperta nel 1923. DSB Bommard, Amédée Alexandre Hippolyte (1807- 1865) Nato a Douai (Francia), studiò all’Ecole des ponts et chaussées dal 1827, divenne ingegnere nel 1832 e professore nella stessa scuola dal 1838. (Estratto dal Dossier administratif personnel. Archives nationales, Paris: Série F 14-2174)
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Boncompagni, Baldassarre (1821-1894) Nato a Roma, secondogenito di Luigi, principe di Piombino, si occupò di storia della matematica e della fisica, a cui si dedicò dal 1846 con profusione di mezzi personali. Dal 1868 al 1887 pubblicò il Bullettino di bibliografia e storia delle scienze matematiche e fisiche. Si interessò allo sviluppo della storia della fisica nei secoli XVI e XVII in Italia. Scrisse biografie di matematici, astronomi e traduttori dei secoli XII e XIII. Curò una edizione degli scritti di Leonardo Fibonacci e con accurate memorie ne illustrò l’opera e l’importanza nella storia della matematica. Scrisse anche di alcuni matematici moderni fra cui Euler, Lagrange, Laplace. DSB Bonnet, Pierre-Ossian (1819-1892) Nato a Montpellier (Francia), dal 1838 fu allievo dell’Ecole polytechnique dove fu chiamato all’insegnamento nel 1844 come répétiteur e dal 1868 come suppléant. Nel 1878 divenne professore di astronomia alla Sorbona succedendo a Leverrier. Fu chiamato al Bureau des Longitudes nel 1883 e nel 1862 fu nominato membro dell’Académie des sciences di Parigi. Le sue memorie riguardano principalmente la geometria differenziale delle curve e delle superficie. DSB Borchardt, Carl Wilhelm (1817-1880) Nato a Berlino, dal 1836 studiò a Berlino con Dirichlet e dal 1839 a Königsberg con Bessel, F. Neumann e Jacobi. Negli anni 1846-47 fu a Parigi dove conobbe Hermite. Nel 1848 divenne Privatdozent all’Università di Berlino. Membro corrispondente dell’Académie des sciences di Parigi dal 1876. Si occupò di analisi di algebra e di geometria, curò l’edizione delle opere di Jacobi e dal 1856 al 1880 ebbe la direzione del Journal für die reine und angewandte Mathematik fondato a Berlino nel 1826 da Crelle e da lui diretto fino al 1851. Diede contributi alla meccanica celeste, all’algebra e all’analisi. DSB, POG Bouquet, Jean-Claude (1819-1885) Nato a Morteau, Doubs (Francia), fu dal 1839 allievo dell’Ecole normale supérieure di Parigi, conseguì il dottorato nel 1842 e fu nominato professore alla Faculté des sciences di Lione. A Parigi insegnò al liceo Bonaparte (ora liceo Condorcet) dal 1852 al 1858 e fino al 1867 al liceo Luis-le-Grand. Maître de conférences all’Ecole normale supérieure e répétiteur all’Ecole polytechnique di Parigi, insegnò analisi matematica come successore alla cattedra di Serret alla Sorbona (1874-84). In geometria differenziale le sue memorie sulle superficie ortogonali furono fondamentali per le successive ricerche sull’argomento. La sua lunga collaborazione scientifica con Briot fu rivolta sopratutto al chiarimento dell’opera di Cauchy e allo studio delle funzioni ellittiche. DSB Bourguet, L. (1831-1895?) Nato a Nantes (Francia), conseguì il dottorato nel dicembre del 1880 a Parigi. Entrò come maître de conférences alla Faculté des sciences dell’Institut catholique di Parigi nel novembre 1887; si dimise il 28 novembre 1894. Si occupò di analisi, in particolare di integrali ellittici, su cui pubblicò dei lavori di carattere numerico. (Estratto da un documento rilasciato dall’Institut catholique di Parigi in data 26 settembre 2001) Boussinesq, Joseph Valentin (1842-1929) Nato a St.-André-de-Sangonis, Hérault (Francia), conseguì il dottorato nel 1867. Nel 1873 divenne professore di analisi alla Faculté des sciences dell’Università di Lille e più tardi fu professore a Parigi dove insegnò meccanica, fisica matematica e
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calcolo delle probabilità. Le sue ricerche riguardano sopratutto la fisica matematica e la meccanica. DSB, POG Brazzà, Pierre Savorgnan de (1852-1905) Nato a Roma da una famiglia friulana del patrizato veneto, naturalizzato francese, fu un esploratore celebre in Francia per le sue numerose spedizioni in Africa che diedero origine al protettorato del Congo Francese e all’esplorazione del Gabon che con il Congo divenne parte dell’Afrique-Equatoriale française. DBF Bressa, Cesare Alessandro (1785-1836) Nato a Langosco (Italia), medico. Compì gli studi all’Università di Pavia terminandoli nel 1808. Nel 1817 si trasferì negli Stati Uniti, prima a Filadelfia e poi a New Orleans. Esercitò la professione di medico nello stato della Louisiana. Rientrato in Europa nel 1829 si stabilì a Mortara. A lui si deve l’istituzione del premio della Reale Accademia delle Scienze di Torino, che porta il suo nome. (F. Pezza, Riverberi secolari d’America ed un primato medico d’Italia. Lettere del dott. Cesare Bressa al prof. Luigi Travelli (1817-1829), Novara, 1933) Bring, Erland Samuel (1736-1798) Nato ad Ausås, Kristianstad (Svezia), studiò giurisprudenza all’Università di Lund (1750-57) ma si dedicò agli studi matematici, contribuendo alla riduzione in forma trinomia dell’equazione generale di quinto grado. Lo stesso risultato ottenuto indipendentemente da Jerrard (1832-35) doveva servire a Hermite per risolvere l’equazione di quinto grado con l’uso delle funzioni ellittiche. DSB Brioschi, Francesco (1824-1897) Nato a Milano, si laureò nel 1845 all’Università di Pavia dove dal 1852 divenne professore di meccanica razionale, architettura civile e idraulica. Fu segretario generale del Ministero della pubblica istruzione (1861-62). Nel 1863 ebbe l’incarico di fondare l’Istituto tecnico superiore di Milano dove fu direttore e professore di matematica e di idraulica, incarico che tenne fino alla sua morte. Contribuì a fondare e diresse dal 1867 alla sua morte (fino al 1877 con Cremona) il periodico Annali di matematica pura e applicata. Le sue ricerche riguardano sopratutto l’algebra e l’analisi. DSB Briot, Charles Auguste (1817-1882) Nato a St.-Hippolyte (Francia), dal 1838 fu allievo dell’Ecole normale supérieure di Parigi e conseguì il dottorato nel 1842. Dal 1841 insegnò al Collège royal d’Orléans, dal 1845 all’Università di Lyon, dal 1855 fu professore di meccanica e astronomia all’Ecole normale supérieure e professore di matematica e fisica alla Sorbona. Si occupò di fisica matematica (teoria del calore, della luce, dell’elettricità) di meccanica razionale e di analisi. DSB, POG Brisse, Charles Michel (1843-1898) Nato a Parigi, ingegnere. Fu studente all’Ecole polytechnique di Parigi (1863-65). Dal 1872 fu professore di matematica all’Ecole des beaux arts di Parigi e dal 1874 répétiteur di geometria alla stessa Ecole polytechnique. Fu il fondatore della Societé mathématique de France. Fondò il Journal de physique théorique et appliquée e fu direttore dei Nouvelles annales de mathématiques. Si occupò di geometria e di meccanica. DBF, POG
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Brouardel, Paul Camille Hippolyte (1837-1906) Nato a St.-Quentin (Francia), medico, nel 1879 divenne professore di medicina legale a Parigi. DBF Brown-Séquard, Charles Edouard (1817-1894) Nato a Port Louis (Mauritius), medico e fisiologo. Insegnò fisiologia negli Stati Uniti, dal 1854 a Richmond, dal 1856 a Boston e dal 1858 in Inghilterra. Fu eletto alla Royal society di Londra nel 1861. Nel 1878 divenne professore di fisiologia sperimentale al Collège de France. DSB Buffon, George Louis (1707-1788) Nato a Montbard (Francia), naturalista di grande notorietà, uno dei più famosi del diciottesimo secolo, fu l’autore di una vastissima Histoire naturelle pubblicata tra il 1749 e il 1789, opera molto celebre di grande influenza e diffusione. DSB Bunsen, Robert Wilhelm (1811-1899) Nato a Göttingen (Germania), chimico, fece i suoi studi a Göttingen, in seguito li completò a Berlino, Parigi e Vienna, fu professore di chimica a Cassel dal 1836 e dal 1852 a Heidelberg. Fu correspondant (1853) e poi associé étranger (1882) dell’Académie des sciences di Parigi. DSB C Cardano, Girolamo (1501-1576) Nato a Pavia (Italia), celebre matematico e medico. Terminò gli studi a Padova nel 1526, nel 1534 fu incaricato di insegnare geometria, aritmetica e astronomia nelle scuole palatine di Milano. In matematica la sua opera più nota è l’Ars magna, pubblicata a Norimberga nel 1545, opera in cui vengono trattate sistematicamente molte nuove idee sulla soluzione delle equazioni algebriche. DSB Carlo Alberto re di Sardegna (1798-1849) Nato a Torino, figlio di Carlo Emanuele principe di Carignano e di Maria Cristina di Sassonia, salì al trono sabaudo come successore di Carlo Felice il 27 aprile del 1831. EE Casorati, Felice (1835-1890) Nato a Pavia (Italia), studiò all’Università di Pavia dove fu allievo di Brioschi e dove nel 1859 fu nominato professore straordinario di algebra e geometria analitica e nel 1862 professore ordinario. Nel 1863 passò all’insegnamento dell’analisi che tenne per tutta la sua vita accademica. Si occupò sopratutto della teoria delle funzioni di variabile complessa (di cui pubblicò un trattato nel 1868) e di equazioni differenziali. Si occupò anche di geometria differenziale dando contributi alla teoria delle superficie. DBI, POG Caspary, Ferdinand (1853-1901) Insegnò al ginnasio Humboldt di Berlino, fu professore all’Università di Dorpat (nome tedesco di Tolu in Estonia). Si occupò di geometria analitica e di alcune applicazioni delle funzioni ellittiche alla geometria. IBN, POG
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Catalan, Eugène Charles (1814-1894) Nato a Bruges (Belgio), dal 1833 fu allievo dell’Ecole polytechnique di Parigi e dal 1865 fu professore di analisi all’Università di Liegi. Le sue ricerche riguardano l’analisi, la teoria dei numeri la geometria. POG Cauchy, Augustin Louis (1789-1857) Nato a Parigi, studiò all’Ecole polytechnique ove divenne professore, insegnando anche alla Sorbona e al Collège de France. Lasciata la Francia e la cattedra nel 1830 a causa della rivoluzione riparò in Svizzera (Friburgo), a Torino dove insegnò fisica, e a Praga come precettore. Fece ritorno a Parigi nel 1838 e nel 1852 riprese l’insegnamento universitario. Fu tra i più grandi matematici del diciannovesimo secolo. DSB Cayley, Arthur (1821-1895) Nato a Richmond (Inghilterra), studiò al Trinity college di Cambridge ove si distinse per il suo talento matematico. Nel 1863 fu chiamato a Cambridge come primo sadlerian professor di matematica. In algebra fu il fondatore con Sylvester della teoria degli invarianti algebrici. Matematico di grande fecondità, diede numerosissimi contributi in quasi tutti i campi della matematica del suo tempo. DSB Cesaro, Ernesto (1859-1906) Nato a Napoli, frequentò l’Ecole des mines di Liegi ove studiò matematica con Catalan che ne ricobbe il talento. Intorno al 1882 passò alcuni mesi a Parigi dove seguì vari corsi fra cui le lezioni di Hermite. Terminò gli studi all’Università di Roma nel 1887. Nel 1886 ricoprì l’insegnamento di algebra superiore all’Università di Palermo ove rimase fino al 1891, anno in cui si trasferì definitivamente a Napoli dove insegnò analisi. Le sue ricerche riguardano l’analisi, la teoria dei numeri, la geometria differenzialee e la fisica matematica. Nella sua ampia produzione uno dei contributi più importanti fu la geometria intrinseca. DSB Ceulen, Ludolph van (1539-1610) Nato a Hildesheim (Germania), fu professore di architettura militare all’Università di Leida dal 1600, prima insegnò matematica a Breda, Amsterdam e Leida. Fu celebre il suo calcolo di π con venti e con trentadue cifre decimali, che ha riportato in due suoi lavori. POG Chasles, Michel (1793-1880) Nato a Epernon (Francia), studiò all’Ecole polytechnique dal 1812. In questa stessa scuola insegnò geodesia, astronomia e meccanica (1841-51). Nel 1846 divenne professore di geometria superiore alla Sorbona. Eletto membro corrispondente dell’Académie des sciences di Parigi nel 1839 vi divenne membro ordinario nel 1851. Si occupò di geometria di analisi e di storia della matematica. Vanno ricordati i sui contributi alla geometria proiettiva, le ricerche sull’attrazione gravitazionale di ellissoidi, i suoi contibuti alla storia della geometria e dell’aritmetica e una ricostruzione dei tre libri perduti dei Porismi di Euclide. DSB Chatin, Gaspard Adolphe (1813-1901) Nato presso Tullin (Francia), medico e farmacologo. Si occupò di scienze naturali (botanica) che insegnò all’Ecole de pharmacie. DBF
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Chevreul, Michel Eugène (1786-1889) Nato ad Angers (Francia), chimico. Dal 1803 fu studente di chimica al Muséum d’histoire naturelle di Parigi dove divenne professore dal 1830, assumendone la direzione dal 1864 al 1879. Fu membro dell’Académie des sciences di Parigi dal 1826. I suoi studi oltre che alla chimica si rivolsero alla filosofia, alla storia della scienza e alla psicologia. DSB Chiò, Felice (1813-1871) Nato a Crescentino (Italia), fu professore all’Accademia militare di Torino dal 1838, dal 1839 gli fu affidata per lunghi periodi la supplenza di fisica nel corso tenuto da Amedeo Avogadro. Nel 1854 divenne professore ordinario di fisica matematica alla Facoltà di scienze dell’Università di Torino dove insegnò anche analisi e geomeria superiore dal 1866 fino alla sua morte. Fu deputato del Parlamento subalpino dal 1849 al 1860. Le sue ricerche riguardano l’analisi e la geometria e rivestono sopratutto un carattere critico inserendosi nel contesto della rigorizzazione dell’analisi, caratteristica dell’epoca. FSM Clairaut, Alexis-Claude (1713-1765) Nato a Parigi, manifestò una intelligenza matematica molto precoce. La geodesia e la meccanica celeste furono tra i suoi principali interessi. Si dedicò allo studio della figura della terra, alla teoria della luna e al movimento delle comete. Collaborò alla taduzione francese dei Principia di Newton corredandoli di una sintesi del suo sistema del mondo che ne perfeziona alcuni risultati. Si occupò anche di equazioni differenziali e del problema della rifrazione della luce nella teoria corpuscolare di Newton. DSB Clausen, Thomas (1801-1885) Nato a Snogbaek (Danimarca), dal 1824 fu allievo di Schumacher all’osservatorio astronomico di Altona, che lasciò nel 1828 per recarsi a Monaco, all’istituto di ottica Joseph von Utzschneider dove, come successore di Fraunhofer, iniziò l’attività di ricerca che continuò ad Altona, dove tornò nel 1840. Nel 1844 gli fu conferito il dottorato honoris causa. Nel 1866 a Dorpat, divenne direttore dell’osservatorio astronomico e professore di astronomia all’Università. Si occupò di astronomia, di meccanica celeste e di teoria dei numeri. DSB Conrart, Valentin (1603-1675) Nato a Parigi, letterato. Contribuì a fondare l’Académie française, nata il 29 gennaio 1635 con il sostegno di Luigi XIII. DBF Crelle, August Leopold (1780-1855) Nato ad Eichwerder (Germania), conseguì il dottorato all’Università di Heidelberg nel 1815. È sopratutto ricordato per aver fondato nel 1826 il Journal für die reine und angewandte Mathematik. DSB Cremona, Luigi (1830-1903) Nato a Pavia (Italia), compì gli studi all’Università di Pavia. Dal 1860 fu professore di geometria all’Università di Bologna, dal 1867 insegnò a Milano e infine a Roma dove divenne direttore della Scuola degli ingegneri. Eminente studioso, si occupò di geometria delle curve e delle superficie algebriche. Dapprima con metodi analitici riprese e ampliò l’opera di Chasles, in seguito collegandosi ai risultati di
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Steiner e di Staudt usò metodi puramente geometrici per lo studio delle curve invarianti rispetto alle trasformazioni che portano il suo nome. Fu cultore di geometria proiettiva di cui rimane un suo classico trattato. In meccanica razionale portò notevoli contributi allo studio dei sistemi articolati. DSB D Darboux, Jean Gaston (1842-1917) Nato a Nîmes (Francia), dal 1861 studiò all’Ecole normale supérieure e conseguì il dottorato nel 1866. Dopo aver insegnato nella scuola secondaria (1867-72) divenne maître de conférences all’Ecole normale supérieure (1873-81) insegnò poi meccanica razionale come suppléant di Liouville alla Sorbona (1873-78) dove, dal 1878, fu suppléant di Chasles e nel 1881 professore di geometria superiore. Nel 1884 fu eletto all’Académie des sciences di Parigi e nel 1900 ne divenne secrétaire perpétuel. Nel 1870 fondò con Hoüel il Bulletin des sciences mathématiques da lui sempre diretto. Si occupò di geometria, d’analisi e di meccanica razionale. DSB, POG Darmesteter, Arsène (1846-1888) Nato a Château-Salins (Francia), filologo. Insegnò come répétiteur all’Ecole des hautes études (1872-1883), nel 1882 divenne professore all’Ecole normale. DBF Darwin, Charles Robert (1809-1882) Nato a Shrewsbury (Inghilterra), fece i suoi studi a Edimburgo e a Cambridge terminandoli nel 1831. Diede i ben noti contributi alla biologia di cui fu uno dei più grandi protagonisti. DSB Dastre, Albert Jules Frank (1844-1917) Nato a Parigi, naturalista e medico. Alievo del celebre fisiologo Claude Bernard, fu suo successore alla cattedra di fisiologia alla Sorbona (1886). Fu eletto all’Académie des sciences di Parigi nel 1904. DBF Daubrée, Gabriel Auguste (1814-1896) Nato a Metz (Francia), geologo. Fu allievo dell’Ecole polytéchnique dal 1832 e dell’Ecole des mines (1834-37). Nel 1838 fu nominato chargé de cours di mineralogia e geologia all’Università di Strasburgo. Dal 1861 professore di geologia al Muséum d’histoire naturelle di Parigi e dal 1862 professore di mineralogia all’Ecole des mines. Fu eletto all’Académie des sciences di Parigi ne1 1861. DBF, POG de Saint-Germain, Albert Léon (1839- 1914) Nato a la Bréqueille (Francia), nel 1872 divenne maître des conférences all’Ecole des hautes études di Parigi e dal 1875 fu professore di meccanica alla Faculté des sciences dell’Università di Caen. I suoi lavori riguardano la meccanica razionale e la geometria. IBN, POG De Gasparis, Annibale (1819-1892) Nato a Bugnara (Italia), si avviò agli studi di ingegneria all’Università di Napoli, ma dal 1846 iniziò la sua attività scientifica nel campo dell’astronomia di cui divenne professore all’università di Napoli (1853). A lui si deve la scoperta di otto piccoli pianeti (1849-52) e uno studio innovativo dell’orbita del pianetino Vesta, già studiata da Gauss (1846). Per i suoi meriti scientifici gli fu conferita la Medaglia Herschel della Royal astronomical society di Londra e vinse per ben cinque volte
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il premio Lalande. Nel 1861 divenne senatore e nel 1864 direttore dell’osservatorio astronomico di Capodimonte. Scrisse numerose memorie su temi di analisi, algebra e meccanica celeste. DBI De Morgan, Augustus (1806-1871) Nato a Madura (India), fu professore all’University college di Londra (1828-31 e 1836-66), nel 1828 divenne socio dell’Astronomical society. Fu tra i fondatori della London mathematical society di cui fu il primo presidente. Della sua produzione scientifica vanno ricordati i contributi alla moderna logica matematica di cui può considerarsi con Boole e Hamilton uno dei fondatori. DSB Des Cloizeaux, Alfred Louis Olivier (1817-1897) Nato a Beauvais (Francia), mineralogista. Conseguì il dottorato nel 1857 a Parigi e fu nominato professore all’Ecole normale supérieure. Dal 1876 ebbe la cattedra di mineralogia al Muséum d’histoire naturelle di Parigi che tenne fino al 1892. Fu eletto all’Académie des sciences di Parigi nel 1869. DSB Dirichlet, Gustav Peter Lejeune (1805-1859) Nato a Düren (Germania), dal 1822 studiò al Collège de France e alla Faculté des sciences di Parigi. Fu professore all’Università di Breslau (1827) e nel 1828 andò a Berlino come docente all’accademia militare. Dal 1831 fu professore straordinario e dal 1839 professore ordinario all’Università di Berlino. Nel 1855 fu chiamato all’Università di Göttingen come successore di Gauss. Ha lasciato contributi in teoria dei numeri, analisi, meccanica e fisica matematica. DSB, POG Dorna, Alessandro (1825-1886) Nato ad Asti (Italia), frequentò l’Università di Torino ove si laureò in ingegneria idraulica nel 1848. Giovanni Plana, astronomo e suo insegnante, lo orientò verso l’astronomia e la matematica. Nel 1850 su proposta di Plana ottenne l’insegnamento di meccanica razionale all’Accademia militare di Torino, che conservò per tutta la sua vita accademica. Nel 1865 alla morte di Plana fu nominato alla cattedra di astronomia all’Università di Torino e alla direzione dell’osservatorio astronomico della stessa città. Le sue ricerche riguardano l’astronomia. Fu eletto socio della Reale Accademia delle Scienze di Torino nel 1869 e della Reale Accademia dei Lincei nel 1872. DBI, FSM D’Ovidio, Enrico (1843-1933) Nato a Campobasso (Italia). Fu professore ordinario all’Università di Torino ove insegnò algebra complementare e geometria analitica (1872-1917), geometria superiore (1875-1887) e analisi superiore (1888-1907). Si occupò di geometria, in particolare dell’estensione agli iperspazi di nozioni di geometria proiettiva che prepararono gli studi di Segre. Si occupò anche della teoria degli invarianti delle forme algebriche binarie. Fu insegnante di prestigio: fra i suoi discepoli ebbe Peano, Segre, Castelnuovo, Severi, Loria. Fu rettore dell’Università di Torino (1880-85). Nel 1878 fu eletto socio della Reale Accademia delle Scienze di Torino, e nel 1883 fu eletto socio corrispondente della Reale Accademia dei Lincei e socio nazionale nel 1893. Nel 1905 fu nominato senatore. FSM Du Bois-Reymond, Paul David (1831-1889) Nato a Berlino, nel 1853 iniziò a studiare medicina all’Università di Zurigo ma ben presto passò alla fisica matematica, continuando i suoi studi all’Università di
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Königsberg dove conseguì il dottorato nel 1859. Insegnante di matematica e fisica nelle scuole secondarie, nel 1868 divenne professore di matematica all’Università di Heidelberg e nel 1870 professore ordinario all’Università di Freiburg per poi passare all’Università di Tübingen. Si occupò di analisi. DSB Duchartre, Pierre Etienne Simon (1811-1894) Nato a Portiragnes (Francia), biologo. Divenne agrégé de sciences nel 1848 e l’anno successivo fu nominato professore di botanica all’Institut agronomique di Versailles dove rimase fino al 1852, passando nel 1861 alla Faculté des sciences di Parigi. Fu eletto all’Académie des sciences di Parigi nel 1861. DBF Duclaux, Pierre Emile (1840-1904) Nato a Aurillac (Francia), biochimico. Nel 1862 divenne agrégé all’Ecole normale supérieure di Parigi e dal 1873 insegnò all’Università di Lyon. All’Institut national agronomique insegnò chimica biologica (1879) di cui divenne professore alla Sorbona. Fu allievo e uno dei maggiori collaboratori di Pasteur. Eletto all’Académie des sciences di Parigi nel 1888, nel 1895 divenne successore di Pasteur alla direzione del suo istituto. DSB, POG Dumas, Jean Baptiste André (1800-1884) Nato ad Alès (Francia), chimico. Nel 1832 divenne professore alla Sorbona e dal 1835 all’Ecole polytechnique. Membro dell’Académie des sciences di Parigi dal 6 agosto 1832, fu eletto nel 1876 all’Académie Française e dal 1879 fu Socio straniero della Reale Accademia dei Lincei. Fu una eminente personalità della chimica francese intorno alla metà del diciannovesimo secolo. DBF, DSB Dumont, Charles Albert Auguste (1842-1884) Nato a Scey-sur-Saône (Francia), letterato. Fu rettore delle accademie di Grenoble e Montpellier (1878) e direttore dell’insegnamento superiore al Ministero della pubblica istruzione (1879). DBF Dupuy de Lôme, Stanislas Charles (1816-1885) Nato a Plœmeur (Francia), ingegnere navale. Fu eletto deputato nel 1869 e senatore dal 1877. Fu eletto nel 1866 all’Académie des sciences di Parigi nella sezione di geografia e navigazione. DBF, POG Dutrochet, René Joachim Henri (1776-1847) Nato a Néon (Francia), naturalista. Studiò medicina a Parigi (1802-1806) ma abbandonò la pratica medica per dedicarsi alle scienze naturali, in modo particolare alla fisiologia, che coltivò per tutta la vita. Nel 1831 fu eletto all’Académie des sciences di Parigi. DSB Duvaux, Jules Yves Antoine (1827-1902) Nato a Nancy (Francia), letterato e politico. Allievo dell’Ecole normale superieure ne uscì come agrégé des lettres (1849-1855). Insegnò al Collège de Saintes e successivamente ai licei di Montpellier e Nancy. Ebbe una lunga carriera politica nei ranghi della sinistra. Deputato di Nancy nel 1876 come candidato repubblicano, rieletto nel 1877 e nel 1881 fu sottosegretario di stato col ministro della pubblica istruzione J. Ferry, ottenne lui stesso questo portafoglio nel governo Duclerc nel 1882 e lo conservò nel governo Fallières nel 1883. Rieletto nel 1885 la sua attività politica durò fino al 1889. DBF, DPF
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E Eisenstein, Ferdinand Gotthold Max (1823-1852) Nato a Berlino, si iscrisse nel 1843 all’Università della sua città natale. Nel 1845, per suggerimento di Jacobi ebbe un dottorato onorario dall’Università di Breslau. Dal 1847 fu Privatdozent a Berlino. La sua grande creatività gli guadagnò la stima di Gauss la cui personalità si riflette nella sua vasta produzione riguardante principalmente la teoria dei numeri. DSB, POG Euler, Leonhard (1707-1783) Nato a Basilea (Svizzera), conseguì nella sua città il suo dottorato in filosofia nel 1723. A Pietroburgo fu professore di fisica e poi di matematica all’Academia Scientiarum Imperialis Petropolitana (1727-41). Nel 1741 lasciò Pietroburgo per Berlino dove diresse per venticinque anni la classe di matematica dell’Académie royale des sciences et belles-lettres fondata da Federico II nel 1744. Nel 1766 tornò a Pietroburgo lasciando il suo incarico a Lagrange. I suoi fondamentali contributi spaziarono in ogni ramo della matematica. DSB F Faà di Bruno, Francesco (1825-1888) Nato ad Alessandria (Italia), conseguì il dottorato nel 1856 a Parigi, nei quattro anni successivi insegnò analisi superiore all’Università di Torino, nel 1860 fu nominato supplente alla cattedra di analisi superiore di Genocchi. Nel 1871 divenne professore incaricato e nel 1876 professore straordinario di analisi superiore. Si occupò di algebra sotto l’impulso dei lavori di Betti e Brioschi e di analisi, in particolare progettò una vasta opera sulle funzioni ellittiche che doveva raccogliere la sua esperienza di insegnamento, ma che rimase quasi del tutto incompiuta. DBI Fagnano dei Toschi, Giulio Carlo (1682-1766) Nato a Sinigaglia (Italia), studiò al Collegio clementino di Roma, coltivò la matematica da autodidatta e si impadronì del nascente calcolo infinitesimale portando contributi al suo sviluppo. Le sue ricerche più importanti estendono i risultati del 1694 di J. Bernoulli sulla lemniscata, di cui dimostrò che è rettificabile e che ogni suo arco può dividersi con riga e compasso in n parti di ugual lunghezza se n ha una forma opportuna. Questi risultati sono inclusi nel teorema di addizione degli integrali ellittici trovato da Euler intorno al 1750. In questi studi si può vedere una prima origine della teoria delle funzioni ellittiche. Si occupò anche di calcolo combinatorio e in algebra diede alcuni nuovi metodi per la risoluzione delle equazioni algebriche dei primi quattro gradi. DSB Faye, Hervé Auguste Etienne (1814-1902) Nato a St. Benoît-du-Sault (Francia), entrò all’Ecole polytechnique nel 1832 e fu allievo di Arago all’osservatorio astronomico di Parigi dove entrò nel 1836. Nel 1843 calcolò l’orbita di una cometa periodica da lui scoperta a cui fu dato il suo nome. Insegnò geodesia all’Ecole polytechnique dal 1848 al 1854 e divenne professore ordinario nel 1873. Dal 1854 fu professore di astronomia a Nancy. Fu eletto all’Académie des sciences di Parigi nel 1847 e fu socio straniero della Reale Accademia dei Lincei dal 1900. Le sue ricerche furono sopratutto rivolte allo studio della costituzione del sole e delle comete. DBF, DSB
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Fermat, Pierre de (1601-1665) Nato a Beaumont (Francia), studiò diritto all’Università di Tolosa, divenne consigliere al parlamento di quella città. Il tempo libero che i suoi doveri gli concedevano lo dedicò alla matematica a cui diede contributi fondamentali. DSB Ferran Y Clua, Jaime (1852-1929) Nato a Corbera de Ebro (Spagna), medico. Si occupò di microbiologia. Fu il primo ad indicare un vaccino contro il colera (1884). IBN (cfr. rif. ivi cit. n. 00119a(23): Enciclopedia universal ilustrada europeo-americana) Ferry, Jules François Camille (1832-1893) Nato a Saint-Dié (Francia), eminente uomo politico repubblicano, fu deputato della Senna nel 1869, deputato all’Assemblée nationale nel 1871. Ministro della pubblica istruzione (1879-1881, 1882-1883) guidò l’organizzazione della scuola laica. Fu due volte primo ministro (1880-81,1883-85). DBF, DPF Fibonacci, Leonardo (1175 ca. - 1250 ca.) Nato a Pisa (Italia), numerose sue opere di matematica giunte a noi manoscritte sono state pubblicate per merito di Boncompagni. La più famosa è il Liber abbaci (1202), opera che contiene una sintesi della matematica indiana e araba e che fu fondamentale nello sviluppo dell’algebra rinascimentale. DBI Foucault, Jean Bernard Léon (1819-1868) Nato a Parigi, fisico. Conseguì il dottorato nel 1853. Nel 1854 entrò come fisico all’osservatorio astronomico di Parigi, nel 1862 al Bureau des longitudes, nel 1864 divenne socio straniero della Royal society di Londra e nel 1865 fu eletto all’Académie des sciences di Parigi. Realizzò con grande inventiva una quantità di esperienze tra cui quella che mise in evidenza la rotazione terrestre (1851). DBF, DSB Fourier, Jean Baptiste Joseph (1768-1830) Nato ad Auxerre (Francia), entrò all’Ecole militaire della sua città dove nel 1789 ebbe un insegnamento. Nel 1795 ebbe un insegnamento di analisi all’Ecole polytechnique. Nel 1798 prese parte alla spedizione napoleonica in Egitto. Ritornato in Francia nel 1802 divenne prefetto dell’Isère. Rientrato a Parigi nel 1815 si dedicò interamente alla ricerca. Nel 1817 fu eletto all’Académie des sciences di Parigi di cui divenne secrétaire perpétuel nel 1822 e nel 1827 entrò all’Académie Française. Si occupò sopratutto del problema della diffusione del calore. DBF, DSB Frémy, Edmond (1814-1894) Nato a Versailles, chimico. Studiò all’Ecole polytechnique dove divenne professore nel 1846. Dal 1850 fu anche professore al Musée d’histoire naturelle di cui fu direttore dal 1879. Dal 1882 al 1901 diresse la pubblicazione di una Encyclopédie chimique. DSB Frenet, Jean Frédéric (1816-1900) Nato a Périgueux (Francia), dal 1840 studiò all’Ecole normale supérieure di Parigi e conseguì il dottorato all’Università di Toulouse nel 1847. Fu professore all’Università di Lyon (1848-68) dove fu anche direttore dell’osservatorio astronomico. DSB
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Freycinet, Charles Louis de Saulces de (1828-1923) Nato a Foix (Francia), dal 1846 allievo dell’Ecole polytechnique di Parigi divenne ingénieur des mines nel 1852. Come politico ebbe un ruolo di primo piano. Fu senatore (1876-1920), ministro dei lavori pubblici (1877-79), della guerra (1888-93) e quattro volte presidente del consiglio (1879-1882, 1882, 1886, 1890-1892). DPF Friedel, Charles (1832-1898) Nato a Strasburgo, chimico. Conseguì il dottorato nel 1869 a Parigi, dal 1876 fu professore di mineralogia alla Sorbona e dal 1884 fu professore di chimica organica. Nel 1878 fu eletto membro dell’Académie des sciences di Parigi. POG Fuchs, Immanuel Lazarus (1833-1902) Nato a Posen (ora Poznan, Polonia), studiò all’Università di Berlino come allievo di Kummer e Weierstrass. Conseguì il dottorato a Berlino nel 1858. Professore ordinario all’Università di Heidelberg nel 1875, nel 1882 andò ad insegnare all’Università di Berlino. Si occupò sopratutto di analisi, tranne alcuni lavori di geometria e teoria dei numeri le sue ricerche principali riguardano le equazioni differenziali nel campo complesso. DSB G Gallenga, Antonio (1812-1895) Nato a Parma (Italia), giornalista. Fu esule in Corsica e poi a Marsiglia a causa della sua attività rivoluzionaria. Progettò, ma non portò a compimento, un attentato contro Carlo Alberto re dello stato Sabaudo. Hermite lo cita nella lettera a Genocchi del 26 maggio 1885 (let. 82, p. 193). EE Galois, Evariste (1811-1832) Nato a Bourg-la-Reine (Francia), studiò all’Ecole normale supérieure dal 1829. I suoi celebri risultati sulla risolubilità delle equazioni algebriche per radicali, ottenuti impiegando la teoria dei gruppi, di cui fu uno dei fondatori, non furono subito compresi e le sue memorie degli anni 1829, 1830 e 1831 presentate all’Académie des sciences di Parigi furono valutate da Cauchy e da Poisson in modo non positivo. Nel 1832, prima della sua tragica morte, riassunse i risultati delle sue ricerche in una lettera ad Auguste Chevalier, chiedendogli di farla pubblicare. Il suo riscatto scientifico avvenne ad opera di Liouville nel 1843. DSB Gauss, Carl Friedrich (1777-1855) Nato a Brunswick (Germania), frequentò il Collegium Carolinum di Brunswick (1792-95) e successivamente fino al 1798 studiò all’università di Göttingen. Nel 1799 conseguì il dottorato all’università di Helmstedt e dal 1807 fu il direttore dell’osservatorio astronomico di Göttingen. I suoi fondamentali contributi spaziarono in ogni campo della matematica. DSB Germain, Sophie (1776-1831) Nata a Parigi, studiò come autodidatta, si dedicò in particolare all’analisi e alla teoria dei numeri. Fu in corrispondenza con Lagrange, Gauss e Legendre. Le sue ricerche riguardano la teoria dei numeri, ma anche le applicazioni dell’analisi alla fisica. DSB
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Gerono, Camille Christophe (1799-1891) Nato a Parigi, fu professore di matematica e fondatore nel 1842 con Terquem dei Nouvelles annales de mathématiques. Pubblicò lavori di carattere elementare in algebra, geometria e teoria dei numeri. POG Gilbert, Philippe (1832-1892) Nato a Beauraing (Belgio), conseguì il dottorato nel 1855 e divenne professore di matematica e meccanica all’Università cattolica di Lovanio. Dal 1867 fu socio corrispondente dell’Académie Royale de Belgique, dal 1874 fu socio corrispondente straniero dell’Accademia Pontificia dei Nuovi Lincei e socio ordinario dal 1887. Si occupò sopratutto di analisi, di meccanica e di fisica matematica. POG, [integrazioni estratte dagli «Atti dell’Accademia Pontificia de’ Nuovi Lincei», XXVII (187374), p. 209; XLI (1888), p. 1]. Goblet, René (1828-1905) Nato ad Aire-sur-la-Lys (Francia), uomo politico. Eletto nel 1871 all’Assemblée nationale come candidato repubblicano, entrò alla Camera nel 1877. Sottosegretario alla giustizia nel 1879, ebbe il portafoglio degli interni nel 1882, divenne ministro della pubblica istruzione nel 1885. La sua carriera politica durò fino al 1898. DBF Goldbach, Christian (1690-1764) Nato a Königsberg (ora Kaliningrad, Russia), studiò medicina e matematica all’Università di Königsberg. Nel 1725 l’Academia Scientiarum Imperialis Petropolitana fondata nel 1724 a Pietroburgo, lo nominò professore di matematica e storico dell’accademia. Nel 1728 si trasferì a Mosca come precettore alla corte degli Zar, tornando all’Accademia nel 1732. Fu corrispondente di Euler dal 1729 al 1763 e di Daniel Bernoulli dal 1723 al 1730. Si interessò alla teoria dei numeri e alla teoria delle serie che applicò allo studio delle equazioni differenziali. DSB Gordan, Paul Albert (1837-1912) Nato a Breslau (ora Breslavia, Polonia), dal 1855 studiò matematica nelle Università di Breslau, Königsberg e Berlino e conseguì il dottorato all’Università di Giessen nel 1862. Dopo aver lavorato con Riemann a Göttingen e con Clebsch a Giessen, nel 1874 divenne professore a Erlangen dove rimase fino al suo pensionamento nel 1910. Diede contributi all’algebra e in particolare della teoria degli invarianti che iniziò a studiare con Clebsch nel 1868 e che fu il suo interesse preminente. Diede contributi alla soluzione delle equazioni algebriche e ai loro gruppi associati di sostituzioni. Lavorò con Klein sulla relazione del gruppo dell’icosaedro e l’equazione di quinto grado. DSB, POG Gréard, Valéry Clément Octave (1828-1904) Nato a Vire (Francia), letterato e umanista. Dal 1864 al 1872 ebbe numerose cariche di responsabilità alla direzione dell’istruzione pubblica che contribuì a rinnovare. Dal 1879 fu nominato vice-recteur de l’Académie de Paris, incarico che tenne per ventitre anni. DBF Grunert, Johann August (1797-1872) Nato a Halle (Germania), dopo aver conseguito il dottorato dal 1821 insegnò al ginnasio di Torgau e dal 1828 in quello di Brandeburgo. Dal 1833 fu professore
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all’Università di Greifswald. Si occupò di geometria, fisica matematica e meccanica. Nel 1841 fondò il periodico Archiv der Mathematik und Physik. POG Gudermann, Christophe (1798-1852) Nato a Viennenburg (Germania), durante gli studi teologici ebbe una formazione matematica. Insegnò matematica dal 1823 nella scuola secondaria e dal 1832 all’Accademia teologica di Münster. DSB Guizot, François Pierre Guillaume (1787-1874) Nato a Nîmes (Francia), dopo gli studi classici a Ginevra si laureò in legge a Parigi e fu uomo di stato e storico. EE H Halphen, George Henri (1844-1889) Nato a Rouen (Francia), dal 1862 fu allievo all’Ecole polytechnique dove fu nominato répétiteur nel 1872 e examinateur nel 1884. Conseguì il dottorato nel 1878. Si occupò di geometria e di analisi. Diede contributi fondamentali alla teoria delle curve algebriche. Studiò gli invarianti differenziali e li applicò all’integrazione di equazioni differenziali lineari. Si occupò della teoria delle funzioni ellittiche di cui scrisse un vasto trattato inteso a unire agli sviluppi classici svariate applicazioni alla meccanica, alla geometria e alle equazioni differenziali. DSB Hamelin, Ferdinand Alphonse (1796-1864) Nato a Pont-l’Evêque (Francia), ammiraglio. Prese parte alla guerra di Crimea come comandante in capo della squadra navale francese del mare Mediterraneo (1853) e poi della squadra del mar Nero. Partecipò a molte azioni belliche fra cui l’attacco ai forti di Sebastopoli (17 ottobre 1854). DBF Hébert, Edmond (1812-1890) Nato a Villefargeau (Francia), geologo e paleontologo. Fu professore di geologia alla Sorbona dal 1858 e preside della Facoltà di scienze (1885-89). Presidente della Societé géologique de France, già membro dell’Académie Royale de Belgique, fu eletto all’Académie des sciences di Parigi nel 1877. DBF Heine, Heinrich Eduard (1821-1881) Nato a Berlino, studiò a Berlino, Göttingen e Königsberg dove ebbe fra i suoi maestri Gauss, Dirichlet e Steiner. Conseguito il dottorato a Berlino nel 1842 andò a Königsberg dove insegnava Jacobi. Fu nominato professore all’Università di Bonn nel 1848 e nello stesso anno fu chiamato come professore all’Università di Halle dove si stabilì. Fu membro non residente della Göttingen Gesellschaft der Wissenschaften e membro corrispondente della Preussische Akademie der Wissenschaften. Si occupò di analisi, in particolare di funzioni sferiche, funzioni di Lamé e di Bessel. DSB Helmholtz, Hermann von (1821-1894) Nato a Potsdam (Germania), si laureò in medicina a Berlino nel 1842, fu professore di fisiologia a Königsberg (1849-55), a Bonn (1855-58), a Heidelberg (1858-70). Dal 1871 insegnò fisica a Berlino, dove si stabilì. La sua attività scientifica più feconda fu del periodo di Heidelberg. Fu uno dei più grandi ricercatori del diciannovesimo secolo, le sue ricerche oltre alla fisiologia si rivolsero anche alla fisica matematica, alla meccanica e ai fondamenti della geometria. DSB
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Henry, Charles (1859-1926) Nato a Bollwiller (Francia), fisiologo. Nel 1892 divenne maître des conférences all’Ecole pratique des hautes études di Parigi. Ebbe svariati interessi fra cui la storia della matematica. Pubblicò edizioni di lettere di Lagrange, Euler e Laplace. Curò con P. Tannery una edizione delle opere di Fermat. DBF Hermite, Henry Ferdinand (1847-1880) Nato a Longwy (Francia), geologo. Sudiò al liceo di Nancy e a Metz al Collège de Saint-Clément, fu ammesso all’Ecole militaire de Saint-Cyr nel 1865, conseguì il dottorato alla Sorbona nel 1879. Fu professore di geologia all’Università di Angers. (P. Maisonneuve, Notice biographique sur M. Henry Hermite, Angers, Imprimerie Lachèse et Dolbeau, 1880) Hoüel, Guillaume Jules (1823-1886) Nato a Thaon (Francia), conseguì il dottorato nel 1855, fu professore di matematica alla Faculté des sciences di Bordeaux dal 1859. Si interessò di meccanica celeste, di analisi, e dei principi della geometria euclidea su cui scrisse saggi critici e seguendo il suo interesse per le geometrie non euclidee pubblicò traduzioni dei classici lavori di Lobachevski, Bolyai, Beltrami, Helmholtz e Riemann. Dal 1868 al 1881 intrattenne un carteggio con Beltrami sul problema della interpretazione della geometria iperbolica sulla pseudosfera. DSB, POG Hugo, Victor (1802-1885) Nato a Besançon, letterato e scrittore francese. EE Humboldt, Alexander von (1769-1859) Nato a Berlino, naturalista e geografo tra i più grandi del diciannovesimo secolo. La sua produzione scientifica consiste in una imponente raccolta di scritti che inizia nel 1790; le sue ricerche portarono numerosi contributi alle scienze naturali. DSB J Jacobi, Carl Gustav Jacob (1804-1851) Nato a Potsdam (Germania), conseguì il dottorato all’Università di Berlino dove iniziò l’insegnamento come Privatdozent nel 1824. Nel 1827 fu nominato professore associato e nel 1832 professore ordinario all’Università di Königsberg. Fu tra i più eminenti matematici dell’Ottocento, si occupò di analisi, in particolare delle funzioni ellittiche, dove diede contributi fondamentali così come in teoria dei numeri, geometria e meccanica. DSB Jamin, Jules Célestin (1818-1886) Nato a Termes (Francia), studiò fisica all’Ecole normale supérieure, dal 1852 insegnò fisica all’Ecole polytechnique e dal 1863 alla Sorbona. Fu eletto all’Académie des sciences di Parigi nel 1868. Scrisse numerose memorie in vari settori della fisica tra cui la meccanica dei liquidi l’ottica l’elettricità e il magnetismo. DBF, POG Janssen, Pierre Jules César (1824-1907) Nato a Parigi, conseguì il dottorato nel 1860 a Parigi. Dal 1875 fino alla sua morte fu direttore dell’osservatorio astrofisico di Meudon. Fu uno dei fondatori dell’astrofisica occupandosi con grande successo dell’applicazione dei metodi spettroscopici all’osservazione dei corpi celesti. Nel 1873 fu eletto all’Académie des sciences di Parigi nella sezione di astronomia. DSB
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Jerrard, George Birch (1804-1863) Nato a Cornwall (Inghilterra) studiò al Trinity college di Dublino. È ricordato per aver trovato una riduzione delle equazioni algebriche che contiene, come caso particolare, la riduzione in forma trinomia dell’equazione generale di quinto grado già ottenuta da Bring nel 1786, a partire dalla quale Hermite trovò una soluzione della quintica in termini di funzioni ellittiche modulari. DSB Jordan, Camille (1838-1921) Nato a Lyon (Francia), fu allievo dell’Ecole polytechnique, conseguì il dottorato nel 1860 ed esercitò la professione di ingegnere fino al 1885. Dal 1876 fu professore all’Ecole polytechnique e suppléant al Collège de France. Dal 1881 membro dell’Académie des sciences di Parigi. I suoi contributi sono fondamentali in ogni campo della matematica del suo tempo. Si occupò di analisi in particolare delle serie di Fourier di cui generalizzò i criteri di convergenza, diede contributi alla geometria differenziale delle curve e delle superficie in uno spazio n-dimensionale, diede contributi alla soluzione di vari problemi di topologia. Fu uno dei creatori della teoria dei gruppi, sviluppando e approfondendo le idee di Galois che malgrado gli sforzi di Liouville, Serret e Kronecker erano ancora poco conosciute. DSB Jurien de La Gravière, Jean-Pierre-Edmond (1812-1892) Nato a Brest (Francia), prese parte alla guerra di Crimea del 1854 divenne contrammiraglio nel 1855 viceammiraglio nel 1862 e aiutante di campo dell’imperatore (1864-70). Fu eletto all’Académie des sciences nel 1866 e nel 1888 all’Académie française. DBF K Kamecke, George Arnold Karl von (1817-1893) Nato a Pasewalk (Germania), generale prussiano. Nella guerra franco prussiana del 1870 comandò una divisione di fanteria e a seguito della capitolazione di Bazaine assediò tre città della Lorena che capitolarono (e di cui scrive Hermite nella lettera del 14 agosto 1882, cfr. let. 31, p. 92). (Soldatisches führertum, Herausgegeben von Kurt von Priesdorff, Hamburg, Hanseatische Verlagsanstalt, 1935-36, pp. 220-233) Kiepert, Friedrich Wilhelm Ludwig (1846-1934) Nato a Breslau (ora Breslavia, Polonia), studiò a Breslau e Berlino (1865-71), conseguì il dottorato a Berlino nel 1870. Nel 1871 divenne Privatdozent all’Università di Freiburg. Professore ordinario al politecnico di Darmstadt dal 1877 e dal 1879 a quello di Hannover. Le sue ricerche riguardano sopratutto le funzioni ellittiche. POG Klein, Felix (1849-1925) Nato a Düsseldorf, studiò matematica e fisica all’Università di Bonn dove conseguì il dottorato nel 1868, dal 1869 perfezionò i suoi studi nelle Università di Göttingen, Berlino e Parigi. Insegnò all’Università di Erlangen (1872-75), alla Technische Hochschule di Monaco (1875-80), all’Università di Lipsia (1880-86) e infine a Göttingen (1886-1913). Fu uno dei più eminenti matematici dell’Ottocento, si occupò sopratutto di geometria e in particolare di teoria delle funzioni, lasciando innovazioni e contributi di fondamentale importanza. DSB
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Kowalevski, Sophie (1850-1891) Nata a Mosca, studiò nelle Università di Heidelberg e Berlino e conseguì il dottorato all’Università di Göttingen nel 1874. Fu allieva di Weierstrass che guidò i suoi studi per quattro anni. Nel 1883 ebbe un insegnamento all’Università di Stoccolma dove nel 1889 ebbe la cattedra di analisi. Le sue ricerche riguardano sopratutto l’analisi e la meccanica razionale. DSB, POG Krause, Johann Martin (1851-1920) Nato a Wildknit, studiò alle Università di Königsberg, Heidelberg e Berlino, nel 1873 conseguì il dottorato a Heidelberg ove divenne Privatdozent nel 1875. Nel 1878 divenne professore all’Università di Rostock e dal 1888 fu professore ordinario di matematica alla Technische Hochschule di Dresda. Si occupò di analisi. POG, DBJ Kronecker, Leopold (1823-1891) Nato a Liegnitz (ora Legnica, Polonia), dal 1841 studiò all’Università di Berlino dove conseguì il dottorato nel 1845. Eletto all’Accademia delle scienze di Berlino nel 1861, in base a un diritto statutario ebbe la possibilità di insegnare all’Università di Berlino, dove divenne professore ordinario nel 1883 come successore di Kummer. I suoi lavori più significativi fanno capo al suo sforzo di unificare aritmetica, algebra e analisi. DSB L Lacaze-Duthiers, Félix Henri de (1821-1901) Nato a Château de Stiguederne (Francia), naturalista. Si laureò a Parigi in medicina nel 1851 e nel 1853 in scienze naturali. Si dedicò alla zoologia di cui divenne professore all’Università di Lille nel 1854, nel 1865 divenne professore al Muséum d’histoire naturelle di Parigi e nel 1869 alla Sorbona. Fu eletto all’Académie des sciences di Parigi nel 1871. DSB Lagrange, Joseph Louis (1736-1813) Nato a Torino, nel 1755 divenne professore di matematica alla Scuola di artiglieria di Torino. Nel 1766 ebbe la direzione della classe di matematica dell’Académie royale des sciences et belles-lettres di Berlino. Nel 1787 si trasferì a Parigi dove divenne pensionnaire vétéran dell’Académie des sciences di Parigi. Insegnò matematica all’Ecole normale de l’an III e all’Ecole polytechnique (1794-1799). Uno dei massimi matematici del suo tempo, diede contributi fondamentali alla dinamica, alla meccanica celeste alla teoria dei numeri e alla teoria delle equazioni algebriche. DSB Laguerre, Edmond Nicolas (1834-1886) Nato a Bar-le-Duc (Francia), allievo dell’Ecole polytechnique di Parigi, nel 1854 entrò nell’esercito dove fu ufficiale di artiglieria fino al 1864. Nel 1874 fu nominato examinateur d’admission all’Ecole polytechnique. Nel 1883 gli fu assegnata la cattedra di fisica matematica al Collège de France. Fu eletto all’Académie des sciences di Parigi nella sezione di geometria l’11 maggio 1885. Si occupò sopratutto di geometria ma lasciò contributi anche in algebra e in analisi (equazioni differenziali, funzioni ellittiche). DSB, POG
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Laisant, Charles Ange (1841-1920) Nato a La Basse-Indre (Francia), fu allievo dell’Ecole polytechnique di Parigi dal 1859, conseguì il dottorato nel 1877. Fu répétiteur all’Ecole polytechnique dal 1893. Fondò il periodico dal titolo Intermédiaire des mathématiciens e con H. Fehr il periodico l’Enseignement mathématique. Si occupò di geometria e di meccanica razionale pubblicando numerose memorie. Ebbe una lunga carriera politica, candidato repubblicano fu eletto deputato di Nantes nel 1876 e nel 1877. Passò all’estrema sinistra e fu rieletto a Nantes nel 1881 e a Parigi nel 1885. DPF, POG Lamé, Gabriel (1795-1870) Nato a Tours (Francia), ingegnere. Allievo all’Ecole polytechnique (1813-17) frequentò poi l’Ecole des mines terminando gli studi nel 1820. Dal 1820 insegnò a San Pietroburgo, tornato a Parigi ebbe una cattedra di fisica all’Ecole polytechnique (1832-44), fu poi examinateur (1844-51) e infine professore all’Università di Parigi. Nel 1843 entrò all’Académie des sciences di Parigi nella sezione di geometria succedendo a Louis Puissant. È considerato uno dei fondatori della teoria dell’elasticità e del calore. DSB Landen, John (1719-1790) Nato a Peakirk (Inghilterra), si è occupato di matematica per diletto legando il suo nome allo studio del logaritmo integrale. Studiò una trasformazione di cui si servì Legendre per il calcolo di integrali ellittici. DNB Laplace, Pierre Simon (1749-1827) Nato a Beaumont-en-Auge (Francia), nella sua città natale fu allievo della Scuola militare, ove iniziò a insegnare. Riunì in un solo corpo i lavori sparsi di Newton, di Halley, di Clairaut, di d’Alembert e di Eulero sulle conseguenze del principio della gravitazione universale apportandovi approfondimenti e aggiunte personali. Oltre ai contributi fondamentali alla teoria delle probabilità, si occupò di equazioni differenziali e di fisica studiando la rifrazione della luce, la capillarità, l’elettrostatica e l’acustica. EE Laurent, Matthieu Paul (1841-1908) Nato a Etternach (Lussemburgo), studiò all’Ecole polytechnique di Parigi e conseguì il dottorato all’Università di Nancy nel 1865. Nel 1866 divenne répétiteur all’Ecole polytechnique, incarico che riassunse nel 1871 dopo un periodo di attivo servizio militare nella guerra franco prussiana del 1870. Nel 1883 divenne examinateur sempre nella medesima scuola e nel 1889 fu nominato professore all’Ecole agronomique di Parigi. Si occupò di analisi di geometria analitica e di algebra. Pubblicò alcuni trattati fra i quali uno elementare sulle serie (1862), uno sui residui (1865), scrisse anche un trattato di meccanica razionale (1899) e un vasto trattato di analisi (1885-1891). DSB Ledieu, Alfred Constant Hector (1830-1891) Nato a Abbeville, (Francia), fu allievo dell’Ecole navale dal 1844 e professore di idrografia dal 1853. Nel 1872 fu eletto socio corrispondente all’Académie des sciences di Parigi nella sezione di geografia e navigazione. Si occupò delle applicazioni della meccanica e della termodinamica. POG
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Lefébure, A. Le poche notizie che si hanno lo indicano come inspecteur d’académie a Privas, e inspecteur d’académie honoraire nel 1873. Fu in aperto conflitto con le autorità dipartimentali dell’Ardèche, come risulta da due rapporti del prefetto dell’Ardèche del 1872, che lo descrivono in termini di indegnità a causa delle sue idee politiche troppo inclini al radicalismo. (Estratto da un documento rilasciato dagli Archives nationales di Parigi il 26 febbraio 2001) Legendre, Adrien Marie (1752-1833) Nato a Parigi, studiò al Collège Mazarin. Insegnò matematica all’Ecole militaire di Parigi (1775-80). Fu examinateur all’Ecole polytechnique (1799-1815) e nel 1813 entrò al Bureau des longitudes come successore di Lagrange. Studiò sistematicamente gli integrali ellittici classificandoli e fornendo una vasta raccolta di tavole numeriche. Intodusse particolari funzioni sferiche come soluzioni dell’equazione differenziale che va sotto il suo nome. Si occupò di meccanica celeste. Scrisse testi di teoria dei numeri e di geometria elementare che furono a lungo considerati dei classici di quelle discipline. DSB Lévy, Maurice (1838-1910) Nato a Ribeauvillé (Francia), fu allievo dell’Ecole polytechnique di Parigi (185658) e dell’Ecole des ponts et chaussées di Parigi dal 1858. Nel 1867 conseguì il dottorato a Parigi. Nel 1862 fu nominato répétiteur di meccanica all’Ecole polytechnique. Nel 1875 fu nominato professore di meccanica applicata all’Ecole centrale des arts et manifactures e nel 1885 divenne professore di meccanica celeste e meccanica analitica al Collège de France. Dal 1883 fu membro dell’Académie des sciences di Parigi. Si occupò di geometria proiettiva e differenziale, di meccanica e di idrodinamica. DSB L’Hôpital, François Antoine (1661-1704) Nato a Parigi, contribuì allo sviluppo e alla diffusione del nascente calcolo differenziale e al suo tempo, ma anche molto dopo la sua morte, la sua fama fu legata al suo testo del 1696 intitolato Analyse des infiniment petits pour l’intelligence des lignes curbes. Fu celebre fra i matematici del suo tempo, con Leibniz, Jean Bernoulli e Huygens ebbe rapporti epistolari. DSB Libri Carrucci Dalla Sommaia, Guglielmo Icilio (1803-1869) Nato a Firenze, fu nominato professore di matematica all’Università di Pisa nel 1823, esercitò questo ufficio fino al 1830 anno in cui si rifugiò in Francia dove fu naturalizzato nel 1833. Divenne professore d’analisi matematica alla Sorbona, membro dell’Académie des sciences di Parigi e ispettore generale universitario delle biblioteche pubbliche. POG Limbourg, Henri Joules Joseph (1833-1860) Nato a Tournai (Belgio), studiò all’Università di Gand dove conseguì il dottorato nel 1859. Fu docente di analisi e meccanica all’Ecole préparatoire des ponts et chaussées annessa all’Università di Gand. Si interessò di analisi e di fisica matematica. BNB Lindemann, Carl Louis Ferdinand (1852-1939) Nato a Hannover, dal 1870 al 1873 studiò a Göttigen, Erlangen e Monaco,
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conseguì il dottorato nel 1873 a Erlangen. Nel 1877 fu nominato docente all’Università di Würzburg e a quella di Freiburg dove divenne professore ordinario nel 1879. Dal 1883 fu professore a Königsberg. Si occupò di geometria, di analisi, di meccanica e di storia della matematica. Il suo contributo più importante è la famosa dimostrazione della trascendenza di π. DSB, POG Liouville, Joseph (1809-1882) Nato a St.-Omer (Francia), allievo dell’Ecole polytechnique di Parigi dal 1825 e dell’Ecole des ponts et chaussées (1827-30). Fu nominato répétiteur all’Ecole polytechnique dal 1831 e nel 1838 divenne successore di L. Mathieu alla cattedra di analisi matematica e meccanica nella stessa scuola. Insegnò fisica matematica al Collège de France come suppléant di J.B. Biot (1837-43, 1851-79). Nel 1839 fu eletto all’Académie des sciences di Parigi e nel 1841 fu chiamato al Bureau des longitudes. Il Journal de mathématiques pures et appliquées, fu da lui fondato nel 1836 e diretto fino al 1874 quando la direzione passò a Résal. Si occupò di analisi, in particolare di funzioni ellittiche ed equazioni differenziali ma diede contributi anche in fisica matematica, meccanica celeste, geometria e teoria dei numeri. DSB Lippmann, Gabriel Jonas (1845-1921) Nato a Hollerich (Lussemburgo), fisico, fu allievo dell’Ecole normale supérieure di Parigi. Conseguì il dottorato nel 1875 alla Sorbona, dove, dal 1878 fu maître de conférences, dal 1883 professore di fisica matematica e dal 1886 di fisica generale assumendo la direzione del laboratorio di ricerche fisiche. Diede contributi in vari campi della fisica. Per i suoi studi sui fenomeni interferenziali ebbe nel 1908 il premio Nobel per la fisica. DSB, POG Lipschitz, Rudolf Otto (1832-1903) Nato a Königsberg (ora Kaliningrad, Russia), conseguì il dottorato nel 1853 all’Università di Berlino. Dopo aver insegnato al ginnasio di Königsberg ed Elbing divenne nel 1857 Privatdozent di matematica all’Università di Berlino. Nel 1864 divenne professore ordinario a Bonn. Si occupò di analisi, in particolare delle funzioni di Bessel, della serie di Fourier e delle equazioni differenziali ordinarie e alle derivate parziali. Diede contributi alla geometria differenziale delle varietà n-dimensionali proseguendo gli studi di Riemann in questo campo. DSB Lucas, François Edouard Anatole (1842-1891) Nato ad Amiens (Francia), studiò all’Ecole normale supérieure di Parigi, fu astronomo aggiunto all’osservatorio astronomico di Parigi. Dopo la guerra franco prussiana del 1870 in cui fu ufficiale di artiglieria divenne professore di matematica al Lycée Saint-Louis e al Lycée Charlemagne ambedue a Parigi. Pubblicò numerose memorie sopratutto in teoria dei numeri. DSB M Maclaurin, Colin (1698-1746) Nato a Kilmodan (Scozia), studiò all’Università di Glasgow dall’età di undici anni. Nel 1717 iniziò ad insegnare come professore di matematica al Marichal College di Aberdeen e con il sostegno di Newton nel 1725 ebbe una cattedra all’Università di Edimburgo. Fu membro della Royal Society di Londra dal 1719. Proseguì
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l’attività scientifica di Newton dedicandosi al calcolo infinitesimale e alle sue applicazioni. DSB Mac-Mahon, Edme Patrice Maurice de (1808-1893) Nato a Sully (Francia), entrò all’Ecole de Saint-Cyr, generale di divisione nel 1852, ottenne nel 1856 un seggio al senato. Nella guerra franco prussiana del 1870 fu alla testa del primo corpo d’armata la cui avanguardia fu sconfitta a Wissenburg (4 agosto 1870). Attaccato a Reichshoffen dalle forze prussiane, ripiegò ritirandosi verso Châlons. A comando di una seconda armata tentò di portare aiuto al generale Bazaine, ma nel disastro della battaglia di Sedan fu ferito e preso prigioniero. Fu presidente della repubblica francese (1873-79). EE Malmsten, Carl Johan (1814-1886) Nato a Skara (Svezia), studente all’Università di Upsala dal 1833, conseguì il dottorato nel 1839, e nel 1842 divenne professore di matematica. Si occupò di funzioni ellittiche e di equazioni differenziali. POG Mamiani della Rovere, Terenzio (1799-1885) Nato a Pesaro (Italia), uomo politico e scrittore. Si occupò di filosofia. Nel 1870 ottenne un insegnamento di filosofia all’Università di Roma. Tra le numerose cariche pubbliche fu ministro della pubblica istruzione nel 1861, e in diplomazia fu ministro plenipotenziario ad Atene e a Berna. EE Mannheim, Victor Mayer Amédée (1831-1906) Nato a Parigi, fu allievo dell’Ecole polytechnique di Parigi dal 1848 divenendovi répétiteur nel 1859, examinateur nel 1863 professore nel 1864. Si occupò fondamentalmente di geometria. POG, DSB Mansion, Paul (1844-1919) Nato a Marchin les-Huy (Belgio), conseguì il dottorato in fisica e matematica nel 1867 e in matematica nel 1870 all’Università di Gand dove divenne chargé de cours nel 1867 e nel 1874 divenne professore ordinario di analisi e algebra. Dal 1892 insegnò calcolo delle probabilità e dal 1884 anche storia della matematica. Fu socio dell’Académie Royale de Belgique dal 1882. Le sue ricerche riguardano principalmente l’analisi l’algebra i fondamenti della geometria e le geometrie non euclidee. Ha scritto inoltre numerosi lavori di storia della matematica. DSB, POG Mascart, Eleuthère Elie Nicolas (1837-1908) Nato a Quarouble (Francia), fisico. Studiò all’Ecole normale supérieure di Parigi dal 1858 e conseguì il dottorato nel 1864. Nel 1872 divenne professore di fisica al Collège de France come successore di Régnault, nel 1878 ebbe la direzione del Bureau central météorologique. Nel 1884 fu eletto all’Académie des sciences di Parigi. Si occupò della teoria dell’elettricità, di ottica, di magnetismo terrestre, di meteorologia. DSB Mathieu, Emile Léonard (1835-1890) Nato a Metz (Francia), studiò all’Ecole polytechnique di Parigi (1854-56) e conseguì il dottorato nel 1859 a Parigi. Divenne professore di matematica alla Faculté des sciences, dal 1869 all’Università di Besançon e dal 1874 a quella di Nancy. Si occupò di fisica matematica, di meccanica razionale e di analisi. POG
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Maxwell, James Clerk (1831-1879) Nato a Edimburgo, entrò all’Università di Edimburgo nel 1847 e conseguì il dottorato a Cambridge nel 1854, nel 1855 divenne fellow del Trinity college e nel 1871 divenne professore di fisica sperimentale nella stessa Università. Fu uno dei più eminenti fisici del diciannovesimo secolo. DSB, POG Mazzini, Giuseppe (1805-1872) Nato a Genova, rivoluzionario italiano contribuì profondamente al rinnovamento politico che portò alla fusione degli stati italiani in una sola nazione. EE Menabrea, Luigi Federico (1809-1896) Nato a Chambéry (Savoia), studiò matematica e ingegneria all’Università di Torino. Fu professore di meccanica e costruzioni all’Accademia militare del regno di Sardegna e all’Università di Torino. Iniziò la carriera politica con missioni diplomatiche a Modena e Parma (1848-59), entrato poi in parlamento divenne più volte ministro negli anni 1861-64 e nel 1867 divenne capo del governo. Si occupò di ingegneria militare e di matematica. DSB Menzel, Adolf (1815-1905) Nato a Breslavia (Polonia), fu un celebre pittore disegnatore e incisore tedesco. EE Michel, Louise (1830-1905) Nata a Vroncourt (Francia), è nota per la sua attività rivoluzionaria nei circoli anarchici. Nel 1860 fondò una scuola nel quartiere di Montmartre a Parigi e nel 1870 avendo preso parte attiva nella Comune rivoluzionaria fu imprigionata e condannata alla deportazione perpetua, fu amnistiata nel 1880. Tornata in Francia fece un’intensa attività di propaganda rivoluzionaria per la quale fu condannata nel 1883 e nel 1886. In seguito riparò a Londra dove continuò il suo impegno per i movimenti rivoluzionari. Nel 1896 potè tornare in Francia. BBA Milne-Edwards, Alphonse (1835-1900) Nato a Parigi (figlio di Henri Milne-Edwards), medico e naturalista. Nel 1865 divenne professore di zoologia all’Ecole supérieure de pharmacie di Parigi e dal 1876 al Muséum d’histoire naturelle di cui fu direttore dal 1891, nel 1879 divenne membro dell’Académie des sciences di Parigi. (B. Renault, Notice biographique sur Alphonse Milne-Edwards, «Bulletin de la Societé d’histoire naturelle d’Autun», 13 (1900), pp. 371-390) Milne-Edwards, Henri (1800-1885) Nato a Bruges (Belgio), laureato in medicina si dedicò alla zoologia e alla fisiologia animale di cui fu considerato un maestro. Fu professore alla Sorbona: e membro dell’Académie des sciences di Parigi dal 1838. DSB Minkowski, Hermann (1864-1909) Nato a Alexotas (ora Kaunas, Lituania), studiò a Königsberg e a Berlino (188085). Conseguì il dottorato a Königsberg nel 1885. Insegnò a Bonn (1885-94) e a Königsberg (1894-96), nel 1896 andò a Zurigo dove insegnò fino al 1902 anno in
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cui Hilbert lo fece chiamare a Göttingen dove insegnò fino alla sua prematura morte. Si occupò essenzialmente di teoria dei numeri. DSB Mittag-Leffler, Magnus Gösta (1846-1927) Nato a Stoccolma, dal 1865 studiò all’Università di Upsala dove conseguì il dottorato nel 1872 e dove nel medesimo anno fu nominato docente di matematica. Dal 1877 fu professore ordinario a Helsinki e dal 1881 professore ordinario a Stoccolma. Le sue ricerche riguardano sopratutto la teoria delle funzioni di una variabile complessa dove egli manifesta la profonda influenza di Weierstrass di cui fu allievo. Nel 1882 fondò gli Acta mathematica, periodico da lui diretto per molti anni. DSB, POG N Napoléon, Charles Louis (1808-1873) Nato a Parigi, imperatore dei francesi (1852-70). Sostenne la restaurazione del potere imperiale. Il governo di Luigi Filippo lo costrinse a rifugiarsi in Inghilterra. Quello che di lui accenna Hermite nella lettera del 28 marzo 1883 (let. 44, p. 121) è il suo colpo di mano del 1840: lo sbarco a sorpresa a Boulogne, che fallì, concludendosi con la condanna alla prigionia perpetua, che però durò solo dal 1840 al 1846 (nel forte di Ham). Nel 1846 tramò un piano di fuga che ebbe successo. EE Neovius, Eduard Rudolf (1851-1917) Nato a Hamina (Finlandia), studiò al politecnico Zurigo (1871-74), a Dresda (1874-75) e a Göttingen (1881-83), studiò matematica a Zurigo (1875-76 e 1879), conseguì il dottorato nel 1882 all’Università di Helsinki. Nel 1881 divenne docente di geometria all’Università di Helsinki dove divenne professore nel 1883. (Estratto da un documento rilasciato dall’Università di Helsinki i1 13 giugno 2001) Newton, Isaac (1642-1727) Nato a Woolsthorpe (Inghilterra) ebbe la sua formazione al Trinity College di Cambridge dove divenne professore nel 1669 come successore di J. Barrow. Nel 1669 divenne socio della Royal Society di Londra e suo presidente nel 1703. I suoi contributi di metodi e di scoperte in dinamica in astronomia in ottica e in matematica contribuirono in modo fondamentale alla nascita della scienza moderna. DSB Nigra, Costantino (1828-1907) Nato a Villa Castelnuovo (Italia), Torino, fu diplomatico e filologo. Laureatosi in giurisprudenza fu ministro plenipotenziario e ambasciatore a Parigi (1860-76). Divenne senatore nel 1890. EE Noether, Max (1844-1921) Nato a Mannheim, studiò dal 1865 all’Università di Heidelberg ove conseguì il dottorato nel 1868 e ove divenne Privatdozent (1870-74) e professore (1874-75). Andò poi a Erlangen dove insegnò fino al 1888 e dove divenne professore ordinario dal 1888. Dal 1919 fu professore emerito. Si occupò di geometria algebrica, i suoi studi furono di ispirazione per molti che ne seguirono l’orientamento fra i quali Enriques, Castelnuovo, Severi, Segre. DSB
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Novarese, Enrico (1858-1892) Nato a Novara (Italia), fu professore di meccanica all’Accademia militare di Torino. Le sue ricerche riguardano la meccanica razionale. POG O Oberdan, Guglielmo (1858-1882) Nato a Trieste (Italia), (il vero nome era Oberdank), dal 1877 fu studente di ingegneria al politecnico di Vienna. Nel 1878 continuò gli studi a Roma. Alimentò l’attività contro il governo austriaco a Trieste progettando un attentato contro l’imperatore d’Austria Francesco Giuseppe. Denunciato da due suoi compagni, fu condannato a morte. EE Ocagne, Philbert Maurice d’ (1862-1938) Nato a Parigi, fu allievo dell’Ecole polytechnique di Parigi (1880-82) e dell’Ecole des ponts et chaussées (1882-83), nel 1894 divenne professore di matematica in quest’ultima scuola. Si occupò di geometria e di meccanica. POG Owen, Richard (1804-1892) Nato a Lancaster (Inghilterra), anatomista e paleontologo fra i più celebri del diciannovesimo secolo, studiò medicina a Edimburgo, nel 1827 fu nominato conservatore al museo del Royal college of surgeons ove nel 1836 divenne professore di anatomia comparata e fisiologia, nel 1856 divenne soprintendente del dipartimento di storia naturale del British museum. Socio straniero della Reale Accademia dei Lincei dal 1883. DNB, DSB P Pascal, Etienne (1588-1651) Nato a Clermont-Ferrand (Francia), padre del celebre Blaise che fu da lui educato nelle materie scientifiche, coltivò la matematica e la musica. Fu in contatto con Mersenne, Roberval, Desargues e Fermat. Intorno al 1637 Etienne Pascal propose la concoide del cerchio rispetto a uno dei suoi punti nella soluzione del problema della trisezione dell’angolo. Roberval denominò la curva ” lumaca di Pascal” e introdusse un metodo cinematico per determinarne le tangenti. DSB Pasteur, Louis (1822-1895) Nato a Dole (Francia), chimico e biologo, la sua grandissima fama è sopratutto legata ai suoi studi di microbiologia di cui fu il fondatore. Allievo dell’Ecole normale supérieure di Parigi (1843-46), nel 1849 divenne professore di chimica all’Università di Strasburgo e nel 1854 a Lille, nel 1857 fu nominato direttore degli studi scientifici dell’Ecole normale supérieure. Fu eletto all’Académie des sciences di Parigi nel 1862, e ne divenne sécrétaire perpétuel nel 1887. DSB Peano, Giuseppe (1858-1932) Nato a Spinetta (Italia), si laureò a Torino nel 1880. Fu assistente di D’Ovidio (1880-81) e di Genocchi (1881-89). Professore straordinario nel 1890 e nel 1895 ordinario di calcolo infinitesimale all’Università di Torino. Insegnò all’Accademia militare di Torino (1886-1901) e nel 1929 divenne socio nazionale della Reale Accademia dei Lincei. Fu un pioniere della logica matematica ove ha introdotto
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il suo sistema ideografico. Si occupò di fondamenti della matematica, nel 1889 formulò il ben noto sistema di assiomi dell’aritmetica (che perfezionò nel 1898) e un sistema di assiomi della geometria elementare (che estese nel 1894). Diede un metodo d’integrazione per approssimazioni successive delle equazioni differenziali ordinarie, ripreso e sviluppato da Picard, e la prima dimostrazione dell’esistenza dei loro integrali nella sola ipotesi della continuità dei dati. Nel 1891 fondò la Rivista di matematica, pubblicata fino al 1906, al fine di diffondere le ricerche sui fondamenti della matematica e le applicazioni della sua ideografia. DSB Pépin, Jean François Théophile (1825-1903) Nato a Cluses (Francia), entrò nella Compagnia di Gesù nel 1846 a Lione. Negli anni 1850-56 e 1862-71 fu professore di matematica in diversi collegi della Compagnia. Si occupò di teoria dei numeri. POG, (integrazioni estratte da un documento emesso nel gennaio 2001 dall’Archivium romanum societatis Jesu) Perott, Joseph de (1854-1924) Nato a Thumiac (Francia), studiò a Parigi e Berlino (1877-90) dal 1890 docente di matematica alla Clark University a Worcester negli Stati Uniti. Si occupò sopratutto di teoria dei numeri. POG, (integrazioni estratte dalla lettera di Howard B. Jefferson, rettore della Clark University a Mrs. Ruth E. Styffe, del 27 agosto 1952, conservata in copia negli archivi della Clark University) Perrier, François (1833-1888) Nato a Valleraugue (Francia), allievo dell’Ecole polytechnique, nel 1875 entrò al Bureau des longitudes nel 1879 divenne professore di geodesia à l’Ecole supérieure de guerre, divenne colonnello di fanteria nel 1879 e generale nel 1887. Fu eletto all’Académie des sciences di Parigi nella sezione geografia e navigazione nel 1880. PS Picard, Charles Emile (1856-1941) Nato a Parigi, conseguì il dottorato all’Ecole normale supérieure nel 1877. Nel 1879 fu nominato maître de conférences alla Faculté des sciences di Toulouse. Tornò a Parigi dove divenne suppléant di meccanica fisica e sperimentale alla Sorbona (1881-85) e maître de conférences all’Ecole normale supérieure (1881-86). Nel 1885 fu nominato professore alla Faculté des sciences di Parigi. Nel 1889 fu eletto all’Académie des sciences di Parigi. Si occupò sopratutto di analisi: le sue memorie riguardano le equazioni differenziali e integrali e la teoria delle funzioni analitiche di una e due variabili complesse dove diede contributi fondamentali. Le ricerche di analisi lo condussero a occuparsi di superficie algebriche. DSB Picquet, Louis Didier Henry (1845-?) Nato ad Amiens (Francia), allievo dell’Ecole polytechnique dal 1864 dove fu répétiteur d’analyse dal 1873. Entrò nel genio militare divenne capitano nel 1871. Si interessò di geometria d’analisi e di teoria dei numeri. POG Plana, Giovanni Antonio Amedeo (1781-1864) Nato a Voghera (Italia), studiò all’Ecole polytechnique di Parigi dal 1800. Fu allievo di Laplace, Lagrange e Legendre. Dal 1803 fu professore alla Scuola di artiglieria di Alessandria e poi dal 1811, su designazione di Lagrange divenne professore ordinario di astronomia all’Università di Torino e dal 1813 ebbe la
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direzione dell’osservatorio astronomico. Senatore nel 1848 divenne membro della Royal society di Londra nel 1827. Si dedicò prima all’analisi per poi volgersi definitivamente all’astronomia e alla meccanica celeste. La sua massima opera, scritta con Francesco Carlini, è la Théorie de la lune ispirata ai lavori di Euler e Laplace che fu premiata dall’Académie des sciences di Parigi nel 1820. DSB, FSM Poincaré, Jules Henri (1854-1912) Nato a Nancy, fu ammesso nel 1873 all’Ecole polytechnique e fece gli studi di ingegnere all’Ecole des mines. Insegnò all’Università di Caen (1879-81) e all’Università di Parigi (1881-1912). Fu eletto all’Académie des sciences di Parigi nel 1887 e all’Académie Française nel 1908. Fu uno dei più grandi matematici del suo tempo, diede contributi fondamentali all’analisi, in particolare alla teoria delle equazioni differenziali e alla teoria delle funzioni di variabile complessa, alla teoria delle funzioni ellittiche, si occupò di meccanica celeste. Scrisse trattati e memorie riguardanti quasi tutti i rami della fisica matematica del suo tempo. Le sue opere, in undici volumi, raccolgono più di cinquecento memorie pubblicate o inedite. DSB Poinsot, Louis (1777-1859) Nato a Parigi, dal 1794 studiò all’Ecole polytechnique e nel 1797 entrò all’Ecole des ponts et chaussées che abbandonò dopo tre anni per dedicarsi agli studi matematici. All’Ecole polytechnique fu professore di analisi e meccanica (18091816) e examinateur d’admission (1816-1826). Nel 1813 fu eletto all’Académie des sciences di Parigi come successore di Lagrange. Viene considerato uno dei creatori della meccanica razionale. Le sue ricerche riguardano la statica e la dinamica dei sistemi. Discepolo di Monge contribuì alla rinascita degli studi geometrici in Francia, diede anche contributi alla teoria dei numeri. DSB, POG Poisson, Siméon Denis (1781-1840) Nato a Pithiviers (Francia), fu allievo dell’Ecole polytechnique (1798-1800), ove fu nominato répétiteur nel 1800, poi suppléant e infine professore di analisi e meccanica nel 1806. Nel 1808 fu nominato astronomo al Bureau des longitudes, nel 1812 fu eletto all’Académie des sciences di Parigi e nel 1809 divenne professore di meccanica alla Faculté des sciences di Parigi. Diede contributi fondamentali alla fisica matematica e all’analisi. Di lui rimangono anche dei trattati classici di meccanica razionale, sui fenomeni della capillarità e sulla teoria del calore. DSB Poncelet, Jean Victor (1788-1867) Nato a Metz (Francia), dal 1807 fu allievo dell’Ecole polytechnique e dal 1810 dell’Ecole d’application de l’artillerie a Metz. Militare di carriera partecipò alla campagna di Russia ove fu fatto prigioniero (1812-14). In questo periodo sviluppò le idee sulle proprietà proiettive delle coniche e dei sistemi di coniche che furono la base del suo lavoro in questo campo. Nel 1824 ebbe un insegnamento di meccanica alla scuola militare di Metz. Nel 1834 fu eletto all’Académie des sciences di Parigi e divenne professore all’Università di Parigi. DSB Prym, Friedrich Emil (1841-1915) Nato a Düren (Germania), studiò a Berlino, Heidelberg e Göttingen (1859-62) e conseguì il dottorato nel 1863 all’Università di Berlino. Nel 1865 diventò professore al Politecnico di Zurigo e dal 1869 fu professore ordinario all’Università di
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Würzburg. Le sue memorie riguardano l’analisi, in particolare le funzioni analitiche di una variabile complessa e le funzioni ellittiche. POG Puiseux, Victor Alexandre (1820-1883) Nato ad Argenteuil, Val-d’Oise (Francia), dal 1837 fu allievo dell’Ecole normale supérieure di Parigi ove ebbe il dottorato nel 1841. Insegnò matematica al Collège royal di Rennes (1841-44) e alla facoltà di Scienze di Besançon (1844-49). Nominato nel 1849 maître de conférences all’Ecole normale supérieure di Parigi tenne l’insegnamento fino al 1855 e dal 1862 al 1868. Dal 1857 al 1882 fu professore di astronomia alla Sorbona come successore di Cauchy. Nel 1871 fu eletto all’Académie des sciences di Parigi. Si è interessato (1850-1851) agli sviluppi in serie di rami di funzioni multiformi di variabile complessa per poi rivolgersi alla meccanica celeste, all’astronomia di posizione e occasionalmente alla geometria. I suoi principali contributi in questi campi riguardano gli sviluppi in serie delle coordinate dei pianeti e l’accelerazione secolare del moto della luna. DSB R Realis, Savino (1818-1886) Nato a Torino, si laureò ingegnere idraulico nel 1839 all’Università di Torino e dal 1840 al 1843 perfezionò i suoi studi all’Ecole des ponts et chaussées di Parigi. Dal 1844 al 1851 svolse l’attività di ingegnere. Nel 1851 chiese ed ottenne dal governo Sardo la sua dispensa da ogni ulteriore servizio e dopo alcuni anni si dedicò esclusivamente alla matematica. Si interessò di teoria dei numeri e di algebra. (Estratto dai necrologi di Realis scritti da Genocchi e da Catalan: cfr. nota 1, p. 212) Renan, Ernest (1823-1892) Nato a Tréguier (Francia), filologo. Studioso di filologia semita, nel 1862 divenne per poco tempo professore di ebraico al Collège de France. Fu scrittore molto noto e controverso. EE Riemann, Georg Friedrich Bernhard (1826-1866) Nato a Breselenz (Germania), dal 1846 fu studente all’Università di Göttingen dove conseguì il dottorato nel 1851, dopo aver frequentato l’Università di Berlino dal 1847 al 1849. Nel 1853 iniziò ad insegnare a Göttingen dove nel 1859 divenne professore ordinario come successore di Dirichlet. Fu uno dei più grandi matematici dell’Ottocento, si occupò sopratutto di analisi e in particolare di funzioni di una variabile complessa, lasciando innovazioni e contributi di fondamentale importanza. DSB Resal, Henri Amé (1828-1896) Nato a Plombières (Francia) ingegnere, conseguì il dottorato a Parigi nel 1855, dal 1870 fu professore all’Ecole polytechnique di Parigi e all’Ecole nationale des mines. Fu eletto all’Académie des sciences di Parigi nel 1873. Oltre ad alcuni trattati di meccanica pubblicò numerosi lavori scientifici che riguardano sopratutto la fisica matematica e l’ingegneria. Fu dal 1875 alla direzione del Journal de mathématiques pures et appliquées fondato da Liouville nel 1836. POG Roque (de Filhol), Jean Théoxène (1824-1889) Nato a Sainte-Colombe (Francia), rivoluzionario repubblicano, fu accusato di aver favorito l’insurrezione della Comune (1871) e condannato alla deportazione
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perpetua in Nuova Caledonia. Rientrato in Francia (amnistia del 1879), si presentò come candidato repubblicano alle elezioni (1881) e fu eletto deputato. DPF Rosenhein, Johann Georg (1816-1887) Nato a Königsberg (ora Kaliningrad, Russia), conseguì il dottorato all’Università di Königsberg, insegnò all’Università di Breslau (1844-48), passò poi all’Università di Vienna dove insegnò dal 1851. Nel 1857 divenne professore associato a Königsberg. Si occupò di analisi e in particolare di funzioni ellittiche. DSB Rouché, Eugène (1835-1910) Nato a Sommières (Francia), allievo dell’Ecole polytechnique di Parigi, fu professore al Lycée Charlemagne, all’Ecole centrale, e infine examinateur d’admission all’Ecole polytechnique. I suoi principali lavori riguardano l’algebra e la geometria. EE, POG Ruffini, Iacopo (1805-1833) Nato a Genova, seguace delle idee politiche di Mazzini fu arrestato e in carcere morì suicida. EE S Sainte Claire Deville, Charles (1814-1876) Nato nell’Ile de Saint-Thomas (Antille), geologo. Seguì a Parigi i corsi dell’Ecole des mines. Eletto all’Académie des sciences di Parigi nel 1857, fu per molti anni supplente al corso di geologia di Elie de Beaumont al Collège de France, ove divenne professore ordinario nel 1875. (Estratto da un documento emesso dal Collège de France in data 18 agosto 2003) Salmon, George (1819-1904) Nato a Cork (Irlanda), dal 1833 al 1838 fu allievo del Trinity College di Dublino dove fu eletto fellow nel 1841 iniziando a insegnare matematica in gran parte di tipo elementare fino al 1866, anno in cui divenne professore di teologia. Scrisse trattati di geometria analitica e di algebra che raccolsero e ordinarono i risultati allora noti e che hanno largamente contribuito a diffondere gli studi matematici e in particolare la neonata teoria degli invarianti di Cayley e Sylvester. DSB Schaar, Mathieu (1817-1867) Nato a Luxembourg, studiò all’Università di Gand (1835-42) dove fu docente dal 1845 insegnando contemporaneamente all’Ecole du génie civil; dal 1858 fu professore ordinario di analisi matematica a Liegi. Si occupò di analisi, teoria dei numeri e meccanica. POG Schering, Ernst Christian Julius (1833-1897) Nato a Sandbergen (Germania), fu professore ordinario di matematica e astronomia a Göttingen dal 1868, fu direttore dell’osservatorio geomagnetico di Gauss e dal 1884 al 1886 direttore sostituto dell’osservatorio astronomico. Curò dal 1863 l’edizione dei primi sette volumi delle opere di Gauss con commenti inediti e analizzando con ampiezza i diversi contributi in ciascun campo. Alla sua morte l’edizione fu proseguita da Klein. Si occupò di teoria dei numeri e geofisica. POG
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Schumacher, Heinrich Christian (1780-1850) Nato a Bad Bramstedt (Germania), dopo aver studiato giurisprudenza, dal 1807 studiò astronomia all’Università di Göttingen come allievo di Gauss e matematica all’Università di Amburgo (1808-10). Nel 1810 iniziò l’insegnamento di astronomia all’Università di Copenhagen. Fu direttore dell’osservatorio astronomico di Mannheim (1813-15). Nel 1821 fu eletto membro della Royal society di Londra. Nel 1823 fondò il periodico Astronomische Nachrichten che è tuttora pubblicato. Le sue ricerche riguardano sopratutto l’astronomia. Si occupò attivamente anche di geodesia. DSB Schwarz, Hermann Amandus (1843-1921) Nato a Hermsdorf (ora Sobiecin, Polonia), studiò dapprima chimica per poi passare agli studi matematici conseguendo il dottorato all’Università di Berlino nel 1864. Nel 1867 iniziò ad insegnare all’Università di Halle da cui passò, nel 1869, al Politecnico di Zurigo come professore ordinario. Dal 1875 fu professore all’Università di Göttingen e dal 1892 al 1917 a quella di Berlino come successore di Weierstrass. Tra i suoi fondamentali contributi vanno ricordati i teoremi sulla rappresentazione conforme e i nuovi fecondi metodi nel calcolo delle variazioni. DSB, POG Sella, Quintino (1827-1884) Nato a Sella di Mosso (Italia), studiò ingegneria a Torino e a Parigi (1847-51), si occupò di mineralogia e geologia, insegnò geometria applicata alle arti e fu direttore del museo di mineralogia nell’Istituto Tecnico di Torino (divenuto poi Scuola d’Applicazione per gli Ingegneri e poi Politecnico) fino al 1860, anno in cui entrò nella vita politica come deputato della destra. Fu più volte ministro delle finanze (1862, 1864-65, 1869-1873). La sua attività politica si univa ad una non meno vasta opera di promozione della ricerca scientifica a cui contribuì attraverso la Reale Accademia dei Lincei di cui fu socio dal 1872 e presidente dal 1874 fino all’anno della morte. Fu eletto correspondant all’Académie des sciences di Parigi nel 1880 nella sezione di mineralogia. POG, EE, (integrazioni estratte da documenti rilasciati dalla Fondazione Sella di Biella il 19 agosto 2003) Serret, Joseph Alfred (1819-1885) Nato a Parigi, terminò gli studi all’Ecole polytechnique nel 1840. Nel 1861 gli fu affidato l’insegnamento di meccanica celeste al Collège de France e nel 1863 quello di analisi alla Faculté des sciences di Parigi. Nel 1860 fu eletto all’Académie des sciences di Parigi. I suoi studi riguardano sopratutto l’analisi. Si occupò anche di meccanica di astronomia e di teoria dei numeri. Curò l’edizione dei primi dieci dei quattordici volumi delle Œuvres de Lagrange, Paris 1867-1892 (cfr. let. 3, p. 34) e la quinta edizione dell’opera di G. Monge: Applications de l’analyse à la géométrie, Paris, 1850. DSB Siacci, Angelo Francesco (1839-1907) Nato a Roma, fu incaricato dell’insegnamento di meccanica celeste all’Università di Torino nel 1873. Nel 1875 il corso cambiò denominazione in quella di meccanica superiore, e fu da lui tenuto come professore straordinario e poi ordinario nel 1879. Passò all’Università di Napoli nel 1893 dove insegnò meccanica razionale e mec-
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canica superiore. Fu eletto alla Reale Accademia delle Scienze di Torino nel 1876. Deputato a Roma per due legislature fu nominato senatore nel 1892. FSM Smith, Henry John Stanley (1826-1883) Nato a Dublino, dal 1844 fu studente al Balliol college di Oxford, nel 1860 fu nominato Savilian professor di geometria, nel 1861 divenne membro della Royal society di Londra e nel 1873 divenne presidente della sezione di matematica della British Association. I suoi contributi alla matematica riguardano sopratutto la teoria dei numeri, ma anche le funzioni ellittiche e la geometria. DSB Staudt, Karl Georg Christian von (1798-1867) Nato a Rothemburg (Germania), dal 1818 al 1822 studiò all’Università di Göttingen dove fu allievo di Gauss. Conseguì il dottorato a Erlangen nel 1822, dopo un periodo di insegnamento al ginnasio fu nominato nel 1835 professore ordinario all’Università di Erlangen. Si occupò di teoria dei numeri e principalmente di geometria proiettiva a cui diede contributi fondamentali. DSB Stirling, James (1692-1770) Nato a Garden (Scozia), nel 1711 entrò al Balliol College di Oxford che abbandonò nel 1716. Insegnò a Venezia per poi stabilirsi a Londra dove nel 1726 ebbe un insegnamento superiore. Seguendo gli studi di Newton, pubblicò nel 1717 uno studio sulle cubiche e si occupò di analisi, di cui pubblicò un trattato nel 1730. DSB Sylvester, James Joseph (1814-1897) Nato a Londra, insegnò in quello che diverrà l’University college di Londra (1838-41), e all’Università di Charlottesville in Virginia (1841-43) che lasciò nel 1843 per tornare a Londra. Fu professore alla scuola militare di Woolwich (1855-70), alla Johns Hopkins University di Baltimora (1876-83) e ad Oxford (1884-97). Fondò il Quarterly journal of pure and applied mathematics e l’American journal of mathematics. I suoi contributi sono molto numerosi i più noti e importanti riguardano la teoria degli invarianti di cui egli fu, con Cayley, uno dei fondatori. DSB T Tait, Peter Guthrie (1831-1901) Nato a Dalkeith (Scozia). Entrò all’Università di Edimburgo nel 1847 e si laureò a Cambridge nel 1852. Fu professore di matematica al Queen’s college di Belfast dal 1854 e di fisica all’Università di Edimburgo dal 1860. Il suo nome è legato a quello di William Thomson nel Treatise on natural philosophy di cui fu pubblicato solamente il primo volume (1867), che tratta la meccanica. I suoi maggiori contributi scientifici riguardano la fisica. DSB Tannery, Jules (1848-1910) Nato a Mantes-sur-Seine (Francia), studiò all’Ecole normale supérieure dove ebbe l’agrégation nel 1869 e dove nel 1872 divenne agrégé-préparateur di matematica. Ispirandosi ai lavori di Fuchs e sollecitato da Hermite, iniziò a occuparsi delle proprietà degli integrali delle equazioni differenziali lineari a coefficienti variabili, argomento in cui conseguì il dottorato nel 1874. Nel 1876 fondò il Bulletin des sciences mathématiques che diresse con la collaborazione di Darboux, Hoüel e Picard.
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Nel 1881 divenne maître de conférences all’Ecole normale. Dal 1903 fu professore di analisi alla Sorbona. Oltre alle equazioni differenziali si interessò di funzioni ellittiche e di teoria dei numeri. DSB Tartaglia, Niccolò (1499 o 1500-1557) Nato a Brescia (Italia), fu uno dei più famosi matematici del XVI secolo. Dopo aver insegnato a Verona andò nel 1534 ad insegnare matematica a Venezia dove rimase per quasi tutto il resto della sua vita. A lui si deve la formula di risoluzione algebrica dell’equazione di terzo grado ridotta e la prima traduzione italiana degli Elementi di Euclide (1543). DSB Taylor, Brook (1685-1731) Nato ad Edmonton (Inghilterra), studiò al St. John College di Cambridge. Nel 1712 fu eletto membro della Royal Society di Londra di cui divenne segretario (1714-18). Legato alla scuola di Newton si occupò del nascente calcolo infinitesimale, applicandone i risultati al problema delle corde vibranti e alla propagazione della luce in un mezzo eterogeneo, fu uno dei fondatori del calcolo delle differenze finite. DSB Tchebichev, Pafnuti Lvovich (1821-1894) Nato a Okatovo (Russia), studiò all’Università di Mosca (1837-43) e conseguì il dottorato nel 1846. Dal 1847 al 1882 insegnò all’Università di Pietroburgo. In quella medesima Università curò un’edizione delle opere di Euler sulla teoria dei numeri (L. Euleri Commentationes arithmeticae collectae, 2 voll., St. Petersburg, 1849) che probabilmente fu l’origine dei suoi studi in questo campo. Nel 1850 divenne professore straordinario e nel 1860 ordinario nella stessa Università. Diede contributi famosi anche alla teoria della migliore approssimazione delle funzioni, al calcolo integrale e al calcolo delle probabilità. DSB Thomson, William (Lord Kelvin) (1824-1907) Nato a Belfast (Irlanda), fu uno dei più eminenti fisici del diciannovesimo secolo. Studiò a Cambridge (1841-45). Nel 1846 ebbe la cattedra di fisica all’Università di Glasgow. Diede contributi fondamentali alla fisica matematica sopratutto alla termodinamica di cui è considerato un fondatore. DNB, DSB Tisserand, François Felix (1845-1896) Nato a Nuits-St.-Georges (Costa d’Oro), studiò all’Ecole normale supérieure di Parigi (1863-1868). Nel 1866 divenne astronome-adjoint all’osservatorio di Parigi dove studiò con Le Verrier. Conseguì il dottorato nel 1868. Nel 1873 divenne professore di astronomia all’Università di Toulouse e direttore dell’osservatorio astronomico della stessa città. Nel 1878 divenne professore di meccanica razionale a Parigi, e nel 1883 di meccanica celeste. Nel 1878 entrò all’Académie des sciences di Parigi. DSB, POG Tortolini, Barnaba (1808-1874) Nato a Roma, conseguì il dottorato nel 1829, dal 1834 fu professore di fisica matematica al Collegio urbano di propaganda fide e dal 1837 professore di analisi all’Università di Roma. Insegnò anche fisica matematica al Pontificio seminario romano dal 1845. Nel 1850 ha fondato gli Annali di scienze matematiche e fisiche
indice storico
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compilati da Barnaba Tortolini, la cui seconda serie da lui pubblicata a Roma dal 1858 al 1866 in collaborazione con Betti, Brioschi e Genocchi, prese il nome, tuttora conservato di Annali di matematica pura e applicata. POG Troost, Louis Joseph (1825-1911) Nato a Parigi, chimico, dopo il dottorato insegnò al Liceo Bonaparte a Parigi, divenne poi maître de conférences all’Ecole normale supérieure e dal 1874 professore di chimica alla Faculté des sciences di Parigi. Fu eletto all’Académie des sciences di Parigi nel 1884. POG V Valson, Claude Alphonse (1826-1901) Nato a Gevrey-Chambertin (Costa d’Oro), fu professore alla Facoltà di scienze di Grenoble successivamente professore di calcolo differenziale e integrale all’Istituto cattolico di Lione dove divenne preside della facoltà di scienze. POG, (si veda anche il necrologio: P. Dadolle, Rapport de Mgr le Recteur, «Bulletin des facultés catholiques de Lyon», 5-6 (1901), pp. 82-86) Vicaire, Joseph Marie Eugène (1839-1901) Nato a Ambérieu-en-Bugey (Francia), allievo dell’Ecole polytechnique terminò nel 1858 l’Ecole des mines, fu professore all’Ecole des mines de Saint-Etienne (186275) e all’Ecole nationale supérieure des mines (1879-1900). Fu suppléant di meccanica celeste al Collège de France (1883-85). (Cfr. Notice sur les travaux scientifiques de E. Vicaire, Paris, 1896, p. 3) Villemain, Abel Fran¸cois (1790-1870) Nato a Parigi, fu letterato e uomo politico, maître de conférences all’Ecole normale supérieure, fu professore alla Sorbona dal 1816 al 1830 e dal 1840 al 1844 fu ministro della pubblica istruzione. Dal 1821 fu membro dell’Académie française di cui nel 1832 divenne secrétaire perpétuel W Waddington, William Henry (1826-1894) Nato a Saint-Rémy-sur-Avre (Francia), archeologo e uomo di stato. Fu eletto all’Académie des inscriptions et belles-lettres di Parigi nel 1865 per i suoi studi di archeologo. Nel 1861 fu deputato all’Assemblée nationale, senatore nel 1876, fu ministro della pubblica istruzione (1876-77) e degli esteri nel 1877 e presidente del consiglio nel 1879. Fu ambasciatore a Londra (1883-93). DPF Weber, Heinrich (1842-1913) Nato a Heidelberg, studiò all’Università della sua città natale (1860-66), fu Privatdozent ad Heidelberg dal 1866 e professore straordinario dal 1869. Dal 1873 professore ordinario all’Università di Königsberg e dal 1883 al politecnico di Berlino. Diede contributi sopratutto all’analisi e alle sue applicazioni, alla teoria dei numeri e alla fisica matematica. DSB, POG Weierstrass, Karl Theodor Wilhelm (1825-1897) Nato a Ostenfelde (Germania) si accostò alla matematica nel 1838 ma fu solo nel 1854 che divenne noto con una memoria sulle funzioni abeliane, fu uno dei
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maggiori matematici del diciannovesimo secolo; dal 1864 fu professore ordinario all’Università di Berlino. La sua scuola di analisi contribuì alla formazione di un importante e vasto gruppo di matematici. Spaziò in tutti i campi della matematica, i suoi maggiori contributi riguardano la teoria delle funzioni di variabile complessa, le funzioni ellittiche e il calcolo delle variazioni. DSB Wiltheiss, Ernst Eduard (1855-1900) Nato a Worms (Germania), studiò all’Università di Giessen (1874-76) dove ebbe come maestri Gordan e Baltzer, dal 1876 continuò a Berlino dove si laureò nel 1879. Insegnò come Privatdozent all’Università di Halle (1881-86), ove poi divenne professore (1886-92). Si occupò di funzioni abeliane e della teoria delle funzioni theta. (W. Wirtinger, Eduard Wiltheiss, «DMV Deutsche Mathematiker Vereinigung Jahresbericht», 9 (1900), pp. 59-63) Winckler, Anton (1821-1892) Nato a Riegel presso Freiburg (Germania), fu professore di matematica e geodesia al politecnico di Karlsruhe dal 1847, dal 1859 al politecnico di Graz, dal 1866 professore di matematica al Politecnico di Vienna. Si occupò sopratutto di analisi. POG Wöhler, Friedrich (1800-1882) Nato a Eschersheim (Germania), chimico. Fu professore all’Università di Göttingen, nel 1845 fu eletto correspondant all’Académie des sciences di Parigi. DSB Wurtz, Charles Adolphe (1817-1884) Nato a Strasburgo, chimico e medico, terminati gli studi di medicina nel 1843, dal 1853 fu professore di chimica alla Facoltà di medicina di Parigi e dal 1875 professore di chimica organica alla Sorbona, fu eletto all’Académie des sciences di Parigi nel 1867. POG Z Zédé, Emile Hippolyte (1827-1900) Nato a Châlons-sur-Marne, entrò all’Ecole navale nel 1843, dopo numerose spedizioni, nel luglio del 1853 sulla Ville de Paris prese parte alle operazioni della guerra di Crimea. Luogotenente di vascello con l’ammiraglio Hamelin nel luglio del 1854, il 17 ottobre 1854 durante l’attacco di Sebastopoli fu colpito ad ambedue le gambe da un proiettile (come Hermite racconta nella lettera del 15 novembre 1883: cfr. let. 56, p. 143). DMF
composto, in carattere dante monotype, impresso e rilegato in italia dalla accademia editoriale ®, pisa · roma
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I
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La matematica antica su cd-rom Uno dei maggiori problemi nell’insegnamento e nella ricerca in Storia della matematica consiste nella difficoltà di accedere alle opere originali dei matematici dei secoli passati. Ben pochi autori, in genere solo i più importanti, hanno avuto edizioni moderne; per la maggior parte occorre rivolgersi direttamente alle edizioni antiche, presenti solo in poche biblioteche. Questa situazione è particolarmente gravosa nei centri privi di biblioteche importanti, dove anche lo svolgimento di una tesi di laurea in storia della matematica è ritardato dai tempi a volte lunghissimi necessari per procurarsi fotocopie o microfilms delle opere necessarie, ma sussiste anche nei centri maggiori, dove in ogni caso l’accesso ai volumi antichi è sottoposto a controlli e limitazioni. Per ovviare almeno in parte a questi inconvenienti, e permettere una maggiore diffusione della cultura storico-matematica, il Giardino di Archimede ha preso l’iniziativa di riversare su cd-rom e diffondere una serie di testi rilevanti per la storia della matematica. Ogni cd contiene circa 5000 pagine (corrispondenti circa a 15-20 volumi) in formato pdf. La qualità delle immagini è largamente sufficiente per una agevole lettura anche dei testi più complessi e non perfettamente conservati. Il prezzo di ogni cd è di 130 euro. Per acquisti o abbonamenti a dieci o più cd consecutivi viene praticato uno sconto del 20%. Per ulteriori informazioni si può consultare il sito del Giardino di Archimede: www.archimede.ms Per ordinazioni: Il Giardino di Archimede Viale Morgagni 67/a 50134 Firenze Tel. ++39-055-7879594, Fax ++39-055-7333504 e-mail: [email protected]fi.it Indice degli ultimi cd pubblicati CD 31 Herberstein, Ferdinand Ernst - Norma et regula statica. Wien, Cosmerovius, 1686. Kepler, Johannes - Epitome astronomiae copernicanae. Vol. 1 e 2. Linz, Planck, 16181622. Auzout, Adrien - Lettre sur le Ragguaglio di due nuove osservazioni di Campani. Paris, Cusson, 1665. D. A. L. G - L’usage de l’un et l’autre astrolabe. Paris, Moreau, 1625. Herbinius, Jan - Terrae motus et quietis examen. Utrecht, Waesberg, 1655. Hero - Gli artificiosi e curiosi moti spiritali. Bologna, Zenero, 1647. Horcher, Philipp - Constructio circini proportionum. Mainz, Lipp, 1605. Horn, Georg - Historia philosophica. Leiden, Elsevier, 1655. Hultius, Levinus - Instrumenta mechanica. Frankfurt, Richter, 1605. Huygens, Christiaan - Horologium oscillatorium. Paris, Muguet, 1673. Huygens, Christiaan - Kosmotheoros. Haag, Moetjens, 1699. Inchofer, Melchior - Tractatus syllepticus. Roma, Grignani, 1633. Ingegneri, Carlo Guglielmo - Meteorologia. Milano, Monza, 1657. Issautier, Niccolò - Geometria. Torino, Gianelli, 1679.
Juanini, Juan Bautista - Nueva idea physica. Zaragoza, La Puyada, 1685. Kasmach, Francisco Guilhelme - Almanach prototypo. Lisboa, Craesbeeck, 1644. Kepler, Johannes - Ad Vitellionem paralipomena. Frankfurt, Marn, 1604. Kepler, Johannes - Apologia pro Harmonices mundi adversus de Fluctibus. Frankfurt, Tampach, 1622 Kepler, Johannes - De cometis. Augsburg, Aperger, 1619. Kepler, Johannes - De stella nova. Praha, Sess, 1606. Kepler, Johannes - Dioptrice. Augsburg, Franck, 1611. Kepler, Johannes - Harmonices mundi. Linz, Planck, 1619. Kestler, Johann - Physiologia Kircheriana. Amsterdam, Jansson, 1680. Kircher, Athanasius - Arithmologia. Roma, Varesi, 1665. CD 32 Galli, Nicolò - Discorso sopra l’inondazione del Tevere nell’alma città di Roma. Roma, Stamperia della Camera Apostolica, 1609. Giornale dei letterati. Vol. 1-12. Roma, Bernabò, 1675-1679. Huygens, Christiaan - Opera varia. Vol. 1-2. Leyden, vander Aa, 1724. Huygens, Christiaan - Opuscula posthuma. Vol. 1-2. Amsterdam, Jansson, 1728. Kircher, Athanasius - Iter extaticum coeleste. Herbipoli, Endter, 1660. Kircher, Athanasius - Magneticum naturae regnum. Roma, De Lazaris, 1667. Kircher, Athanasius - Tariffa Kircheriana. Roma, Tinassi, 1679. Knittel, Caspar - Cosmographia elementaris. Nürnberg, Endter, 1674. Lagalla, Giulio Cesare - De phoenomenis in orbe Lunae. Venezia, Baglioni, 1612. CD 33 Cassini, Jean Dominique - Description et usage du planisphere céleste. Paris, Desnos. Intieri, Bartolomeo - Apollonius ac Serenus promotus. Napoli, Sellitto, 1704. Intieri, Bartolomeo - Ad nova arcana geometrica detegenda aditus. Benevento, Tipografia Episcopale, 1703 Iseppi, Giovanni - Esposizione di una nuova macchina per escavare il fango di sotto acqua. Venezia, Casali, 1776 Jacquier, François - Elementi di perspettiva secondo li principii di Brook Taylor. Roma, Salomoni, 1755. Jacquier, François - De veteri quodam solari horologio nuper invento. Juan, Jorge e De Ulloa, Antonio - Observaciones astronomicas y phisicas. Madrid, Zunˆ iga, 1748. Kaestner, Abraham Gotthelf - Geschichte der Mathematik. Vol. 1-4. Göttingen, Rosenbusch, 1796-1800. Kaestner, Abraham Gotthelf - De habitu matheseos et physicae ad religionem. Leipzig, Langenhem, 1752. Keill, John - Introductiones ad veram physicam et veram astronomiam. Leyden, Verbeek, 1739. Kramer, Matthias - Il secretario di banco. Venezia, Hertz, 1707. La Caille, Nicolas-Louis - Astronomiae fundamenta. Paris, Collombat, 1757. La Condamine, Charles - Journal du voyage fait par ordre du Roi a l’équateur. Paris, Imprimerie Royale, 1751. La Condamine, Charles - Mesure des trois premiers degrés du méridien dans l’hémisphere austral. Paris, Imprimerie Royale, 1751. La Hire, Philippe - Tables astronomiques. Paris, Montalant, 1735.
La Hire, Philippe - Tabulae astronomicae. Paris, Boudot, 1702. La Marche - Les usages de la sphère et des globes. Paris, rue du Foin St. Jacques, an VII (1798). CD 34 La Caille, Nicolas-Louis - Leçons élémentaires d’astronomie. Paris, Guerin et Delatour, 1755. La Caille, Nicolas-Louis - Leçons élémentaires de mécanique. Paris, Guerin et Delatour, 1757. Lagrange, Louis - Lettera a Giulio Carlo di Fagnano. Torino, Stamperia Reale, 1754. Lagrange, Louis - De la résolution des équations numériques de tous les degrés. Paris, Duprat, an VI (1798). Lalande Joseph Jérome - Astronomie. Vol. 1-3. Paris, Veuve Desaint, 1771. Lalande Joseph Jérome - Réflexions sur les cometes qui peuvent approcher la Terre. Paris, Gibert, 1773. Lambert, Johann Heinrich - Système du monde. Berlin, 1784. Lambert, Johann Heinrich - La perspective affranchie de l’embarras du plan géometral. Zurich, Heidegger, 1759. Lambert, Johann Heinrich - Die freye Perspektive. Zurich, Heidegger, 1759. Le Blond, Guillaume - Elemens de fortification. Paris, Jombert, 1752. Lecchi, Antonio - Trattato de’ canali navigabili. Milano, Marelli, 1776. Lecchi, Antonio - De sectionibus conicis. Milano, Marelli, 1758. Peri, Giovanni Domenico - Il negotiante. Venezia, Hertz, 1707.
BOLLETTINO DI STORIA DELLE
SCIENZE MATEMATICHE
BOLLETTINO DI STORIA DELLE SCIENZE MATEMATICHE Il Giardino di Archimede Un Museo per la Matematica
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BOLLETTINO DI STORIA DELLE
SCIENZE MATEMATICHE
Anno XXVI · Numero 1 · Giugno 2006
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SOMMARIO Maria-Chiara Milighetti, Sophia e Mathesis negli scritti di Antonio Nardi
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Philippos Fournarakis, Jean Christianidis, Greek geometrical analysis: a new interpretation through the “Givens” - terminology
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Elisabetta Ulivi, Bettino di Ser Antonio, un maestro d’abaco nel castello di Romena
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Elisabetta Ulivi, Un documento autografo ed altri documenti inediti su Benedetto da Firenze 109
Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche · Vol. XXVI · (2006) · Fasc. 1
SOPHIA
e
MATHESIS
negli scritti di antonio nardi
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Maria-Chiara Milighetti* SOPHIA E MATHESIS NEGLI SCRITTI DI ANTONIO NARDI 1. Il caso Antonio Nardi
G li studi riguardanti la figura e l’opera di Antonio Nardi si collocano in una prospettiva di generale revisione e rivalutazione della scuola galileiana. È inutile sottolineare qui il punto di riferimento costituito dagli studi di Antonio Favaro. 1 A proposito di Nardi lo stesso Favaro afferma: Pochi tra gli scienziati italiani dell’epoca galileiana meriterebbero quanto questo uno studio accurato, mentre ora si sa appena che nacque in Arezzo e che trasse gran parte della sua vita a Roma, dove col Magiotti e col Torricelli componevano il “triumvirato” che è ricordato nel carteggio galileiano. Il suo nome è raccomandato alle Scene, voluminoso (pagg. 1392) manoscritto, copiato da più mani e quasi tutto rimasto inedito tra quelli dei discepoli di Galileo nella collezione della Nazionale di Firenze.
Sulla scia del modello favariano e tenendo conto della classificazione di Angiolo Procissi 2 che lo considera un discepolo di Galileo, gli studi su Nardi hanno privilegiato il rapporto di questa figura con il resto della scuola. D’altra parte Giorgio Abetti nell’introdurre l’opera di Procissi, osserva puntualmente che Nardi, e tutti gli appartenenti alla sezione ‘discepoli’, non furono propriamente scolari «ma piuttosto seguaci ed ammiratori delle dottrine del Maestro» 3 e, in taluni casi, addirittura precursori della sua opera. Nel rinnovato interesse per la scuola galileiana, in una stagione particolarmente attenta a riportare in luce le glorie locali e per interessamento dell’aretina Accademia Petrarca di Scienze, Arti e * Maria Chiara Milighetti è dottoranda di ricerca in “Scienze filosofiche” presso il dipartimento di Studi Storico-Sociali e Filosofici dell’Università degli Studi di Siena (sede di Arezzo). Indirizzo: Dipartimento di Studi storico-sociali e filosofici, Viale Luigi Cittadini, 33 52100, Arezzo. E-mail: [email protected]; [email protected] 1 Cfr. A. Favaro, Opere di Galileo Galilei, Firenze, Barbera, 1890-1909, vol. XX, p. 492. A proposito degli studi di Favaro è utile ricordare anche alcuni sui tentativi di pubblicazione degli scritti nardiani: Serie decima di scampoli galileiani [raccolti dal socio effettivo Prof. Antonio Favaro. LXXXI. Di certe obiezioni contro alcune dottrine contenute nel Dialogo dei massimi sistemi.] in «Atti e Memorie della R. Accademia di scienze, lettere ed arti di Padova». vol. 11, 1895, pp. 32-43. 2 A. Procissi, La collezione Galileiana della Biblioteca Nazionale di Firenze, Roma, Istituto Poli3 Op. cit., vol. I, p. viii. grafico dello Stato, 1959. Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche · Vol. XXVI · (2006) · Fasc. 1
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maria-chiara milighetti
Belle Lettere, Gaetano Capone Braga 1 pubblica nel 1925 un saggio che rimane una delle pietre miliari per chi si voglia accostare allo studio di questo personaggio. Non è un caso che Braga designi Nardi come «filosofo dell’estremo rinascimento». Nel pensiero di Nardi, Braga sembra ravvisare infatti retaggi di naturalismo cinquecentesco e fermenti della nuova scienza sapientemente intrecciati mediante l’espediente della retorica e il vezzo dell’erudizione. Del 1955 è uno studio di Luigi Tenca 2 che analizza la figura di Nardi sotto la duplice veste di matematico e di aretino. Della fine degli anni Settanta sono alcuni studi di Maurizio Torrini 3 che hanno l’intento di mettere a fuoco i rapporti di Nardi con altri componenti della scuola galileiana in riferimento anche alla corrente atomistica diffusasi all’interno di essa e più in generale in relazione all’edizione del carteggio dei discepoli di Galileo. Sull’atomismo in Nardi e nella scuola galileiana esiste anche un più recente articolo di Armando Brissoni. 4 Sulla stessa linea di interesse per la scuola galileiana si collocano le ricerche di Lanfranco Belloni. 5 Diversi studi hanno approfondito anche il pensiero matematico e scientifico di Nardi, addentrandosi nella sua opera Le Scene. È degli anni Ottanta un originale studio di Elisabetta Ulivi 6 che rintraccia nelle Scene alcune proposizioni di Michelangelo Ricci. Quest’ultimo si era infatti incaricato presso il S. Offizio di far stampare l’opera nardiana e lo stesso Nardi dà ragguaglio di alcuni interventi di revisione operati all’interno delle Scene dallo stesso Ricci. Successivo è 1 G. Capone-Braga, Un filosofo dell’estremo rinascimento (Antonio Nardi), Arezzo, «Atti e Memorie della R. Accademia Petrarca di Scienze Lettere ed Arti», Nuova serie, vol. V, 1925, pp. 36-135. 2 L. Tenca, Antonio Nardi, un matematico aretino, «Rendiconti classe di scienze», Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, Milano, U. Hoepli, 1955, Vol lxxxviii, pp. 491-506. 3 M. Torrini, Antonio Nardi, un allievo di Galileo “previchiano?”, «Bollettino del centro studi vichiani», IX, Napoli, Pubbligraf, 1979, pp. 129-133. M. Torrini, Due galileiani a Roma: Raffaello Magiotti e Antonio Nardi, in “La scuola galileiana, prospettive di ricerca”, «Atti del Convegno di Studi di Santa Margherita Ligure 26-28 Ottobre 1978», Firenze, Nuova Italia Editrice, 1979, pp. 53-88. 4 A. Brissoni, Antonio. Nardi e Democrito: un pretesto per parlar di Galileo, «La Critica politica», A. 14, n. 1, Firenze, 1990, pp. 37-70. Nella stessa rivista «La Critica politica», A. 14, n.2 sono pubblicati alcuni passi scelti di A. Nardi, Censura sopra varij pensieri del Galilei, pp. 41-45. Citiamo infine il suo ultimo recentissimo lavoro: A. Brissoni, L’ardente impulso: osservazioni su Campanella e Bruno, Bivongi, International AM, 2003. In esso esiste un ultimo capitolo relativo ai commenti di A. Nardi all’Isagoge del Viète. 5 L. Belloni, Torricelli et son epoque; le triumvirat des eleves de Castelli: Magiotti, Nardi et Torricelli, dattiloscritto databile fra il 1980 e il 1990 costituito da 18 p. e appartenente alla Biblioteca dell’Istituto di Storia della Scienza di Firenze. 6 E. Ulivi, Su alcune proposizioni di Michelangelo Ricci contenute nelle “Scene” di Antonio Nardi, «Atti del convegno La storia delle matematiche in Italia», Cagliari, 29-30 settembre e 1 ottobre 1982, Università, Istituti di matematica delle facoltà di scienze e ingegneria, a cura di O. Montaldo e L. Grugnetti, 1983, pp. 359-365.
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uno studio di Stefania Devoti 1 di approfondimento degli aspetti scientifico-matematici nelle Scene. Infine citiamo il recente lavoro di Laura Simoni Varanini 2 che, preservando l’unitarietà dell’opera manoscritta nardiana, ne traccia un’interessante genesi prendendo in considerazione tutti i testimoni e le versioni inedite dell’unica opera Le Scene. 2. Una prospettiva di lettura Dopo questo breve excursus sulla letteratura ci sembra importante sottolineare come, a nostro parere, manchi uno studio che tenti di interpretare in maniera unitaria il contenuto dell’opera nardiana o per lo meno cerchi di rintracciarne un significato che tenga conto di tutti gli aspetti fin qui analizzati. A prima vista questa prospettiva sembra fallire nello specifico nardiano. In effetti la dimensione erudita ed enciclopedica di Nardi rischia spesso di far perdere di vista al lettore il significato intrinseco della sua opera. E d’altra parte è facile incorrere nel rischio “di una comoda etichetta storiografica”, catalogando il suo autore come matematico o metafisico ed ignorando che la parte più consistente dei suoi scritti era occupata dalla corda fisica e cioè da tutta una miscellanea di brani che Nardi chiamava vedute, che trattavano di scienze naturali, mineralogia, biologia, chimica, fisiologia. Al tempo stesso gravi difficoltà dovute al rinvenimento all’interno dei vari testimoni di mani diverse, ci inducono a sospettare persino dell’autenticità e della paternità degli scritti nardiani. Questi problemi rimarranno ancora aperti fin tanto che non verrà operata una ricognizione analitica e completa del materiale attribuito a Nardi; tuttavia la nostra ricerca è stata svolta, per scelta, sul Manoscritto 130 della Collezione Galileiana della Biblioteca Nazionale di Firenze, intitolato Scene accademiche. Esso costituisce l’espressione ultima di un’attività di ricerca portata avanti da una o più mani che noi individuiamo, almeno per quanto concerne l’ispirazione, in quella di Nardi. Di questo manoscritto, come abbiamo detto, esistono altre versioni e testimoni, conservati nelle biblioteche fiorentine ed aretine. Per essi rimandiamo alla scheda bibliografica a fine articolo. È certo che Nardi continuò a lavorare a questa opera per tutta la vita, perfezionandola continuamente, in una cascata continua di correzioni, ripensamenti, integrazioni, non curante del fatto che frammisti a ragionamenti fisici inserisse argomentazioni metafisiche, nel mezzo di una dimostrazione 1
S. Devoti, Aspetti scientifico-matematici del pensiero di Antonio Nardi, «Per una storia critica della scienza» (a cura di M. Beretta, F. Mondella, M. T. Monti), «Quaderni di Acme», 26, Bologna, Cisalpino, 1996, pp. 207-224. 2 L. Simoni Varanini, Antonio Nardi: note in margine ai manoscritti, «Bruniana & Campanelliana», n. 7, fasc. 2, Pisa-Roma, Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali, 2001, pp. 469-98.
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matematica fossero contenute note storiche o considerazioni poetiche. Ciò che salta agli occhi e alla mente del lettore non è la coerenza argomentativa dell’opera, né la sua intrinseca originalità ma la sua aspirazione ad essere ‘clavis naturae’ cioè chiave del reale. È attraverso questo «organo universale di filosofia», come Nardi stesso lo definisce, che è possibile aprire il libro della Natura. Non importa se ciò che in esso è scritto ci appaia oscuro perché non fatto da mani d’uomo, abbiamo intanto la chiave che ce lo teneva celato! Le Scene acquistano rilevanza storiografica nel momento in cui si configurano quindi come ‘clavis’ e al tempo stesso come ‘ricettacolo del sapere’, accolgono cioè tradizioni sapienziali e scientifiche diverse, linee di ricerca innovative e talvolta anche superate. Il nostro lavoro si pone quindi l’obiettivo di offrire, nel labirintico percorso delle Scene, un filo di Arianna che sappia condurre il lettore ad una interpretazione unitaria di questa opera. Ci appare infatti rilevante, come nel caso della baconiana Sylva Sylvarum, che essa costituisca una sorta di promptuaria della ricerca scientifica; essa conduce il suo stesso autore da una historia naturalis ad una progressiva storia letteraria (l’ultima parte dell’opera nardiana, la Corda filologica, ne è una dimostrazione), facendo un uso talvolta acritico di una selezione di fonti tradizionali. 1 La natura nardiana è infatti selva e scena, cioè intrigo e apparenza; ben diversa e feconda, in ambito scientifico, sarà l’idea di una natura pondere et mensura. Crediamo tuttavia che quel generico sostrato che storiograficamente va sotto il nome di “platonismo galileiano” trovi una sua puntualizzazione anche grazie al contenuto e al contributo specifico delle Scene nardiane. Allo scopo di analizzare il significato dell’opera di Nardi si è reso necessario assicurare una collocazione cronologica adeguata al suo autore. Un definitivo spostamento delle sue vicende terrene nella prima metà del XVII secolo ci ha consentito anche di appurare con maggior precisione quali fossero le fonti testuali oggetto dei suoi studi scientifici e più spesso delle sue manipolazioni letterarie. Per questo di seguito tracceremo un breve profilo biografico. 3. Note biografiche Antonio Nardi (1598-1649) trascorre la giovinezza nella sua città natale 2 Arezzo, in mezzo agli agi che la sua condizione di appartenente alla 1 Si consideri anche, per questi aspetti, l’opera di P. Rossi, Francesco Bacone. Dalla magia alla scienza, Torino, Piccola Biblioteca Einaudi, 1974, Prima ed. pubblicata da Laterza, Bari, 1957. 2 AFLA, Vacchetta dei Battezzati in Pieve n. 826, 1594 Set 3 - 1600 Mar 17. Reg. cartaceo, Segnatura antica n. 11; ASA, Libro dell’età dei cittadini, I.
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piccola nobiltà di provincia gli consente. 1 Nel 1635, dietro presentazione dello zio Baldassarre Nardi, corrispondente di Galilei 2 ed autore di un trattato matematico Sulla disseccazione delle Chiane 3 rimasto inedito ed oggi perduto, è introdotto alla corte di Giovanni Francesco Guidi di Bagno (1578-1641), a Roma. È qui che viene a contatto con i galileiani della cerchia di Benedetto Castelli (1578-1643). Della frequentazione dell’ambiente galileiano è sicuramente complice anche la sua precedente presenza alla Sapienza di Pisa, dove aveva ottenuto la laurea in utroque iure nel 1621. 4 Le vicende nardiane si intrecciano inesorabilmente a quelle di Raffaello Magiotti (1597-1656) ed Evangelista Torricelli (16081647), compagni di studi e di amabili conversazioni a Roma. Nel 1633, inizia ad instaurare un rapporto epistolare con Galileo Galilei, di cui purtroppo rimangono unicamente le lettere di Nardi a Galileo. Le notizie su Nardi scompaiono peraltro dal carteggio galileiano con la morte di Torricelli. Nardi trascorre gran parte della vita, e del periodo romano, a perfezionare la sua unica opera di carattere scientifico, le Scene accademiche, altrove dette Selve accademiche, che inizialmente si configurano come opera matematica (Le ricercate geometriche sopra Archimede) ma che più tardi assumono la forma di un sistema filosofico, nel tentativo di contenere l’intero scibile umano e di dare un’interpretazione olistica della realtà. L’opera è rimasta quasi interamente inedita e conservata, nella sua stesura definitiva, all’interno del manoscritto galileiano 130, della Capone Braga afferma di non essere riuscito ad individuare l’atto di battesimo di Antonio Nardi, non trovandone riscontro nel Libri d’oro del Comune di Arezzo stilati nel 1796. Qui sono presenti però solo “i rami” superstiti a quell’anno e non il ramo estinto dei Nardi al quale apparteneva il nostro Antonio. Una più attenta ricerca sui Libri dei morti e le Vacchette dei battezzati dell’Archivio della Fraternità dei Laici ci ha consentito di stabilire che Antonio Nardi di Lazzaro di Antonio, fratello di Pietro Paolo (1605-1648) e zio di Lazzaro Nardi (1627-1682) e Anna Nardi Redi, è registrato al n. 266 della Vacchetta dei Battezzati in Pieve n. 826: «Adì 8 di novembre 1598. Si battizzò Antonio figliolo di Messer Lazzaro di Antonio Nardi, et di Madonna Caterina di Messer Ludovico Tondinelli moglie di detto Messer Lazzaro nato a hore 12 in detto giorno in Domenica (compare Messer Giovanni Batista di Stefano Roberti, comare Madonna Maria di Cosimi)». L’anno di morte 1648 [ab Incarnatione] o 1649 [a Nativitate] è confermato nei seguenti Mss. della BCA: Mss. 299, 55, 100, 266 alle voci Nardi o Antonio Nardi. 1 Cfr. ASA, Libro d’Oro, Patrizi, I, I-XLII; II, I-XXVI; BCA, S. Belforte, I Nardi del Casentino, in Storia delle famiglie celebri italiane, Livorno, [19—], Antico Opuscolo 438. 2 Si noti a questo proposito: G. Lutz, Kardinal Giovanni Francesco Guidi di Bagno, Politik und Religion im Zeitalter Richelieus und Urbans VIII, Bibliothek des Deutchens Historischen Instituts in Rom, Band XXXIV, Max Niemeyer Verlag, Tübingen, 1971. 3 Cfr. V. Fossombroni, Memorie idraulico-storiche sopra la Val di Chiana, Montepulciano, dalla Tipografia di Angiolo Fumi, 1835. Di Baldassarre Nardi si veda anche Apologia di Baldassarre Nardi aretino contro le vane ragioni, con le quali alcune scritture che sono da Venetia uscite, impugnano le censure del Papa, con due discorsi politici, intorno allo stato presente delle cose de i Signori Venetiani, Napoli, Appresso Gio. Iacomo Carlino, 1607. 4 Cfr. ASA, G. Volpi, Acta Graduum Academiae Pisanae II (1600-1699) (dattiloscritto), Pisa, 198083: Scheda I01290, p. 118.
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Biblioteca Nazionale di Firenze. Essa si colloca cronologicamente e storiograficamente come anello di congiuntura tra i ‘galileiani’ in senso stretto, cioè gli interlocutori diretti del maestro Galilei, e ‘i galileiani di seconda generazione’, tra i Lincei e il Cimento, tra la concezione meccanicistico-matematica e quella naturalistico-sperimentale di una nuova visione del mondo. Non a caso un altro aretino, Francesco Redi, diverrà il legittimo erede materiale e spirituale dei manoscritti nardiani. 1 4. Fonti epistemologiche delle S CENE e
AUCTORES
Certamente Nardi conosceva Le Selve di Stazio, componimenti di ‘improvvisa ispirazione’, come il loro stesso autore li definiva, e conosceva forse anche le Selve d’Amore di Lorenzo de’ Medici, ma da esse sembra tuttavia distaccarsi scrivendo in stile prosaico anziché poetico, seppure l’opera mantenga il carattere di letteratura d’occasione: l’occasione e l’ispirazione in Nardi, sono dati dall’assoluta e multiforme libertà del pensiero dell’autore per la quale è possibile passare da una dimostrazione geometrica ad un giudizio letterario, da una citazione greca ad un adagio morale con estrema versatilità. Il Galileiano 130 della Collezione Galileiana della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, intitolato Scene del Nardi, rappresenta l’espressione ultima del pensiero del suo autore. Il codice sembra in parte scritto da Torricelli come si deduce dal frontespizio, ma le postille e le figure sono autografe; il tutto si compone di 696 pagine scempie, ossia 1392 doppie. Massetani 2 cita questo volume con il nome di Veglie Toscane, aggiungen1 Per quanto riguarda le complesse vicende dell’eredità Nardi rimando alle carte della Biblioteca Comunale e dell’Archivio di Stato di Arezzo. Diversi documenti e rogiti sono conservati nel Ms. 269 della BCA. Altri documenti relativi all’eredità Nardi si conservano fra le Filze Redi in ASA. Una lettera di Baldassarre Nardi è presente, ad esempio, alla c. 66 r. in ASA, Filza quinta di scritture private spettanti alla casa Redi, nella quale si contengano Instrumenti pubblici, scritte private, Ricevute ed altri Interessi di considerazione non tanto per i beni proprij, quanto per l’eredità Nardi. Dall’anno 1682 fino all’anno 1745. La lettera è scritta da Baldassare Nardi da Bruxelles ad ignoto, ma chiaramente di Curia. Accenna al nipote Antonio. La vicenda dell’eredità Nardi è narrata in ASA, Filza terza delle scritture spettanti alla casa Redi dall’anno 1652 fino al 1748. Documento intitolato Consulto pro veritate a richiesta dell’Ill.mo Gio. Batta Balì Redi, cc. 294 r. 308 v. Il documento sembra redatto agli inizi del 1689; ASA,Filza quarta di scritture della casa Redi dall’anno 1406 all’anno 1748, Narrazione di Fatto per il Nobil Sig.re Pietro del già S.re Bernardino Nardi d’Arezzo all’Ill.mo Sig. Balì Gregorio Redi di detta Città, ASA, cc. 358 r. 361 v.; ASA, Filza Quarta delle Carte Redi, alla c. 439 r. è presente una Pretenzione della S. Gerolama Berghigni Nardi contro la Sig.ra Anna Nardi. Nella Filza Quarta delle Carte Redi, alla c. 291 r. è presente una nota di possesso dei beni di Lazzaro Nardi. “Il Sig.r Cav. Lazzero Nardi fino al dì 11 Gennaio 1681, che morì e di poi la Sig. ra Anna Nardi, ne’ Redi sua sorella, et Prole hanno sempre posseduto …” Ad essa si aggiunge quella del 1661 alla c. 180 r.: Copia de’ beni del Sig. Cavalier Lazzaro di Pietro Paolo Nardi estratta da’ libri dell’Estimo fatto modernamente. 2 BCA, F. A. Massetani, Dizionario degli Aretini illustri nelle arti, scienze e lettere, dattiloscritto attribuibile alla prima metà del sec. XX.
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do che fu donato dal nipote di Antonio, Cavalier Lazzaro Nardi al Granduca di Toscana, «insieme con le figure geometriche in bossolo appartenenti alle scene per questo lavoro». Di queste figure non si ha traccia, anche il titolo appare diverso sebbene nella Veduta XI della Scena V del manoscritto galileiano si parli esplicitamente di Scene Toscane. Il manoscritto si divide in effetti in nove parti dette scene, ognuna delle quali suddivisa in varie vedute. Gli argomenti trattati in questo codice non differiscono sostanzialmente da quelli presenti nelle varie versioni esistenti nelle altre biblioteche fiorentine. A detta di Capone-Braga, 1 «il titolo Veglie Toscane, Scene Toscane, Scene Academiche o Scene semplicemente, citate dai vari autori che hanno parlato del Nardi, indicano una medesima opera». Tale opera costituisce un mirabile ‘teatro di erudizione’, tra le cui quinte si alternano soggetti matematici, mere curiosità letterarie, interessi naturalistici, vezzi poetici, discorsi filosofici, ammonimenti morali, tesi teologiche: un ideale teatro dell’età barocca, esaltazione del virtuosismo intellettuale, del gusto per l’artificio, dove il lettore, condotto attraverso percorsi mentali labirintici, alla presenza di una moltitudine di personaggi storici e mitici, ideali e immaginati, mediante trucchi e invenzioni, simulazione e dissimulazione, perviene quasi «per ischerzo» dalle «teorie spettanti al numero, momento, movimento et apparenze delle cose, insino all’anima ragionevole e al supremo d’ogni ente». In queste pagine incontriamo ogni genere di filosofo, da Giovanni di Salisbury a Tommaso Campanella, da Ferrante Imperato a Colantonio Stelliola, ci s’imbatte in ogni genere di ragionamento, passando da una «quadratura parabolica» agli «errori di alcuni filosofi intorno alla produzione delle cose», dalla «quiddità della forma» alle «posizioni di Tolomeo e di Niccolò Copernico nei loro sistemi mondani»; una selva filosofica dunque, nella quale accanto a querce millenarie crescono piccoli arbusti, nella quale di tanto intanto il piede avanza incerto, a tentoni, e dove è possibile fare ogni tipo di incontro, dall’eremita all’appestato, dalla ninfa al satiro. Le strade del XVII secolo sono infatti malsicure per chi si avventuri senza una guida esperta, senza quelle autorità pronte ad indicarti un cammino certo ed un sentiero già battuto; dalle stesse parole di Nardi, apprendiamo che «veramente il voler senza la loro scorta di tante, e sì ardue questioni trattare, è un voler far poco». 2 In effetti l’opera appare come un inestricabile labirinto epistemologico, del quale lo stesso Nardi ci fornisce il filo di Arianna. L’ordinamento che egli assegna all’intero contenuto del volume è presente nella Veduta 1 2
[CAP. ST.], op. cit., p. 73. [BNF. GAL. 130 FI AL], Intenzioni dell’Autore in quest’opera, c. 691 r.
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XI, Scena V. 1 In questo indice le varie Vedute sono organizzate secondo un criterio di omogeneità in un sistema tetracordico: -
Ricercate Ricercate Ricercate Ricercate
della della della della
Corda Matematica; Corda Fisica; Corda Metafisica; Corda Varia o Filologica.
Il termine ricercata è tratto dal linguaggio musicale ed indica un componimento in stile contrappuntistico nel quale voci diverse si intrecciano a formare un’unica mirabile armonia sonora. Ecco come Nardi presenta, all’inizio della sua opera, l’indice e lo schema riassuntivo degli argomenti trattati. O quanto confuse sono queste Accademiche scene? Parrebbero l’Idea della confusione se Idea la confusione avesse. Ma se ordinate fossino non sarebbero formate da un confuso. Io per me stimo che siano un caos filosofico, il quale facilmente ordinar si possa purché la mente gli sopravvivi. Certo che mi sono abbattuto in un luogo loro, donde non affatto senza ordine mi sembrano. Sovviemmi che quando era giovanetto soleva per ischerzo fingere alcuni disegni che a caso delineati (fuori che da un sol punto) sembravano: lo stesso, quasi parmi, che in questi componimenti accada di cui la forma filosofica quasi, e Tetracordo sistema mi rappresenta. 2 La prima Corda matematica, sopra la quale ricercansi Teorie spettanti al numero, misura, movimento, et apparente delle cose, qual parte della filosofia con nome Aritmetica, Geometrica, Mecanica, Astronomica e con altri ancora si addita. Quindi la seconda corda segue, che più al concreto et all’intimo delle cose corporee perviene, nella quale ricercasi generalmente la natura dei Veraci corpi e i loro principij e passioni. Nella stessa maniera si arriva alle particolari nature incominciando dalle più communi e men degne insino che all’anima ragionevole si giunge. Qui s’attacca la corda metafisica, ove dell’ente generalmente, e de’ suoi principij e del supremo d’ogni ente con gli aiuti della natura e della grazia discorresi. L’ultima corda è corda aggiunta e varia di critiche per lo più, e morali materie. L’indice poi particolare del sistema è il seguente. 3
L’indice di Nardi è dettato dalla tripartizione scolastica in fisica, filosofia e teologia e risente fortemente della tradizionale divisione delle arti del trivio e del quadrivio, invertendone però l’ordine e la valenza nell’economia delle Scene. Le arti del quadrivio sono infatti privilegiate ed occupano un posto di primo piano all’interno dell’opera. Anche le fonti commentate sono perlopiù quelle tradizionalmente studiate nella Facoltà delle Arti: troviamo la Fisica, Sul cielo e il mondo, Sulla generazione e corruzione, Sull’anima, i Parva Naturalia e la Metafisica di Aristotele, unitamente però alle opere di Archimede e di Euclide. Questa scelta 1 2 3
[BNF. GAL. 130 FI AL], c. 370 r.- 380r. [BNF. GAL. 130 FI AL], c. 370 r. [BNF. GAL. 130 FI AL], c. 370 v.
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appare dunque in evidente continuità con la tradizione e allo stesso tempo come un’estensione dell’uso della cosiddetta auctoritas. Accanto ad autori classici si affiancano infatti autori moderni, contemporanei; l’appello all’autorità è estesa a tutti i campi del sapere, inteso qui, come ricerca cumulativa, superindividuale, nella quale però il singolo non è solo continuamente appoggiato e sorretto dall’autorità e dalla tradizione ecclesiastica, come nella scolastica medievale, ma osa finalmente formulare ipotesi, falsificare tesi, cimentarsi in nuove ‘forme di gareggiamento’ per giungere all’unica verità, se essa esista. Le Scene Accademiche di Nardi rappresentano dunque un nuovo genere di florilegio, che non raccoglie solo gli autori tradizionali, ma che erge consapevolmente ad autorità anche filosofi e pensatori, matematici e letterati a cavallo tra ortodossia ed eresia, autori come Francesco Patrizi (1529- 1597) e Tommaso Campanella (1568-1639). In questo sta la modernità delle Scene ed è in questo contesto che acquistano nuova vis polemica, sovvertendo completamente lo stile dei commentari di sentenze scolastici o delle summae medievali. Nella Scena VIII Veduta XXVII, Nardi formula ad esempio un giudizio sopra alcuni matematici. Lo riportiamo a testimonianza di questo nuovo uso degli auctores. Molti furono, ed eccellenti i Matematici avanti il secolo d’Euclide 1 de’ quali l’opere ci sono state furate dal tempo, e però ampiamente giudicarne non puossi. D’Euclide, e d’Archimede si è trattato altrove. Apollonio il Pergeo stie fra l’uno, e l’altro ingegno, poiché nell’universale della elementaria dottrina accostossi ad Euclide, né molto lungi anche le particolari invenzioni da Archimede. S’aggiunge, che l’invenzioni sue, non solo il contemplativo riguardano, come l’elica cilindrica, ma anco il problematico, come l’inclinazione delle rette nei mezzi cerchi. Teodosio, e Menelao diedero gli elementi sferici. Pappo raccolse un‘opera di più prestanze con grandissima utilità del nostro secolo. Smarrite queste scienze ravvivaronsi al tempo del Puerbacchio, del Monteregio ed altri. Le prime parti di esse furono a coltivarsi l’astronomiche, poiché la natura c’insegna doppo i primi elementi geometrici di rimirar il cielo. Costoro dunque restituirono in buona parte la costruzione Tolemaica. Del Copernico, come anche di Tolomeo, e d’Aristarco Samio altrove trattossi. Di Dom. Maria Ferrarese fu scolare il Copernico, da cui l’opinione del mondano sistema imparò, quale essere stata volgare per l’Italia mostrano molti riscontri e fra gli altri l’attestazione del Calcagnino Celio è d’avvanzo. Il Vernero e poi l’Appiano fiorirono in quei tempi nella cosmografia, e geografia. Il Cardano fu vasto, ma sconcertato ingegno, e molto da sè diverso. Talora agguaglia gli eroi, e talora i pensieri suoi trovansi sotto ai volgari 2 devono non di meno le Matematiche alla sua vivacissima curiosità. Il Tartaglia fu molto più solo Geometra e molto inventivo. Ammiro il cervello di costui anche quando si sbaglia. Mancògli l’erudizione, e la modestia. Pietro Nonio fu molto nelle Geografiche materie vessato e buono logista. Rade volte inciampa. Buteone acerbo riprensore dei falsi quadratori 1 2
[BNF GAL. 130 FI AL.], Scena VIII, Veduta XXVII, Giudizio sopra alcuni Matematici, c. 595 v. [BNF GAL. 130 FI AL.], Scena VIII, Veduta XXVII, Giudizio sopra alcuni Matematici, c. 596 r.
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di cerchio, scopresi diligente assai, ma senza invenzione. Maurolico nulla quasi lasciò intentato nelle Matematiche, e fu Aritmetico incomparabile: ingegnoso molto, e metodico. Il Comandino quasi Atlante delle Matematiche intese la sincera Geometria, e trasportolla dai Greci à noi con felicità pare alle sue fatiche. Immortali sono gli oblighi, che tutti doviamo ad un Geometra così universale, benché nell’invenzione non molto avvanzisi. Guidobaldo fu primario, et ingegnoso. Alle sue mecaniche non di meno molte cose aggiungere, e qualcuna levare si può. II Benedetti riconoscesi per uno dei maggiori lumi che gli incliti cielo e mare di Venezia habbiano prodotto. Esercitossi qual buono Atleta in ogni sorte di palestra Geometrica: congiunse le fisiche alle Matematiche contemplazioni: disputa sottilmente contro Aristotile sebene egli ancora prese qualche principio non vero. Di Francesco Vieta, Principe de i moderni Analisti non si può dir tanto che non sia poco. E’ breve, e polito nelle sue prove. Trasportò la 1 logistica di Diofanto dal numero alla specie e diede principio all’arte con pare acutezza e diligenza. Ristorò alcune fatiche perse di Apollonio, difese la ciclometria d’ Archimede. Marino Ghetaldo non esce molto dalla sua scuola. Niuno geometra si vanti d’aver più del P. Clavio scritto perché egli con giudizio raccolse il buon da tutti, e con facilità lo spiegò. II Midorgio ha trattato gli elementi conici con metodo, politezza, e facilità notabile, e tale anche nella ciclometria è lo Snellio. II Nepero gloria immortale coi suoi logaritmi si è acquistato. Luca Valerio fondò la scuola dei novelli Archimedei. II pre. della Faille spira il genio di Archimede nella sua opera mecanica quale molto col 2° dei superficiali equilibrii, e con la quadratura della parabola si confà nel metodo, e nello stile. La Geometria del Pre. Cavaglieri parmi opera gigantea. Così oscure verità discopre e con sì nobil maniera. Vivono alcuni dì presente, de quali l’opere se vedino un giorno la luce, s’ammireranno fra le prime. Altri ancora, de quali mi è notissimo il nome, saranno da me lasciati sotto silenzio, poiché non ho potuto ne tutte le fatiche loro, ne intieramente vederle, onde non posso, darne giudizio. 2
Oltre al superamento del concetto di auctor le Scene mirano alla ridefinizione delle modalità del sapere o dei saperi. Esiste cioè un sapere generale che è ricerca della verità, non più solo comunitaria ma anche individuale, uno sforzo intellettivo che afferma cioè la propria indipendenza critica di fronte ad ogni tradizione o ordine epistemologico precostituito; ed esistono anche una serie di saperi distinti o specializzazioni, che hanno necessità di particolari apparati sperimentali e metodi critici, che necessitano di particolare chiarezza e distinzione, di un particolare linguaggio, e sono suscettibili di una propria coerenza formale interna. 5. M ATHESIS
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e immagini del mondo
La prima corda contiene argomenti di carattere matematico ed in particolare costituisce il naturale ampliamento di una prima stesura nardia1 2
[BNF GAL. 130 FI AL.], Scena VIII, Veduta XXVII, Giudizio sopra alcuni Matematici, c. 596 v. [BNF. GAL. 130 FI AL], c. 597 r.
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na dal titolo Le ricercate geometriche sopra Archimede. È qui che Nardi studia e commenta il suo auctor privilegiato. Il matematico siracusano, erede della tradizione alessandrina, è l’incarnazione di un nuovo modo di acquisire la realtà, nel quale, come un noto filosofo ha affermato, «il congegno e la macchina sono estrinsecazioni dell’ingegno umano». 1 Ma i procedimenti di Archimede non sono ancora esperimenti, sono piuttosto possibilità di pensare la realtà mediante una certa operazione mentale ed astratta. La natura è dunque un semplice «strumento di verificazione» al servizio della scienza matematica, scienza astratta e puramente pensata. Valga ad esempio, quanto scrive Alexandre Koyré a proposito di questo precursore della rivoluzione scientifica: «la fisica classica, nata dal pensiero di Bruno, di Galileo, di Descartes, non è la continuazione della fisica medievale dei precursori parigini di Galileo: al contrario essa si situa immediatamente su un altro piano, un piano che ci piace definire archimedeo. Il precursore e il maestro della fisica classica non è Buridano, o Nicola d’Oresme, è Archimede». 2 A questa riflessione aggiungiamo ciò che Nardi dice a proposito di Archimede e della sua opera matematica: Pensomi, ò Lettore, che se le tanto ammirate opere d’Archimede grate ti siano, non ingrate anche riescanti queste mie ricercate, quali in grazia delle Archimede già molti anni composi. Ti serviranno dunque non per comento di quelle (poiché superfluo il ciò fare doppo Eutocio, Commandino, e Guidobaldo, né molto glorioso sarìa) ma varie forme di certo gareggiamento nello arrivar alla stessa verità per diverse più brevi, e agevoli strade, e con maniera forse più propria, più universale e più perfetta dimostrerannoti. Troverai anco un’aggiunta di non volgari proposte, e di varie annotazioni, le quali i principij dell’arte trascurati per lo più dai professori riguardano: è vero che molte proposte talora accennate più tosto, che diligentemente mostrate vedrai, il che ad un amore della brevità, et à certa Accademica licenza s’ascriva: finalmente se ben tutti i Geometri sanno omai ove sia arrivato Archimede, pochi non di meno sanno, e niuno ha insegnato, quale strada egli prendesse per tanto inanzi arrivare. Agli interpreti è bastato lo spianare alcuni luoghi difficili, per i quali speditamente passò il Vecchio siracusano; ma dell’intero viaggio suo, e degli indizi e scorta nulla hanno osservato, benché ciò fosse per inanimar altrui e per indirizzare à simili imprese necessario. Io quanto ho saputo, ho scritto per tuo utile, ò Lettore, non so già, se, come vorrei, haverò incontrato la chiarezza con la brevità; scusami dunque, se in questo, ò in altro non soddisfaccia il tuo gusto, che se in qualche parte almeno gli soddisfaccia, non poco d’aver acquistato giudicherommi. 3
Non è un caso che proprio la riflessione sull’opera di Archimede sia alla Cfr. V. Mathieu, Storia della filosofia e del pensiero scientifico, Brescia, Ed. La scuola, 1969. Cfr. A. Koyré, Etudes Galiléennes, Paris, Hermann, 1966, trad. Ital. Einaudi, 1976, p.10. 3 [BNF GAL. 130 FI AL] Scena V, Veduta III, Soggetti dell’Opere d’Archimede con le osservazioni, censure, e difese delle stesse, c. 317 v. 1 2
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base della formazione scientifica del giovane Galileo Galilei. Cercando di seguire quelle antiche orme Galilei tenterà di concepire una visione del mondo completamente nuova, nella quale la conoscenza della natura deve passare attraverso la rappresentazione matematica del mondo. Per Nardi la struttura matematica del reale è inconciliabile con quella fisica e filosofica, a causa della debolezza e della perfettibilità degli strumenti di osservazione e, quindi, del modello epistemologico di riferimento. La realtà è per lui un «continuo sommamente diviso» ma allo stesso tempo un «grande assordo». Così scrive Nardi: Grande assordo sarebbe il conchiudere la parte uguale al tutto, ma infinito, per così dire sarebbe il conchiudere un punto eguale ad una linea. Così non di meno per una gentilissima aporria conchiuse il Galilei, e s’avverta, che lo sminuirsi continuamente due grandezze omogenee, e restar sempre uguali tra di loro, non prova, che anche i termini loro […] 1 restare uguali, mentre essi non siano parimenti omogenee, di che nella 2.a ricercata sopra di Archimede parmi dar qualche esempio. 2
La matematica, dal momento che ha per proprio oggetto enti (che Nardi chiama quanti) che essa stessa costruisce in astratto come entità pure e mentali, non può dunque che essere l’unica scienza perfetta ed esatta. La scienza mecanica è di due sorti: perché ò considera il momento, e il movimento e i quanti in astratto; e così è sincera, perfetta scienza, o applica la sua considerazione a i quanti naturali, od artificiali, e così è mista, et imperfetta. In qualche ricercata dell’una, e dell’altra sua parte ragioneremo. 3
Nella Scena VI, Veduta XXIX Nardi definisce la scienza astratta del moto distinguendo tra filosofo matematico e filosofo naturale. Ci preme a questo proposito ricordare un concetto interessante che in più passi Nardi ribadisce, quello di natura come ‘alta fabbrica’, come soggetto inconoscibile e irraggiungibile ai sensi umani ma non per questo meno degna di essere «mirata e ammirata dagli occhi e dalla mente». La scorta dei soli sensi è dunque ingannatrice, ma l’uomo possiede anche gli occhi della mente, cosicché «l’immaginazione nostra ceda al discorso». La natura è sì, «un gran libro aperto» scritto da Dio e superiore ad ogni opera degli uomini; di questo libro il matematico conosce il linguaggio, la lingua fatta di cerchi, di triangoli ed altre figure geometriche, ma occorre scoprirne anche l’essenza profonda, ed è questo il compito del filosofo. Ciò che appartiene oggettivamente alla natura sono i rapporti matematici fra i soggetti, e da tali rapporti i fenomeni sono regolati mediante la proporzionalità della forma, dell’estensione, della figura e 1
Lacuna materiale. [BNF GAL. 130 FI AL], Scena VI, Veduta XXXXI, Censura sopra varij pensieri del Galilei, cc. 483r.486 v. 3 [BNF GAL. 130 FI AL.], Scena VI, Veduta XXI, Divisione delle Mecaniche, c. 403 r. 2
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del movimento. Ciò che invece cogliamo di questi rapporti o proporzioni è frutto dei sensi, del modo di sentire nostro, del nostro stato d’animo soggettivo, ed è percepito mediante gli organi di senso: il naso, gli occhi, le orecchie, la bocca, le mani. Se questi organi e le conseguenti sensazioni che ne derivano fossero in un momento annullate, rimarrebbero comunque, a detta di Nardi il “continuo materiale e infinitamente diviso” costituito dalla realtà dei corpicelli materiali. Noi dagli atomi insieme congiunti riconosciuto habbiamo l’origine della materia, in che né da Platone, né da Democrito ci siamo molto allungati, ma (rifiutate le cose che non bene da quelli introdotte ci parvero) habbiamo preso il meglio con aggiunger secondo il nostro stile, qualche propria considerazione. L’introduzione de gli indivisibili, e de i corpicelli non è sola di Platone, o di Democrito, ma dei Pitagorici, e de i Matematici tutti. 1
Questi corpicelli, quantitativamente e geometricamente determinati e distinti, toccandosi, danno luogo a tutta la realtà che noi conosciamo, danno cioè origine al continuo. Ma esiste un salto incolmabile, una sproporzione, a detta di Nardi, tra le proprietà geometriche e meccaniche della materia e la sensazione mediante la quale la realtà è conosciuta. Tale sproporzione si genera all’interno degli organi di senso dell’uomo, nel momento in cui i corpicelli esterni entrano in contatto con quelli interni che costituiscono l’anima senziente dell’uomo. In Nardi questo passaggio rimane adombrato e poco chiaro, ma la sproporzione consiste forse nella debolezza del discorso e del ragionamento umano. Solo Dio, che ha in sé le forme generatrici delle cose, può cogliere le cose naturali che contengono l’orma lasciata dall’azione generante divina. Quest’ultima, dall’unità originaria dell’Ente, forma la molteplicità dei corpicelli. La vera sostanza delle cose materiali è posta in essere in Dio, da Dio il principio di generazione, mediante un movimento universale e sostanziale, sembra spostarsi alle cause seconde e alla natura che per Nardi è «principio di esser nascimento», è cioè principio «di fare e di patire», azione mediante la quale nascono e si generano le cose. Solo in Dio però esiste una conoscenza perfetta della realtà, perché in lui esiste la forma generatrice del mondo. La conoscenza dell’uomo è imperfetta per quanto riguarda la realtà fisica perché egli è costretto a considerare una realtà che non ha costituito con mezzi propri; solo nell’aritmetica e nella geometria dove l’uomo è davvero autore di ciò che studia, a partire da definizioni universali ed indubitate di unità e punto, egli può raggiungere una conoscenza perfetta e certa. 1 [BNF GAL. 130 FI AL.], Scena IX, Veduta XXVIII, Del natural continuo, e quindi della forma, della materia, e della privazione, c. 656 r.
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La scienza del moto è parto della scienza delle misure, e de i numeri e de i momenti. Imperochè se la linea, che descrive col suo centro un mobile naturale, ò violento sia retta ò curva, e di che qualità perviene al Geometra considerare, all’Aritmetico poi perviene la contemplazione delle quantità, e proporzioni de i moti eguali, o accelerati, e ritardati, e finalmente il mecanico prende il momento interno, o esterno del mobile come principio della operazione. Ora con l’aiuto della prima filosofia poniamo di grazia i termini fra il naturale, e ‘l matematico filosofo in questa materia dei moti, e diciamo, che quello artefice, il quale del moto tutta, come misurabile e numerabile, sia matematico, ma l’altro che le cagioni intime del moto, l’efficiente, e’l fine di esso contempla naturale stimar devesi; ma il vero, che tanto poco vediamo della natura del moto, che quasi poco altro, che il nome di quello teniamo. 1
Il punto da cui prende avvio la riflessione di Nardi è dunque la consapevolezza dell’impossibilità di una conoscenza certa della realtà, proprio perché, coglie la verità, solo colui che crea l’oggetto stesso del suo conoscere. Esistono però alcuni strumenti, per così dire, di verificazione, che Dio ha offerto all’uomo: gli occhi e la mente. Attraverso questi egli può formulare ipotesi, fare supposizioni, perfezionare continuamente le proprie osservazioni e la propria conoscenza. Esistono quindi almeno tre piani di studio della realtà fisica: esiste l’essenza della realtà, colta dal sommo Ente che l’ha voluta e stabilita; esiste un’apparenza di questa realtà ed un’immagine o modello di essa creato dall’uomo e continuamente perfezionabile; esiste infine il modello di realtà che si è costituito grazie alla rivelazione e cioè grazie a ciò che Dio ci ha rivelato dell’essenza del mondo. Insieme a queste tre visioni della realtà esistono altrettanti strumenti di conoscenza che ad esse si accompagnano. Nel caso della realtà essenziale del mondo, per quanto abbiamo detto, essa è inconoscibile all’uomo; per ciò che riguarda la sua apparenza, l’uomo possiede gli strumenti del lume naturale, della ragione o discorso, dell’immaginazione e delle ‘sensate esperienze’ ed esistono anche tutta una serie di indizi che contribuiscono alla formulazione di ipotesi per la modellizzazione del reale. Nel terzo caso, il paradigma costituito dalla verità rivelata, il lume superiore e la fideistica adesione dell’uomo bastano a conoscerlo o meglio ad accertarlo. Solo il secondo modello è dunque aperto ad una ricerca e ad un continuo perfezionarsi ad opera del fisico e del filosofo. Esiste infatti anche qui, analogamente a quella prodotta negli organi di senso, una sproporzione che sembra incolmabile fra ciò che la realtà è, e ciò che di essa appare; esistono inoltre tutta una serie di difficoltà ad accordare le parti armonicamente fra loro: è come 1
[BNF GAL. 130 FI AL.], Scena VI, Veduta XXIX, Della scienza astratta del moto, c. 472 v.
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se la conoscenza dell’uomo fosse frammentaria ed inadeguata a descrivere la realtà nella sua interezza. I sensi naturalmente sono quelli, onde in noi delle dottrine i semi entrano: ma poiché i sensi limitati, e poco squisiti sono, avviene che le grandissime cose dentro le facoltà loro non cadino e debile ancora l’imaginazion sarà che delle cose variamente possibili talora formasi. […] A noi per tanto piace che l’intelletto scopra la verità, di cui i semi nelle imagini portate dagl’esterni sensi, e riformate dagl’interni nascondinsi: ciò anche ad altro piacque e d’avvantaggio al fine delle scienze. 1
Il mondo può dunque essere descritto per imagini e le cose conosciute mediante i loro semi. In più passi Nardi paragona il cosmo nella sua totalità all’immagine del Mistico edifizio di Salomone, dove «il sole ruota su se stesso come re di questo mondo planetario». I pianeti compiono rivoluzioni intorno a se stessi ed intorno al sole che, a guisa del cuore, è anima «delle mondane membra». Nardi sembra aderire, a tratti, all’astronomia ticonica ma più per conformità ai canoni dell’ortodossia, che per reali convinzioni. Egli stesso ravvisa nelle stelle fisse «tanti soli» che «habbiano ancora attorno tanti, come ha il sole, i suoi satelliti, a noi invisibili» e in una sorta di suggestione neoplatonica nella quale Nardi attribuisce un ruolo di primaria importanza al sole, sembrano riaffiorare le idee di Giordano Bruno (1548-1600), William Harvey (1578-1657) e Johannes Kepler (1571-1630): l’infinità e la molteplicità dei mondi, la mistica della luce e la simmetria tra microcosmo e macrocosmo, l’armonia delle sfere celesti e il loro significato mistico e matematico. Certamente anche Nardi risente a tratti di una concezione pansofistica che rintraccia nella totalità dell’universo la presenza del divino, ricollegandosi alla visione di un universo animato dallo spirito di Dio di tradizione pitagorica. Nella Bibbia 2 per bocca dello stesso Salomone si afferma: «Spiritus Domini replevit orbem terrarum» ed il mondo stesso si costituisce come tempio del divino. L’universo e il cosmo è però in Nardi adombramento del divino, sua orma e suo specchio; per Bruno, ad esempio, non esiste una distinzione vera e propria tra il piano ontologico e quello fisico ma l’essere dell’universo è Dio e viceversa. L’universo è dunque infinito, come un tutto animato, costituito da infiniti mondi, che si muovono spontaneamente. Ne La cena delle Ceneri (1584) Bruno aderisce alla fede copernicana, ammirandone la potenza antiaristotelica, ma il naturalismo bruniano è un antiaristotelismo che si regge ancora su una fisica qualitativa. Nardi cercherà di conciliare il naturalismo cinquecentesco con una visione quantitativa della realtà (la ‘fisica dei corpicelli’) e 1
r.
[BNF GAL. 130 FI AL.], Scena II, Veduta XXXIV, Origine e scopo dell’humane Dottrine, c. 181 2 Sap. I, 7.
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con una ripresa di tematiche aristoteliche quali il vitalismo e l’epigenesi nel campo delle scienze naturali. 6. Ontologia scolastica, atomismo e naturalismo: le R ICERCATE della C ORDA F ISICA La natura è secondo il detto platonico «principio di una vita inesauribile ed intelligente», o a detta di Nardi, «principio di esser nascimento» cioè cagione immediata della vita, garante di una razionalità intrinseca al cosmo, i cui effetti sono la costanza e la continuità dei processi naturali. L’idea di natura come principio vivificante, che dà cioè la vita a tutti gli esseri del cosmo, e di ragione come capacità di conoscere il sistema delle cause che governano il mondo naturale non era certamente estraneo ai medioevali. Basti ricordare qui il De mundi universitate sive Megacosmus et Microcosmus di Bernardo Silvestre o il Commento di Guglielmo di Conches al Timeo. Certamente Nardi si era confrontato con questi autori e dà un giudizio a proposito degli scolastici parigini nella Scena VIII, Veduta XXXVI: [Gli scolastici parigini] di soggetti altissimi così sottilmente scrissero, che nulla di sensibil aggiunta farebbe all’eccellenza delle loro contemplazioni l’havere scritto puro ed elegante Latino. Osservo di più facilmente in costoro una certa facoltà di sapersi chiaramente et ordinatamente in poche parole dichiarare (mercè dello squisito habito lessicale) in che di molto parmi, che superiori siano a gli antichi eloquenti; imperò che questi con una gran copia di parole racchiudono ben spesso pochi concetti, il contrario di che fanno gli Scolastici, e fra essi l’Aquinate. Questo Santissimo e meraviglioso ingegno suole racchiuder virtualmente più dottrina nelle brevi risoluzioni delle sue questioni, che non racchiudesi ne i lunghi e disordinati (eleganti siano quanto si vogliono) di molti Greci e Romani scrittori. 1
È sorprendente come un galileiano, o presunto tale, nutra una così profonda ammirazione nei confronti dell’ontologia scolastica fino a spingersi ad affermare che Aristotele, l’Aquinate e gli Scolastici hanno insegnato i precetti morali «con maniera scienziale, mirando l’universale restringersi nel sillogismo, e nel necessario» Nella Veduta XXI della Scena I così ancora ci parla della filosofia scolastica: Considero che il nostro dottissimo secolo in alcune parti della contemplativa filosofia con gran progressi si è avanzato, in altre non ha passato oltre a quello che prima, si sapeva: dunque nelle metafisicali, e teologiche speculazioni pare à me che poco altro insegnato si sia, che il saputo dalla scola Parigina; poiché tal parte della filosofia, ò considera l’universali definizioni delle cose (in quanto tali definizioni haver si possono mediante l’ampiezza de i termini) et i gradi varij, e gli accidenti di esse, ò alla rivelazione applica l’humano discorso, onde non meraviglia se il 1
[BNF GAL. 130 FI AL.], Scena VIII, Veduta XXXVI, Stile de gli Scolastici parigini, c. 620 v.
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tempo poco di avvantaggio apportato habbia intorno à tali generalissime considerazioni: è vero che il campo è restato aperto per prender il meglio senza affetto delle diverse scuole.[…] Segue la dottrina fisica. Questa nella universal sua costituzione, e ne suoi fondamenti, come anche ne i recessi ultimi de i suoi soggetti poco ha migliorato. Ma dove arrivano le osservazioni esperimentali, e dove ci possono fare scorta le matematiche (cioè negli accidenti esterni alle naturali sostanze) moltissimo scoperto, ò ritrovato si è. Quindi tante delle osservazioni, e conclusioni anatomiche, astronomiche, magnetiche, chimiche, meccaniche, e di altre professioni miste di fisica, e di matematica nate, ò rinate ne i tempi nostri si vedono. 1
Nelle Ricercate della Corda Fisica, dai fondamenti generali e dal concetto di natura di derivazione scolastica, Nardi passa a considerare gli accidenti fisici particolari. La differenziazione degli esseri e le diverse qualità all’interno dei corpi vanno ad esempio pensate, a guisa dei corpicelli materiali, come semi o spérmata delle cose. In particolare nella Veduta XXX della Scena III così esordisce nel parlare della generazione: Poiché ogni cosa nata convien che moia, e cresciuta che sia scemi, trovò la natura un modo per il quale, se bene le particolari sostanze vengono meno, con tutto ciò la spezie duri, col sustituirne in luogo delle prime nuove sostanze, quasi rampolli di quelle; tale opera dicesi generazione, o vero produzione[…]. 2
Sebbene dunque le animate sostanze a detta di Nardi, tendano tutte a vivere e a nutrirsi, quasi per istinto di autoconservazione, il generare è un atto che ha del divino perché è un «communicar l’essere». Nell’atto di generare sta quindi la prosecuzione dell’opera divina, il cui principio prossimo o causa efficiente è la vita, quello remoto, o fine, l’anima generante. Esiste dunque una chiara distinzione tra opus creatoris e opus naturae. L’attività creatrice di Dio si esplica nella creazione della materia, cioè dei quattro elementi e nel conferimento dell’essere; quella della natura nella formazione dei soggetti particolari. Nel seme, che è potenza di ciò che non è ancora ma che sarà, è racchiuso il segreto della vita di ogni essere generato nella sua interezza, con le sue membra e le sue facoltà: Il seme in potenza è la cosa generata e pare che questa in quello contengasi come nella creta il vaso: dunque anco par necessario che dalle stesse parti venga composto in potenza di che composta vedesi attualmente la cosa generata. 3
Nella Veduta XX della Scena IV, Nardi definisce le virtù generative del seme: Nella potenza del seme stanno occulte non solo dei padri e prossimi genitori, ma 1 2 3
[BNF GAL. 130 FI AL.], Scena I, Veduta XXI,Osservazioni critiche per trascorsa, cc. 50 v.- 51r. [BNF GAL. 130 FI AL.], Scena III, Veduta XXX, Della generazione,c. 258 r. [BNF GAL. 130 FI AL.], Scena III, Veduta XXX, Della generazione,c. 258 v.
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ancora degli avi, e rimoti le particolari corrispondenze; e dichiariamo che per seme non il movente solo, ma anco il material principio intendo. 1
Analogamente alla sua teoria fisica dei ‘corpicelli’, egli elabora quindi una teoria biologica degli spérmata, creati ab origine da Dio: in principio tutto è in tutto; il caos seminario, una sorta di brodo primordiale, contiene in sé i germi di ogni genere di natura. Questi germi sono chiamati da Nardi spérmata. A guisa della creazione del cosmo, avviene quella dell’essere vivente. Esiste un primo palpito di vita, quasi la scintilla dell’umana natura; ed è questo l’adombramento dell’anima del corpo che avviene in un unico istante. A poco a poco dal caos seminario della materia vivente interna al ventre materno, si generano gli organi e le membra e questa produzione avviene in uno o più giorni. Attraverso l’azione volontaria e libera dei due sessi e il concorso dell’azione creativa di Dio, i semi vitali originano quindi la vita nel ventre femminile, lasciando il resto ad un gioco di cause meccaniche naturali. L’ottava, la nona e la decima ricercata della corda fisica si occupano del senso e degli aspetti fisiologici dell’uomo, pur non tralasciando quelli psicologici e diagnostici. Nella prima di queste ricercate, Nardi perviene alla tesi generale che «ogni senso sia toccamento». Abbiamo detto come la realtà sia composta, per Nardi, da corpicelli diversi per grandezza e qualità e sia un «continuo infinitamente diviso». Essendo infinite le specie dei corpicelli, infinita per gradi e specie è la varietà dei sensibili che possono essere percepiti, venendo i corpicelli a contatto con gli organi di percezione. Dalla sproporzione fra gli organi di senso e l’infinità di questi corpicelli, derivano le diverse sensibilità. Ecco cosa afferma Nardi a questo proposito: Sichè tal senso pare molteplice assai, e quasi universale e come che infinite esser possono le grandezze varie, le figure, ed attività dei corpicelli, così infinite de i sensibili le specie, et infiniti i gradi in ciascuna specie: è ben vero, che lo sproporzionato dell’Organo impedirà che tutti non possino i sensibili apprendersi ne tutti da una sola specie d’animale. 2
Con le vedute riguardanti il “senso” ha così termine la Corda Fisica. 7. Le RICERCATE della CORDA METAFISICA Dopo essersi interrogato sulle cagioni della vita e del suo generarsi, dopo aver percorso gli ardui sentieri delle sue Selve sovrabbondanti di ostacoli e di tranelli, Nardi sembra voler condurre il lettore al porto sicuro dell’umana felicità, alla pienezza dell’essere, alla contemplazione bea1 2
[BNF GAL. 130 FI AL.], Scena IV, Veduta XX, Ragioni armoniche della generazione,c. 305 v. [BNF. GAL. 130 FI AL], Scena II, Veduta XXX, Come ogni Senso sia toccamento, c. 173 r.
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tifica del volto del Creatore. Certamente sorprende questo improvviso cambiamento di stile, quasi un’evoluzione o meglio una svolta, nel pensiero dell’autore. D’altra parte la corda metafisica fu certamente composta più tardi, a coronamento dell’opera matematica e fisica. Il progetto iniziale aveva riguardato solo le Ricercate sopra Archimede, alle quali Nardi aveva aggiunto tutta una serie di postille agli Elementi di Euclide e ad altri autori. L’idea iniziale si era quindi ampliata con la definizione della parte matematica, a sua volta integrata dalla fisica. Con la metafisica Nardi sembra riaffiorare dai meandri della scienza ed è quasi un «riveder le stelle» di dantesca memoria; il suo cammino sapienziale ha assunto i connotati di uno «scientifico pellegrinaggio», nel quale ha raccolto le reliquie dei più antichi filosofi, si è cibato della più astratta geometria, si è dissetato alle sorgenti della vita ed infine si è riposato alla presenza di Dio. Egli sembra rifugiarsi nella metafisica, quale termine ultimo del suo pensiero, quasi sicuramente negli anni tristi che seguirono il processo e l’abiura del maestro Galilei. Esiste certamente, in Nardi, la consapevolezza della vanità degli studi umani. Egli stesso ce ne parla nelle Scene: Chi la felicità ripone nelle nostre scienze la ripone in ombra, che con la magnifica apparenza ci gonfia vanamente. In esse un gran frutto trovo, ed è il fuggire l’occasioni del mal fare nell’impiegare il tempo, e se di più questi studi si indirizzino a quel fine per cui noi, e loro siamo fatti, non ci è cosa più degna di huomo. 1
Gli studi umani riguardano dunque le ‘ombre’ e le ‘magnifiche apparenze’ delle cose, solo la prima filosofia pone all’attenzione dell’uomo e del filosofo «massime indubitate, definizioni aperte e divisioni generali»; solo la metafisica conduce al vero e a proposizioni universali. Alcuni scambiano questioni fisiche con materie di ordine metafisico; Nardi intende sfuggire questi pericoli mantenendo la dignità di scienza alla metafisica e pur tuttavia può apparire, il suo, un abile quanto riuscito tentativo di simulare una visione più ortodossa del mondo e della realtà, e di rinnegare una concezione materialistica e meccanicistica, dove al Caos democriteo, egli aveva sostituito prudentemente «la Fortuna, o meglio la Provvidenza». Non abbiamo la pretesa di aver chiarito tutti gli intricati percorsi del pensiero di Nardi, ma è questo un tentativo di lettura che sottolinea, all’interno dell’opera nardiana, non tanto la sua intrinseca originalità quanto la sistematica aspirazione del suo autore a dipingere un gigantesco affresco epistemologico che sia ‘clavis naturae’ e al tempo stesso ‘ricettacolo’ di un sapere sedimentato ma aperto al rinnovamento. 1
[BNF GAL. 130 FI AL.], Scena III, Veduta V, Vanità degli studij humani, cc. 199 v. -200 r.
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Avvertenza Le fonti riguardanti Nardi possono essere distinte in quattro grandi aree di provenienza: · le · le · le · le
fonti manoscritte aretine, contraddiste dalla sigla AR; fonti manoscritte fiorentine, contraddistinte dalla sigla FI; fonti manoscritte romane, contraddistinte dalla sigla RM; opere a stampa o saggi, contraddistinte dalla sigla ST.
All’interno delle fonti manoscritte dobbiamo distinguere: · quelle che costituiscono copie autografe delle opere di Nardi (che indicheremo con D); · trascrizioni anonime delle opere di Nardi (che indicheremo con A); · trascrizioni per mano di altri autori noti o in parte autografe, (che indicheremo con AL.); · opere manoscritte che trattano di Nardi e delle sue opere in citazione o per esteso (e le indicheremo con I). Biblioteche di provenienza: [BNF] Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze [BNR] Biblioteca Nazionale Centrale di Roma [BML] Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze [BMF] Biblioteca Marucelliana di Firenze [AFLA] Archivio della Fraternita del Laici, Arezzo. [ASA] Archivio di Stato di Arezzo [AVA] Archivio Vescovile di Arezzo. [BCA] Biblioteca Città di Arezzo. [BCS] Biblioteca comunale di Castiglion Fiorentino (Arezzo) Bibliografia critica nardiana Opere manoscritte [BNF GAL. 130 FI AL] Ms. Galileiano 130 della Biblioteca Nazionale di Firenze; [BNR 547 RM A] Ms. 547 della Biblioteca Nazionale di Roma; [BML REDI 185 FI D] Ms. Redi 185 della Biblioteca Laurenziana di Firenze; [BML ASH. 1204 FI A] Ms. Ashburnamiano 1204 della Biblioteca Laurenziana di Firenze; [BMF REDI 45 FI D] Ms. Redi 45 della Biblioteca Marucelliana di Firenze; [BMF REDI 46 FI D] Ms. Redi 46 della Biblioteca Marucelliana di Firenze; [BMF REDI 47 FI A] Ms. Redi 47 della Biblioteca Marucelliana di Firenze; [BMF REDI 68 FI A] Ms. Redi 68 della Biblioteca Marucelliana di Firenze.
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Documenti [AFLA 826 AR] Vacchetta dei Battezzati in Pieve n. 826, 1594 Set 3 - 1600 Mar 17. Reg. cartaceo, Segnatura antica n. 11, Archivio della Fraternità del Laici, Arezzo; [ASA LIB. O. AR] Libro d’Oro, Patrizi, I, Archivio di Stato di Arezzo, Comune di Arezzo; [ASA LIB. E. AR] Libro dell’età dei cittadini, I, Archivio di Stato di Arezzo, Comune di Arezzo; [AVA REG. O. AR] Registro delle Ordinazioni n 1 (dal 1616 al 1640), Archivio Vescovile di Arezzo; [BCA 100 AR I] Ms. 100, Biblioteca Città di Arezzo; [BCA 299 AR I] Ms 299, Biblioteca Città di Arezzo; [BCA 269 AR D] Ms 269, Biblioteca Città di Arezzo; [BCA 266 AR I] Ms 266, Biblioteca Città di Arezzo; [BCA 55 AR I] Ms 55, Biblioteca Città di Arezzo; [BCA 468 AR I] Ms 468, Biblioteca Città di Arezzo; [BCA 27 AR I] Ms 27, Fondo della Fraternità di Santa Maria della Misericordia detta dei Laici, Biblioteca Città di Arezzo; [BCS 358 AR I] Ms. 358, Fondo Ghizzi, Biblioteca Comunale di Castiglion Fiorentino, Arezzo. Opere a stampa Opere antiche [ANG. ST.] G. A. Angelucci, Stanze con documenti e note a illustrazione della città degli uomini di Arezzo, co’ caratteri di Didot, Pisa, 1816; [FAB. ST.] A. Fabroni, Vitae Italorum doctrina excellentium qui saeculi XVII et XVIII floruerunt, excudebat Carolus Ginesius, Pisis, Vol. I, 1778 [Vita di Torricelli]; [BCA. Op. 438] S. Belforte, I Nardi del Casentino, Biblioteca Città di Arezzo, Antico Opuscolo, n. 438; [MAS. AR. I.] F. A. Massetani, Dizionario Bibliografico degli Aretini ricordevoli nelle lettere, scienze, arti, armi e religioni, dattiloscritto della Biblioteca Città di Arezzo, Arezzo, (1936-1942). Studi su Nardi [BRIS. ST.] A. Brissoni, A. Nardi e Democrito: un pretesto per parlar di Galileo, «La Critica politica», Firenze, 1990. [CAP. ST.] G. Capone-Braga, Un filosofo dell’estremo rinascimento: Antonio Nardi, «Atti e Memorie della R. Accademia Petrarca di Scienze Lettere ed Arti in Arezzo», Nuova serie,- Vol. V, 1925. [CHEC. ST.] M. Checchi, Scienziati della provincia di Arezzo della cerchia galileiana - Antonio Nardi, «Notiziario Turistico», a cura dell’E.P.T. di Arezzo, Anno X, n.114, dic. 1985. [DEV. ST.] S. Devoti, Aspetti scientifico-matematici del pensiero di Antonio Nardi, in Per una storia critica della scienza (a cura di M. Beretta, F. Mondella, M. T. Monti), «Quaderni di acme», n. 26, Bologna, Cisalpino, 1996.
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e
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Abstract The article reconstructs the figure of Antonio Nardi, a disciple of Galilei. Born in Arezzo in 1598, Antonio Nardi obtained his degree in Pisa in 1621 and, in 1635, he was in Rome at Cardinal Giovanni Francesco Guidi di Bagno’s court. In the same period he established a relationship with Galilei and he began to compose his work Scene academiche, which is the subject of this essay. His work represents an interesting channel of scientific spreading in which the matter, sometimes clearly linked to the Galileian thought, is intersected to literary curiosities, philosophical and theological speeches. From the argomentative nucleus of Ricercate geometriche sopra Archimede, which constitutes a very interesting commentary to the work of the great Siracusan man, Scene become larger, dealing with natural philosophy and life sciences as far as exposing theological and philosophical theses that are the background of a physical atomistic system.
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Philippos Fournarakis · Jean Christianidis* GREEK GEOMETRICAL ANALYSIS : A NEW INTERPRETATION THROUGH THE “GIVENS”-TERMINOLOGY
G eometrical analysis is one of the most interesting research topics
in the history of Greek mathematics. It was invented and used for finding solutions to difficult geometrical problems. 1 Its effectiveness was generally acceptable by the mathematicians of antiquity, and its use by Euclid, Archimedes, Apollonius and Pappus seems to have been more or less consistent. However, a number of questions concerning the logical structure of analysis, its meaning, the way it functioned and the tools it used (e.g. “givens”), arises from the extant theoretical descriptions and commentaries by the ancient writers. As result of the decay of Greek mathematics and the break of the corresponding oral tradition, more significant questions emerged among the posteriors, concerning mainly the function and the heuristic value of analysis. Historians and philosophers of science are still trying to come up with persuasive answers to these questions. Indeed, Greek geometrical analysis is an issue that borders on philosophy and history of science and for this reason it has been the subject of research for scholars from both fields.2 Most research efforts made by mathematicians, philosophers, and historians of science, who have dealt with geometrical analysis in the course of time, have been focused on the well-known passage from the introduction of the seventh book of Pappus Collection, which according to T.L. Heath is “the most elaborate Greek utterance on the subject” [Heath 1921, 400]. The importance of this passage to the comprehension * Philippos Fournarakis: Department of Philosophy and History of Science, University of Athens, University Campus, GR-157 71 Athens, Greece. E-mail: ff[email protected] Jean Christianidis: Department of Philosophy and History of Science, University of Athens, University Campus, GR-157 71 Athens, Greece. E-mail: [email protected] 1 Modern scholars arguably maintain that Greeks used analysis mainly for solving problems. As W. R. Knorr points out “the method of analysis, the method par excellence of problem solving, is transferred to theorems through the artificial ploy of ‘theoretic analysis’.” [Knorr 1986, 358360] In this paper we only examine the problematic analysis, which is the only one that functions with the “givens”-terminology. 2 Quite a lot of work has been done on analysis and synthesis by many scholars, e.g. [Hankel 1874], [Zeuthen 1902], [Heath 1921; 1926], [Cornford 1932], [Robinson 1936], [Cherniss 1951], [Gulley 1958], [Mahoney 1968], [Hintikka and Remes 1974; 1976], [Szabó 1974], [Knorr 1986], Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche · Vol. XXVI · (2006) · Fasc. 1
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of the function of the ancients’ geometrical analysis is today generally accepted, although the internal coherence and the authenticity of Pappus’ text have been brought into question. For example, according to M. S. Mahoney, Pappus’ passage “is fraught with difficulties” [Mahoney 1968, 322] and in order to function, lines 10-18, which contain the second “definition” of analysis, must be removed “as containing an interpolation” [Mahoney 1968, 325]. In the course of time, many questions were formulated concerning geometrical analysis in general and Pappus’ text specifically. Some of them are the following: Does Pappus’ text contain one or more strict definitions of geometrical analysis? Or does it just contain mere descriptions of it? Do these “definitions” conform to each other or are they opposed to each other? Is the theoretical description of geometrical analysis in accordance with the way that Pappus himself uses it in practice? Does geometrical analysis have a direction and if yes, what is it? Is synthesis the opposite of analysis? What is the structure of the analytical method and how does it function in practice? What is the meaning, for Greek mathematicians, of the terms “dothen” and “dedomenon” that are used exclusively in the second part (“resolution”) of geometrical analysis? Why is the second part of analysis necessary? Is analysis only problematic or does theore(ma)tic analysis exist as well? What is the heuristic value of this method and how great was its importance for Greek mathematics? If its importance was indeed substantial, then why is it preserved in such a small number of texts? Is it true that in order to boost their importance as mathematicians, the ancients attempted to withhold the analytical method from their posteriors, as Descartes and other mathematicians of the early modern era alleged? The answers provided in the course of time, are often contradictory and incomplete, as many contemporary researchers admit.1 Many other questions concerning geometrical analysis could be added to the above; however the aim of this paper is not to register all the questions but to try answering some of them, with respect to the texts, the relevant mathematical practice, and the cultural and intellectual environment within which the texts were produced. Firstly, the authors try to answer the complex question of, what the “resolution” part of analysis is, how it functions, what is its necessity and what the termi[Karasmanis 1987], [Rashed 1991a; 1991b; 1993], [Behboud 1994], [Otte and Panza 1997], [Berggren and Van Brummelen 2000], [Netz 2000]. 1 Thus Hintikka and Remes confess: “Our interpretation … just cannot be the whole story” [Hintikka and Remes 1974, 17]; in the same spirit Behboud writes: “The concluding section … as I hope will be of help for a future explanation of the heuristic success of the method of analysis and synthesis in Greek geometry” [Behboud 1994, 53].
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nology “dothen-dedomenon” means? The elements, which come up in the process of answering, facilitate the emergence of a new interpretation of the geometrical analysis of ancient Greeks. This interpretation is then further developed and the way analysis functions in practice is presented through an often-used example taken from Pappus. 1. The “resolution” and the “givens” - terminology Although the second part of geometrical analysis – named “resolution” by Hankel [Hankel 1874, 137-150] – is an essential component to its function, it causes significant difficulties in comprehending the method. Indicative of these difficulties is the fact that Hintikka and Remes dedicate to “resolution” one fifth of their study [Hintikka and Remes 1974] to conclude, in chapter VI, titled “The problem of the ‘Resolution’”: It may be time to sum up what we want to say – at least tentatively – of the nature of ‘resolution’. … It was surmised that the second task ((2) the independence of the auxiliary constructions of what has to be established (i.e. of the zetoumenon)) is what motivates the presence of ‘resolution’ in an analytical proof system. Even though our sample ‘resolution’ shows that (2) is indeed what a ‘resolution’ accomplishes, it is clear that this cannot be the whole story. … It is an ironical an instructive fact that it was in connection with this purest form of analytical procedure [the ‘resolution’] that the difference of analysis and synthesis and the direction of an analytical procedure became especially unclear [Hintikka and Remes 1974, 66-67]. (Our emphasis)
The main feature of the “resolution” part of analysis is the use of the terms “dothen”-“dedomenon”. These terms are also found in Euclid’s Data (first in the order book of analysis, according to Pappus), which besides being his least widespread work, it also presents significant difficulties in its comprehension. Therefore, in order to comprehend the role and the function of the “resolution” part of analysis it is necessary to clarify the meaning and the function of these two terms. 1. 1. The discrimination between “dothen” and “dedomenon” from the linguistic point of view The comprehension of the terms “dothen”-“dedomenon” has been causing problems since antiquity, as can be inferred from the commentary of Marinus the Philosopher (5th century A.D.) on Euclid’s Data. It is worth mentioning, at this point, that modern historical research has time and again underestimated Marinus’ text. Modern scholars refer partially to it, and they argue that the use of the term “dedomenon” by Marinus, does not contribute to its comprehension [Taisbak 1991; 2003], a claim that is not supported in the present paper. The main cause for this evaluation
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of Marinus’ text is in the authors’ view, the difficulty that contemporary scholars have in discriminating between the Greek terms “dothen” and “dedomenon”. That is to say, they try to comprehend Marinus’ text by interpreting the two terms as one: “datum” in Menge’s Latin rendering, “given” in English, “donnée” in French, “gegeben” in German. Both terms are derived from the Greek verb “didomi” but a different tense is used in each term: “dothen” is an aorist participle and “dedomenon” is a present perfect participle. According to the authors, this difference in the tense used, with a different “aspect verbal” for each tense, reveals the fact that the ancient Greeks discriminated between the functions of the two terms. 1 More specifically, the aorist expresses ingress to a new situation, momentarily, sharply and without duration, whereas the present perfect “leads” the object to its present situation, rendering greater importance to the previous action, the consequences of which, continue to influence the present. Although, the present perfect refers to the past, it has a distinct connection to the present, assigning a “definite” nature to the action. For example, the right question to a student who is being examined is: “Have you studied?” and not “Did you study?”, since the actual studying took place in the past but the result of this action influences the student’s present condition. As a consequence of this action, the student will succeed in or fail today’s examination. The present perfect means: past actions participate in the present. As explained further in this paper, this linguistic discrimination has philosophical extensions and entails limitations to the interpretation of the two terms as well as their function in Greek mathematics. 1. 2. The mathematical terms “dedomenon”-“dothen” and their connection with the philosophical terms “dynaton” - “endechomenon” The discrimination between “dedomenon” and “dothen” is textually and conceptually connected to the philosophical discrimination between “dynaton” and “endechomenon”, as it will become clear from the definitions of the two terms that have been preserved. The latter discrimination, assigns to the term “dothen” the character of not impossible and at the same time casual-contingent and to the term “dedomenon” the character of not impossible but under certain circumstances logically necessary. To begin with, let us examine how the two pairs of terms are connected in the texts. Euclid in his Data does not give a definition for “dedomenon”. But, when he defines the first two kinds of “dedomenon” he explic1 This view was first presented in the Conference on Ancient Mathematics, Delphi, July 2002 in P. Fournarakis: “Dothen = Dedomenon = Datum?”. 2 The English translation comes from [Taisbak 2003, 17].
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itly connects them with the concept “dynaton”. Indeed he says: 2 a. Given (dedomena) in magnitude is said of figures and lines and angles for which we can (dynametha) provide equals. b. A ratio is said to be given (dedosthai) for which we can (dynametha) provide the same. The only definition of “dedomenon” that has been preserved is Marinus’. According to this, “dedomenon” is the “porimon” as far as the oneword definitions are concerned, whereas for the complex definitions it is the “gnorimon” and at the same time “porimon” [Menge 1896, 250.57]. Marinus also defined the term “porimon”, as that which we are already “dynatoi poiēsai kai kataskeuasai” [Menge 1896, 240.9-10]. So, the common element in the above definitions of “dedomenon” and its kinds is the concept of “dynaton”. Marinus does not provide a definition for the term “dothen”, but he offers the following useful explanation of a “dotheisa” straight line: “ēlikēn an tis aforisē kai dō” 1 [Menge 1896, 236.4-6], connecting in this way “dothen” with the concept of “casual” (ēlikēn an). A definition of “dothen” is found in the seventh book of Pappus’ Collection: “if the established thing is dynaton and poriston, which is what mathematicians call dothen” [Jones 1986, 85.4-6]. According to this definition, mathematicians call “dothen” what is “dynaton” and “poriston”. Of the two terms, the term “poriston” is perhaps less comprehensible. At this point, Marinus’ help is valuable. He writes: “What is not yet in this condition (“en porō”), but it can be attained (“endechomenon poristhēnai”) they call it poriston, using this specific term” [Menge 1896, 240.24-26]. The correlation between “dothen” and “poriston” by Pappus and the correlation between “poriston” and “endechomenon” according to Marinus, lead to the correlation between “dothen” and “endechomenon”. Based on the above, it is obvious that in the ancient sources under study, the pair of concepts “dothen”“dedomenon” is connected to the pair of concepts “endechomenon”-“dynaton”. The discrimination between the terms “dynaton” and “endechomenon”, being an important philosophical discrimination, attracted the interest of historians of Greek philosophy, especially the Aristotelian scholars. The meanings of the two terms, as provided by Aristotle in Prior analytics 32a18 and Metaphysics 1047a24-26 are very much alike. Ross considers that Aristotle uses the same criterion for “dynaton” and “endechomenon” and points out that in many fragments of the Prior analytics and Posterior analytics the two terms are used as synonyms [Ross 1966, II, 245]. Ross 1
In Menge’s Latin translation: “quantameumque rectam quis determinat et dat”.
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uses the common term “possible” for these synonyms. Düring, on the other hand, commenting on the above fragments, claims that there is great difference between the two terms and that Aristotle insists on this discrimination.1 But the one who has extensively analysed the concept of “dynaton” [possible] in Aristotle is J. Hintikka in a series of papers included in his book Time and Necessity [Hintikka 1973]. In the second chapter of this book, under the characteristic title “Aristotle’s Different Possibilities”, a chapter that aims “to analyse his [Aristotle’s] notion of possibility”, Hintikka mentions that Aristotle had in mind two concepts for the term “possibility”: 2 “possibility proper” and “contingency”. The two concepts differ in the following way: in “possibility proper” the range of possibility comprises everything that is necessary, while in “contingency” possibility and necessity are incompatible. “Possibility proper” is based on the perception that the concepts of possible and impossible are complementary to each other. Consequently, the concept of necessary cannot be included in impossible but only in possible. On the contrary, “contingency” is based on the perception that the concepts of necessary, possible and impossible are complementary to one another. According to this concept of possibility, which is derived from everyday language, something that is possible is not necessary. Now, the connection of the concept of possibility with geometry is confirmed, as Hintikka [1973, 57] remarks, from passage ∆ 12, 1019b3034 of Aristotle’s Metaphysics: “In one sense, then, the possible, as stated, signifies what is not of necessity a falsehood; in another what is true; and in another what admits of being true. A capacity [dynamis] in geometry is so called by transference” [Aristotle, 1971] The concept of “dynaton”, that is used in geometry, is the one that Hintikka names “possibility proper” and is explained in the following diagram: [ [
necessary
possible ] [ contingent
][ ]
impossible
]
It can therefore be understood that the terms “dothen” and “dedomenon” can function in geometrical analysis, only if “dynaton” is perceived as “possibility proper”: the term “dedomenon” corresponds to “neces1 «Der Unterschied zwischen to endechomenon und to dynaton ist wichtig. Nach An. Pr. I 13, 32a18 bedeutet to endechomenon das kontigente, das, was weder notwendig noch unmöglich, oder das, was sowohl positiv wie negativ möglich ist. Nach Theta 3, 1047a24-26 ist to dynaton das indifferent mögliche, d. h. das, was nicht unmöglich ist, wohl aber unter Umständen notwendig sein kann. Im Prinzip hält Aristoteles an dieser Unterscheidung fest» [Düring 1966, 2 “The two notions of possibility”, as Hintikka says. 618, note 204].
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sary”, whereas the term “dothen” to “contingent”. Indeed, as far as the definition of “dothen” is concerned, (dothen = dynaton and poriston, according to Pappus), the terms “dynaton” and “poriston” cannot both refer to the same characteristic of possibility, namely the casual-contingent, as it would result from the version of possibility as “contingency”. In contrast, if possibility is perceived as “possibility proper”, then the term “poriston” (meaning “endechomenon poristhēnai”) specifies the concept of “dynaton”, making the definition functional. 1 Secondly, as far as the definition of “dedomenon” is concerned (dedomenon = porimon = which we are already dynatoi poiēsai and kataskeuasai, according to Marinus) the “already dynatoi” cannot be otherwise perceived but as “not impossible and also necessary, under certain circumstances”. 2 To summarise, the authors of this paper hold that in order to characterize something as “dedomenon” it needs to be the result of a valid syllogism. In other words, “dedomenon” is the outcome of a syllogism that was developed with a series of “dothen”. Here, in our opinion, the essence of the discrimination between the mathematical contexts of the two terms is found, and if the ancient authors used in practice these terms with consistency, the discrimination should be constantly apparent. As far as Euclid is concerned, this discrimination is confirmed in about one third of the propositions of Data. More specifically, in propositions 9, 17-18, 35-38, 3 39-47, 52, in the second case of the proposition 54, 55, 61-62, 64-65, 67, 74, 78, 80, and 82-83, the apodictic syllogism develops almost exclusively with “dothen” and the outcome is always “dedomenon”. The apodictic syllogism of proposition 9 of Data is quoted as an example: “For, since the ratio A: B is given (“dotheis”), and the ratio A: ∆ is given, therefore the ratio ∆ : B is given (“dotheis”). But the ratio B: E is given (“dotheis”); Therefore the ratio ∆ : E is given (“dotheis”). Again, since the ratio B: Γ is given (“dotheis”), and the ratio B: E is given (“dotheis”); therefore the ratio E: Γ is given (“dotheis”). But the ratio Γ : Z is given (“dotheis”); therefore the ratio E: Z is given (“dotheis”); therefore ∆, E, Z have a given (“dedomenon”) ratio to one another”. 4
In this example, after a sequence of intermediate syllogisms, all of which are developed with “dothen” ratios, Euclid arrives to a conclusion that is characterized as “dedomenon”. It should be noted that in some of the 1 For example, “dothen” is a triangle, the “choice” of which is not impossible (neither causes something impossible) while at the same time it has a casual-contingent character. 2 According to Aristotle’s On interpretation “dynaton einai oti çdç esti kat’ energeia o legetai dynaton” (XIII, 23a10-11), and “tô ex anankçs onti epetai to dynasthai einai” (XIII, 23a17-18). 3 In these four propositions the outcome “dedomenon” is not mentioned but implied. 4 The English translation of the proposition is based on [Taisbak 2003, 54].
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aforementioned propositions (17-18, 35-47, 61-62, 64-65, 67, 80) the sequence “dothen … dothen … dothen, hence dedomenon” also appears in the intermediate syllogisms. In addition, there are 15 more propositions (48, 54, 57-58, 66, 69-70, 73, 75-76, 84-88) in which the sequence “dothen … dothen … dothen, hence dedomenon” appears only in the intermediate syllogisms. An example of this, is the following intermediate syllogism, which is included in the proof of proposition 40: «…therefore each of [the lines] ∆Ζ, ∆Ε, ΕΖ is given (“dotheisa”) in position and in magnitude; therefore [the triangle] ∆ΖΕ is given (“dedotai”) in form». All the above propositions confirm our claim that “dedomenon” is the outcome of a syllogism, which is developed using “dothen” as tools. The proofs of those propositions are constituted of syllogistic chains which have the form “dothen … dothen … dothen, hence dedomenon”. Euclid – at least in these propositions – follows this practice consistently. However, it should be mentioned that this practice does not appear in its clear form in the total of the extant texts of geometrical analysis. Thus, in a large category of propositions in Data, the proofs are developed with “dothen” and result in “dothen”.1 This means Euclid does not consistently follow our above claim that the result of a syllogism developed with “dothen” should result in “dedomenon”. This could perhaps be explained if we take into consideration that Euclid uses the term “dothen” in two ways: 1) First, the tem is used to state the beginning of a (hypothetical) apodictic chain; according to our analysis, this is a consistent use of the term: not impossible and at the same time casual. 2) Secondly, the term “dothen” is used to state the outcome of almost every intermediate single part of the (hypothetical) apodictic chain and, in many cases, to state also the result of the entire (hypothetical) apodictic chain. It is supported in the present work that the term “dothen”, in the second case, substitutes the term “dedomenon” (not impossible but necessary under certain circumstances). This is obvious in those propositions of Data where the proofs conclude with the sought as “dothen”, although in the enunciations it is clearly asked to prove that it is “dedomenon”. Thus the term “dothen” in the end of these propositions is used clearly as a substitute for the term “dedomenon”; otherwise Euclid wouldn’t consider these proofs completed. Our claim is justified if we take into consideration that both the intermediate single steps of such an apodictic syllogism and the entire syllogism have “hypothetical ne1 There is also a very small category of propositions in Data, where the term “dedomenon” is exclusively used in their proofs.
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cessity”, that is if the preconditions stand the outcome stands too. In this sense, “dothen” must be understood as a substitute for “dedomenon”. The same practice is also applied to a great extend in the extant texts of geometrical analysis, as we will see from Pappus’ example, which is analyzed in the second part of this article. From the aforementioned we infer that the discrimination between the terms “dothen” and “dedomenon” is not linguistic only but it has a mathematical content, and reveals the different logical status of the two terms. 1 The first term means the casual-contingent used (as a tool) in a syllogism, whereas the second one means the necessary, which arises as a result of a syllogism. The difference in the logical status in the “givens”-terminology is also detected by W.R. Knorr, who points out that “the adoption of this [‘givens’] terminology is not merely a formalism; it serves a critical purpose by keeping separate two sets of terms having quite different logical status” [Knorr 1986, 110], and by A. Jones as well [Jones 1986, 552]. 1. 3. The terms “dothen”-“dedomenon” and the confirmatory character of the “resolution” part of analysis So far in this paper, the linguistic, philosophical, and mathematical discrimination of the terms “dothen” and “dedomenon”, which appear in the second part of analysis (“resolution”), was examined. However, in order to better understand the function of “resolution”, it is useful to also investigate the relation of this part of analysis with “noēsis”, the upper part of “noēton” according to Plato, and finally to consider the category of people that analysis concerns. Plato, Aristotle, Pappus, Marinus and the Arab mathematician Ibrahim ibn Sinan (9th century) all agree that analysis (transformation and resolution) is realised on the level of “noēsis” and concerns only the geometer-researcher. F.M. Cornford, who introduced the interpretation for “upward movement” in analysis with the help of intuition, argued among other things, two interesting points about geometrical analysis that have Plato’s Republic as starting point: a) Geometrical analysis is the dialectic research in the field of geometry, which is realised on the level of “noēsis”, the upper part of “noēton”; b) this research cannot be done by those who just work on or study geometry, like teachers and students, whose state of mind is called “dianoia”, but only by those who are capable of reaching 1 The use of “dothen” in some cases as substitute of “dedomenon” in the mathematical practice, although helped the miscomprehension and finally the conceptual identification of the two terms in the course of time, does not disprove the inherent discrimination between the two terms we established before.
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this state of mind called “noēsis” [Cornford 1932, 47-51]. In other words, geometrical analysis is limited to those who perform research using the dialectical method. Only after having specialised in geometry, they are capable of advancing their thought and revealing the truth beyond the hypotheses that others consider as foundations. Aristotle also connects “noēsis” with analysis (heuristic) in passage 1051a21-33 of Metaphysics: “Diagrams are discovered by actualisation (“eurisketai energeia”) […]. The reason is that the geometer’s thinking is an actuality (“aition … oti ē noēsis energeia”).” According to Ross’s commentary: “Geometrical constructions are discovered by an activity; […]. This activity is later described (l. 30) as noēsis […]. The geometer is dealing with figures which are ‘noēta’ (Ζ 1036a3), and his essential activity is noēsis” [Ross 1966, II, 269]. Pappus calls the result of analysis “katalēfthen” [Jones 1986, 83.19-20]. 1 He uses a term coming from Stoic terminology, and which refers to the noetic conception and elaboration that was accomplished. 2 Marinus particularly insists and points out the connection of the concept of “dedomenon” with geometer’s noetic activity. He also uses, 24 times actually, the Stoic term “katalēpsis”, in its various forms. So, in his commentary, he points out that all those who tried to give a definition of “dedomenon” have something in common: “They all begin from one and the same idea and notion; they all suppose dedomenon to be something that can be captured by noēsis (katalēpton)” [Menge 1896, 234.11-13]. Interestingly, Marinus uses the term “katalēpton” as the determinant criterion for an accurate definition of “dedomenon”. He also claims that “porimon” is the right and complete definition of “dedomenon”, because: “porimon above all, seems to reveal the noetic conception. Indeed, every porimon can be conceived by noēsis and only that” [Menge 1896, 250.19-21]. The connection of “dedomenon” with “noēsis” becomes obvious in an even more explicit way in Marinus’ definition for “porimon”: “porimon de estin, o dynatoi esmen ēdē poiēsai kai kataskeuasai, toutestin eis epinoian agagein” [Menge 1896, 240.9-10]. According to Stoic terminology “epinoia” is “enapokeimenē noēsis” [von Arnim 1921-1923, II, 29, note 89], which means noēsis that has already existed. Therefore, “dedomenon” (as “porimon”) is the result of noetic elaboration, which has provided logical validity to the syllogism. According to the aforementioned, analysis takes place in the level of “noēsis”. This claim provides the answer to the second question posed 1 The result of analysis (katalçfthen) is, according to the above, “dedomenon”. This view is also supported by Hintikka and Remes [Hintikka and Remes 1974, 77]. 2 See J. von Arnim (ed.), Stoicorum Veterum Fragmenta, vol II, p. 29, notes 90, 91, 93.
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before about the people that analysis concerns: analysis (transformation and resolution) concerns only geometers-researchers. Other scholars partly share this view, but they start from different points. For example, W. R. Knorr, evaluating Euclid’s Data, which actually contains 94 “resolutions”, writes: “… the appropriate measure of the geometric researches conducted by Euclid and his contemporaries is to be sought not in the Elements but in the Data and the lost Porisms and Conics” [Knorr 1986, 102], while later he notes: “Thus, far from being superfluous, Euclid’s Data accords formal recognition to the advanced stage of analytic researches at his time” [Knorr 1986, 110]. Berggren and Van Brummelen referring to Archimedes’ and Apollonius’ texts that contain analysis, note: “We have only the tentative observation to make that analyses appear hardly ever in a teaching context, but only in the context of what one might call research treatises. Thus there are no analyses in the Elements” [Berggren and Van Brummelen 2000, 15-16]. Finally, it is worth mentioning that similar views about whom analysis concerns, are found in the work On analysis and synthesis written by the Arab mathematician Ibrahim ibn Sinan, who mentions: “Those who speak thus [that analysis and synthesis should be identical, except for the order of presentation] do not understand the method of analysis carried out by the geometers, nor the procedure adopted in their analyses: if it were the case [i.e., if they did understand], they should find no difference, but for the fact that geometers shorten analysis, because analysis is not the way to fulfil the questioner’s purpose, but a method by means of which the geometers trap the things searched for, for their own, while in the course of synthesis they go through with an answer for the sake of which explanations are needed” [Berggren and Van Brummelen 2000, 21-22]. (Our emphasis) All the aforementioned claims about “resolution” and the connection of analysis with “noēsis” are enforced by the relationship that apparently exists between the terminology “dothen”-“dedomenon” of geometrical analysis and the expression “logon eautō didonai” (give an account to himself) of Plato’s dialectic in the Republic. 1 More specifically, the criterion, according to Plato, in order to characterise knowledge as dialectic or scientific, and respectively the one who produces it as a dialectician or a scientist, is to “dynatai ton logon didonai”. Liddell-Scott dictionary, among the other meanings under the entry of “logos”, mentions “the inward thought or reason itself” and quotes as example the expression “logon eautō didonai”, “to allow himself reflection, i.e. to think over a 1
See 510c6-d1, 531e4-5, 533c2-3, 534b3-5.
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thing”. Pro rata, as claimed before, the “resolution” in geometrical analysis aims to produce the “hypothetical necessity” of a syllogism, which means to render it valid [scientific] by reaching “dedomenon”“katalēfthen”. Thus, it can be concluded that the “logon didonai”, which is part of dialectical research, corresponds to “resolution”, the “downward movement” of geometrical analysis, which in this way, acquires a confirmatory character and is realised with the help of the “dothen”“dedomenon” terminology. 1 The correlation of analysis with the expression “logon didonai” is not made here for the first time. It was also made by Albinus, a Platonist of the 2nd century, in a fragment of his Didaskalikos (V 6.1-6), several points of which, bring to mind Pappus’ text about geometrical analysis: Analysis by hypothesis is as follows … The investigator assumes something. Then he tries to find something, which goes together with (akolouthei) the assumed thing and after that, whether he can give an account (logon apodidonai) of the thing assumed (hypotheseos). Then, making another hypothesis, he investigates whether the first hypothesis is in turn connected (akolouthon) with the other one. He repeats this until he comes to a starting-point, which is not hypothetical (archen anypotheton). 2
Furthermore, something that enforces our view on the “confirmatory” character and “downward movement” of the “resolution” part of geometrical analysis is its correspondence to the “downward movement” of dialectical research, according to Plato’s Republic (511b3-c2). Plato describes in a rather concise way how this movement functions in Republic 533c7-d1: “The dialectical method proceeds in this way, destroying the hypotheses, […] in order to obtain confirmation.” What is “destroyed” by the dialectical method are not the hypotheses themselves, that is to say their correctness, but their hypothetical character, 3 in order to obtain “confirmatory” character. If the geometer does not manage to give “confirmatory” character to the hypotheses – which means to reach “beyond” them in order to arrive to them again by deduction, thus rendering them logically valid –, he has not succeeded in his work; he isn’t “capable giving account of the hypotheses”, and so they don’t have any scientific value. However, if the geometer completes his task, destroying the hypothetical character of the “hypotheses” so that they become confirmations – and this happens not only by 1 W. R. Knorr, seeking the origin and the explanation of “givens” terminology, says something similar: “One should not rule out the possibility that geometry and dialectic interacted in the development of this usage, at a time when both fields were seeking to formalize the elements of research” [Knorr 1986, 111]. 2 The translation of the fragment in English comes from [Hintikka and Remes 1974, 90]. 3 See [Cornford 1932, 177, 182] and [Karasmanis 1987, 226-228].
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discovering the upward movement but by having completed in his “nous” the downward, “confirmative” movement as well – then, the geometer can be characterised as “capable giving account of them” and his theses become scientific. This conversion of a hypothesis to a confirmation takes place in the second part of geometrical analysis, henceforth called the “confirmatory”. 21 To recapitulate: The “downward movement” of dialectical research in mathematics is revealed through the “confirmatory” part of analysis. The connection between “logon didonai” and the terminology “dothen”“dedomenon” is now direct. The geometer-researcher calls “dedomenon” an idea that he “is capable giving account of”, which means not only an idea conceived with the help of “noēsis” but one that has been elaborated and produced as the result of valid syllogism. The above analysis enables us to answer the complex question posed in the beginning, namely, what is “resolution” and how it functions. “Resolution” is the process of validating a syllogism; the process is performed in the level of “noēsis” through deductions by the geometerresearcher. The character of “resolution” is confirmatory and it functions as deduction, in contrast to the hypothetical character of “transformation”, the first part of analysis, which functions as “reduction”, in other words, as search for preconditions. The “confirmatory” part of analysis is necessary to the researcher in order to see for himself if the noetic course of the “hypothetical” part, if put in the reverse order, constitutes a deduction that can solve the problem. The terminology “dothen”-“dedomenon” that is exclusively used in “resolution” discloses the researcher’s noetic process, which “gives account of” the hypotheses, in other words destroys their hypothetical character and converts them into confirmations. For that reason, the “dothen”-“dedomenon” terminology appears only in research texts like the ones of analysis. Hence Euclid’s Data can be considered as a collection of “downward movements” of “noēsis” that can be used as tools for future analyses by researchers and not by those who just work on or study geometry. 2. A new interpretation of geometrical analysis On the basis of the aforementioned discussion a new interpretation of geometrical analysis is presented in the following. However, before 1 Many scholars place the “downward movement” of geometrical analysis in “synthesis.” In our opinion this cannot happen, because “synthesis” is realised at the level of “dianoia,” a state reached by everybody who is involved with geometry and not only by geometers-researchers, to whom Plato refers in the fragments of Republic mentioned above.
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presenting the new interpretation, a brief description of the existing interpretations will be useful at this point. Despite the great number of questions concerning geometrical analysis, that have been mentioned in the beginning of this paper, the interpretations for geometrical analysis which exist up to the present are grouped in two basic ones. The first is the classic interpretation that considers analysis as the deductive procedure that starts from what one is seeking and through its consequences reaches something that is admittedly true. Then, the last step of analysis becomes the first step of synthesis, which – also deductively – in reversed order proves the sought. According to this interpretation “the chain of inferences should be unconditionally convertible” [Heath 1926, I, 139-141]. This interpretation is supported, among others, by Hankel, Zeuthen, Heath, Robinson, Cherniss, and Mahoney. According to the second basic interpretation, introduced by Cornford, analysis is not a deductive logical procedure but an intuitive one of searching preconditions (“upward movement of intuition” [Cornford 1932, 43]). This interpretation is partly supported by Hintikka and Remes; but they also admit that, “Our interpretation of Pappian analysis as an upward movement … just cannot be the whole story” [Hintikka and Remes 1974, 17] and furthermore they continue: “The idea that analysis can, after all, proceed downwards thus must be countenanced” [Hintikka and Remes 1974, 36]. It is worth mentioning that the supporters of both interpretations derive their arguments mainly from Pappus’ text. More specifically, the first interpretation is based on passages 83.11-13 and 83.24 – 85.10, which concur with each other and with the definition of the anonymous commentator of the 13th book of Euclid’s Elements. The second interpretation is mainly based on passage 83.13-18. 1 N. Gulley, in an effort to compromise the two contradictory interpretations, claimed that Pappus “though apparently presenting a single method with a single set of rules, is really repeating two different accounts of geometrical analysis, corresponding to two different forms of the method, and is assuming the equivalence of (I) and (II) for all cases of analysis, overlooking the inconsistencies involved in this assumption” [Gulley 1958, 4]. W. R. Knorr considers that, part of Pappus’ theoretical description is derived from anterior sources, while another part belongs to Pappus himself, but his theoretical description as a whole is influenced by his philosophical commitments. So it is possible that his theoretical descrip1
The references are made according to Jones’ edition of the seventh book of the Collection.
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tion contains not only elements that contradict one another but also elements, which are not compatible with his practice. Consequently, Knorr suggests that we should focus more on Pappus’ mathematical practice rather than trying to extract the logical structure and direction of geometrical analysis from the introduction of the seventh book of Collection or from the fragments by various commentators [Knorr 1986, 339-370]. Sharing this view, Berggren and Van Brummelen agree with the interpretation of [Hintikka and Remes 1974] and focus on questions that concern the use of geometrical analysis in mathematical practice: “One must, on the evidence, accept the fact that both reduction (a search for preconditions) and deduction (a search for consequences) were regarded by ancient writers as being activities included under the rubric of ‘analysis’” [Berggren and Van Brummelen 2000, 9]. So, our interpretation of geometrical analysis, proposed here, is based on the elements that emerged from the previous discussion. First, the main axes of this new interpretation are concisely formulated and explained. Secondly, the way our interpretation functions in practice, is presented through a characteristic example from Pappus’ mathematical practice. In our view, analysis includes two parts: a) the “hypothetical” one, currently called “transformation”, which is a course of searching for preconditions (reduction), and b) the “confirmatory” one, which is a course of deductions, currently called “resolution”. The “hypothetical” part begins from what one is seeking as if it were established, and aims to reach something that is true independently from the sought. The geometer-researcher, through this part, aims to arrive to something from which he supposes that the sought can be produced. The “confirmatory” part aims to assure the geometer-researcher that those contained in the “hypothetical” part, if reversed, constitute a deduction, which can solve the problem. The two parts of analysis, the “hypothetical” and the “confirmatory,” take place at the upper level of “noēton”, the “noēsis” of the geometer-researcher, who is the only one capable of producing analysis. Completed analysis is useful only to other researchers or future researchers. The texts that contain analysis are research texts and are addressed to a limited public. This is the reason for their small number and distribution, despite the heuristic value of the method, and not some alleged tendency of the ancients to hide their methods. 1 Synthesis, that 1
See [Netz 2000] for a different approach.
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follows the successful analysis, is then presented in its full extent to others by the geometer. Synthesis occurs at “dianoia”, the second level of “noēton”, and from this point it can become the subject of learning and teaching. It concerns anybody who works on and functions at the level of “dianoia”. 2. 1. An example of geometrical analysis from Pappus In this section, proposition 105 1 of the seventh book of Pappus’ Collection is used as an example to make the proposed interpretation clearer and to show the way we believe analysis functioned in practice. This very example is often used by modern scholars of ancient geometrical analysis, and is considered one of the most characteristic samples. 2 Before we begin to present and discuss the example, a specific point should be clarified. This point concerns the relation of analysis – as it is discussed in the following, understood as the final written report of the course, through which the solution to the problem is found – to the analytical attempts, which the mathematician ventured in his effort to find the solution. The example under discussion is a written text, which, as all extant texts, concerns a successful course of analysis of a specific problem. The unsuccessful attempts that Pappus made, either in the intermediate steps or in the total of his effort, are not recorded and thus, it is not feasible to discuss them. What is recorded and finally delivered through the manuscript tradition is the formal presentation of a successful analytical course. Someone could reasonably support that the presentation of the successful analysis does not reveal the total of the heuristic attempts of the geometer-researcher but only a part of them. In addition, the analysis that is finally presented in an extant written text is not a real-time recording of the heuristic course that the researcher followed. Nevertheless, it is a faithful representation of the researcher’s noetic effort that includes the important turning points of the course followed, so it does have value for future researchers. As W.R. Knorr comments, the formal presentation of a successful analysis “would doubtless owe to the appropriateness of exposing learners to the use of this method in preparation for their own research efforts later” [Knorr 1986, 9]. After this digression, let us return to Pappus’ problem, which is the following: 1 This is the number of the proposition in the old edition [Hultsch 1876-1878]. In Jones’ edition the number is 167. See [Jones 1986, 236-237]. 2 Cf. [Hankel 1874, 141], [Heath 1926, I, 140-141], [Hintikka and Remes 1976, 256], [Ito 1980, 10], [Jones 1986, 237].
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Given (dothen) circle ΑΒΓ, and two points ∆, Ε given (dothen), to inflect a straight line ∆ΒΕ and, with it produced, to make ΑΓ parallel to ∆Ε.
Analysis : a) Hypothetical part: H.1 Let it be accomplished, H.2 and let ZA be drawn tangent. H.3 Then since ΑΓ is parallel to ∆Ε, angle Γ equals angle Γ∆Ε. H.4 But angle Γ equals angle ΖΑΕ, because (ZA) is tangent to, and (AΓ) cuts (the circle). H.5 And hence angle ΖΑΕ equals angle Γ∆Ε. H.6 Thus points Α, Β, ∆, Ζ are on a circle. H.7 Hence the rectangle contained by AE, EB equals the rectangle contained by ZE, E∆. b) Confirmatory part: C.1 But the rectangle contained by AE, EB is given (dothen) [in magnitude], C.2 because it equals the square of the tangent (from E to circle ΑΒΓ). C.3 Therefore the rectangle contained by ∆Ε, EZ is also given (dothen) [in magnitude]. C.4 And ∆Ε is given (dothen) [in magnitude and position] C.5 Hence EZ is given too (dothen) [in magnitude]. C.6 But it is also [dothen] in position;
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C.7 and E is given (dothen). C.8 Hence Z is given too (dothen). C.9 But from a given (dedomenon) point Z a straight line ZA has been drawn tangent to a circle ΑΒΓ given (dedomenon) in position. Hence ZA is given (dedotai) in position and magnitude. [Data 90] C.10 And Z is given (dothen) C.11 Therefore A is given (dothen) too. C.12 But E is given (dothen) too. C.13 Therefore AE is [dothen] in position. C.14 But the circle is [dothen] in position, too. C.15 Therefore point B is given (dothen). C.16 But each of ∆, Ε is given (dothen). C.17 Hence each of ∆Β, ΒΕ is given (dothen) in position. Synthesis : a) Construction: The synthesis of the problem will be made as follows. Let the circle be ΑΒΓ, and the given two points ∆, Ε, and let the rectangle contained by ∆Ε and some other (line) EZ be made equal to the square of the tangent (from E), and from Z let a straight line ZA be drawn tangent to circle ABΓ, and let AE be joined, and let ∆B be joined and produced to Γ, and let ΑΓ be joined. I say that ΑΓ is parallel to ∆Ε. b) Demonstration: For since the rectangle contained by ZE, Ε∆ equals the square of the tangent (from E), while the rectangle contained by AE, EB is also equal to the square of the tangent, therefore the rectangle contained by AE, EB equals the rectangle contained by ZE, Ε∆. Hence <points Α, Β, ∆, Ζ> are on a circle. angle ZAE <equals> angle Β∆Ε. But angle ZAE also equals angle ΑΓΒ in the alternate segment. Hence angle ΑΓΒ equals angle Β∆Ε. And they are alternate angles. Thus ΑΓ is parallel to 1 ∆Ε. The “upward movement,” that is the “hypothetical” part of analysis, starts with the assumption that the sought has been accomplished. It is a course of searching for preconditions, the steps of which are hypothetical, since they are all based on the initial assumption that the sought has been accomplished. These hypothetical steps are, at the same time, noetic leaps of the geometer that aim to discover the structure of the problem. However, finding one of these steps does not univocally and 1
The English translation of the problem is based on [Jones 1986, 236].
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surely lead to finding the next, but it demands the combination of factors such as mental ability, knowledge, experience and intuition of the geometer. If the aim of this hypothetical course, that is the finding of something that is true independently of the sought, is not accomplished through the specific mental route then, the geometer has failed in his analysis, and he should either modify it or follow a completely different course. In the above example, Pappus starts the “hypothetical” part of analysis with the assumption (H.1) that the sought has been accomplished. This means that point B is found on the circle, hence each one of ∆Β and ∆Ε is also found. The extensions of ∆Β and ∆Ε give points Γ and Α and the hypothesis that ΑΓ is parallel to ∆Ε stands. The next noetic leap (H.2) is the auxiliary construction of the tangent from Α, 1 which is useful in order to transfer angles. The transferring of angles (H.3-5) through the tangent and also the assumption that ΑΓ is parallel to ∆Ε, “lead” the geometer to the next noetic leap (H.6) which is the presumption of another circle, where the points Α, Β, ∆, Ζ are found. The metric relations on the new circle “lead” the geometer to the equality of the rectangles (H.7) rec. (AE, EB) = rec. (ZE, E∆), an assumption he considers adequate as the starting point for solving the problem. This relation signals the end of the “hypothetical” part of analysis but not the end of analysis in general. Even though, at this point, the researcher assumes that he has reached something that is true independently of the sought, he still cannot answer – not even to himself – whether his efforts were successful and what’s more, he is not yet able to teach or pass it on to others. This hypothetical-noetic course that the researcher created in his mind is not deductive reasoning, although the researcher assumes that it will evolve to a deduction, beginning with the idea that is true independently of the sought and ending with the sought itself. This is attempted in the next part of analysis, the “confirmatory” part. The “downward movement,” that is the deductive reasoning, which can lead to the sought, appears to function in the “confirmatory” part of analysis, although most scholars, up to the present day, claim that it appears in synthesis. With this part of analysis, the geometer aims to assure himself, that the noetic course of the “hypothetical” part, if put in the reverse order, constitutes a deduction, which can solve the problem. So, the “hypothetical” part is the noetic conception of the structure of the problem and involves the researcher’s intuition, while the “confirm1 An especially creative step that the geometer-researcher takes in order to discover the structure of the problem that has to do with the transferring of angles.
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atory” part is the noetic elaboration of the previous conceptions, in a course of valid deductions, and involves the researcher’s judgement. In this part of analysis, the first thing examined is whether the conclusion of the “hypothetical” part can be acquired (as an outcome of a valid syllogism). That is, whether can it be produced from the elements of the problem’s hypothesis, the known propositions and axioms. Then, in the same way, the validity of the other steps, and eventually of the whole syllogism, has to be examined as to whether or not it can produce the necessity of the sought. 1 In this sense, the confirmatory part of analysis does not concern concrete objects but “potential objects” that can be produced from the valid steps of the syllogism. 2 In order to reinforce the claim that the ancients indeed knew and used such syllogisms, that they present what we call “hypothetical necessity”, we quote the fragments 34a5-7 and 34a22-24 from Prior analytics, where Aristotle extends the range of “dynaton” in the field of true statements and predications: First, we have to point out that if from the presence of A the existence of B necessarily results, then the possibility of presence of A will necessarily infer the possibility of existence of B ... So, if, for example, someone implies, the preconditions with A and the conclusion with B, it can be concluded that first, if A is necessary then B is necessary as well, and moreover, if A is possible then B is also possible.
Pappus starts the “confirmatory” part of analysis with the expression (C.1) “dothen de” the rec. (AE, EB), and immediately after that, gives the account (logos) (C.2) why this rectangle is “dothen” [in magnitude]. The logos is that since a circle ΑΒΓ is “dothen”, and the points ∆ and Ε are also “dothen”, then the possibility of obtaining the tangent from E to the circle ΑΒΓ has hypothetical necessity (it is “dothen” in magnitude, Data 90). The hypothetical necessity of the magnitude of ΕΣ produces, in turn, the hypothetical necessity of the magnitude of sq. (ΕΣ) (“dothen” in magnitude, Data 52). The equality sq. (ΕΣ) = rec. (ΑΕ, ΕΒ) transfers this hypo1 According to Pappus’ theoretical description of problematical analysis “if the omologoumenon is dynaton and poriston, which is what the mathematicians call ‘dothen’, protathen will result to be dynaton as well” [Jones 1986, 85.5-7]. The “dynaton”, with the meaning of hypothetically necessary, according to our interpretation, will be infused to “protathen” in the whole of this noetic course. The “protathen”, in the problem discussed here, is the position of B on the circle, which in combination to the givens ∆ and E, will render given in position the ∆B and ∆E. This ought to be the conclusion of the second step (resolution) of problematical analysis. And it is indeed, as we ascertain, in this problem and in others, too. 2 J. Klein’s view is similar: “This ‘possible givenness’ appears in geometric analysis in the fact that the construction which is regarded as already effected … does not need to use the ‘given’ magnitudes as unequivocally determinate but only as having the character of being ‘given’” [Klein 1992, 164].
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thetical necessity of the magnitude of sq. (ΕΣ) to the rec. (ΑΕ, ΕΒ), which then becomes “dothen” as well (Def. 1). Therefore, the logos why the rec. (ΑΕ, ΕΒ) was characterised “dothen” [in magnitude] has eventually been given. The hypothetical necessity of the magnitude of rec. (ΑΕ, ΕΒ) is then transferred, through the equality of magnitudes rec. (ΑΕ, ΕΒ) = rec. (ΖΕ, Ε∆), to rec. (ΖΕ, Ε∆). So the logos (C.3) why the rec. (ΖΕ, Ε∆) was characterized “dothen” (in magnitude), has been given. But ∆Ε is also “dothen” [in magnitude] (C.4), because its ends are “dothen” from the problem (Data 26). Therefore, its magnitude presents hypothetical necessity, which in combination with the hypothetical necessity of the magnitude of rec. (ΖΕ, Ε∆), produces the hypothetical necessity of ΕΖ in magnitude (Data 57) and position. So, the logos (C.5) why ΕΖ is also “dothen” in magnitude and position (C.6) has been given. But Ε is “dothen” (C.7) in position from the problem, while the logos why the magnitude and position of ΕΖ are also “dothen”, has been given above. Hence, from Data 27 we have the logos why Ζ is “dothen” in position (C.8). 1 It follows (C.9) that hypothetical necessity of the position of “dedomenon” point Ζ, and the hypothetical necessity of the position of “dedomenon” (from the problem) circle ΑΒΓ, produces the hypothetical necessity (namely, it gives the logos) of the position and magnitude of “dedomenon” ΖΑ, according to Data 90, whose enunciation Pappus feels necessary to quote. Since the logos of the position and magnitude of ΑΖ has been given, and one of its ends, Ζ, is also “dothen” (C.10), Data 27 gives the logos why Α is “dothen” (C.11) in position. But E is also “dothen” from the problem (C.12) in position, therefore, ΑΕ is “dothen” (C.13) in position from Data 26, which means that its position is now hypothetically necessary. But the circle ΑΒΓ is also “dothen” (C.14) in position; therefore point 1 Note that point Z is here named “dothen”. Yet, point Z is an outcome of a valid syllogism and presents hypothetical necessity, as it can be seen from the previous analysis. Therefore, point Z has the character that we attributed to “dedomenon”. Consequently, what we have here is a case of using the term “dothen” as a substitute for the term “dedomenon”. Similar cases are often found in extant examples of geometrical analysis and in Euclid’s Data. As we have already remarked (see above, pp. 8-9), the term “dothen” is used, either to state the beginning of a hypothetical apodictic chain or as substitute for the term “dedomenon”. In this specific case, the term “dothen” is used in the second way and this can be confirmed from the fact that immediately after that, in C.9, Pappus calls point Z “dedomenon”. Obviously, he considers this right, because in fact, in C.9 he quotes unedited the enunciation of proposition 90 of Data, in which Euclid uses the term “dedomenon” exclusively. As we will see in the following, in C.10, Pappus uses again the characterization “dothen” for point Z, as with this begins a new stage of the hypothetical apodictic chain. This doesn’t mean that the two terms are tantamount.
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Β is “dothen” (C.15), since from Data 25 the logos for its position has been given. But both Ε and ∆ are also “dothen” (C.16) in position (from the problem), therefore, along with B, which is also “dothen” now, they produce ∆Ε and ∆Β with hypothetical necessity, that are also “dothen” (C.17) in position (Data 26). What was previously the beginning of the “hypothetical” part of analysis has now become the conclusion of the “confirmatory” part. This is the end of the “confirmatory” part of analysis, the aim of which was not to present the solution to the problem, since it neither realizes any construction, nor does it conclusively answer, in an obvious way, the last sought that ΑΓ is parallel to ∆Ε. This is answered in the “demonstration” part of synthesis, which aims to present the process to the others in full extend. The aim of the “confirmatory” part of analysis is, as mentioned before, to assure the geometer himself, to give himself the logos (logon eautō didonai), to find whether or not his assumptions acquire logical validity. If so, then he is in position to understand that every other detail can be proved. In the aforementioned example, the relation rec. (ΑΕ, ΕΒ) = rec. (ΖΕ, Ε∆) and the position of point Β (which now both present hypothetical necessity) are enough to assure the researcher that points Α, Β, ∆, Ζ are concyclic and consequently, after transferring the angles, the lines can be proved to be parallel. The researcher does not need to formulate the latter, or to check its validity in the “confirmatory” part of analysis, since he conceived it himself in the “hypothetical” part. He will only have to refer to it again when he will present it to others in its full extend.
Acknowledgment: The authors would like to express their gratitude to the referee for his insightful comments and suggestions. References Aristotle, 1971, Aristotle’s Metaphysics, Books Γ, ∆, Ε, translated with notes by C. Kirwan, Oxford, Clarendon Press, (Clarendon Aristotle Series). J. von Arnim, (ed.) 1921-1923, Stoicorum Veterum Fragmanta, 3 vols, Leipzig, Teubner. A. Behboud, 1994, Greek Geometrical Analysis, «Centaurus», 37, 52-86. J. L. Berggren, & G. van Brummelen, 2000, The Role and Development of Geometric Analysis and Synthesis in Ancient Greece and Medieval Islam in P. Suppes et al. (eds.), Ancient & Medieval Traditions in the Exact Sciences. Essays in Memory of Wilbur Knorr, Stanford, California, CSLI Publications, 1-31. H. Cherniss, 1951, Plato as Mathematician, «The Review of Metaphysics», 4, 395425.
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Abstract This paper consists of two parts. In the first part the linguistic, philosophical, and mathematical aspects of the terms ‘dothen’ and ‘dedomenon’, which appear in Greek mathematical texts related to the method of analysis, are discussed. It is argued that these terms, usually translated by the same word (‘given’), have a slightly different meaning: The term ‘dothen’ means the casually possible, and is used, as a rule, in the intermediate steps of a syllogism, while the term ‘dedomenon’ means the necessarily possible, which arises as a result of a syllogism. In the light of this discrimination, a new interpretation of Greek geometrical analysis is proposed in the second part. It is argued that the analytical part of the solution of a geometrical problem comprises two separate parts, named here ‘hypothetical’ and ‘confirmatory’. The ‘hypothetical’ part is an upward movement of searching for preconditions, while the ‘confirmatory’ part, which is developed with use of the terms ‘dothen’ and ‘dedomenon’, is a course of deductions, and is directed downwards. Finally, the new interpretation of analysis is illustrated through an example from Pappus’s mathematical practice.
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Elisabetta Ulivi * BETTINO DI SER ANTONIO, UN MAESTRO D’ABACO NEL CASTELLO DI ROMENA 1. Introduzione
L a zona di Pratovecchio in Casentino è notoriamente legata ad importanti vicende storiche ed a personaggi illustri, come gli artisti della famiglia Landino e Paolo Uccello. Poco conosciuto, per non dire ignoto, è invece il legame diretto o indiretto che ebbero con quei luoghi due degli abacisti attivi nella Firenze del Quattrocento e del primo Cinquecento. Uno fu Piermaria dei Bonini, famiglia che ebbe le sue radici a Castelcastagnaio; su di lui ci siamo ampiamente soffermati in un precedente lavoro. 1 L’altro fu il Maestro Bettino di Ser Antonio Da Romena, del quale abbiamo dato altrove solo pochi cenni, 2 una figura che merita ulteriori approfondimenti e considerazioni, e che non a caso Benedetto da Firenze, nella sua Praticha d’arismetrica, elenca tra i migliori maestri d’abaco della Firenze del Quattrocento. 3 La ricostruzione biografica che riportiamo fornisce notizie sia su Bettino che sulla sua famiglia, ed è basata su documenti quasi tutti inediti dell’Archivio di Stato, della Biblioteca Nazionale e dell’Archivio dell’Ospedale degli Innocenti di Firenze, inoltre dell’Archivio Storico Comunale di San Gimignano e dell’Archivio di Stato di Siena. Di questi documenti, i più significativi sono riportati nel corso dell’esposizione, altri sono trascritti in Appendice. 4 * Elisabetta Ulivi: Dipartimento di Matematica, Università di Firenze, Viale Morgagni 67/A, 50134 Firenze. E-mail: [email protected]fi.it 1 E. Ulivi, Raffaello Canacci, Piermaria Bonini e gli abacisti della famiglia Grassini, «Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche», XXIV, 2, 2004, pp. 148-157, 173-174, 205-211. 2 E. Ulivi, Mariano del M° Michele, un maestro d’abaco del XV secolo, «Nuncius, Annali di Storia della Scienza», XVI, 1, 2001, pp. 315, 344; E. Ulivi, Benedetto da Firenze (1429-1479), un maestro d’abaco del XV secolo. Con documenti inediti e con un’Appendice su abacisti e scuole d’abaco a Firenze nei secoli XIII-XVI, Pisa-Roma, 2002 (XXII, 1 del «Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche»), pp. 33, 42-43, 53, 86, 182-187, 197, 206-207; E. Ulivi, Scuole e maestri d’abaco in Italia tra Medioevo e Rinascimento, in Un ponte sul Mediterraneo. Leonardo Pisano, la scienza araba e la rinascita della matematica in Occidente, a cura di E. Giusti e con la collaborazione di R. Petti, Firenze, 2002, p. 145. E. Ulivi, Maestri e scuole d’abaco a Firenze: la ‘Bottega di Santa Trinita’, « Bollettino di Storia 3 Cfr. qui p. 82. delle Scienze Matematiche », XXIV, 1, 2004, pp. 61, 73. 4 Alla fine dell’Appendice abbiamo inserito anche la documentazione dell’Archivio di Stato Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche · Vol. XXVI · (2006) · Fasc. 1
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elisabetta ulivi 2. I Da Romena
La famiglia dei Da Romena, originaria dell’omonimo castello a due chilometri da Pratovecchio, fu suddivisa in diversi rami, ed è da annoverare tra le più illustri di Firenze e del relativo Contado. 1 Diversi membri di quella famiglia furono notai di prestigio e rivestirono importanti cariche pubbliche. Il Castello di Romena od Ormena, nome di origine etrusca, si ricorda come una delle roccheforti della Toscana più ricche di memorie storiche. Situata in una splendida posizione, la fortezza fu un tempo composta da quattordici torri e due cinta murarie, di cui restano attualmente due torri monche, parte del mastio e delle mura. Fino dall’XI secolo dominarono a Romena i Marchesi di Spoleto, ai quali successero i loro discendenti, i Conti Guidi di Modigliana. Verso il 1220, alla morte del Conte Guido Guerra, il castello passò con altri possedimenti attigui ad uno dei suoi cinque figli, Aghinolfo, che vi fissò la propria residenza dando origine al ramo detto dei Conti Guidi da Romena. Ben presto, altri castelli furono assoggettati alla crescente potenza dei Guidi, che Dante immortalò nel XXX canto dell’Inferno attraverso il racconto dell’incisore ebreo Maestro Adamo da Brescia, arso vivo nel 1281 per avere falsificato i fiorini della Repubblica fiorentina, proprio su istigazione degli avidi figli di Aghinolfo: «O voi che sanz’alcuna pena siete, e non so io perché, nel mondo gramo», diss’elli a noi, «guardate e attendete a la miseria del maestro Adamo; di Prato sull’attività didattica svolta a Prato da Lorenzo di Biagio, un maestro d’abaco legato a Bettino: per l’indicazione di tali documenti e per quelli sull’insegnamento di Bettino al di fuori di Firenze, si ringrazia Robert Black che ha svolto ed ha in corso importanti studi sulla scuola nel Medioevo e nel Rinascimento, in particolare di grammatica, in diverse località della Toscana. Nella trascrizione dei documenti abbiamo sciolto le abbreviazioni, introdotto accenti ed apostrofi, ricostruito la punteggiatura e l’uso delle maiuscole; in parentesi quadre abbiamo aggiunto le date talvolta mancanti, e lettere o parole utili alla comprensione del testo. Nei documenti riportati parzialmente i tre puntini di sospensione stanno ad indicare brani da noi omessi nella trascrizione. Tre puntini in parentesi quadre indicano un passo illeggibile. Tre spazi vuoti tra parentesi quadre corrispondono ad una lacuna nel documento. Ricordiamo che l’anno fiorentino iniziava il 25 marzo. Nel fare riferimento ai singoli documenti, abbiamo sempre seguito la datazione moderna, mantenendo quella originale solo all’interno dei documenti stessi. Un doveroso ringraziamento va a Gino Corti per la sua collaborazione nel lavoro di trascrizione. 1 ASF, Raccolta Sebregondi 4535, 4536, 4537. BNF, Passerini 191; Poligrafo Gargani 1716, 1719, 1721; Alfredo Cirri, Necrologio fiorentino, XVI, pp. 37-39.
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io ebbi, vivo, assai di quel ch’io volli, a ora, lasso!, un gocciol d’acqua bramo. Li ruscelletti che d’i verdi colli del Casentin discendon giuso in Arno, faccendo i lor canali freddi e molli, sempre mi stanno innanzi, e non indarno, ché l’imagine lor vie più m’asciuga che ‘l male ond’io nel volto mi discarno. La rigida giustizia che mi fruga tragge cagion del loco ov’io peccai a metter più li miei sospiri in fuga. Ivi è Romena, là dov’io falsai la lega suggellata del Batista; per ch’io il corpo sù arso lasciai. Ma s’io vedessi qui l’anima trista di Guido o d’Alessandro o di lor frate, per Fonte Branda non darei la vista. ........................................................... »
Lo stesso Dante sembra sia stato ospite di Romena durante il periodo del suo esilio, e si dice che proprio lì, dalla torre chiamata delle Prigioni dove ai vari piani venivano inflitte pene diverse e sempre più pesanti dall’alto al basso, il poeta abbia preso ispirazione per l’architettura a gironi del suo Inferno. 1 Con il declinare del XIII secolo, il Castello di Romena vide lentamente diminuire la propria potenza, minata anche dalle dispute sorte tra i membri della famiglia Guidi. Dopo lunghe trattative, nel 1357, con due atti notarili del 14 e del 22 ottobre, i signori di Romena, Piero di Guidone di Aghinolfo e suo cugino Bandino di Uberto di Aghinolfo, vendettero ai fiorentini il Castello ed il relativo distretto, assieme ad altre ville circostanti che entrarono a far parte della Montagna fiorentina. La vendita venne ratificata con una Provvisione del 23 ottobre. 2 Qui, tra le varie delibere, si stabilì Item quod Ser Bartholus Landi, Ser Ricciardus Pini, Ser Leonardus Magistri Guidonis, Buccius Pagnuzzii et Bettinus Baldi, omnes Romene predicte, et quilibet ipsorum et eorum filii et descendentes per linea masculina, intelligantur esse et sint deinceps perpetuum cives populares et de populo Civitatis Florentie et tanquam 1 Per la storia di Romena cfr. Carlo Beni, Guida del Casentino, nuova edizione aggiornata a cura di Fiamma Domestici, Firenze, Nardini, 1983, pp. 233-248; Fabrizio Fabbroni, Il Castello di Romena. La Signoria dei Conti Guidi e la storia del falsario Adamo, ARX, Sansepolcro, Fabio Frangipani, 1997; Francesco Pasetto, I Landino una famiglia di artisti vissuti tra Pratovecchio e Firenze nei secoli d’oro della storia toscana, Cortona, Calosci, 1998, pp. 25, 28, 67, 91; Alfio Scarini, Castelli del Casentino, Cortona, 1981, pp. 199-219. Inoltre Robert Davidsohn, Storia di Firenze, Firenze, Sansoni, II, 1956, p. 88 e III, 1957, pp. 251-252. 2 I Capitoli del Comune di Firenze. Inventario e Regesto. In Firenze, coi Tipi di M. Cellini, I, 1866, pp. 334-338.
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cives antiqui et originarii populares et de populo civitatis eiusdem haberi possint et debeant in omnibus et per omnia et conseri.1
Gli stessi, in un’altra Provvisione dell’8 dicembre furono nominati, per i successivi cinque anni, gli unici cittadini fiorentini col diritto di acquisto sulle terre di Romena.2 Uno dei cinque notabili che figurano nelle due Provvisioni, Bettino di Baldo, era il bisnonno del maestro d’abaco Bettino di Ser Antonio, e dette origine ad uno dei rami fiorentini dei Da Romena. Bettino di Baldo fu, probabilmente come suo padre, uno dei più ricchi possidenti del Castello di Romena dove visse almeno fino al febbraio del 1365 3 con la propria famiglia: la moglie Ghilla di Uberto di Raginopoli ed i due figli, Baldo e Bandino. Qualche anno dopo, presumibilmente già da prima del 1372, la famiglia si trasferì a Firenze. 4 Qui, come riferisce il Passerini, 5 il 21 marzo 1374, fu decretato che Bettino ed i suoi fossero cancellati dall’Estimo del Contado, per passare quindi negli elenchi delle Prestanze fiorentine in cui figurano a partire dal 1375. La loro residenza era a quel tempo nella Via di San Proclo, l’ultimo tratto dell’odierna Via Pandolfini, nell’omonimo Popolo del Quartiere di San Giovanni, sotto il Gonfalone delle Chiavi. 6 Nel 1379, si spostarono nel Quartiere di Santa Croce, Gonfalone delle Ruote, dove la famiglia rimase fino al 1395. 7 Bettino di Baldo morì tra il 1384 ed il 1391, forse verso il 1390. I suoi due figli furono entrambi notai. Di Baldo abbiamo un solo volume nel Notarile Antecosimiano relativo al triennio 1380-1383; 8 altri quattro rogiti degli anni 1374-1380 sono tra le pergamene del Diplomatico. 9 Di Ser Bandino rimangono cinque filze con numerosi rogiti stipulati tra il 1370 ed il 1383, sia nella zona di Romena e talvolta nella stessa casa di famiglia, sia a Firenze. 10 Inoltre nove rogiti nel Diplomatico, degli anni 1370-1382. 11 Segnaliamo in particolare un atto del 29 novembre 1378 in cui compare Bettino, il padre del notaio, 12 ma soprattutto due documenti che vedo1
ASF, Provvisioni, Registri 45, c. 80r. Ivi, c. 99r. I Capitoli del Comune di Firenze, cit., p. 341. 3 ASF, Estimo 227, c. 464r. 4 Infatti, nell’Estimo relativo al Piviere di Romena del 24 gennaio 1372 non compare più il 5 Cfr. la nota 1 di p. 58. nome di Bettino di Baldo: ASF, Estimo 228. 6 ASF, Prestanze 226, c. 127v; 270, c. 135r; 275, c. 69v; 279, c. 125r. 7 ASF, Prestanze 375, c. 9r; 461, c. 7v; 562, c. 7v; 657, c. 10v; 789, c. 7v; 951, c. 6v; 1011, c. 7v; 1100, c. 7v; 1117, c. 7v; 1149, c. 7v; 1230, c. 7v; 1310, c. 129v; 1386, c. 27r; 1414, c. 27r. 8 ASF, Notarile Antecosimiano 1383. 9 ASF, Indice dei Notai del Diplomatico. 10 ASF, Not. Antec. 1534-1538. 11 ASF, Indice dei Notai del Diplomatico. 12 ASF, Not. Antec. 1537, c. 10v. 2
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no l’intervento di noti maestri d’abaco del tempo. Nel primo, datato 26 maggio 1375, il Maestro Michele di Gianni, si trova come testimone di un atto di procura. 1 Il secondo fu stipulato il 12 settembre 1381 dal Maestro Cristofano e da suo fratello Filippo, due figli del già defunto abacista Tommaso di Davizzo dei Corbizzi, e fa riferimento all’eredità paterna. 2 Ser Bandino si unì in matrimonio prima del 1370 con una non meglio identificata Agnese, dalla quale nacquero Santa e Antonio. Dai contratti di suo figlio Ser Antonio e da un rogito del notaio Iacopo di Chiarello Da Romena, si deduce che Bandino morì tra il 1384 ed il 1390. 3 Santa fu moglie del notaio Ser Antonio di Iacopo Da Romena e madre di Francesco, Giovanni e Iacopo. Fece testamento l’8 dicembre 1427. 4 Suo figlio Francesco testò il 17 novembre 1426 ed il 23 agosto 1428 nominando eredi i due fratelli. 5 Iacopo esercitò l’attività notarile dopo la morte del padre, tra il 1416 ed il 1456. 6 Antonio nacque nel 1370. Seguendo anche lui le orme paterne, a vent’anni era già notaio e rogava, oltre che a Firenze, nella zona di Romena, in Valdelsa e in Valdipesa. Di Ser Antonio rimane purtroppo una sola filza con i suoi primi atti del biennio 1390-1391 7 e quattro pergamene degli anni 1390, 1404, 1407 e 1411, conservate nel Diplomatico. 8 Ne ricordiamo due documenti del 2 luglio 1491 stipulati dalla nonna paterna Ghilla, la vedova di Bettino di Baldo. 9 Come risulta dalle Prestanze e dai Catasti, 10 dopo aver vissuto con la 1 ASF, Not. Antec. 1535, c. 27v. Su Michele di Gianni si veda E. Ulivi, Per una biografia di Antonio Mazzinghi, maestro d’abaco del XIV secolo, «Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche», XVI, 1, 1996, pp. 116-117, 120-121; E. Ulivi, Mariano del M° Michele, cit., pp. 303-305; E. Ulivi, Maestri e scuole d’abaco a Firenze, cit., pp. 51-53, 66-68, 82-83. 2 ASF, Not. Antec. 1537, cc. 65r-65v. Nel rogito si parla di una casa con bottega, situata nella Via dei Pilastri del Popolo di San Pier Maggiore in San Giovanni, che quasi sicuramente ospitò la scuola d’abaco dei Corbizzi. Sugli abacisti della famiglia Corbizzi cfr. E. Ulivi, Per una biografia di Antonio Mazzinghi, cit., pp. 117-120; E. Ulivi, Scuole e maestri d’abaco in Italia, cit. p. 135. 3 Cfr. la successiva nota 7 e ASF, Not. Antec. 11076, c.n.n. Avvertiamo che in questa stessa filza e in altri documenti relativi a Romena si trova più volte un Benamato di Ser Bandino che però non era figlio di Bandino di Bettino, essendo suo padre già morto nel 1378. Su tale Benamato ed in relazione alla storia del Castello di Romena è interessante segnalare che in fondo ad un volume del notaio Ser Antonio di Bartolo Landi Da Romena è contenuto un fascicolo in cui si parla dell’edificazione del campanile sulla vecchia torre del cassero, avvenuta nel 1399. Dopo una copia della lettera inviata a Romena il 9 ottobre 1398 dagli Ufficiali delle Castella di Firenze con la «allogagione a edificare la detta torre», è riportato il resoconto di tutte le spese di costruzione, che fu compilato il 5 giugno 1401 «per prudentes viros Benamatum Ser Bandini et Francischum Mati Officiales, rationerios et calculatores»: cfr. Not. Antec. 743. 4 ASF, Not. Antec. 21447, c. 17r. 5 Ivi, c. 125v. 6 ASF, Not. Antec. 11031-11047. Alcuni rogiti di Francesco, Giovanni e Iacopo del 17 maggio e 7 luglio 1416, del 29 novembre 1421 e del 26 marzo 1422 sono nel citato Not. Antec. 743, cc. 7 ASF, Not. Antec. 742. 55v, 58v-59r, 78v-79v, 80v. 8 ASF, Indice dei Notai del Diplomatico. 9 Cfr. Appendice, documenti 10 e 11. 10 ASF, cfr. ad esempio Prestanze 1484, c. 2r; 1546, c. 2r; 1616, c. 19v; 1657, c. 7r; 1681, c. 19v; 1713, c. 19v; 1869, c.n.n.; 2219, c. 1v; 2740, c. 3r; 2872, c. 4r. Appendice, documenti 1-3.
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propria famiglia sotto il Gonfalone delle Chiavi in San Giovanni e sotto quello delle Ruote in Santa Croce, nei primi mesi del 1396 Ser Antonio andò ad abitare all’insegna del Carro, sempre nel Quartiere di Santa Croce. Qui, diversi anni dopo, forse nel 1408, si sposò con Francesca di Filippo di Bartolo degli Amidei che tra il 1413 ed il 1434 gli dette otto figli : Bandino, il futuro abacista Bettino, Margherita, Bartolomea, Niccolò, Agnese, Gilio e Baldo. Ser Antonio rimase nel Gonfalone del Carro almeno fino al 1427. Poco dopo, e già dal 1430, egli ritornò nel Quartiere di San Giovanni, sotto il Gonfalone del Vaio, prendendo in affitto una casa del Popolo di San Michele Visdomini situata in Via Sant’Egidio. Il sito fu inizialmente proprietà del pittore Cipriano di Simone Guiducci da Spicchio e passò poi all’Ospedale di Santa Maria Nuova con il quale confinava. 1 Antonio non ebbe possedimenti a Firenze. Fu invece proprietario di due case, dove il ricco notaio e la sua famiglia trascorrevano alcuni periodi dell’anno : Una chasa posta nel Chastello di Romena chon orto e ogni suo risedio, a I, a II via, a III in parte via in parte il muro del chastello, 1/4 in parte lo Spedale di Romena e in parte le Rede di Ser Antonio di Ser Bartolo.
E vicino a quella Un’altra chasetta chon orto e forno, stalle e celle nella quale tengho legnie, a I, a II, a III, a IIII via, cho’ mie masserizie, amendune a uso di me e della mia famiglia.2
Ebbe anche una casa «a uso di lavoratore» a Castelcastagnaio e una settantina di terreni nel Valdarno Superiore, per lo più nel Piviere di Romena. Tre poderi nei Popoli di San Lorenzo alla Collina e di San Pietro gli furono venduti il 6 giugno 1420 e l’11 giugno 1421 da tali Bartolomeo di Niccolò da Tartiglia e Pietro di Giovanni Santini, con contratti che Antonio stipulò presso suo nipote Ser Iacopo di Antonio. 3 Tutti questi beni, oltre che dovuti ai lasciti del padre Bandino, furono il frutto della sua intensa attività di notaio, attestata anche dalle lunghe liste di debitori che si leggono nelle portate catastali del 1427, 1430 e 1433. Al tempo del suo primo Catasto risultava avere un credito con il Monte di quasi 1200 fiorini. Nella storia di Firenze, Antonio si ricorda per essere stato fatto prigio1 Cfr. Appendice, documenti 1-3; ASF, Catasto 408 (anno 1430), c. 291v e 825 (a.1458), c. 436v con le Portate di Cipriano di Simone Guiducci. In un libro di ‘Entrate’ di Santa Maria Nuova, in data 2 ottobre 1435, si legge che Ser Antonio consegnò l’affitto di quella casa: ASF, Ospedale di Santa Maria Nuova 4434, c. 23v; cfr. anche Ospedale di Santa Maria Nuova 69, c. 1r. 2 Cfr. Appendice, documento 1. 3 Ivi, documenti 12 e 13. Con lo stesso notaio Ser Antonio stipulò anche un atto di procura il 30 ottobre 1422: Not. Antec. 11031, c. 90r.
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niero a Piancaldoli nel 1403. Al suo rientro, la Repubblica gli concesse un indennizzo di 100 fiorini. 1 Il padre di Bettino morì tra il 1437 ed il 1438. In due volumi del Monte Comune, nelle ‘Uscite di Monte di Pisa’, è infatti registrato un pagamento a Ser Antonio in data 10 marzo 1437, mentre nel ‘Monte di Prestanzoni’ del 1437/38 compare ‘Rede di Ser Antonio’. 2 Il 22 dicembre 1442 fu dunque Francesca degli Amidei, la vedova del notaio, a presentare la propria denuncia al Catasto fiorentino. Qui, dopo avere elencato i possedimenti che i suoi figli maschi avevano ereditato dal padre in parte uguali, ella scrive: E tutte le sopradette terre, vigne e prati e altre cose solevano rendere più che non fanno, inperò che funno guaste, come sapete, per la venuta di Nicholò Piccino in Casentino, spetialmente nella Corte di Romena.3
L’episodio cui fa riferimento Monna Francesca risale al 27 aprile 1440, quando Niccolò Piccinino, al soldo dei Visconti, occupò il Castello di Romena che fu poco dopo riconquistato da Neri Capponi per conto dei Medici. Le terre di Ser Antonio, come tutte quelle del maestoso fortilizio casentinese teatro delle aspre battaglie tra le due potenti casate, subirono ovviamente gravi danni. Tuttavia, anche in seguito, continuarono ad assicurare ai Da Romena ottime rendite, più che sufficienti per il loro sostentamento. Dopo la morte di Ser Antonio, i suoi familiari rimasero nell’abitazione presa in affitto in Via Sant’Egidio almeno fino al luglio del 1447. 4 Nel frattempo, dalle denunce catastali del 1442 e del febbraio 1447, erano scomparsi i nomi delle tre figlie di Ser Antonio. 5 Agnese la più piccola, nata nel 1425, morì probabilmente tra il 1433 ed il 1442. Bartolomea, nata nel 1420/21, dopo il 1442 entrò nell’antico Monastero di San Giovanni Battista al Lapo, in Via Faentina, dove si trovava nel 1447. La maggiore, Margherita o Tita, nacque nel 1419. Lasciò la casa paterna tra il 1433 ed il 1442 per sposarsi con Iacopo di Bartolo Rampini di Stia in Casentino, dal quale ebbe i figli Santi, Francesco che divenne un noto medico, e Giovanni Bartolo. Francesco e Santi compariranno in un rogito del 25 febbraio 1484, come procuratori dello zio materno M° Bettino. 6 Tita sarà nominata con il marito ed i tre figli in due atti del 24 settembre 1486, entrambi stipulati pressi il notaio Ser Francesco 1 2 3 5
ASF, Raccolta Sebregondi 4536. Cfr. rispettivamente ASF, Monte Comune o delle Graticole, Parte II, 3314, c. 87v e 2873, c. 182r. 4 Ivi, documento 16. Cfr. Appendice, documento 4. 6 Cfr. qui p. 69. Ivi, documenti 4 e 5.
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di Paolo Da Romena; 1 con i fratelli Niccolò, Bandino e Baldo in un rogito del 9 maggio 1489. 2 Rimasti soli con la madre, pochi mesi dopo il luglio del 1447, i cinque figli maschi di Ser Antonio presero la residenza nella Via del Cocomero, sempre in San Giovanni ma sotto il Gonfalone del Drago, dove vissero tutti insieme fino al 1457 dividendosi l’affitto. Prima in una casa di Filippo Lippi e Giovanni Lorini, che faceva parte del Popolo di Santa Reparata o Santa Maria del Fiore, e della quale non conosciamo l’esatta ubicazione. Poi, dal 1° novembre 1448, in un’ampia abitazione del Popolo di San Marco, che apparteneva al Monastero di San Niccolò Maggiore di Cafaggio, cum terreno, volta, puteo, coquina et salis et cameris et aliis hediffitiis et cum figura et ymagine Nostre Domine et aliorum Sanctorum, ex parte exteriori dicte domus, posite in Populo Sancti Marci, loco detto al Canto del Ciriegio ... .3
La casa si trovava «sul chanto della Via del Chochomero» detto anche il Canto del Ciliegio, dov’era il tabernacolo della Vergine Maria, 4 dunque all’angolo tra le attuali Via Ricasoli e Via degli Alfani, sulla Piazza delle Belle Arti, di fronte allo scomparso Monastero di San Niccolò, oggi sede del Conservatorio musicale Cherubini. Già dal 1451, pur costituendo un unico nucleo familiare, Bandino con i tre fratelli Bettino, Gilio e Baldo, da una parte, e Niccolò dall’altra, presentarono al Comune di Firenze due distinte portate catastali; in seguito, ai Catasti del 1458, 1469, 1480 ed alla Decima Repubblicana del 1495 consegnarono ogni volta singolarmente la propria denuncia. 5 Francesca degli Amidei fu sempre a carico dei figli fino alla morte avvenuta tra il 1458 ed il 1469. Per quanto riguarda i figli maschi di Ser Antonio, solo uno, Niccolò, ebbe una propria famiglia e dunque dei discendenti. Gli altri quattro sembra che non si siano mai sposati. 6 1 ASF, Not. Antec. 8057, nn. 169, 171. Altri rogiti di Iacopo Rampini e dei suoi figli, degli anni 1467-1488, sono nei Not. Antec. 9631, cc. 154r, 205r; 138, inserto X, nn. 1 e 6; 140, cc. 122r-122v, 368v, 425r; 141, cc. 305r-305v; 142, cc. 27r-27v. Francesco di Iacopo fece testamento il 9 dicembre 1512, lasciando eredi il figlio Niccolò e la nipote Marietta di Santi: cfr. Not. Antec. 1232, cc. 218v220r. Nella stessa filza troviamo alcuni suoi rogiti degli anni 1511-1513, oltre ad un documento di Piero di Santi Rampini, sempre del 1513, con la moglie Alessandra di Giuliano ed i figli Niccolò e Tita: cc. 44r, 259v-260r, 276v. Infine un atto di locazione di M° Francesco Rampini del 1517 è 2 ASF, Not. Antec. 13751 (Ser Lodovico Menchi), c. 3r. nel Not. Antec. 1235, c. 143r. 3 Cfr. Appendice, documento 17. Nelle ‘Entrate e Uscite’ del Monastero di San Niccolò sono registrati i pagamenti dell’affitto, fatti per mano di Ser Niccolò e Gilio: ASF, S. Niccolò Maggiore 55, cc. 19v e segg. 4 Cfr. il rogito qui trascritto alle pp. 82-83 e in Appendice i documenti 6 e 23. 5 Cfr. Appendice, documenti 7-9; ASF, Catasto 826 (a.1458), cc. 567r-567v; 832 (a.1458), cc. 144r-146r, 1099r-1100r; 925 (a.1469), cc. 120r-120v; 929 (a.1469), cc. 122r-122v; 659r-660r; 1018 (a.1480), cc. 205r-205v; 1023 (a.1480), c. 203r; 1024 (a.1480), cc. 166r-167r; Decima Repubblicana 35, cc. 241r-243v. 6 Assieme ai Catasti ed alla Decima Repubblicana, sui fratelli di M° Bettino conosciamo anche
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Di Bettino parleremo estesamente nei successivi capitoli. Bandino, primogenito di Ser Antonio, nacque tra il 1413 ed il 1419. Dopo aver abitato in Via del Cocomero, negli anni 1452-1457 visse in affitto nella Via del Ramerino, un tratto dell’attuale Borgo Allegri nel Quartiere di Santa Croce. 1 Già dal marzo del 1458 abitò, sempre in affitto, nel Castello di Romena dove rimase presumibilmente fino alla morte. L’ultimo documento che lo riguarda è il citato rogito del 9 maggio 1489 dove compare con la sorella Tita ed i fratelli Niccolò e Baldo. Morì prima della Decima Repubblicana del 1495, devolvendo i suoi averi allo stesso Niccolò. 2 Gilio nacque nel 1429. Lasciata l’abitazione di Via del Cocomero, andò anche lui a Romena, nella casa ereditata dal padre, per poi rientrare a Firenze nel Popolo di San Michele Berteldi. 3 La sua scomparsa è da collocare in data precedente alle denunce catastali del 1469 e dopo un documento del 6 ottobre 1466 che lo vede assieme al fratello Niccolò. 4 Abbiamo notizia di un suo testamento datato 12 dicembre 1457. 5 Baldo, l’ultimo dei figli di Ser Antonio, nacque tra il 1429 ed il 1434. Nel 1469 abitava nella casa di Romena ereditata da Gilio. Morì anche lui tra il 1489 ed il 1495. 6 alcuni documenti delle Corporazioni religiose soppresse dal Governo francese, della Mercanzia, degli Ufficiali di Notte, di S. Niccolò Maggiore, e svariati rogiti del Notarile Antecosimiano, tutti all’Archivio di Stato di Firenze. Nel corso del lavoro ci soffermeremo solo sui più significativi soprattutto in relazione alla biografia dell’abacista di Romena. Oltre a questi, ricordiamo i seguenti: Not. Antec. 134 (Ser Aiuto di Balduccio), c. 2r; 139 (Idem), cc. 206v-207r; 140 (Idem), c. 13v; 141 (Idem), c. 56v; 942 (Ser Guasparri di Simone Arrighi), c. 174v; 1532 (Ser Marco Bandini), c. 1r e sgg.; 1878, 1879, 1880, 1882 (Ser Bartolomeo di Michele da Carmignano) c.n.n.; 1881(Idem), c. 5v e sgg.; 2199 (Ser Girolamo Beltramini), cc. 179r-179v; 2600 (Ser Benedetto di Niccolò Betti), cc. 131r-131v, 269r-272r, 273r-274; 2602 (Idem), c. 72r; 2614 (Idem), c. 104v; 4421 (Ser Niccolò Della Casa), c. 101v; 4627 (Ser Lodovico di Bindo Cassi), I Protocollo, cc. 96v, 101r; 5048 (Ser Pierozzo di Cerbino), c. 199r; 8014 (Ser Francesco di Marco Da Romena), cc. 32v, 48r49r; 8015 (Idem), cc. 57r, 63v-66r, 74v, 76v, 77v-78v, 81v, 86v, 87v, 91r, 97v; 8056, 8057 (Ser Francesco di Paolo Da Romena), c.n.n.; 9631 (Ser Giovanni di Marco Da Romena), cc. 67r, 107r107v, 119r, 125r; 9633 (Idem), cc. 50v, 108v; 13469 (Ser Iacopo Del Mazza), cc. 3r e sgg.; 13505 (Ser Filippo Mazzei), c. 132r; 13534 (Ser Mazzetto di Andrea), cc. 5r, 38r, 48r, 69r, 71v, 96r, 106r; 13749 (Ser Lodovico Menchi), cc. 42v, 54v; 13750 (Idem), cc. 58v, 115r, 124r; 13751 (Idem), cc. 6r, 49v; 14174, 14178 (Ser Migliore di Manetto Masini), c.n.n.; 16778 (Ser Piero di Andrea da Campi), cc. 8r, 140r-140v, 462r; 16779 (Idem), cc. 82v, 126r; 16781 (Idem), cc. 7v, 42r; Mercanzia 1337, c.n.n. 1 ASF, Not. Antec. 1879 (Ser Bartolomeo di Michele da Carmignano), c.n.n., inserto 5, rogito del 26 gennaio 1452. 2 Cfr. Appendice, documenti 1-6. ASF, Catasto 832 (a.1458), cc. 1099r-1100r; 929 (a.1469), cc. 122r-122v; 1023 (a.1480), c. 203r. 3 Cfr. qui p. 82; Appendice, documenti 1-6; ASF, Catasto 826 (a.1458), cc. 567r-567v. 4 ASF, Not. Antec. 6080 (Ser Giovanni Dieciaiuti), c. 108r. 5 ASF, Not. Antec. 21428, c. 14r. 6 Cfr. Appendice, documenti 1-6. ASF, Catasto 925 (a.1469), cc. 120r-120v; 1018 (a.1480), cc. 205r-205v. Risulta perduta la sua Portata al Catasto del 1458, catalogata col n. 1; la filza 825 che avrebbe dovuto contenerla inizia infatti dalla portata n. 7.
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Più interessanti e dettagliate sono le notizie biografiche relative a Ser Niccolò. 1 Egli nacque tra il 1422 ed il 1425. Nel 1461 si sposò con Lena di Ser Romolo di Ser Guido Bonini della Rufina. 2 Lena, nata nel 14401444, morì nel 1484 senza lasciargli figli. Rimasto vedovo, nel 1485 Niccolò si unì in matrimonio con Francesca di Cosimo di Piero Bonsi, 3 dalla quale nacquero Niccolò ed Antonio. Ser Niccolò abitò sull’angolo di Via del Cocomero fino al 1481, 4 prima con la madre ed i fratelli, poi con la prima moglie. In seguito, già dal febbraio del 1484, rimanendo nel Quartiere di San Giovanni, andò a vivere in affitto nel Popolo di Sant’Ambrogio, 5 dove risiedeva ancora nel 1495, a quel tempo nella Via dei Pilastri. Pur non possedendo beni immobili a Firenze, Niccolò ebbe le numerose proprietà ereditate da Ser Antonio 6 e, negli ultimi anni, dai suoi quattro fratelli; a queste aggiunse diversi terreni da lui stesso acquistati nella zona di Romena. Come il padre ed il nonno, Niccolò esercitò l’attività notarile, sia privatamente che ricoprendo incarichi pubblici quale Notaio dei Signori negli anni 1459 e 1495, Notaio e Cancelliere dell’Ufficio del Monte Comune attorno al 1479, e notaio degli Ufficiali di Notte nel 1490-1491. Fu anche proconsole nel 1477, 1479 e 1495. 7 Nell’ Archivio Notarile rimangono di lui undici filze che abbracciano gli anni dal 1444 al 1494; 8 nel Diplomatico quattro pergamene del 1445, 1459 e 1482. 9 Almeno tra il 1456 ed il 1473 – ma con tutta probabilità fino dal 1445 – Ser Niccolò fu in società con i notai Ser Alberto di Ser Rucco, Ser Bartolomeo di Michele da Carmignano e Ser Migliore di Manetto Masini. Il prestigioso studio notarile era situato in una bottega al tempo proprietà della Badia Fiorentina e posta nella Via del «Palagio dirimpetto alla porta del Podestà», cioè in Via del Proconsolo di fronte al Bargello. 10 A 1 Cfr. Appendice, documenti 1-5. ASF, Catasto 721 (a.1451), cc. 331r-331v; 832 (a.1458), cc. 144r-146r; 929 (a.1469), cc. 659r-660r; 1024 (a.1480), cc. 166r-167r. Decima Repubblicana 35 (a.1495), cc. 241r-243v. 2 ASF, Not. Antec. 6151 (Ser Niccolò di Michele Dini), c. 89r. La relativa ‘confessio dotis’ fu 3 BNF, Magl. XXVI, 141, p. 344. rogata da Ser Agnolo Cinozzi il 4 agosto 1461. 4 ASF, S. Niccolò Maggiore 24, cc. 2r, 5r; 76, cc. 2v e sgg.; 120, cc. 4s, 21s. 5 Cfr. qui, p. 69. 6 La sua ‘Aditio hereditatis patris’ è del 17 ottobre 1446: cfr. Appendice, documento 14. 7 ASF, Raccolta Sebregondi 4532, 4536; Not. Antec. 8015 (Ser Francesco di Marco Da Romena), c.n.n., documento del 22 maggio 1479; Ufficiali di Notte e Conservatori dell’onestà dei Monasteri 27, c. 2r. Delizie degli Eruditi Toscani: Istorie di Giovanni Cambi cittadino fiorentino, In Firenze, Per Gaet. Cambiagi, 1785, XX, p. 377 e XXI, p. 89. Demetrio Marzi, La Cancelleria della Repubblica Fiorentina, Firenze, Le Lettere, 1987, 2 voll., pp. 502, 507. 8 ASF, Not. Antec. 15031-15041. 9 ASF, Indice dei Notai del Diplomatico. 10 ASF, Corp. rel. soppr. dal Gov. franc. 78, 78, c. 189s; inoltre 78, 79, cc. 24s-24d; 78, 80, c. 29s; 78, 261, c. 169v.
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pochi metri, dal 1461 al 1503 circa, vi ebbe il suo studio anche Ser Piero di Antonio da Vinci, il padre di Leonardo, assieme a Ser Piero di Carlo del Viva ed altri notai. 1 Niccolò Da Romena fece testamento il 12 ottobre 1496, 2 disponendo di essere sepolto vicino al sepolcro della prima moglie Lena dei Bonini della Rufina, nella Chiesa di San Marco, dove sono ancora visibile le armi delle rispettive casate. Morì poco dopo, entro la primavera del 1501. Il 15 giugno di quell’anno anche la sua vedova Francesca Bonsi redasse il proprio testamento. 3 Di lei rimangono due successivi rogiti del 12 e 15 gennaio 1502. 4 I due coniugi Da Romena lasciarono eredi i figli Antonio e Niccolò. Sia Antonio che Niccolò vissero almeno fino al 1532 nella Via dei Pilastri probabilmente nella casa dove avevano abitato con i genitori. 5 Antonio, come il padre, ebbe due mogli, Lisabetta del Garbo e Lessandra di Alberto di Cosimo Masi, che sposò nel 1524. Non lasciò eredi. Il fratello maggiore Niccolò si ricorda per avere subito una condanna per omicidio e la confisca dei beni, da cui fu poi assolto nel 1527. Due anni dopo si unì in matrimonio con Maria di Niccolò di Paolo degli Amidei che gli dette otto figli. 6 Di questi e dei loro discendenti abbiamo notizie fino alla seconda metà del XVIII secolo. 7 3. Bettino di Ser Antonio Bettino fu il secondogenito del notaio Ser Antonio Da Romena. In base ai dati catastali, la sua nascita è da collocare tra il 1415 ed il 1421, con buona probabilità nel 1416, ed avvenne quando i Da Romena vivevano in Santa Croce, sotto il Gonfalone del Carro. Ancora adolescente, Bettino seguì la famiglia nel Quartiere di San Giovanni, in Via Sant’Egidio. Lì egli trascorse la sua giovinezza rimanendo per quasi un ventennio, fino all’estate del 1447. In seguito, e per tutto il 1457, visse con i suoi in Via del Cocomero. 8 1 ASF, Corp. rel. soppr. dal Gov. franc. 78, 79, cc. 134s, 310s; 78, 80, c. 29s; 78, 81, c. 30s; 78, 82, c. 31s; 78, 261, c. 167br; 78, 262, c. 97v. 2 ASF, Not. Antec. 16841 (Ser Piero di Antonio da Vinci), inserto 3, n. 157. 3 ASF, Not. Antec. 11538 (Ser Giovanni Lapucci), cc. 163r-163v. 4 Ivi, cc. 178r-179v. 5 ASF, Decima Granducale 3654, cc. 95v-96v; 3656, cc. 126v-127v. 6 Su Niccolò e Antonio di Ser Niccolò si trovano diversi rogiti nei volumi di Ser Giovanni Lapucci: ASF, Not. Antec. 11539, cc. 85r-87v, 307v-308v; 11540, cc. 39r-41v; 11542, cc. 193r, 403r; 11545, cc. 244v-245v. 7 Si veda la nota 1 di p. 58 e l’Albero genealogico. Avvertiamo che nell’Albero genealogico, le date precedute da n. ed m. sono quelle (esatte o approssimate) corrispondenti rispettivamente alla nascita ed alla morte della persona cui si riferiscono; le altre sono invece le date del primo, in ordine di tempo, e dell’ultimo (o dell’unico) documento relativo finora noti. Precisiamo inoltre che c.= circa, d.= dopo, p.= prima. 8 Cfr. qui pp. 82-83; Appendice, documenti 1-9, 15 e 16.
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Nell’aprile del 1447, 1 Bettino era già entrato in possesso della quinta parte dell’eredità paterna. Questa, come si evince dai Catasti del 1451, 1458, 1469 e 1480, era costituita da 14 pezi di tera lavoratia, vigniatta, boschatta, sodi, pastura, posti in Chasentino, luogho detto a Romena, ne’ Popolo di Santa Maria a Romena, cho’ loro vochaboli e chonfini ...,2
distribuiti nelle seguenti località: Donicato, Tartiglia, Ferrale, Lame, Tracolle, Pratolino, Collina, Faeto, Camazoni, Campo Castagneto, Casali, Quantido e Coffia. Ai numerosi beni immobili si aggiungeva la quinta parte di un cospicuo credito del Monte, circa 2500 fiorini, una porzione del quale, 600 fiorini, fu concessa in prestito al setaiolo Giuliano di Antonio di Ser Andrea Bartoli, come si legge in due rogiti del 26 gennaio 1452 e del 30 novembre 1454. 3 Ad un altro credito dei Da Romena, 25 fiorini larghi e 10 fiorini di suggello, fa riferimento un atto notarile del 9 novembre 1457: i debitori erano gli eredi di tale Piero di Tuccio da Vaiano della Curia di Romena. 4 Qualche anno dopo, il 22 agosto 1466, con un atto di procura rogato nel Popolo di Sant’Ambrogio presso il notaio Ser Giovanni di Marco Da Romena, il suddetto Giuliano di Antonio venne nominato amministratore dei beni di Ser Niccolò, Bandino e Bettino. 5 Come ricordiamo, a quel tempo, Ser Niccolò risiedeva a Firenze, mentre Bandino si era trasferito a Romena. Forse Bettino viveva saltuariamente con l’uno e l’altro dei due fratelli. Nessuna informazione circa la sua residenza ci viene dai Catasti del 1458 e del 1469. Da documenti che vedremo in seguito sembra quasi certo che almeno tra il luglio del 1464 ed il luglio del 1465 il maestro visse a San Gimignano, e nel 1474-1475 a Colle Valdelsa. Un rogito del 6 novembre 1471 fa invece ritenere che in quell’anno l’abacista abitasse con Bandino nel Castello di Romena. Qui venne infatti stipulato l’atto notarile con il quale Bettino e Bandino designarono come loro procuratore il fratello Niccolò ed il suo socio Ser Migliore di Manetto. 6 Sempre a Romena si conclusero due successivi contratti. Nel primo del 13 luglio 1472, Bettino dette in affitto a Giovanni Belcari un pezzo di terra in Villa Coffia; nel secondo del 26 agosto 1472, egli prese a sua 1
2 Ivi, documento 9. Cfr. Appendice, documenti 15 e 20. 4 Ivi, documento 22. Ivi, documenti 18 e 19. 5 Ivi, documento 25. 6 Ivi, documento 26. Già il 27 marzo 1470, Bettino si trovava a Romena come testimone di un atto notarile: ASF, Not. Antec. 8014 (Ser Francesco di Marco Da Romena), c. 28v. 3
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volta in locazione un terreno situato a Termine, da Cristofano di Chiarello. 1 Otto anni dopo, nella sua denuncia catastale, lo stesso abacista scrisse di se stesso: Betino di Ser Antonio detto, no’ fa nulla. Istasi a Romena, non ghadagnia danaio, d’ettà d’anni 65.2
Dunque dal 1480, e forse da alcuni anni, Bettino si era ritirato nei suoi possedimenti. Ma all’inizio del 1484, ormai quasi settantenne, lo ritroveremo a Firenze nell’abitazione in Sant’Ambrogio del fratello Niccolò, dove il 25 febbraio furono stipulati i seguenti rogiti: 3 Donationis inter vivos facte inter fratres carnales Item postea, dicto anno [Millesimo quadringentesimo ottuagesimo tertio], indictione predicta, die mercurii vigesima quinta mensis februarii. Actum Florentie, in Populo Sancti Ambrosii, in domo infrascripti Ser Nicholai Ser Antonii, presentibus testibus, ad hec vocatis, habitis et rogatis, Papio olim Dominici Bernardi, vocato Papi del Machietto, Populi Sancti Petri Maioris de Florentia, et Antonio Petri Iacobi, detto Montalcino testore drapporum Populi Sancti Petri Gattolini de Florentia, et Nicholaio Gherardi de Pisis, famulo Magistri Francisci Iacobi Bartoli de Rampinis de Stia, medici, et dicti Populi Sancti Ambrosii predicti. Bettinus olim Ser Antonii Ser Bandini de Romena, civis florentinus, Populi Sancti Ambrosii predicti, considerans affectionem et amorem quod habet erga Ser Nicholaum eius fratrem carnalem, sponte et eius certa scientia, omni meliori modo, pure, mere, libere, simpliciter et inrevocabiliter, inter viros, ita quod presens donatio revocari non possit ex aliqua // ingratitudinis causa etc., donavit et titulo et causa donationis inter vivos et inrevocabile, dedit et concessit prudenti viro Ser Niccolao, eius fratri et olim filio dicti olim Ser Antonii Ser Bandini de Romena, cive et notario florentino, ibidem presenti et pro se et suis heredibus recipienti et acceptanti, omnia et singula eius bona presentia tantum, ubicumque posita et existentia et sub eorum vocabulis et confinis ... . Procurationis Item postea, dictis anno, indictione, die, et loco predicto, et presentibus dictis et suprascriptis testibus, ad hec etiam vocatis, habitis et rogatis. Suprascriptus Bettinus olim Ser Antonii Ser Bandini de Romena // civis florentinus ... fecit suos procuratores ... Antonium Antonii Ser Andree Bartholi, civem florentinum, Magistrum Franciscum et Santem, fratres et filios Iacobi Bartholi de Rampinis de Stia de Casentino, licet absentes sed tanquam presentes ... . Item etiam dictus Bettinus ... dictum mandatum ... durare voluit et vires habere ad vitam et durante vita dicti Bettini ... . // Compromissum Item postea, dictis anno, indictione, die et loco predicto, et presentibus dictis et suprascriptis testibus ... . 1 3
2 Ivi, documento 9. Cfr. Appendice, documenti 27 e 28. ASF, Not. Antec. 2613 (Ser Benedetto di Niccolò Betti), cc. 455r-456v.
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Suprascriptus Bettinus olim Ser Antonii Ser Bandini de Romena ... per se et suos heredes, ex parte una, et Ser Nicholaus frater et olim filius dicti olim Ser Antonii Ser Bandini ... per se et suos heredes, ex parte alia, omnes eorum dicto nomine lites et questiones vertentes et que verti et oriri possunt ... commisserunt et compromisserunt et de his omnibus et singulis compromissum generalem fecerunt in suprascriptis Antonium Antonii Ser Andree Bartholi, civem florentinum et Magistrum Francischum medichum, et Sanctem, fratrem dicti Magistri Francisci, et filios Iacobi Bartoli de Rampinis de Stia de Casentino ... et quemlibet ipsorum, tamquam dictarum partium arbitros et arbitratores et amichos comunes ... quod compromissum durare voluerunt et vires habere tres annos proxime futuros ... .
Sono questi gli ultimi documenti che conosciamo di Maestro Bettino. In un notarile del 13 aprile 1484 si legge infatti:1 Renumptiatio hereditatis Ser Niccolai de Romena, pro tertia parte pro omni parte et portione sibi tangente. Item postea, dictis anno [1484], indictione, et die XIII aprilis. Actum Florentie in Populo Sancti Marci, et presentibus testibus Angelo Raynerii del Pace et Pasquo Iohannis de Todi, domicello. Ser Nicolaus olim Ser Antonii Ser Bandini de Romena, civis et notarius florentinus, sciens qualiter Bettinum, eius germanum et filium dicti Ser Antonii Ser Bandini, mortuum esse et decessisse iam sunt dies otto elassi, et hereditatem dicti Bettini ... ab intestato ... potius esse inutilem et dannosam quam lucrosam, idcirco dictam hereditatem pro dicta tertia parte, et pro tam parte et portione quomodolibet eidem tangente [...] renumptiavit et renumptiat, dicens se nolle in dicta ereditate immiscere neque in quidem vel aliquod subportare et aliquod velle, sed omnino eam renumptiavit et ab ea se abstinuit. Rogans etc.
Apprendiamo così che l’abacista di Romena morì il 5 aprile 1484, senza fare testamento. Poco più di un mese prima, il 25 febbraio, Bettino aveva deciso di lasciare tutti i suoi averi all’amato fratello Niccolò «titulo et causa donationis». Ma qualche giorno dopo, probabilmente in un rogito che non abbiamo rintracciato, lo stesso abacista doveva avere stabilito la donazione di quei beni ai suoi tre fratelli allora ancora in vita, Bandino, Baldo e Niccolò. Quest’ultimo, il 13 aprile, rinunciò alla sua parte di eredità, forse a favore degli altri due congiunti. Alla Decima Repubblicana del 1495, dopo la scomparsa di tutti i fratelli, i possedimenti di Bettino passarono definitivamente a Ser Niccolò 2 e vennero poi ereditati dai suoi due figli.
1 2
ASF, Not. Antec. 13748 (Ser Lodovico Menchi), c. 50r. Cfr. Appendice, documento 9.
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elisabetta ulivi 4. L’insegnamento
La formazione scientifica di base di Bettino di Ser Antonio si svolse attorno agli anni 1425-1430, quasi sicuramente nel periodo che i Da Romena trascorsero nel Gonfalone del Carro in Santa Croce. Grazie ai beni di famiglia, Bettino fu per tutta la vita un facoltoso possidente. Dunque la spinta ad intraprendere la professione di maestro d’abaco non gli venne tanto da esigenze economiche, quanto dall’interesse per la matematica. La documentazione relativa all’insegnamento di M° Bettino abbraccia gli anni dal 1448 al 1475 e ci dà informazioni su dove il Nostro svolse la propria attività, sui suoi collaboratori e su alcuni dei suoi studenti. Tra le scuole d’abaco e di grammatica della Firenze del Quattrocento e del primo Cinquecento, una delle più importanti fu senz’altro quella di Orsanmichele. 1 La casa che ospitò la scuola apparteneva alla Compagnia del Bigallo e della Misericordia che l’aveva acquistata l’8 gennaio 1403 dai nobili Iacopo di Latino ed Accorri di Geri dei Pigli o Pilli. Una filza della stessa compagnia, relativa agli anni 1400-1412, la descrive come Una chasa con fondacho di sotto in volta e con palchi di sopra, posta in su la Via di Calimala e in sulla Piazza d’Ortosanmichele, posta nel Popolo do Sa’ Michele in Orto, dal primo la Via di Calimala, dal secondo le rede di Nicholò di Bartolo Cini, dal terzo la Piazza d’Ortosamichele, e dal quarto la Compangnia d’Ortosamichele.2
Il sito si trovava dunque sopra un magazzino dell’Arte dei Mercatanti o di Calimala, vicino alla Chiesa di Orsanmichele, nell’omonimo Popolo del Quartiere di Santa Croce, probabilmente all’angolo tra Via Calimala e l’odierna Via Lamberti, dove si affacciava la scomparsa Piazza di Orsanmichele. Dopo essere stato quasi sempre affittato a dei maestri di grammatica e per breve tempo ad un merciaio, in due volumi relativi agli anni 14481451, venne così elencato tra i beni del Bigallo Una chasa atta a squola, posta in Orto Sa’ Michele, cho’ sua chonfini, sopra al nostro fondacho, la quale è scritta in questo, c. 22, in Maestro Nicholò di Giovanni e altri; e a dì XI di dicembre l’aloghamo per anni tre, che chominci il tenpo insino a dì primo di novembre passato 1448, per lire cinquantadue l’anno; e oltre a quelle abiamo lire 8 di pigione l’anno da Ser Apollonio, dell’entratura della schala, che 1 In proposito si veda E. Ulivi, Benedetto da Firenze, cit., pp. 41-42, 180-189; E. Ulivi, Raffaello Canacci, cit., pp. 170-171. 2 ASF, Compagnia poi Magistrato del Bigallo 730, c. 55v; E. Ulivi, Benedetto da Firenze, cit., pp. 180-181.
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chosì facemo di patto, aloghamola a Maestro Benedetto d’Antonio di Cristofano a £. 52 l’anno, charta fatta per mano di Ser Matteo Sofferroni, e à pagare di sei mesi in sei mesi. E suo mallevadori ci stanno Antonio di Cristofano suo padre, e Bettino di Ser Antonio da Romena, e ongnuno in tutto. Resta a dare per tutto ottobre 1449 lire cinquantadue ____________ f. -, £. 521 Una chasa atta a schuola posta in Ortosantomichele, cho’ suoi chonfini, levata dal libro segnato N, c. 25, tiella a pigione Maestro Benedetto d’Antonio di Cristofano per lire cinquantadua piccioli l’anno. Alloghossi per tre anni, inchominciati a dì primo di novembre 1448 e finiti chome seghue. Intendendo che ci debba dare £. 52, holtr’a £. otto che ci dà Ser Apollonio d’una entrata d’ una schala tiene di detta chasa, come apare in questo, charta per mano di Ser Matteo Sofferroni, e ssuo mallevadore Antonio di Cristofano suo padre e Bettino di Ser Antonio da Romena, chome apare al libro segnato N, a c. 25. Resta a dare per tutto hottobre 1450 £. settantadue, s. IIII piccioli _________ _____________________________________________________ f. -, £. 72, s. 4 E de’ dare per tutto ottobre 1451 £. cinquantantadua, per la pigione di deto anno ____________________________________________________ f. -, £. 52, s. E finita la sopradetta alloghagione a dì primo di novembre 1451, v’è tornato Ser Lucha d’Antonio da San Gimignano, maestro di scuola di gramaticha, chome apare in questo c. 32.2
Nei medesimi volumi, tra i debitori e creditori, si legge inoltre: In riferimento all’anno 1448 Maestro Nicholò di Giovanni e Maestro Iachopo di Simone chontrascritti deono avere ... E deono avere lire dieci, i quali spese Bettino di Ser Antonio da Romena in detta chasa, chome partitamente apare in una scritta in filza, che sono per II usci e per ammattonare, posto spese dare in questo, c. 143 ___________________ f. -, £. 10 E deono avere a dì 23 di dicenbre lire dodici soldi 16, e per loro da Bettino da Romena, e per noi a Girolamo Scharfa, kamarlingo, a entrata c. 3; posto che debi dare in questo, c. 174 ___________________________________ f. -, £. 12, s. 16 E a dì 5 di febraio lire sedici, s. 16 piccioli, e per noi a Girolamo Scharfa kamarlingo, e per loro da Bettino di Ser Antonio da Romena a entrata, c. 3, posto debi dare in questo, c. 174 _______________________________ f. -, £. 16, s. 163 Spese universale della nostra Chompagnia deono dare ... E deono dare £. dieci per più spese fatte per Bettino di Ser Antonio da Romena chome apare in questo, c. 22, a chonto di M° Nicholò e M° Iachopo, nella schuola _________________________________________________________ f. -, £. 104
E nell’anno 1451 Mariotto di Ginozo di Stefano Lippi de’ dare ... E de’ dare, dì VII di dicenbre ... E de’ dare a dì detto £. quindici, s. XVI di piccioli per noi da Maestro Benedetto 1 2 3 4
ASF, Comp. poi Mag. del Bigallo 747, c. 27s; E. Ulivi, Benedetto da Firenze, cit., p. 182. ASF, Comp. poi Mag. del Bigallo 749, c. 22s; E. Ulivi, Benedetto da Firenze, cit., p. 184. ASF, Comp. poi Mag. del Bigallo 747, c. 22d; E. Ulivi, Benedetto da Firenze, cit., p. 182. ASF, Comp. poi Mag. del Bigallo 747, c. 143s; E. Ulivi, Benedetto da Firenze, cit., p. 183.
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d’Antonio, per lui da Bettino di Ser Antonio, posto debbi avere in questo c. 22, a entrata c. 3 _______________________________________ f. -, £. 15, s. 16, -1
Da questi passi si evince che l’11 dicembre 1448, scaduto il contratto di affitto con i maestri di grammatica Niccolò di Giovanni e Iacopo di Simone, la Compagnia del Bigallo concesse in locazione la scuola di Orsanmichele al Maestro Benedetto di Antonio di Cristofano, più noto come Benedetto da Firenze, uno dei maggiori abacisti del Quattrocento. Il contratto aveva una durata triennale, dal 1° novembre 1448 al 31 ottobre 1451, e fissava un affitto di 52 lire di piccioli l’anno, da pagare di sei mesi in sei mesi. Nel rogito, purtroppo non pervenutoci, sembra che Bettino non comparisse, almeno esplicitamente, come affittuario, ma solo nelle vesti di mallevadore di Benedetto, assieme a suo padre Antonio di Cristofano. Come si legge sempre nei precedenti passi, il Da Romena si trova tuttavia più volte negli elenchi del ‘dare e avere’ del Bigallo. Nell’anno 1448 quale creditore di 10 lire per «II usci e per ammattonare», cioè per lavori fatti nella casa di Orsanmichele, e come debitore, in totale di 29 lire e 12 soldi, forse di materiale acquistato per la scuola. Nel 1451 in riferimento ad un pagamento di 15 lire e 16 soldi fatto per conto di Benedetto, sembra come parte dell’affitto della bottega. Molti anni dopo, nel Catasto del 1469, lo stesso Bettino si dichiarerà ancora debitore del Bigallo probabilmente sempre in relazione ai suoi precedenti rapporti con la bottega dell’abaco. Aggiungiamo che nel 1450, benché nei libri del Bigallo non figuri mai col titolo di Maestro, Bettino era già insegnante di abaco. In un ‘Quaderno di cassa’ di Niccolò di Francesco Cambini e compagni, banchieri fiorentini, in data 20 giugno 1450 si legge infatti: Rede di Panuzio di Zanobi del Bria deono dare ... E a dì 20 di gugno [MCCCCL] grossi quatordici per loro a Bettino, maestro dell’abacho, portò chontanti per resto di suo salario de’ fanciulli, cioè dette Rede tiene all’abacho ___________________________________ f. _, s. XXVII, d. _2
Osserviamo infine – come vedremo più dettagliatamente tra breve – che un anno dopo la conclusione del contratto di locazione della scuola di Orsanmichele, il Da Romena prese in affitto un’altra bottega d’abaco, collaborando con un altro maestro. Tutti questi elementi inducono a ritenere che durante il triennio 14481451, il giovanissimo Benedetto di Antonio, alla sua prima esperienza 1 2
ASF, Comp. poi Mag. del Bigallo 749, c. 186s; E. Ulivi, Benedetto da Firenze, cit., pp. 185-186. AOIF, Estranei 263, c. 298v; cfr. E. Ulivi, Mariano del M° Michele, cit., p. 344.
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didattica, abbia avuto come socio nella scuola del Bigallo il più maturo abacista Bettino. Dopo quel triennio, dal novembre 1451, la casa in Orsanmichele ritornò ad essere una scuola di grammatica, e lo rimase per molti anni. In seguito, dopo avere tra l’altro ospitato due mercanti di lana, fu affittata ad un prete, tale Ser Simone che, almeno tra il 1504 ed il 1505, v’insegnò sia a leggere e scrivere che l’abaco. Con lui si concluse la storia della scuola di Orsanmichele. Nel Popolo di Santo Stefano, sempre del Quartiere di Santa Croce, non lontano dalla Chiesa di Orsanmichele, sorgeva nel Quattrocento la splendida Abbazia di Santa Maria e Stefano o Badia Fiorentina, che fu sede di una delle più ricche biblioteche di Firenze. Il monastero si affacciava ad est sulla Via del Palagio, un tratto dell’attuale Via del Proconsolo, e su Piazza Sant’Apollinare, parte di Piazza San Firenze, a sud su Via del Garbo oggi Via Condotta, ad ovest su una strada parallela alla Via dei Magazzini, e a nord su Via San Martino, ora Via Dante Alighieri, che si diceva anche la via «che va al Proconsolo». 1 Nelle strade limitrofe, la Badia possedeva numerose case e botteghe, con una prevalenza di miniatori, cartolai e librai, tra cui il noto biografo Vespasiano da Bisticci che tenne la sua cartoleria «in sul canto della Via del Palagio et del Proconsolo» tra il 1450 ed il 1478. 2 Diversi furono anche gli studi notarili, come quelli già ricordati di Ser Niccolò Da Romena e di Ser Piero da Vinci, sempre nella Via del Palagio. Una delle botteghe più grandi della Badia era situata sul lato nord dell’edificio, in Via San Martino, di fronte alla via «va a Santa Margherita». Il sito era vicino ad una delle porte di accesso alla Badia ed era contigua alla celleria del monastero. Qui, come si apprende dal relativo inventario dei beni dell’anno 1441, il celleraio custodiva tutto ciò che poteva servire per scrivere, fare di conto, per conservare scritture e denari, inoltre «Più libri vecchi e nuovi dal mille». 3 1 Cfr. Alessandro Guidotti, Vicende storico-artistiche della Badia fiorentina, in La Badia fiorentina, testi di E. Sestan, M. Adriani, A. Guidotti, Firenze, Cassa di Risparmio, 1982, pp. 54, 81. 2 Erano in realtà «due botteghe che l’una entra nell’altra, con palchi, acte da chartoleria, poste contigue ... », che Vespasiano tenne in società con il libraio Michele di Giovanni: cfr. ASF, Corpor. rel. soppr. dal Gov. franc. 78, 78, cc. 12s, 58s-58d, 183s-183d; 78, 79, cc. 22s-22d; 78, 80, cc. 27s-27d; 78, 261, c. 256v. Su Vespasiano e la sua bottega cfr. Giuseppe M. Cagni, Vespasiano da Bisticci e il suo epistolario, Roma, Ed. di Storia e Letteratura, 1969, in particolare le pp. 47 e sgg. Il noto libraio conobbe con buona probabilità il Maestro Bettino e sicuramente suo fratello Ser Niccolò presso il quale stipulò un atto di vendita il 22 novembre 1479: ASF, Not. Antec. 15038, c.n.n. Altri due rogiti di Vespasiano del 7 e 30 gennaio 1468 si trovano nel Not. Antec. 9602, alle cc. 128r-129v; lo stesso volume contiene un documento che riporteremo, del 30 agosto 1465, con i fratelli Da Romena e con l’abacista Lorenzo di Biagio. 3 ASF, Corpor. rel. soppr. dal Gov. franc. 78, 386, c. 4v; A. Guidotti, Vicende storico-artistiche della Badia fiorentina, cit., pp. 121, 171.
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La bottega in San Martino si trovava sotto il locale dove un tempo stavano «i riveditori di panni lani» e all’inizio degli anni quaranta fu occupata da dei legnaioli che vi rimasero fino all’aprile del 1452. 1 Il 26 gennaio 1453, Don Francesco di Agostino, sindaco e procuratore della Badia, presso il notaio Ser Piero di Carlo del Viva, stipulò il seguente contratto: Item postea, dictis anno [MCCCCLII] indictione et die XXVI mensis ianuarii. Actum Florentie, in Abbatia florentina, presentibus testibus etc. Ser Ghaleocto Loysiis de Covonibus et Iohanne Pieri Antonii, Populi Santi Simonis de Florentia. Dompnus Franciscus Augustini, sindicus et procurator Abbatie florentine, prout de sindicato, de procuratione et mandato constat manu mei Pieri, notarii infrascripti, omni meliori modo etc. locavit ad pensionem Bectino Ser Antonii de Romena, ibidem presenti etc., unam apothecam dicte Abbatie, positam Florentie in Populo Sancti Stefani Abbatie florentine, cui a I via, a II, III et IIII bona dicte Abbatie, pro tempore et termino unius anni proxime futuri, incepti die XV mensis novembris proxime preteriti et ut sequitur finiendi. Que bona etc. promixit alteri non locare etc. Et e contra dictus Bectinus promixit dicto Dompno Francisco dicta bona pro alio non confiteri etc., et in fine temporis relapsare libera et expedita, et solvere pro dicto anno florenos novem auri et unam libram chandelarum cere etc. Que omnia etc. promixit etc., obligavit etc., renuntiavit etc., per guarantigiam etc. Et eius precibus et mandatis fideiussit Magister Laurentius Blaxii de Campi, qui fideiussit, promixit etc., obligavit etc., renuntiavit etc. per guarantigiam etc. 2
L’ubicazione della bottega di cui si parla nel rogito viene meglio precisata in un ‘Libro di ricordi’ della Badia, dove si legge: Ricordanza come oggi questo dì 26 di genaio [1452] io Don Francesco, celleraio e sindaco et procuratore della Badia di Firenze, allogai a pigione a Bettino di Ser Antonio da Romena, maestro d’abbacho, una botega posta al lato alla celleria di detta Badia, che da primo et secondo et terzo bona di detta Badia, da quarto Via di San Martino... . 3
Il precedente documento notarile e la relativa ‘ricordanza’ c’informano che a partire dal 15 novembre 1452 la bottega vicino alla celleria diventò una scuola d’abaco. Il locatario era il Maestro Bettino di Ser Antonio da Romena che con il sindaco della Badia concordò un affitto annuale di 9 fiorini d’oro più una libbra di cera per il giorno di Santa Maria Candelora. Come suo fideiussore venne nominato l’abacista Lorenzo di Biagio da Campi. Lorenzo – soprannominato Zolla per le sue origini – era il modesto figlio di un contadino e vinattiere, Biagio di Romolo, che con altri suoi 1 Cfr. Appendice, documento 29. ASF, Corpor. rel. soppr. dal Gov. franc. 78, 77, cc. 257s, 316s; 78, 78, cc. 56s, 224s-224d; 78, 261, cc. 69r, 91r; 78, 386, c. 10v. 2 ASF, Not. Antec. 21155, c. 115v. 3 ASF, Corpor. rel. soppr. dal Gov. franc. 78, 261, c. 132r.
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due figli, Antonio e Romolo, fu affittuario a Campi di case e poderi della Badia. Tra il 1433 ed il 1442, Lorenzo aveva insegnato nella famosa scuola di Santa Trinita, collaborando fino al 1440 con il Maestro Giovanni di Bartolo, 1 e almeno tra il 1446 ed il 1449 era stato maestro pubblico a Prato. 2 In una filza del Monastero di Santa Maria e Stefano, il ‘Libro Giallo segnato D’, sono registrate dettagliatamente le entrate e uscite relative al Maestro Bettino ed alla bottega d’abaco in San Martino. Ne riportiamo per esteso i corrispondenti passi: Bettino di Ser Antonio da Romena, maestro d’abacho, nostro pigionale d’una bottegha posta in Firenze al lato alla cielleria della Badia, chonfinata chome appare nella charta e alle Richordanze segnate C, c. 87, la quale à tolto a pigione dal Monastero per uno anno chominciato a dì XV di novembre 1452, finito per tutto dì XIIII di novembre 1453, per f. uno di sugello e libra una di cera l’anno pagando di sei mesi in sei mesi e la cera per Santa Maria Chandellaia. Stette mallevadore per lui M° Lorenzo di Biagio da Champi, charta per mano di Ser Piero di Charlo del Viva, da come appare a dette Richordanze, c. 87, ne’ dì 26 di gennaio 1452, de’ dare a dì [ ] la pigione di detto anno chome di sopra si dicie ____________ f. VIIII E de’ dare f. nove d’oro e libra una di cera per pigione d’uno anno finito per tutto dì 14 di novembre 1454 ________________________________________ f. VIIII E de’ dare f. nove d’oro e libra una di cera sono per pigione di detta botega per uno finito per tutto dì XIIII di novembre 1455 _______________________ f. VIIII E de’ dare f. nove d’oro e libra una di cera per pigione di uno anno finito per tutto dì 14 di novembre 1456 ________________________________________ f. VIIII Uscissi della bottegha fornito che ebbe il sopradetto tempo de dì XIII di novembre 1456, et rimaseci spigionata. Rappigionamo da poi la detta bottega a Iacopo di Giovani bottaio, chome appare alle Richordanze segnate C, c. 18.3 Bettino di Ser Antonio da Romena, maestro d’abacho, nostro pigionale, de’ avere a dì VI d’aprile 1453 £. quatro, s. XVIII piccioni, e quali gli adiamo per Andrea di Giovani fabro, posto debi dare in questo c. 284, per salario di Bernardo suo nipote inpara abbacho, al Giornale segnato C, c. 200 ______________ f. -, £. IIII, s. XVIII E a dì XIIII di maggio 1453 £. quatro, s. II quali rechò e’ detto in quattrini, a entrata segnata D, c. 37 ______________________________________ f. -, £. IIII, s. II E a dì III di luglio 1453 f. uno largo, rechò e’ detto a entrata segnata D, c. 38 _____________________________________________________ f. I, £.-, s. XII E a dì VII di gennaio 1453 £. III piccioli per lui da Antonio di Niccholò da Cholle, posto debi dare in questo, c. 56, e quali disse Antonio li dessimo per parte di salario di dua sua figliuoli inparano ___________________________________ f. -, £. III E insino a dì primo di dicembre 1453 f. uno di suggello e £. dua, rechò e’ detto in f. I e grossi a entrata D, c. 42 _______________________________ f. I, £. II E insino a dì 7 di gennaio f. uno largo, rechò e’ detto a entrata segnata D, c. 44 _________________________________________________ f. 1, £.-, s. XII, d. VI 1 Su Lorenzo di Biagio e Giovanni di Bartolo si veda E. Ulivi, Maestri e scuole d’abaco a Firenze, 2 Cfr. Appendice, documenti 30 e 31 e la relativa nota. cit. pp. 57-61, 69-74, 83-91. 3 ASF, Corpor. rel. soppr. dal Gov. franc. 78, 78, c. 136s.
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E a dì primo di febraio 1453 libra dua di chandelere, recò Giovanni di Piero1 a entrata segnata D, c. 212 _________________________________________ f. E a dì XIII d’aprile 1454 f. uno d’oro, recò e’ detto in grossi e quattrini, a entrata segnata D, c. 46 ______________________________________________ f. I, E a dì primo di luglo 1454 f. dua d’oro, rechò e’ detto in grossi e quattrini, a entrata segnata D, c. 49______________________________________________ f. II, E a dì XI di settembre f. uno d’oro, rechò e’ detto in grossi e quattrini a entrata segnata D, c. 50 ______________________________________________ f. I, E a dì III di novembre f. uno d’oro, recho e’ detto in grossi a entrata segnata D, c. 52 _______________________________________________________ f. I, E a dì XX di dicembre £. dieci, recò e’ detto in grossi e quattrini a entrata segnata D, c. 54 ______________________________________________ f. II, £. I. s. X E a dì primo di febraio £. sei, s. XII, recò e’ detto in grossi e quattrini, a entrata segnata D, c. 55 _______________________________________ f. -, £. VI, s. XII E a dì detto libra una di chandele di ciera rechò Giovanni di Piero al Giornale segnato C, c. 230 _______________________________________________ f. E a dì X d’aprile £. quatro d’oro rechò Giovanni di Piero, e’ detto in grossi e quatrini a entrata segnata D, c. 57 _________________________________ f. -, £. IIII. E a dì XVIIII detto £. quatro piccioli, rechò e’ detto in grossi e quattrini a entrata segnata D, c. 60 _________________________________________ f. -, £. IIII, E a dì X di giugno lire due, s. XV piccioli quali rechò e’ detto per resto della pigione dell’anno finito per tutto ottobre 1454 d’achordo cho’ llui a entrata segnata D, c. [ ] __________________________________________________ f. -, £. II, s. XV E a dì XVI detto s. XVIII, d. I a oro rechò e’ detto in grossi XIIII, a entrata segnata D, c. 62 ________________________________________ f. -, s. XVIII, d. I a oro E a dì XVII di luglo s. XVIII, d. I a oro, rechò e’ detto in grossi XIIII a entrata segnata D, c. 63 __________________________________________. -, s. XVIII, d. I a oro E a dì XXIII detto s. XVIII, d. I a oro, rechò e’ detto in grossi XIIII a entrata segnata D, c. 63 _________________________________________ f. -, s. XVIII, d. I a oro E a dì IIII d’agosto s. XVIII, d. I a oro, rechò e’ detto in grossi XIIII a entrata segnata D, c. 63 ________________________________________ f. -, s. XVIII, d. 1 a oro E a dì V di novembre £. tre, s. XIIII, d. VI piccioli, rechò e’ detto in grossi e quattrini per resto di sei mesi, a entrata, c. 66 ________________f. -, s. XVII, d. VIII a oro E a dì XV di dicembre f. uno d’oro, rechò e’ detto in quattrini a entrata segnata D, c. 68 _____________________________________________________ f. I, E a dì XXIIII di giennaio f. uno d’oro, rechò e’ detto in grossi a entrata segnata D, c. 69 _______________________________________________________ f. I. E a dì XXXI detto libra un di ciera rechò Giovanni di Piero _____________ f. E a dì VII d’aprile 1456 f. uno d’oro rechò e’ detto in grossi a entrata segnata D, a c. 71 ______________________________________________________ f. I, E a dì XVII detto f. uno d’oro rechò e’ detto in grossi a entrata segnata D, a c. 72 ___________________________________________________________ f. I, E a dì XVIIII di maggio s. X a oro rechò e’ detto in grossi e quattrini a entrata segnata D, a c. 72 __________________________________________ f. -, s. X, d. - a oro E a dì XXVIIII detto f. uno d’oro rechò e’ detto in grossi e quattrini a entrata segnata D, a c. 72 ____________________________________________________f. I, 1 Era il fattore del convento: cfr. ad esempio ASF, Corpor. rel. soppr. dal Gov. franc. 78, 78, cc. 282s-282d.
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E a dì III di luglio f. uno d’oro rechò e’ detto in grossi e quattrini a entrata segnata D, a c. 73 ___________________________________________________ f. I, E a dì XII detto f. uno d’oro rechò e’ detto in grossi e quattrini a entrata segnata D, a c. 73 ___________________________________________________ f. I, E a dì 8 di febraio £. quatro piccioli, recò e’ detto in grossi e quattrini a entrata D, c. 99 ______________________________________________ f. -, s. XVIII, d. X E a dì 17 di marzo £. tre, recò e’ detto in quattrini a entrata segnata D, c. 100 ____________________________________________________ f.-, s. XIII, d. I E a dì 31 d’ottobre s. dieci a oro recò Giovanni in grossi e quattrini a entrata segnata D, c. 106 E a dì VIIII d’aprile 1460 £. due, s. III piccioli, rechò Giovanni di Piero a entrata segnata D, a c. 110 ___________________________________________ f. , s. X E de’ avere f. tre, s. VII, d. I a oro, posto debbi dare al Libro Verde segnato E, a c. 108 ______________________________________________ f. III, s. VII, d. I1
Nel suddetto ‘Libro Verde segnato E’, in riferimento agli anni 1460 e 1471 si legge rispettivamente: Bettino di Ser Antonio da Romena, maestro d’abacho, fu nostro pigionale di una bottega presso alla Badia, de’ dare f. tre, s. VII, d. I a oro, per tanti posto debbi avere al Libro Giallo segnato D, a c. 136, dove gli restava a dare per pigione di detta bottega ___________________________________________ f. III, s. VII, d. I2 Bettino di Ser Antonio da Romena, maestro d’abbacho, fu nostro pigionale, de’ dare f. III, s. VII, d. I a oro, per tanti posto debba avere in questo, c. 108 dove n’era debitore ______________________________________ f. III, s. VII, d. I a oro.3
Anche Biagio di Romolo compare più volte nel ‘Libro Giallo segnato D’, talvolta assieme a suo figlio Lorenzo. In particolare si legge : Biagio di Romolo di Giovanni da Champi nostro fittaiuolo chontrascritto de’avere a dì XV di gennaio 1452 £. dieci piccioli, rechò M° Lorenzo suo figliuolo in fiorini e quattrini a entrata segnata D, c. 34___________________________ f. -, £. X ... E de’ avere a dì VII di giennaio 1455 £. dieci, s. X rechò M° Lorenzo dell’abacho suo figliolo compagno di Bettino in f. dua larghi a entratta segnata D, c. 68 _______ _____________________________________________________ f. -, £. X, s. X4
Come risulta dai precedenti documenti, Bettino rimase nella scuola della Badia per quattro anni, fino al 14 novembre 1456; il periodo pattuito con il rogito del 26 gennaio 1453 venne dunque prolungato di tre anni. Pur avendo stipulato quel contratto unicamente a suo nome egli ebbe come «compagno», cioè come socio nella gestione della scuola, il Maestro Lorenzo di Biagio, suo mallevadore nell’atto di locazione. Alcune rate dell’affitto, che Bettino sosteneva probabilmente da solo, si protrassero fino al 1460; nel 1471 egli risultava ancora tra i debitori della Badia, per una parte dell’affitto dell’ultimo anno. 1 3
Ivi, c. 136d. Ivi, c. 337s.
2 4
ASF, Corpor. rel. soppr. dal Gov. franc. 78, 79, c. 108s. ASF, Corpor. rel. soppr. dal Gov. franc. 78, 78, c. 169d.
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Tra i ragazzi che studiarono con Bettino nel biennio 1453-1454 vi furono un certo Bernardo, nipote del fabbro Andrea di Giovanni, e due figli del legnaiolo Antonio di Niccolò da Colle che aveva occupato la bottega immediatamente prima di Maestro Bettino. Dopo il novembre 1456, il sito presso la celleria del monastero non ritornò più ad essere una scuola d’abaco. I frati lo lasciarono sfitto per diversi anni, e lo concessero di nuovo in locazione, dal 1462 al 1464, a due bottai, Domenico di Giovanni e Iacopo di Giovanni da San Godenzo. 1 Ma nei loro libri rimase il ricordo di quando aveva ospitato la scuola dell’abaco: Ricordanza come oggi questo dì XXII di maggio 1462 abbiamo dato a Domenicho di Giovanni, bottaio al Ponte alla Carraia di Firenze, la chiave della bottega [confina] con la celeria del nostro monastero, posta nella via che mena in Santo Martino, dove più fa si tenne la squola dello abbacho da Bettino di Ser Antonio da Romena che fu nostro pigionale. La quale bottega à tolta a fitto per quello tempo che a noi e a lui piaccia per tenervi dentro sue botti e altri lavori quasi per magazino ... . 2 Ricordanza chome in questi giorni io Don Arsenio di Matteo, sindaco e procuratore del Monastero di Santa Maria di Firenze allogai a pigione a Iacopo di Giovanni da San Godenzo bottaio una bottega grande senza palchi posta apresso la celleria et porta del nostro monastero, dove più fa stette a insegnare l’abacho Bettino di Ser Antonio da Romena chome apare al nostro Libro grande Giallo segnato D, a c. 136, per anni uno e per quel tempo più che faremo d’accordo, a ragione di f. otto di suggello per ciascuno anno, cominciando la pigione a dì primo di gennaio 1462 quando ebbe da noi la chiave ... . 3
Dalla fine del 1464 fino al 1475 la bottega divenne il fondaco dei mercanti Antonio e Giovanni, figli del medico Maestro Piero dal Pozzo Toscanelli. Finalmente, nel marzo del 1476, venne in buona parte incamerata nella celleria del monastero. 4 Gli anni trascorsi nella scuola in Via San Martino non furono gli ultimi della carriera didattica di Bettino. In un lodo del 1° aprile 1460, stipulato tra i mercanti Gerino, Giuliano e Leonardo di Piero Gerini si legge infatti: Item laudamus etc., cum reperiamus et nobis constet dictos fratres habere quamplures debitores, ... consignamus dicto Leonardo pro sua portione et parte, infrascriptos debitores ... // ... Bettinum de Romena qui docet abbachum ______________________________________________________ £.1, s. 13 ... 5 1 2 3 4 5
ASF, Corpor. rel. soppr. dal Gov. franc. 78, 79, cc. 100s, 164s. ASF, Corpor. rel. soppr. dal Gov. franc. 78, 261, c. 113br. Ivi, c. 118br. ASF, Corpor. rel. soppr. dal Gov. franc. 78, 80, c. 22s; 78, 261, c. 126br. ASF, Not. Antec. 9600 (Ser Giovanni Guiducci), cc. 117v-118r.
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Dunque, nell’aprile del 1460, il Da Romena esercitava ancora l’insegnamento privatamente a Firenze. Tuttavia i documenti di cui disponiamo non ci dicono né fino a quando portò avanti tale attività né in quale bottega fiorentina la svolse, negli anni successivi al 1456. Non è improbabile la continuazione del suo sodalizio professionale con l’amico Lorenzo di Biagio. Almeno tra il luglio del 1464 ed il luglio del 1465, Bettino di Ser Antonio ebbe un incarico come maestro d’abaco pubblico a San Gimignano. Nelle corrispondenti Delibere comunali si legge infatti che, il 19 maggio 1464, i magistrati locali elessero Magistrum Bettinum de Romena magistrum arismetrice pro tempore unius anni cum salario florenorum quadriginta nitidorum et cum benintrata soldorum viginti pro quolibet scolariorum suorum.
Il 23 maggio invitarono il Nostro scrivendo: Havendo la nostra comunità facto proposito havere uno maestro d’abbaco pe’ nostri figliuoli, finalmente per la buon fama della virtù et de’ costumi vostri, ne’ nostri consigli s’è fatta eletione di voi per uno anno con salario di fiorini quaranta di lire IIII° per fiorino netti d’ogni nostra gabella de’ salari, et soldi venti piccioli da qualunche scolare per benentrata senza altro salario. Il quale anno commincerà col nome di Dio a dì primo di luglio proximo a venire et prima se prima verrete. Confortiamovi addunque acceptare, veduta la nostra fede in voi ad acceptare et venire. Et di vostra intentione advisarci per il primo acciò sappiamo quello haviamo a fare. Ex Sancto Geminiano, die XXIII maii MCCCCLXIIII°.1
Non lontano, nel 1474-1475 a Colle Valdelsa, fu «magister et preceptor geometrie» del comune un non meglio precisato Maestro Bettino, con buona probabilità da identificare col Da Romena. 2 Dopo quegli anni, o già poco tempo dopo la sua permanenza a San Gimignano, Bettino di Ser Antonio abitò sempre o prevalentemente nel Castello di Romena, dove la sua presenza è documentata nel 1480. Forse a quel tempo, egli aveva lasciato l’insegnamento, o forse, nelle campagne del Casentino, ai figli dei piccoli artigiani e mercanti del luogo, aveva portato la sua cultura ed il suo amore per la matematica. 5. Bettino e gli abacisti del Quattrocento Riprendendo in parte quanto rilevato nel precedente paragrafo e sulla base di ulteriori documenti, vogliamo concludere evidenziando le relazioni dirette o indirette tra Bettino Da Romena ed altri abacisti a lui contemporanei. 1 2
ASCSG, 181 (Deliberazioni e Partiti), cc. 204v-205r. ASS, Comune di Colle Valdelsa, 348 (Stanziamenti), cc. 72r-73r.
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I documenti sulla scuola di Orsanmichele del triennio 1448-1451 vedono vicino al Maestro Bettino una figura che divenne poi di primaria importanza in campo matematico: Benedetto da Firenze, l’autore dell’ampia Praticha d’arismetrica contenuta nel codice senese L.IV.21 (1463), una delle cosiddette ‘enciclopedie’ matematiche del Quattrocento, e di un Trattato d’abacho di cui rimangono diciotto copie compilate circa tra il 1465 ed il 1525. I due abacisti – che quasi sicuramente insegnarono insieme nella Scuola di Orsanmichele quando Bettino era trentenne e Benedetto aveva tra i diciannove ed i ventidue anni – furono dunque in stretta relazione nel primo periodo di attività di Maestro Benedetto, un periodo per lui fondamentale non solo dal punto di vista didattico, ma anche per la sua formazione scientifica. I rapporti e l’amicizia tra i due abacisti proseguirono nel tempo, come testimonia un atto notarile del 25 aprile 1457 che mostra entrambi tra gli affiliati alla Società di San Michele ed i loro nomi uniti nel ruolo di procuratori della stessa compagnia. 1 Sei anni dopo Benedetto, nella sua Praticha d’arismetrica, non dimenticherà di elencare Bettino tra i più importanti maestri d’abaco del XV secolo, subito prima di Lorenzo di Biagio da Campi e di Frate Mariotto dei Guiducci. 2 Ancora più evidente e più forte di quello con Benedetto da Firenze fu il legame tra Bettino e Lorenzo di Biagio, sia professionalmente che sul piano umano. Questo viene attestato non solo dalla già rilevata collaborazione tra i due maestri nella Scuola della Badia, tra il 1452 ed il 1456, ma anche da un rogito del 30 agosto 1465 che recita: Item postea, dictis anno [MCCCCLXV], indictione [XIII] et die trigesima mensis augusti. Actum in domo sive curia residentie Dominorum Capitaneorum Partis Guelfe de Florentia, presentibus testibus etc. Brando Antonii de Nepozzano, Populi Sancti Niccholai de Nepozzano, Vallis Sevis, Comitatus Florentie, et Christop[h]oro Iohannis Chalvani de Ghaliata, partium Romandiole, Comitatus Florentie. Cunctis pateat evidenter qualiter constitutus coram me Iohanne, notario infrascripto, et testibus infrascriptis, Laurentius Blasii Romuli, magister abbaci et habitator ad presens, ut dixit, in Populo Sancti Fridiani de Florentia, testis inductus ad perpetuam rei memoriam per Gilium quondam Ser Antonii de Romena, Populi Sancti Michaelis Berteldi de Florentia, super infrascriptis negotiis dicti Gilii, et delato eidem Laurentio, primo et ante omnia, iuramento per me Iohannem, notarium iam dictum et infrascriptum, et qui Laurentius iuravit ad Sancta Dei Evangelia, scripturis corporaliter manu tactis, infrascripta omnia vera fuisse et esse, videlicet quod de anno Domini millesimo quadringentesimo quadragesimo setti1 2
Cfr. E. Ulivi, Benedetto da Firenze, cit., pp. 32-33, 85-86. BCS, L.IV.21, c. 408v; E. Ulivi, Benedetto da Firenze, cit., pp. 52-53.
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mo, sive de anno Domini 1448 proxime presentis, cum dictus Gilius et // Ser Niccolaus et Bettinus et alii eorum fratres habitarent in quadam domo posita in Via Chochumeri, quam tunc temporis dicebant tenere ad pensionem a Filippo Lippi et Iohanne Lorini, et quam tenuerunt ad pensionem per unum annum vel circa, quod tunc temporis dictus Laurentius multum conversabatur cum dicto Bettino et quasi semper rediebat in dictam domum cum dicto Bettino et fratribus predictis. Et quod in dicta sua tornata et per dicta tempora vidit multotiens dictum Gilium expendere de suis denariis in emendo charnes, olium, ligna et fructus et alia pertinentia ad victum dictorum fratruum, excepto vino. Et quod pluries et pluries dictus Gilius eidem Laurentio dedit de suis denariis propriis ut emeret talia bona et res, et quas res et bona, sic ut premictitur emptas per dictos Gilium et Laurentium et de denariis dicti Gilii, insimul postea dicti fratres commedebant et consumabant. Et quod postea, a dicto tempore usque ad annum Domini MCCCCLVII, dicti fratres habitaverunt in quadam alia domo posita in sul chanto della Via del Chochomero, quam tenebant ad pensionem a Monasterio Sancti Nicholai della Via del Chochomero de Florentia. Et dictus Laurentius similiter conversando cum dicto Bettino quasi semper rediebat in dicta domo cum dicto Bettino et fratribus, et quod vidit similiter dictum Gilium emere carnes, oleum, ligna, caseum et fructus et alia condecentia ad victum hominis, excepto vino. Et quod eidem Laurentio pluries et plurie dictus Gilius dedit de suis denariis propriis, ut talia bona et res emeret. Et quas res et bona sic ut promictitur empta per dictos Gilium et Laurentium et de denariis dicti Gilii, insimul postea dicti fratres commedebant et consumabant. Interrogatus dictus Laurentium per me Iohannem, notarium predictum et infrascriptum, si predicta dicebat et asserebat odio, amore, timore, prece, pretio vel aliqua alia humana gratia, dixit quod non sed pro veritate tantum. Rogavit me Iohannem, notarium infrascriptum, dictus Gilius ut de predictis publicum conficerem instrumentum.1
Il documento ci racconta che negli anni tra il 1447 ed il 1457 Lorenzo di Biagio fu spesso ospite dei Da Romena nelle case che abitarono in Via del Cocomero, dove si tratteneva con Bettino, e probabilmente con altri abacisti del tempo, in lunghe conversazioni. Nel curioso rogito, Lorenzo verrà chiamato a testimone del fatto che in quel periodo le spese per il mantenimento dei fratelli e del loro ospite furono tutte a carico di Gilio di Ser Antonio. Il notaio che interrogò in proposito Lorenzo e davanti al quale venne stipulato il rogito nella sede dei Capitani di Parte Guelfa, era Ser Giovanni Guiducci da Montevarchi, 2 il padre di quel Frate Mariotto citato da Benedetto nell’L.IV.21 proprio assieme a Bettino e Lorenzo. 3 Quasi sicuramente il frate francescano fu un loro amico comune. Ed era forse Lorenzo di Biagio, il «tuo et mio amicho .L.» di cui lo stesso Benedetto parla sempre nell’L.IV.21 riferendosi al destinatario del trattato in esso contenuto, scritto per lui su richiesta dell’amico 1
ASF, Not. Antec. 9602, cc. 53r-53v. Fu più volte Notaio della Signoria e Cancelliere; cfr. D. Marzi, La Cancelleria della Repubblica Fiorentina, cit. pp. 197 e sgg., 498, 499. 3 Su Mariotto cfr. E. Ulivi, Benedetto da Firenze, cit., pp. 14, 53. 2
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L.1 : un’amicizia, quella tra Benedetto e Lorenzo, che sarebbe nata proprio attraverso Bettino. A comprovare il legame che unì il Da Romena all’abacista di Campi, purtroppo tristemente significativa è anche la ripetuta presenza ed associazione dei loro nomi negli elenchi degli Ufficiali di Notte, tra i ‘tamburati’, cioè i querelati per sodomia. Le denunce risalgono agli anni 1453-14542 durante i quali i due maestri lavorarono insieme nella Scuola della Badia. In particolare, il 9 aprile 1453, in riferimento ad una precedente querela del 30 febbraio, si legge: Notificatum fuit in dicto tamburo qualiter tamburatio Bettini dell’abacho non erat verum, et illa tamburatio Laurentii de Champio, et facta fuerunt odio.3
Di fatto, talvolta – come anche per altri maestri d’abaco che compaiono negli stessi elenchi – le accuse si rivelavano ingiuste ed infondate. 4 Mentre per quanto riguarda Benedetto da Firenze e Lorenzo di Biagio l’amicizia e la collaborazione con Bettino sono indiscutibilmente ed ampiamente attestate, per altri nomi legati alla matematica dell’abaco, come il citato Frate Mariotto dei Guiducci, possiamo solo ipotizzare dei rapporti con il Da Romena, peraltro sempre sulla rigorosa base di documenti archivistici. In un volume nel notaio Ser Piero di Tolomeo Gucci, l’allora giovane Bettino compare tra i testimoni di un atto di locazione del 27 ottobre 1441 stipulato da Paolo di Matteo di Piero Fastelli Petriboni. 5 A tale 1 BCS, L.IV.21, c. 1r; cfr. Gino Arrighi, Il Codice L.IV.21 della Biblioteca degl’Intronati di Siena e la ‘Bottega dell’abaco a Santa Trinita’ in Firenze, «Physis», VII (1965), pp. 378-379; G. Arrighi, La matematica dell’Età di Mezzo. Scritti scelti, a cura di F. Barbieri, R. Franci, L. Toti Rigatelli. Pisa, ETS, 2004, pp. 137-138. Il passo in questione è il seguente: «E perché el disiderio tuo, el quale molte volte m’è stato ragionato dal tuo et mio amicho .L., chonsegua ò disposto a scriverti quello che è neccessario a essere chiamato atto ragioniere. Dicho che spesso .L. m’à detto del tuo volere; chonciosiachosaché alle volte si sia in fra voi dato un chaso o vogliamo dire ragione, alla quale, che chagione si sia stata, tu non l’ài saputa asolvere; dove ài chon lui ragionato: Io vorrei sança usare el maestro essere dotto. E la risposta data da llui fu: non essere a questo altro meço se non farti scrivere un trattato, dal quale tu possa conprendere sança preceptore quello vuoi. E, me preghato che io sia quello che tale opera faccia, ò disposto el volere suo seguire …». Probabilmente l’amico L. era il precettore del destinatario del trattato, sembra un membro della famiglia Marsuppini, della quale è visibile lo stemma nella stessa carta 1r. 2 ASF, Ufficiali di Notte e conservatori dell’onestà dei Monasteri 3, cc. 2v, 3r, 6v, 13v; nelle stessa filza il nome di Lorenzo si trova anche alle cc. 4v, 7r; inoltre negli Ufficiali di Notte 36, cc. 44s-44d, tra i debitori e creditori, in riferimento agli anni 1455 e 1456. Rileviamo che nel 14521456, tra i ‘tamburati’, figurano più volte anche i maestri d’abaco Benedetto da Firenze, Mariano di M° Michele, Calandro di Piero Calandri e Banco di Piero Banchi. Su questi si veda E. Ulivi, Mariano del M° Michele, cit.; E. Ulivi, Benedetto da Firenze, cit., ad vocem; più in dettaglio la 3 ASF, Ufficiali di Notte 3, c. 3r. successiva nota 4. 4 Cfr. in proposito E. Ulivi, Mariano del M° Michele, cit., p. 316; E. Ulivi, Benedetto da Firenze, cit., pp. 32, 43, 45, 189-191; E. Ulivi, Raffaello Canacci, cit., pp. 162-163, 181-182. 5 ASF, Not. Antec. 10640, I, c. 83v.
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Paolo, banchiere e computista, nonché autore di una nota Cronaca fiorentina, o con meno probabilità a suo fratello Marco, è da attribuire la compilazione di un interessante Libro d’arismetrica della prima metà del Quattrocento. 1 Il rogito del 1441, escludendo in esso un intervento di Bettino solo casuale, fa ritenere che il Da Romena fosse in contatto con l’abacista Petriboni. Nella prima delle filze che ci sono pervenute di Ser Niccolò di Ser Antonio, il fratello di Bettino, è contenuto un documento del 14 aprile 1455 2 in cui si parla di un vecchio debito dell’ormai defunto abacista Domenico d’Agostino Vaiaio; in proposito viene citato anche suo figlio Agostino di Domenico Cegia o Del Cegia. Tale Agostino e suo figlio Francesco avranno una posizione rimarchevole nell’ambito della cittadinanza fiorentina, come uomini di fiducia dei Medici ed amministratori del loro patrimonio. 3 Diversi anni dopo il rogito su Domenico Vaiaio, in un volume di Ser Francesco di Marco Da Romena, che fu spesso il notaio di Bettino e dei suoi fratelli, 4 vedremo Ser Niccolò fra i testimoni di un atto del 27 novembre 1475 in cui compare ancora Agostino di Domenico. 5 Il documento è tra l’altro preceduto da un rogito del 22 novembre con lo stesso Agostino e con suo figlio Soldo. 6 Due rogiti di quest’ultimo del 21 marzo 1476 e del 15 gennaio 1477 si troveranno inoltre in una filza di Ser Niccolò relativa a quegli anni. 7 Aggiungiamo che Maestro Bettino ed i suoi ebbero in comune con la famiglia Del Cegia anche i seguenti notai: Iacopo di Ser Antonio di Iacopo Da Romena, cugino del Nostro, Bartolomeo Corsi e Giovanni di Marco Da Romena. 8 Domenico d’Agostino detto Cegia, ma ben più noto con l’appellativo di Vaiaio per la sua attività di commerciante di pellicce di vaio, nacque nel 1386 e morì nel 1451/52. Fin oltre il 1433 abitò nel Quartiere di Santa Croce all’insegna del Carro, lo stesso Gonfalone e dunque la stessa zona 1 Cfr. G. Arrighi Il ‘Libro d’Arismetrica’ del Petriboni, «Bollettino Storico Pisano», XL, 1979, pp. 65-88; E. Ulivi, Antonio di Giovanni Mazzinghi ‘arismetra’ e l’abacista Petriboni, di prossima 2 ASF, Not. Antec. 15031, c. 22r. pubblicazione. 3 Cfr. Umberto Dorini, Le disgrazie di un nemico del Savonarola, «Rivista Storica degli Archivi toscani», 1,1929, pp. 186-198; Guido Pampaloni, I ricordi segreti del mediceo Francesco di Agostino Cegia (1495-1497), «Archivio Storico Italiano», 115, 1957, pp. 188-234; Dizionario Biografico degli italiani, 23, 1979, pp. 324-327. 4 Cfr. Appendice, documenti 26-28 e le note 6, di pp. 64-65, 7 di p. 66, 6 di p. 68. 5 ASF, Not. Antec. 8015, c.70r. 6 Ivi, c. 69v. 7 ASF, Not. Antec. 15037, cc. 88v, 284r. 8 Per i Da Romena cfr. Appendice, documenti 12, 20, 24, 25 e la nota 6 di pp. 64-65. Per i Del Cegia ASF, Not. Antec. 11047, c. 159r; 5728, cc. 151v-152r; 5730, c. 242r; 5731, cc. 266v-267v; 9634, cc. 185r, 186r; 9635, c. 56r; 9637, c. 207r; 9641, c. 268r; 9642, cc. 29r-29v; 9644, c. 66r; 9646, cc. 56r-56v.
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di Firenze in cui Bettino trascorse la sua infanzia e la sua prima adolescenza negli anni compresi tra il 1415 ed il 1430. Con tutta probabilità Domenico si dedicò alla matematica per puro diletto, senza esercitare professionalmente l’insegnamento. Egli compose un’opera scritta in forma dialogale e suddivisa in tre parti riguardanti il calcolo con le radici, l’algebra e la geometria. 1 Dell’opera completa purtroppo non abbiamo traccia. L’anonimo allievo del Vaiaio, autore della Praticha d’arismetricha contenuta nel codice Palat. 573 (c. 1460) della Biblioteca Nazionale di Firenze e nell’Ottobon. Lat. 3307 (c. 1465) della Biblioteca Apostolica Vaticana, ci racconta che verso il 1460 l’opera era «apropriata a Nicholò Chini», 2 e che iniziava con le parole «Dicie Nicholò Chini». 3 Dunque tale Chini doveva essere uno degli interlocutori dell’opera, e probabilmente era un cultore delle matematiche come lo stesso Vaiaio. Tra i cittadini fiorentini che negli anni 1458-1468 rogarono più volte con Ser Niccolò Da Romena incontriamo i fratelli Bartolomeo e Vivaldo di Niccolò Ghini. 4 Erano due facoltosi bicchierai, ossia mercanti ‘dell’arte del vetro’, che tra il 1435 e l’ultimo decennio del Quattrocento abitarono in San Marco, sotto il Gonfalone del Drago, nella Via del Cocomero, 5 quella strada dov’era la residenza di Ser Niccolò e dove aveva vissuto anche Maestro Bettino con gli altri fratelli. Proprio in un contratto del 4 maggio 1463, nel quale Niccolò di Ser Antonio prorogò 1
Su Domenico d’Agostino si veda E. Ulivi, Benedetto da Firenze, cit., pp. 49-50. BNF, Palat. 573, c. 410v. Cfr. G. Arrighi, Nuovi contributi per la Storia della Matematica in Firenze nell’età di mezzo (il Codice Palatino 573 della Biblioteca Nazionale di Firenze), «Istituto Lombardo, Accademia di Scienze e Lettere, Rendiconti, Classe di Scienze», A, 101,1967, p. 435; G. Arrighi, La matematica dell’Età di Mezzo, cit., p. 192. 3 BAV, Ottobon. Lat. 3307, c. 349v. Cfr. G. Arrighi, La matematica a Firenze nel Rinascimento. Il codice Ottoboniano Latino 3307 della Biblioteca Apostolica Vaticana, «Physis», X, 1968, p. 82; G. Arrighi, La matematica dell’Età di Mezzo, cit., p. 222. L’autore dei trattati contenuti nei codici palatino e vaticano ci fa inoltre conoscere una parte dell’opera del Vaiaio riportandone «50 chasi absoluti per reghola d’algebra» e sei «chasi geometrici sottili»: cfr. in proposito Laura Toti Rigatelli, Matematici fiorentini del Tre-Quattrocento, in Istituto Nazionale di Alta Matematica F. Severi. Symposia Mathematica, XXVII, 1986, Academic Press, London-New York, pp. 19-21. Anonimo Fiorentino, Alchuno chaso sottile, La Quinta Distinzione della ‘Praticha di Geometria’, dal codice Ottoboniano Latino 3307 della Biblioteca Apostolica Vaticana. A cura e con introduzione di A. Simi. Quaderni del Centro Studi della Matematica Medioevale, 23, Siena, Tip. ‘La Diana’, 1998, pp. 8, 33-35, 38-39; Annalisa Simi, La geometria nel primo Rinascimento. I contributi di un anonimo allievo di Domenico d’Agostino, «Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche», XX, 2000, pp. 195-209. 4 ASF, Not. Antec. 15035, cc. 14v-15r, 82r, 86r: rogiti del 23 luglio 1466, 23 maggio e 21 luglio 1468. Nella stessa filza Bartolomeo e suo figlio Ser Girolamo figurano anche come testimoni di cinque rogiti del maggio 1468, cc. 81r-81v, 82v. Un altro rogito venne stipulato da Bartolomeo sempre con Ser Niccolò il 7 agosto 1458: ASF, Catasto 925, c. 161r. Ser Girolamo fu anche lui notaio: cfr. ASF, Not. Antec. 3624-3631. 5 ASF, Catasto 79 (a.1427), c. 623r; 624 (a.1442), cc. 234r-234v; 715 (a.1451), cc. 641r-642r; 826 (a.1458), cc. 308r-314v; 925 (a.1469), cc. 160r-161r e 926 (a.1469), cc. 416r-416v; 1018 (a.1480), cc. 155r-156r e 1019 (a.1480), c. 406r; Not. Antec. 3629, c. 1r. 2
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l’affitto della casa, uno dei due testimoni fu il detto Bartolomeo Ghini. 1 In seguito, davanti al notaio Giovanni di Marco Da Romena, legato a Bettino, ai Ghini e ai Del Cegia, 2 il 19 giugno 1467 fu Bandino di Ser Antonio ad avere Bartolomeo Ghini tra i suoi testimoni, mentre qualche giorno prima, l’8 giugno, Ser Niccolò aveva a sua volta testimoniato per Bartolomeo. 3 Il 16 gennaio 1466, presso Ser Bartolomeo di Michele da Carmignano – ancora un notaio dei Da Romena 4 nonché socio di Ser Niccolò nello studio in Via del Palagio – Lisa di Salvestro di Paolo, la vedova e terza moglie di Niccolò Ghini, del Popolo di San Marco, nominò tra i suoi procuratori Ser Niccolò Da Romena con altri notai, e con Bartolomeo, Vivaldo e Francesco, i figli del defunto marito. 5 Il padre dei fratelli Ghini era un bicchieraio originario di Gambassi nel Piviere di San Lazzaro in Valdelsa, dove ebbe una casa e diversi terreni. Nato nel 1385, e dunque coetaneo di Domenico d’Agostino Vaiaio, egli compare al Catasto di San Lazzaro del 1427 come Niccolò di Ghino o di Chino, ossia Niccolò Ghini o Chini. 6 A quel tempo, benché il suo nome sia tra gli accatastati del Contado – come egli stesso dichiara e come risulta da un suo rogito del 19 gennaio 1427 – Niccolò abitava già a 1
2 Cfr. le note 8 di p. 85 e la seguente. Cfr. Appendice, documento 23. ASF, Not. Antec. 9631, cc. 66r-66v. Altri rogiti di Ser Giovanni Da Romena relativi a Bartolomeo e Vivaldo sono nello stesso Not Antec. 9631, cc. 52v, 55r; inoltre in 9633, Prot. I, c. 100v e Prot. II, c.15v ; 9640, cc. 198r, 239r-240v; 9641, c. 265r; 9643, c. 1r; nel 9644, c. 334r e nel 9646, cc. 266r-266v si trovano i testamenti di Bartolomeo Ghini e di sua moglie Mattea di Antonio Nolfi, datati rispettivamente 1490 e 1499. 4 Cfr. le note 6 di pp. 64-65 e 1 di p. 65. 5 ASF, Not. Antec. 1881, cc. 257r-258r. Prima e dopo, il 2 marzo 1458, il 30 maggio 1462 ed il 31 agosto 1467, nei rogiti dello stesso notaio, sempre Ser Niccolò viene citato assieme a Bartolomeo Ghini ed a suo figlio Ser Girolamo: Not. Antec. 1880, inserto 5, n° 4; 1881, cc. 115v116r, 350v. Cfr. anche la nota 1 di p. 88. Oltre a Ser Giovanni di Marco ed a Ser Bartolomeo di Michele da Carmignano, altri notai sia dei Da Romena che dei Ghini furono Ser Aiuto di Balduccio, Ser Guasparri di Simone Arrighi, Ser Niccolò Della Casa, Ser Iacopo Del Mazza e Ser Michele di Antonio da Santa Croce. Si veda la nota 6 di pp. 64-65; inoltre ASF, Not. Antec. 134, c. 10v; 942, cc. 116r-116v; 4420, cc. 354v, 361v; 13469, cc. 60r, 61v; Catasto 929 (a.1469), c. 659r. 6 Rileviamo che nei documenti del Quattrocento si trova indifferentemente il nome Chino o Ghino, e dunque il cognome Chini o Ghini, corrispondenti al patronimico di Chino o di Ghino. Ad esempio negli Atti in Cause Ordinarie del Tribunale della Mercanzia, in data 17 giugno 1437, abbiamo un Chino di Novellino Guicciardini che subito dopo è citato col nome Ghino: ASF, Mercanzia 1325, c.n.n. Nel Catasto del 1458 si legge di un Nofri di Ser Giovanni Ghini che al Catasto del 1480 compare invece come Noferi di Ser Giovanni Chini: ASF, Catasto 792, Indice e c. 354r; 998, Indice e c. 137r. Nell’anno 1497 si parla dell’eredità di un Chino di Marco di Chino che l’anno successivo è chiamato Ghino di Marco di Ghino: ASF, Magistrato dei Pupilli avanti il Principato 109, cc. 33r, 106v. Anche Ghino, figlio del bicchieraio Bartolomeo di Niccolò, in una postilla scritta dagli ufficiali del Catasto e relativa alla Decima Repubblicana del 1495, è indicato col nome Chino: ASF, Catasto 1018, c. 155r. Nella stessa Decima Repubblicana, ed in seguito, Ghino ed i suoi fratelli porteranno il cognome Buonamici: ASF, Decima Rep. 29, cc. 639r-640r. Aggiungiamo che nei repertori genealogici delle famiglie fiorentine si trova il cognome Ghini, ma non Chini. 3
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Firenze, nel Popolo di San Cristofano, sempre nel Gonfalone del Drago in San Giovanni. 1 Due documenti del 15 gennaio e del 6 marzo 1436 informano che in seguito egli visse proprio nel Popolo di San Marco, come i Da Romena. 2 Quasi con certezza Niccolò morì, nello stesso Popolo, tra la fine del 1463 ed i primi mesi del ‘64. 3 È lui l’unico Niccolò Chini di cui abbiamo notizia tra i cittadini fiorentini contemporanei del Vaiaio, e dunque verosimilmente da identificare con quel Niccolò che ne possedeva l’opera verso il 1460. Un altro nome noto agli studiosi della matematica dell’abaco che compare nei rogiti di Ser Niccolò Da Romena fu quello di Giovanni Del Sodo o Sodi. Lo troviamo il 2 novembre 1475 assieme a sua moglie Maria di Uguccione di Ghinozzo dei Pazzi ed il 15 gennaio 1477 come procuratore del cognato Leonardo di Uguccione. 4 Entrambi i rogiti sono nella stessa filza che conteneva i citati documenti di Soldo Del Cegia. Giovanni Del Sodo appartenne ad un’illustre famiglia originaria di Campi, come Lorenzo di Biagio, e fu un importante abacista della Firenze del primo Rinascimento. Nella sua lunga vita egli svolse un’intensa attività didattica che iniziò probabilmente in età matura, dopo il 1 ASF, Catasto 101, cc. 347r-348r; Not Antec. 1876 (Ser Bartolomeo di Michele da Carmignano), inserto 3, n° 6. In quell’anno, Niccolò era sposato con tale Apollonia. Dopo il 1427 non si troverà più nei volumi del Catasto fiorentino che ci sono pervenuti, né dei ‘cittadini’ né dei ‘contadini’. Egli era tra quegli abitanti di Firenze originari del Contado che non venivano considerati cittadini fiorentini a tutti gli effetti; per questo le sue portate catastali dovevano trovarsi in libri (che non ci sono pervenuti) dell’Estimo ‘a parte’, come si legge nel Catasto di suo figlio Bartolomeo in riferimento all’anno 1447: Catasto 715, c. 641r. 2 ASF, Not. Antec. 16537, cc. 502r-506v: i due rogiti si riferiscono al suo matrimonio con la seconda moglie Francesca di Giovanni del Rosso. Segnaliamo che tra gli Atti in Cause Ordinarie del Tribunale della Mercanzia si trovano vari documenti su Niccolò Ghini, ad esempio del 21 e 22 ottobre 1434, del 7 e 10 novembre 1436, del 18 gennaio 1437, del 22 e 23 dicembre 1438, del 19 maggio e 16 luglio 1439: ASF, Mercanzia 1315, cc. 222r, 223v; 1323, cc. 23v, 45v-46v, 342r; 1329, c.n.n.; 1331, cc. 102r, 358v. Due atti notarili da lui stipulati il 20 settembre 1439 ed il 20 settembre 1447 sono nei Not. Antec. 12026, cc. 326v-327r e 16044, c.n.n. Il 1° settembre 1454 ed il 26 novembre 1457 Niccolò fu testimone di due rogiti: Not. Antec. 12027, c. 227r; 15077, c. 509r. Altri due documenti relativi a Niccolò del 23 dicembre 1435 e del 15 dicembre 1449 sono in ASF, Ospedale di Santa Maria Nuova 36, cc. 314v, 413v. 3 Infatti, nei Not. Antec. 12027 e 12028 che contengono molti rogiti di Bartolomeo Ghini degli anni 1438-1468, in un atto del 27 dicembre 1463 ed in tutti i precedenti a lui relativi, il figlio di Niccolò è citato come «Bartholomeus Nicholai Ghini», mentre in un rogito del 2 ottobre 1464 e nei successivi si legge «Bartholomeus olim Nicholai Ghini»: cfr. Not. Antec. 12027, cc. 215r, 237r, 253r-257v; 12028, cc. 35v-36v, 42v-43r, 61r-62v, 78r-79v, 125r, 132v, 144v, 153r, 154v, 159v160r, 169v, 181v, 185v. Inoltre nella sua portata al Catasto del 1469 (ASF, Catasto 925, c. 161r), tra i «Beni alienati» al fratello Vivaldo, Bartolomeo elenca «Una parte coè mezo el valsente come debitori in mercantia la quale gli consegniamo l’anno 1463 chome ci lascò nostro padre ...»: secondo lo stile moderno si riferisce al 1463/64. Scrive poi di fare «ogni anno una pietanza in San Marco, benché non sia per testamento, ebbe fatto sempre nostro padre per lo passato»: dunque probabilmente Niccolò fu sepolto nella Chiesa di San Marco. 4 ASF, Not. Antec. 15037, cc. 42v, 178r.
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1463, 1 e che si protrasse fino agli albori del XVI secolo. Almeno tra il 1492 ed il 1500, forse già dal 1480, il Sodi insegnò in una scuola in Via dei Ferravecchi, ora Via Strozzi, nel Popolo di Santa Maria degli Ughi del Quartiere di Santa Maria Novella. Tribaldo dei Rossi, membro di un’antica famiglia di magnati fiorentini e padre di Guerriere che fu uno studente di Giovanni, nelle sue Ricordanze, raccontando le travagliate vicende scolastiche del figlio, scrive dell’abacista che fu «el migliore maestro d’abaco di Firenze». 2 Giovanni ebbe tra i suoi discepoli anche Francesco di Leonardo Galigai, autore della Summa de arithmetica (1521). La presenza dei Cegia, dei Chini e di Giovanni Del Sodo nei citati documenti, e quanto detto in proposito, dimostrano che Ser Niccolò ebbe con tutti loro rapporti diretti, e che suo fratello Bandino li ebbe con Bartolomeo Chini; induce di conseguenza a pensare che lo stesso Bettino abbia potuto conoscere i Cegia ed in particolare il Vaiaio, Niccolò Chini, e forse anche Giovanni Del Sodo. 6. Conclusione Gli elementi emersi dalla nostra indagine collocano Bettino Da Romena in una posizione di rilievo sia per quanto riguarda la sua attività ed il suo impegno didattico come maestro pubblico e privato, sia per i suoi legami, attestati o presunti, con alcune delle figure più significative del Quattrocento, soprattutto, ma non solo, nell’ambito della matematica dell’abaco. La documentazione fino ad ora raccolta non permette d’includere Bettino tra i maestri che associarono all’insegnamento la compilazione di opere scientifiche. È tuttavia molto probabile che il suo lavoro si sia svolto anche in quella direzione, e che il frutto della sua esperienza di abacista sia nascosto tra gli innumerevoli, e forse tra i migliori, manoscritti purtroppo ancora anonimi. Appendice In questa Appendice sono trascritti integralmente o parzialmente altri documenti dell’Archivio di Stato di Firenze su Maestro Bettino e sulla sua famiglia. Inoltre due documenti dell’Archivio di Stato di Prato sul Maestro Lorenzo di Biagio. 1 Di fatto, nella Praticha d’arismetrica dell’L.IV.21 (1463), Benedetto non riporta il nome di Giovanni Del Sodo tra i maestri d’abaco fiorentini del XV secolo. 2 BNF, Fondo Princ. II.II.357, cc. 99v, 158v, 159r. Su Giovanni Del Sodo si veda E. Ulivi, Benedetto da Firenze, cit., pp. 50-52; E. Ulivi, Scuole e maestri d’abaco in Italia, cit., pp. 145, 149.
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elisabetta ulivi Documenti dell’Archivio di Stato di Firenze
1. Catasto 68: Quartiere di Santa Croce, Gonfalone del Carro, cc. 7v-12r 1427 Sustanze e incharichi di Ser Antonio di Ser Badino. À di Prestanzone __________ ____________________________________________________ f. 11, s. 1, d. 3 Una chasa posta nel Chastello di Romena chon orto e ogni suo risedio, a I, a II via, a III in parte via in parte il muro del chastello, 1/4 in parte lo Spedale di Romena e in parte le Rede di Ser Antonio di Ser Bartolo ______________________ f. Un’altra chasetta chon orto e forno, stalle e celle nella quale tengho legnie, a I, a II, a III, a IIII via, cho’ mie masserizie, amendune a uso di me e della mia famiglia. Un pezo di terra lavoratia posta nella Chorte di Romena nel piano d’Arno, locho detto al Vigniale, a I Piero di Giovanni chiamato Paccio, a II Benamato di Bonagiuntino, a III Monna Bella Del Maza, a IIII il prete da Ponte. Un pezo di terra lavoratia posta in piano d’Arno, a I il fiume d’Arno ... . Un pezo di terra lavoratia posta nel piano d’Arno ... . Un pezo di terra pratia posta in Massimachoni ... . Un pezo di terra pratia posta in Qualto ... a III lo Spedale di Romena. Un pezo di terra pratia ... . Un pezo di terra lavoratia posta nella Chorte di Romena, il luogho che si chiama il Cholto ... . Un pezo di terra lavoratia posta a San Benedecto ... a III fossato e in parte lo Spedale di Romena. Un pezo di terra posta a Chollalto ... . Un pezo di terra lavoratia posta a Chasa Segnia ... . // Un pezo di terra chon quercie, di là dal fossato ... . Un pezo di terra pratia posta in Ferale ... . Un pezo di terra posto nella Villa di Tartiglia, al Metolo ... . Un pezo di terra lavoratia posta alla Noce ... . Un pezo di terra pratia e lavoratia posta a Champotuzi, a I, a II la Chiesa di Santa Maria da Romena ... . Un pezuolo di terra pratia e chastagnata posto al Bagno, a I via, a II beni dello Spedale di Romena ... . Un pezo di terra chastagnata nel Chosti alla Fratta, a I via, a II la Chiesa di Santa Maria da Romena ... . Un pezo di terra chastagniata posta nelle Chosti al Champaccio ... . Un pezzo di terra chastagnato nelle Chosti del Piano del Testa ... . Un pezo di terra lavoratia e pratia posta ale Lame, a I la Chiesa di Santa Maria da Romena ... . Un pezuolo di prato posto alla Docciuola, a I fossato, a II la Chiesa di San Donato a Coffia ... . // Un pezuolo di prato posto al Pratalino, a I ... in parte la Chiesa di Ristonchi ... . Un pezuolo di prato posto in Valdivaiano a Musi ... . Un pezo di terra pratia posto in Valdivaiano a Ressabuoi ... . Un pezo di prato posto ala Lama Rotonda ... . Un pezo di prato posto nel Ghavinozo di Valdivaiano ... a III in parte i beni della Chiesa di Tartiglia ... .
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Un pezo di terra lavoratia posto in Soprata ... a III la Chiesa di San Donato ... . Un pezo di terra salvaticha in Vallodole ... a II la Chiesa di San Donato a Coffia ... . Un pezo di terra salvaticha nel detto luogho ... . Un pezo di terra lavoratia boschata posta al Bosco a Fallucciano ... . Un pezo di terra pratia posta in Sopprata ... . Un pezuolo di prato posto al Charpino ... . Un pezuolo di terra pratia ... posto in Tracholle ... . // Un pezuolo di terra pratia ale Lame di Fallucciano ... . Un pocholino di terra pratia posto ale Lame al Prato ... . Un pocholino di prato posto nel decto luogho ... . Un pezuolo di terra lavoratia a Fallucciano ... . Un pezo di terra lavoratia con peri a Fallucciano ... . Un pezo di terra posta in Vetareta ... . Un pezo di terra ala Lama al Prato ... . Un pezo di terra lavoratia ... posta a Lavacchio ... . Un pezzo di terra pratia posta nel Piano dell’Isola, a I beni della Pieve di Stia ... a III il fossato di Rimaggio. Un pezuolo di terra pratia alle Querciuole ... a IIII lo Spedale di Stia. Un pezo di terra in Chavitulli ... . Un pezuolo di terra soda posta al Chanpo alla Fonte ... . Un pezuolo di terra lavoratia e querciata posta a Fallucciano ... . Un pezo di terra lavoratia posta alla Chollina ... . // Un pezo di terra posta al Ghuardingo ... . Un pezo di terra pratia posta a Valligialli ... . Un pezo di terra posta a Sceto ... . Un pezzo di terra lavoratia posta al Fitto ... . Un pezzo di terra pratia posta al Renaccio ... . Un pezzo di terra a Chamaggiori ... . Un pezzo di terra posta di là dalla Chollina in Champo Chastagnato ... . Un pezo di terra posto presso alla Chollina ... . Un pezo di terra pratia posto alla Chollina ... . Un pezo di terra a pastura posta in Prata ... a IIII lo Spedale di Romena. Un pezo di terra a pastura posta in Qualto ala Lama ... . Un pezo di terra a pastura posta a Chasali ... . Un pezo di terra querciata posta in Quercieto ... . Un pezo di terra chastagnata posta a Lavacchio nella Villa di Coffia ... . Più pezzi di terra soda e boschata posta in Valle Trampola in luogo salvatico ... . // Un pezo di terra soda posta a Campo Tofanaio presso al Chornato ... . Un pezo di terra vignata posta nella Chorte di Romena, luogho deto al Cholto ... . Un pezo di terra vigniata posta al Sollazo ... a IIII lo Spedale di Romena. Un pezo di terra vigniata posto alla Vacchareccia ... . Un pezo di terra vigniata posta al Donichato ... . Un pezo di terra ulivata e lavoratia posta nella Chorte di Montelungho, luogho detto a Cellole di Sotto ... . Una chasa a uso di lavoratore posta al’Isola chon certi pezi di terra vignati, lavoratii e chastagnati ... . //
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elisabetta ulivi Danari di Monte di più ragioni
Il Chomune di Firenze de’ dare: f. 507, s. 19, d. 6 a oro ... f. 30, s. 9, d. 1 di Monte di Pisa ... f. 243, s. 13, d. 4 di Prestanzoni ... f. 311, s. 12, d. 6 di Prestanzoni ... f. 41, s. 9, d. 4 di 2 Prestanzoni ... f. 2, s. 11, d. - per paghe sostenute di Monte Comune ... f. 12, s. 14 per paghe sostenute di Monte Comune ... f. 3 per paghe sostenute di Monte di Pisa ... f. 14, s. 6 per paghe sostenute di Monte Comune ... f. 3 per paghe sostenute del Monte di Pisa ... . Ritrovasi al presente in Chasentino, del quale s’è ritratto di maggiore parte di suoi debitori per non potere avere altro oltre a quello à bisogno per sé e per la sua famiglia, cioè ... : Debitori di detto Ser Antonio Toso d’Albizo e chompagni banchieri deono f. 70 ... // (c. 11v) ... . Incharichi di bocche Ser Antonio detto d’età d’anni 57 ________________________________ f. 200 Monna Francesca sua donna d’anni 35 _____________________________ f. 200 Bandino suo figliuolo d’anni 12 ___________________________________ f. 200 Bettino suo figliuolo d’anni 11 ___________________________________ f. 200 Margherita sua figliuola d’anni 8 _________________________________ f. 200 Bartolomea sua figliuola d’anni 7 ________________________________ f. 200 Niccholò suo figliuolo d’anni 3 __________________________________ f. 200 Agniesa sua figliuola d’anni 2 ________________________________ f. 200 ... .
2. Catasto 410: Quartiere di San Giovanni, Gonfalone del Vaio, cc. 131r-134r 1430 Ser Antonio di Ser Bandino da Romena achatastato nel Charro in f. 2, s. 2, d. 7. Due chase poste nel Chastello di Romena cho’ loro vochaboli e chonfini chome apare per la sua scritta, tiella per sua abitazione ... . Tre pezzi di terra posti nella Corte di Romena ... . // (c. 133v) Debitori buoni Da 35 debitori ... ________________________________________ f. 247, s. 2 ... Da Ser Iachopo di Ser Antonio ... __________________________________ f. Da 55 debitori ... ________________________________ f. 142, s. 9, resta f. 100 Da 12 debitori ... __________________________________ f. 47, s. 17, resta f. 20 Da 20 debitori ... _______________________________ Resta [...] f. 34, s. 7 ... . E sta a pigione in una casa di Cipriano di Simone Guiducci nel Popolo di Sancto Michele Visdomini e danne l’anno f. 10 ... .
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Bocche Ser Antonio di Ser Bandino d’età d’anni 60 _________________________ f. 200 Monna Francesca sua donna d’anni 38 _____________________________ f. 200 Bandino suo figliuolo d’anni 15 __________________________________ f. 200 Bettino suo figliuolo d’anni 14 ___________________________________ f. 200 Margherita sua figliuola d’anni 11 ________________________________ f. 200 Bartolomea sua figliuola d’anni 10 ________________________________ f. 200 Niccholò suo figliuolo d’anni 6 ___________________________________ f. 200 Angnesa sua figliuola d’anni 5 ____________________________________ f. 200 Gilio suo figliuolo d’anni - mesi 10 _____________________________ f. 200 ... .
3. Catasto 500: Quartiere di San Giovanni, Gonfalone del Vaio, cc. 53r-55v 1433 Sustanze di Ser Antonio da Romena Due chase poste nel Chastello di Romena ... // Due pezi di terra pratii ... // (c. 55v) ... . Incharichi Tengo una chasa a pigione da Santa Maria Nuova ... . Bocche Ser Antonio detto d’anni 63 _____________________________________ f. 200 Monna Francesca sua donna d’anni 41 _____________________________ f. 200 Bandino mio figliolo d’anni 18 __________________________________ f. 200 Bettino mio figlolo d’anni 17 ___________________________________ f. 200 Nicholò mio figliolo d’anni 9 ___________________________________ f. 200 Gilio suo figliuolo d’anni 4 ______________________________________ f. 200 Baldo mio figliolo d’anni 1 _____________________________________ f. 200 Margherita mia figliola d’anni - _________________________________ f. 200 Bartolomea mia figliola d’anni - __________________________________ f. 200 Agnesa mia figliola d’anni - ___________________________________ f. 200... .
4. Catasto 628: Quartiere di San Giovanni, Gonfalone del Vaio, cc. 847r-850v 22 dicembre 1442 Dinanzi a voi Signori Dieci della graveza del Popolo et Comune di Firenze. Rede di Ser Antonio di Ser Bandino da Romena. Quartiere di San Giovanni, Gofalone Vaio ... . Apresso alla presente iscripta ve si fa ricordo di tutte le sustantie et beni immobili, principalmente: Due case poste nel Castello di Romena ... . Un pezo di terra lavorativa posta nella Corte di Romena ... // ... . (c. 850r) Una casa posta al’Isola, Comune di Castello Castagnaio ... . E tutte le sopradette terre, vigne e prati e altre cose solevano rendere più che non fanno, inperò che funno guaste, come sapete, per la venuta di Nicholò Piccino in Casentino, spetialmente nella Corte di Romena.
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E truovomi creditore del Comune di Firenze chome apresso ve dirò ... // ... . Qui vi fo ricordo delle teste et delle boche: Mona Checha donna che fu di Ser Antonio di Ser Bandino d’età anni 51 Bandino di Ser Antonio d’età d’anni 27 Bettino di Ser Antonio d’età d’anni 26 Nicholò di Ser Antonio d’età d’anni 18 Gilio mio figliuolo d’età d’anni 13 Baldo di Ser Antonio d’età d’anni 10 Bartolomea di Ser Antonio d’età d’anni 21 Sto a pigione in una casa di Sancta Maria Nuova, Quartiere di Sancto Giovanni, Gonfalone Vaio, Popolo di San Michele Visdomini, pagone l’anno di pigione f. 10 ... . A dì XXII di dicembre.
5. Catasto 684: Quartiere di San Giovanni, Gonfalone del Vaio, cc. 323r-327v 28 febbraio 14471 Dinanzi a voi honorevoli Uficiali della nuova gravezza del Popolo e Comune di Firenze Rede di Ser Antonio di Ser Bandino da Romena ... . Una casa posta nel Castello di Romena. Ancora un’altra casetta con orto, stalla e cella nella quale tengo legna ... a uso di noi. Uno pezo di terra lavoratia posta nella Corte di Romena ... // ... (c. 327r) Una casa a uso di lavoratore posta nel Castello Castagnaio, luogo detto al’Isola ... . Danari di Monte Monte Comune intero __________________________________f. CCVIIII, s. 14 Monte Comune in Ser Antonio f. duemila duecento settanta tre, s. uno, d. 2 ____ __________________________________________________ f. 2273, s. 1, d. 2 Monte Vechio f. cinque _________________________________ f. 5 // (c. 327v) Incharichi Stiamo a pigione in una casa dello Spedale di Santa Maria Nuova posta nella Via di Santo Gilio, a I via, a II Santa Maria Nuova, III Mona Tencia; pagane l’anno f. dieci ________________________________________________________ f. X Abiamo a dare a Santa Maria Nuova per pigioni vechie di più anni fiorini quaranta o circha ___________________________________________________ f. 40 ... Le monache di Santo Giovanni Evangelista overo Monastero di Faenza deono avere f. cento d’oro per limosina alla Bartolomea nostra sirochia che entrò in detto monastero ... ___________________________________________ f. cento ... . Bocche Bandino di Ser Antonio d’età d’anni 30 Bettino di Ser Antonio d’età d’anni 28 1
A c. 328v si legge «Rechò Ser Nicholò a dì 28»; le altre portate sono del 28 febbraio.
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Ser Nicholò di Ser Antonio d’età d’anni 24 Gilio di Ser Antonio d’età d’anni 17 Baldo di Ser Antonio d’età d’anni 14 Monna Checha nostra madre d’età d’anni 58
6. Catasto 721: Quartiere di San Giovanni, Gonfalone del Vaio, cc. 336r-339r [agosto] 1451 Bandino di Ser Antonio di Ser Bandino da Romena, diceva nel primo Catasto in Ser Antonio, Ghonfalone Charro ... . Sustanze Una chasa posta nel Chastello di Romena ... . Un pezo di terra lavoratia posto nella Corte di Romena ... // ... . (c. 338v) Tutte le sopradette terre troverete nella mandata di Ser Antonio mio padre ... . E tutto il resto della mandata di detto Ser Antonio troverette nella mandata di Ser Nicholò mio fratello nel Ghonfalone Vaio. Tengho a pigione una chasa posta in sul Canto del Monastero di San Nicholò, la qual casa è di detto munistero. Paghone di pigione fiorini dieci, e fiorini sei ne pagha Nicholò mio frattello. In tutto f. 16 1/4. Boche Bandino di Ser Antonio d’età d’anni 32 Bettino di Ser Antonio d’età d’anni 30 Gilio di Ser Antonio d’età d’anni 24 Baldo di Ser Antonio d’età d’anni 17 Mona Checha mia madre d’età d’anni 65 Siamo tutti sanza alcuno aviamento. Abiamo nostra madre inferma che ci sta adosso ... .
7. Catasto 826: Quartiere di San Giovanni, Gonfalone del Drago, cc. 568r-568v [febbraio-marzo] 1458 Bettino di Ser Antonio di Ser Bandino da Romena. Ebbi nel primo Catasto in nome di Ser Antonio mio padre nel Gonfalone del Carro f. Disse nel Valsente in Bettino e Gilio e Baldo mia fratelli, non avemo valsente. Disse nella Cinquina in Bettino e Gilio e Baldo detti, avemo di cinquina s. 6, d. 8. Sustanze Un pezzo di terra vingnata posta nel Donichato, a primo via, a secondo Rede di Cola Spiglantini, a III via, a IIII la dona di Giovanni. Frutomi anno per anno: Vino _____________________ barili 5 Un pezzo di terra pratia posta in Ferrale, che a primo via, a II Rede di Benamato di Buonaguntio, a III Rede di Ser Antonio di Ser Bartolo.
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Un pezzo di terra lavoratia posta nella Villa di Tartiglia, luogo detto al Metolo, che da primo Guliano di Leonticino, a II e III Rede di Mateo di Simone, a IIII Piero d’Angnolo. Lavorali Giuliano di Leonticino. Fruttono anno per anno: Grano ____________________ staia 4 1/1 Un pezzo di terra lavoratia e pratia posta alle Lame, a primo Chiesa di Santa Maria di Romena, a secondo Rede di Giovanni da Valline, a III via. Lavora Morello da Valline. Frutta anno per anno: Grano staia sei ______________ staia 6 __________________________ f. - // Un pezzo di terra pratia mottata, posta in Tracolle, a primo via, a II, III Belcharo di Benedetto, a IIII Rede di Giovanni del Vogla. Un pezzuolo di terra selvaticha in Tracolle, a primo via, a secondo Rede di Belcharo di Benedetto. Lavoralo Guglielmo Borgini. Fructomi l’anno: Grano staia due, tre quarti ____ staia 2 3/4 Un pezzo di prato posto al Pratolino, a primo Rede di Iacopo di Fantuccio in parte, e in parte la Chiesa di Ristonchi, a secondo Rede di Simone di Monna Lotta. Tiello da mme Nencio di Meo. Ònne di frutto l’anno: Grano ____________________ staia 5 ½ Un pezo di terra pratia con quercie posta alla Collina, a primo fossato, a secondo Rede di Piero di Giovanni da Sorelle, a III la chiesa della Cullina, a 4° Beccuccio di Rocho. Lavorala per Beccuccio di Rocho. Rendemi l’anno: Grano staia 8 Un pezzo di terra pratia posta al Faeto, che da primo, 2° via, a terzo la Chiesa di Santa Maria di Romena, a 4° Nanni da Faeto. Un pezzo di terra a Chamazoni, che da primo Marcho di Ciapetta, a 2° Rede, a 3° fossato, a 4° Rede d’Antonio Brutini. Lavoralo Brunaccio di Piero. Fruttami l’anno: Grano staia 8. Un pezzo di terra lavoratia posta al Champo Castagneto presso alla Cullina, a primo via, a II fossato, e terzo le Rede di Nencio da Ristonchi. Lavorala Pagholo di Giovanni da Perella. Fruttami anno per anno grano: Grano staia 2 Un pezzo di terra a pastura posta a Chasali, a primo via, a secondo le Rede d’Antonio di Nanni, a terzo Rede di Guglielmo di Broguccio. Un pezzo di terra querciata posta in Quantido, che da primo e secondo via, a terzo le Rede di Ser Antonio di Ser Bartolo, a 4° le Rede di Piero di Ser Antonio. Un pezzo di terra pratia posta nella Villa di Choffi, sopra la chasa di Bartolo Nardi, luogho detto Cremoli, a primo Bidoro, a secondo Francesco Muccerini, da terzo le Rede di Bartolo Nardi [...] 1 in parte Guglielmo Borgacci. Fruttomi l’anno [...] staia 9. [...] di Romena tengovi fieno, da 1°, secondo, terzo [...] _______ f. 165, s. 2, d. [...]
8. Monte Comune o delle Graticole, Copie del Catasto 90: Quartiere di San Giovanni, Gonfalone del Drago, c. 193r 1469 2 1 In questo documento le parti indicate con tre puntini in parentesi quadre sono relative a pezzi di carta mancanti. 2 Della portata catastale di Bettino dell’anno 1469 ci rimane solo questa copia; la sua denuncia, infatti, non è presente nei due volumi del Catasto di San Giovanni, Drago, nn. 925 e 926.
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Bettino di Ser Antonio di Ser Bandino da Romena, ebbi nel primo Chatasto in nome di Ser Antonio di Ser Bandino, mio padre, f. 2, s. 2, d. 6. Ebbi nel 1451 di Valsente. Ebbi di Chatasto nel 1458, nel Ghonfalone del Dragho San Giovanni, s. 4, d. Ebbi di Ventina nel 1468, in detto Ghonfalone, s. 4, d. 2 Sustanzie Un pezzo di terra vingnata posta nella Corte di Romena, luogho detto el Donichato. Fruttami l’anno: Vino _________ barili V Un pezzo di terra pratia posto in Ferrale. Un pezo di terra pratia posto nella Villa di Tartizia, luogho detto alle Mettole. Fruttami l’anno: Grano ________ staia 4 ½ Uno pezzo di terra lavoratia e pratia, posta alle Lame. Fruttami l’anno: Grano ________ staia VI Uno pezzo di terra lavoratia, mottata, posta in Trachollo. Uno pezzo di terra selvaticha posta in Trachollo. Fruttami l’anno: Grano ________ staia 2 3/4 Un pezzo di prato posto al Pratolino. Fruttami l’anno: Grano ________ staia V Uno pezzo di terra pratia, con querci, posta alla Collina. Fruttami l’anno: Grano ________ staia VIII Uno pezzo di terra pratia posta al Ficho,1 a da primo, secondo e terzo la Chiesa di Romena. Uno pezzo di terra lavoratia, a primo Marcho di Ciappetta, a secondo Redi di Mano, a terzo fossato. Fruttami l’anno: Grano ________ staia II Uno pezzo di terra lavoratia, posto a Chapo a Chastagneto, presso alla Collina, a primo via , a secondo fossato, a III Redi di Meo. Fruttami l’anno: Grano ________ staia II Uno pezzo di terra a pastura posta a Chastelli,2 a primo via, a secondo Redi di Antonio di Giovanni. Uno pezzo di terra querciata posto in Querceto. Uno pezzo di terra pratia posto nella Villa di Choffi, sopra la chiesa. Fruttami anno per anno: Grano ________ staia VIIII Tutte le sopradette terre troverete nel primo Chatasto, nel Gonfalone del Charro, sotto nome di Ser Antonio di Ser Bandino, e sono chonfinate come in detto Chatasto si chontiene ______________________________________ f. 165. 2.5 Incharichi Truovomi debito chon la Chompagnia del Bighallo di Firenze f. 12 Truovomi debito col Chomune di Firenze, per mie gravezze, f. quindici ______________________________________________________ f. 15 o più
1
Dovrebbe essere Faeto.
2
Dovrebbe essere Casali.
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elisabetta ulivi Bocche
Bettino di Ser Bandino d’età d’anni 50
9. Catasto 1018: Quartiere di San Giovanni, Gonfalone del Drago, c. 145r 1480 Betino di Ser Antonio di Ser Bandino da Romena. Aveva di Chatasto l’ano 1470 Ser Bandino s. 5, e di Sesto £. 1, s. 8, d. 8. Sustanze 14 pezi di tera lavoratia, vigniatta, boschatta, sodi, pasture, posti in Chasentino, luogho detto a Romena, ne’ Popolo di Santa Maria a Romena, cho’ loro vochaboli e chonfini, chome apunto dice la mia scritta del Chatasto 1470.1 Rendono l’anno in parte: Grano ______ istaia 45 Vino ________ istaia 5 E detti ttereni sono istimati pe’ gl’uficiali posono il Chatasto 1470, chome apare nel libro del Chatasto 1470 ___________________________________f. 165. 2.5 Boche Betino di Ser Antonio detto no’ fane nulla. Istasi a Romena, non ghadagnia danaio, d’ettà d’anni 65
10. Notarile Antecosimiano 742 (Ser Antonio di Bandino Da Romena), c. 16v 2 luglio 1391 Mundualdum Domine Ghille In Dei nomine amen. Anno Domini ab eius incarnatione millesimo trecentesimo nonagesimo primo, indictione XIIII, die II mensis iulii. Actum in domo heredum Bettini Baldi de Romena, presentibus testibus ed hec habitis, vocatis et rogatis, videlicet suprascriptis. Domina Ghilla filia olim Uberti dicti il Cialda de Raginopolo et uxor olim Bettini Baldi de Romena, constituta coram me Antonio etc. petiit sibi dari in suo et pro suo legitimo et generale mundualdo [ ] ibidem presenti etc., quem dedi etc. et auctoritatem interposui etc.
11. Ivi, c. 17r 2 luglio 1391 Procura Domine Ghille Item ibidem incontinenti post predicta, eisdem anno, indictione et die et presentibus dictis testibus adhibitis et vocatis et habitis. Suprascripta Domina Ghilla, ! Di lato a destra, in riferimento ai 14 pezzi di terra ed alla Decima Repubblicana del 1495, si legge la seguente postilla scritta dagli Ufficiali del Catasto: «Al ‘95 in Ser Niccolò di Ser Antonio Bandini, Gonfalone Vaio, n° 340».
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certificata primo per Antonium de infrascriptis omnibus etc., cum consensu dicti [ ] sui legitimi mundualdi, ibidem presentis etc., omni modo etc., fecit suum procuratorem etc. Rigolem olim Bartoli Populi Sancti Bartoli [...] Raginopoli, Comitatus Comitis Iohannis olim Comitis Bandini, ibidem presentem et acceptantem, specialiter et nominatim ad vendendum etc. omnia et singula eius bona mobilia et immobilia, ubicumque existentia et que ad dictam Dominam Ghillam spectant etc. illi et seu illis personis et pro eo pretio et pretiis et cum illis pactis, promissionibus, obligationibus et clausolis et solemnitatibus et capitulis opportunis, et eo modo et forma et prout dicto Rigole procuratore predicto placuerit et videbitur. Dans, etc., promictens etc., obligans etc.
12. Notarile Antecosimiano 11031 (Ser Iacopo di Antonio Da Romena), cc. 36r-36v 6 giugno 1420 Ser Antonio Ser Bandini emptio In Dei nomine amen. Anno Domini ab eius salutifera incarnatione millesimo quadrigentesimo vigesimo, indictione XIII, die sexto mensis iunii. Actum in Populo Sancti Pauli Plebatus et Comunis Romene, Comitatus Florentie et Diocesis Fesulane, presentibus testibus ad hec habitis, vocatis et rogatis, videlicet Checho Marchi, Guidone Mazini et Iacobo Franceschini, omnibus Populi Sancti Pauli predicti et aliis suprascriptis. Bartolomeus quondam Nicholi de Tartiglia, Comunis Romene, Comitatus Florentie, per se et suos heredes ... vendidit in perpetuum provido viro Ser Antonio quondam Ser Bandini de Romena, cive et notario florentino, ibidem presenti, unum petium terre prative, positum in Comuni Romene et in Populo Sancti Laurentii alla Collina, Plebatus Romene, Diocesis Fesulane, cui a primo Ser Antonii Ser Bandini, emptoris predicti, a II via, a III et a IIII Pieri Iohannis Populi Sancti Donati de Seriere Plebatus Sancti Martini de Vado, Diocesis Fesulane. Item unum alium petium terre partim prative et partim ari cum quercibus, positum in Populi Plebis Sancti Petri de Romena, luogo detto alle Motte, cui a primo heredum Bucci Pagnozi, a II Pieri Iohannis decto Pactio, dicti loci, a III Ser Antonii emptoris predicti, a IIII fossatum, infra predictos confines vel alios si qui forent plures vel veriores ... // ... . Et hoc ideo fecit dictus venditor pretio et nomine pretii librarum quatuordecim parvorum, quod pretium fuit confessus habuisse et recepisse venditor prefatus a dicto emptore ... .
13. Ivi, cc. 37r-37v 11 giugno 1421 In Dei nomine amen. Anno Domini ab eius salutifera incarnatione millesimo quadrigentesimo vigesimo primo, indictione XIIII, die undecimo mensis iunii. Actum in Populo Sanctorum Iacobi et Christofani de Tartiglia, Comunis Romene, Comitatus Florentie et Diocesis Fesulane, presentibus testibus ad hec habitis, vocatis et rogatis, videlicet Nanni Guidonis Mazini de Sesto, Paulo Corsi Comunis Diocesis Fesulane et Comitatus Florentie, et Iohanne Francisci Mucciarini de Romena et Bartolomeo Nicholi dicti Populi Sanctorum Iacobi et Christofani et aliis suprascriptis. Pateat omnibus evidenter presentis instrumentis seriem inspecturis quod Pe-
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trum Iohannis Santini Populo Sancti Donati de Serrere, Plebatus Sancti Martini de Vado, Diocesis Fesulane ... vendidit, tradidit et concessit provido viro Ser Antonio Ser Bandini de Romena civi et notaio florentino ... unum petium terre prative cum quercibus positum in Comuni Romene et in Populo Sancti Laurentii alla Collina, cui dixerunt tales confines: a I via, a II heredum Domine Romele, in parte, et in parte Ecclesie Sancti Laurentii alla Collina ... . Et ... hoc ideo fecit // pro pretio ... librarum quinquaginta soldorum parvorum ... .
14. Notarile Antecosimiano 16540 (Ser Giovanni di Dino Peri), II, c. 41r 17 ottobre 1446 Item postea eisdem anno [1446], indictione [nona] et die decimo septimo mensis ottobris. Actum Florentie in loco Montis, presentibus testibus etc. Bartolomeo Augustini aurifice Populi Sancti Friani de Florentia et Niccolao Antonii Luce Manetti de Filicaria. Aditio hereditatis patris Ser Nicolaus olim Ser Antonii Ser Bandini de Romena, civis florentinus, sciens et cognoscens dictum olim Ser Antonium olim patrem suum mortuum esse ... et relictis dictis Ser Nicolao et Bandino, Bettino, Gilio et Baldo eius filiis legitimis et naturalibus et nullis aliis relictis filiis etc., et hereditatem dicti Ser Antonii eidem Ser Nicolao pro quinta parte ab intestato deferri et delatam esse, et credens dictam hereditatem sibi fore potius utilem quam damnosam, ipsam hereditatem pro dicta quinta parte ab intestato adivit etc.
15. Notarile Antecosimiano 14173 (Ser Migliore di Manetto Masini), c.n.n. 24 aprile 1447 In Dei nomine amen. Anno Domini millesimo quadringentesimo quadragesimo septimo, indictione decima et die vigesimo quarto mensis aprilis. Actum Florentie, in Populo Sancti Stefani Abbatie florentine, presentibus testibus etc. Ser Bartolomeo Micchaellis de Carmignano, cive et notario florentino, et Mariotto Iacopi Marci lanaiuolo Populi Sancti Laurentii de Florentia. Data fides Bettinus olim Ser Antonii Ser Bandini de Romena et hodie Populi Sancti Michaellis Bisdomini de Florentia, sciens dictum Ser Antonium eius patrem iamdiu mortuum esse et decessisse ab intestato, et eius hereditatem sibi pro quinta parte esse delatam, cognoscens dictam hereditatam potius esse utilem et lucrosam quam inutilem et dapnosam, ipsam hereditatem pro quinta parte ab intestato adivit et aprendidit et in ea se immiscuit. Rogans etc. // Item postea, dictis anno, indictione et die et loco, et eidem dictis testibus etc. Prefatus Bettinus, non revocando etc., omni modo etc., fecit etc. suum procuratorem etc. Ser Nicholaum Ser Antonii Ser Bandini, eius fratrem carnalem, specialiter ad exigendo paghas quorumcumque creditorum Montis Comunis Florentie debitorum dicto Bettino, et de exactione finiendum dicto Comune. Item ad permutandum et conditionandum omnes et quascunque quantitates et summas denariorum Montis Comunis Florentie descriptas sub nomine dicti Bettini vel eidem quemlibet pertinentes et spectantes etiam cum pagis et interesse et propterea dando licentia etc., et generaliter etc., dans etc., commictens etc., obligans, etc. Rogans etc.
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16. Notarile Antecosimiano 15130 (Ser Niccolò di Francesco di Niccolò), c. 240r 10 luglio 1447 Item postea dictis anno [1447], indictione [10] et die decimo mensis iulii. Actum Florentie in Populo Sancti Petri Maioris, presentibus testibus ad omnia et singula vocatis, habitis et rogatis, Bettino olim Ser Antonii de Romena Populi Sancti Michaellis Vicedominorum de Florentia et Piero Bernabe Iohannis Populi Sancti Simonis de Florentia, et Piero Andree Pieri Populi Sancti Simonis de Florentia ... .1
17. Notarile Antecosimiano 21060 (Ser Amerigo Vespucci), inserto 2, c.n.n. 22 ottobre 1448 Pro Monasterio Sancti Nicolai de Cafagio locatio Item postea, eisdem anno [1448], indictione [XII] et die XXII mensis octobris. Actum Florentie in Populo Sancti Stefani Abbatie Florentine, presentibus testibus etc. Ser Piero Tolomei Giani et Ser Zenobio Ser Pauli Bartolomei, notario et cive florentino, et aliis. Dominus Petrus Dominici, sindicus et procurator et sindicario et procuratore nomine Monialum, Capituli et Conventus Monasteri Sancti Nicolai Maioris alias de Cafagio, Via Cocumeri de Florentia, vigori dicti sui mundualdi etc., et omni modo etc., dedit et locavit ad pensionem etc. Bectino et Ser Nicolao, fratribus et filiis olim Ser Antonii Ser Bandini de Romena, civibus florentinis Populi Sancte Liparate 2 de Florentia, presentibus et conducentibus etc. unam domum dicti monasterii cum terreno, volta, puteo, coquina et salis et cameris et aliis hediffitiis et cum figura et ymagine Nostre Domine et aliorum Sanctorum, ex parte exteriori dicte domus, posite in Populo Sancti Marci, loco detto al Canto del Ciriegio, cui a primo et II via, a III Andrea Nofri lastraiuolo, a IIII bona dicti monasterii, infra predictos confines etc., ad habendum et possidendum etc., pro tempore et termino trium annorum proxime futurorum, initiandorum in kalendis mensis novembris proxime futuri et ut sequitur finiendorum etc., pro pensione et ad rationem florenorum sedecim auri quolibet anno, solvendorum de sex mensibus in sex menses et pro rata etc., et ultra predicta quolibet anno duos cerottos cere nove, ponderis in totum librarum duarum quolibet, in vigilia festivitatis Sancti Niccolai. Qui locator dicto nomine promisit non retollere etc. et defendere etc., et dictus conductor et quilibet eorum promixerunt etc. non retollere etc. et defendere etc. Et dictus conductor et quilibet etc. promixerunt etc. legitime teneri etc. ... .
18. Notarile Antecosimiano 1879 (Ser Bartolomeo di Michele da Carmignano), Inserto 5, c.n.n. 26 gennaio 1452 In Dei nomine amen. Anno Domini ab eius salutifera incarnatione MCCCCLprimo, indictione XV, et die XXVI mensis ianuarii. Actum Florentie in Populo Sancti Marci ... . 1 2
Fanno seguito due atti di Giovanni di Forese de’ Salviati e dei suoi figli. Era il Popolo di Santa Reparata poi Santa Maria del Fiore.
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Iulianum olim Antonii Ser Andree, setaiuolus Populi Sancti Laurentii de Florentia, fuit confessus et contentus se ex causa mutui veri et gratuiti fuisse et esse [...] Bandini Ser Antonii Ser Bandini, civis florentini Populi Sancti Marci de Florentia, in quantitate florenorum sexcentorum Montis Comunis, permutatorum per Sandrum Ser Taldini Sandri tanquam providum procuratorem nominibus dicti Bandini et Bettini Ser Nicolai, Baldi et Gilii, filiorum et heredum dicti quondam Ser Antonii ... . Finis pro Sandro Ser Taldini Bandinus, Bettinus, Ser Nicolaus, Egidius et Baldus, fratres et filii Ser Antonii Ser Bandini, fecerunt finem dicto Sandro Ser Taldini, presenti et recipienti specialiter et nominatim de quadam permuta florenorum 600 Montis Comunis ... .
19. Notarile Antecosimiano 14174 (Ser Migliore di Manetto Masini), c.n.n. 30 novembre 1454 Item postea, dictis anno [1454], indictione [III] et die trigesima mensis novembris. Actum Florentie in Populi Sancti Marci de Florentia, presentibus testibus etc. Ser Iohanne Bartoli Marci, notario florentino, et Iuliano Antonii Ser Andree Bartoli, setaiuolo Populi Sancti Laurentii de Florentia. Bandinus quondam Ser Antonii Ser Bandini de Romena, civis florentinus, ex parte una, et Bettinus, Nicholaus, Gilius et Baldus, fratres et filii quondam dicti Ser Antonii Ser Bandini de Romena, cives florentini et quilibet eorum, divisim, in solidum et de per se ex partibus aliis, generaliter etc. omnes eorum lites etc. compromiserunt etc. in providum virum Francischum Ser Antonii Ser Bartoli de Romena, tanquam in eorum arbitrum et arbitratorem etc., dantes etc. balyam etc. laudandi etc. de iure et de facto etc., cum pacto etc., promictentes etc. ... , sub pena florenorum auri 600, que pena etc. qua pena etc. pro quibus etc. obligaverunt etc. Renuptiantes etc., per guarantigiam etc. Quod compromissum durare voluerunt et vires habere per totum presentem diem //... . In primis quidem laudamus quod dictus Bandinus, de suis propris denariis solvat et solvere teneatur et debeat Comuni Florentie omnia et singula sua et fratrum suorum honera huc usque inposita super quacumque distributione onerum Civitatis Florentie, exceptis tamen honeribus dicti Ser Nicholai eius fratris, a dictis solvendis, dictus Bandinus nullatenus teneatur. Et quod deinceps omnia et singula onera que inponerentur super presenti vigenti distributione, solvantur hoc modo, videlicet: per dictum Bandinum solvantur pro quatuor ex novem partibus dictorum onerem, et per dictum Bettinum pro tribus partibus ex novem, et per dictum Gilium pro duabus partibus dictorum onerum. Et dictus Baldus durante dicta presenti distributione nil solvere teneatur de oneribus aliquibus impositis, que inponi in futurum contingerent super dicta presenti distributione dictus vero Ser Nicholaus teneatur ipse solvere sua propria onera. Et quod tenentur ad conservandum indepnem unum alterum et neque pro rata sua, pro qua solvere teneantur singula singulis referendo. Item laudamus etc. quod omnia et singula credita dictorum suprascriptorum fratrum descripta tam in dictum Ser Antonium, eorum patrem, quam in heredes dicti Ser Antonii, ac etiam quoddam creditum florenorum sexcentorum Montis, quod dictus Bandinus debet habere a Iuliano Antonii Ser Andree Bartoli sint, pertineant et expectent dictis et a dictos Bettinum, Ser Nicholaum, Gilium et Baldum, et quemlibet eorum, pro quarta parte, et quod de dictis crediti nil habeat
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facere dictus Bandinus, nec aliquis de ipsis creditis // ad dictum Bandinus pertineat; et sic dicta infrascripta credita cum infrascripta tamen conditione dictis Bettino, Ser Nicholao, Gilio et Baldo et cuilibet eorum pro quarta parte hoc nostro presenti laudo adiudicamus ... . Item laudamus quod dictus Bandinus restet et sit verus et legitimus debitor dictorum Bettini, Ser Nicholai, Gilii et Baldi florenorum centum, de quibus florenis centum dictus Bandinum teneatur et debeat dare Gilio, eius fratri predicto, florenos vigintiquinque pro eius rata dictorum florenorum centum per totum mensem iunii 1455 proxime futuri. Et residuum dictorum florenorum centum, videlicet florenos septuagintaquinque, tenetur dictus Bandinus dare et solvere dictis Ser Nicholao, Bettino et Baldo, cuilibet eorum pro rata, videlicet florenos 25 cuilibet eorum, per totum mensem octubris MCCCCLVIIII, et ad sic dandum et solvendum suprascriptis ut supra singula singulis referendo, dictum Bandinum hoc nostro presenti laudo condepnamus ... .
20. Notarile Antecosimiano 5728 (Ser Bartolomeo Corsi), cc. 180v-181r 13 marzo 1455 Ser Niccolai de Romena et fratris mandatum Item postea, dictis anno [1454], indictione [II] et die [XIII mensis martii] et loco [Florentie in Populo Sancti Stefani Abbatie Florentine] predictis, et presentibus testibus etc. Salvatore Iohannis Bentivegni Populi Sancti Martini de Castro Fochognani et Ser Bartolomeo Bambi Ciay, notario et cive florentino, et aliis. Bettinus et Ser Niccolaus, fratres et filii olim Ser Antonii Ser Bandini de Romena, heredes, videlicet quilibet eorum pro quinta parte ab intestato dicti Ser Antonii, eorum patris, non ab illa insistendum etc., sed de novo ad cautelam adeundum, non revocando etc., omni modo etc., fecerunt // etc. eorum et cuiuslibet eorum procuratores etc. Egidium et Bandinum, fratres et filios dicti Ser Antonii Ser Bandinii, licet absentes sed tanquam presentes et quemlibet eorum, in solidum etc., generaliter in omnibus litibus etc., ad agendum etc. Item ad exigendum etc. et de exactis finiendorum etc. Item ad faciendum capi etc. Et generaliter dantes etc., promictentes etc., sub ypoteca etc. Renuntians etc.
21. Notarile Antecosimiano 2600 (Ser Benedetto Betti Da Romena), cc.133r-133v 9 novembre 1457 Compromissum Item postea dictis anno [1457], indictione [VI], die [IX mensis novembris] et loco [Romena] et presentibus testibus etc. Francischo Nennis Blaxii alias Mancio, de Castro Sancti Nicholai, et Matheo olim Nannis Pieri Gilii de Romena. Bandinus, Bettinus, Ser Nicholaus, Gilius et Baldus, fratres et filii olim Ser Antonii Ser Bandini de Romena, omnes eorum et cuiuslibet eorum lites, causas, questiones etc., tam ortas quam oriundas etc. usque inde duraturas, presentem compromissum compromiserunt et compromisserunt et de hiis omnibus compromissum // generalem fecerunt in discretum virum Christoforum olim Ristori Pieri Magonis de Romena, tanquam in eorum arbitrum et arbitratorem etc. Quod compromissum durare voluerunt et vires habere per totum presentem diem ... .
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22. Ivi, cc. 133v-135r 9 novembre 1457 Laudum inter fratres In Dei nomine amen. Nos Christoforus olim Antonii Pieri Magonis de Romena, arbitrus, arbitrator et amicus comunis infrascriptorum partium, electus et absumptus a Bandino, Bettino, Ser Nicholao, Gilio et Baldo, fratribus et filiis olim Ser Antonii Ser Bandini de Romena et a quolibet eorum, ut de compromisso in nos facto constat manu mei Benedicti, notarii infrascripti, audito et intellecto dicto compromisso et visa balia, auctoritate et potestate nobis in dicto compromisso a dictis partibus concessis et attributi ... laudamus ... in hunc modum et formam, videlicet. // In primis quidem laudamus ... et adiudicamus dicto Bandino olim Ser Antonii ius ... petendi et exigendi omne ius crediti quod dicti fratres ... habent contra heredes Pieri Tucci de Vaiano, curie Romene, videlicet de florenis vigintiquinque largis et florenis decem de sugello, et eidem Baldo dictum creditum pertineat et expectet pleno iure, et in totum exigere possit a dictis heredibus Pieri Tucci de Vaiano, prout et sicut poterant dicti Bandinus, Bettinus, Ser Nicholaus, Gilius et Baldus et quilibet eorum ... //... (c. 135 r) ... . Latum et promulgatum fuit dictum laudum ... in domo Comunis Romene ... sub annis Domini nostri Yesu Christi ... millesimo quadringentesimo quinquagesimo septimo ... die nona mensis novembris ... .
23. Notarile Antecosimiano 4421 (Ser Niccolò Della Casa), cc. 221v-222r 4 maggio 1463 Item postea dictis anno [1463], indictione [VI] et die quarto mensis maii. Actum in Populo Sancti Marci de Florentia, presentibus testibus Bartolomeo Niccolai Ghini bicchieraio et Francesco Mattei aurifice, ambobus dicti Populi. Ser Pierus Dominici, sindicus et procurator monialium capituli et Conventus Sancti Niccholai de Cafagio, dicto sindicario nomine, et omni meliori modo etc., locavit ad pensionem Ser Niccolao Ser Antonii de Romena, notario florentino, presenti et conducenti pro se et suis heredibus, domum in qua ad presens habitat dictus Ser Niccolaus, positam super angulum Virginis Marie et contra dictum monasterium, pro tempore et termino trium annorum proxime futurorum, intratorum die primo presentis mensis maii et ut sequitur finiendum, pro pensione florenorum auri sedecim pro quolibet anno, et duorum cerettorum unius libre pro quolibet, videlicet pro festivitate Sancti Niccolai cuiuslibet anni dictorum trium annorum ... // ... .
24. Notarile Antecosimiano 9631 (Ser Giovanni di Marco Da Romena), c. 118v 2 maggio 1466 Revocatio procuratorum Bandini et Bectini de Romena Item postea, dictis anno [1466], indictione, et die secundo mensis maii. Actum Florentie in Populo Sancti Marci, presentibus Clemente Iacobi Nencii Bindi, farsetario Populi Abbatie Fesulane, et Georgio Pieri Mentucci, Populi Petri de Garliano partium Casentini, Comitatus Florentie, testibus etc.
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Bandinus et Bettinus fratres et filii olim Ser Antonii Ser Bandini de Romena, eorum propriis et privatis nominibus, ut heredes et hereditatis nomine quilibet eorum pro una quinta parte, omni meliori modo etc. et quolibet dictorum nominum etc. revocaverunt et permutatum haberi voluerunt Ser Niccolaum, eorum fratrem et filium olim dicti Ser Antonii, eorum et cuiuslibet eorum procuratorem ... .
25. Ivi, c. 124v 22 agosto 1466 Item postea dictis anno, indictione, et die vigesima secunda mensis augusti. Actum Florentie in Populo Sancti Ambrosii de Florentia, presentibus Matteo Andree Bonsii, dicti Populi, et Laurentio Ser Gregorii Martini, linaiuolo Populi Sancti Simonis de Florentia, testibus etc. Ser Niccolaius, Bandinus et Bettinus, fratres et filii olim Ser Antonii Ser Bandini de Romena, cives florentini, eorum propriis nominibus, ut heredes et hereditatis nomine quilibet eorum pro quinta parte ab intestato dicti Ser Antonii, eorum quondam patris, omni modo etc., sine revocatione ... fecerunt eorum dicto modo et nomine, et cuiuslibet eorum procuratorem Iulianum olim Antonii Ser Andree Bartoli, Populi Sancti Simonis de Florentia, generaliter in omnibus etc. ad agendum etc. Item specialiter et nominatim ad exigendum et petendum et habuisse et recepisse confitendum etc. omnes et singulas pretii et floreni auri quantitates ... essent descriptos creditores in et super quibuscunque libris Montis Comunis Florentie. Item ad acquirendum mutuo etc. Item ad locandum. Item ad optinendum etc. Item ad finiendum etc. Et generaliter dantes et promictentes etc. ... . Et voluerunt presens mandatum durare et vires habere hinc ad sex menses proxime futuros et non ultra ... .
26. Notarile Antecosimiano 8014 (Ser Francesco di Marco Da Romena), c. 49v 6 novembre 1471 Item postea dictis anno [1471], indictione, et die sexta mensis novembris. Actum in Castro Romene, presentibus Francisco Ser Antonii Ser Bartoli et Meo Romoli, fratribus ambobus de Romena, testibus etc. Bandinus et Bettinus, fratres et filii olim Ser Antonii Ser Bandini de Romena ... fecerunt eorum procuratores egregios viros Ser Migliorem Manetti Masini et Ser Niccolaum Ser Antonii Ser Bandini de Romena ... ad agendum, causandum etc. ... .
27. Notarile Antecosimiano 8015 (Ser Francesco di Marco Da Romena), c. 57v 13 luglio 1472 Item postea, dictis anno [1472], indictione [V], et die XIII mensis Iulii. Actum in Castro Romene, presentibus Ser Andree Francisci de Mediolano habitatore Florentie, ad presens officiali et notario Comunis Romene, et Iohanne Gilii de Vaiano, Curie Romene predicte, testibus etc. Bettinus olim Ser Antonii Ser Bandini de Romena locavit ad affictum Iohanni Belcari de Coffia, Curie Romene, presenti, recipienti et stipulanti pro se et suis
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heredibus, per quinque annos proxime futuros, unum petium terre prative, positum in Villa Coffia, loco dicto alla Valle, confinato, a I via publica, a II Iohannis Ghuglielmi, a III Angelis Ghuidonis, a IIII et a V Antonii Bocconcini ... .1
28. Ivi, c. 58r 26 agosto 1472 Item postea dictis anno, indictione, et die XXVI mensis augusti. Actum in Castro Romene, presentibus Bartholo Blasii Mini de Tartaglia, Curie Romene, et Bartholo olim Mathei de Massa, partium Lombardie [...]. Cristofanus olim Chiarelli Christofani de Romena, locavit ad affictum Bettino Ser Antonii Ser Bandini de Romena, presenti et recipienti et stipulanti pro se et suis heredibus, pro quinque annis proxime futuris, unum petium terre prative positum in Comune Romene, loco dicto a Termine, cui a primo via publica, a secundo heredes Andree Iohannis de Romena, a III [ ] ... .
29. Corporazioni Religiose soppresse dal Governo francese 78, 78, c. 9d [1445-1456] Una bottega atta a uso di legnaiuolo con terreno grande, posta sotto la sala dove stavano riveditori al lato al granaio del monastero, di rimpetto alla Via va a Sancta Margherita, alla quale da primo Via va al Proconsolo, da 1/2, 1/3, 1/4 beni di detto Monastero. Tiella a pigione Giovanni di Nardo legnaiuolo ... . Di poi si allogò a Antonio di Nicholò da Cholle legnaiuolo, in questo c. 56. Di poi si alloghò a Bettino di Ser Antonio da Romena per insegnare abacho per f. VIIII di sugello, in questo c. 136.
Documenti dell’Archivio di Stato di Prato 30. Casa Pia dei Ceppi 211, c. 280d 15 ottobre 1446-15 ottobre 1448 Maestro Lorenzo di Biagio da Chanpi e cittadino fiorentino, maestro d’albacho in Prato de’avere da questa Chasa per parte di suo salario per uno anno, inchominciato a dì quindici d’ottobre 1446 e finendo chome seghita, f. trentadue, a £. quatro, s. tre per fiorino, i quali denari de’ avere di tre mesi in tre mesi, cioè ongni 3 mesi f. 8 […]. ____________________________________________________ f. 32 E de’ avere per un altro anno cominciato insino a dì 15 d’ottobre 1447 et finito a dì 15 del presente mese d’ottobre 1448, per parte di suo salario, fiorini trentadue a £. quatro, s. tre per fiorino, lequali quantità di f. LXIIII ridotte a lire, fanno in somma di £. CCLXV, s. 12 _____________________________________ f. 32
31. Ivi, c. 386d 15 ottobre 1448-15 ottobre 1449 Maestro Lorenzo di Biagio da Campi, maestro d’albacho, de’ avere £. quaranta, s. dieci, el quale ò posto che deve dare in questo a c. 309 … . 1
Lo stesso rogito si trova anche nel Not. Antec. 8016, c.n.n.
bettino di ser antonio
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E de’ avere per uno anno cominciò per insino a dì 15 d’ottobre 1448 e finito a dì 15 d’ottobre 1449, f. trentadue, per £. quatro, s. tre per fiorino, per salario di detto anno, sono £. cientotrentadue, s. sedici __________________ £. 132, s. 16, d.-1
Elenco delle sigle ASCSG: AOIF: ASF: ASP: ASS: BAV: BCS: BNF:
Archivio Storico Comunale, San Gimignano Archivio dell’ Ospedale degli Innocenti, Firenze Archivio di Stato, Firenze Archivio di Stato, Prato Archivio di Stato, Siena Biblioteca Apostolica Vaticana Biblioteca Comunale, Siena Biblioteca Nazionale, Firenze Abstract
In this work we report the biography of Bettino di Ser Antonio Da Romena, an abacus teacher of the fifteenth century. Bettino, son of a rich notary, descended from an important family of Romena, a little village in Casentino. He was born in 1415/21 and died in 1484. He carried on an intense teaching activity in private and public tuscan schools, mainly in Florence. He had verified or presumed relations with personalities of the cultural florentine surroundings of that time, especially among the abacus masters. 1 Passi relativi allo stesso triennio d’insegnamento a Prato di Lorenzo sono nella filza 211 a c. 309d ed in Casa Pia dei Ceppi 227, cc. 168d, 191d. Lorenzo vi compare anche come debitore, per grano, vino e altro, dal 1446 fino al 30 gennaio 1452: cfr. Casa Pia dei Ceppi 211, cc. 280s, 309s, 386s; 227, cc. 168s, 179s, 191s.
un documento autografo su benedetto da firenze
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Elisabetta Ulivi * UN DOCUMENTO AUTOGRAFO ED ALTRI DOCUMENTI INEDITI SU BENEDETTO DA FIRENZE
I n un precedente numero del Bollettino, abbiamo pubblicato la biografia del maestro d’abaco Benedetto di Antonio di Cristofano (Firenze, 14291479), più noto come Benedetto da Firenze, uno dei maggiori abacisti de Quattrocento. 1 La ricostruzione biografica si è basata su centocinquanta documenti originali dell’Archivio di Stato di Firenze, tutti trascritti all’interno del lavoro. Recentemente, nel corso delle nostre indagini sulle scuole ed i maestri d’abaco del XV secolo, sono emersi altri documenti, conservati agli Archivi di Stato di Firenze, Arezzo e Perugia, che sono o si presume siano relativi a Benedetto da Firenze. Alcuni sono già pubblicati o comunque già noti, anche se non attribuiti al Nostro. I documenti inediti sono trascritti in questa nota. Di tutti diamo una breve descrizione, come complemento alla biografia dell’abacista fiorentino. 2 Ricordiamo che Benedetto è autore dell’ampia Praticha d’arismetrica (1463) contenuta nel codice L.IV.21 della Biblioteca Comunale di Siena, una delle cosiddette ‘enciclopedie’ matematiche del primo Rinascimento, e di un Trattato d’abacho (c. 1465) che ci è pervenuto in diciotto copie. Tra i documenti qui riportati, il più importante è un rogito del Notarile Antecosimiano dell’Archivio di Stato di Firenze, datato 14 maggio 1477, che occupa le due facciate di un foglio contenuto in un fascio di carte sciolte del notaio Ser Bartolomeo di Domenico Bindi. 3 Il documento recita: * Elisabetta Ulivi: Dipartimento di Matematica, Università di Firenze, Viale Morgagni 67/A, 50134 Firenze. E-mail: [email protected]fi.it 1 E. Ulivi, Benedetto da Firenze (1429-1479), un maestro d’abaco del XV secolo. Con documenti inediti e con un’Appendice su abacisti e scuole d’abaco a Firenze nei secoli XIII-XVI, Pisa-Roma, Istituti editoriali e poligrafici internazionali, 2002 (XXII, 1 del «Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche»). 2 Nella trascrizione dei documenti abbiamo sciolto le abbreviazioni, introdotto accenti ed apostrofi, ricostruito la punteggiatura e l’uso delle maiuscole; in parentesi quadre abbiamo aggiunto le date talvolta mancanti, e lettere o parole utili alla comprensione del testo. Nei documenti riportati parzialmente i tre puntini di sospensione stanno ad indicare brani da noi omessi nella trascrizione. Tre puntini in parentesi quadre indicano un passo illeggibile. Tre spazi vuoti tra parentesi quadre corrispondono ad una lacuna nel documento. 3 Archivio di Stato di Firenze (in seguito ASF), Notarile Antecosimiano 2876, cc. 57r-57v. Si ringrazia Lorenz Böninger per averci informati circa questo rogito. Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche · Vol. XXVI · (2006) · Fasc. 1
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elisabetta ulivi Die 14 maii 1477 1
In Dei nomine amen Noi Benedetto d’Antonio dell’abacho albitro et albitratore eletto et asunpto per compromessaria chonventione dagli eredi di Maestro Salvestro da Colle, da una parte, et da Giovanni di Guido da Colle, dall’altra parte, chome del chonpromesso in noi fatto apparisce charta per mano di Ser Lionardo di Giovanni da Colle notaio publicho fiorentino sotto suo tempo et dì, et veduto uno lodo per noi dato dell’anno prossimo passato MCCCC°LXXVI et del mese di dicebre proximo passato in tra lle dette parti, et veduto tutto quello lodamo, et veduto l’auctorità et potestà et balia a noi riserbata, et di nuovo veduto et inteso le lite et differentie et quistioni delle dette parti, et veduto tutto le loro ragioni produtte dinanzi a noi, per ogni migliore modo et via possiamo et dobbiamo detto lodo per noi altra volta dato correggiamo in questo modo et forma, cioè: Chonciosia chosa che una parte della loro lite et questione chome per lo detto lodo dato aparisce e di due panni che detto Giovanni di Guido dice avere mandati più tempo fa cioè del mese di febraio 1470 a Maestro Salvestro, el quali due panni el detto Giovanni di Guido dice avere mandati per uno Giovannardo allora gharzone d’uno Andrea di Lorenzo da Schanzano, et perché el detto Giovannardo era stato examinato sopra l’avere portati detti panni et diceva non gli avere avuti, per uno capitolo dato in quel lodo asolvevo detto Maestro Salvestro et suoi eredi del prezo di detti due panni, el quale ascende alla somma di £. cento otto. Et per uno altro capitolo dato in detto lodo, per alchune cagioni, concedevo al detto Giovanni di Guido potere insino a un certo tenpo altra volta pubblicamente fare examinare el detto Giovannardo chome per lo detto capitolo si manifesta. La quale examinatione fu fatta a Schanzano per lo venerabile huomo Ser Famiano de Salto allora vicario di Schanzano presenti amenduni le parti. La quale examinatione a me fu apresentata a dì 13 del presente mese di maggio, roghato Ser Giovanni da Romena. La quale examinatione bene intesa et bene le chagioni examinate, et per altre et più cagioni, lodiamo, sententiamo et dichiariamo e detti eredi di Maestro Salvestro essere veri et legittimi debitori di Giovanni di Guido della valuta di detti due panni cioè di £. cento otto, et vogliam si paghino al detto Giovanni di Guido o per lui ad altri chome sia di sua voluntà, ne’ tempi et termini per noi di sotto dichiarati. Anchora vogliamo, lodiamo, sententiamo et dichiariamo che fiorini quatro larghi che ‘l detto Giovanni di Guido aveva mandati a Schanzano per uno vetturale per dare a uno Matteo d’Antonio da Schanzano dal quale detto Maestro Salvestro aveva comprato lana. Et il detto veturale diceva avergli dati a uno Andrea di Lorenzo da Schanzano che gli desse a detto Matteo, et detto Matteo diceva non gli avere avuti. Dove in uno capitolo del lodo dato asolvevo dette eredi di Maestro Salvestro de’ detti f. quatro larghi, riserbando in uno altro capitolo el potere publichamente fare examinare detto Andrea di Lorenzo. La quale examinatione fatta con quelle solennità che nel capitolo del // detto lodo aparisce et a noi apresentata chome di sopra, cioè in dì 13 del presente mese di maggio. La quale bene examinata chondanniamo detti eredi di Maestro Salvestro a dare et paghare detti f. quatro larghi, che ascendono alla somma di £. ventidue, s. otto, al detto Giovanni di Guido da chi a lui piacesse, secondo e tenpi et termini per noi di sotto dichiarati. 1
In margine a sinistra è scritto: «Data fuit fides Petri Iohannis Guidi die 14 maii 1477».
un documento autografo su benedetto da firenze
ASF, Notarile Antecosimiano 2876, cc. 57r-57v
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Anchora lodiamo, sententiamo et chondanniamo detti eredi di Maestro Salvestro a dovere dare et paghare a Giovanni di Guido 1 le spese fatte per detto Giovanni di Guido per chagioni di detto piato, chosì quelle fatte nel primo piato et nel secondo della appellagione fatta a Colle, chome quelle fatte di poi per chagioni di detta causa insino a questo dì, sechondo quella tassa che sarà fatta per lo gudicie ordinario di dette parte. La quale somma vogliam ch’essi paghino con quelli termini et tempi per noi di sotto dichiarati. Anchora lodiamo, sententiamo et dichiariamo che quella quantità di denari che per questo lodo chondanniamo le eredi di Maestro Salvestro a dare et paghare al detto Giovanni di Guido, chosì le £. cento otto et le £. ventidue, s. 8 de’ 4 fiorini larghi, et la somma delle spese che ssi tasseranno 2 per detto giudicie ordinario di detta parte, si debbino dalle dette eredi paghare al detto Giovanni di Guido in questo modo et forma: Cioè la quarta parte per di qui a dì primo di gugnio 1478, et l’altra quarta parte ivi a uno anno cioè a dì primo di gugno MCCCCLXXVIIII cioè a dì primo di gugnio 1479, et l’altra quarta parte insino a dì primo di gugnio 1480, et l’ultima quarta parte per di qui a dì primo di gugnio 1481. Et non possa né sia licito al detto Giovanni di Guido per via alchuna fare gravare le dette eredi di Maestro Salvestro oservando detti paghamenti. Ma quando per detti eredi non fussi paghato a detti tenpi, sia licito et possa il detto Giovanni di Guido fare gravare in avere et persona e detti eredi per quella pagha overo per quelle paghe non paghate a tenpi congrui. Anchora lodiamo, sententiamo, dichiariamo tucti gl’altri capitoli del lodo da noi dato insino di dicembre passato stieno fermi et quelli sieno oservati secondo el modo et forma loro, et vogliam che questo sia l’utimo. Et ponghesi silentio et mai più di questo si ragoni oservandosi quanto in detti capitoli si chontiene. Fatto detto lodo per me Benedetto d’Antonio dell’abacho a dì 14 di maggio 1477 pro tribunal sedente nella 3 bottegha di Domenico di Stefano 4 ceraiuolo, che da primo via, secondo rede di Ser Alexo Pelli, a 3° Monna Giuliana donna che fu del Cino rigattiere, a 4° Bartolomeo de’ Cerchi, Popolo di Sancto Michele Bisdomini nella Via de’ Serrvi, presentibus Iohanne olim Dominici Francisci lignaiuolo, et Dominico olim Stefani Francisci ceraiuolo, ambobus Populi Sancti Michaellis Vicedominorum de Florentia testibus ad predicta vocatis. Et predictis etc., 5 sub pena f. 100 largorum, que pena aquiratur pro medietate Camere Comunis Florentie et pro alia dimidia parte dictum laudum observantibus. Rogatus die 14 maii 1477.
In questo lodo Benedetto da Firenze compare nelle vesti di arbitro di una lite tra Ser Bartolomeo e Giovanni figli ed eredi di un Maestro Salvestro da Colle Valdelsa, e Giovanni di Guido, o Guidone, da Colle, a causa di due somme di denaro, 108 lire e 22 lire e 8 soldi, che Salvestro doveva a Giovanni fino dal febbraio1471. Benedetto vi ricorda un suo precedente lodo relativo alla stessa questione, rogato nel dicembre 1476 proba1
Tra «Guido» e «le spese» è cancellato «tutte». La frase «che ssi tasseranno» è corretta da «tassate». 3 Tra «nella» e «bottegha» si legge il seguente passo cancellato: «mia habitatione cioè nella chasa dove io abito posta nel Popolo di Sancto Michele Bisdomini nella Via de’ Fibiai, che a primo via, 2°, 3° beni del Munistero degli Agnoli, a 4° Giovanni da Ghaiuole». 4 Tra «Stefano» e «ceraiuolo» c’è una «d» cancellata. 5 «Et predictis etc.» è aggiunto. 2
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bilmente presso il notaio Ser Leonardo di Giovanni Tolosani da Colle, e purtroppo perduto. Parla inoltre del risultato di un’indagine svolta sui fatti avvenuti da Ser Famiano di Giovanni da Salto, vicario di Scanzano, e consegnata a Benedetto il 13 maggio 1477 da Piero, figlio di Giovanni di Guido: a questo rapporto si fa riferimento in un rogito di Ser Giovanni da Romena, a noi pervenuto. 1 Alla luce di quanto emerso nello scritto del 13 maggio, il giorno successivo, dopo lunghe motivazioni e rettificando quanto da lui stesso stabilito nel precedente lodo del 1476, il Nostro dichiarò gli eredi di Salvestro effettivi debitori di Giovanni e stabilì i termini del pagamento. La frase che si legge a conclusione del rogito del 14 maggio: «Fatto detto lodo per me Benedetto d’Antonio dell’abacho», attesta che siamo in presenza di un documento autografo di Benedetto da Firenze, 2 il quale subito dopo riferisce di averlo scritto nella sua abitazione in Via dei Fibbiai, nel Popolo di San Michele Visdomini del Quartiere di San Giovanni. Fu questa l’ultima residenza del maestro, che la tenne in affitto tra il 1476 e il 1479 dal Monastero di Santa Maria degli Angeli, presso cui in quegli anni ebbe l’incarico di procuratore e fattore. L’abacista precisa anche i confini della casa, costituiti da altri beni del monastero e da quelli di Giovanni da Gaiole. Dalla correzione apportata alla fine del lodo, e da un’aggiunta con l’elenco dei testimoni, si deduce che Benedetto, dopo averlo stilato in Via dei Fibbiai, consegnò al notaio il documento che venne ufficializzato nella bottega di uno dei testimoni, il ceraiolo Domenico di Stefano di Francesco, bottega situata nella vicina Via dei Servi. L’originale è seguito da una copia sottoscritta dal notaio. 3 Come si legge nella postilla iniziale, un attestato del lodo venne consegnato a Piero di Giovanni di Guido. Interessanti, dal punto di vista del contenuto, sono i documenti che si riferiscono all’attività didattica di Maestro Benedetto. I primi fanno parte delle Deliberazioni dell’Archivio di Stato di Arezzo. 4 Essi c’informano che nel giugno del 1451, avendo inviato a Firenze due ambasciatori allo scopo di trovare un insegnante di aritmetica e geometria, i Priori aretini decisero di nominare maestro d’abaco per un anno un «Benedictum Antonii de Feghino, habitatorem Florentie», che accettò l’incarico a decorrere dal 15 agosto 1451 e con lo stipendio annuo di 1
Cfr. Appendice, documento 1. Fatta eccezione per alcuni interventi del notaio, o di chi per lui, che sembrano limitarsi alla parte finale da «presentibus» in poi, alla data e alla postilla che si leggono all’inizio del documento. 3 Cfr. le cc. 58r-59v. 4 Archivio di Stato di Arezzo, Provv. 9, cc. 105r, 106r, 107r, 145r, pubblicati in Robert Black, Studio e scuola in Arezzo durante il Medioevo e il Rinascimento. I documenti fino al 1530, Accademia Petrarca di Lettere, Arti e Scienze, Arezzo, 1996, pp. 508-513; cfr. anche Ivi, p. 47. 2
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36 fiorini. Solo dieci mesi dopo, il 16 giugno del 1452, gli stessi Priori elessero un altro maestro d’abaco, Pietro di Meo da Montepulciano. Questa circostanza e soprattutto la mancata presenza nei documenti aretini dei pagamenti relativi al suo stipendio, inducono a pensare che il suddetto Maestro Benedetto, pur avendo accettato l’incarico, non abbia in realtà insegnato ad Arezzo, o vi sia rimasto per un breve periodo. Riteniamo comunque pressoché certo che quel Benedetto di Antonio fosse detto da Figline per un errore dei magistrati aretini, e fosse in realtà l’allora molto giovane Benedetto di Antonio di Cristofano da Firenze. Ricordiamo che quest’ultimo, dal novembre 1448 al 31 ottobre 1451, a Firenze, tenne in affitto una scuola d’abaco in Orsanmichele, i cui locali erano proprietà della Compagnia del Bigallo e della Misericordia; 1 nella bottega l’abacista lavorò quasi sicuramente in collaborazione con l’amico Maestro Bettino di Ser Antonio da Romena. 2 Nel caso abbia svolto parte del suo ufficio ad Arezzo, si deve ammettere che il Nostro avesse lasciato la scuola fiorentina due mesi e mezzo prima dell’espletamento del contratto di affitto. Di molto posteriore, e senza dubbio riferito all’insegnamento di Benedetto da Firenze, è un documento del 24 dicembre 1472 contenuto in un volume dei Consigli e Riformanze dell’Archivio di Stato di Perugia. 3 In esso si legge: Magistri Benedicti Antonii de Florentia ad docendum arimetricam electio 4 Priores Artium Civitatis Perusii … Die XXIIII decembris ... volentes devenire ad electionem magistri periti cui doceat et docere debeat in Civitate Perusii artem arismetrice pro uno anno futuro, habentes notitiam claram de perititia, bonitate et doctrina aprobata Magistri Benedicti de Florentia in dicta arte experti … eligerunt, vocaverunt et nominaverunt in magistrum arismetrice ad docendum artem in civitate Perusii Magistrum Benedictum Antonii de Florentia pro uno anno proximo futuro incipiendo die qua veniet Perusium ad habendum et docendum cum salario florenorum sexaginta ad rationem XXXVI bolonenorum pro floreno, et quod non possit percipere ab aliquo scolari[o] ultra summam soldorum viginti, dummodo per totum mensem ianuarii proxime futurum se presentet coram M.D.P. in offitio presidentibus et acceptat conductam et electionem, et ipso non veniente electio predicta non valere. 1
Cfr. E. Ulivi, Benedetto da Firenze, cit., pp. 41-42, 181-185. Su questo cfr. E. Ulivi, Bettino di Ser Antonio, un maestro d’abaco nel Castello di Romena, «Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche», XXVI, 1, 2006, pp. 57-108. 3 Archivio di Stato di Perugia (in seguito ASP), Consigli e Riformanze 108, c. 183v. Il documento è citato in Vincenzo Bini, Memorie istoriche della perugina Università degli Studi, Perugia, F. Calindri, V. Cantucci, e G. Garbinesi, 1816 (rist. anast., Bologna, A. Forni, 1977), pp. 521-522, e in Giuseppe Ermini, Storia dell’Università di Perugia, Firenze, Leo S. Olschki, 1971, 1, p. 584. 4 Nell’indice del volume è scritto: «Magistri Benedicti Antonii de Florentia ad docendum abacum electio». 2
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Un mese prima, in due Provvisioni del 24 e 26 novembre 1472, i Priori perugini, dopo l’incarico tenuto per tre anni da un Maestro Iacopo di Francesco da Firenze, avevano stabilito di eleggere un nuovo insegnante di aritmetica. 1 Così, alla vigilia di Natale, avuta notizia dell’abilità e dell’esperienza del Nostro, lo nominarono maestro d’abaco per un anno, col salario di 60 fiorini oltre ad un massimo di 20 soldi per ogni scolaro, 2 a condizione che si presentasse ad accettare la condotta entro il successivo mese di gennaio. Ma, già il 21 febbraio del 1473, gli stessi magistrati elessero un altro maestro d’abaco, Evangelista Cipriani da Norcia, che prese servizio subito dopo. 3 È quindi quasi certo che Benedetto da Firenze non accettò l’incarico perugino oppure, come era avvenuto ad Arezzo, lo svolse per pochissimo tempo. La sua rinuncia, e dunque la sua permanenza a Firenze nel periodo in cui avrebbe dovuto trovarsi a Perugia, sembra testimoniata anche da alcuni passi di un libro di debitori, creditori e ricordi degli eredi di Francesco di Tommaso Pecori, tenuto da Bartolomeo di Miniato Lapini, libro conservato nel fondo Dono Panciatichi dell’Archivio di Stato di Firenze. In tali documenti è registrato un pagamento ad un maestro d’abaco di nome Benedetto, in data 4 gennaio 1474, per il suo insegnamento a Dino Francesco, il minore dei figli maschi del defunto Francesco Pecori: Spese deono dare … E a dì IIII di gienaio [MCCCCLXXIII], 4 £. due, s. 1, posto Bartolomeo detto debi avere in questo, c. 45, che s. 40 dati a Benedetto insegna l’abacho a Dino Francescho, e s. 1 per penne ___________________________________ £. 2, s. 1 a oro 5 Bartolomeo di Miniato di rinchontro de’ avere … E a dì IIII di gienaio £. due, s. 1, posto spese in questo, c. 43, che s. 40 dati a Benedetto maestro d’abacho che insengna a Dino Francesco, e s. 1 al detto pupillo per penne____________________________________________ £. 2, s. 1 a oro 6
Il ragazzo aveva iniziato i propri studi di abaco all’età di undici anni, nel novembre del 1473, quasi sicuramente con lo stesso maestro, e li proseguì almeno fino all’aprile del 1476. 7 I Pecori abitarono nel Gonfalone 1 ASP, Consigli e Riformanze 108, cc. 163r, 165r-165v. Sull’incarico di Iacopo di Francesco cfr. Consigli e Riformanze 105, cc. 81v-82r, 83r; 106, cc. 43v-44r; 108, cc. 24v, 68v, 126r. Inoltre V. Bini, Memorie istoriche, cit., pp. 520-521; G. Ermini, Storia dell’Università, loc. cit. 2 L’arrotondamento dello stipendio pagato dal comune con quote versate dagli studenti, secondo certi tariffari, si verificò anche per altri maestri d’abaco, sia a Perugia che altrove, ad esempio ad Arezzo. Cfr. in proposito R. Black, Studio e scuola in Arezzo, cit., pp. 116-117. 3 ASP, Consigli e Riformanze 109, cc.16v-17r, 53r. Cfr. anche V. Bini, Memorie istoriche, cit., pp. 522, 598; G. Ermini, Storia dell’Università, loc. cit. 4 Secondo la datazione moderna corrisponde al 1474; ricordiamo infatti che l’anno fiorentino iniziava il 25 marzo. 5 6 ASF, Dono Panciatichi, Patrimonio Pecori 51, c. 43s. Ivi, c. 45d. 7 Ivi, cc. 19s, 33d, 72d. I documenti sulle vicende scolastiche dei figli di Francesco Pecori sono
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del Drago del Quartiere fiorentino di San Giovanni, al Canto de’ Pecori, 1 molto vicino alla Piazza Padella dove il Nostro visse con la moglie fino all’estate del 1476, prima di trasferirsi in Via dei Fibbiai. Di minore rilievo rispetto ai precedenti sono i restanti documenti dell’Archivio di Stato di Firenze relativi a Benedetto di Antonio, che riportiamo in sintesi in Appendice a questa nota. Essi vanno dal 1456 al 1475 e fanno ancora parte del Notarile Antecosimiano e del fondo Ospedale di Santa Maria Nuova. Il rogito del 23 luglio 1456, stilato dal notaio Ser Iacopo di Bartolomeo Bottegari, riguarda gli eredi di Antonio della Casa; in esso Maestro Benedetto si trova solo come testimone. 2 Nei successivi due rogiti, datati 3 maggio 1458, 3 Benedetto di Antonio ha invece il ruolo di mundualdo di una Monna Mattea di Filippo di Tommaso del Popolo di San Pancrazio, prima a conclusione di un lodo tra la stessa ed il fratello Marco, poi in un atto col quale Mattea e suo figlio Bernardo vendettero al detto Marco un podere e la relativa casa da lavoratore del Popolo di San Romolo a Settimo, nei pressi di Firenze. Il notaio dei due rogiti era Bartolomeo di Michele da Carmignano che in quel periodo esercitava la propria attività in una bottega della Badia Fiorentina, situata nella Via del Palagio, ora Via del Proconsolo; il prestigioso studio era in collaborazione con i notai Ser Alberto di Ser Rucco, Ser Migliore di Manetto Masini e Ser Niccolò di Ser Antonio da Romena, fratello del già citato maestro d’abaco Bettino di Ser Antonio. In una filza di Ser Lotto di Ser Francesco Masi si trova un rogito del 22 aprile 1472 che vede «Benedettum Antonii del’abacho» con Andrea di Francesco Orlandini, quali arbitri di un compromesso tra il notaio Ser Matteo di Ramondo Fortini e suo padre Ramondo di Antonio, procuratore degli eredi di tale Giovanni di Angelo di Marco, beccaio. 4 Proprio i rogiti del suddetto Ser Matteo Fortini contengono tre volte il nome del Nostro. Il 3 maggio 1468 l’abacista è presente come testimone di un contratto con il quale Antonio, Benozzo, Checco e Domenico di Bartolo Checchi riconobbero agli eredi del legnaiolo Tano di Bartolo Mei il possesso di un appezzamento di terra nel Popolo di San Martino a Campi. 5 Il 12 ottobre 1472 ancora a testimonianza dell’atto segnalati in R. Black, École et société à Florence aux XIVe et XVe siècles. Le témoignage des ‘ricordanze’, «Annales Histoire, Sciences Sociales», 59, 4, 2004, p. 840. 1 Sui Pecori cfr. ASF, Catasto 825 (anno 1458), cc. 57r-59v; 926 (a. 1469), cc. 400r-401r; 1018 (a. 1480), cc. 306r-306v; 1019 (a. 1480), cc. 387r-387v. 2 3 Cfr. Appendice, documento 2. Ivi, documenti 3. 4 5 Ivi, documento 4. Ivi, documento 5.
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di vendita di un vigneto a Santa Maria a Pozzolatico, da parte di tali Piero e Iacopo di Iacopo di Francesco al merciaio Giovanni di Niccolò. 1 Infine, in un rogito del 30 settembre 1475 «Benedictus Antonii Cristofori de l’abacho» nominò suo procuratore Piero di Donato di Leonardo Bruni, un nipote dell’umanista Leonardo Bruni, e dunque membro di un’illustre famiglia di origine aretina, alla quale il maestro doveva essere legato. 2 Nei documenti da noi già pubblicati su Benedetto da Firenze, Piero di Donato ricorre più volte. Lo abbiamo incontrato in un notarile del 17 ottobre 1471 come arbitro di una lite, e negli anni 1477-1480, nei libri di ‘Debitori e creditori’ del Convento di Santa Maria degli Angeli, al tempo in cui ne fu Priore suo fratello Don Leonardo di Donato, e in cui Benedetto fu fattore del convento. Il Bruni si trova anche nel rogito del 30 ottobre 1475, stipulato presso il notaio Ser Marco Bandini. 3 Con questo contratto, in virtù della procura conferitagli il 30 settembre, Piero di Donato, in rappresentanza del Maestro Benedetto, concesse in subaffitto ad Antonio di Antonio da Sempione, detto Tedeschino, una parte della casa che l’abacista abitava in quel periodo e che aveva in locazione dalla Società di Orsanmichele. Era la stessa casa in cui Benedetto viveva nel 1469 dopo aver venduto la precedente e vicina abitazione di Piazza Padella, già confinante con quella di Filippo Brunelleschi. A quel tempo, la casa di cui si parla nel rogito del 1475, era comproprietà di una Monna Tita di Domenico di Iacopo, vedova del linaiolo Baldo di Simone, dell’Ospedale di Santa Maria Nuova e della suddetta Società di Orsanmichele. E di fatto, in un libro di ‘Pigioni’ di Santa Maria Nuova, compilato negli anni 1454-1472, nell’elenco degli affittuari si legge anche «Benedetto d’Antonio maestro d’abacho», in data 30 maggio 1472. I due documenti forniscono l’esatta ubicazione del sito, all’angolo tra Piazza Padella ed il Chiasso dei Buoi nel Popolo di San Michele Berteldi del Quartiere di San Giovanni. 4 A conclusione di questo lavoro, abbiamo riportato un problema geometrico. 5 Esso si trova – cosa senza dubbio insolita e forse non casuale – nella stessa filza del notaio Ser Matteo Fortini che contiene i tre rogiti relativi a Benedetto da Firenze. Occupa una sola facciata di una carta 1
Ivi, documento 6. Ivi, documento 7. Lo stesso Piero di Donato fu una figura di un certo rilievo. Come si evince da due sue lettere a Lucrezia Tornabuoni ed a Piero di Lorenzo de’ Medici, del 17 marzo 1472 e del 1492, egli ebbe in quegli anni importanti incarichi quale capitano e provveditore di cittadella ad Arezzo: ASF, Mediceo avanti il Principato 73, n. 465 e 80, n. 17. 3 4 Cfr. Appendice, documento 8. Ivi, documento 9 e note relative. 5 Ivi, documento 10. 2
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sciolta ed in parte mutila, che fa parte di un fascicolo di «Fogli mancanti, senza data»; sul retro si legge «Chonclusione geometricha bella». I documenti contenuti nella filza vanno dal 1453 al 1528. Da un confronto con i rogiti datati sembra dedursi che la grafia del problema è la stessa del notaio, e che questi probabilmente lo scrisse nel periodo cui risalgono i tre documenti dove compare Maestro Benedetto, in ogni modo non molto oltre il 1480. Nei rogiti stilati dopo quegli anni si osserva infatti un lento e progressivo cambiamento nella grafia, che diviene sempre più incerta. Il testo del problema è in latino e riguarda la divisione di un triangolo, con la relativa figura. Rientra dunque in una tipologia di questioni pratiche che trovano ampio spazio nella quarta Distinzione della Practica geometriae di Leonardo Pisano, «De divisione camporum inter consortes», e che si incontrano anche in trattati, seppure pochi, del basso Medioevo e del primo Rinascimento che seguono la tradizione del Pisano.
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elisabetta ulivi Appendice Altri documenti dell’Archivio di Stato di Firenze
1. Notarile Antecosimiano 9634 (Ser Giovanni di Marco Da Romena), c. 113r 13 maggio 1477 In Dei nomine amen. Anno Domini nostri Yeshu Christi ab eius salutifera incarnatione millesimo quadringentesimo septuagesimo septimo, indictione decima ed die tredecima mensis maii. Actum Florentie in Populo Sancti Michaelis Vicedominorum, presentibus Francisco olim Domini Guglielmini de Tanaglis et […] Gherardi de Spinis, civibus florentinis, testibus etc. Presentatio actestationis Petrus filius Iohannis Guidonis de Colle Vallis Else, Comitatus Florentie, constitutus coram Benedicto Antonii [ ] vocato Benedicto dell’abacho, pro parte et vice et nomine dicti Iohannis sui patris, presentavit et produxit dicto Benedicto quandam fidem cuiusdam examinationis facte coram Ser Famiano Iohannis de Salto vicario terre Scanzani inter Franciscum filium et vice et nomine dicti Iohannis Guidonis, ex parte una, et Ser Bartolomeum et Iohannem Magistri Silvestri de Colle, ex parte alia, de Iohannardo Francisci de Camiano et Andrea Laurentii pro dicto Ser Famiano vicarium predictum … .
2. Notarile Antecosimiano 3305 (Ser Iacopo di Bartolomeo Bottegari), cc. 56r-56v. 23 luglio 1456 Pro heredibus Antonii dela Casa In Christi nomine amen Anno Domini ab eius salutifera incarnatione milllesimoCCCCLVI, indictione quarta et die vigesima tertia mensis iulii. Actum Florentie in claustro Ecclesie Sancti Antonii prope et intra portam que vocatur la Porta a Faenza, dicte Civitate Florentie, presentibus Laurentio Pieri fornario Populi Sancti Laurentii de Florentia, Benedicto Antonii Cristofori magistro abbachi Populi Sancti Michaelis Berteldi de Florentia, et Francisco Cini Luce Cini civi florentini, testibus ad hec vocatis, habitis et rogatis … // … .
3. Notarile Antecosimiano 1880 (Ser Bartolomeo di Michele da Carmignano), Inserto 5, n. 5, c.n.n. 3 maggio 1458 Laudum inter Marcum Filippi Tomasii et Dominam Macteam eius sororem ... / /... . Latum etc. die tertio mensis maii 1458, indictione VI, in Populo Sancti Pancratii de Florentia, presentibus testibus Piero Bartoli Paoli, lanifice Populi Sancti Petri Maioris de Florentia, in domo habitationis dicti Marci in dicto Populo, et Antonio Pieri Nerii, aromatario Populi Sancte Trinitatis de Florentia.
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Et presentibus dictis partibus et qualibet erum et suprascriptum laudum et omnia suprascripta ratificantibus etc., videlicet dicta Domina Mactea, cum consensu Benedicti Antonii Cristofani, Populi Sancti Michaelis Berteldi de Florentia, sui mundualdi legitimi eidem Domine per me notarium infrascriptum legitime dati .... Item postea, dictis anno, indictione, die, loco et suprascriptis testibus etc. Prefata Domina Mattea, cum consensu et auctoritate dicti Benedicti sui mundualdi legitimi, ibidem presentis et eidem Domine in omnibus et singulis infrascriptis consentientis etc., certificata etc., et Bernardus, filius dicte Domine Matee et dicti olim Manfredis [Bernardi aromatarii] et quilibet dicte Domine Matee et Bernardi eorum nominibus propriis et pro, vice et nomine Elisabette, filie dicte Domine Matee et dicti olim Manfredis et sororis Bernardi ... in solidum dederunt, vendiderunt et tradiderunt ad vitam et durante vitam dictorum Bernardi et Elisabette ... Marco Filippi, rigatterio Populi Sancti Pancratii de Florentia ... unum poderettum cum domo pro laboratore et terris laboratiis, vineatis, olivatis, boscatis et sodis, positum Sancti Romuli, Plebatus Septimi, Comitatus Florentie, loco dicto alla Mazetta, confinatum a I via, a II strata quaramtolese, a III Iohannis Guidonis Rinieri, a IIII heredum Iohannis Tedici de Albizis, a V fossato, a VI dicti Marci emptoris, infra predictos confines etc., cuius poderetti proprietas est Hospitalis Sancte Marie Nove de Florentia ... .
4. Notarile Antecosimiano 13291 (Ser Lotto di Ser Francesco Masi), c.n.n. 22 aprile 1472 Item postea dittis anno [1472], indictione [quarta], die [XXII aprilis], et loco [Florentie, in Populo Sancti Andree] et presentibus testibus [ ]. Ramundus Antonii Ramondi Fortini, procurator et procuratorio nomine sustitutus a Clemente Angeli, becharii, procuratori principali heredum Iohannis Angeli Marci, becharii, ex parte una, et, ut de mandato preditto [...] dixerunt manu Ser Mattei Ser Batiste Bocianti, Ser Matteus Ramondi Antonii Ramondi emancipatus a ditto Ramondo manu ditti Ser Mattei, ex alia, compromiserunt etc. in providos viros Andream Francisci Orlandini et Benedittum Antonii del’abacho et in quelibet eorum etc., dantes etc. per totum mensem maii proxime futuri etc. [ ] in pena florenorum centum auri etc., que pena etc., pro quibus etc., obligaverunt etc., renumptiaverunt etc. Quibus etc., per guarantigiam etc.
5. Notarile Antecosimiano 7793 (Ser Matteo di Ramondo Fortini), n. 26, c.n.n. 3 maggio 1468 Item postea dictis anno [millesimo quadringentesimo sexagesimo ottavo] indictione [prima] die vero III mensis maii. Actum Florentie in Populo Sancti Michaellis Vicedominorum, presentibus testibus Benedicto Antonii de l’abacho civi florentino Populi Sancti Michaelis Vicedominorum de Florentia et Michaele Bernabe, aromatario Populi Sancti Laurentii de Florentia testibus etc. Antonius, Benozius, Chechus et Domenicus, fratres et filii olim Bartoli Chechi de Litea, Populi Sancti G[i]usti a Champi, facientes omnia et singula infrascripta eorum propriis et privatis nominibus et pro, vice et nomine Santi et Iohannis, eorum fratrum, pro quibus et quolibet eorum etc. de rato promiserunt etc. ...,
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dederunt, tradiderunt et concesserunt heredibus Tani Bartolomei, legnaiuoli Populi Sancti Michaelis de Florentia starias duas terre cum uno quarto alterius stariori, que est appichata cum residuo dicti campi, qui campus est dictorum heredum dicti olim Tani, et quem campum olim emit dictus Tanus a Bartolo olim patre dictorum venditorum ... cui a primo via, a II Marietti de Oricellariis, a III et IIII dictorum heredum dicti olim Tani, a V Societatis Sancti Petri a Ponte, loco dicto Via Nuova [...] et in Populo Sancti Martini a Champi ... .
6. Ivi, n. 62, c.n.n. 12 ottobre 1472 Item postea dictis anno [millesimo quadringentesimo septuagesimo secundo], indictione [VI] et loco [Florentie, in Populo Sancti Andree], die dicto duodecima mensis ottobris. Presentibus testibus Ser Lotto Ser Francisci Masi Populi Sancti Laurentii de Florentia et Benedetto Antonii del’abacho Populi Sancti Michaelis de Florentia testibus etc. Certum esse dicitur de presenti anno et die XXIII mensis septembris proxime preteriti, alias alio tempore veriori, Pierus et Iacobus, fratres et filii olim Iacobi Francisci, et Nicholaus filius dicti Pieri et quilibet eorum in solidum, per se et suos heredes iure proprio et in perpetuum, dederunt, tradiderunt et concesserunt Iohanni Nicholai, merciario, ementi pro se et suis heredibus, unum petium terre vineate, positum in Comitatu Florentino et in Populo Sancte Marie a Ppuzzolaticho, infra sua vocabula et confines ... . Laurentius Bartoli, alterius Bartoli, Populi Sancti Petri a Nebiavole, Comitatus Florentie, habita notitia de dicta venditione et omnibus in ea contentis, et sciens ad ea non teneri et volens se efficaciter obligari, omni modo etc. promisit et solemniter [...] convenit dicto Iohanni, presenti et pro se et suis heredibus recipienti et stipulanti, facere et curare ... // omnia et singula que in dicto instrumento venditionis comptenta in omnibus et per omnia et prout et sicut in dicto instrumento venditionis continetur et scriptum est, alias de suo proprio facere, actendere et observare promisit, pro quibus etc., obligavit etc., renumptians etc., cui etc., per guarantigiam etc.
7. Ivi, n. 100, c.n.n. 30 settembre 1475 Benedictus Antonii Cristofori de l’abacho fecit procuratorem etc. Pierum Donati Domini Lionardi, licet absenti etc., ad agendum etc. item ad faciendum capi etc. item ad sustituendum etc. item ad locandum ad pensionem etc. et generaliter etc., die XXX mensis septembris, presentibus Nicholao Francisci Iohannis Populi Sancti Michaelis Vicedominorum et Dominicho Michaelis Mattei testore drapporum Populi Sancti Petri Maioris de Florentia testibus etc.
8. Notarile Antecosimiano 1532 (Ser Marco Bandini), c.n.n. 30 ottobre 1475 Locatio Benedicti dell’abaco bonorum Virginis Marie Sancti Michaelis in Orto In Dei nomine amen. Anno Domini nostri Yeshu Cristi ab eius salutifera incarnatione millesimo quadringentesimo septuagesimo quinto, indictione nona et die
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XXXI mensis ottobris. Actum Florentie, in domo Societatis Sancte Marie Sancti Michaelis in Orto de Florentia, presentibus Ser Petro Andree, secretario dicte societatis et Iachobo Bartholomei Boccacci cive florentino Populi Sancti Pauli de Florentia, testibus etc. Pierus olim Donati Domini Leonardi, civis florentinus, procurator et procuratorio nomine Benedicti olim Antonii Cristofori dell’abacho, civis florentini conduttoris infrascrittorum bonorum et ut conductoris infrascrittorum bonorum, prout de sua procura constat manu Ser Mattei Ramundi Antonii Fortini, notarii florentini, sub die XXX mensis septembris proxime preteriti presentis anni, omni modo etc. dicto nomine ac etiam de licentia et consensu Alexandri Iacobi de Guidottis provisoris capitaneorum ditte societatis, presentis et licentiam dantis, et pro et vice et nomine dictorum capitaneorum, pro quibus et quilibet eorum de rato etc. promisit etc., et se facturum et curaturum etc., non disobligando propterea dictum Benedictum a dicta conductione per eum facta etc., locavit ad pensionem Antonio alterius Antonii de Sempione partium Alamanie, vocato el Tedeschino, habitatore in Civitate Florentie, presenti et pro se et suis heredibus conducenti, unam partem unius domus dicte sotietatis quam dictus Benedictus tenet ad pensionem a dicta sotietate, videlicet partem inferiorem ex latere dicte domus, iuxta vicum cui dicitur dal Chiasso de’ Buoi, cum quadam camera terrena et cum sala et camera de supra et cum aliis suis hedifitiis positis in Populo Sancti Michaelis Berteldi, cui toti dicte domui a primo platea vocata Piazza Padella, a II Chiasso de’ Buoi, a III bona heredum Andree de Nardis, a IIII Tommasi Iacobi Ghighi ritagliatoris, infra predictos confines, pro tempore et termino trium annorum proxime futurorum initiandorum die prima mensis novembris proxime futuri et ut sequitur finiendorum. Et promisit dictus Pierus dicto nomine dicto Antonio ut supra presenti etc. dicta bona defendere etc. et ea non ritollere etc. nec facere aliquem contrarium etc.; et [...] dictus Antonius promisit dicto Piero dicto nomine ut supra presenti etc., pro eo dicta bona tenete etc. et pro alio non confiteri etc., et in fine dicti temporis relapsare etc. et solvere etc. quolibet anno dictorum trium annorum pro dicta pensione florenos duodecim ad rationem librarum quatuor pro quolibet floreno, solvendo ad presens florenos tres largos, et postea elapso tempore tangentem secundum solutionem dictorum florenorum sex largorum solvendo de mense in mensem. Cum pacto etc. quod omnes expense que fuerunt ad presens in dicta parte dicte domus sibi locate, in faciendum hostium et alia que fierint de presenti, sint et esse intelligantur de propriis expensis dicti Benedicti et non dicte Societatis nec dicti conductoris [...]. Que omnia etc. promiserunt etc. actendere et contra non facere etc., sub pena florenorum C etc., que pena etc., qua pena etc., pro quibus etc. obligaverunt etc.
9. Ospedale di Santa Maria Nuova 5748: Pigioni di chase segnato G (14541472), c. 196v ottobre 1469-maggio 1472 Monna Tita figliuola fu di Domenico di Iacopo de’ dare f. 1, £. 4, restò a dare in questo, c. 91, per resto di pigione per insino a tutto ottobre 1469, e detto dì gli ricomincia la pigione per dì primo di novembre 1469 per f. 2 1/4 l’anno ________________________________________________________ f. 1, £. 4, d’una nostra chasa posta in sul Canto del Chiasso de’ Buoi da Piazza Padella, e nel
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Popolo di San Michele Berteldi, che l’altra è el quarto della Compagnia d’Orsanmichele e la 1/2 dice essere di detta Monna Tita. Monta la sopradetta pigione a dì primo di novembre 1469 a tutto ottobre 1471, che cchosì siano d’acordo colla Compagnia d’Orzanmichele, f. 4. Ànne dato a dì XXX di maggio 1472 £. sei, s. IIII, per lei da Benedetto d’Antonio maestro d’abacho, recò contanti in grossoni, a entrata segnata 3F, c. 22 1 _____________________________________________________ f. -, £. 6, s. 4 2
10. Notarile Antecosimiano 7793 (Ser Matteo di Ramondo Fortini), c.n.n. Chonclusione geometricha bella I[n] 3 omni triangulo noto est punctum invenire [ ] continuato cum angulis trianguli dividetur trium per tres portiones notas. Sit triangulus .abg. p[ri]ma, ergo portionem notam in linea .ag. et dividatur eam per ipsam in punctis .d. et .e. Sit ergo .dr. equidistans .gb., fiat quod .eh. equidistans .ab. sectat quod sit in puncto .t.; dico .t. esse punctum quod querimus. Continuetur .d. et .e. cum .b., ergo duo trianguli .btg. et .bdg. sunt equales; sed proportio trianguli .bdg. ad totum triangulum .agb. et sicut linea .gd. ad .ga., ergo proportio trianguli .btg. ad totum triangulum .agb. et sicut .dg. ad .ag. Similiter ostenditur quod proportio trianguli .atb. ad .abg. est sicut .ae. ad .ag. quia trianguli .atb. et .aeb. sunt equales, sunt super basim .ab. et inter duas equidistantes .ab. et .eh.; ergo residuus triangulus scilicet .atg. est ad totum triangulum .abe. 4 sicut residua .de. ad .ag. linea, et hoc est quod volumus.
1
Cfr. ASF, Ospedale di Santa Maria Nuova 4511, c. 22r. In una postilla scritta in margine, a sinistra del documento, si legge: «Venduta la nostra parte alla Compagnia d’Orzanmichele a dì 30 di settembre 1471, per mano di Ser Domenicho di Ser Santi Naldi». 3 In questo documento le lacune e le integrazioni sono dovute a frammenti di carta mancanti. 4 Dovrebbe essere .abg. 2
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Abstract This work is an integration to the biography of Benedetto di Antonio dell’abaco da Firenze, previously published on the « Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche ». The work quotes an autograph document of Benedetto of the 14 may 1477, explained by notes and remarks. Moreover we describe and report other documents dated back to the 1451-1477 some of which inherent in the teaching activity of florentine master. At last we transcribed a geometric problem contained in the papers of a notary who was bound to Benedetto.
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La matematica antica su cd-rom Uno dei maggiori problemi nell’insegnamento e nella ricerca in Storia della matematica consiste nella difficoltà di accedere alle opere originali dei matematici dei secoli passati. Ben pochi autori, in genere solo i più importanti, hanno avuto edizioni moderne; per la maggior parte occorre rivolgersi direttamente alle edizioni antiche, presenti solo in poche biblioteche. Questa situazione è particolarmente gravosa nei centri privi di biblioteche importanti, dove anche lo svolgimento di una tesi di laurea in storia della matematica è ritardato dai tempi a volte lunghissimi necessari per procurarsi fotocopie o microfilms delle opere necessarie, ma sussiste anche nei centri maggiori, dove in ogni caso l’accesso ai volumi antichi è sottoposto a controlli e limitazioni. Per ovviare almeno in parte a questi inconvenienti, e permettere una maggiore diffusione della cultura storico-matematica, il Giardino di Archimede ha preso l’iniziativa di riversare su cd-rom e diffondere una serie di testi rilevanti per la storia della matematica. Ogni cd contiene circa 5000 pagine (corrispondenti circa a 15-20 volumi) in formato pdf. La qualità delle immagini è largamente sufficiente per una agevole lettura anche dei testi più complessi e non perfettamente conservati. Il prezzo di ogni cd è di 130 euro. Per acquisti o abbonamenti a dieci o più cd consecutivi viene praticato uno sconto del 20%. Per ulteriori informazioni si può consultare il sito del Giardino di Archimede: www.archimede.ms Per ordinazioni: Il Giardino di Archimede Viale Morgagni 67/a 50134 Firenze Tel. ++39-055-7879594, Fax ++39-055-7333504 e-mail: [email protected]fi.it Indice degli ultimi cd pubblicati CD 35 Leibniz, Gottfried Wilhelm - Opera Omnia in sex tomos distributa. Vol. I. Genève, De Tournes, 1768. Leibniz, Gottfried Wilhelm - Opera Omnia in sex tomos distributa. Vol. II. Genève, De Tournes, 1768. Leibniz, Gottfried Wilhelm - Opera Omnia in sex tomos distributa. Vol. III. Genève, De Tournes, 1768. Leibniz, Gottfried Wilhelm - Opera Omnia in sex tomos distributa. Vol. IV. Genève, De Tournes, 1768. Leibniz, Gottfried Wilhelm - Opera Omnia in sex tomos distributa. Vol. V. Genève, De Tournes, 1768. Leibniz, Gottfried Wilhelm - Opera Omnia in sex tomos distributa. Vol. VI. Genève, De Tournes, 1768. CD 36 Leoni, Camillo Antonio - Lo squadro. Parma, Pazzono e Monti, 1699. Kircher, Athanasius - Magnes, sive de arte magnetica. Roma, Mascardi, 1654.
La Porte - Le guide de negocians. Paris, Osmont, 1635. Lalouvere, Antoine - Quadratura circuli et hyperbolae segmentorum ex dato eorum centro gravitatis. Toulouse, Bosc, 1651. Lalouvere, Antoine - Veterum geometria promota in septem de cycloide libris. Toulouse, Colomier, 1660. Lambardi, Carlo - Discorso sopra la causa dell’innondatione di Roma. Roma, Paolini, 1601. Lamy, Bernard - Traitez de mechanique de l’equilibre des solides et des liqueurs. Paris, Pralard, 1679. Lamy, Bernard - Traitez de mechanique de l’equilibre des solides et des liqueurs. Nouvelle edition. Amsterdam, Mortier, 1734. Landi, Giovanni Giacomo - Aritmetica mercantile. Venezia, Imberti, 1645. Lansberg, Iacob - Apologia pro commentationibus Philippi Lansbergii in motum terrae. Middelburg, Romen, 1633. Lansberg, Philip - Progimnasmata astronomiae restitutae. Middelburg, Romen, 1628. Lansberg, Philip - Triangulorum geometriae libri quattuor. Amsyterdam, Blaeuw, 1631. Liceti, Fortunio - De centro et circumferentia libri duo. Udine, Schiratti, 1640. Liceti, Fortunio - De lucidis in sublimi liber. Padova, Crivelli, 1641. Liceti, Fortunio - De luminis natura et efficientia libri tres. Udine, Schiratti, 1640. Liceti, Fortunio - De novis astris et cometis libri sex. Venezia, Guerigli, 1622. Liceti, Fortunio - De quaesitis per epistolas a claris viris responsa. Vol. 1. Bologna, Tebaldini, 1640. Liceti, Fortunio - De regulari motu minimaque parallaxi cometarum. Udine, Schiratti, 1611. Liceti, Fortunio - De spontaneo viventium ortu. Vicenza, Amadei, 1618. Liceti, Fortunio - Hydrologiae peripateticae disputationes de maris tranquillitate. Udine, Schiratti, 1655. Liceti, Fortunio - Litheosphorus, sive de lapide bononiensi. Udine, Schiratti, 1640. CD 37 al-Haytham - Optice thesaurus. Basel, Episcopius, 1572. Hajek, Tadeus - Dialexis de novae stellae apparitione. Frankfurt, 1574. Hero Alexandrinus - De gli automati overo macchine semoventi, tradotti da Bernardino Baldi. Venezia, Porro, 1589. Hero Mechanicus - De machinis bellicis a Francisco Barocio latinitate donati. Venezia, Franceschi, 1572. Hero Alexandrinus - Spiritali ridotti in lingua volgare da Alessandro Giorgi. Urbino, Ragusi, 1592. Huswirt, Christiaan - Enchiridion artis numerandi. Paris, Bignon, 1535. Isacchi, G. Battista - Inventioni. Parma, Viotti, 1579. Koebel, Jacob - Astrolabii declaratio. Paris, Cavellat, 1552. Lanteri, Giacomo - Due dialoghi del modo di disegnar le piante delle fortezze. Venezia, Valgrisi, 1557. Lanteri, Giacomo - Duo libri del modo di fare le fortificazioni. Venezia, Marcolini, 1559. Lapazzaia, Giorgio - Aritmetica e geometria. Napoli, Terres, 1784. Lapazzaia, Giorgio - Opera terza de aritmetica et geometria.Napoli, Cancer, 1575. Lefèvre d’Etalpes, Jacques - Introductorium astronomicum. Paris, Etienne, 1517. Leonardi, Camillo - Lunario al modo de Italia. Venezia, Zoppino, 1525. Leone VI imperatore - Trattato dello schierare gli eserciti. Venezia, Franceschi, 1586. Leonicus Thomaeus, Nicolaus - Opuscula. Venezia, Vitali, 1525.
Leopoldo d’Austria - Compilatio de astrorum scientia. Venezia, Sessa, 1520. Leowitz, Cyprianus - Eclipsium omnium descriptio. Augsburg, Ulhard, 1556. Liber novem judicum in iudiciis astrorum. Venezia, Liechtenstein, 1509. Lilio, Gregorio - De annis et mensibus. Basel, Isingrin, 1541. Lungo, Giovanni Luigi - Discorso matematico. Mantova, Osanna, 1588. Lupicini, Antonio - Architettura militare. Firenze, Marescotti, 1582. Lupicini, Antonio - Discorso sopra la fabrica e uso delle verghe astronomiche. Firenze, Marescotti, 1582. Lupicini, Antonio - Breve discorso sopra la reduzione dell’anno et emendazione del calendario. Firenze, Marescotti, 1580. Magini, Giovanni Antonio - De planis triangulis et De dimetiendi ratione. Venezia, Ciotti, 1592. Magini, Giovanni Antonio - Novae coelestium orbium theoricae congruentes cum observationibus N. Copernici. Venezia, Zenari, 1589. Magini, Giovanni Antonio - Tabula tetragonica, seu quuadratorum numerorum. Venezia, Ciotti, 1592. CD 38 Fantuzzi, Giovanni - Eversio demonstrationis ocularis loci sine locato.Bologna, Benacci, 1648. Leurechon, Jean - Recreations mathematiques. Lyon, Prost, 1642. Libretto d’abaco. Brescia, Turlino. Lipstorp, Daniel - Specimina philosophiae cartesianae. Leyden, Elsevier, 1653. Longomontanus, Christian S. - Astronomia Danica. Amsterdam, Caes, 1622. Lorini, Bonaiuto - Le fortificazioni. Venezia, Rampazzetto, 1609. Luciano, Antonio - Discurso mathematico sobre los dos cometas. Valencia, Mey, 1618. Lueger, Iohann Georg - Theoria cometae. Ingolstad, Ostermaier, 1645. Lunghi, Onorio - Discorso del Tevere. Milano, Bordoni, 1607. Maccari, Agostino - Secreti astrologici. Venezia, Bosio, 1681. Magini, Giovanni Antonio - Confutatio diatribae Ios. Scaligeri De aequinotiorum praecessione. Roma, Facciotti, 1617. Magini, Giovanni Antonio - Continuatio ephemeridum coelestium motuum. Venezia, Zenari, 1607. Magini, Giovanni Antonio - De astrologica ratione. Venezia, Zenari, 1607. Magini, Giovanni Antonio - Tabulae novae iuxta Tychonis rationes elaboratae. Bologna, Bonomi, 1619. Magini, Giovanni Antonio - Tabulae primi mobilis. Venezia, Zenari, 1604. Magiotti, Raffaello - Renitenza certissima dell’acqua alla compressione. Roma, Moneta, 1648. Magni, Valeriano - Demonstratio ocularis loci sine locato. Bologna, Benacci, 1648. CD 39 Bina, Andrea - Ragionamento sopra il quesito: Qual sia il metodo più sicuro... per impedire la corrosione delle ripe . Mantova, Pazzoni, 1769. De Loys, Charles - Abrégé chronologique pour l’histoire de la physique. Vol. I e II. Strasbourg, chez l’Auteur, 1786-1789. La Caille, Nicolas-Louis - Leçons élémentaires de mathematiques. Paris, Desaint, 1770. Lecchi, Antonio - Trigonometria teorico-practica plana et sphaerica. Milano, Marelli, 1756.
Le Clerc, Sebastien - Nouveau système du monde conforme à l’Ecriture sainte. Paris, Giffart, 1706. Le Clerc, Sebastien - Thesaurus geometriae practicae. London, Society, 1737. Le Lorrain de Vallemont, Pierre - La sphère du monde. Paris, Marchand, 1707. Le Paute, Jean André - Traité d’horlogerie. Paris, Samson, 1767. L’Hospital, Guillaume - Analyse des infiniment petits. Paris, Montalant, 1715. Lintz, Adam - L’arithmetique des marchands. Amsterdam, Loots, 1719. Litta, Agostino - Dissertazione sopra il quesito: con qual proporzione di parti possa costruirsi una macchina per elevare acqua da stagni. Mantova, Pazzoni, 1782. Litta, Agostino - Memoria idrostatica. Milano, Marelli, 1775. Lopez de Arenas, Diego - Breve compendio de la carpinteria. Sevilla, De la Puerta, 1727. Lorenzini, Lorenzo - Exercitatio geometrica.Firenze, Tartini e Franchi, 1721. Lorgna, A. Mario - De casu irreductibili et seriebus infinitis. Verona, Moroni, 1776. Lorgna, A. Mario - Della graduazione de’ termometri a mercurio. Verona, Moroni, 1765. Ludenna, Antonio - De vera motus accelerati theoria.Camerino, Gori, 1781. Ludenna, Antonio - Dissertazione sopra il quesito: esprimere l’immediata connessione che i principi introdotti nella meccanica sublime hanno co’ principi della meccanica elementare. Mantova, Pazzoni, 1788. Ludenna, Antonio - Due opuscoli matematici. Venezia, Storti, 1793. MacLaurin, Colin - Exposition des découvertes philosophiques de Newton. Paris, Durand, 1749. MacLaurin, Colin - Traité d’algebre. Paris, Jombert, 1753. Mairan, J Jacques - Traité physique et historique de l’aurore boréale. Paris, Imp. Royale, 1733. Malezieu, Nicolas - Serenissimi Burgundiae Ducis Elementa geometrica. Padova, Manfré, 1713. Manfredi, Eustachio - Compendiosa informazione di fatto sopra i confini della comunità ferrarese. 1735. Manfredi, Eustachio - Instituzioni astronomiche. Bologna, Dalla Volpe, 1749. Manfredi, Gabriele - De constructione aequationum. Bologna, Pisarri, 1707. CD 40 Lantz, Johann - Institutionum arithmeticae libri quatuor.München, Nicolaus Henricus, 1619. Le Cordier, Samson - Instruction des pilotes. Le Havre, Hubault, 1690. Leonardi, Giuseppe - Tavole astronomiche e geometriche per delineare horologii orizzontali. Foligno, Mariotti, 1690. Leotaud, Vincent - Examen circuli quadraturae quam Gregorius a Sancto Vincentio exposuit. Lugduni, Barbier, 1654. Longomontano, Cristiano Severino - Inventio quadraturae circuli. Hafniae, Tychon, 1634. Mainardi, Matteo - Opere mercantili et economiche. Bologna, Monti, 1646. Malvasia, Cornelio - Discorso dell’anno astrologico 1649. Bologna, Dozza, 1649. Manenti, Francesco - Deliberationi astronomiche. Mantova, Osanna, 1643. Mangini, Carlo Antonio - Tabulae primi mobilis. Bologna, Thebaldini, 1626. Manzini, Carlo Antonio - Della sicura incertezza della declinazione dell’ago magnetico dal meridiano. Bologna, Dozza, 1650. Manzini, Carlo Antonio - Le comete. Bologna, Ferroni, 1665. Manzini, Carlo Antonio - L’occhiale all’occhio: dioptrica pratica. Bologna, Benacci, 1660.
Manzini, Carlo Antonio - Stella Gonzaga. Bologna, Dozza, 1654. Marchetti, Alessandro - De resistentia solidorum. Firenze, Vangelisti e Matini, 1669. Marchetti, Alessandro - Della natura delle comete. Firenze, Condotta, 1684. Marchetti, Alessandro - Lettera sulle perette di vetro. Firenze, Vangelisti e Matini, 1677. Marchetti, Angelo - Euclides reformatus. Livorno, Valsis, 1709. Marolois, Samuel - Oeuvres mathematiques. Amsterdam, Iansson, 1628. Marolois, Samuel - Geometria theoretica ac practica. Amsterdam, Ianssen, 1628. Martinelli, Agostino - Descrittione di diversi ponti esistenti sopra li fiumi Nera e Tevere. Roma, Tinassi, 1676. Martinelli, Tomaso Maria - Musica delle sfere nell’anno 1658. Cesena, Neri, 1658. Maurolico, Francesco (Baron della Foresta) - Vita dell’abbate del Parto Francesco Maurolico. Messina, Brea, 1613. Salusbury, Thomas - Mathematical collections and translations. London, Leybourn, 1661. Titi, Placido - Physiomathematica, sive Coelestis philosophia. Milano, Malatesta, 1650. CD 41 Bonfioli Malvezzi, Antonio - Epistola de Galilaei demonstratione a cl. Andres exposita. De Martino, Pietro - De luminis refratione et motu. Napoli, 1741. Köchler, Johann Baptist - Elementa ignis, aquae et terrae. Innsbruck, Wagner, 1734. Lorgna, A. Mario - Discorso sopra l’Adige. Verona, Moroni, 1768. Lorgna, A. Mario - Dissertazione sopra l’aria di Mantova. Mantova, Pazzoni, 1771. Lorgna, A. Mario - Dissertazione sopra le pressioni dell’acqua. Mantova, Pazzoni, 1769. Lorgna, A. Mario - Fabbrica ed usi della squadra di proporzione. Verona, Moroni, 1768. Lorgna, A. Mario - Memorie intorno all’acque correnti. Verona, Moroni, 1777. Lorgna, A. Mario - Opuscula mathematica et physica. Verona, Moroni, 1770. Lorgna, A. Mario - Opuscula tria ad res mathematicas pertinentia. Verona, Ramanzini, 1767. Lorgna, A. Mario - Principi di geografia astronomico-geometrica. Verona, Ramanzini, 1789. Luini, Francesco - Delle progressioni e serie. Milano, Galeazzi, 1767. Luini, Francesco - Esercitazione matematica, e altri opuscoli di vari autori. Milano, Marelli, 1769. Maffei, Scipione - Della formazione de’ fulmini. Verona, Tumermani, 1747. Maffei, Tommaso Pio - De cyclorum soli-lunarium inconstantia et emendatione. Venezia, Bartoli, 1706. Mairan, Jean Jacques - Lettre sur la question des forces vives. Paris, Jombert, 1741. Mairan, Jean Jacques - Dissertation sur la glace. Paris, Imprimerie Royale, 1749. Malfatti, Gianfrancesco - De natura radicum in aequationibus quarti gradus. Ferrara, Barberi, 1758. Mancini, Giulio - Apologia dell’occhio. Opera ottico-metafisica. Siena, Pazzini Carli, 1795. Manfredi, Eustachio - Compendio et esame del libro “Effetti dannosi .. “. Roma, Camera Apostolica, 1718. Manfredi, Eustachio - De gnomone meridiano Bononiensi. Bologna, Volpe, 1736. Manfredi, Eustachio - Mercurii ac solis congressus. Bologna, Pisarri, 1724. Manfredi, Eustachio - Replica de’ bolognesi ad alcune considerazioni dei ferraresi. Roma, Gonzaga, 1717. Manfredi, Eustachio - Elementi della geometria piana e solida. Bologna, Volpe, 1755. Manni, Domenico Maria - Degli occhiali da naso inventati da Salvino Armati. Firenze,
Albizzini, 1738. Marchelli, Giovanni - Trattato del compasso di proporzione. Milano, Galleazzi, 1759. Marchetti, Alessandro - Discorso a Bernardo Trevisano contro la “Risposta apologetica” del p. Grandi. Lucca, Venturini, 1714. Marchetti, Francesco - Risposta apologetica contro G. Battista Clemente Nelli. Lucca, Giuntini, 1762. Marchetti, Francesco - Vita e poesie di Alessandro Marchetti. Venezia, Valvasense, 1755. Marescotti, Giacomo - Alla sacra congregazione delle acque. Roma, Bernabò, 1765. Mari, Gioseffo - Lettera sopra il trasporto del canale di Busseto. Parma, Rossi e Ubaldi, 1798. Marinoni, Giovanni - De astronomica specula domestica. Vienna, Kaliwod, 1745. Marsili, Luigi Ferdinando - Instrumentum donationis in gratiam novae scientiarum institutionis. Bologna 1712. Martin, Benjamin - Grammatica delle scienze filosofiche. Bassano, Remondini, 1769. Martini, Ranieri Bonaventura - Analysis infinite parvorum, sive Calculi differentialis elementa. Pisa,Carotti, 1761. Marzagaglia, Gaetano - Nuova difesa dell’antica misura delle forze motrici. Verona, Ramanzini, 1746. Mascardi, Giuseppe - Replica alla scrittura “Risposta idrometrica sopra il progetto di diramare il Tartaro in Po”. Bologna, Volpe, 1769. Mascheroni, Lorenzo - La geometria del compasso. Pavia, Galeazzi, 1797. Mascheroni, Lorenzo - Problemi per gli agrimensori. Pavia, Comino, 1793. Matani, A Maria - Dissertazioni sopra l’istoria delle varie opinioni relative alla figura della Terra. Pisa, Pizzorno, 1766. Matheseophilus - Problemata mathematica quadraturam circuli concernentia. Augsburg, Pfeffel, 1733. Maupertuis, Pierre Louis, Camus, Clairaut- La figure de la Terre. Paris, Imprimerie Royale, 1738. Maupertuis, Pierre Louis - Examen des ouvrages qui ont été faits pour déterminer la figure de la Terre. Paris, Bachmuller, 1738. Mazzuchelli, Giammaria - Notizie istoriche e critiche intorno ad Archimede. Brescia, Rizzardi, 1737.
composto, in carattere dante monotype, impresso e rilegato in italia dalla accademia editoriale ®, pisa · roma
* Luglio 2006 (CZ2/FG9)
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BOLLETTINO DI STORIA DELLE
SCIENZE MATEMATICHE
Anno XXVI · Numero 2 · Dicembre 2006
PISA · ROMA ISTITUTI EDITORIALI E POLIGRAFICI INTERNAZIONALI MMVII
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BOLLETTINO DI STORIA DELLE SCIENZE MATEMATICHE I G A Un Museo per la matematica
Direttore Enrico Giusti Vice direttore Luigi Pepe Comitato di redazione Raffaella Franci Paolo Freguglia (segretario) Giorgio Israel Pier Daniele Napolitani Clara Silvia Roero Laura Toti Rigatelli
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Anno XXVI · Numero 2 · Dicembre 2006
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SOMMARIO S G, La corrispondenza fra Domenico Guglielmini e Giovanni Domenico Cassini (1690-1699)
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R B, I Gesuiti e la pubblicazione dell’Ottica di Francesco Maurolico
211
J ˇ Bˇ ˇ M Bˇ ˇ , Emil Weyr e Luigi Cremona
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R G, Gli Elementi mechanici di Colantonio Stigliola, un trattato archimedeo di meccanica del XVI secolo
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Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche · Vol XXVI · (2006) · Fasc. 2
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LA C O R RISPONDENZA F R A D O M E NICO GUGLIELMINI E G I OVA N N I D O M ENICO CASSINI (1690-1699)∗ S G∗∗ A · In this paper we publish only the Domenico Guglielmini’s letters to Giovanni Domenico Cassini because, excepting two letters about the waters motion, published in Raccolte d’autori, the Cassini’s answers could be lost. The correspondence concerns an issue about the S. Petronio sun-
dial at Bologna (this sundial arises from the collaboration between two scientists), the problems on the waters in Bologna country. By virtue of these problems Cassini was persuaded both by the Bologna Senate and by the papal court to come back to Italy in 1695.
1. L’ in due biblioteche parigine ed in una biblioteca pisaLna,presenza, di 20 lettere di Domenico Guglielmini¹ a Giovanni Domeni∗
Nell’articolo si fa uso di alcune abbreviazioni: ASB (Archivio di Stato di Bologna), ASF (Archivio di Stato di Ferrara), ASR (Archivio di Stato di Roma), ASV (Archivio di Stato di Venezia), BNCF (Biblioteca Nazionale Centrale di Francia, Parigi), BOP (Biblioteca dell’Osservatorio di Parigi), BUB (Biblioteca Universitaria di Bologna), BUP (Biblioteca Universitaria di Pisa), DBI (Dizionario Biografico degli Italiani), DSB (Dictionary of Scientific Biography). ∗∗ Sandra Giuntini, Dipartimento di Matematica, Università di Firenze. E-mail: [email protected] ¹ Fra le molte biografie settecentesche di Domenico Guglielmini (1655-1710), professore prima dell’Università di Bologna poi di quella di Padova, ricordo quella di A. Fabroni inserita alle pp. 330-359 del v. IV di Vitae Italorum doctrina excellentium. Più recenti sono alcuni contributi che riguardano soprattutto le sue opere di idraulica e il suo incarico di sopraintendente delle Acque del Bolognese. Vedi soprattutto V. P, Domenico Guglielmini sopraintendente alle Acque, in Problemi d’Acque a Bologna in età moderna, Bologna, Istituto per la storia di Bologna, 1983 e C. S. M, Guglielmini vs. Papin (1691-1697). Science in Bologna at the end of the XVIIth century through a debate on hydraulics, «Janus», 71 (1984), pp. 63-105. Sull’istituzione della cattedra di idrometria all’Università di Bologna, che Guglielmini ricoprì fino al suo trasferimento a Padova, vedi C. S. M, Domenico Guglielmini, Geminiano Rondelli e la nuova Cattedra d’Idrometria nello Studio di Bologna (1694), nel volume curato da M. Cavazza, Rapporti di scienziati europei con lo Studio di Bologna fra ’600 e ’700 della raccolta «Studi e Memorie per la Storia dell’Università di Bologna», n. s., 6 Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche · Vol XXVI · (2006) · Fasc. 2
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co Cassini¹ pone anche alcuni interrogativi sulle azioni di Guglielmo Libri,² quale ‘frequentatore’ di biblioteche. La corrispondenza in questione si svolge fra il 31 ottobre 1690 e il 9 ottobre 1699 ed è composta da 9 lettere del ms. 423 (fasc. 19) della Biblioteca Universitaria di Pisa, di 8 lettere del ms. B.4.10 della Biblioteca dell’Osservatorio di Parigi, di 3 lettere del ms. 6197 del fondo «nouvelles acquisitions françaises» (NAF) della Biblioteca Nazionale di Parigi. La sede naturale di conservazione avrebbe dovuto essere la seconda, perché è all’Osservatorio³ parigino che Cassini abitò dal 1671 al 1712, anno della sua morte. Le date apposte dalla mano di Joseph-Nicolas Delisle,⁴ presenti su tutte le lettere di Guglielmini, dimostrano che tutta la corrispondenza, almeno ini(1987), pp. 81-124. ¹ Giovanni Domenico Cassini (1625-1712), nato a Perinaldo, paese montano della contea di Nizza, studiò dapprima nel collegio dei gesuiti di Genova, completò poi la sua preparazione matematica e astronomica sotto la guida di Giovan Battista Baliani. Nel 1651, con l’appoggio del marchese bolognese Cornelio Malvasia, ottenne una cattedra all’Università di Bologna. Come matematico dovette poi intervenire frequentemente nelle questioni riguardanti l’assetto idrico della regione bolognese e dei vari fiumi e torrenti che l’attraversavano. Per ulteriori informazioni vedi A. C, Gio. Domenico Cassini. Uno scienziato del ‘600, [Perinaldo], Comune di Perinaldo, 2003 e la sua autobiografia, inserita dal bisnipote Jean Dominique Cassini (C IV) in Mémoires pour servir à l’histoire des sciences et à celle de l’Observatoire royal de Paris, suivi de la vie de J.D. Cassini écrite par lui même, et des éloges de plusieurs Académiciens morts pendant la Révolution, Paris, Bleuet, 1810. ² Per notizie biografiche su Guglielmo Libri (1802-1869) vedi G. F, Guglielmo Libri, Firenze, Leo S. Olschki, 1963, A. S, Commentario storico-scientifico sulla vita e le opere del Conte Guglielmo Libri, Firenze, Campolmi, 1879 e P. A. M R, M. M, The life and times of Guglielmo Libri (1802-1869): scientist, patriot, scholar, journalist and thief. A nineteenth-century story, Hilversum, Verloren Publishers, 1995. Matematico, bibliografo e bibliofilo riuscì a formarsi una ricca biblioteca, sulla cui provenienza si cominciarono a nutrire dubbi fin dal 1844, a tal proposito vedi, per esempio, il cap. VII del testo di Fumagalli e il capitolo XVI del testo di Maccioni Ruju. ³ L’osservatorio di Parigi cominciò ad essere costruito nel 1668 e quasi contemporaneamente Cassini fu invitato da Colbert a prestarvi la sua opera. Su questo vedi soprattutto C. J. E. W, Histoire de l’Observatoire de Paris de sa fondation à 1793, Paris, Gauthier-Villars, 1902. ⁴ Delisle (1688-1768) aveva cominciato la sua attività di astronomo all’osservatorio di Parigi, quale allievo di Giacomo Filippo Maraldi, nipote di Cassini. Su di lui vedi l’elogio apparso su «Histoire de l’Académie des Sciences», Paris, 1768; A. I, Joseph Nicolas Delisle, sa biographie et sa collection de cartes géographiques à la Bibliothèque Nationale, «Bulletin de la section de géographie du Comité des travaux historiques et scientifiques», 30 (1915), pp. 34-164; in generale però vedi N. I. N, Joseph-Nicolas Delisle (1688-1768), «Revue d’histoire des sciences», 26 (1973), pp. 289-313. Vedi anche S. D, Joseph-Nicolas Delisle’s relations with German astronomers and scientists when travelling to and from Russia (1725-26 and 1747) in The message of the Angles-Astrometry from 1798 to 1998, edited by P. Brosche et alii, Thun und Frankfurt am Main, Verlag Harry Deutsch, 1998, pp. 43-48.
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. . . 151 zialmente, era rimasta in quella sede.¹ Delisle, appartenente ad una famiglia di astronomi e di geografi, arricchì e riordinò il fondo manoscritto dell’Osservatorio, soprattutto dopo il suo soggiorno protrattosi per più di venti anni a San Pietroburgo, dove operò come astronomo e geografo della nascente Accademia delle Scienze. In realtà inizialmente aveva ricevuto dal re il permesso di allontanarsi da Parigi per soli quattro anni. Gli fu poi concesso di prolungare la sua assenza in seguito all’invio di un rapporto al ministro della Marina francese, Jean Frédéric Maurepas,² riguardante varie carte topografiche della Russia. L’attività di Delisle in Russia fu estremamente utile, oltre che per svilupparvi l’astronomia e la geografia, come desiderava lo zar Pietro, anche per facilitare in Occidente la conoscenza³ di quel (allora) misterioso territorio ed infatti al suo ritorno l’astronomo francese portò con sè un gran numero di carte topografiche manoscritte, molte delle quali sono oggi alla Biblioteca Nazionale di Parigi.⁴ Il manoscritto NAF 6197 proviene da Libri:⁵ sarebbe quindi facile concludere che esse sono frutto di un furto perpetrato da Libri fra le carte cassiniane dell’Osservatorio. La presenza però del manoscritto pisano, che contiene, oltre alle lettere di Guglielmini, molti altri ricordi di Cassini, indica però anche altre possibilità. Innanzitutto bisogna osservare che il ms. 423 è uno di quelli rac-
¹ Per i documenti cassiniani conservati in BOP vedi G. B, Inventaire général des manuscrits de la Bibliothèque de l’Observatoire de Paris, «Annales de l’Observatoire de Paris», Mémoires, 21 (1895), pp. 1-60. ² Ministro di Luigi XV ebbe interessi molteplici nei confronti di molte scienze, quali l’idrografia, l’astronomia, etc. Per lui vedi A. M, Le gouvernement et l’administration sous Louis XV. Dictionnaire biographique, Paris, Ed. du CNRS, 1978. ³ A tal proposito vedi S. D, S. D, Joseph-Nicolas Delisle en Russie, messager de l’astronomie française et/ou espion in De la diffusion des sciences à l’espionnage industriel, XV e -XXe siècle, par le soin de A. Guillerme, Fontenay / Saint Cloud, Ens Editions, 1999, pp. 99-114 e J. H. A, Mapping Russia: Farquharson, Delisle and the Royal Society, «Notes and records of the Royal Society», 55 (2001), pp. 191-204. ⁴ Invece il Catalogue de la collection des cartes des frères Delisle si trova ancora nella Biblioteca dell’Osservatorio (BOP, ms. B.5.15) ⁵ Per i manoscritti provenienti da Libri della BNCF vedi L. D, Catalogue des manuscrits des fonds Libri et Barrois, Paris, H. Champion, 1888.
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colti da Angelo Fabroni.¹ Fabroni² dopo il 1770 compì un lungo viaggio attraverso l’Europa, che lo portò anche in Francia, dove frequentò vari esponenti dell’Illuminismo francese, fra gli altri: D’Alembert, Condorcet, Lalande, Diderot. In quest’occasione incontrò anche Jean Dominique Cassini³ (Cassini IV), bisnipote di Cassini, col quale una volta tornato in Italia iniziò una corrispondenza che si protrasse almeno fino al 1785. Essa oggi risulta composta da 29 lettere: 3 lettere sono di Fabroni,⁴ 26 sono di Cassini IV,⁵ quest’ultime c’informano che Fabroni era impegnato a scrivere la biografia di Cassini I, inserita poi in Vitae Italorum doctrina excellentium.⁶ È quindi probabile che durante il suo viaggio in Francia, od anche successivamente, considerati i favori praticati agli eredi di Cassini, si sia procurato quei documenti che avrebbero facilitato la sua fatica. Nelle lettere di Cassini IV, però, non si fa alcun cenno a questa even¹ Il fondo Fabroni pervenne alla BUP nel 1803 per legato, ma purtroppo pare non essere rimasta alcuna documentazione ufficiale di quest’avvenimento fra le carte amministrative della biblioteca. Esso viene così descritto nella Guida ai fondi speciali delle Biblioteche Toscane: «Il fondo a carattere polidisciplinare attiene agli studi di Monsignor Angelo Fabroni e riguarda questioni teologiche, giuridiche e scientifiche, letteratura, storia, agiografia, antiquaria, comprende 2358 opuscoli rilegati in 280 voll. e 7 manoscritti». ² A. Fabroni (1732-1803) ricoprì numerosi incarichi nella Toscana del granduca Pietro Leopoldo de’ Medici, peraltro nel 1769 divenne provveditore dell’Università di Pisa, città nella quale si stabilì. Fabroni, che diresse dal 1771 al 1796 il «Giornale de’ Letterati» di Pisa, fu autore di numerose opere a carattere biografico. Per ulteriori notizie vedi la voce curata da U. B su DBI, 44, pp. 2-12. ³ Vissuto fra il 1748 e il 1845 fu il primo direttore dell’Osservatorio di Parigi, carica che dovette lasciare con la Rivoluzione, durante la quale fu anche imprigionato. Per lui vedi J. F. S. D, Histoire de la vie et des travaux scientifiques et littéraires de J.D. Cassini, Clermont, 1851 e C. T, Jean Dominique Cassini IV (1748-1845), le dernier directeur de l’Observatoire de Paris sous l’Ancien régime raconté par lui-même, in Sur les traces des Cassini: astronomes et observatoires au sud de la France, Congrès national des sociétés historiques et scientifiques 121e , sous la direction de P. Brouzeng, S. Débarbat, Nice, 1996, Paris, Edition du CTHS, 2001, pp. 43-65. ⁴ Le lettere hanno date 15 febbraio 1778, 28 agosto 1779, 21 marzo 1788 e sono conservate nel manoscritto B.4.10 di BOP. ⁵ Esse hanno date comprese fra il 25 giugno 1773 e il 20 aprile 1785 e sono conservate nel ms. 422, fasc. 26 di BUP. La notizia principale che queste lettere forniscono è che Fabroni s’impegnò a trovare le prove della nobiltà della famiglia Cassini, originaria della provincia di Siena, perché i discendenti dell’astronomo potessero ottenere un titolo nobiliare dal re di Francia. Nella lettera del 18 nov. 1776 c’è la testimonianza del successo delle manovre di Fabroni: «Nous ne sommes pas encore pervenû ici à nos fins: le certificat de Sienne a été trouvé très bon, très flatteur, et nous a fait le plus grand honneur; mais le roi a beaucoup de peine à permettre qu’il vienne de nouveaux virages à la cour». ⁶ Vol. IV, pp. 202-325. In essa però, pur essendo molto accurata, non c’è alcun riferimento al materiale oggi contenuto nel ms. 423 di BUP.
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. . . 153 tualità.¹ Inoltre Fabroni era anche impegnato a pubblicare le Lettere inedite di uomini illustri,² e nella prefazione del II volume si annuncia anche la pubblicazione di un III volume (mai uscito) «formato in gran parte delle lettere del gran Cassini, di quel raro genio, che con tanta gloria di sè e dell’Italia tutta, fondò per così dire l’Astronomia in Francia». D’altra parte non è escluso che anche prima della rivoluzione francese vi sia stata una dispersione dei manoscritti e degli strumenti dell’osservatorio. Infatti, come osserva Wolf, era proprio la natura stessa dell’istituzione a favorire questa circostanza.³ In pratica l’osservatorio non aveva una struttura autonoma e dipendeva completamente dall’Accademia delle Scienze, della quale era un’emanazione. Proprio per questo dopo il 1750 attraversò un periodo di decadenza, che terminò pochi anni prima dell’inizio della rivoluzione, quando nel 1785, per merito di Cassini IV, l’osservatorio raggiunse una propria autonomia, grazie ad un regolamento che prevedeva anche la formazione di una biblioteca. Ed è in quest’occasione che l’osservatorio ebbe il suo primo direttore (effettivamente nominato e non ‘facente funzioni’): Cassini IV, che però fu destituito in seguito alle vicende rivoluzionarie. Prima che questa carica fosse attribuita a Lalande,⁴ gli immediati successori di Cassini IV ebbero tutt’altre preoccupazioni⁵ che quelle di sopraintendere alla conservazione dell’osservatorio e dei suoi beni. Alla luce di questi fatti si può anche pensare che sia Fabroni sia Libri possano essere venuti in possesso dei documenti cassiniani al di fuori delle mura dell’osservatorio, in particolare poi Libri, vista ¹ È invece annotato dalla mano di Fabroni nella copia di Recueil d’observations faites en plusieurs voyages par ordre de sa majesté pour perfectionner l’astronomie et la géographie, Paris, Impr. royale, 1693, posseduta da BUP (segn.: C.g.1.7): «Prezioso libro in cui tutto quello che vi è descritto è della mano del S. Cassini. L’ebbi in dono da’ suoi discendenti l’anno 1773 quand’era in Parigi». ² Pubblicate a Firenze in due tomi fra il 1773-1775. ³ Per questa circostanza, oltre al libro di Wolf già indicato, vedi anche S. L. C, The vicissitudes of a scientific institution: a decade of change at the Paris Observatory, «Journal for the history of astronomy», 21 (1990), pp. 235-274. ⁴ Joseph Jérome Lalande (1732-1807), astronomo, non fu nel numero iniziale degli Enciclopedisti, però riscrisse molti degli articoli astronomici, rimpiazzando quelli originari di D’Alembert. Per sue notizie vedi C. E. H. M, Jérôme Lalande et l’astronomie au XVIIIe siècle, «Annales de la Société d’émulation et d’agriculture de l’Ain», 40 (1907), pp. 82-145 ; 41 (1908), pp. 313-417 ed il più recente E. C, R. C, J. C. P et alii, Jerome de Lalande (1732-1807), Nouvelles Annales de l’Ain, 1991. ⁵ C. J. E. W, Histoire de l’Observatoire de Paris, cit., p. 366.
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la frequentazione della città di Pisa¹ e della sua biblioteca, potrebbe esserne venuto in possesso addirittura nella città toscana.² 2. I P P La prima parte del manoscritto conservato a Pisa contiene materiale che riguarda la famiglia fiorentina Medici, in parte adoperato da Fabroni per il suo libro Historia Academiae Pisanae.³ Sicuramente più interessanti per la storia della scienza sono le carte conservate nei fascicoli nn. 11-24, 30, 31. Si tratta di documenti cassiniani, provenienti per la maggior parte, se non per la totalità, dalla documentazione che Cassini aveva lasciato all’osservatorio di Parigi, da lui stesso fondato. Fasc. 11. Contiene 6 autografi di Cassini e la copia di una sua lettera. Si tratta di una minuta di lettera a Mr. Palus (in lingua francese datata 3 dic. 1682, 2 cc.); della copia di una lettera all’abate Gondi⁴ (in italiano, datata 26 marzo 1684 sul problema delle Chiane, 2 cc.); di due lettere al nipote Giacomo Filippo Maraldi⁵ scritte all’epoca del suo viaggio in Italia (in francese, con date 26 gennaio e 5 luglio ¹ Libri visse la sua prima infanzia fra Firenze e Pisa, dove abitavano i nonni materni e dove compì gli studi. Nel 1823 divenne professore dell’Università pisana, incarico da cui fu esonerato un anno più tardi, comunque anche più tardi Libri soggiornò a varie riprese a Pisa, da dove peraltro il 5 dicembre 1828 spedisce una lettera alla madre, dalla quale si evince che è già riuscito ad entrare in possesso di una buona biblioteca. Vedi il doc. n. XVIII del testo di Fumagalli, già ricordato. ² Quest’affermazione a difesa di Libri è però indebolita dal fatto che a c. 50 del ms. della BNCF, già indicato, si conserva un documento letto all’Accademia delle Scienze di Parigi il 14 agosto 1776, e quindi posteriormente al viaggio di Fabroni in Francia. ³ Pubblicata in tre volumi a Pisa fra il 1791 e il 1795. ⁴ Probabilmente Carlo Antonio Gondi (1642-1720), che fu anche ambasciatore di Cosimo III de Medici in Francia. Per questa lettera vedi le pp. 95-97 di A. M, Lettere di scienziati dell’Archivio segreto Vaticano, «Commentationes Pontificiae Academiae scientiarum», 5 (1941), pp. 61-209. Anche Cassini, negli anni 1664-1665, si era occupato dell’assetto idrico della Valdichiana, vedi le Mémoires ricordate nella nota n. 1 di p. 150, pp. 283-284. ⁵ I dati biografici essenziali di questo nipote di Cassini, che si ricavano da Index biographique de l’Académie des Sciences, Paris, Gauthier-Villars, 1979, p. 364 sono: «Maraldi (Giacomo Filippo, alias Jacques-Philippe) neveu de Cassini, né à Perinaldo, comté de Nice-Sardaigne le 21 aout 1665 – élève astronome le 28 août 1694 – élève de Cassini, astronome, premier titulaire nommé par Louis XIV le 28 janvier 1699 – associé géomètre le 4 mars 1699, en remplacement de Fantet le Lagny, nommé associé mécanicien – pensionnaire astronome le 1.er février 1702, en remplacement de Lefevre, exclu – sous directeur en 1711 – mort à Paris le 1.er décembre 1729 – premier géographe du Roi». Vedi comunque il suo elogio su «Histoire de l’Académie des Sciences», Paris, 1729.
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. . . 155 1695, di 2 cc.); di una lettera a destinatario sconosciuto (forse Philippe De La Hire¹), a cui Cassini comunque riferiva durante il viaggio fatto per il prolungamento della linea meridiana passante per Parigi, compiuto fra il 1700-1701 (in francese da Ussel, datata 5 ottobre 1700, 2 cc.); di una minuta di lettera a destinatario bolognese (in italiano, s.d. ma probabilmente del 1672, 2 cc.); di una minuta di lettera al P. gesuita Jean de Fontaney² (in francese, datata 24 gennaio 1687, 2 cc.). Fasc. 12. Contiene 3 minute di lettere, autografe, di Cassini all’astronomo inglese John Flamsteed³ senza data,⁴ per complessive 6 cc. Fasc. 13. Contiene 5 minute di lettere, autografe, di Cassini al segretario della Royal Society di Londra, Henri Oldenburg,⁵ per com¹ Philippe de la Hire (1640-1718), astronomo dell’Accademia delle Scienze di Parigi dal 26 gennaio 1678, per il quale vedi la voce curata da R. T su DBS, VII, pp. 576-579 e il suo elogio, redatto da B. de F su «Histoire de l’Académie des Sciences», Paris, 1718. ² Gesuita, vissuto fra il 1643 e il 1710, che stava compiendo una missione in Cina. Per qualche breve indicazione biografica vedi J. D, Répertoire des Jésuites de Chine de 1552 à 1800, Rome, Presses de l’Université Gregorienne, 1973, pp. 325-326 e soprattutto I. L-D, Les mathématiciens envoyés en Chine par Louis XIV en 1685, «Archive for history of exact sciences», 55/5 (2001), pp. 423-463. A tal proposito vedi in BOP, ms. A.4.2 il fascicolo intitolato Observations astronomiques et physiques etc., envoyées à l’Académie Royale des Sciences par les Jésuites [...], che poi è servito per il testo pubblicato su «Mémoires de l’Académie royale des Sciences. Depuisa 1666 jusqu’à 1699», T. VII/2, p. 605 e segg. ³ Per una buona conoscenza dell’opera dell’astronomo inglese John Flamsteed (16461719) è estremamente utile la pubblicazione della sua corrispondenza curata da E. G. Forbes, L. Murdin, F. Willmoth. Sulla sua attività di astronomo vedi F. Willmoth (edited by), Flamsteed’s stars. New perspectives on the life and work of the first astronomer royal (1646-1719), Woodbridge, The Boydell Press, 1997. Vedi anche DBS, V, pp. 22-26. ⁴ In realtà la minuta che inizia con «Humanissimas literas tuas» è la minuta della lettera che nella corrispondenza di cui alla nota precedente risulta pubblicata con data 1/11 agosto 1673; la minuta che inizia con «Quando quidem Jupiter solaribus» è la minuta della lettera pubblicata con data 29 ott./8 nov. 1673. Quella che inizia con «Quod Jovis sidus telescopio» non mi pare pubblicata. ⁵ Un confronto con le lettere pubblicate in The Correspondence of Henri Oldenburg (edited and translated by A. R. Hall et M. Boas Hall), Madison-London, University of Wisconsin Press etc., 1965-86, 13 voll., permette di dire che le minute datate 7 giugno 1669, 2 febbraio 1671 sono prime versioni di lettere che risultano pubblicate nella corrispondenza. Una delle minute s.d. (individuata dal n. 347873) è la minuta della lettera che nel carteggio ha data 18 giugno 1674. Si deve notare una discrepanza fra le date apposte da Cassini, che seguiva il calendario gregoriano e quelle adottate dai curatori della Correspondence, che per uniformità hanno scelto di datare tutte le lettere secondo il calendario giuliano, che veniva usato in Inghilterra nella seconda metà del secolo XVII. Sul ruolo di divulgatore scientifico di Oldenburg vedi M. B. H, Henry Oldenburg: shaping the Royal Society, Oxford, Oxford university press, 2002.
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plessive 10 cc., delle quali 2 s.d., mentre le date delle altre tre sono 7 giugno 1669, 2 febbraio 1671, 23 settembre 1671. Fasc. 14. Contiene tre lettere di Cassini a J. Picard,¹ scritte durante il viaggio di quest’ultimo in Danimarca,² sono in italiano ed hanno date 12 e 19 novembre 1671, 3 dicembre 1671,³ si tratta di complessive 8 cc. Fasc. 15. Contiene 2 minute di lettere in lingua latina, autografe, di Cassini a Johann Hevel,⁴ di complessive 6 cc., una con ¹ Jean Picard (1620-1682), collaboratore inizialmente di Gassendi, fu uno dei fondatori dell’Accademia delle Scienze di Parigi. Si occupò in maniera permanente del progetto dell’Accademia di formare una carta della Francia, stabilendo innanzitutto con esattezza la misura di un grado di meridiano. Per la sua figura vedi Jean Picard et les débuts de l’Astronomie de précision au XVII siècle, Actes du colloque du tricentenaire édités par Guy Picolet, Paris, Editions du CNRS, 1987. ² Così viene spiegata dallo stesso Picard la necessità di questo viaggio: «On sçait qu’après l’ancienne Babylone, dont il ne reste plus que le nom, Alexandrie d’Egypte a été comme le siège de l’Astronomie, où Hipparque et Ptolomée ont fait leurs observations: l’on sçait aussi les grands avantages que cette noble science a tirez de celles que Tycho Brahe a faites à Uranibourg au détroit du Sond, vers la fin du dernier siècle. Mais pour pouvoir profiter du travail de ces grands hommes, il étoit nécessaire de sçavoir exactement combien les méridiens des lieux où ils avoient fait leurs observations étoient éloignes de celui de Paris, et de vérifier en même temps les hauteurs du Pole de ces mêmes lieux. Pour cet effet il étoit nécessaire d’y envoyer des observateurs; il sembloit même que le voyage d’Alexandrie devoit précéder: mais à cause des difficultez particulières, et des retardemens que l’on prévoyoit, l’on jugea qu’il seroit à propos de commencer par celui d’Uranibourg. Cette délibération de l’Académie Royale des Sciences ayant été portée à Sa Majesté, le voyage d’Uranibourg fut conclu, et je fus choisi pour l’exécution de ce dessein. Je partis de Paris au mois de juillet de l’année 1671 avec un aide nommé Etienne Villiard, que j’avois dressé aux observations; et avec tout ce qui pouvoit être nécessaire pour ce que je devois faire à Uranibourg, pendant que le célèbre astronome M. Cassini travailleroit aussi de concert à l’Observatoire Royal», in Voyage d’Uranibourg pubblicato alle pp. 193-230 di «Mémoires de l’Académie royale des Sciences Depuis 1666 jusqu’à 1699», T. VII/1. Su di esso vedi K. P, La mission astronomique de Jean Picard: le voyage d’Uraniborg, alle pp. 175-203 del testo indicato nella precedente nota. ³ Le lettere sono originali, copie di esse in lingua francese si trovano nel ms. A.4.2 di BOP, dove sono contenute ulteriori copie in lingua francese di altre lettere scritte da Cassini a Picard durante il viaggio a Uranibourg di quest’ultimo, e quindi datate fra il 24 maggio 1671 e il 31 maggio 1672. ⁴ Su Johann Hevel (1611-1687) vedi L. G. B, La vie et les travaux de Jean Hevelius, «Bullettino di bibliografia e di storia delle scienze matematiche», 8 (1875), pp. 497-558, 589-669. In BOP è presente una ricca raccolta di manoscritti di questo astronomo polacco, formata da N. Delisle. Una prima serie C.1.(1-16) riguarda la sua corrispondenza. Una seconda serie C.2. (1-6) riguarda le sue osservazioni e la sua biblioteca. Nella serie riguardante la corrispondenza sono presenti alcune minute di lettere a Cassini, ma nessun originale di Cassini. Nella serie B.4. (9-13), che è composta da lettere originali scritte ai Cassini o ai Maraldi non è presente alcuna lettera di Hevel.
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. . . 157 data 2 novembre 1674,¹ una con data posteriore al 30 maggio 1673. Fasc. 16. Contiene 5 lettere autografe di Giovanni Alfonso Borelli,² con date 22 settembre 1671, 20 novembre 1676, 10 febbraio 1677, 21 marzo 1678, 17 maggio 1678, di complessive 10 cc. Fasc. 17. Contiene 6 lettere autografe di Gemignano Montanari,³ con date 4 dicembre 1669, 29 novembre 1670, 6 aprile 1678, 15 aprile 1678, 5 settembre 1681, 25 febbraio 1684, di complessive 14 c.⁴ Fasc. 18. Contiene una lettera autografa di John Flamsteed⁵ da Greenwich, datata 30 gennaio 1680, di 4 cc., in lingua latina. Fasc. 19. Vi sono contenute le 9 lettere autografe di Domenico Guglielmini, di cui tratta questa pubblicazione. Si tratta di 20 cc. ¹ Per questa lettera vedi le pp. 339-342 di Epistolae Clarissimorum Virorum ad Johannem Hevelium cum eiusdem responsiones. T. XI (Ab anno 1671 ad 1675 et 1676) nel ms. L. 10348 di BNCF. Non si tratta comunque dell’originale di Cassini, ma di una sua copia. In effetti i mss. L. 10347, L. 10348, L. 10349 di BNCF sono formati da copie di lettere sia inviate, sia ricevute da Hevel. Vedi anche la nota precedente. Per essa vedi anche le pp. 146-147 di Excerpta ex literis illustrium et clarissimorum virorum ad nobilissimum [...] d.m Joannem Hevelium, Gedani, ex officina Jansonio Waesbergiana, 1683. ² Scienziato napoletano vissuto fra il 1608 e il 1679, frequentatore di svariati ambienti scientifici italiani, fra i quali l’Accademia del Cimento di Firenze. Dalla corrispondenza in questione si evince peraltro che Cassini si stava adoperando perché contemporaneamente alla pubblicazione della sua opera principale De motu animalium Borelli fosse accolto nell’Accademia delle Scienze di Parigi, cosa che poi non si verificò, forse per la lunghezza della trattativa e la contemporanea morte dell’autore. Su lui vedi DBI, XII, p. 543-550. Per queste lettere vedi un articolo di T. Derenzini in «Physis», 2 (1960), pp. 235-241. ³ Geminiano Montanari (1633-87), modenese, professore di matematica, prima all’Università di Bologna (1664-79), poi a quella di Padova. Fra gli usuali repertori bio-bibliografici vedi soprattutto A. F, Vitae Italorum doctrina excellentium, III, pp. 68-119. Montanari peraltro lasciò manoscritta una sua «opera fisico-matematica sopra le comete», come si ricava da una sua lettera a Cassini pubblicata da Fabroni al termine della biografia suddetta, opera brevemente descritta in C. P, Lyceum Patavinum [...], Patavii, Typis Petri Mariae Frambotti, 1682, p. 114. Ma vedi anche S. R, Scienza e “pubblica felicità” in Geminiano Montanari alle pp. 67-208 del II volume di Miscellanea Seicento. Per quanto riguarda lettere di Cassini a Montanari vedi pp. 17-23 di Lettere di uomini dotti tratte dagli autografi ed ora per la prima volta pubblicate, Venezia, presso Antonio Curti, 1807. ⁴ Per le prime cinque lettere vedi F. C D, M. U. L, Cinque lettere di Geminiano Montanari a Gian Domenico Cassini, «Nuncius», 19 (2004), pp. 205-223. Altre tre lettere di G. Montanari sono conservate nel ms. B.4.11 di BOP e sono state pubblicate da F. Barbieri e F. Cattelani-Degani («Nuncius», 1997, pp. 433-441). ⁵ Questa lettera risulta sconosciuta ai curatori della corrispondenza di cui alla nota n. 3 di p. 155, in essa però sono pubblicate le altre due lettere di Flamsteed a Cassini conservate in BOP ms. B.4.10 ed aventi date 1/11 nov. 1681, agosto 1682. Vi sono pubblicate anche altre lettere però secondo le minute di Flamsteed o Oldenburg conservate nella biblioteca della Royal Society o della Royal Astronomical Society di Londra: esse hanno date 1/11 ag. 1673, 29/8 nov. 1673, 19 sett. 1675, 4 mar. 1675/6, 8 genn. 1678/9.
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Fasc. 20. Contiene 11 lettere di vari a Cassini. Si tratta di una lettera in latino di Johann Hevel da Danzica, datata 7 novembre 1669,¹ di 2 cc.; di una lettera in lingua francese di Jean Picard del 14/24 settembre 1671 scritta da Uranibourg² di 3 cc.; di una lettera in francese di Edmund Halley³ da Saumour, datata 9 luglio 1681, di 2 cc; di una lettera da Dieppe in lingua francese di Jean Deshayes, datata 29 gennaio 1682, di 2 cc.; di una lettera in lingua francese da Honfleur di Guillaume De Glos,⁴ datata 16 marzo 1693, di 2 cc; di una lettera in lingua francese da Pechino di J. de Fontaney datata 20 ottobre 1693, di 2 cc.; di una lettera da Kiel in lingua latina da Samuel Reyher,⁵ datata 21/31 dicembre 1699, di 1 c.; di una lettera da Roma del nipote di G. F. Maraldi datata 19 luglio 1701 in lingua francese di 2 cc.; di
¹ Per questa lettera vedi anche le pp. 188-190 del ms. L. 10348 di BNCF (Epistolae Clarissimorum Virorum ad Johannem Hevelium cum eiusdem responsiones. T. IX) e il ms. C.1.9 di BOP. In realtà L. Lalanne, che è il compilatore del ms. D.5.41 di BOP, intitolato Inventaire de divers manuscrits de la Bibliothèque de l’Observatoire, aveva notato a proposito di questa lettera (ovvero della minuta di questa lettera): «Cette piece a été enlevée. C’était (copie t. 9 p. 188: il riferimento è al ms. di BNCF, già indicato in questa nota) une lettre de 1669 7 nov. Elle a été trouvé dans les papiers de Libri et commence ainsi Quod adeo humanissime munusculum illud chartaceum». Peraltro questa minuta si trova attualmente al suo posto nel ms. C.1.9 di BOP. Lalanne indica ancora che nel ms. C.1.11 mancano due originali di Cassini ed esattamente quello datato 2 novembre 1674, la cui minuta, vedi sopra, si trova in BUP, ed uno datato 29 ott. 1672, il cui inizio è Humanissima litera tua die 7 oct. datam. ² Di questa lettera si ha un estratto nel ms. A.4.2 di BOP, dove sono contenuti estratti di varie lettere di Picard a Cassini riguardanti il periodo 11 agosto 1671-20 settembre 1681. Nel ms. B.4.11bis si hanno invece alcuni originali datati: 11/21 ag., 10/20 sett., 28 nov, 12 dic., 17 dic. 1671, 9 genn. 13 feb., 12, 26 mar., 2, 12 ap., 3 mag. 1672. Altre lettere si trovano in BNCF (una lettera del 5 dic. 1671 in NAF 6197, cc. 131-132, due datate 19 aprile 1672, 29 ottobre 1681 in NAL 1520). ³ La lettera è stata recentemente riprodotta alle p. 290-293 di A. C, Gio. Domenico Cassini, cit., probabilmente non autografa poiché è scritta dalla stessa mano che ha scritto un’altra lettera conservata in BOP, ms. B.4.10, per la quale vedi S. D, Newton, Halley et l’Observatoire de Paris, «Revue d’histoire des sciences», 39/2 (1986), pp. 127-154. ⁴ Jean Deshayes, Guillaume De Glos e Varin, ricordato successivamente, furono dei collaboratori di Cassini all’osservatorio di Parigi. Furono frequentemente in viaggio per compiere osservazioni simili a quelle che Cassini compiva a Parigi, affinché il loro confronto permettesse di stabilire latitudine e longitudine di territori lontani, quali, ad esempio Capo Verde o le isole dell’America. Per loro vedi S. D, S. D, Ces Messieurs de l’Académie sur les côtes de Gascogne à la fin du XVIIe siècle in L’aventure maritime du golfe de Gascogne à Terre Neuve, Actes du 118e Cong. nat. des sciences historique et scient., Paris, CTHS, 1995, pp. 19-30, ed anche S. D, Sur quelques correspondances reçues par les Cassini et les Maraldi (1670-1793) in Sur les traces des Cassini, cit., pp. 185-195. ⁵ Samuel Reyher (1635-1714) fu professore di matematica e diritto all’Accademia di Kiel, per qualche ulteriore notizia vedi Nouvelle biographie générale, XLII, col. 75.
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. . . 159 una lettera da Montpellier di De Clapies¹ datata 16 agosto 1707, di 2 cc.; si hanno anche due lettere da due mittenti sconosciuti (ovvero il cui nome è di difficile decifrazione) da Amsterdam con data 10 giugno 1697 e da Cadice con data 26 gennaio 1698, di 2 cc. ciascuna. Fasc. 21. È una miscellanea di appunti in parte autografi di Cassini, sia scientifici sia biografici, 28 cc. Si notano due testi intitolati Des irregularites de la variation de l’aiman e Observation d’une etoile nouvellement découverte proche de la constellation du Cygne. 1670. Fasc. 22. Si hanno 4 lettere di Francesco Bianchini² in lingua italiana di 2 cc. ciascuna, delle quali soltanto una indirizzata a G. D. Cassini (con data 28 febbraio 1702), le altre con date 22 luglio 1704, 10 ottobre 1707, 29 novembre 1719, sono indirizzate a G. F. Maraldi. In questo fascicolo è contenuta, anch’essa della mano di F. Bianchini, Observatio lunaris eclipsis Albani habita post occasum solis diei Dominicae 21 octobris 1725 di 2 cc. Fasc. 23. Contiene materiale riguardante una polemica che ha diviso Cassini e Gallet sui satelliti di Saturno.³ Si tratta della copia di una lettera di Cassini del 19 marzo 1675 (2 cc.), della copia di una lettera di Gallet⁴ da Avignone del 9 febbraio 1675 (4 cc.) e di Remarques sur la découverte d’Avignon di 4 cc., probabilmente del Reverendo Padre a cui sono indirizzate entrambe le lettere. Fasc. 24. Contiene copie di minute di lettere di Cassini. Per la maggior parte sono indirizzate a Gallet: sicuramente quelle datate 1 maggio 1680, 30 maggio 1680, 29 luglio 1680 di 2 cc. ciascuna, perché il destinatario è chiaramente indicato da Cassini, però anche le minute datate 8 luglio 1680 e 28 giugno 1680, sono a mio avviso destinate a Gallet, poiché sono in stretta connessione con le altre ¹ Jean de Clapies (1671-1740), ingegnere ed astronomo di Montpellier, per il quale vedi Nouvelle biographie générale, X, coll. 647-48. ² Sull’erudito veronese Francesco Bianchini (1662-1729), che si interessò non solo di astronomia, ma anche di cronografia, di antichità, etc., vedi la valida sintesi biografica di S. R su DBI, 10, pp. 187-194, A. M, Vita di Mons. Francesco Bianchini Veronese, Verona, Targa, 1735 e F. U, Un erudito veronese alle soglie del Settecento: Mons. Francesco Bianchini, Verona, Biblioteca Capitolare, 1986. ³ Su questo vedi anche J. B. D, Regiae Scientiarum Academiae Historia, Parisiis, J. B. Delespine, 1701, pp. 146-7. ⁴ In BOP, ms. B.4.10 è presente un fascicolo di 17 lettere scritte da Gallet a Cassini che si riferiscono al periodo 26 agosto 1676-22 giugno 1694. Per qualche scarna notizia su Jean Charles Gallet (1637-1713) vedi Dictionnaire de la biographie française (sous la direction de M. Prevost, etc.), Paris, 1929-, XV, p. 210.
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tre già indicate, anch’esse sono di 2 cc. ciascuna. Le altre minute sono indirizzate a Philippe de la Hire, che si trovava a Calais (21 novembre 1681, 1 c.); a Jean Picard, che si trovava a Cherbourg (22 novembre 1681,¹ 1 c.); a Varin e Deshayes, che si trovavano a Dieppe (9 gennaio 1682, 1 c.). Fasc. 30. Copia di una biografia di Cassini, che riguarda soltanto gli anni trascorsi in Italia, composta dall’abate Michele Giustiniani, e trascritta da Gli scrittori liguri,² si tratta di sole 6 cc. Fasc. 31. Contiene materiale riguardante la biografia di Cassini, in parte (9 cc.) autografo di Fabroni. E’ presente anche un cenno ad Eustachio Manfredi³ (si tratta dello stralcio di una lettera di Cassini a Manfredi,⁴ probabilmente perduta). In totale sono 39 cc. L’ultima parte del manoscritto contiene copie di lettere del card. Enrico Noris⁵ e materiale riguardante l’Università di Pisa. Il ms. 6197 delle nuove acquisizioni in lingua francese della Biblioteca Nazionale di Parigi, riunisce materiale originariamente conservato nell’Osservatorio di Parigi, visto che esso riguarda sia Giovanni ¹ Copie di altra mano delle lettere a De la Hire e a Picard si trovano in BOP, ms. A.4.2. In pratica sia De la Hire, che Picard stavano lavorando dal 1679 per attuare un disegno di Colbert: stabilire una carta del territorio francese, più esatta delle precedenti, e come si osserva nell’elogio di De La Hire (vedi la nota n. 1 di p. 155) quest’ultimo nel 1681 aveva il compito di stabilire la posizione di Calais, Picard di Dunkerque. ² L’opera fu stampata a Roma nel 1667. Si tratta di una trascrizione delle pp. 358-371. ³ Su Eustachio Manfredi (1674-1739), astronomo, idraulico, professore di matematica all’Archiginnasio bolognese, vedi G. P. C-Z, Vita di Eustachio Manfredi, Bologna, Stamperia di Lelio della Volpe, 1745, ripubblicata anche nella Raccolta d’Autori Italiani che trattano il moto dell’Acque, Ed. IV, V, p. IX-LXII. Allievo di Guglielmini divenne professore di matematica nello studio di Bologna in seguito al passaggio del maestro all’Università di Padova, con un Senato Consulto del 26 febbraio 1699. Succedette ancora a Guglielmini nella carica di sopraintendente delle Acque del Bolognese. Vedi anche la biografia redatta da Fabroni e pubblicata su Vitae Italorum, V, p. 144-206. In BUP è presente una prima minuta autografa, che contiene correzioni, soprattutto linguistiche, di Francesco Maria Zanotti. ⁴ La corrispondenza fra i Cassini ed Eustachio Manfredi è stata recentemente pubblicata (vedi la nota n. 3 di p. 161) ed in particolare sono ivi pubblicate le lettere di Cassini a Manfredi, conservate alla Biblioteca dell’Archiginnasio di Bologna. Il passo in questione appartiene ad una lettera, non presente nella biblioteca bolognese, scritta comunque dopo il febbraio 1709, in quanto si ricorda la morte di V. F. Stancari, amico fraterno di Eustachio Manfredi. ⁵ La più completa biografia del cardinale veronese Enrico (nato Girolamo) Noris vissuto fra il 1631 e il 1704, è stata redatta da M. K. Wernicke ed ha titolo Kardinal Enrico Noris und seine Verteidigung Augustins, Würzburg, Augustinus Verlag, 1973. Essa è fondata su una copiosa documentazione manoscritta conservata presso la Biblioteca Angelica di Roma.
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. . . 161 Domenico Cassini, sia Giacomo Filippo Maraldi, sia Joseph-Nicolas Delisle, sia La Condamine.¹ Per quanto riguarda Cassini, a parte qualche foglio di provenienza dubbia ed alle lettere di Guglielmini già ricordate, si riconoscono: a) Observations faites à Pekin par les Jésuites françois envoyez à la Chine par sa Majesté en qualité de ses mathématiciens, cc. 4r-7r. b) Lettera di Deshayes da Dieppe del 18 novembre 1681, cc. 87-8. c) Lettera di Gallet da Avignone del 17 luglio 1675, cc. 95-96. d) 2 lettere del P. Gouye,² s.d., cc. 99-102. e) Lettera di E. Manfredi³ da Bologna dell’8 ottobre 1699, cc. 114. f ) Lettere di H. Oldenburg⁴ da Londra, aventi date 15 gennaio 1672, 17/27 gennaio 1676, 2 ottobre 1676, cc. 125-130. g) Lettera di J. Picard da Copenaghen, datata 5 dicembre 1671, cc. 131-132. h) Lettera di Varin da Dieppe, datata 11 dicembre 1681, cc. 170171. 3. L Cassini era vissuto a Bologna fra il 1651 e il 1669, occupando la cattedra di matematica che era stata di Bonaventura Cavalieri. Dopo un invito del primo ministro francese, Jean Colbert, lasciò Bologna per Parigi per occuparsi del nascente osservatorio. Almeno inizialmente si pensava che l’incarico fosse limitato nel tempo, ma così non fu.⁵ ¹ Charles Marie de la Condamine (1701-74) si è occupato sia di matematica sia di storia naturale. Compì, fra le altre cose, una missione in Perù per verificare l’ipotesi di Newton sull’appiattimento del globo terrestre ai poli. Vedi DBS, XV, pp. 269-273. ² Thomas Gouye (1650-1725), gesuita, membro dell’Accademia delle Scienze di Parigi dal 1699. Per i suoi contributi di astronomo vedi Observations physiques et mathématiques pour servir à la perfection de l’astronomie et de la géographie, envoyées de Siam à l’Académie des Sciences de Paris, «Mémoires de l’Académie royale des Sciences. Depuis 1666 jusqu’à 1699», T. VII/2, pp. 647 e segg. ³ Questa lettera è pubblicata vedi S. G, Il carteggio fra i Cassini e Eustachio Manfredi (1699-1737), «Bollettino di storia delle scienze matematiche», 21/2, 2001, pp. 7-180. ⁴ Queste lettere risultano pubblicate nel testo indicato nella nota n. 5 di p. 155. ⁵ A questo proposito vedi in ASB, A , Lettere dell’Assunteria, n. 63, cc. 33r-40r, copia delle lettere inviate dagli Assunti di Studio all’ambasciatore Paleotti fra il 26 gennaio 1669 e il 14 maggio 1670. Noto peraltro che il Senato bolognese aveva accettato di riservare la lettura insieme allo stipendio per interessamento del Papa ed in base alla convinzione che l’assenza sarebbe stata breve. Quando nell’ottobre 1669 ci si accorse che Cassini non sarebbe rientrato, iniziò una nuova trattativa con Cassini medesimo, che si
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Cassini ritornò in terra emiliana solo per qualche mese nel 1695, quando per pressioni sia da parte romana, sia da parte bolognese intervenne nuovamente nelle questioni d’acque,¹ che contrapponevano Bologna ad un’altra città dello stato papale, Ferrara. Dalla Francia Cassini tuttavia mantenne rapporti con alcuni bolognesi. Sicuramente con Geminiano Montanari, suo collega all’Università, come dimostrano le lettere di Montanari, conservate sia a Pisa, sia a Parigi e con vari componenti della nobile famiglia Monti, che vengono più volte ricordati nella corrispondenza qui proposta. Peraltro Filippo Maria Monti raggiunse Cassini a Parigi, quando questi rientrò in Francia dopo il viaggio in Italia, e per qualche anno occupò il posto di aiutante² nell’osservatorio. La giovane età di Guglielmini alla partenza di Cassini per Parigi permise probabilmente una conoscenza diretta fra i due solo nel 1695, benché la loro corrispondenza sia iniziata almeno nel 1690. La lettere di seguito presentate riguardano il periodo 31 ottobre 1690-9 ottobre 1699, ma il tono abbastanza confidenziale con cui Gugliemini si rivolge a Cassini nella sua prima lettera, indica che lo scambio epistolare era già iniziato da qualche tempo, forse propiziato da Geminiano Montanari, che, oltre ad essere stato collega di Cassini, era stato anche insegnante di Guglielmini. Questi rapporti epistolari sembrano interrompersi nel 1699, quando Gugliemini lasciata Bologna per Padova, incaricò due suoi allievi, Eustachio Manfredi e Vittorio Francesco Stancari,³ di proseguire le osservazioni allo gnomone di S. Petronio, che periodicamente venivano spedite a Parigi, allo scopo di stabilire l’esatta latitudine della città di Bologna. Iniziò così anche una corrispondenza fra Cassini e Manfredi, che terminerà solo con la morte del primo. La corrispondenza presentata in quest’occasione ruota intorno a concluse nel febbraio 1670 con la sua rinunzia allo stipendio. Per tutta questa vicenda vedi comunque il testo di A. Cassini, già ricordato. ¹ Su questa questione e per gli interventi in essa di Cassini vedi C. S. M, Out of Galileo. The Science of Waters 1628-1718, Rotterdam, 1994. ² Fu nominato il 14 marzo 1699 al posto di Giacomo Filippo Maraldi, nipote di Cassini e fu promosso poi astronomo associato, ma lasciò l’incarico il 15 febbraio 1702, vedi l’Index biographique de l’Académie des Sciences, Paris, Gauthier-Villars, 1979, p. 383. ³ Vittorio Francesco Stancari (1678-1709), amico e collaboratore di Eustachio Manfredi, autore della di lui biografia, premessa alle Schedae mathematicae (Bononiae, Typis Jo. Petri Barbiroli, 1713), ripubblicata da A. F, Vitae Italorum doctrina excellentium, cit., V, pp. 209-225.
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. . . 163 due argomenti principali: la pubblicazione riguardante la meridiana di S. Petronio,¹ nata dalla collaborazione dei due corrispondenti e le questioni d’acque del territorio bolognese. Altra circostanza rivisitata da questa corrispondenza è l’aggregazione di Guglielmini, primo italiano ad ottenerla, all’Accademia delle Scienze di Parigi. Questo era avvenuto grazie all’interessamento di Cassini, che circa 20 anni prima si era adoperato per ottenere un simile previlegio anche per Giovanni Alfonso Borelli.² È però la questione delle acque del bolognese che approfondisce i rapporti fra Cassini e Guglielmini. Cassini si era già occupato ampiamente di questa questione durante la sua permanenza a Bologna, soprattutto a partire dal 1657, quando andò a Roma per curare gli interessi della città di Bologna,³ nei confronti di Ferrara. Ferrara nel 1604 aveva ottenuto che il Reno non avesse più il suo recapito nel cosiddetto Po di Ferrara, per poter eseguire delle escavazioni che avrebbero dovuto facilitare la navigazione fluviale, assai utile per il commercio. Gli interventi messi in atto per scaricare le acque del Reno in canali di derivazione non avevano avuto successo e si erano avute delle progressive inondazioni della campagna bolognese. Non era stato possibile neppure effettuare le escavazioni desiderate, per cui sia Bologna, sia Ferrara, non contente dell’assetto idrico dei loro territori, richiesero una soluzione dei propri problemi alla corte papale, che aveva potere decisionale in tutte le questioni che le riguardavano. Oltre a rappresentare Bologna presso il Papa, Cassini partecipò anche alla successive visite guidate dai card. Borromeo e Bandinelli, svoltesi fra il 1658 e il 1661:⁴ Cassini propose di canalizzare il Re¹ La meridiana del tempio di S. Petronio tirata, e preparata per le osservazioni astronomiche l’anno 1655. Rivista e restaurata l’anno 1695, Bologna, Erede di Vittorio Benacci, 1695. Vedi anche G. P, La meridiana della Basilica di San Petronio in Bologna, Bologna, Inchiostri associati, 2001. ² Vedi la nota n. 2 di p. 157. ³ Ci sono vari documenti manoscritti che danno informazioni sull’operato di Cassini in queste circostanze: ad esempio Ristretto del negoziato in tempo di Papa Alessandro VII per la remotione del Reno dalle Valli per parte della citta di Bologna, conservato in ASB, A R, Posizioni, n. 90, ma vedi anche p. 36 e segg. di Raccolta di varie scritture e notitie concernenti l’interesse della remotione del Reno dalle valli, Bologna, G. Monti, 1682 e la p. 393 e segg. del primo tomo di Raccolta d’autori che trattano del moto dell’acque, Firenze, Stamperia di S.A.R., 1723. ⁴ A questo proposito vedi ad esempio ASB, A , Scritture relative a Visite e Congressi d’acque, nn. 4, 5: Visite Borromeo e Bandinelli, 1658-1661, rispettivamente «copia degli atti» e «diario» ufficiale delle visite.
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no nel cosiddetto Po Grande. Questa visita comunque non produsse alcun effetto, per cui nel 1692 fu predisposta quella dei cardinali D’Adda e Barberini, che furono accompagnati, fra gli altri, dal «matematico di Bologna»: Domenico Guglielmini. La visita, dopo alcuni preliminari, cominciò il 7 gennaio 1693¹ e si svolse negli stessi luoghi della visita Borromeo, apparve quindi non inopportuno alla corte papale chiedere un parere anche a Domenico Cassini. Questo fu fatto sia con una lettera dell’ambasciatore bolognese a Roma, Antonio Tanari, del 29 aprile 1693,² sia con un invito del nunzio apostolico a Parigi.³ Iniziò quindi la collaborazione fra Cassini e Guglielmini, perché ovviamente Cassini prima di pronunciare qualsiasi giudizio volle esser aggiornato sui possibili mutamenti che erano nel frattempo avvenuti nei luoghi visitati trent’anni prima. Al termine della visita ci furono varie riunioni dei rappresentanti delle tre città papali interessate: Bologna, Ferrara, Ravenna,⁴ davanti ai due cardinali,⁵ che al termine si pronunciarono per la risoluzione più desiderata dai Bolognesi: il Reno doveva essere nuovamente recapitato nel Po Grande, cioè nel ramo principale del Po. Questa decisione non fu ben accolta dai Ferraresi. La discussione si spostò a Roma ed è in quest’occasione che Cassini fu nuovamente incaricato di difendere gli interessi bolognesi. Si voleva sfruttare non solo la fama di cui ormai l’anziano astronomo godeva, ma anche il buon ricordo che aveva lasciato di sè alla corte papale. Non bisogna scordare che Cassini aveva ricoperto anche alcuni incarichi per lo stato papale, come ad esempio quello d’Ingegnere di Forte Urbano dal 1663 al 1676.⁶ Comunque gli sforzi⁷ ¹ Per essa vedi il protocollo del notaio I. Uccelli, conservato in ASB, A , Scritture relative a Visite e Congressi d’acque, n. 16. Ma vedi anche il materiale conservato in ASF, P, nn. 221-222. ² Copia di essa si trova ad esempio in ASB, A R, Registrum, n. II-52, cc. 372v-374v e c’informa peraltro che già in precedenza il card. Barberini aveva chiesto informazioni a Cassini. ³ Ivi, c. 405v. ⁴ In pratica il Reno riversava parte delle sue acque nel cosiddetto Po di Primaro, rendendo così più difficile il recapito dei fiumi inferiori della legazione di Ravenna. Vedi a questo proposito anche il contributo di Cassini, presentato in Appendice. ⁵ Per il diario di queste riunioni, dove gli interessi della città di Bologna erano curati da Domenico Guglielmini, che vi partecipava e poi riferiva agli Assunti dei Confini ed Acque, vedi ASB, A , Scritture relative a Visite e Congressi d’acque, n. 13. Le riunioni si svolsero a Ferrara nei mesi di luglio, agosto 1693. ⁶ A tal proposito vedi anche la nota n. 2 di p. 199. ⁷ Vedi Relazione dell’operato in Roma l’anno 1695 dal Sig. Gio. Domenico Cassini, matematico
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. . . 165 di Cassini non produssero alcun effetto, poiché le conclusioni¹ della visita Barberini-D’Adda crearono non poche reazioni, non solo da parte dei Ferraresi, ma anche da parte dei Veneziani, per cui non furono nell’immediato accolte dalla corte papale. Nel settembre 1695 Cassini iniziò il viaggio di ritorno per Parigi, per non tornare mai più in Italia. Sicuramente Cassini durante il soggiorno parigino è ritornato qualche volta a Perinaldo, sua città natale,² anche se il 26 febbraio 1702 aveva ottenuto la cittadinanza bolognese,³ che aveva richiesto all’atto di rinunciare allo stipendio della lettura. Non è stato possibile trovare le lettere di Cassini a Guglielmini, tranne qualche copia che si trova fra i documenti d’Acque dell’Archivio di Stato di Bologna, per cui le lettere pubblicate sono 24 e seguono questo ordine cronologico: I. Domenico Guglielmini a Giovanni Domenico Cassini, 31 ottobre 1690. II. Giovanni Domenico Cassini a Domenico Guglielmini, 20 giugno 1693. III. Domenico Guglielmini a Giovanni Domenico Cassini, 28 giugno 1693. IV. Giovanni Domenico Cassini a Domenico Guglielmini, 27 luglio 1693. del Re di Francia, chiamato da N.ro S.re Innocenzo XII a Roma per l’affare della diversione del Reno in ASB, A , Scritture d’Acque, n. 15: si tratta di una copia, però ha una sottoscrizione di Cassini, che mi pare autografa. Per essa vedi anche ASB, A , Notizie diverse d’Acque, T. I, pp. 323-327. I due manoscritti contengono anche altro materiale relativo al contributo dato da Cassini in questa circostanza (vedi nell’ultimo ms. indicato le pp. 328-338) si tratta di: Del modo più naturale, più sicuro e più facile di riparare il Reno e l’Acque Inferiori (per la quale v. l’Appendice); Fondamenti principali delle proposizioni fatte per recapitare il Reno (indicata come una scrittura presentata al Card. segretario di Stato Spada); il diario del Congresso avuto a Roma con il card. Spada e il Col. Ceruti. Vedi anche ASB, A R, Posizioni, n. 291. ¹ Il Voto D’Adda-Barberini fu infatti, pubblicato solo nel 1715, quando si rinnovarono i tentativi da parte dei Bolognesi per far sì che si eseguissero i lavori in esso proposti. ² Una testimonianza in questo senso si trae da una lettera di I. Boulliaud a Hevelius del 9 dic. 1672, la cui copia è conservata nel ms. L. 10348 di BNCF, e un’ultima volta potrebbe esservi ritornato anche nel corso di una sua missione nella Francia del Sud svolta nel 1700-01. ³ Vedi G. A, C. C, Diventare cittadini. La cittadinanza ex privilegio a Bologna sec. XVI-XVIII, Bologna, 2000, p. 399.
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V. Domenico Guglielmini a Giovanni Domenico Cassini, 26 agosto 1693. VI. Giovanni Domenico Cassini a Domenico Guglielmini, 25 settembre 1693. VII. Domenico Guglielmini a Giovanni Domenico Cassini, 23 marzo 1695. VIII. Domenico Guglielmini a Giovanni Domenico Cassini, 2 aprile 1695. IX. Domenico Guglielmini a Giovanni Domenico Cassini, 4 maggio 1695. X. Domenico Guglielmini a Giovanni Domenico Cassini, 9 giugno 1695. XI. Domenico Guglielmini a Giovanni Domenico Cassini, 9 luglio 1695. XII. Domenico Guglielmini a Giovanni Domenico Cassini, 24 settembre 1695. XIII. Domenico Guglielmini a Giovanni Domenico Cassini, 24 dicembre 1695. XIV. Domenico Guglielmini a Giovanni Domenico Cassini, 7 marzo 1696. XV. Domenico Guglielmini a Giovanni Domenico Cassini, 25 aprile 1696. XVI. Domenico Guglielmini a Giovanni Domenico Cassini, 27 giugno 1696. XVII. Domenico Guglielmini a Giovanni Domenico Cassini, 10 ottobre 1696. XVIII. Domenico Guglielmini a Giovanni Domenico Cassini, 19 dicembre 1696. XIX. Domenico Guglielmini a Giovanni Domenico Cassini, 1 maggio 1697. XX. Domenico Guglielmini a Giovanni Domenico Cassini, 8 maggio 1697. XXI. Domenico Guglielmini a Giovanni Domenico Cassini, 28 maggio 1698. XXII. Domenico Guglielmini a Giovanni Domenico Cassini, 16 luglio 1698. XXIII. Domenico Guglielmini a Giovanni Domenico Cassini, 26 giugno 1699.
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. . . 167 XXIV. Domenico Guglielmini a Giovanni Domenico Cassini, 9 ottobre 1699. 4. L I. Domenico Guglielmini a Giovanni Domenico Cassini, 31 ottobre 1690 BUP, ms. 423 fasc. 19 Ill.mo Sig.re Sig.re e P.ron Col.mo Nell’atto di stare corregendo le ristampe d’alcune dell’opere di V.S. Ill.ma, che il P. Maestro Gaudenzio Roberti si dà l’honore di inserire in una delle sue miscellanee italiche matematiche¹ ho ricevuto la di lei humanissima con dentro il foglio de’ giornali, che contengono e la tavola dell’emersione etc. del primo satellite di Giove tirata dall’ipotesi e numeri di V.S. Ill.ma, e la relazione della prima parte della mia misura dell’Acque correnti.² Io mi riconosco non meno favorito dall’autore del Giornale medesimo nella descrizione che premette degl’impieghi che tengo e del corso della mia vita, esposta con termini tanto vantaggiosi a me medesimo quanto dalla somma gentilezza di V.S. Ill.ma che gli ha suggerito di parteciparmene il foglio, gradito infinitamente da me molto più per essere unito alla di lei tavola, ch’io non mancherò per quanto mi sarà possibile di riscontrare colle osservazioni questi due mesi venturi. Io fui ricevuto due mesi fa da un Cavagliere di qui ad osservare alcuni fenomeni di tutti li Medicei descritti in un’Efemeride calcolata, se non m’inganno, dal Sig.re Flamstedio³ al meridiano di Londra all’istesso fine di ritrarne la differenza de’ meridiani. // Ma io parte perché allhora haveva altre applicationi di premura, e fra queste la stampa della seconda parte della misura delle Acque correnti;⁴ ma molto più perch’io sapeva che questi erano studii di V.S. Ill.ma già co¹ Vedi G. R, Miscellanea Italica physico-mathematica, Bononiae, ex typ. Pisariana, 1692. Per quanto riguarda i contributi di Cassini ivi inseriti si tratta di De solaribus hypothesibus et refractionibus Epistolae tres, pp. 283-340; Theoria motus cometae anni 1664, ea praeferens quae ex primis observationibus ad futurorum motuum praenotionem deduci potuere [...], pp. 343-431. ² Trattasi di Aquarum fluentium mensurae nova methodo inquisita [...], Bononiae, ex tip. Pisariana, 1690-91, 2 voll. Due anni più tardi fu anche inserita nella Miscellanea del Roberti indicata nella nota precedente. Tradotta in italiano fu inserita in Raccolta d’autori che trattano del moto dell’acque, Firenze, nella Stamperia di S. A. R., 1723, 3 voll., II, p. 1-103 ed anche nelle successive Raccolte pubblicate a Parma, Firenze, Bologna. Per quanto riguarda la relazione potrebbe trattarsi della recensione del libro di Guglielmini apparsa su «Journal des Savants», 1691, p. 418. ³ Il riferimento è ad un contributo di J. Flamsteed pubblicato su «Philosophical Transactions», 1683, pp. 404-415. ⁴ Fu pubblicata nel 1691.
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minciati sino da quando ella honorava il nostro studio,¹ non mi ci volsi impegnare scasandomene; né l’havrei fatto hora se V.S. Ill.ma non me lo havesse comandato, riuscendomi le osservazioni, come mi giova sperare, sicuramente io non mancherò di comunicargliele compite, che elleno saranno. Io le giuro, che non ho mai provata consolazione maggiore di questa in ricevere l’humanissima sua, prima per l’honore ricevuto da lei compartendomi li suoi comandi, e poi per l’aviso, che si compiace darmi, che le mie dimostrazioni riescano conformi alle sperienze fatte gl’anni passati da V.S. Ill.ma; il che mi serve di prova ben grande di non havere preso sbaglio in esse; onde già che V.S. Ill.ma con tanta humanità mi esibisce di comunicarmele, ardisco di supplicarla a farlo quanto più presto le permetteranno le sue fruttuosissime applicazioni; aspettando di giorno in giorno il Giornale di Lipsia, dove sono accertato, che // troverò alcune obiezioni fatte dal Sig.r Papinio al primo mio opuscolo,² e quando ella me ne dasse licenza me ne valerei quando risolvessi di ripondere in qualche maniera;³ e nell’istesso tempo la supplico ad avisarmi quale strada ho da tenere per fare havere a V.S. Ill.ma un esemplare della detta seconda parte che pur hora si va publicando, stimando mia somma gloria che le mie debolezze siano compatite da V.S. Ill.ma Devo con tale occasione partecipare a V.S. Ill.ma, ch’il mese di giugno dell’anno corrente si diede l’ultima mano alla restituzione del gnomone grande di S. Petronio fatto già con tanta lode da V.S. Ill.ma; e mi dò a credere che se non succedono nuove mutazioni nella volta della chiesa, potrà durare così un longo tempo senza dubbio di sconcerto veruno essendosi posata la lastra nella quale sta il foro, sopra un basamento di metallo, e fermata con tre viti in triangolo. Havrei alcuni dubbii astronomici da conferire con V.S. Ill.ma acciò si degnasse di rischiarare la mia mente, ma perché dubbito di apportarle
¹ Cassini tenne la lettura Ad mathematicam dell’Università di Bologna, per il periodo 1651-1668. ² Vedi in «Acta Eruditorum», 1691, pp. 208-213 Observationes quaedam circa materias ad hydraulicam spectantes, mensi februario huius anni insertas. Nel mese di febbraio alle pp. 72-75 era apparsa la presentazione del libro di Guglielmini. ³ La replica di Guglielmini fu pubblicata nel 1692. Si tratta di Epistolae duae hydrostaticae. Altera apologetica adversus observationes contra Mens. Aquarum Fluentium a clarissimo Viro Dionisio Papino factas et Act. Erud. Lipsiae anni 1691 insertas. Altera de velocitate et motu fluidorum in sifhonibus recurvis suctoriis. [...]. Bononiae, apud HH. Antonii Pisarii, 1692; le Epistolae si trovano anche alle pp. 575-646 della Miscellanea di Roberti, già ricordata, e furono riproposte in lingua italiana nelle varie Raccolte a partire da quella pubblicata a Firenze nel 1723 (I, pp. 105-130). Sulla controversia fra Guglielmimi e lo scienziato francese vedi C. S. M, Guglielmini vs. Papin (1691-1697), cit.
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. . . 169 tedio, mi restringo a dedicarli il mio humilissimo ossequio, et offerendomi sempre tutto pronto a servirla le fo humilissima riverenza, e resto di V.S. Ill.ma Humiliss.o Dev.mo et Oblig.mo Ser.re V.o Bologna li 31 ottobre 1690.
Domenico Guglielmini
II. Giovanni Domenico Cassini a [Domenico Guglielmini], 20 giugno 1693 ASB, A , Scritture relative a Visite d’acque, n. 12.¹ Copia. Molto Ill.e et Ecc.mo Sig.e mio Oss.mo Resto infinitamente obligato a V.S. Ecc.ma delle sue istruzioni e della sua² scrittura sopra Volano communicatami. Ella è dottissima e merita un’attentissima consideratione, ma credo, che prima di produrla sarà bene assicurarsi, che debba esser accertato un miglior partito per non chiudersi la strada a questo, che sarebbe sempre migliore, che lasciare andare il Reno per la strada, ove va di presente. Intanto se si potesse avere per misura più esatta la parte della caduta di Volano, che si è avuta per istima, e considerare la caduta, che domandano l’acque torbide più vicino al mare non sarebbe che bene, parendo cosa assai maravigliosa, che vi sia sì poca differenza fra la caduta di Reno al mare, e sul Po basso, in sì gran distanza dal mare. Il tempo che ho posto oggi nel considerare attentamente tutte le sue memorie non me n’ha lasciato assai per potermi hora distendere più in longo, lo farò con maggior commodità, e rendendole intanto le infinite grazie resto di V.S. Molto Ill.e et Ecc.ma Div.mo et Obbbliga.mo Serv.re Gio. Dom.o Cassini Parigi li 20 giugno 1693.
¹ In questo manoscritto, è contenuta, in copia o in originale, parte della corrispondenza intercorsa fra Cassini, gli Assunti d’Acque, Guglielmini; l’Ambasciatore bolognese a Roma Cesare Tanari, e il Nunzio, mons. G. Cavallerini, a Parigi. Le lettere di Cassini del 20, 27 luglio, 11, 18, 25 settembre 1693 agli Assunti delle Acque e del 20 luglio 1693 all’Ambasciatore sono autografe. ² Quest’accenno, a mio avviso, permette d’individuare il destinatario in Domenico Guglielmini, la scrittura dovrebbe essere una di quelle poi pubblicate sotto il nome di Guglielmini nelle varie Raccolta d’autori italiani che trattano del moto dell’acque. Queste Scritture sono contributi presentati a difesa degli interessi bolognesi nei congressi tenuti davanti ai cardinali D’Adda e Barberini, insieme ad analoghi contributi presentati da Ferraresi e Ravegnani si trovano, per la maggior parte, anche manoscritte in ASB, A , Scritture relative a Visite e Congressi d’acque, nn. 14, 15.
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III. Domenico Guglielmini a Giovanni Domenico Cassini, 28 giugno 1693 ASB, A , Scritture relative a Visite d’acque, n. 12. Copia. ASB, A R, Posizioni, n. 291. Copia. Ill.mo Sig.e Sig.e e Pr.on Col.mo Mi do a credere che gl’Ill.mi SS.ri Assonti d’Acque di questa città manderanno a V.S. Ill.ma una mia picciola scritturetta¹ preventivamente concepita per esebire, quando l’occasione lo porti, a quest’Em.mi SS.ri Cardinali Deputati² sopra le acque di queste provincie, nella quale da me si esamina se sia riuscibile // l’introduzione di Reno nel Po di Volano, e con che vantaggio o danno delle medesime. Io confesso il vero a V.S. Ill.ma, che mi credeva di havere dimostrativamente concluso per la negativa, ma intendendo, che tale non sia il di lei sentimento, dubito di havere preso qualche equivoco, da me per anche non conosciuto, onde pensando e ripensando resto in una sospensione di animo così grande, che non mi arrischio più di esibirla almeno prima, che V.S. Ill.ma non habbia avuta la bontà e di manifestarmelo e di correggerlo. A tal fine l’ho trasmessa a’ medesimi SS.ri Assonti congiunta ad un’altra informativa del fatto presente da lei desiderato, il che mi obliga a supplicarla non tanto di compatire la fretta con che ho stesa quest’ultima, quanto a confidarmi il suo sincero sentimento sopra dell’altra. Io non dubito di non esserne honorato dalla sperimentata benignità di V.S. Ill.ma, alla quale baciando di tutto cuore le mani, resto di V.S. Ill.ma Hu.mo Dev.mo et Oblig.mo Serv.re Vero Ferrara, li 28 giugno 1693.
Dom.o Guglielmini
IV.³ Giovanni Domenico Cassini a Domenico Guglielmini, 27 luglio 1693 ¹ Probabilmente si tratta di un documento la cui copia costituisce il doc. n. 158 di ASR, C , n. 48 ed anche il doc. n. 154 di ASB, A , Scritture relative a Visite e Congressi d’acque, n. 11. ² Ferdinando D’Adda e Francesco Barberini. Ferdinando D’Adda (1650-1719), milanese, fu poi sia legato di Ferrara, sia legato di Bologna. Per lui vedi la voce curata da F. Petrucci su DBI, 31, pp. 610-613. ³ Questa lettera è ricordata anche in quella di Cassini agli Assunti (della stessa data) la cui copia è conservata nella medesima filza: «Scrivo intanto al Sig. Guglielmini l’aggiunta lettera, che le SS.rie VV. Ill.me si compiaceranno di vedere, sottomettendomi humilmente a’ loro prudentissimi sentimenti. Riconosceranno in tutti i miei diportamenti il mio zelo e l’ vivo desiderio ch’ho di corrispondere a tante grazie ricevute dalle SS.rie VV. Ill.me e da tutto l’Ill.mo Senato».
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. . . 171 ASB, A , Scritture relative a Visite d’acque, n. 12. Copia. Molto Ill.e et Ecc.mo Sig. mio Oss.mo Rilessi attentissimamente le scritture¹ di V.S. mandatemi dagl’Ill.mi SS.ri Assonti dell’Acque, che contengono quasi tutte le osservationi, che io desideravo, come se si fossero fatte di concerto. Ho rincontrato solamente qualche difficoltà di poca consequenza, che non ho giudicato dovermi arrestare, ma bastare di dire a V.S. come l’ho intesa a fine, che se io havessi preso errore V.S. possa avvertirmene. Come nella prima misura della somma escrescenza V.S. dice essersi preso il segno, al quale l’ultima piena di giugno è arrivata collo smanco d’un’oncia sola, ho supposto che tutte le altezze degl’argini siano prese da questo segno più alto dell’ultima escrescenza di un’oncia, benché V.S. in appresso dica che il vivo degl’argini si è misurato sopra l’ultima piena. Il che ho veduto tanto più dover fare, ove nulla è restato di vivo e dove dice, che a Lagoscuro haveva sopravanzato di due oncie in circa il piede del scalino indicato per segno della somma escrescenza, intendo, che il detto segno sia tre oncie sopra il piede di esso scalino, e che per altezza al froldo del Ponte a destra, è posta in due maniere, mi son servito // di quella che è al capo del primo foglio, ed ho supposto, che questo medesimo punto sia stato preso nella sezione fatta del Po a Lagoscuro, l’errore che posso haver fatto in queste suppositioni, non può montare, se non a due oncie al più, nondimeno desidero esserne avvisato. La caduta di Volano determinata di v.g. p. 6.3 sino al pelo basso del mare, paragonata alle altre livellazioni, e dalli scandagli del Po Grande a Lagoscuro mostrarebbe che l’alveo del Po, in questo luogo è 12 piedi e mezzo profondo sotto il pelo basso del mare il che meritarebbe di essere esaminato con attenzione particolare. E poiché l’acqua del Canalino di Cento si può l’estate derivare nella valle, nel qual caso restarebbe l’acqua sostenuta da tre sostegni in equilibrio, doppo che fosse stata una notte, o più in riposo, si havrebbe per questo mezzo un livello esatto di Volano sino al mare, che servirebbe anco a determinare la caduta del Po dal Lagoscuro al mare, tanto nella maggiore che nella minore altezza. Vedo benissimo che i lavori fatti in Volano de’ quali // io non haveva notitia prima di havere vedute le sue scritture, allentano la propositione di recapitarvi il Reno. Nondimeno sarebbe sempre bene di sapere se ha caduta bastante da tenere il suo alveo ¹ Il riferimento è al documento ricordato nella nota n. 1 della precedente pagina ed a quello, che nella filza di ASB indicata nella medesima nota, è individuato dal n. 153 (mentre nella filza di ASR è il n. 157). Peraltro il secondo documento è pubblicato anche in Raccolta d’autori che trattano del moto dell’acque, Ed. II, Firenze, V, pp. 302-304 e Raccolta d’autori italiani che trattano del moto dell’acque, Ed. IV, pp. 251-253.
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netto d’arene, senza far molto alzare gli argini superiori. Parmi che possa considerarsi che l’acqua corrente unita in un alveo, e non interrotta s’accelera tanto più, quanto s’allontana dal suo principio: viresque acquirit eundo e che perciò non habbi bisogno di tanta caduta nella parte inferiore, quanto nella superiore. Ché in effetto, doppo le conventioni co’ Ducchi di Ferrara il Reno ha corso nel alveo di Volano meno regolato di quel che potrebbe farsi con soddisfazione della città di Bologna, che vi ha come una specie di dritto, il quale non dovrebbesi dimostrare essergli tolto dalla natura, ma più tosto dall’arte, e che perciò dovrebbe essere ricompensato altrimente. Ma per amore della verità potrebbe ancora considerarsi ciò, che arriva al Santerno e Senio in Primaro, ove hanno pochissima caduta, e vedere quanta sia verso il loro sbocco la caduta di Primaro nel mare per mezzo delle Valli di Comacchio, che vi sono // vicinissime, e dall’altra parte veder anco la caduta di Volano nelle Valli di Comacchio a una simile distanza dal mare per potere comparare queste cadute insieme. Si vidde l’anno 1646 ch’essendo seguita una rotta in Primaro nelle Valli di Santerno e Senio, di modo che questi due fiumi si rivoltarono in sù a scaricarsi per questa rotta nelle Valli con interire la parte inferiore verso il mare, ripigliata che fu la rotta l’acqua rialzata nella parte superiore di cinque piedi, hebbe forza di scavare gl’interrimenti. Il che suggerisco invitatovi cortesemente da V.S. per indicare che l’osservatione della caduta del Reno nella parte superiore non pare sufficiente a concludere che ne dimandi altrettanta a proportione verso il mare. Nella sezione del Reno inviatami, mancandovi il segno della maggior escrescenza suppongo intanto, che sia alla sommità interna del posto dell’argine destro. Anco in questo se manco prego V.S. ad avvertimene. L’altezza del piano della campagna al froldo di Fossa d’Albero, mi ha suggerito un pensiero // che io maturerei meglio, s’io havessi la livellazione da questo ponto a traverso della campagna fino a Baura con gli scoli, che l’attraversano. L’inspettione di questo sito sopra la carta potrebbe suggerirle il medesimo pensiero, che non ardisco produrre più apertamente per non sapere se sarebbe convenevole alla situazione del terreno fra questi ponti come lo sarebbe nella disposizione de’ termini. Non ho però voluto mancare d’indicarlo a V.S. che essendo sul luogo potrebbe vedere se una linea tirata per questi estremi fosse sì convenevole, che tante altre proposte sopra Ferrara. Intenderei volentieri quali fossero l’hore de’ grande escrescenza delli 15 giugno, ed a qual hora arrivò in tal giorno il flusso del mare allo sbocco del Po, il che potrà sapersi dall’hora che vi arriva alla novella, o piena luna, per vedere se questo flusso vi può havere qualche parte, come anco, quale fosse la constitutione dell’aria, e la direzzione del vento, benché non possano fare effetto sensibile.
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. . . 173 Quanto al calcolo dell’altezza, che può fare il Reno in Po, tanto in acqua alta, che bassa // non havendo io l’altezza maggiore del Reno, me ne rimetto al calcolo di V.S. che ne ha insegnato il buon metodo, e che havrà il riguardo che si può havere alle irregolarità degl’alvei, che non permettono, che si habbia la medesima giustezza, che ne’ canali regolati e liberi, e qui resto di V.S. Molto Ill.e et Ecc.ma Div.mo et Obbbliga.mo Serv.re Gio. Dom.o Cassini Parigi li 27 luglio 1693.
V. Domenico Guglielmini a Giovanni Domenico Cassini, 26 agosto 1693 BUP, ms. 423 fasc. 19¹ ASB, A , Scritture relative a Visite d’acque, n. 12. Copia. Ill.mo Sig.re Sig.re e P.rone Col.mo Con ogni mia maggiore sodisfazione ricevo l’humanissima di V.S. Ill.ma delli 27 del passato, e con pari obbligazione gl’avertimenti, che in essa si compiace darmi nel corrente premurosissimo affare di queste acque. Procurerò pertanto di sodisfarla delle notizie, che appresso di lei restano in sospeso per mia poca avedutezza in esprimerle l’altra volta. Devo adunque ragguagliarla, che nella visita fatta da questi Em.mi si riscontrò alla Stellata lo stesso segno, che fu mostrato nella visita Borromea² per segno di guardia, et è il fatto con l’accetta nell’ala destra della Chiavica Pilastrese. A Lagoscuro poi fu indicato un altro segno di somma escrescenza ad un ganghero inferiore della porta occidentale del Magazeno dell’Oglio e questo si è riscontrato assai giusto nell’ultima piena delli 15 giugno, perché non vi manca che un’oncia a toccarlo. Questo segno però è qualche poco più alto del piede del scalino dell’osteria indicato nella visita Borromea per segno di somma escrescenza, atteso che nel più alto stato di quest’ultima piena l’acqua sopravanzava due oncie in circa il piede del predetto scalino. Nel tempo che a Lagoscuro l’acqua era arrivata alli segni predetti mancò alla Pilastrese dal toccar il segno ivi indicato p. 1 [once] 7, dal che si conobbe che il segno alla Stellata era stato indicato tropp’alto, o pure era assai antico al quale più non giungano le piene presenti. Il pelo dell’ultima piena delli 15 giugno ha servito per trovare il vivo degl’argini da Lagoscuro alle Papozze, ma dalla Stellata a Lagoscuro essendosi servito d’un pelo assai più basso, ha bisognato valersi delle necessarie ¹ Questa lettera è pubblicata vedi, ad esempio, Raccolta d’autori che trattano del moto dell’acque, Ed. II, V, p. 166-169 e Raccolta ..., Ed. IV, II, p. 261-264. ² Vedi supra.
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correzioni per ridure il pelo dell’acqua alla cadente di questa ultima piena. Deve però // accrescersi d’un oncia, che mancava per arrivare alla somma escrescenza di Lagoscuro; e si è lasciato di farlo per non incontrare controversie nel modo di fare tale correzione, abbenché la differenza non potesse essere, che insensibile. La caduta di Volano V.S. Ill.ma la tenga per accertata, perché il motivo di aggiungere gl’otto piedi l’ho desunto dalle misure della visita Corsini,¹ e dalle osservazioni che ho fatte nel Po di Primaro, il di cui pelo si è livellato in più luoghi con quello delle valli di Comacchio. Se verrà l’occasione di fare la livellazione di Volano ad acqua stagnante non si trascurerà; ma li Ferraresi allungano a tutto potere; et a noi comple di sollecitare al possibile [i periti].² Disperata però che fosse l’introduzione di Reno in Po Grande, della quale habbiamo grandi e quasi certe speranze, non si mancherà delle dovute diligenze. Intanto ho regolate le mie riflessioni sopra Volano in maniera da lasciarmi libero l’adito ad abbracciare questa proposta, quando veramente sussistesse la caduta sufficiente, che si esaminarebbe meglio, ma a dirla io ne dubbito infinitamente. Ho considerato, che le acque si accelerano allo scostarsi che fanno dal suo principio, ma l’acceleramento io credo, si riduca ben presto all’equabilità. Nelle cadute perpendicolari, e libere de’ solidi, V.S. Ill.ma sa che l’acceleramento del moto continua considerabilmente e sino a 123 piedi, come pensa di provare il P. de Chales.³ In quelli che si fanno sopra piani inclinati molto meno, e sempre meno quanto minori sono le inclinazioni. Ne’ fiumi perciò li quali abbenché habbiano caduta grande l’angolo però della di loro inclinazione è insensibile, credo che li gradi dell’accelerazione presto s’uguaglino; e di fatto le sezioni dei fiumi, posto l’acceleramento, dovrebbero sminuirsi; il che non si osserva, anzi // negli sbocchi al mare si vedono moltiplicate, et allargate le foci; quindi ho fondato un sistema, che li fiumi non ricevono, che qualche maggiore facilità al moto dalla caduta, e che il pendio degl’alvei è più tosto effetto che causa della velocità,
¹ Il richiamo è alla visita compiuta nel 1625 dal Card. Ottavio Corsini (1588-1642) insieme a Benedetto Castelli, discepolo di Galileo. Per essa vedi ad esempio il v. I (p. 199-207) della Raccolta già indicata nella nota n. 2 di p. 167 e la documentazione raccolta in ASB, A , Scritture relative a Visite e Congressi d’acque, nn. 1, 2. ² Parole presenti sia nella copia manoscritta di ASB, sia nelle copie a stampa. ³ Claude François Milliet De Chales (1621-1678). Il richiamo è a Cursus seu Mundus Mathematicus, editio altera, 4 voll., Lugduni, Apud Anissonios, Joan Posuel et Claude Rigaud, 1690, ed esattamente alla prop. n. 1 di Staticae Liber secundus. De discensu gravium libero. (II, p. 264). Nel v. III è presente (pp. 111-144) anche un trattato dal titolo De fontibus naturalibus et fluminibus, composto da 56 proposizioni nelle quali si fa cenno anche alla problematica relativa al Reno e al Po.
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. . . 175 come V.S. Ill.ma si degnerà vedere nell’acclusa scrittura segnata A¹ data in altra congiuntura confidentemente all’Em.mo D’Adda. Egli è vero, che li fiumi Senio e Santerno corrono per l’alveo di Primaro con la sola caduta di [once] 6 per miglio, ma bisogna riflettere, che l’unione di più acque spiana maggiormente la linea cadente necessaria per non deporre la torbida; considerazione, che non può applicarsi all’alveo di Volano, nel quale dovrebbe correre il solo Reno. Il fondo poi di Volano dal sostegno di Tieni in giù è affatto orizontale, e per conseguenza non potrebbe non interrirsi per acquistare la conveniente caduta. Che la rotta seguita in Primaro il 1646 col rivoltarsi delle acque all’insù interrisse l’alveo inferiore, e che questo di nuovo si scavasse doppo presa la rotta, mostra che il fondo di Primaro nelle parti inferiori fosse sino a quel tempo stabilito nella dovuta pendenza, e che questa accresciutasi per l’interrimento si riducesse di nuovo minore a proporzione del bisogno. Per altro le livellazioni delli fiumi Lamone, Montone Ronco etc. mostrano cadute grandi, anche verso il suo ultimo fine; et in ispecie il Montone fatto livellare ultimamente dai SS.ri Ravegnati nei contorni di Ravenna, ha di caduta [once] 14, che sono 24 di Bologna per miglio, dal che pare necessario avertire, che li fiumi non alterano le proprie cadute, che con l’unione di nuove acque, con la diversità della materia, che portano, e con il liberarsi dalle resistenze; come fanno assai vicino alli propri sbocchi. Il segno della maggiore piena di Reno non si è potuto determinare a veruno // termine stabile per mancanza di osservazioni, s’accorda però restervi di vivo circa due piedi per tutto. Ond’io ho stabilita l’altezza ragguagliata delle piene p. 9 abbenché il Riccioli,² et altri non la vogliano che di p. 8, e con tutto che li Ferraresi alla prima la pretendessero sino di p. 14; nondimeno però l’hanno accordata tra li 9 e li 10. La linea tirata da Baura al froldo di fossa d’Albero sarebbe a noi egualmente accetta, che ogn’una delle superiori, che hanno per termine il Po Grande. Ma a mio credere li SS.ri Ferraresi la riggettarebbero più che ogn’altra, perché interseca tutti li scoli del Polesine di Ferrara per appunto nella parte migliore di esso. 2.o perché restarebbe chiusa fra quatro argini la città: che sono a ponente quello di Panaro, a settentrione quello di Po Grande, a levante quello di Reno, e a mezzo quello del Po di Ferrara, o l’elevazione della campagna che sempre cresce da questa parte; onde suc¹ Presente in copia in ASB, A , Scritture relative a Visite e Congressi d’acque, n. 12, ed anche nella seconda edizione della Raccolta pubblicata a Firenze (V, pp. 119-123) e nelle altre Raccolte edite successivamente. ² Vedi Geographiae et Hydrographiae reformatae [...] libri duodecim, Venetiis, Typis La Nou, 1572: Liber VI, cap. XXX.
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cedendo rotte in uno di detti tre fiumi, bisognerebbe che la città restasse per forza inondata, come in una peschiera, non pretendo scaricarsi le acque di tali rotte se non per le botti sotterranee, che bisognarebbe fare per li scoli traversati. 3.o Se l’inalveazione si dovesse far prima in Volano, poi da Baura voltarla a Fossa d’Albero si dolerebbero che il Reno s’accostasse troppo alla loro città, né vi è motivo o di utile navigazione o di altro che basti a persuaderli a lasciare questo vano timore. Lo stato massimo della piena delli 15 giugno, si fece la sera alle hore 23.1/2 e continuò quasi tutta la notte non salendo che 1/2 oncia. L’aria era purgatissima e quasi senza vento, ma quel poco, che soffiava veniva tra Ponente e Tramontana di modo che non poteva sostenere // (quando per altro havesse havuta la forza per farlo) la corrente del Po. La scrittura segnata B,¹ che pure V.S. Ill.ma riceverà acclusa, è una di quelle che ho date per li congressi a questa hora fatti sopra l’introdurre Reno in Po Grande toccante la materia dell’alzamento, che vi farebbe Reno. Supplico la di lei somma bontà a darmi sopra di essa qualche avertimento, et in specie a dirmi se alzandosi un piede e mezzo gl’argini del Po creda ella sufficiente cautela per assicurare Ferrara da ogni timore, come a me pare da non dubbitarsi. Questo è quanto posso rispondere a V.S. Ill.ma in ordine alle richieste, e punti della di lei humanissima, havendo in questa contratto anche ciò, che si conteneva in altra mia risponsiva alla di V.S. Ill.ma delli 20 luglio, che la settimana passata non potè essere in tempo di partire con la posta. Per fine rendo alla di lei infinita bontà grazie infinite per tanti favori compartitimi, e specialmente per l’honore di approffittarmi dei suoi dottissimi insegnamenti con ogni più sommesso ossequio mi ratifico di V.S. Ill.ma Humiliss.o Dev.o et Obblig.mo S.re Vero Bologna li 26 agosto 1693.
Domenico Guglielmini
VI. Giovanni Domenico Cassini a [Domenico Guglielmini], 25 settembre 1693 ASB, A , Scritture relative a Visite d’acque, n. 12. Copia. Molto Ill.e et Ecc.mo Sig.e mio Oss.mo La compitissima lettera di V.S. delli 26 del passato,² mi ha intieramente liberato delle ambiguità, che mi restavano sopra le precedenti scritture.
¹ Presente nella filza e nella Raccolta (V, pp. 166-169), indicate nella nota n. 1 di p. 171. ² Vedi la lettera precedente.
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. . . 177 Ella havrà veduto da quelle,¹ che inviai alli Ill.mi SS.ri Assonti i pensieri suggeritemi dallo stato presente delle cose, e dalli essempi, che habbiamo non solo dal Panaro, e dagli scoli, che riceve, ma anco da’ fiumi, e canali del Polesine di Rovigo, che mandano una parte delle loro acque nel Po per cavi artificiali, e l’altra parte direttamentte al mare. Crederei che la poca caduta che hanno questi fiumi, che per sì lungo tratto corrono paralleli al Po a sinistra, potesse servire a far conoscere quella, che dimanderebbero altri fiumi, in simile situazione a destra nelle medesime circostanze. Le difficultà che V.S. propone contro l’arginature che attraversassero il Polesine di Ferrara, sotto questa città, mi paiono molto raggionevoli, e benché io havessi pensato alla maniera di recapitare gli scoli e dar sfogo all’acque, che per qualche accidente si spargessero nella parte superiore // nondimeno potendosi havere l’intento per altra strada non ho stimato bene stendermi d’avantaggio sopra questo particolare, e tanto in questo, quanto nelle altre cose mi rimetto al giuditio et esperenzia di V.S. di cui resto con ogni maggior stima, e rispetto Div.mo et obblig.mo Serv.re Gio. Domenico Cassini Parigi li 25 settembre 1693.
VII. Domenico Guglielmini a Giovanni Domenico Cassini, 23 marzo 1695 BUP, ms. 423 fasc. 19 Ill.mo Sig.re Sig.re P.rone Col.mo Non ho trovato altro mezzo più proprio per consolarmi nel travaglio, in che mi ha constituto la di lei assenza,² di quello di obbedirla in quanto ella si degnò comandarmi. Non ho perciò trascurato di fare tutte quelle osservazioni, che ho potuto in questa meridiana abbenché non si habbia mai potuto havere una giornata serena quanto bisognava, e ne ho dedotto il momento dell’equinozio alli 19 h. 21.30’.19” col paragone dell’osservazione delli 19 e 21; ma col valermi del moto in declinazione avanza un minuto e mezzo; ma paragonando assieme per li moti in longitudine le osservazioni delli 19 e di questa matina trovo l’equinozio ad hore 21.35’.22” secondo il tempo apparente. Le osservazioni come fatte col sole assai languido non ponno essere abbastanza certe, può anche essere ch’io habbia fatto qualche errore nel calcolo onde le invio le tangenti os¹ Probabilmente quelle che sono poste alla fine della filza da cui è stata ripresa la lettera e che sono individuate dalle sigle ‘B’ e ‘C’. ² Cassini soggiornerà a Roma dal 29 marzo al 14 ottobre 1695. Vedi le cc. 286v, 429r di ASB, A R, Registrum, n. I-53. Cassini era arrivato a Bologna il 7 gennaio, il suo arrivo è anche ricordato da G in Memorie antiche manuscritte di Bologna (BUB, ms. n. 770, v. 57, p. 9).
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servate, che riceverà accluse, con a lato li luoghi del sole, che ne ho dedotti col calcolo. Non hebbi campo di osservare l’emersione del p.o satellite lunedì passato a causa del tempo, vedrò se mi sarà propizio il lunedì venturo, e succedendomi non mancherò di comunicargliela assieme colle altre osservazioni del sole, che continuerò a fare. Il Sig.r Ucelli¹ mi fece vedere il [di] lei scritto sopra la meridiana, ch’io lessi tutto con mia somma sodisfazione, e si è dato a copiare. Ho notato che V.S. Ill.ma nel dire l’altezza dello spiraglio sopra il principio della linea, la determina di p. 71 [once] 10. Questa misura non mi pare che concorra colla proporzione del piede di Bologna a quello di Parigi, la quale se è di 7 a 6 pare dovrebbe dare p. 71 [once] 5.1/7. Io ho fatto misurare questa matina nuovamente il perpendicolo, e l’ho trovato p. 71 [once] 3.1/2 non so donde nasca questa differenza; forse dal non haver usata tutta la diligenza nel fare la detta misura. V.S. Ill.ma mi avisi, se vuole si lascino nel predetto manuscritto li detti p. 71 [once] 10, o pure si mutino. // Questa sera il S.re Card.e nostro Legato² manda in Segreteria di Stato, ex oficio una relazione delli danni ultimamente seguiti dalle inondazioni di quest’anno per vedere se riuscisse di facilitare qualche mossa anco per questa strada. V.S. Ill.ma ne riceverà copia acclusa per suo governo. Pensavo di fare la visita ma non mi è riuscito, né può riuscirmi più se non doppo le feste di Pasqua. Le rassegno il mio sempre humilissimo ossequio, e profondamente riverendola assieme col S.re Giacomo,³ e col S.re Filippo mi sottoscrivo di V.S. Ill.ma Humiliss.o Div.mo et Obblig.mo Ser.re Bologna li 23 marzo 1695.
Domenico Guglielmini
VIII. Domenico Guglielmini a Giovanni Domenico Cassini, 2 aprile 1695 BUP, ms. 423 fasc. 19 Ill.mo Sig.re Sig.re P.rone Col.mo L’occasione, che mi suggerisce l’incomodare V.S. Ill.ma con questa mia ¹ Probabilmente Ignazio Uccelli, appartenente ad una famiglia di notai bolognesi, che curava legalmente le questioni riguardanti le acque del territorio bolognese. Aveva però anche interessi astronomici, vedi la menzione fatta a p. 18 di E. M, De gnomone meridiano Bononiensi ad Divi Petronii, deque observationibus astronomicis eo instrumento ab eius constructione ad hoc tempus peractis [...], Bononiae, ex typ. Laelii a Vulpe, 1736. ² Marcello Durazzo (1630-1710), genovese. ³ Si tratta di Jacques Cassini, figlio di Cassini. Il Sig. Filippo è probabilmente Filippo Maria Monti, che amava esercitare l’astronomia.
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. . . 179 reverentissima deriva dal desiderio, che tengo di ben servirla in tutte [le] cose, et hora precisamente nell’assistere alla construzione della nuova meridiana de’ SS.ri Monti.¹ Il Sig.r Co. Francesco me lo comandò giorni sono per di lei parte, e mi diede una certa memoria di V.S. Ill.ma sopra la meridiana medesima obbligandomi a rivedere li calcoli da lei fatti delle tangenti che su quella competono a ciaschedun grado della distanza dal verticale. Io trovai questi aggiustatissimi se non quanto in alcun luogo era scorso lo sbaglio di qualche particola, ch’io mi presi la libertà di correggere più per contrasegnare il preciso del calcolo, che perché l’artefice havesse bisogno di tali minuzie, che in fatto riescono quasi insensibili da discernersi. Hora vi è bisogno del di lei vivo oracolo per aquietare il S.re Costa,² il quale pensa, che l’intenzione di V.S. Ill.ma sia che un’oncia di Bologna, cioè la centesima del perpendicolo vada divisa in mille parti, in maniera che il raggio venga con ciò ad essere diviso in 100000 parti; et come per il contrario pare che ella più si dichiari col dire, che l’oncia va divisa in sole 100 particelle per havere tutto il raggio diviso in 10000; tanto più che apprendo per difficile altretanto che inutile la divisione della centesima del perpendicolo in 1000 parti. Riverentemente perciò mi dò a supplicarla di avisarmi la sua intenzione acciò il S.re Costa possa travagliare indesinentemente alle operazioni da V.S. Ill.ma appoggiateli. Qui il tempo se non è cativo, non è nemen buono, onde non mi è stato permesso di fare nel tempo doppo la data dell’altra mia, che due sole osservazioni del sole, cioè martedì scorso, et hoggi; le quali V.S. Ill.ma riceverà accluse in un foglietto a parte. Il sereno mi fece ben grazia il lunedì scorso di osservare l’immersione del primo satellite di Giove, ma per diffetto di horologio buono non potei haverne l’hora precisa. Se V.S. Ill.ma mi avisarà quando ella sia per fare qualche osservazione // costì io non lascierò in sua corrispondenza di farla anch’io qui; et il diffetto d’horologio non me lo impedirà, havendone assicurato uno assai esatto. Sento, il S.re Ambasciatore³ nostro habbia costì fermato il corso al negozio intavolato da’ Ferraresi sopra li sbocchi del Po, il che cade veramente in acconcio, tenendo io per indubitato, che N.S.⁴ sia per commettere al ¹ Probabilmente nel Palazzo Monti, posto in via Barberia, strada che Guidicini così descrive: «comincia dalla seliciata di S. Francesco e termina alla Chiesa di San Paolo». (Cose notabili della città di Bologna ossia storia cronologica de’ suoi stabili publici e privati, I, p. 89, vedi anche pp. 106-107.) ² Cesare Costa, per il suo lavoro vedi La meridiana, cit., p. 19. ³ Cesare (detto anche Antonio) Tanari (1626-1711), ambasciatore a Roma dal 18 maggio 1691 al 16 giugno 1700, per il quale vedi G. B. G, I Riformatori dello stato di libertà della città di Bologna dal 1394 al 1797, Bologna, Regia Tipografia, 1876-1877, 3 voll., III, p. 59. ⁴ Innocenzo XII, al secolo Antonio Pignatelli (1615-1700), di origine napoletana, eletto papa il 12 luglio 1691. È il Papa a cui si fa riferimento anche in tutte le altre lettere.
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di lei giudizio la conchiusione di esso; nel qual caso le riuscirà facile di riporre sul tapeto l’altro consaputo. Suppongo che V.S. Ill.ma habbia in tanto veduto il S.re Card.e d’Adda, e trovatolo informatissimo di tutto, et il medesimo per quanto mi dò a credere havrà la benignità di contribuire quanto potrà alli nostri giusti sentimenti. È superfluo ch’io mi esibisca a farle tenere costà tutte quelle informazioni di fatto, che ponno derivare da me concernenti le occasioni, che potessero presentarsele, poiché ella sa la liberta, che deve havere sopra di me; e l’obbligo ch’io ho di obbedirla. V.S. Ill.ma ne facia quel capitale, che merita il mio ossequio verso di lei, il quale farà sempre ch’io desideri di apparire in facia a tutto il mondo, quale humilmente mi sottoscrivo di V.S. Ill.ma Humiliss.o Dev.mo et Obblig.mo S.re Vero Bologna li 2 aprile 1695.
Domenico Guglielmini
IX. Domenico Guglielmini a Giovanni Domenico Cassini, 4 maggio 1695 BUP, ms. 423 fasc. 19 Ill.mo Sig.re Sig.re P.rone Col.mo Io mancai al debito di rispondere lo spazio scorso all’humanissimo foglio di V.S. Ill.ma delli 23 del caduto perché me lo impedirono alcuni affe[tti ve]rtiginosi¹ che mi travagliarono tutto il sabato passato. Sodisfo hora alle mie parti col renderle humilissime grazie della notizia, che si è compiacciuta di darmi del risultato della terza udienza ottenuta da lei da N. S.re. dalla quale parmi di vedere qualche spiraglio di buona speranza. Questa matina pure sono state lette nella Congregazione delle Acque due lettere di V.S. Ill.ma dirette a questo S.re March.e Sampieri,² e due altre del S.re Ambasciatore al S.re Sen.re Zambeccari,³ dalle quali pure si è inteso quanto va succedendo. Tutti li SS.ri Assonti hanno applaudito alla di lei buona condotta, e ne sperano sempre maggiori progressi tanto da veder conso¹ Le parole risultano difficilmente leggibili a causa di una macchia d’inchiostro. ² Probabilmente quelle datate 9 e 16 aprile 1695 presenti in copia nel fascicoletto Lettere scritte da Sig.e Dottore Cassini all’Ill.mo Sig. Sempieri ..., di ASB, A , Scritture d’Acque, n. 15. ³ Giovanni Zambeccari (per il quale vedi G. B. G, I Riformatori, cit., III, p. 26), uno degli appartenenti all’Assunteria dei confini ed acque, al quale l’ambasciatore ha indirizzato la maggior parte delle lettere da Roma sui negoziati condotti da Cassini, principalmente col Card. Spada e l’Ambasciatore di Ferrara. Per essi vedi ASB, A R, Registrum, n. I-53, cc. 286v, 293r, 301v-302v, 309r-310r, 314r, 315v-316v, 329v, 333r-v, 337r-338r, 339r-340r-v, 348r-v, 352r-353v, 354v-355v, 358r-v, 365v-366v, 367rv, 391v-392v, 395v-397v, 412r-413r. Per le lettere del sen. Zambeccari all’ambasciatore A. Tanari vedi ASB, A , Registro di lettere, n. 10, cc. 102 e segg.
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. . . 181 lata questa provincia che sta languendo. Quando la spesa riuscisse anche maggiore delli 153000 scudi poco deve importare allo Stato Ecclesiastico; sì perché essa deve quasi tutta cadere sopra la borsa degl’interessati, sì anche perché paragonata al beneficio, che se ne ricaverebbe, è un nulla. Lo Stato medesimo e la Camera, ne ritraerebbe utili considerabili nella multiplicazione dei sudditi; sul maggior provento dei dazii e delle gabelle; e nei taglioni sopra li terreni buoni ai quali è soggetta la Romagna. V.S. Ill.ma vede bene il tutto senza che io gle lo suggerisca, et abbonda di destrezza per farlo capire alla S.tà Sua in buona congiuntura. // Io feci poi l’osservazione dell’emersione del primo satellite il mercordì scorso che successe a h. 12.53 avanti il mezzo dì delli 28; ma sin hora non mi è riuscito di potere rettificare l’orologio a mio modo. Questa sera starò attento per l’altra, ma il tempo è nuvoloso, et hora mi accorgo, che all’hora dell’osservazione Giove sarà sotto l’orizonte. Quelle del sole V.S. Ill.ma le riceverà accluse.¹ Il di lei manuscritto sopra questa meridiana di S. Petronio sta in mano dell’Inquisitore, e rihavutolo subito si comincia a stampare. Li SS.ri Assonti² alla fabbrica mi hanno fatto intendere, che bramerebbero, che in esso fossero inserite le parole, che vanno intagliate nella lapide³ che ha da servire per marca del di lei merito, e per memoria d’un’operazione così nobile e degna; e perché ciò non sta bene in bocca di V.S. Ill.ma vorrebbero, che io vi aggiungessi qualche cosa per prenderne l’occasione. Io vedo bene quale sia l’azzardo ch’io corro in mettere le mie bagatelle al paraggio delle di lei opere; nulladimeno perché io non ricuserò mai, né fatica, né altro, che possa contribuire alla di lei gloria, prenderò il motivo di farlo dalla descrizione degl’instromenti adoprati per il ristabilimento del gnomone;⁴ e con ciò mi si aprirà il campo di fare la lettera di dedica alli medesimi SS.ri Presidente et Assonti, che mostrano di desiderarlo. Tutto ciò però si farà quando V.S. Ill.ma si compiacia di approvarlo, e non in altra maniera. L’instromento per l’altezza del polo non si è ancora terminato, et io sto impazientissimo, e non lascio di sollecitare il S.re Costa, perché vorrei pure // assicurarmi degl’elementi del calcolo; et avvicinandosi al solstizio ei
¹ Non sono unite a questa lettera, conservata in BUP, ma si trovano probabilmente nel ms. B.4.8 di BOP nel fascicolo individuato dall’indicazione Observations de M. Guillelmini rangées chronologiquement e riguardanti appunto il periodo 28 aprile 1695-1704. ² Gli Assunti della Fabbrica di S. Petronio erano i senatori: C. L. Scappi, F. C. Caprara, F. Azzolini, G. G. Grassi, F. M. Barbazzi, Presidente il sen. G. Capacelli Albergati. ³ Vedi G. D. C, La meridiana del tempio di S. Petronio, cit., p. 45. Nell’occasione del suo passaggio per Bologna Cassini provvide a fare una ricognizione della meridiana che aveva eseguito nel 1655-1656 insieme ad alcuni colleghi dell’Università ed ai padri gesuiti Rizzoli e Grimaldi. ⁴ Ivi, pp. 38-54.
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farà conoscere quale sia l’obliquità dell’ecclittica, accertata che sia l’altezza del polo. Rassegno con ciò a V.S. Ill.ma sempre humilissimo ossequio, e col farle profondissima riverenza mi confermo di V.S. Ill.ma Div.mo et Obblig.mo S.re Vero Bologna li 4 maggio 1695.
Domenico Guglielmini
X. Domenico Guglielmini a Giovanni Domenico Cassini, 9 giugno 1695 BNCF, NAF 6197, cc. 105r-106r Ill.mo Sig.re Sig.re P.rone Obb.mo Il tempo perverso che qui corre non lascia fare alcuna osservazione, che vaglia, come V.S. Ill.ma vedrà dall’accluso foglio:¹ questa è stata la causa, ch’io non l’ho incommodata da qualche spazio in qua, perché non havendo alcuna osservazione da mandarli, non parevami giusto di incommodarla senza proposito; et hora prendo il motivo di farlo coll’occasione di rispondere all’humanissima sua delli 28 caduto. Veramente il compimento dello strumento per l’altezza del polo non poteva succedere in tempo più opportuno da non potersene servire per essere sfugita l’occasione di vedere la polare in meridiano che [si] hebbe lunedì passato; ma le nuvole impedirono di vedere la stella sino a giovedì, la sera del qual giorno si fece quello che si potè, perché a causa dell’aria annebbiata non si potè scoprire la polare, che dieci minuti in circa doppo le 24; et havendo prima aggiustato il traguardo a 110322 particole, che io haveva calcolato dover essere la tangente della distanza dal vertice della polare, quando questa si scoprì, doppo havere passato il meridiano si vide radere l’uno e l’altro traguardo, e perciò ascendendo dalla sua bassa parte verso il vertice congetturai che la distanza dal vertice dovesse essere // qualche poco maggiore; ch’io dal calcolo dedussi 18” supposto il passaggio della stella per meridiano a h. 23.55’, come mi dava il calcolo ch’io ne haveva fatto colla declinazione e longitudine del De Chales,² e l’angolo dell’ecclittica 23.29.0. Io vedo che il di lei calcolo resta indietro dal mio 10’ e credo che ciò derivi dalla di lei declinazione della polare minore di quella del DeChales di 2’.31”. Questa sera, se il tempo lo permetterà, rifarò l’osservazione havendo approntato in S. Petronio un horologio a minuti e secondi, et aggiustatolo al mezzodì: di tutto avviserò V.S. Ill.ma lo spazio
¹ Non è unito alla lettera. ² Vedi la proposizione n. 54 di Liber I Astronomiae del Cursus di De Chales.
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. . . 183 venturo. Sono tirati alcuni fogli della di lei operetta¹ e si va continuando al resto, con speranza di haverla assai presto compita; non così della di lei memoria² per negligenza del Marmorino che è il più pigro huomo del mondo; si sollecita ma non si fa un iota. Quanto all’altro negozio, io sto con impanzienza attendendone l’esito e qui si fanno di gran discorsi fra il popolo, e taluno si crede avisato che il S.re Card.e D’Adda sia per riportarsi qua all’essecuzione. Resto bene ammirato, che chi ha avuto così gran parte in questo affare non favorisca il partito. Io non so che mi credere; mentre ogn’apparenza qui mostrava il contrario, può essere che il cielo di Roma habbia influito diversamente. La destrezza di V.S. Ill.ma saprà rimettere le cose a’ suoi luoghi; et occorrendo di dar lo miglior sesto. Mi dispiace bene che la lunghezza // del negoziato³ partorisca a lei del tedio e della distrazione, ma finalmente il bene che se ne spera è tanto grande, che la noia presente le sarà compensata con altretanta riputazione, e se non altro con una memoria eterna, che si conserverà qui dell’operato da lei. Rassegno con ciò a V.S. Ill.ma il mio humilissimo ossequio e mi confermo di V.S. Ill.ma Div.mo et Obb.mo S.re Vero Bologna 9 giugno 1695.
Domenico Guglielmini
XI. Domenico Guglielmini a Giovanni Domenico Cassini, 9 luglio 1695 BUP, ms. 423 fasc. 19 Ill.mo Sig.re Sig.re P.rone Col.mo Opportuna mi giunge la di lei determinazione dell’obliquità dell’ecclitica in gr. 23.29.12, perché havendo di già determinata la tavola che le accennai lo spazio passato, restami di dar principio a quella della declinazione nella maniera da lei insinuatami, il che farò il più presto, che mi sarà permesso da altre occupazioni, che in questa stagione mi vanno affollando. Ho fatto il calcolo delle osservazioni fatte doppo le ultime mandate, e resto bene sorpreso dal vedere, che li diametri del sole vanno tutt’hora scemando, quando passato l’apogeo dovrebbero tornare a crescere. Li luoghi del sole pure non s’accordano più con l’Efemeride come prima; né so se debba attribuire la differenza all’apogeo del sole più avanzato di quello [che] porti l’Efemeride; o all’angolo dell’eclitica accresciuto, quando più
¹ La meridiana del tempio di S. Petronio, cit. ² Il riferimento è probabilmente al marmo scolpito che si trova in San Petronio. ³ Cassini restò a Roma fino alla fine dell’estate 1695. Tornato poi a Bologna preparò una relazione sul suo operato. Vedi anche la nota n. 2 di p. 177.
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tosto dovrebbe accrescersi l’altezza del polo. S’io havessi tempo ne farei qualche essame ma per hora mi è impossibile. Quando la polare comincierà a lasciarsi vedere la matina procurerò di assicurarmi dell’altezza del polo medesimo. Questo spazio non vi sono fogli stampati da mandare; ma lo spero per il venturo.¹ Intanto si è cercata la figura della meridiana dedicata alla regina di Svezia;² non si trova // altra che quella che V.S. Ill.ma mostrò nella sua dimora qui, che esprime il spaccato della Chiesa; se questa è l’accennata da lei già si è destinato di porvela. Intanto il S.re Monti,³ mi farà havere la di lei medaglia⁴ che non ho ancora veduta e fattala intagliare si stamperà nella prima pagina del libro. In questo proposito il S.re Redi,⁵ il D.re Malpighi,⁶ et il S.re Abb.e Fornasari⁷ fra li moderni hanno havuto simili riscontri di stima da’ suoi amici, et il primo non ha havuta alcuna difficoltà, di dicchiararsi egli stesso l’Autore di tre medaglie diverse da lui fatte coniare colla sua effigie; e ne ha mandate a tutti li suoi amici. Voglio dire, che V.S. Ill.ma non offende in conto alcuno la sua modestia, se lascierà vedere disinvoltamente la medaglia che è stata fatta ultimamente. Io m’avanzo troppo, ben lo conosco, ma compatisca il genio, che ho di promovere la di lei fama. Circa l’altro negozio bisognerà aspettare dalla mano divina la risoluzione, presto, o tardi, ch’ella venga. Chi sa com’ella saviamente insinua, che quando meno si crede, che non s’effettui. Il Pontificato presente però // a mio credere non è a proposito. Le rassegno con ciò il mio humilissimo ossequio e resto Di V.S. Ill.ma Hum.mo, et Obblig.mo S.re Vero Bologna li 9 luglio 1695.
Domenico Guglielmini
¹ Il libro uscì il 9 settembre 1695: vedi il ricordo di Ghiselli nel ms. 770 (della BUB), v. 57, p. 342. ² Si tratta della figura della presentazione della meridiana di San Petronio, preparata da Cassini in occasione della visita della regina Cristina di Svezia. Questa presentazione di due fogli è indicata da Riccardi nella s. II delle Aggiunte alla Biblioteca Matematica Italiana. ³ Francesco. ⁴ La medaglia era dello scultore F. M. Francia. ⁵ Vedi A. F, Elogio di Francesco Redi, in Elogi d’illustri italiani, Pisa, Raffaelli, 1786, 2 voll., I, pp. 106-107. Le tre medaglie furono coniate da M. Soldani. ⁶ Marcello Malpighi (1628-1695), uno dei più noti esponenti della scuola medica bolognese, il primo italiano a far parte della Royal Society di Londra dal 1669, per lui vedi G. F, Notizie degli scrittori bolognesi, cit., V, pp. 128-145 e il recente volume che gli è stato dedicato: (a cura di R. A. Bernabeo, C. Pallotti) Marcello Malpighi scienzato universale, «Studi e memorie dell’Università di Bologna», n. s., 9 (1995), pp. 1-388. ⁷ Ippolito Fornasari (1628-1697), lettore dell’Università di Bologna, per il quale vedi pp. 339-341 del terzo volume del repertorio di G. Fantuzzi già ricordato.
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. . . 185 XII. Domenico Guglielmini a Giovanni Domenico Cassini, 24 settembre 1695 BOP, B.4.10 Ill.mo Sig.re Sig.re P.rone Col.mo Ho inteso dalla lettera scritta dall’Ill.mo Sig.re Ambasciatore¹ agl’Ill.mi SS.ri Assonti d’acque la risposta havuta da N.S. sopra l’affare delle acque, che ha egualmente posto in disperazione tutti di potere mai più ottenere il bramato soglievo; che accertato io di non essermi ingannato, quando pronosticava, che per la parte della Corte non vi era pensiero di far nulla. Quanto [di] consolazione ho in questo particolare è la lusinga, che ho di rivederla presto di ritorno qui. Le trasmetto la continuazione delle osservazioni, che cominciano a mancare dal luogo dell’Efemeridi; non so da che provenga non havendo havuto tempo di esaminarne la causa, può essere, che ciò derivi dal continuo ingombramento dell’aria. Hieri sera e l’antepassata ho fatta l’osservazione dell’altezza del polo, e hieri sera trovai la massima altezza della polare con la tangente 93448, e hieri l’altro sera 93450 differenza insensibile; e perciò ne nasce l’altezza del polo gr. 44.30.0. Hieri sera osservai ancora il passaggio della luna per il meridiano e ne osservai le tangenti, che furono 68886 e 67476; e l’hora fu p.m. 12.54.41. Io non ho // havuto tempo di farne il calcolo; ma non havrei fatto ne anco cosa buona senza havere una buona tavola della parallassi lunare. Se V.S. Ill.ma mi favorirà illuminarmi, non mancherò di far ciò che si degnerà comandarmi. Le rassegno con ciò il mio humilissimo ossequio, e mi confermo di V.S. Ill.ma Div.mo et Obbl.mo Ser.re Vero Bologna 24 settembre 1695.
Domenico Guglielmini
XIII. Domenico Guglielmini a Giovanni Domenico Cassini, 24 dicembre 1695 BUP, ms. 423 fasc. 19 Riv.mo Sig.re ig.re P.rone Ill.mo La partenza di V.S. Ill.ma di qua portò via e la serenità del cielo, e quel¹ Antonio Tanari. A tal proposito vedi copia della lettera al sen. G. Zambeccari, uno degli Assunti, del 17 settembre 1695: ASB, A R, Registrum, I53, c. 404, dalla quale traspare come il Papa temesse un intervento armato da parte dei Veneziani, qualora si fosse proceduto ad immettere il Reno nel Po Grande.
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la dell’animo mio. La prima son ben sicuro ch’io recupererà, aprendomi la congiuntura sin hora vietatami dalle nuvole continue di fare frequenti osservazioni su questa meridiana; ma la seconda io ben dispero di haverla più, quanto io mi trovo senza speranza di godere dei di lei amenissimi discorsi e di approfittarmi coll’acquisto delle belle e rare notizie, colle quali ella condisce con tanta abbondanza la sua conversazione. Questa disperazione sarebbe per me insopportabile, se ella medesima non ne lenisse in qualche parte l’acerbità col favorirmi di sue lettere dalle quali comprendo e la di lei immensa benignità verso di me e che non isdegnerà, ch’io di quando in quando l’incomodi con le mie, il che mi constituisce in debito di renderlene infinite grazie. Hieri appunto che fu la giornata, che mi fu resa dalla posta l’humanissima sua, hebbi da Parma il libro del P. Casati,¹ e subito con ogni avidità mi die // di a legerlo particolarmente le due ultime dissertazioni e vidi alle pagine indicate da V.S. Ill.ma la di lui opinione sopra l’introduzione di Reno nel Po. La di lui opposizione è una di quelle portate dai Ferraresi nelli congressi havuti qui; onde non s’accresce però alle loro raggioni altro che l’autorità di questo Padre, che col suo credito può darle qualche peso appresso quelli, che poco intendono, cioè alla maggior parte degl’huomini. A questo fine valendomi del di lei prudentissimo consiglio procurerò nel mio trattato² di maneggiar questa difficoltà con studio particolare, e con eguale delicatezza per mettere in chiaro la verità senza strepito. Né a dirla posso farlo in altra maniera, senza esaminare tutto il di lui sistema pieno di molte proposizioni false, e di spiegazioni erronee, e questo io non posso, né devo, né per altro voglio farlo. L’ecclisse del sole non si potè osservar qui a caggione delle nuvole continue, le quali non hanno lasciato fare che poche osservazioni del sole, le quali V.S. Ill.ma troverà accluse. Il giorno del solstizio si hebbe il sole ma così languido, che non lascia quella certezza che si desidera // nell’osservazione, la quale è però tale che mostra manifestamente che l’obbliquità dell’ecclittica è sminuita da giugno in qua circa un minuto, se pure questo non si vuole donare tutto alle refrazioni accresciute. Doppo il solstizio non si è havuto più sole, che hoggi, ma sul mezzodì è svanito. Acclusa pure riceverà V.S. Ill.ma una lettera del S.re Abb.e Bianchini, ch’io non ho mandato prima non sapendo, se poteva trovarla più in Genova. Il medesimo me la mandò aperta, perché io vedessi l’osservazione ¹ Vedi Hydrostaticae dissertationes authore Paulo Casato, Parmae, exc. Albertus Pazzanus et Paulus Montus Socii, 1695. Le dissertazioni a cui si riferisce Guglielmini sono le ultime due intitolate: De aquis fluentibus, De aquis per vim ascendentibus. ² Vedi la nota n. 1 di p. 190.
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. . . 187 lunare; le di cui fasi danno il mezzo dell’ecclisse a h. 8.4’ dopo il mezzo dì, che non darebbe che 4 minuti di differenza di longitudine tra Roma e Bologna, molto minore di quella che pongono le Rodolfine,¹ dalla medesima ho calcolato che il diametro dell’ombra a quello della luna sta come 121 a 42. Con ciò rassegno a V.S. Ill.ma il mio humilissimo ossequio, e con augurarle ogni felicità in occasione delle prossime santissime feste mi rassegno di V.S. Ill.ma Divotiss.o et Obblig.mo S.re Vero Bologna li 24 dicembre 1695.
Domenico Guglielmini
XIV. Domenico Guglielmini a Giovanni Domenico Cassini, 7 marzo 1696 BUP, ms. 423 fasc. 19 Ill.mo Sig.re Sig.re P.rone Col.mo La distanza dei paesi e la incertezza di ritrovarla colle mie lettere, m’ha fatto differire sin hora a testimoniarle la mia riverente servitù, et a mandarle le osservazioni del sole fatte su questa meridiana, nel maggior numero che il tempo ha permesso. Io suppongo di già arrivata a V.S. Ill.ma una altra mia risponsiva all’humanissima di V.S. Ill.ma scrittami da Genova, e con essa le osservazioni sino al solstizio d’inverno prossimo passato. Con questa riceverà le susseguenti, che sono la maggior parte sicurissime perché fatte con una serenità di cielo, rara in questa staggione. Io suppongo per accertato, che l’obliquità dell’ecclitica non sia maggiore al presente di gr. 23.28.0, e di questa mi sono servito nei calcoli, che concordano coll’effemeride dentro a pochi secondi; abbenché che da qualche giorno in qua le differenze di defficienti si faciano abbondanti. Se continuerà il buon tempo V.S. Ill.ma s’assicuri che non trascurerò di osservare l’equinozio venturo, et il tutto le parteciperò di poi per sodisfare alle obbligazioni, et alla stima che conservo alla di lei persona. Sto in procinto di mettere sotto il torchio il mio trattato della natura dei fiumi, e desiderarei pure di onorare il mio nome col carattere di Academico regio, o di Parigi, nella maniera che V.S. Ill.ma m’intenzionò, o di Londra, come io la supplicai. La prego adunque a non scordarsi di favorirmi, o in modo, o nell’altro, e compatire questa mia ambizione per altro virtuosa //. Se V.S. Ill.ma mi honorerà dell’Efemeride della eclissi del primo satellite ¹ Per esse vedi J. K, Tabulae rudolphinae, quibus astronomicae scientiae, temporum longiquitate collapsae, restauratio continetur [...], Ulmae, typis J. Saurii, 1627.
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di Giove, non mancherò di osservarne qualche d’una, e di fare tutto ciò che da lei mi sarà comandato. Nel negozio delle Acque non se ne discorre più. Questi SS.ri pensano, che il S.re Card.e Tanara,¹ che hora si ritrova qui, giunto che sarà a Roma, possa dare qualche moto, et a tal fine io sono comandato di informarlo. Ma io non ne spero cosa alcuna. Hieri sera passò di qui il S.re Duca di Savoia,² che alloggiò in casa Monti, e si dice che habbia onorato del titolo di March.e il S.re Francesco.³ Questa mattina è partito alla volta di Loreto, e nel ritorno si vocifera che si tratterrà due giorni qui. Le rassegno con ciò il mio humilissimo ossequio, e supplicandola a raccordarmi servidor al S.re Giacomo suo figlio, et al S.re Filippo,⁴ facio a tutti umilissima riverenza di V.S. Ill.ma Dev.mo, et Obblig.mo Serv.re Suo Bologna li 7 marzo 1696.
Domenico Guglielmini
XV. Domenico Guglielmini a Giovanni Domenico Cassini, 25 aprile 1696 BOP, B.4.10 Ill.mo Sig.re Sig.re P.rone Col.mo Dall’umanissima di V.S. Ill.ma delli 26 del passato intendo havere ella ricevuta bensì l’ultima mia ma non la prima, che le scrissi, non so se alla fine di dicembre, o al principio di gennaro. Io non so per qual strana sorte possa essersi smarita detta lettera, havendola io consegnata al S.re Francesco Monti, di cui più vicino mezzo non havrei io potuto trovar qui. Ben mi dispiace al sommo, perché a detta mia era congionta un’altra lettera del Sig.re Abb.e Bianchini, che le inviava l’osservazione dell’eclisse lunare delli 20 novembre 1695 fatta da esso in Roma. Io posso ben sodisfare col mandare, e le mie osservazioni solari, e la lunare del S.re Abb.e predetto di nuovo a V.S. Ill.ma, ma non già ripetterle i particolari della di lui lettera, abbenché il medesimo me la mandasse aperta, perché io vedessi l’osservazione. Io posso ragguagliarlo della perdita della lettera, acciò il medesimo possa rescrivere a V.S. Ill.ma. Intendo poi il di lei arivo a Parigi con felicità, me ne rallegro sommamente, e spero che lo ristabilimento della di lei dimora in cotesta città possa rendere più doviziosa l’Academia Regia di belle osservazioni, ed esperimenti, delle quali parteciperemo poi anche noi a suo tempo nelle Memorie solite a darsi alla repubblica literaria. Starò ¹ Sebastiano Antonio Tanara (1650-1724), appartenente ad una nobile famiglia bolognese. ² Vittorio Amedeo II. ³ L’avvenimento è ricordato anche da Ghiselli nel ms. 770 (della BUB), v. 58, p. 107. Per F. Monti vedi G. B. G, I Riformatori, cit., II, pp. 71-72. ⁴ Probabilmente Filippo Maria Monti che aiutava Cassini nelle osservazioni.
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. . . 189 attendendo ciò che a V.S. Ill.ma riuscirà di operare per secondare l’intento, che già le notificai, del quale io vivo sempre più ansioso, et insperanzito, onde rinovo a V.S. Ill.ma su questo particolare le vive suppliche. Il P. Bacchini¹ a ripigliato di fare il suo Giornale de’ Letterati di Modana, ma sin hora riescì scarso, e non contiene altro, che relazioni de’ libri d’Italia fra li quali è la meridiana di V.S. Ill.ma, riferita² con stima e decoro. N.S. ha deputata una Congregazione a nostra instanza per riconoscere le raggioni, che noi habbiamo di pratticare le opportune diffese alle inondazioni, che ci vengono dal Reno. E’ ella composta di cinque Cardinali, e sono: Acciaioli, Marescotti, Negroni, Panfilii, e D’Adda.³ Io non so come sia per andare la facenda, spererei bene, che o si havesse l’intento, o si ravivasse con tal mezzo qualche negozio sopra il rimedio reale; ma non vorrei già havere io a perdere qualche mese di tempo in andare a Roma, e trattenermivi per commissione di questi SS.ri.⁴ Se succederà alcuna novità, non mancherò di darne parte a V.S. Ill.ma, che prego ad avisarmi, se mai ha havuta alcuna lettera del S.re Ambasciatore di Ferrara.⁵ È un mese che qui corrono tempi stravagantissimi. Il carnevale è stata una fiorita primavera, e la quaresima è tornato un rigoroso inverno, che non ancor termina. Ciò non ha permesso di fare che poche osservazioni, che V.S. Ill.ma riceverà qui sotto registrate unite⁶ a quelle che si contenevano nella lettera smarita, e facendole humilissima riverenza resto di V.S. Ill.ma Div.mo et Obbl.mo S.re Vero Bologna li 25 aprile 1696.
Domenico Guglielmini
¹ Benedetto Bacchini (1651-1721) oratore e letterato, per il quale la maggior fonte di notizie è ancora I. A, A. P, Memorie degli scrittori e letterati parmensi, Parma, dalla stamperia ducale etc., 1789-1833, 7 voll., V, pp. 345-420, VI/2, p. 864-908. Vedi anche la voce a lui dedicata sul DBI, V, pp. 22-29. ² «Giornale de’ Letterati dell’anno 1696», In Modona, per il Capponi e gli Eredi del Pontiroli, 1697, pp. 1-5. ³ Si tratta dei cardinali Nicolò Acciaioli (1630-1719), fiorentino, che era stato per molti anni Legato di Ferrara; Galeazzo Marescotti (1627-1726), romano; Gianfrancesco Negroni (1621-1713), Legato di Bologna per il triennio 1687-1690; Benedetto Pamfili (1653-1730), Legato di Bologna per il triennio 1690-1693; Ferdinando D’Adda, già ricordato. ⁴ Gli Assunti di Confini ed Acque, ovvero senatori, che gestivano per incarico degli altri membri del Senato gli affari inerenti alla regolamentazione dei fiumi del territorio bolognese. ⁵ Monsignor Carlo Montecatini, arcivescovo di Calcedonia. ⁶ Si tratta di osservazioni solari fatte in S. Petronio dal 21 novembre 1695 al 24 aprile 1696, per le quali vedi E. M, De gnomone, cit., pp. 172-178. In realtà i dati proposti da Manfredi, che sono peraltro ripresi da un manoscritto di Guglielmini (indicato a p. 18 del libro), non sono coincidenti con quelli inviati da Guglielmini stesso a Cassini (conservati in BOP, ms. B.4.8), in quanto Manfredi vi aveva apportato delle correzioni.
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XVI. Domenico Guglielmini a Giovanni Domenico Cassini, 27 giugno 1696 BNCF, NAF 6197, cc. 107r-108r Ill.mo Sig.re Sig.re P.ron Col.mo Ritornato in patria doppo una girata di un mese in circa fatta per la Lombardia, e sino nei confini dell’Italia dalla parte delli Valesani, e dei Svizzeri per vedere li laghi dello stato di Milano, e l’origine e le particolarità di diversi fiumi, le quali mi erano necessarie per acertarmi di ciò che haveva io meditato nel mio Trattato della natura dei fiumi,¹ ricevo l’humanissima di V.S. Ill.ma delli 18 maggio; alla quale havrei potuto rispondere due spazii sono, se non havessi stimato meglio differire ad oggetto di potere nello stesso tempo trasmetterle le operazioni fatte in questa meridiana, e dal S.re Ucelli durante la mia absenza, e da me prima e doppo della medesima. L’osservazione del solstizio mi ha confermato nel sentimento, che haveva, che doppo l’equinozio siasi alterata l’obliquità dell’eclitica, o qualche altro elemento del calcolo del sole. Atteso che la minima distanza del centro del sole dal vertice il giorno delli 20 del corrente s’è osservato gr. 21.0.50”, e supposta l’altezza del polo gr. 44.30.15 viene la declinazione gr. 23.29.25, che poteva anche accrescersi sino al punto del solstizio due secondi e qualche cosa di più, la dove nel solstizio d’inverno non è stata che gr. 23.28.6. Paragonando le altezze solstiziali del sole mi viene l’altezza del polo gr. 23.29.35.1/2, che sarebbero circa 40” minore dell’osservata per la stella polare. Subito che potrò voglio rivedere anche questa; e di ciò che troverò ne darò parte a V.S. Ill.ma acciò ella possa vedere d’onde nascono queste variazioni. // Rendo poi grazie infinite a V.S. Ill.ma per l’operato sin hora a mio favore nel consegnare a Monsieur Villamont² il mio libro per la Società Regia d’Inghilterra, e degl’uficii che si intenziona di passare con M.r Pontchartain³ perché io possa godere l’onore del titolo di Academico Regio. La supplico per tanto a non abbandonare il negozio, et a cogliere l’opportunità delle occasioni, che se le presenterano, e comunque vada a terminare la facenda di avisarmene aciò io possa prendere le mie misure per l’edizione del mio trattato dei fiumi, che differisco per questo solo riguardo. ¹ Il trattato sarà pubblicato nel 1697. Vedi Della natura dei fiumi trattato fisico-matematico ec. in cui si manifestano le principali proprietà de’ fiumi [...], Bologna, per gl’eredi d’Antonio Pisarri, 1697. ² Probabilmente Philippe Villemot (1650-1713), astronomo e matematico, seguace delle idee cartesiane per quanto riguarda la spiegazione dei movimenti dei pianeti. ³ Louis Phélypeaux Pontchartrain (1643-1727), cancelliere, intentendente delle Finanze del Re Sole.
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. . . 191 La Congregazione fatta da N.S. per gl’affari delle acque dalla sua creazione sin hora ha dormito; non so [se] per formare dalle sue coste un adiutorio, come fece Dio da quella di Adamo. La sostanza è che noi stiamo peggio che mai, e non si opera nulla. Il S.re Colonello Marsili¹ ha intavolato in Ungheria, e Germania di fare le osservazioni che si potranno degl’ecclissi del primo satellite di Giove. Il Sig.re Eimard² corrisponderà colle sue a Norimberga; et il Sig.re Colonello vorrebbe ch’io facessi lo stesso qui in Bologna, e supplica anche per mio mezzo V.S. Ill.ma a comunicarli quelle che farà costà nei mesi di luglio ed agosto. Il poco tempo però, che Giove resta sopra l’orizonte doppo tramontato il sole mi fa dubitare che siasi per fare poco, o nulla. Nulladimeno, io per la mia parte farò quello che potrò. Il medesimo desidererebbe che V.S. Ill.ma inviasse a me, per farglielo tenere poi a Vienna, un indice delle di lei opere stampate acciò il medesimo potesse poi provedersene o costì, o in altro luogo dove fosse per ri // trovarle; e s’angustia che l’essere egli al servizio dell’Imperatore non le permetta di potere havere con V.S. Ill.ma un continuato comercio in materia di lettere, travagliando egli ad un Trattato sopra il Danubio,³ che dice tratterà la materia fisicamente, mathematicamente, eruditamente, e con abbondanza dell’Istoria naturale. Le rendo vivissime grazie dell’osservazione dell’eclisse delli 16 maggio passato, alla quale io non posso corrispondere con la mia perché non potei farla trovandomi a quel tempo privo d’ogni instromento, e sulla cima dell’Alpi dei Valesani. Con ciò rassegno a V.S. Ill.ma il mio humilissimo ossequio, e facendole riverenza mi confermo di V.S. Ill.ma Dev.mo, et Oblig.mo S.re Vero Bologna li 27 giugno 1696.
Domenico Guglielmini
¹ Trattasi di Luigi Ferdinando Marsili (1658-1730). Per sue notizie, oltre al testo uscito in occasione delle celebrazioni per il 300.o anniversario della morte ed intitolato Memorie intorno a Luigi Ferdinando Marsili, Bologna, Zanichelli, 1930, vedi la biografia settecentesca di G. F, Memorie della vita del gen. Conte Luigi Fernando Marsigli, Bologna, Lelio Dalla Volpe, 1770, quella di M. L, Il conte L.F. Marsili un uomo d’arme e di scienza, Milano, Ed. Alpes, 1930 e il recente contributo di J. S, Marsigli’s Europa, 1680-1730. The life and times of Luigi Ferdinando Marsigli, soldier and virtuoso, Yale, University Press, 1994. ² G. C. Eimmart (1638-1705), per il quale vedi J. S. B, Histoire de l’astronomie moderne, Paris, chez De Bure, 1785, n.e., 3 voll., II, p. 678. ³ L’opera completa sarà pubblicata nel 1726 col titolo Danubius pannonico-mysicus, observationibus geographicis, astronomicis, hydrographicis, historicis physicis perlustratus. In precedenza comunque uscì Aloysi Ferdinandi comit. Marsigli Danubialis operis Prodromus, Norimbergae, apud J. A. Endteri filios, 1700.
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XVII. Domenico Guglielmini a Giovanni Domenico Cassini, 10 ottobre 1696 BOP, B.4.10 Ill.mo Sig.re Sig.re P.rone Col.mo All’humanissima sua delli 24 agosto ricevuta da me in tempo dovuto, ho tardato a rispondere per havere campo di parteciparle senza moltiplicare lettera, tutto ciò ch’era a mio debbito, e principalmente per potere trasmetterle le osservazioni, che si sono potute havere del sole¹ intorno l’equinozio passato. Le osservazioni dunque che seguitano l’ultime, che mi diedi l’honore di comunicarle, saranno notate a piedi di questa medesima. In tanto in risposta della benignissima sua devo esprimerle il mio dispiacere, che V.S. Ill.ma habbia passata l’estate senza quella perfetta salute, che le desidera chiunque ha havuta la sorte di connoscerla, et io principalmente che ho tante obbligazioni alla di lei persona, altretanto mi sono però consolato in intendere, che le precauzioni adoprate da V.S. Ill.ma non solo habbiano impedito il maggior male, ma l’habbiano anche ristabilita in buon stato di sanità, nel quale prego Iddio conservi V.S. Ill.ma cent’anni. Rendo poi a V.S. Ill.ma grazie infinite per gl’uffizii, che si è degnata di passare a mio favore col S.re Abb.e Bignon² a fin di farmi ottenere il titolo di Academico Regio, ch’io già tengo per assicurato, poiché essendo il S.re Abb.e predetto Protettore dell’Accademia dovrà assolutamente M.r Pontchartrin differirne al di lui arbitrio la risoluzione, onde spero a primo aviso di riceverne la consolazione da V.S. Ill.ma, e ben verrebbe a tempo essendo in procinto fra poche settimane di publicare il mio libro sopra la natura dei fiumi, ch’io vorrei potere fregiare col titolo predetto. Anche infinite sono le obbligazioni che le conservo, per l’applicazione che ha havuta del recapito della mia lettera alla Società Regia di Inghilterra, la quale trovandosi nelle mani della S.a Donna Vittoria Davia³ non potrà mancare di arrivare felicemente al suo termine. In somma io sono colmo di mille favori da V.S. Ill.ma ai quali procurerò di corrispondere con una eterna memoria dei miei doveri, e colla promessa di obbedire ad ogni suo cenno. L’obliquità dell’eclitica anche quest’anno ha fatto la medesima variazio¹ Queste osservazioni riguardano il periodo 3 luglio 1696-3 ottobre 1696. Per esse vedi E. M, De gnomone, cit., pp. 182-186, tuttavia anche per queste vale quanto detto nella nota n. 6 di p. 189. ² Su Jean Paul Bignon (1662-1743) vedi A. C, Abbé Jean Paul Bignon “Moderator of the Academies” and the Royal Librarian, «French historical studies», 8/2 (1973), pp. 213-235. ³ Probabilmente Vittoria Montecuccoli, modenese, moglie del marchese Virgilio Davia e dama della regina d’Inghilterra. Per qualche sua notizia vedi il ms. di L. M, Famiglie bolognesi, BUB, ms. 4257, t. 60, c. 187r.
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. . . 193 ne, che l’anno passato, cioè pochi giorni prima dell’equinozio, ben è vero che ciò ha dato li primi segni tra li 8 e li 13 di settembre, dentro il quale intervallo doppo una grandissima siccità havessimo una continua pioggia, il che mi ha fatto sospettare di quello che V.S. Ill.ma pure pensa, che detta variazione sia meramente apparente, cioè nata da qualche irregolare accrescimento di refrazioni. A V.S. Ill.ma tocca il determinare questo punto. Intanto ho voluto assicurarmi dell’altezza del polo col prendere la notte delli 26 settembre la distanza dal vertice della stella polare, la di cui tangente fu 93758 dalla quale ho tirata l’altezza del polo gr. 44.30.9 concordante dentro poche seconde con quella che osservassimo l’anno passato. Sto in pensiero di ripettere la medesima osservazione se il tempo, che da alcuni giorni in qua è nuvoloso me lo permetterà, e facendolo ne darò parte in altra occasione a V.S. Ill.ma. Finalmente si è battuto tanto che lo scultore ha compita la lapide, che li SS.ri Fabricieri di S. Petronio havevano ordinata per la meridiana, e di già è posta a suo luogo, e nel sito, che fu determinato quando V.S. Ill.ma era qui. Ella è grande et assai ben fatta, solo si sono dovute correggere alcune cose nell’ornamento di essa, che non si accordavano, né col luogo, né con la materia di essa. // Hora tutto sta bene. Le acque stanno quiete, e sin che non viene un inverno ben piovoso non se ne discorrerà. Il S.re Card.e Adda è destinato Legato a Ferrara;¹ non so s’egli cambierà sentimento, almeno dà segni di vacillamento nel particolare della diffesa, che noi cerchiamo di poter fare alle inondazioni presenti con argini. Rassegno con ciò a V.S. Ill.ma il mio humiliss.o ossequio, et mi confermo col farle profondissima riverenza di V.S. Ill.ma Humiliss.o Div.o Obbli.mo Ser.re Bologna li 10 ottobre 1696.
Domenico Guglielmini
XVIII. Domenico Guglielmini a Giovanni Domenico Cassini, 19 dicembre 1696 BNCF, NAF 6197, c. 109r-v Ill.mo Sig.re Sig.re Mio P.rone Col.mo La prottezione intrapresa da V.S. Ill.ma dell’affare consaputo non ha trascurato alcuno de’ mezi e tralasciato veruno de’ buoni uficii, ch’erano valevoli a condurlo al fine maggiormente desiderato. Io riconosco adunque da tutto ciò la vicina speranza, ch’ella mi dà di buon esito, havendo trovata ultimamente il S.re Abb.e Bignone migliore disposizione in M.r Pontcha¹ Vi era stato destinato dal 24 settembre 1696, ma prima di finire il triennio, il 24 novembre 1698, passò alla legazione di Bologna.
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trin suo zio. Starò dunque attendendo fra i quindici giorni accennati dal S.re Abb.e predetto l’ultima risoluzione la quale, riuscendo, come desidero, e come commincio a sperare, ho risoluto di dedicare il libro fregiato col bel titolo di Accademico Regio, o all’Accademia Reale, o a M.r Pontchartrin, o al S.re Abb.e Bignone¹ predetto, o a qualch’altro personaggio di qualità, o di lettere di costì, per dimostrare al mondo la stima ch’io faccio di tale honore, e la gratitudine che devo a chi me lo partecipa ecc. Sopra di ciò io la supplico vivamente di consiglio, dal quale non mi allontanerò un puntino; e perciò mi honori di insinuarmi a chi debbo indirizzare la dedica, i titoli che se le devono, e il modo di scrivere e di stilo, che devo praticare nella lettera dedicatoria; et in ciò m’aquieterò a quello che V.S. Ill.ma havrà la benignità di motivarmi. Penso che la risposta di V.S. Ill.ma sarà ben a tempo; attesa la pigrizia colla quale questi stampatori travagliano all’impressione del mio libro, di cui in tre mesi non ho potuto haverne fuori di torchio che ventidue fogli, e ne restano da stampare quasi altrettanti, li quali con tutta la sollecitudine non saranno compiti dentro Carnevale. Quando a V.S. Ill.ma capitasse la risposta della Società reale d’Inghilterra alla mia, la prego a favorirmene, particolarmente quando da quella parte riuscisse ancora il colpo felice. Da una lettera della medesima, risponsiva a quella del S.re Silvestro Bonfilioli² f.m. scrittale in occasione della trasmissione dell’opera postuma³ della f.m. del nostro S.re Malpighi, s’è inteso, che detta opera si stampi; ma poi non si è penetrato se sia compita di stampare, o no. Doppo la morte del S.re Malpighi, e del S.re Bonfilioli, doveva ricadere in me l’applicazione dell’edizione dell’opera accennata, secondo ciò che dispose il S.re Malpighi medesimo; ma gl’heredi del secondo, non havendomi ne meno fatto vedere la lettera appena si sono estesi in farmene sapere il contenuto. Se a V.S. Ill.ma fosse capitata qualche notizia di detta edizione la supplico a parteciparmela. L’iscrizione alla meridiana di S. Petronio, sono due mesi e mezo, che sta al suo luogo; ma non si è ancora compito di perfezionarla restando da ¹ In effetti il libro di Guglielmini, indicato nella nota n. 1 di p. 190, si apre con una lettera dedicatoria (datata 10 aprile 1697) indirizzata «all’illustrissimo Monsignor Paolo Bignone, Abbate di San Quintino e Direttore dell’Accademia Regia delle Scienze». ² Silvestro Bonfilioli, laureato in filosofia nel 1664, morì il 12 febbraio 1696. Si applicò a varie scienze fra cui l’astronomia e la medicina, richiese la lettura di matematica, poi assegnata al modenese G. Montanari (per i memoriali di Bonfilioli e Montanari al Senato vedi ASB, S, Filze, n. 7, cc. 227v-229r). Fu custode dello Studio Aldrovandi. Per ulteriori notizie vedi G. F, Notizie degli scrittori bolognesi, cit., II, p. 301-303. ³ L’opera a cui si accenna uscì a Londra nel 1697. Vedi Marcelli Malpighi [...] Opera posthuma, figura aeneis illustrata quibus praefixa est ejusdem vita a seipso scripta, Londini, impensis A. et J. Churchill, 1697.
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. . . 195 inargentare una luna che sta al piede della medesima, essendo però indorato il sole che le sta sopra. Se V.S. Ill.ma gradisce di vederne il disegno, gle lo manderò. I cattivi tempi che sono stati quest’autunno hanno lasciato fare poche osservazioni del sole. Quelle che si sono potute fare V.S. Ill.ma le troverà al piede di questa, però senza i luoghi del sole, non havendo havuto tempo di farne i calcoli impedito dalle applicazioni necessarie della stampa, delle lezioni dello studio, della medicina etc. Feci bene l’osservazione dell’ // ultima ecclissi di luna, e con un tempo bellissimo, ma l’orologio ch’era a molla, e da saccoccia mi tradì havendo trovato, che nel mezo dì susseguente, mancava di quasi mez’hora, ma gl’altri giorni corrispondeva dentro due minuti al giorno naturale. Ciò mi fece dubitare che l’orologio si fermasse, ma non ho trovato tempo di fare sopra l’osservazione alcuno riflesso per correggere gl’errori dell’orologio predetto. Le trascriverò però l’osservazione predetta, con tutte le osservazioni susseguenti alla correzione dell’hore. In ogni caso V.S. Ill.ma havrà la benignità di ritrarre quel poco che si può, e contentarsene. Le rendo per fine grazie infinite de’ tanti favori, che V.S. Ill.ma giornamente va compartendomi e del merito che si compiace darmi appresso questo S.re Presidente della fabrica¹ e rassegnandole perciò le mie infinite obbligazioni, ed un ossequio altrettanto vivo, mi confermo di V.S. Ill.ma Humilis.mo Dev.mo et Obblig.mo S.re Vero Bologna li 19 dicembre 1696. [...]²
Domenico Guglielmini
XIX. Domenico Guglielmini a Giovanni Domenico Cassini, 1 maggio 1697 BOP, B.4.10 Ill.mo Sig.re Sig.re P.rone Col.mo Nel mentre, ch’io stava per mettere in una cassetta alcune copie del mio libro sopra la natura de’ fiumi per trasmetterle costà, mi giunse oppurtanamente l’huminissima lettera di V.S. Ill.ma, che mi diede occasione di cambiare la dedicatoria,³ che haveva io fatta al S.re Abb.e Bignon, et in luogo di quella d’inserirvi la inviatami da V.S. Ill.ma allungata solo qualche poco per accomodarsivi al sito occupato dalla prima. Hoggi sono otto ¹ Il senatore G. Capacelli Albergati. ² Si sono tralasciate l’Osservazione dell’eclisse lunare delli 8 novembre [...] ed anche le Observationes solares habitae in Gnomonem D. Petronii Bononiae riguardanti il periodo 21 ottobre-9 novembre 1696. Per quest’ultime vedi E. M, De gnomone, cit., pp. 186-87. ³ Vedi la nota n. 1 di p. 194.
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giorni, ch’io inviai a Genova la predetta cassetta, da dove sarà fatta passare a Marsilia, e di là a Parigi diretta a V.S. Ill.ma. In essa troverà ella sei copie del mio libro predetto quatro delle quali supplico V.S. Ill.ma presentare in mio nome al S.re Abb.e Bignon, e due ritenerle per sè medesima. Ne havrei inviato maggior numero, ma la lunghezza del viaggio, e l’incertezza che giungano costà, come desidero, mi ha trattenuto per questa volta di avanzarmi più. Giunte che saranno le inviate gle le manderò quel numero di copie, che V.S. Ill.ma havrà la benignità d’insinuarmi, e quando non arrivasserò, procurerò altra occasione per soddisfare a miei doveri. Mi dispiace infinitamente de’ travagli di V.S. Ill.ma nella morte de’ parenti, e negl’incomodi da lei patiti nella sanità. Lodato Dio che almeno quest’ultimi sono svaniti, così potesse farsi che non fossero seguite le prime. Mille millioni di grazie rendo // poi a V.S. Ill.ma per li complimenti fatti in mio nome col S.re Abb.e Bignon in rendimento di grazie dall’honore compartitomi, in conferirmi il titolo d’Accademico Regio. Per non fare maggior volume a questa lettera aspetterò un altro spazio a trasmettere una mia lettera per il S.re Abb.e predetto, che V.S. Ill.ma mi honorerà, come la supplico, di presentarli insieme col libro. Intanto trasmetto a V.S. Ill.ma le osservazioni del sole,¹ che sono tutte quelle, che il tempo ha permesso si facciano in S. Petronio, e facendole humilissima riverenza mi confermo quale con ogni sommissione mi sottoscrivo di V.S. Ill.ma Humiliss.o Div.o et Obblig.mo S.re Bologna li p.o Maggio 1697.
Domenico Guglielmini
XX. Domenico Guglielmini a Giovanni Domenico Cassini, 8 maggio 1697 BOP, B.4.10 Ill.mo Sig.re Sig.re P.rone Col.mo Trasmetto a V.S. Ill.ma la lettera del Sig.re Abb.e Bignone, che supplico V.S. Ill.ma presentare a suo tempo in mio nome, con li libri, che dovrebbero a quest’hora essere stati spediti da Genova a cotesta volta dal S.re Auditore Baldini di quella Rota civile e mio particolarissimo amico, che mi scrisse i giorni passati che arrivando la cassetta in tempo l’havrebbe consegnata al S.re Balbi² uno de’ principali Cavaglieri di quella città, che ¹ Riguardano il periodo 28 febbraio 1697-30 aprile 1697, per esse vedi E. M, De gnomone, cit., pp. 190-191. Vedi le indicazioni già date nella nota n. 6 di p. 189. Manfredi in questo caso si era avvalso anche delle schede del conte Alberto Grassi, che spesso aveva aiutato Guglielmini nelle osservazioni astronomiche. ² Sicuramente un membro della nobile famiglia Balbi, una delle più ricche e più potenti di Genova. Potrebbe trattarsi di Francesco Maria (1671-1747).
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. . . 197 stava partire alla volta di Parigi. Io ho creduto di non dovere esssere più moroso in iscrivere all’Ill.mo Sig.r Abb.e rendendole le dovute grazie dell’honore fattomi, molto meno di farli presentare il mio libro senz’altra // lettera che la dedicatoria¹ stampata. A V.S. Ill.ma poi devo rendere mille grazie per tanti honori ricevuti mediante i di lei ufficii alle quali obbligazioni procurerò di corrispondere con una esatta obbedienza a di lei comandi. Eccole le osservazioni² di questa settimana, havendole di già inviato mercordì passato le antecedenti. Mi honori di continuarmi la sua protezione, mentre io continuerò ad essere di V.S. Ill.ma Umiliss.o Dev.o Obblig.mo Ser.re Bologna li 8 maggio 1697.
Domenico Guglielmini
XXI. Domenico Guglielmini a Giovanni Domenico Cassini, 28 maggio 1698 BUP, ms. 423 fasc. 19 Ill.mo Sig.re Sig.re e P.rone Col.mo L’ultima lettera di V.S. Ill.ma mi rende moltiplicate testimonianze della di lei somma benignità verso di me, sì nel favore che s’è compiaciuta ultimamente farmi procurandomi l’aggregazione alla famosissima Società Regia d’Inghilterra, come ne fui avisato dal S.re Giacomo,³ suo ben degno figlio, alcune settimane sono, con di lui lettera di Londra, sì per la trasmissione della obbligantissima lettera di Monsieur Varignon,⁴ et successivamente d’altra simile di Mons.r de la Hire;⁵ sì infine delle notizie, che si degna porgermi intorno il ridurre a perfezione il mio horologio. Di tutto rendo a V.S. Ill.ma infinite grazie, assicurandola, ch’io non ne perderò mai la memoria per rendere perpetue nell’animo mio le obbligazioni corrispondenti a grazie cotanto grandi. Quanto all’aggregazione alla Società Regia supplico V.S. Ill.ma a continuarmi le sue grazie insinuandomi, se debbo scriverle rendendole grazie del favore compartitomi o pure attendere, che il Segretario della medesi¹ Vedi supra. ² Sono le osservazioni riguardanti il sole e i giorni 2, 4, 7, 8 maggio 1697, per esse vedi E. M, De gnomone, cit., pp. 191-192. Anche in questo caso vale quanto già detto nella nota n. 6 di p. 189. ³ Giacomo Cassini fra il 1697 e il 1698 compì un viaggio in Fiandra, Olanda ed Inghilterra per eseguire osservazioni astronomiche utili per la determinazione della latitudine e della longitudine di quei luoghi. Per esse vedi Observations astronomiques faites en Flandres, en Hollande et en Angleterre en 1697 et 1698, «Mémoires de l’Académie royale des Sciences. Depuis 1666 jusqu’à 1699», VII/2, pp. 537-572. ⁴ Pierre Varignon (1654-1722), per il quale vedi la voce curata da P. C su DBS, XIII, pp. 584-587. ⁵ Philippe de la Hire, per il quale vedi la nota n. 1 di p. 155.
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ma (come so essere stato praticato col S.re Malpighi) me ne dia l’aviso, et allhora poi soddisfare al predetto debito, io per me inclinerei a quest’ultima, non ostante però, quando V.S. Ill.ma stimi, ch’io debba fare altrimenti, mi regolerò secondo il di lei sentimento. Scrivo a’ SS.ri de la Hire, a Varignon, ma a dirittura // per non dar noia a V.S. Ill.ma che tanto s’incomoda per favorirmi, indirizzando la lettera del primo all’Osservatorio, e l’altra al Collegio delle quatro Nationi, come m’avisa dover io fare il S.re Varignon, perché li giunga sicura; e spererò che non siano per mancare del loro ricapito. L’horologio camina colla sola differenza d’un secondo di tempo in acceleratione, e spero di ridurlo anche all’ultima perfezione se il cielo mi favorirà di sereno, ch’è due mesi che stiamo vanamente attendendo, correndo qui una stravagantissima staggione: per la mutazione della quale si cominciano dimani straordinarie preghiere. Le poche osservazioni, che a V.S. Ill.ma trasmetto le faranno vedere quante poche volte siamo stati favoriti dal sole. Nel calcolare le osservazioni predette mi sono servito de’ soliti elementi, ma la necessità d’accrescere l’obbliquità dell’ecclittica che gl’altri anni cominciava poco doppo l’equinozio, hora s’è estesa sino al mezzo maggio. Vero è che la declinazione del solstitio iberno s’è osservata l’anno passato anche minore del solito, il che ha cagionato qualche picciola differenza ne’ calcoli del semicircolo hiemale. V’ho pure impiegata l’equazione de’ giorni mostrata dall’horologio tirandone le ascensioni rette fissando le radici, o su un luogo dell’Efemeridi, o su un’osservazione calcolata al modo solito, e nell’una e nell’altra maniera è // sempre tornata dentro pochissimi secondi la medesima cosa, il che mi ha fatto sperare, quando haverò sicurezza dell’horologio di potere riscontrare, se la varietà irregolare delle refrazioni sia quella, che faccia apparire mutata l’obbliquità dell’eclittica, o pure se questa sia reale, e mutabile dentro il corso dell’anno. Bisogna che il S.re Abb.e Bianchini habbia assolutamente preso sbaglio nel tempo dell’osservazione del passaggio di Mercurio sotto il sole, perché oltre le osservazioni irrefragabili di V.S. Ill.ma e del S.re Giacomo ho ricevuta coll’ultimo spazio una lettera stampata in Vienna diretta al S.re Heimart, nella quale si registra l’osservazione predetta fatta dal S.re Muller¹ aiutante di studio del S.re Colonello Marsili. Mi dò a credere, che sì come l’ha trasmessa a me, così l’habbia ancora inviata a V.S. Ill.ma; onde non m’estendo in dargliene il ragguaglio, che per altro farei. Quando però non l’havesse ella ricevuta, basta mi avisi, ch’io gle ne manderò di qui copia colla figura, che vi è annessa. Il predetto S.re Abb.e Bianchini ¹ Müller Johannes Christoph (1673-1721) di Norimberga, appartenente ad una famiglia di astronomi.
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. . . 199 mi comanda di pregare V.S. Ill.ma per sua parte di participare quale secondo le di lei ipotesi sia il luogo dell’Apogeo di Venere, a’ nostri giorni, e quale il moto del medesimo per dedurre il luogo se non m’inganno al tempo di Traiano per farvi certo confronto d’Istoria. Può essere che il medesimo ne l’habbia ricercato a diritura, scorgendo ch’ella ha ricevute di lui lettere, nel qual caso non occorrerebbe che s’incomodasse di ciò. Le trasmetto acclusa una letterina pel S.re Giacomo in ringranziamento di quello ha fatto per favorirmi nella Società Regia. // Finalmente l’offerta fattami da’ SS.ri Riformatori dello Studio di Padova di mille ducati,¹ m’a fatto risolvere a dimandare a questo publico la licenza di potere conchiudere co’ medesimi. La mia istanza a cagionato così grandi emozioni, ch’io non so ciò che habbia a succedere di me, s’io sia per restare o per andarmene. Se ne fa una ragione di stato, né si conchiude di darmi una positiva resoluzione; et per quanto ho inteso se n’è consultata la corte di Roma,² e se ne attendono le risposte; il che è causa della dilazione, che mi riesce pregiudicialissima a cagione delle voci, che s’avanzano, non esser ciò che un mio artificio per ottenere un considerabile augmento di stipendio. V.S. Ill.ma vede da ciò a qual partito mi trovo. Spero però che N. S.re non vorrà misciarsi di tale affare, e mi lascierà la libertà, che qui non mi si vorrebbe concedere, e con ciò potrò soddisfare alla mia riputazione, facendo che il fatto mostri quanto s’ingannino questi malevoli Politici in caluniarmi. Con ciò le fo humilissima riverenza, e mi ¹ Tutta la questione relativa allo stipendio di Guglielmini che, all’inizio della trattativa con i riformatori dello Studio di Padova, aveva ricevuto un’offerta di soli 600 ducati, si può ben seguire nella sua corrispondenza conservata in ASV, Riformatori dello Studio di Padova, n. 186. Per il decreto della sua designazione a successore di Stefano degli Angeli nella lettura di matematica dell’Università di Padova, vedi ASV, Riformatori dello Studio di Padova, n. 5, c. 817. ² Vedi in ASB, A R, Lettere all’oratore, n. 233, le lettere scritte dagli Assunti di Studio alle date 17 maggio, 31 maggio, 11 giugno, 14 giugno 1698, nelle quali si richiedeva l’intervento del Papa, perché «non convenirsi a un suddito della S. Sede, professore sì celebre nelle materie dell’acque prender servigio [...] in un dominio, che quasi può dirsi confinante, e che in materia d’acque può havere tante contingenze». Gli Assunti invitarono poi l’ambasciatore a suggerire al Papa un intervento simile a quello adottato con Cassini nel 1663, quando anch’egli invitato dallo studio di Padova, gli fu offerto l’incarico di Ingegnere della Fortezza di Forte Urbano con uno stipendio mensile di 40 scudi. Vedi infine anche la lettera del 6 agosto 1698 nella filza n. 234 della suddetta serie archivistica di ASB: gli Assunti si erano ormai rassegnati a concedere a Guglielmini la libertà di recarsi a Padova, poiché il Papa non aveva ritenuto opportuno aggiungere «spese straordinarie» alla Camera Apostolica, come si ricava dalla lettera dell’ambasciatore agli Assunti del 26 luglio 1698, per la quale vedi ASB, A R, Registrum, n. 54, c. 607 (ma vedi anche cc. 544v-545v, 565v-566r, 567r-v). La decisione definitiva del Senato di Bologna si ebbe in data 22 agosto: ASB, S, Vacchettoni, n. 48, c. 56.
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dichiaro inalterabilmente di V.S. Ill.ma Bologna li 28 maggio 1698.
Humilis.mo Dev.mo et Obblig.mo Ser.re Domenico Guglielmini
XXII. Domenico Guglielmini a Giovanni Domenico Cassini, 16 luglio 1698 BOP, B.4.10 Ill.mo Sig.re Sig.re P.rone Col.o Troverà V.S. Ill.ma a piedi di questa mia riveritissima le osservazioni¹ fatte da me doppo l’altra che le scrissi circa la mettà di maggio, et parimente riceverà acclusa una lettera che m’ha trasmessa da Modana il P. Fontana,² che ha fatte alcune osservazioni delle ecclissi del primo satellite di Giove. Io pure ne ho fatte alcune per quanto io mi creda esattissime. Dimani sera se il tempo lo permetterà ne farò un’altra, e così dell’altre, se le camere del P. Auditore saranno luogo adattato, di che io dubito. Sono alcuni mesi che travaglio per ridurre il pendolo del mio horologio alla giornata media precisamente, ma sin hora senza frutto, il che mi toglie la speranza concepita di calcolare i luoghi del sole dalla sola hora del mezzo dì, e dall’obbliquità dell’ecclitica. Mi sono servito per tale rettificazione non solo degl’appulsi del sole al meridiano, ma altresì de’ ricorsi delle stelle fisse al medesimo azimuto; e per isfuggire gl’errori mi sono servito per gnomoni delle torri di San Michele in Bosco, e di S. Procolo osservando il tempo delle occultazioni et apparizioni delle stelle dietro, e fuori di esse; dal che havendo rittratte diverse differenze dell’horologio della giornata media, anche in lunghi intervalli di tempo, racchiuse però dentro due, o tre seconde, mi sono dato a credere, che l’horologio medesimo non manchi di qualche inegualità, nata forse dall’alterazione dell’aria. Se V.S. havesse incontrato di fare alcuna delle osservazioni del satellite, nel medesimo tempo, che le fatte da me la supplico a parteciparmele per vedere quale è la differenza de’ meridiani, mentre il paragonarle // colle efemeridi pare dia qualche minuto di meno di quello che prima si supponeva, rassegno con ciò a V.S. Ill.ma le mie infinite obbligazioni, e col solito ossequio mi confermo di V.S. Ill.ma Hum.o Dev.o et Obblig.mo Ser.re Vero Bologna li 16 luglio 1698.
Domenico Guglielmini
¹ Esse riguardano il periodo 21 maggio-5 luglio 1698. Per esse vedi E. M, De gnomone, cit., pp. 206-209 e la nota n. 6 di p. 189. ² Il monaco teatino modenese Gaetano Fontana (1664-1725), alcune osservazioni del quale cominciarono, a partire dal 1701, ad essere riferite da Cassini e dai suoi collaboratori nelle sedute dell’Accademia. La lettera ricordata non è presente in BOP.
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. . . 201 XXIII. Domenico Guglielmini a Giovanni Domenico Cassini, 26 giugno 1699 BOP, B.4.10 Ill.mo Sig.re Sig.re e P.rone Col.mo Doppo l’altra mia scritta a V.S. Ill.ma in aprile passato, fui quasi subito necessitato di mettermi a letto oppresso da una dolorosissima sciatica, la quale mi vi ha trattenuto sino alla metà del corrente. Hora sto sì levato, e camino qualche poco, ma non così speditamente e senza dolori, come desiderarei. Spero però col beneficio della staggione di consumare affatto gl’humori viziosi, e di recuperare la pristina salute. In tale stato arriva a rendermi la maggior consolazione del mondo l’humanissima sua delli 29 del caduto, ricevuta col ultimo ordinario, alla quale ho trovato congiunto il diploma dell’associazione a cotesta famosissima Accademia Regia delle Scienze. Ne rendo grazie a V.S. Ill.ma che me lo ha procurato, e in questo spazio medesimo scrivo a Mons.e Bignon e a tutta l’Academia, rendendo grazie e mostrando giubilo per tale grazia da me stimata al segno più grande. Oh quanto mi dispiace di non potere trovarmi presente a coteste assemblee ché son ben certo che udirei riflessi degni delle persone, che le compongono, ma Parigi è troppo lontano per farvi un viaggio, e le applicazioni che mi dà questa serenissima Repubblica per la condotta delle sue Acque, sono troppo frequenti per sperare mai d’intraprenderlo. // La mia absenza da Bologna non mi ha già fatto scordare le osservazioni della meridiana di S. Petronio, havendo lasciato l’incombenza a’ miei amici e scolari di continuarle, et essendo informato che il S.re Dott.re Manfredi giovine d’ottimo talento, et inamorato dell’astronomia le ne habbia trasmessa una parte, mi ristringo hora a comunicarle quelle, che ho ricevute ultimamente. Goderò in estremo di vedere le nuove regole dell’Accademia per potere uniformare i miei studii alle medesime. E se V.S. Ill.ma ha alcuna cosa da comandarmi per osservazioni o altro, la supplico a non defraudarmene, perché se bene qui in Padova non ho instromenti assai essati; havrò però in Venezia nell’osservatorio Corraro¹ tutte le comodità imaginabili lasciatevi dalla f.m. del S.re Montanari. Il S.re Abb.e Bianchini si trova in Roma da novembre passato in qua, ¹ Si tratta dell’osservatorio che il nobile veneziano Girolamo Correr aveva istituito nel suo palazzo sul Canal Grande, sotto la direzione di G. Montanari, dopoché questi era diventato professore all’università di Padova nel 1678. V. S. R, Scienza e pubblica felicità, cit., p. 131.
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dove ha ricevuto da S. S.tà un pingue canonicato non so se a S.ta Maria Maggiore, o altra Cattedrale: me ne informerò però meglio, e l’aviserò. In tanto supplicandola a riverire humilmente in mio nome il S.re Giacomo, il S.re Co. Monti,¹ Mons.e de la Hire, e Mons.re Varignon tutti miei singolarissimi padroni, non lascio con ogni maggiore rispetto di sottoscrivermi pregandola a trasmettermi l’effemeridi dell’ecclisse del primo satellite di V.S. Ill.ma Humiliss.o Dev.mo et Obblig.o Ser.e Padova li 26 giugno 1699. //
Domenico Guglielmini
P.S. Nel serrare delle lettere arriva fortunamente a favorirmi il degnissimo Padre Galois² Dott.e di Sorbona, che doppo essere stato al suo Capitolo Generale degl’Agostiniani a Bologna se ne ritorna costà e mi honora caricarsi del recapito delle mie lettere per V.S. Ill.ma, per il S.re Abb.e Bignon e per l’Academia che V.S. Ill.ma riceverà accluse, e m’honorerà quando lo stimi a proposito di rendere a chi sono dirette e qui nuovo le ratifico il mio immortale ossequio.
XXIV. Domenico Guglielmini a Giovanni Domenico Cassini, 9 ottobre 1699 BOP, B.4.10 Ill.mo Sig.re Sig.re e P.rone Col.mo Sono hoggi due mesi, che sono in Piacenza per le riparazioni che fo fare al Po in difesa di questa città per comando dell’Altezza Ser.ma del S.re Duca³ di Parma. Già s’è formato un riparo, et hora si travaglia alla construzione del secondo, che bisognerà intermettere fra pochi giorni per difetto de’ materiali, e perché l’acqua del Po cominciando a gonfiare impedisce o almeno difficulta il travaglio, oltre che l’instante principio de’ nuovi studi mi richiama a Padova. L’effetto considerabile che fa hora il primo riparo è sorprendente, et altrettanto meraviglioso il contrasto che fa al corso dell’acqua; e perché la maniera praticata nella di lui costruzione può essere utile al pubblico, e d’augmento alle arti, giunto che sarò a Padova ne stenderò una descrizione, e la trasmetterò a V.S. Ill.ma perché mi honori comunicarla all’Academia, che suppongo la gradirà come cosa diretta al dilei principale instituto. Questa applicazione non mi ha però levato di mente // l’osservazione dell’ultima ecclisse solare, ma per diffetto d’instromenti, son ben sicuro di non havere fatto cosa buona essendomi servito d’un picciolo horologgio ¹ Filippo Maria (1675-1754), per il quale vedi la nota n. 2 di p. 162. ² Potrebbe trattarsi di Jean Gallois (1632-1707), per il quale vedi l’elogio pubblicato su «Histoire de l’Académie», 1707, pp. 176-181. ³ Francesco Maria Farnese.
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. . . 203 da saccoccia, che mostrava i soli minuti, e d’un canocchiale di due braccia e mezzo, oltre che non haveva chi mi aiutasse. Quello però che m’è riuscito di fare V.S. Ill.ma lo troverà nella schedula acclusa.¹ A Bologna il S.re Dott.re Manfredi e il S.re Stancari l’hanno osservata con ogni diligenza e me l’hanno comunicata. Mi dò però a credere che l’habbiano trasmessa a V.S. Ill.ma. Quando ciò non fosse seguito il principio dedotto dalle fasi è stato a h. 20’.56; et il fine a h. 23.37, et i digiti dell’oscurazione 9 poco più. Il P. Beccatelli² matematico del Collegio de’ Gesuiti di Parma m’ha comunicata la sua osservazione fatta a Catona Villa distante da Parma verso Occidente miglia 12. Questi ha osservato il principio a h. 20.55.38”, et il fine 23.39.54. I digiti dell’osservazione 9.9/332; et il diametro della luna più grande di quello del sole 12 particole // di quelle, delle quali il diametro del sole ne occupava 1328. Suppongo che dal P. Galois Dott.re Teologo Agostiniano della Sorbona, siano state recapi[ta]te V.S.Ill.ma certe mie lettere fra le quali oltre la diretta a lei medesima ve n’era una per Mons.re Bignone, et un’altra per l’Academia, in rendimento di grazie per la nuova aggregazione alla medesima della mia persona di cui hebbi il diploma con lettera di V.S. Ill.ma. Quando il detto Padre. havesse differito o altro la supplico d’avisarmi perché io possa con altre mie soddisfare a’ miei più precisi doveri. Con ciò le fo humilissima riverenza, e pregandola ad honorarmi col S.re Giacomo suo figlio, e col S.re Co. Monti³ non lascio di sottoscrivermi di V.S. Ill.ma Humiliss.o Dev.mo et Obblig.mo Ser.re Piacenza li 9 ottobre 1699.
Domenico Guglielmini
¹ Non è unita alla lettera. ² Il bolognese Achille Beccadelli gesuita. Per il quale vedi C. S, Bibliothèque de la compagnie de Jesus, n.e., Bruxelles, O. Schopens, 1890-1900, 9 vol., I, col. 1111; VIII, col. 1791. ³ Filippo Maria Monti, che aveva seguito Cassini a Parigi.
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G. D. C, Del modo più naturale, più sicuro e più facile di recapitare il Reno e l’acque inferiori.¹ ASB, A R, Posizioni, n. 291. Copia. Se il Reno non fusse stato divertito nelle Valli anderebbe hora felicemente dove va Panaro. Questi due fiumi sboccavano nel Po di Ferrara, ch’il secolo passato havea già il fondo più alto che la superficie bassa del Po grande, il quale perciò non potea più entrarvi, né spingere questi fiumi verso Ferrara, se non nelle sue piene, doppo le quali ritiratosi Panaro e Reno rivoltavano la maggior parte delle loro acque verso il medesimo Po Grande, e poca ne spargevano verso Ferrara. Si disegnò per questo di escavare il Po di Ferrara per introdurvi l’acqua ordinaria di Po Grande e per poterlo commodamente eseguire, ne fu divertito il Reno, per poi rimetterlo nel luogo, che si sarebbe giudicato più opportuno. Non essendosi potuta fare l’escavazione tanto profonda che l’acqua bassa del Po Grande potesse entrarvi, Panaro continuò di correre verso il medesimo Po Grande, eccetto il tempo // delle sue piene che lo spingevano verso Ferrara. Ma fu poi intestato con argine al Bondeno che l’obligò d’andare tutto in Po Grande, eccetto il tempo delle maggiori escrescenze, nelle quali tagliavasi quest’argine per dare sfogo al Po verso Ferrara, sinché conosciutosi non esser questo sfogo necessario cessò di pratticarsi. E così tutta l’acqua di Panaro e l’altra che dal Po nelle sue maggiori escrescenze veniva verso Ferrara, venne a restar per sempre nel Po Grande. Né però si scorge, che le sue maggiori escrescenze si siano augmentate, anzi si è costantemente osservato che si sono diminuite havendo queste nuove acque cooperato a maggiormente escavarlo, et a renderlo più capace. Il medesimo corso havrebbe colla medesima felicità seguito il Reno se si fusse lasciato nel Po di Ferrara, e l’istesso farebbe ancora sì bene come Panaro se vi si rimettesse, o per la medesima strada, o per altra più commoda, e se si levasse l’intestatura fatta per Panaro trasportandola di qua dallo sbocco del Reno verso Ferrara. Questo è un modo di rimetter le cose in pristino col vantaggio che la natura stessa e l’esperienza c’insegna. Quest’esempio di Panaro è una sicurtà infallibile del successo // di Reno. E nondimeno per abondare in cautela oltre il proportionare gli alvei alla ¹ È indicata come «Scrittura fatta dal Cassini per ordine di N.S. P. Innocentio XII datogli li 15 aprile 1695 presentata a S. S.tà li 25 aprile con un disegno del corso del Po da Cremona sino al mare». Nella filza è presente anche il «disegno», insieme alla copia di molti contributi cassiniani che si riferiscono all’intervento in questa questione d’acque. Vedi anche la nota n. 7 p. 164.
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. . . 205 quantità dell’acque da introdurvisi e ben fortificare tanto gl’argini nuovi quanto gli antichi che si farebbero servire, si farebbe un regolatore che lasciarebbe correr l’acqua nel Po Grande nello stato che può riceverla senz’alcun sospetto e l’escluderebbe nelle piene dubbiose del Po, lasciandolo allora sfogare ove corre al presente, regolandone le espansioni, che sarebbero rarissime, e nel medesimo tempo si darebbe passaggio per condotti ed aperture opportune alle acque degli scoli, ed a quelle che servirebbero alla navigazione. Ed in fine si prenderebbero tutte le precauzioni necessarie per toglier a ciascuno ogni timore di questa operazione tanto necessaria per metter una volta fine alle calamità di sì bella parte dello stato ecclesiastico cagionate dalla remozione del Reno fatta a mano non per perpetuarla ma per qualche tempo con disegno di rimetterlo nell’alveo di dove fu rimosso, doppo l’escavazione, che supponevasi doversi perfettionare in breve, dal che niuno può haver’acquistato alcuna ragione d’opporvisi. Rimosso il Reno dalle valli, che scolano hora lentamente nel Po di Primaro, quest’alveo scaricato di tante acque si renderebbe capace de’ fiumi inferiori della Romagna in cui correrebbero più felicemente dopo che fusse intestato nella parte superiore con argine che impedirebbe il regurgito e le determinarebbe a correre solamente verso il mare.
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I G E S U I T I E LA PUBBLICAZIONE D E L L’ OT T I C A D I FRANCESCO MAUROLICO R B∗ A · This essay examines the events concerned with the publication of four optical works by Francesco Maurolico (1494-1575). The edition was carried out in Naples in 1611 by G. G. Staserius (S. J. 15651635). In a recent contribution we presented a complete list of Maurolico’s optical works and proved that the original optical corpus included some texts today lost. In the present essay, instead, it is proposed a reconstruction of the process that led to the printed edition of the four treatises yet available today. The making of the edition is described through the investigation of letters
written on this topic by Staserius to C. Clavius (S. J. 1538-1612). Clavius, as a matter of fact, had an important role in the production of this edition, inserting his own additions to the genuine Maurolician texts. First of all it is investigated the scientific relationship between Maurolico and Clavius. Moreover the role of optical studies in the Ratio studiorum and their presence in the courses at Collegio Romano are taken under scrutiny. In conclusion, it is examined the circulation, in the Jesuit background, of some Maurolician studies in the field of optics.
1. I un precedente contributo abbiamo analizzato la formazione e lo sviluppo del corpus ottico mauroliciano, valutando quali testi Maurolico compose e in quale forma.¹ Abbiamo inoltre preso in esame quali opere siano a nostra disposizione e quali, al contrario, siano da considerarsi, oggi, perdute. Si pone, a questo punto, il problema della sorte ed eventuale fortuna dei testi mauroliciani di ottica a cavallo tra il XVI e il XVII secolo. In questo articolo desideriamo prendere in esame quest’ultima problematica, soffermandoci in particolare su due aspetti strettamente correlati: da una parte le vicende che condussero all’editio princeps dell’ottica mauroliciana,
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Riccardo Bellè, Dipartimento di Matematica, Università di Pisa. E-Mail: [email protected] ¹ Cfr. [B, 2006]. Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche · Vol XXVI · (2006) · Fasc. 2
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dall’altra la circolazione in ambito gesuitico delle opere ben prima della loro uscita a stampa. Prima di tutto riassumiamo brevemente quanto attualmente noto riguardo ai testi in questione. Sono oggi a nostra disposizione i seguenti testi: -
Photismi de lumine et umbra; De erroribus speculorum; Diaphana; Problemata ad perspectivam et iridem pertinentia.
Questi testi ci sono pervenuti attraverso vari testimoni: due a stampa e quattro manoscritti (uno autografo, contenente i soli Diaphana, gli altri apografi). Le due edizioni a stampa sono le seguenti: 1. Photismi de lumine et umbra . . . Diaphanorum partes, seu libri tres . . . Problemata ad perspectivam et iridem pertinentia. Omnia nunc primum in lucem edita. Neapoli, ex Typographia Tarquinij Longi, MDCXI. 2. Theoremata de lumine et umbra . . . Diaphanorum partes, seu libri tres . . . Problemata ad perspectivam et iridem pertinentia. Lugduni, apud Bartholomæum Vincentium, MDCXIII.¹ Della prima conosciamo anche le vicende che portarono alla sua pubblicazione: venne pubblicata con una serie di aggiunte e note esplicative attribuibili a Cristoforo Clavio.² Queste note (di cui viene data notizia nella prefazione al testo) dimostrano un coinvolgimento del matematico nel lavoro di edizione dell’opera. ¹ Solo il De erroribus speculorum non compare nel frontespizio ma si trova di seguito ai Photismi; a pagina 30 nell’edizione di Napoli, a pagina 35 in quella di Lione. ² Cristoforo Clavio (Bamberg 1538-Roma 1612) entrò nella Compagnia di Gesú nel 1555 e divenne insegnante di matematica nel Collegio Romano attorno al 1563. Clavio è una delle figure piú eminenti della matematica di fine ’500, autore di numerose e importanti opere a partire dal Commentarius in Sphaeram Joannis de Sacro Bosco (Roma, 1570) e degli Euclidis Elementorum Libri XV, . . . Auctore Christophoro Clavio (Roma, 1574), la versione da lui curata degli Elementi. Noti e documentati furono i suoi rapporti con Maurolico a partire dal 1570 (su questo tema in [’A, N, 2001] si trova una nuova edizione di una lettera di Maurolico a Francisco Borgia, generale della Compagnia). Rapporti anche personali, come testimonia un soggiorno di Clavio a Messina da aprile a settembre 1574 (sulla vicenda si veda [M, 1998], cap. VI). Sulla figura di Clavio in generale e sulla sua attività di matematico si vedano l’introduzione di [C, 1992] e piú recentemente [R, 1999].
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Passiamo ora ad elencare i testimoni manoscritti. Il manoscritto autografo (Bibliothèque Nationale de France, Par. Lat. 7249) contiene i Diaphana ed è costituito da 19 carte.¹ Abbiamo poi gli apografi: 1. Lucca, Biblioteca Statale, manoscritto 2080, contenente i Photismi (cc. 1v-25r), il De erroribus speculorum (cc. 25r-26r) e i Diaphana (cc. 27r-63r). 2. Amburgo, Staats und Universitätsbibliothek, Cod. Math. 483, contenente alle pp. 95-118 i soli enunciati dei Photismi, alle pp. 118121 il De erroribus speculorum, alle pp. 122-136 gli enunciati della prima parte dei Diaphana.² 3. Roma, Archivio della Pontificia Università Gregoriana (APUG), Fondo Curia 2052, autografo di Clavio, contenente alle cc. 21v24r un testo dal titolo F. M. Super Optico Negocio et Iride Problemata corrispondente ai Problemata ad perspectivam et iridem pertinentia.³ Nel nostro recente articolo abbiamo inoltre dimostrato come, in realtà, le opere di ottica fossero ben più numerose delle quattro oggi a nostra disposizione. Maurolico aveva composto, per lo meno, una trattazione della traditio ottica (Euclide, Bacone e Pecham) con ogni probabilità redatta sotto forma di compendio.⁴ 2. L’ N Il progetto di dare alle stampe le opere ottiche si realizzò solo nel 1611 (piú di trenta anni dopo la morte del loro autore) ma aveva origini antiche, risalenti a quando Maurolico era ancora in vita. Nella Vita dell’Abbate . . . Francesco Maurolico, la sua biografia, a proposito della visita di Clavio a Messina, avvenuta nel 1574, troviamo scritto:⁵ ¹ Per una descrizione dettagliata si veda [B, 2001], appendice A; per quanto necessario in questa sede ricordiamo solamente che il manoscritto venne scritto in due tempi: una prima redazione risale al gennaio 1523, una seconda, con modifiche significative alla parte finale e aggiunte sostanziali è datata 1553-1554. ² Si tratta di un codice contente anche il De refractione di G. B. Della Porta e gli Opticorum libri sex di F. Aguillon. ³ Nello stesso manoscritto si trovano altri opuscoli mauroliciani copiati da Clavio, nonché una copia delle redazioni mauroliciane del quinto e sesto libro delle Coniche di Apollonio, copiate da Christoph Grienberger, discepolo e successore di Clavio. ⁴ Si vedano, in particolare, le pp. 14-15 del già ricordato [B, 2006]. ⁵ Cfr. [M ., 1613], p. 17 e piú recentemente la nuova edizione del testo in [M ., 2001], p. 51-52.
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Vennevi etiando il Clavio giesuita celeberrimo nella professione, e strinsero insieme, dove primieramente di lungi con lettere, quivi con gli animi di presenza (conferendo iscambievolmente assaissimi ponti difficili, e rilevanti) molta famigliarità: a cui egli assegnò nel prender congedo l’originale de Fotismi, e dell’opera delli Diafani, distinto in tre libri, affine di farglili stampar in Roma. [cors. nostro]
Già nel 1574 vi era, secondo il biografo ‘ufficiale’ di Maurolico, l’intenzione di pubblicare queste opere, con l’aiuto e l’intervento di Clavio e dei Gesuiti di Roma. Di esse, in realtà, non abbiamo piú notizie nei tempi immediatamente successivi e probabilmente il progetto editoriale per il quale Maurolico aveva sperato nella collaborazione di Clavio non ebbe mai inizio. Questo disinteresse da parte di Clavio probabilmente fu dovuto piú a ragioni contingenti – fra le quali, forse, la morte dell’autore sopravvenuta l’anno successivo – che a una mancanza di considerazione nei confronti dell’opera stessa. I testi di Maurolico, infatti, non furono certo dimenticati e anzi è molto probabile che, in ambiente gesuitico, continuassero a circolare e a destare interesse. Un passaggio contenuto nella lettera dedicatoria dell’edizione di Napoli testimonia, da una parte, una diffusione di manoscritti mauroliciani di ottica, dall’altra una certa ‘libertà’, per cosí dire, da parte di chi ne faceva uso: Nam cum horum librorum manuscripta exemplaria in multorum manibus essent, quamquam mendis referta, et sine Clavii notis: nec deessent qui Perspectivam suis scriptis illustrare molirentur: dubitandum non erat, quin hi ad suorum librorum campos exornandos e florentibus Maurolyci hortis, suppresso auctoris nomine, omnia transtulissent.¹
Gli scritti di ottica di Maurolico ricompaiono – dopo un silenzio durato 15 anni – in una lettera del 16 febbraio 1599 scritta a Clavio da Vincenzo Reggio:²
¹ Cfr. [M, 1611], p. 4* . Particolare rilevanza viene data alle ‘note’ di Clavio dall’autore della lettera di dedica. ² Vincenzo Reggio (Palermo 1545-1614), fu uno dei gesuiti tra i piú noti e influenti in Sicilia. Fu rettore del Collegio di Messina a partire dal 1588; venne confermato per l’ultima volta in questo ruolo nel 1598. Probabilmente, dunque, ricopriva ancora la carica all’epoca di questa lettera. Cfr. [C, 1992], vol. I, pp. 83-84.
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Il S.r. Barone [Francesco Maurolico jr., Barone della Foresta] è di parere che si stampino prima li photismi, diaphana, et de Iride che V. R. tiene [cors. nostro] et questo in un volume insieme con la perspettiva commune di Gio. Pethsan, e di Baccone; e tutto il corpo pertinente alla perspettiva, quale esso manderà appresso, perche hora si stanno copiando.¹
Abbiamo pertanto una conferma del fatto che Clavio avesse a disposizione dei manoscritti di testi (in questo caso, di argomento ottico) mauroliciani. Da una parte, rafforza quanto già sapevamo grazie alla Vita, dall’altra ci informa che Clavio possedeva un manoscritto anche di un’altra opera: il De Iride. Quest’ultima è da ricollegare a quella oggi nota come Problemata ad perspectivam et iridem pertinentia, della quale è conservato un esemplare manoscritto autografo di Clavio.² Dalla lettera abbiamo anche conferma che il corpus mauroliciano di ottica fosse ben piú ampio delle opere contenute nell’edizione di Napoli, le uniche oggi a nostra disposizione. Dobbiamo aggiungere che due mesi prima troviamo nella corrispondenza di Clavio una lettera strettamente collegata a questa. È quella che un altro Vincenzo, Carnava³ scrive a Clavio: Ho servito già a V. R. con quella diligenza che ricercava il negotio commessomi, e già si e cominciato a mettere mano all’opra.⁴
Quale sia questa «opra» risulta chiaro dal seguito: la copia degli scritti di Maurolico. Nella medesima lettera, infatti, vengono elencate le opere che si sono cominciate a copiare e vengono fornite interessanti informazioni sul processo di copia e di edizione delle opere mauroliciane: Il S.r Barone della Foresta fratello del R.do S.r Silvestro Abbate m’ha incominciato a dare alcuni scritti cioè Apollonii conicorum elementorum lib. 4.or quali trovai esser gia copiati, et che vi mancavano solamente le figure, quali faro io qui complire in collegio. Mi diede ancora il 5.o et 6.o , et di piu conicorum Apollonii breviarium lib. 3., quali gia si stanno transcrivendo; et cosi spero s’andara di mano in mano. . . . Il S.r Barone non vole altro guadagno che lasciar stampata per li posteri la memoria del S.r suo ¹ Cfr. op. cit., vol. IV, pp. 75-76. ² La copia si trova nel manoscritto APUG, Fondo Curia 2052, già citato a p. 213. ³ Vincenzo Carnava nacque a Messina tra il 1564 e il 1566. Entro nella Società nel 1585. Insegnò teologia e filosofia a Messina dal 1594 al 1609, con una breve interruzione nel 1599 quando fu professore a Caltagirone. Morí a Messina nel 1615. Cfr. [C, 1992], vol. I, p. 23. ⁴ Cfr. op. cit., vol. IV, p. 71.
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zio. Et perche io non saro qui mandandomi il P. Provinciale a cominciare il corso a Caltagerone io non mancaro di seguitar l’opra al modo possibile, et lasciaro qui un diligente sustituto; tra tanto V. R. potrà mandare la risposta al P. Vincenzo Regio Rettore di questo Collegio, il quale ancora con diligenza ha preso il negotio. . . . Saluto molto caramente il Fratello Gio. Giacomo Staserio, il quale sollicitara costi questo negotio. Da Messina 20 di decembre del 98.
Questa lettera chiarisce anche il passaggio finale («perche ora si stanno copiando») della lettera di Vincenzo Reggio da noi riportata poco sopra: due mesi dopo la lettera di Carnava, Reggio avvertiva Clavio che il processo di copiatura era giunto alle opere ottiche. Ma questa lettera, incidentalmente, ci fornisce anche un’informazione particolarmente rilevante per la nostra indagine: Saluto molto caramente il Fratello Gio. Giacomo Staserio, il quale sollicitara costi questo negozio.
Ecco che entra in campo – fin dalle prime battute – il personaggio centrale della vicenda: Giovanni Giacomo Staserio.¹ Affronteremo piú avanti nel dettaglio l’esame del rapporto che intercorreva fra Staserio e Clavio, punto fondamentale per comprendere come si arrivò all’edizione napoletana; per ora ci limitiamo a tratteggiare la figura di questo gesuita, barese di nascita ma napoletano d’adozione. Le prime domande che sorgono spontanee sono: come mai Carnava conosceva Staserio, e cosí bene da salutarlo «molto caramente» (e questo si può forse spiegare come semplice cortesia), ma soprattutto, da essere sicuro che egli si occuperà a Roma del negozio, cioè della trasmissione dei testi mauroliciani? La biografia di Staserio ci può fornire forse delle risposte. Giovanni Giacomo Staserio nacque a Bari nel 1565, entrò nella Società di Gesú nel 1588 presso il collegio di Messina, dove studiò retorica per 7 mesi e matematica per un anno. Questo spiega la sua conoscenza con Carnava; infatti anche Carnava in quel periodo stu¹ Giovanni Giacomo Staserio (Bari 1565-Napoli 1635). Matematico gesuita, professore nel Collegio napoletano dal 1600 al 1620 con una interruzione di un paio d’anni. Cfr. op. cit., vol. I, pp. 99-100. Su Staserio e la sua attività di matematico si veda [G, 1994].
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diava presso lo stesso collegio dove, tra l’altro, insegnerà a partire dal 1594.¹ Staserio studiò dunque a Messina qualche anno dopo la scomparsa di Maurolico ed è quindi ovvio che all’epoca si facesse sentire ancora forte l’influenza degli studi del matematico. R. Moscheo a questo proposito afferma: È in quest’ambito che deve essersi maturato, con il primo impatto – e il conseguente innamoramento – con gli scritti di Maurolico, il desiderio di un approccio piú diretto agli stessi (e in primo luogo ai numerosi inediti), tramite gli eredi dello scienziato, che non quello, non meno importante, possibile in collegio.²
Nel 1589 Staserio lasciò Messina e trascorse un anno di noviziato a Nola. Successivamente si trasferí a Napoli dove rimase tre anni. Si recò quindi a Roma per quattro anni al fine di completare la propria formazione scientifica con la frequenza dell’esclusiva accademia claviana di matematica. Tra i frequentatori dell’Accademia vi erano, solo per citare qualche nome, Christoph Grienberger, Odon van Maelcote, Juan Baptista Villalpando e Marco Antonio de Dominis; tutti personaggi dei quali avremo modo di parlare piú diffusamente tra poco, proprio a proposito degli studi ottici. Dopo aver completato gli studi Staserio fece ritorno a Napoli dove rimase praticamente fino alla morte. Vi furono due brevi periodi nei quali venne allontanato da Napoli, probabilmente per motivi disciplinari: per due anni fu a L’Aquila (1601-1603) e per altri due a Bovino (16071609). Torneremo piú avanti a parlare del suo soggiorno a Bovino poiché l’anno prima della sua partenza (1606) Staserio scrisse una lettera a Clavio, che – visti gli esiti successivi – lo proietta a pieno titolo, quale personaggio centrale, nella vicenda della pubblicazione delle opere ottiche di Maurolico:³ Io credo che simili trattatelli come ancora quello della Prospettiva del Mauroli [cors. nostro] et fariano il libro molto piú vendibile, . . . le quali cose di prospettiva per non esservi libro a proposito, malamente si possono leggere a scholari, che non trovano dove rivedere le cose che si dichiarano. Et se queste cose non li pare di stamparle cola sua sfera, forse non sarebbe male fare qualche miscellanea di simili trattatelli come un tempo non mostrava starne lontano [cors. nostro]. ¹ Purtroppo non ci sono giunti gli elenchi degli insegnanti nel collegio per quegl’anni, ma nel 1594-5, il primo per il quale ci sono rimasti i cataloghi, è proprio Carnava ad insegnare filosofia. Cfr. [M, 1998], p. 400. ² Cfr. op. cit., p. 263 ³ Cfr. [C, 1992], vol. VI, p. 15, lettera del 13 gennaio 1606.
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Passiamo ora, per prima cosa, a chiarire i rapporti di Maurolico con i Gesuiti e in particolare con Clavio.¹ 3. M G I primi contatti fra Maurolico e Gesuiti risalgono addirittura agli esordi della Compagnia, quando venne fondato il collegio, primum ac prototypum, di Messina nel 1548. E anzi, sono ancora precedenti. Maurolico fu, infatti, precettore dei figli di Juan de Vega, viceré di Sicilia e presso la corte ebbe modo di conoscere Jéronimo Doménech e Balthazar Torres, medico personale del viceré, due delle figure preminenti tra i gesuiti siciliani.² Le vicende del collegio messinese nei suoi primi anni di vita furono tutt’altro che facili per una serie di contrasti sorti con l’amministrazione cittadina e il collegio scemò gradualmente di importanza, non arrivando piú ad insegnare corsi superiori per quasi un ventennio; solo nel 1564 vennero riaperti gli studi superiori con l’inizio di una nuova stagione per il collegio.³ In questa seconda fase il destino di Maurolico e delle sue opere si andava intrecciando con la necessità dei Gesuiti di disporre di una serie di compendi quale risultato pratico delle discussioni per la formulazione di una Ratio studiorum. In effetti proprio in questo periodo è possibile rintracciare nella produzione mauroliciana due documenti che testimoniano, almeno a livello embrionale, l’intenzione di Maurolico di comporre una raccolta di compendi: l’Ordo congruus compendiorum e il Compendium de divisione et principiis scientiarum in 13 libros factum.⁴ L’Ordo è tràdito in una redazione autografa, datata ¹ Questo tema è stato oggetto di dettagliata analisi in vari contributi, tra i quali, in particolare, [S, 1949] e piú recentemente, [M, 1998]. Per quanto riguarda i rapporti di Maurolico con Clavio e Francisco Borgia, preposito generale della Compagnia dal 1565 al 1572, ricordiamo inoltre [’A, N, 2001]. ² Cfr. [M, 1998], pp. 82-83. ³ Anche in questo caso la fortuna fu però di breve durata a causa di problemi interni al collegio stesso e a causa della peste del 1575 che colpí pesantemente la città. ⁴ Cfr. [M, 1988], pp. 533-547. Il titolo dato a quest’ultimo testo in [M, 1993] era Index rerum tractandarum. In effetti, però, nel foglio pergamenaceo che costituisce l’antica legatura del manoscritto, si trova un indice dove compare la voce: «Compendium de divisione et principiis scientiarum in 13 libros factum» che si riferisce, senza dubbio al testo in esame. Si tratta di un piano dettagliato di un’enciclopedia del sapere progettata da Maurolico ed è costituito dall’indice per argomento dei compendi dai quali questa enciclopedia doveva essere costituita. Per maggiori informazioni sul contenuto, relativamente alla scienza ottica, di questi scritti e sul contesto entro cui Maurolico li sviluppò si può consultare il nostro contributo [B, 2006].
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1568, e contiene l’elenco di una serie di compendi entro cui Maurolico aveva intenzione di riassumere le conoscenze matematiche dell’epoca. Non è superfluo ricordare che i Gesuiti erano entrati anche nella vicenda della pubblicazione degli Sphaerica di Maurolico¹ allorquando la tipografia di Pietro Spira, incaricato della stampa, era stata addirittura “trasferita” nel collegio messinese. Anche se Moscheo avanza l’ipotesi che il progetto nascesse come indipendente dai Gesuiti e fosse stata la città ad assumersene le spese, senza dubbio questo episodio rimane importante per quanto riguarda i rapporti tra Maurolico e i Gesuiti. Giova inoltre sottolineare, per i nostri interessi, che, almeno nel primo documento di consegna degli scritti al tipografo (26 agosto 1555), figurava anche un «de opticis» di cui non si ha piú notizia nel seguito, limitandosi la stampa agli Sphaerica.² È a partire dal 1564 però che i rapporti fra Maurolico e i Gesuiti diventeranno organici fino a culminare con la sua nomina a lettore nel collegio nel 1569. Aldilà dell’interpretazione di Moscheo, che vede in questa nomina, per le sue peculiarità, solo un’abile mossa politica dei Gesuiti per far inserire nel collegio, per di piú a spese della città, l’insegnamento della matematica³ sta di fatto che vi furono ampi e documentati rapporti, che pare trascendessero gli interessi scientifici e pedagogici fino a configurarsi come una frequentazione amichevole o comunque, per certi periodi, quasi quotidiana.⁴ È in questo contesto che si inserisce la lettera di Maurolico al preposito generale Francisco Borgia, risalente al 16 aprile 1569.⁵ In questa lettera è citato anche il nome di Clavio, in connessione con un progetto per la composizione di alcuni compendi. Dal contenuto della lettera appare chiaro che Maurolico, anche per l’interessamen¹ Cfr. [M, 1558]. ² Cfr. [M, 1998], pp. 123-124. L’intenzione di stampare le opere di ottica, dunque, aveva avuto origini ancor piú antiche di quel 1574 che vide Clavio a Messina. ³ Il progetto dei Gesuiti sarebbe stato quello di avocare a sé la cattedra, una volta morto Maurolico (allora già settantacinquenne). ⁴ A questo proposito può essere utile la lettura del diario autografo di Maurolico relativo al periodo agosto-settembre 1570, nel manoscritto Par. Lat. 7462, cc. 1r-1v, per il quale si veda [M, 1988], pp. 529-532. ⁵ Recentemente la lettera è stata oggetto di studio nel già citato [’A, N, 2001], in cui viene fornita anche una nuova edizione della lettera stessa.
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to diretto dei Gesuiti di Messina, stesse elaborando, e anzi, avesse già completato, una serie di compendi:¹ Utque quantocyus eis [Gesuiti di Messina] satisfacerem . . . compendia quaedam edidi [cors. nostro], in quibus summatim necessaria quaeque tangens, pleraque ab aliis omissa, neglecta vel non animadversa supplevi.
Lo scopo della lettera non è però solo quello di informare il generale della Compagnia di ciò che si stava facendo a Messina, quanto di sollecitare, certo con modi molto diplomatici, il coinvolgimento in questa impresa di Clavio, che Maurolico afferma di aver già contattato senza aver ricevuto risposta. Da qui la cosa si fa un po’ piú misteriosa, dato che Clavio non andrà in Sicilia fino al 1574 e, pare, con scopi ben diversi da quelli di aiutare l’ormai ottuagenario matematico. Rimane il fatto che Maurolico, prima del 1569, cercò invano di stabilire rapporti con Clavio. Era questa la ragione della sua lettera a Borgia. Sappiamo ad esempio che Maurolico aveva inviato a Clavio un manoscritto autografo del “libellus de lineis horaris” probabilmente nell’estate del 1569. Clavio scrive infatti nella prefazione ai suoi Gnomonices libri octo:² Primum enim eas [le linee orarie] in ipsius libello de Lineis horariis describendis, quem ipse Messana propria manu conscriptum Romam ad me misit: nondum enim in lucem eum ediderat. [cors. nostro] Et quoniam consideratio haec intersectionum et iucundissima est et . . . utilissima, faciendum mihi putavi, ut ad communem studiosorum utilitatem demonstrationibus geometricis . . . eam confirmarem. Nam sine demonstrationibus huiusmodi sectiones linearum horariarum allatae mihi fuerunt ex Sicilia, neque earum demonstrationem apud ullum potui comperire.
Questo genere di atteggiamento è lo stesso tenuto forse anche nei confronti dei Photismi? Aggiungere e integrare per maggior chiarezza nelle opere ottiche, cosí come per il De lineis horariis si era trattato di supplire dimostrazioni mancanti? A questi contatti si affiancano le vicende relative alla pubblicazione di due opere di Maurolico: Opuscula mathematica e Arithmeticorum libri duo, avvenuta a Venezia nel 1575 apud Franciscum Franciscium Senensem. La vicenda anche in questo caso è molto intricata e non è chiaro fino a che punto i Gesuiti furono coinvolti. In ogni caso, nel manoscritto APUG, Fondo Curia 2052 – lo stesso contenente i Problemata ottici – compaiono, copiati da Clavio, alcuni testi che si ¹ Cfr. op. cit., p. 517.
² Cfr. [C, 1581], p. 58.
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trovano anche negli Opuscula mathematica usciti a Venezia nel 1575. Inoltre, una delle copie di questa edizione conservate presso la Biblioteca Nazionale di Roma, contiene alcune note manoscritte di Clavio stesso.¹ In conclusione ci pare opportuno riprendere brevemente, tutti assieme, gli indizi del rapporto fra Maurolico e Clavio: 1. Nella biografia di Maurolico i rapporti fra i due sono cosí descritti: «e strinsero insieme . . . (conferendo iscambievolmente assaissimi ponti difficili e rilevanti) molta famigliarità». 2. L’edizione a stampa (Napoli, 1611) di alcune delle opere di ottica composte da Maurolico contiene note o aggiunte esplicative di Clavio. 3. Clavio, nella prefazione ai suoi Gnomonices libri octo, afferma di aver ricevuto da Maurolico un Libellus de lineis horariis inedito, aggiungendo inoltre che il manoscritto era «propria [di Maurolico] manu conscriptum». 4. Al termine di un breve scritto dal titolo «Demonstratio algebrae», contenuto nel manoscritto autografo Par. Lat. 7259 alle carte 1r7v, Maurolico cita esplicitamente Clavio, come se il trattato fosse a questi dedicato (o per lo meno come se Clavio ne fosse il principale destinatario): «Sed attendat tua perspicacia mi Christofore Clavi (ut ego sentio et ex meis demonstrationibus constare potest) regulas algebrae non esse plures quam quatuor».² 5. Clavio nella sua edizione della Sphaera cita una lettera a lui diretta di Maurolico relativa alla stella nova del 1572.³ 6. Nell’Archivio della Pontificia Università Gregoriana è conserva¹ Si tratta della copia con collocazione 12.33.G.33; nel frontespizio si trova la seguente nota, comune a molti altri volumi presso la stessa biblioteca: Ex Bibliotheca majori Coll. Rom. Societ. Jesu. Ad usum P. Clavii. ² Cfr. Par. Lat. 7259, c. 7v. Forse non è superfluo far notare che la carta successiva (8r) contiene brevi appunti sull’astrolabio e che uno scritto sull’astrolabio di Maurolico è contenuto anche nel codice, autografo di Clavio, APUG Fondo Curia 2052 e negli Opuscola mathematica postillati da Clavio. Clavio era interessato alle speculazioni mauroliciane a questo proposito? Si veda in merito piú avanti l’Ordo servandus claviano per la parte relativa al compendio sull’astrolabio, dove Clavio scrive: «hanc nos trademus adiuti compendio quodam Maurolyci». ³ Cfr. [C, 1570], p. 105. Inoltre, presso la Biblioteca Nazionale di Napoli (coll. I. E. 56) è conservato uno scritto di Maurolico dal titolo Super nova stella quae hoc anno iuxta Cassiepes apparere cepit considerationes; l’edizione del manoscritto è in [H, 1960].
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to un manoscritto (Fondo Curia 2052), autografo di Clavio, contenente vari scritti di Maurolico di mano di Clavio. 7. Alla Biblioteca Nazionale di Roma si trova la copia di Clavio dell’edizione degli Opuscola mathematica con in margine alcune note manoscritte del gesuita stesso. 4. L’ C R Dal momento che, come abbiamo appena visto, vi sono segni di un interesse dei Gesuiti per i lavori di Maurolico e che questi interessi, cosa per noi ancora piú importante, riguardano in qualche misura anche l’ottica, esamineremo nel dettaglio l’ambiente (per lo piú romano) entro cui si svilupparono. Se Clavio, come pare certo, venne in possesso verso la metà degli anni settanta di alcuni degli studi di Maurolico sull’ottica e se i Gesuiti, all’interno della sistemazione del sapere matematico, dedicavano all’ottica una certa importanza, si può in qualche modo ipotizzare una circolazione delle idee e perfino delle opere mauroliciane tramite Clavio. Nelle due sezioni successive ci dedicheremo a trovare ulteriori indizi di questa diffusione lavorando a due livelli: 1. Da una parte condurremo un esame dettagliato delle varie redazioni della Ratio studiorum e di altri documenti collegati al fine di comprendere quale fosse il posto dedicato all’ottica nella sistemazione delle conoscenze scientifiche intrapresa dai Gesuiti nella seconda metà del XVI secolo. 2. Dall’altra cercheremo di seguire le carriere di alcuni degli studiosi che si formarono a Roma in quel periodo al fine di stabilire, attraverso i loro interessi e i loro studi, se l’ottica fosse tra i temi affrontati nei corsi e nelle discussioni di matematica nel Collegio Romano. Prima di tutto è d’obbligo però incentrare la nostra attenzione sul modo in cui Clavio aveva organizzato l’insegnamento e la formazione dei matematici all’interno del Collegio Romano. Oltre al programma ‘ufficiale’ di matematica, Clavio aveva istituito una sorta di corso superiore nel quale venivano discusse ed elaborate le questioni e le teorie della ricerca matematica del periodo. Questo corso avanzato venne detto «accademia di matematica» o «accademia di Clavio». Si andava costituendo, quindi, attorno a Clavio, un cir-
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colo di giovani e dotati studenti che si dedicava allo studio dei temi della ricerca matematica.¹ Torneremo sui possibili partecipanti a questa accademia, almeno per l’ottica, quando esamineremo i personaggi che erano a Roma e le loro carriere successive. Ma ora volgiamoci alla Ratio studiorum e agli altri documenti pedagogicoprogrammatici di questo periodo. 4. 1. La Ratio e l’ottica 4. 1. 1. Gli inizi L’importanza dei Gesuiti per la sistemazione del sapere da loro intrapresa e le influenze che questa ebbe sullo sviluppo della matematica e piú in generale delle scienze tra la fine del ‘500 e l’inizio del ‘600 è cosa ormai nota ed esaminata sia nelle sue caratteristiche piú strettamente scientifiche sia in quelle filosofiche, pedagogiche e sociologiche. Non è pertanto nostra intenzione riproporre interpretazioni o spiegazioni di questa impresa ma piuttosto esaminarla dal punto di vista dell’insegnamento e dello studio dell’ottica. Uno dei primi scritti programmatici sulla struttura dei corsi di insegnamento, il De studii generalis dispositione et ordine risalente al 1552 e scritto da Jéronimo Nadal (autore, quattro anni prima, anche delle Constitutiones Collegii Messanensis che possono considerarsi il primo ‘germe’ di ratio studiorum) raccomanda per la secunda lectio di matematica:² Secunda lectio complectitur musicen speculativam et perspectivam. Haec legetur, vel communis vel Vitellionis, illa Fabii Stapulensis, vel alterius si quis commodior videatur. . . . In his versabitur secunda lectio totum annum, et denuo proximo anno eaedem legentur.³
Qualche anno dopo troviamo l’ottica inserita all’interno di una sistemazione piú organica e strutturata, che assume le forme di un ¹ Su questo si veda [C, 1992], vol. I, pp. 59-89; per un’analisi della circolazione in questa accademia di Clavio di altri risultati mauroliciani, quelli sui centri di gravità, si veda [N, S, 2001]. ² L’insegnamento della matematica era cosí strutturato: «Praeceptor praeterea instituetur mathematices. Hic quotidie leget tres lectiones in schola metaphysicorum post eorum lectiones et repetitiones». Cfr. [L, 1965-1992], vol. I, pp. 148-149. ³ Le opere di ottica da studiare erano dunque la Perspectiva communis di John Pecham e gli Optices libri X di Witelo; si tratta delle due opere fondamentali in questo campo. La prima era una specie di manuale di base della materia, mentre la seconda affrontava argomenti piú complessi e approfonditi ed era di una difficoltà notevolmente superiore. Il termine Perspectiva communis si riferisce a un’opera ben precisa, composta da J. Pecham nella seconda metà del XIII secolo e pubblicata per la prima volta a Milano verso il 1482.
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vero e proprio ‘programma scolastico’. Si tratta dell’Ordo studiorum risalente al 1558. In questo testo a ciascuna materia vengono assegnati i mesi di durata delle lezioni e i programmi sono differenziati a seconda degli studi intrapresi dagli studenti:¹ Arithmetica 2 Geometria 4 . . . Astrolabium 3 Prospectiva 3 Expositio almanachi aut theologia 2 . . . Los logicos . . . Los philosophos . . . Expositio almanachi aut tabularum 3 Prospectiva 3 De horologiis 2
A questo documento è da affiancare l’Ordo lectionis matheseos in Collegio Romano, scritto dallo stesso autore, quel B. Torres già ricordato per la sua vicinanza con Maurolico.² L’Ordo lectionis matheseos è importante soprattutto perché, a differenza dei due precedenti, di carattere generale, si occupa specificatamente della matematica e per di piú proprio con riferimento all’insegnamento della stessa nel Collegio Romano (in cui Torres fu professore dal 1553 al 1561). Nella prima versione la perspectiva era insegnata per ben quattro mesi (quanto la sphaera o la theoricas de planetas); nella seconda, «los philosophos», dopo due mesi di astrolabio e quattro di teorica dei pianeti, dovevano seguire tre mesi di perspectiva. È interessante aggiungere che nell’Ordo lectionis matheseos, tra gli argomenti da far studiare al terzo anno agli studenti piú portati per la matematica («los mas ingeniosos y aptos a la mathematica»), venga citato anche Maurolico e la sua sphaerica («sphaerica Theodosii et Menelai et Maurolici»). Prima di passare all’ultimo documento di questa prima fase, soffermiamoci ancora un attimo su Torres e su una serie di riscontri documentali. L’interesse dei Gesuiti per l’ottica in questo periodo e negli anni immediatamente succesivi è testimoniato da alcuni ma¹ Cfr. op. cit., vol. II, p. 15. ² Questo testo ci è giunto in due redazioni, datate da Lukács 1557 e 1560. Cfr. op. cit., vol. II, pp. 433-435. La seconda versione riporta di mano di Torres la dicitura: «Orden de la lectura de las mathematicas» e un’altra mano (che Lukács individua in quella di Brunelli) vi ha aggiunto «P. Torres et P. Clavii».
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noscritti conservati oggi alla Biblioteca Nazionale di Roma e alla Biblioteca Apostolica Vaticana.¹ Il codice Gesuitico 2546, scritto verso la metà del XVI secolo, conservato presso la Biblioteca Nazionale di Roma, ad esempio, contiene l’Optica di Tolomeo seguita da quella di Euclide e da un’opera di Alberto Magno di catottrica. Il codice Vaticanus Latinus 2975 contiene le stesse opere con l’aggiunta della Perspectiva di Bacone. Per quanto riguarda Torres, i dati documentali sono contenuti nel manoscritto Barberinianus Latinus 304, conservato alla Biblioteca Apostolica Vaticana. Già P. L. Rose nel 1975 a proposito di questo codice scriveva:² From the mathematics lectures which it contains, this anonymous codex was written by a professor at the Collegio Romano, circa 1558. He was probably Balthasar Torres who taught mathematics in the Collego Romano from 1553 to 1561.
In un altro passo aggiunge, ancora piú chiaramente:³ Knowing that the compiler of Barb. Lat. 304 was a professor of mathematics at the Collegio Romano and that he was also acquainted with both Commandino and Maurolico, it is possible to identify him securely with the Jesuit Baldassarre Torres.⁴
Ma cosa contiene, in effetti, questo codice? Si tratta di un manoscritto composito fattizio, contenente cioè materiale miscellaneo di differente origine; mostra senza dubbio problemi di trasmissione.⁵ Per i nostri interessi è sufficiente ricordare che in esso sembrano essere confluite le lezioni tenute da Torres al Collegio Romano negli anni 1558-9. In vari passaggi si trovano inoltre chiari riferimenti all’otti-
¹ Su questo argomento si veda anche K H. V, The Sources and Literature of Linear Perspective, vol. 3, cap. 1, attualmente consultabile all’indirizzo http://www. sumscorp.com/perspective/Vol3/ch1.htm di prossima pubblicazione presso Saur Verlag, Monaco. ² Cfr. [R, 1975], p. 69, n. 176. ³ Cfr. op. cit., p. 197. ⁴ Rose giunge fino al punto di ipotizzare che il tramite fra Maurolico e Commandino possa essere stato lo stesso Torres. ⁵ Basti ricordare che nel manoscritto la numerazione originale non inizia con 1 (a testimonianza di una perdita della parte iniziale del manoscritto successiva alla numerazione stessa o di una numerazione non continua) e che al termine del codice si trova una rubrica che elenca molti elementi che non hanno corrispondenza nel contenuto attuale manoscritto.
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ca, con citazioni delle opere di Euclide, Pecham, Bacone e Tolomeo, ma perfino di Alhazen e Witelo.¹ Inoltre vi si trova un riferimento a Maurolico e alla sua opinione riguardo ad un problema posta da Federico Commandino. Quest’ultimo aspetto è stato esaminato nel dettaglio da M. Clagett cui rimandiamo per una discussione in merito.² Vogliamo solo ricordare che possediamo una lettera di Commandino a Maurolico in cui si parla, seppur solo incidentalmente, delle opere ottiche di Maurolico:³ Cupio . . . quamprimum in lucem prodire omnia, praecipue vero Archimedis libros duos, qui impressi non sunt: De isoperimetris figuris, et de speculis comburentibus; praeterea libros a te lucubratos: De aequalibus momentis, De lumine et umbra, et De diaphanis [cors. nostro].
È interessante notare come Commandino citi, in particolare, le opere di ottica e quella sui momenti; si tratta di due dei temi di maggiore attualità nella matematica del tempo e che saranno tra quelli dibattuti anche presso l’accademia di Clavio. L’ultimo documento di questa prima fase è la Gubernatio Collegii Romani (1566), in cui, nella sezione intitolata Circa mathematicos, troviamo il seguente elenco di materie da insegnare:⁴ Mathematicus docet hoc ordine: Euclydis sex libros, arithmeticam, sphaeram, cosmographiam, astrologiam, theoricas planetarum, Alfonsi tabulas etc., perspectivam de horologiis.
Ci sembra che dall’analisi dei vari documenti relativi all’elaborazione di una Ratio per le matematiche, dei contenuti di alcuni manoscritti dello stesso periodo e riconducibili allo stesso ambiente, si possa individuare, nell’ambito gesuitico, un’attenzione particolare per le materie ottiche. 4. 1. 2. Clavio e la Ratio studiorum La fase successiva è quella che vede il coinvolgimento di Clavio e che si conclude con le versioni della Ratio del 1586 e del 1591. ¹ Non a caso materiale contenuto anche nei manoscritti (Gesuitico 2546 e Vat. Lat. 2975) ricordati poco sopra. ² Cfr. [C, 1964-1984], vol. III, parte 3, pp. 613-618. ³ La lettera, oggi conservata presso la Biblioteca Universitaria di Urbino (MS Comune Busta 120, cc. 185-188v), è databile, secondo Clagett, tra il 1550 e il 1553 e comunque prima del 1558. ⁴ Cfr. [L, 1965-1992], vol. II, p. 179.
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Il documento fondamentale di questo periodo per la matematica è l’Ordo servandus in addiscendis disciplinis mathematicis.¹ Si tratta di tre testi: l’Ordo propriamente detto, l’Ordo secundus, brevior pro iis qui non curant perfectissimam mathematicarum rerum cognitionem assequi e infine l’Ordo tertius, brevissimus et ad cursum mathematices, qui duobus annis absolvi debet, accomodatus. Prima di procedere a un esame dettagliato del suo contenuto, riportiamo le parole conclusive con le quali Baldini ne accompagnava l’edizione:² Si osservi che lo scritto elenca . . . singole parti delle discipline matematiche (o temi conglobati in esse) nell’ordine della loro successione didattica indicando per ciascuna . . . il testo o i testi utilizzabili per l’insegnamento. Risulta chiaro dal complesso delle indicazioni, che pressoché l’intera opera di Clavio è interpretabile come il prodotto dello sforzo di riempire ognuna delle caselle didattiche cosí individuate, sostituendo un proprio scritto manualistico alla varietà di testi precedentemente utilizzati.
Con questa premessa, passiamo a vedere cosa troviamo in questi tre ordines per quanto riguarda l’ottica: Ordo servandus . . . 16. Perspectiva una cum speculo ustorio. Hanc nos conscribemus. Speculum ustorium edidit Orontius. Quod etiam aiunt edidisse Archimedem vel Ptolomaeum; sed non vidi. . . . Ordo secundus . . . 14. Perspectiva, una cum speculo ustorio Orontii. Nostra vel communis. . . . Ordo tertius . . . Annus primus . . . 6. Perspectiva. 7. Compendium horologiorum sine demonstrationibus. Haec duo legentur [da Pentecoste] usque ad finem anni.
Da questo documento sembra, dunque, che Clavio avesse intenzione di scrivere anche un compendio di ottica. L’idea che Clavio scrivesse dei compendi per l’insegnamento della matematica nelle scuole gesuitiche è peraltro esplicitamente presente nelle tre redazioni successive della Ratio studiorum (1586A, 1586B e 1591).³ Se esaminiamo nel complesso questo documento emerge chiara¹ L’edizione di questo testo si trova in [B, 1981], pp. 90-95 e, piú recentemente, in [L, 1965-1992], vol. VII, pp. 109-115. ² Cfr. [B, 1981], p. 89. ³ Dove viene citato in vari passaggi. Cfr. [L, 1965-1992], vol. V, ad vocem.
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mente che Clavio conosceva (e apprezzava) l’opera di Maurolico. Il nome di Maurolico ricorre ben quattro volte: 1. nella parte dedicata all’aritmetica: «Sequentes quatuor libri Euclidis, videlicet septimus octavus nonus ac decimus. . . . Quibus addatur Arithmetica Maurolyci»; 2. nella parte dedicata ai triangoli sferici: «Compendium triangulorum sphaericorum. Nam Menelaus, Joan. Regiom. et Maurolycus nimis fuse de iis scripserunt»; 3. per il compendio degli Sphaerica elementa Theodosii, Clavio raccomanda che sia Ex traditione Maurolyci; 4. per il compendio relativo alla Astrolabii structura demonstrata una cum eius usu, Clavio precisa: «Hanc nos trademus adiuti compendio quodam Maurolyci». Quest’ultima citazione ci permette di ipotizzare un uso da parte di Clavio dell’opera mauroliciana nella composizione di alcuni di questi compendi. Per ciò che concerne gli studi sull’astrolabio abbiamo visto poco sopra (p. 221) come vi siano almeno altre due prove dell’interesse di Clavio per questo genere di ricerche mauroliciane, il codice conservato presso l’APUG e la copia posseduta da Clavio degli Opuscola mauroliciani con note manoscritte. Gli ultimi documenti in cui si discute dell’ottica e del suo collegamento con l’insegnamento della matematica sono testi di carattere generale il cui scopo è quello di descrivere le connessioni della matematica con altri aspetti dell’attività scientifica. L’impianto teorico sotteso è espresso chiaramente da Clavio nel Modus quo disciplinae mathematicae in scholis Societatis possent promoveri:¹ Has scientias [le matematiche] esse utiles et necessarias ad reliquam philosophiam recte intelligendam, et simul magno eas ornamento esse omnibus aliis artibus, ut perfectam eruditionem quis acquirat. Immo vero, tantam inter se habere affinitatem hasce scientias et philosophiam naturalem, ut nisi se mutuo iuvent, tueri dignitatem suam nullo modo possint. Quod ut fiat, necessarium erit primo, ut auditores physices audiant simul disciplinas mathematicas. Qui mos hactenus in scholis Societatis semper fuit. . . . Cum tamen apud peritos constet, physicam sine illis recte percipi non posse; presertim quod ad ilam partem attinet, ubi agitur de numero ¹ Cfr. op. cit., vol. VII, p. 116.
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et motu orbium celestium, . . . de cometis, iride, halone . . . de proportione motuum, qualitatum, actionum, passionum et reactionum etc.
Nella Ratio del 1586 la parte introduttiva del De mathematicis riporta solamente una versione molto ridotta:¹ Quia illarum [delle matematiche] praesidio caeterae quoque scientiae indigent admodum. Illae namque suppeditant atque exponunt . . . physicis coelestium conversionum, lucis, colorum, diaphanorum, sonorum formas et discrimina.
4. 2. Studiosi di ottica a Roma Nella sezione precedente abbiamo messo in luce la posizione occupata dall’ottica all’interno dell’insegnamento delle matematiche nei collegi e la necessità (e da parte di Clavio anche l’intenzione) di comporre un compendio su questo tema. Passiamo ora a considerare l’attività scientifica che si svolgeva a Roma sul finire del XVI secolo e in particolare nella cosiddetta accademia di Clavio, alla cui struttura abbiamo accennato poco sopra. Il Collegio Romano, infatti, costituiva anche il luogo di formazione dei professori destinati all’insegnamento nei collegi. Nell’Accademia venivano discussi e insegnati problemi di ottica? L’ottica era tra le materie oggetto di studio? In assenza dei programmi o dei testi delle lezioni, è ovvio che si possono avanzare solo ipotesi. In particolare crediamo possa rivelarsi utile, per corroborare gli indizi ricavati dall’esame della Ratio nelle sue varie articolazioni, un esame degli studiosi presenti a Roma presso il Collegio e dei loro studi successivi. A questo proposito, abbiamo individuato tre personalità di sicuro interesse:² Marco Antonio de Dominis, Juan Baptista Villalpando e Christoph Grienberger. Marco Antonio de Dominis (1560-1624) entrò nella Società come novizio nel 1579; negli anni successivi lo troviamo nei collegi di Verona, Padova, Brescia. A Padova insegna matematica (1588-1592) e a Brescia nel 1592-1593 matematica e retorica. Dal 1595 effettua il terzo anno di probazione a Roma. Nel 1597 esce dalla Società per assumere il vescovato di Segna in Dalmazia. Morirà nel 1624 imprigionato nella fortezza di Castel Sant’Angelo, a causa dei suoi contrasti con la Chiesa di Roma, in un primo tempo per i problemi ¹ Cfr. op. cit., vol. V, p. 109. ² Oltre a Staserio, centrale per l’ottica di Maurolico, il cui caso sarà esaminato a parte.
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sorti con la Repubblica Veneziana e in seguito per l’atteggiamento nei confronti dell’anglicanesimo, cui addirittura de Dominis si convertí. De Dominis, figura ben nota per i suoi scritti di carattere politico-religioso, che ne causeranno la morte, lo è meno per i suoi scritti scientifici. In particolare è autore di un libro, pubblicato a Venezia nel 1611, il De radiis visus et lucis in vitris perspectivis et iride tractatus, in cui espone vari risultati di ottica.¹ Il libro fu pubblicato quando de Dominis era già uscito dalla Compagnia, abbandonando di fatto l’attività scientifica, ma dedicandosi alle questioni giuridicopolitiche che ne causeranno la condanna e infine la morte. Ma il testo, come si legge nella prefazione di Giovanni Bartolo, curatore dell’edizione, risale a piú di vent’anni prima quando de Dominis insegnava a Padova e a Brescia. Quest’opera venne ‘riesumata’ sull’onda del rinnovato interesse per gli studi ottici suscitato dalla comparsa del telescopio.² Sembra dunque probabile che quando de Dominis si recò a Roma, nel 1595, avesse già compiuto approfonditi studi di ottica. Juan Baptista Villalpando (1552-1608) nacque a Cordoba dove entrò a far parte della Società nel 1575; nel 1580 cominciò la collaborazione con J. Prado nella preparazione del Ad Ezechielem Templi Hierosolimitani Commentarius³ dedicandosi alla compilazione delle parti matematico-architettoniche. Per quanto riguarda la sua carriera scientifica, sappiamo che insegnò logica nel 1589-1590 a Cordoba e che all’epoca aveva già insegnato matematica per un anno. Nel 1590 giunse a Roma dove rimase fino alla morte, dapprima come predicatore e confessore nella Penitenzeria Vaticana e quindi dal 1595 nel Collegio Romano.⁴ Il suo periodo di permanenza presso il Collegio (1595-1608) coincide grossomodo con quello della pubblicazione del Commentarius. Si pone quindi il problema dell’influenza di Clavio e Grienberger (le due personalità piú di spicco tra i matematici di quel tempo al Collegio) nel lavoro che Villalpando andava preparando; scrive Baldini a tal proposito: È difficile stabilire quanta parte delle notevoli parti matematiche dell’opera (geometriche, metrologiche, ottiche, statiche) espresse suoi risultati
¹ Cfr. [ D, 1611]. ² E in effetti alcune parti del trattato, quelle relative appunto al telescopio, furono molto probabilmente aggiunte in questo periodo. ³ Cfr. [P, 1596-1604]. ⁴ Informazioni ricavate da [C, 1992], vol. I, pp. 104-105.
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originali (o nozioni apprese in Spagna) e quanta sia da riferire all’ambiente dei matematici del Coll. Romano.¹
Le parti relative all’ottica del Commentarius sono contenute nel liber secundus isagogicus dal titolo: «Architectum pluribus disciplinis et variis eruditionibus ornatum esse debere». L’autore, descrivendo le varie conoscenze necessarie all’architectus si dilunga su alcune nozioni di ottica, seppur di livello abbastanza elementare; si tratta di materiale desumibile dalle opere ottiche di Euclide o al limite da qualche trattato della tradizione medievale. Anche lo stesso Grienberger, il matematico forse piú dotato fra i discepoli di Clavio e colui che ne fu a tutti gli effetti il successore, si occupò di ottica. Alla Biblioteca Angelica a Roma è conservata una sua Perspectiva manoscritta (colloc. 1662). Nel manoscritto APUG, Fondo Curia 2052, già citato in relazione ai rapporti fra Clavio e Maurolico, è si trova una redazione manoscritta di Grienberger di un breve testo dal titolo Speculum ustorium. Si tratta probabilemente della versione originale della stampa con lo stesso titolo, pubblicata apud Bartholomaeum Zannettum nel 1613 e di cui Francisco de Guevara, secondo il frontespizio, risulta l’autore. Dal contenuto di due lettere scritte da Grienberger e dirette a Clavio emerge chiaramente che Grienberger teneva dei corsi di ottica nei collegi. Nella prima (Lisbona, 24 marzo 1601) scrive: Lectio est de prospectiva in qua iam fere 8 menses insumpsi; et desunt adhuc multa, quae etiam ipsa suos menses desiderant. Occasionem dedit Prospectivae Geometria practica . . . cum enim multas figuras proponerem in prospectiva, ipsi ea curiositate excitati, voluere interrumpere Geometricam Practicam, desiderio prospectivae. . . . et inceptam Prospectivam perducerem ad finem, feci ut manerem Ulyssipone. . . . Mitto ad T. R.am coronas, duas maiores, reliquas minores, quarum altera alba nigra altera. T. R.a eligat alteram, reliquam vero det meo nomine P. Villalpando quem unice saluto. Scripseram illi de defectibus suae erga me liberalitatis.
Viene citato con molta familiarità Villalpando, a ulteriore testimonianza degli stretti rapporti che intercorsero tra i tre studiosi.² ¹ Cfr. loc. cit. ² A questo proposito aggiungiamo quanto scrive Baldini in una nota a questa lettera: «I rapporti tra Grienberger e Villalpando, e in particolare l’apporto del primo alle notevoli parti matematiche del commento [ad Ezechielem . . . ], sono una questione mai esaminata ex professo. Quelle parti sono sia di matematica pura, sia di statica e ottica; in alcuni
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Nella lettera successiva (Palermo, 21 aprile 1609) Grienberger accenna nuovamente alle proprie lezioni di perspectiva:¹ Cum uno istorum hoc anno Euclidem et Theodosium et Arithmeticam et Sphaeram. Cum omnibus simul Triangula Rectilinea et Sphaerica, et Geometriam practicam hactenu percurri. Et iam versor inter Canones Astrolabii, quos ad Pentecostem usque percurram. Expectant Gnomonicam vel Perspectivam cum Apollonio; sed nescio si omnia plene hoc anno.
Staserio, infine, come e quanto era coinvolto in queste eventuali discussioni? Il suo coinvolgimento va oltre, la seppur importante, questione della pubblicazione dell’edizione delle opere ottiche mauroliciane cui abbiamo accennato. Anche in questo caso alcune lettere ci forniscono interessanti indizi sugli studi ottici condotti da Staserio. In una lettera a Clavio (9 luglio 1604) Staserio accenna a una lezione di ottica dal titolo: «problema de necessaria oculorum rotunditate».² In un’altra (15 dicembre 1606) tramite Clavio, Staserio si rivolge a Grienberger: «Saluto il P. Grienberger et prego V. R. che mi faccia rispondere a quanto l’ho pregato per una mia intorno allo specchio ustorio».³ Infine abbiamo una terza lettera, stavolta di Staserio direttamente a Grienberger, di epoca molto piú tarda (risale al 1630): Prima di finire voglio aggiungere a quello c’ho detto sopra gli occhiali e canocchiali, ciò che se V. R. ha la Perspettiva di Ruggerio Bacone, stampata in 4o in Francoforte nel 1614 desidero che veda quello che dice appartenente a quella materia par. 166, 167, perché troverà come detto Autore sapeva gran cose intorno a questo. So che in camera della buona memoria del P. Clavio, quando detto libro non era stampato, v’era detta perspettiva in un libro ms. in 4o [cors. nostro].
In definitiva ci pare che queste testimonianze (dirette e indirette) facciano intuire la presenza di discussioni di argomento ottico all’interno del gruppo dei frequentatori dell’Accademia di Clavio. casi Villalpando accenna ad un intervento di Grienberger, ma non si può ritenere che V. semplicemente trascrisse suggerimenti dei matematici del collegio. La sua competenza matematica fu certificata da Clavio, quando divulgò un metodo di V. per produrre cubi di numeri.» Cfr. [C, 1992], vol. II, p. 79-80. ¹ Lettera a Clavio del 21 aprile 1609, cfr. op. cit., vol. VI, pp. 136-137. Si legga anche la nota 8 alla medesima lettera (nel vol. II, p. 79). In questa breve nota Baldini afferma che B. Bonici, successore di Grienberger a Palermo, usava, come testo, la Perspectiva communis, come lo stesso Bonici scrive a Grienberger (in APUG, 530, c. 42r). ² Cfr. [C, 1992], vol. V, p. 97. ³ Cfr. op. cit., vol. VI, p. 50.
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5. I S C Proprio dalle sollecitazioni dello studioso napoletano all’indirizzo del maestro prenderà le mosse l’edizione delle opere ottiche mauroliciane. Staserio, lasciata Roma, rimase per un anno a Napoli (16011602). Successivamente venne mandato (probabilmente per questioni disciplinari interne alla Compagnia) a L’Aquila. Al suo ritorno (1603) riallacciò subito i rapporti coll’antico maestro. Il carteggio fra Staserio e Clavio, comincia con una lettera del 7 maggio 1604 e si conclude, dopo quindici missive, il 18 febbraio 1611, poco tempo prima della morte di Clavio. Tutte le lettere si trovano in [C, 1992] nei volumi V e VI. Ne riportiamo in tabella 1 un elenco dettagliato per un piú facile riferimento.¹ Numero 218 225 226 234 247 257 265 272 286 299 317 320 322 323 326
data 07/05/1604 09/07/1604 30/05/1604 19/10/1604 01/04/1605 13/01/1606 15/12/1606 24/08/1607 26/07/1608 14/01/1609 03/12/1610 31/12/1610 14/01/1611 21/01/1611 18/02/1611
luogo Napoli Napoli Napoli Napoli Napoli Napoli Napoli Napoli Bovino Bovino Napoli Napoli Napoli Napoli Napoli
volume V V V V V VI VI VI VI VI VI VI VI VI VI
pagine 97-99 113-115 115-117 126-127 149-150 15-16 49-52 61-62 88-89 113-115 156-157 162-163 165-166 166-167 170-171
T. 1. Lettere Staserio-Clavio
Grazie a queste lettere possiamo ricostruire abbastanza bene il rapporto che intercorse fra i due: emerge un proficuo scambio di opinioni e consigli. A grandi linee, i principali argomenti trattati nel¹ Nella prima colonna (indicata con la voce numero) abbiamo riportato il numero progressivo dato a tutte le lettere dai curatori di [C, 1992]. Nel seguito ci riferiremo alle lettere talvolta con il loro numero talvolta con la loro data.
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le lettere sono tre. In primo luogo, Staserio incoraggia Clavio a dare alle stampe le sue ricerche, mostrandosi molto aggiornato sugli studi condotti dal matematico. Ad esempio nella lettera 226 scrive: «almeno le cose fatte, come è de centro gravitatis et altre che con poca fatica potria accomodare, vorrei si sforzasse a darle fuora». Secondariamente Staserio interroga Clavio su questioni scientifiche. Abbiamo ricordato poco sopra la sollecitazione, tramite Clavio, a Grienberger per la questione sullo specchio ustorio. Infine Staserio, in molte occasioni, richiede le ultime edizioni dei libri scritti da Clavio per sé o per il collegio. Forniamo di seguito un esempio dei testi di cui Staserio fa richiesta, anche a testimonianza degli interessi scientifici di Staserio e, forse, piú in generale, dell’ambiente napoletano del periodo: Arithmetica,¹ Tavole,² Sphaera,³ Elementi di Euclide.⁴ Queste richieste si possono ben comprendere tenendo presente l’attività che coinvolse i Gesuiti – ed in particolare Clavio – a cavallo dei due secoli: fornire ai collegi testi adeguati al perseguimento del loro progetto pedagogico. Staserio dimostra di essere molto interessato a questo aspetto, prodigo di consigli in questo campo nei confronti del maestro.⁵ Dunque ci pare che l’aiuto che Staserio fornisce (o propone di fornire) a Clavio non si limiti alle sollecitazioni o ai consigli riguardo alla pubblicazione di lavori, ma si estenda anche in altri settori, a testimonianza di una collaborazione fra i due, seppur a distanza. Delineato brevemente il carattere generale di questo scambio epistolare, passiamo ad esaminare il campo nel quale questo genere d’interventi riuscirono a concretizzarsi: l’ottica.
¹ Cfr. [C, 1583]. Lettera 218: «Dell’arithmetica di V. R. . . . io l’aspetterò con la prima comodità». ² Cfr. [C, 1605]. Lettera 257: «Ho ricevuto il novo suo libro delle Tavole». ³ Si tratta del Commentarius a Sacrobosco, cfr. [C, 1570]. Lettera 257: «Mi piace che stampa la sua sfera . . . Vorrei che V. R. facesse una grazia a me, et al collegio nostro, et è che ne faccia tirare 30 per noi». ⁴ Cfr. [C, 1574]. Lettera 265: «Prego V. R. che tra gli Euclidi che mandarà, me ne segni uno per me, ex dono auctoris». ⁵ Forniamo due casi di questo genere di sollecitazioni. Nella lettera 257 Staserio scrive: «Si potrebbe aggiungere qualcosa delle teoriche e tutto il resto» e nella 299: «Vorrei illustrasse alcuni problemi che possono servire al suo Teodosio».
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6. S, C ’ Nel 1606, grazie all’intervento e all’interessamento di Staserio, la questione della stampa delle opere ottiche di Maurolico, dopo un lungo silenzio, torna alla ribalta. Nella lettera del 24 gennaio 1606 troviamo un accenno alla Prospettiva del Mauroli; parlando della nuova edizione della Sphaera di Clavio, Staserio scrive:¹ Se con questa occasione vi potesse aggiungere qualche cosa delle Theoriche . . . sarebbe forse bene aggiungervi . . . quelli otto capi de sfera mobili del Mauroli, o cosa simile fatta da V. R. come designava un tempo . . . Io credo che simili trattatelli come ancora quello della Prospettiva del Mauroli et fariano il libro molto piú vendibile, . . . le quali cose di prospettiva per non esservi libro a proposito, malamente si possono leggere a scholari, che non trovano dove rivedere le cose che si dichiarano. Et se queste cose non li pare di stamparle cola sua sfera, forse non sarebbe male fare qualche miscellanea di simili trattatelli come un tempo non mostrava starne lontano.
Appare chiaro l’interesse di Staserio per le opere di ottica di Maurolico e il suo tentativo di convincere Clavio della loro utilità, facendo riferimento alle difficoltà degli insegnanti nell’affrontare questo argomento. Avanza l’idea di farne una miscellanea, anche per ovviare all’assenza di un libro specifico.² Lí per lí la proposta di Staserio non ebbe però seguito. Notiamo che in questa lettera abbiamo un’ulteriore conferma dei passati tentativi relativi all’edizione di alcune opere maurolciane. Ci riferiamo, evidentemente, alle parole conclusive: «come un tempo non mostrava starne lontano». Staserio nel 1607 fu allontanato da Napoli e ‘relegato’, possiamo dire, nel collegio di Bovino.³ Si trovò quindi, giocoforza, a dover abbandonare le proprie velleità di editore. Tuttavia non rinunciò assolutamente al progetto. Quattro anni dopo, il 3 dicembre 1610, tornato ormai a Napoli, scriveva a Clavio, annunciandogli di aver trovato un finanziatore per l’edizione: «De la prospettiva di Mauroli, se paresse bene a V. R. che si stampasse, haverei qui, chi facesse la spesa». ¹ Cfr. op. cit., vol. VI, p. 15. ² Staserio sembra, dunque, essere informato delle problematiche, cui accennavamo nelle sezioni precedenti, relative alla composizione di compendi da utilizzare nei collegi. ³ Non sono note, con sicurezza, le ragioni di questo allontanamento; si tratta, probabilmente, di un provvedimento disciplinare per questioni interne alla Compagnia.
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Si tratta di un «signore genovese studioso di matematica»: Giovambattista Airolo, un nobile genovese dimorante a Napoli.¹ Questi si accollò in effetti le spese, come testimoniato dalla dedica dell’edizione del 1611: «Io. Baptistae Airolo Patritio Genuensi».² Nella lettera di Staserio vengono citati dei manoscritti di ottica. In un’impresa come quella che Staserio aveva intenzione di intraprendere era, ovviamente, fondamentale l’attività di copiatura e correzione dei manoscritti. Staserio, infatti, nella stessa missiva aggiungeva: «mandarò . . . la Perspettiva . . . quale non l’ho rihavuta tutta ancora, ma son sicuro già di non perderla».³ Staserio aveva quindi a disposizione l’ottica di Maurolico; afferma però di non averla «rihavuta tutta ancora» ma si mostra confidente «di non perderla». Come possiamo interpretare questa frase? Grazie anche alle lettere successive, risulta evidente che Staserio, in questo passo, si riferisce alla copiatura di un manoscritto. Con ogni probabilità la copia era stata affidata ad un copista che non aveva ancora completato il lavoro. Clavio deve aver espresso parere favorevole sull’intero progetto e il 31 dicembre dello stesso anno Staserio poteva scrivergli:⁴ Della Prospettiva farò come V. R. dice col P. Griemberger, di farla stampare senza altra politura. Et cosí la copia di V. R. servirà per lo stampatore, se bene finita c’havrò di rivedere quel poco che resta, la mandarò prima a V. R. perche la rivegga se ci è errore alcuno. M’è bisognato faticare tanto nel rivederla, che se la havessi scritto di mia mano, non ci haverei stentato molto piú. La lettera del copista è bella in apparenza, ma poi in fatti è confusa et piena d’errori si che bisogna rivederla molto bene.
Evidentemente Staserio, dopo aver ricevuto la copia che aveva fatto fare per Clavio, si era reso conto che conteneva molti errori di copiatura. Aveva quindi cominciato a rivederla per correggere gli errori e stava ancora completando questo lavoro. Esprime inoltre l’intenzione di utilizzare questa copia per la stampa ma non prima di averla mandata a Clavio affiché la riveda anch’egli.⁵ Dopo due settimane (14 gennaio 1611) abbiamo un’altra lettera contenente alcune questioni tecniche che Staserio sottopone al vaglio di Clavio:⁶ ¹ Su questo personaggio si veda [M, 1988], p. 50. ² Cfr. [M, 1611], p. 3* . ³ Cfr. op. cit., vol. VI, p. 156 ⁴ Cfr. op. cit., vol. VI, p. 163. ⁵ Nella stessa lettera compare infatti il passaggio: «mandaro con la perspettiva, la quadratura prima del Caravaggio, o copia.» ⁶ Cfr. op. cit., p. 165.
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Nell’incluso foglietto¹ vedrà V. R. da una parte il titolo che penso far mettere alla prima faccia del libro, come nell’altra mia li scrissi, se cosí parerà a V. R. et mi sarà carissimo che V. R. l’accomodi come megli li parerà. Dall’altra parte mando una propositione delli Photismi, nella quale vorrei accomodarvi la figura nel modo che sta fatta la 2.a perche la prima non mi par fatta giusta: con aggiungervi poche lettere, et un poco piú di circonferenza, per la postilla, che vorrei s’aggiungesse al luoco notato; perche altrimenti mi pare che sia oscura, et imperfetta. V. R. per carità vi faccia un poco di consideratione sopra, accio possa inserirsi nella dimostrazione come sono l’altre sue. Et la prima faccia non manchi per carità di accomodarla: perche possa presto stamparsi, et V. R. resti servito con havervi non una mala, ma molte buone copie. Già sono cominciate a farsi le figure di legno, come dall’incluse mostre vedrà, che sono le prime se bene s’hanno da accomodare un’altro pochetto.
Abbiamo inserito questa lunga citazione dal momento che questa lettera contiene alcuni dei principali punti della vicenda, che verranno ripresi e precisati anche nelle lettere successive: • Nell’edizione compariranno, ad integrazione o delucidazione del testo mauroliciano, alcune aggiunte di Clavio stampate in corsivo; è a questo che si riferisce Staserio quando dice: «accio possa inserirsi nella dimostrazione come sono l’altre sue».² • Abbiamo una chiara testimonianza dell’attività di editore dello stesso Staserio; propone a Clavio alcune modifiche nella dimostrazione di una proposizione e nella figura relativa, affermando che: «altrimenti mi pare che sia oscura ed imperfetta». • Il progetto pare avanzare rapidamente; Staserio ha già iniziato a far incidere le figure in legno. • La stampa non è però ancora cominciata: «non manchi per carità di accomodarla: perche possa presto stamparsi». Staserio, quindi, come risulterà ancora piú chiaramente dalla lettera successiva, non ha ancora inviato a Clavio la copia manoscritta ¹ Questa postilla non è conservata assieme alla lettera ed è, dunque, da considerarsi perduta. ² Nella seconda edizione (Lione, 1613) si fa menzione di queste note già nel frontespizio con le parole: «His accesserunt Christophori Clavii e Societate Iesu notae». In realtà le stesse note comparivano anche nella prima. Si tratta semplicemente di un tentativo di ‘promozione’ della nuova edizione.
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della Perspectiva. Possiamo intuire un certo ritardo da parte di Staserio nell’inviare il manoscritto.¹ Probabilmente, Staserio, troppo preso dalle vicende della stampa, non aveva avuto molto tempo per effettuare le necessarie correzioni. Finalmente Staserio si risolve ad inviare il manoscritto a Clavio:² Mando a V. R. la copia della Perspettiva, la mia non la mando per l’impedimento che V. R. sà della stampa. Questa non volevo mandarla per non essere riuscita a mio gusto. Sono stato ingannato dal scrittore, il quale con bella mostra m’ha fatto poi mal opra. Io perche nel rivederla, la trovai molto scorretta, la lasciai di finire di rivederla col’occasione della stampa, et cosí neanco vi feci le figure: ho finito bene di rivederla, ma le figure non le ho potute finire, la 7.na seguente spero rimandargliele tutte, o stampate, come ne li mando adesso da 20. o a penna. Mando ancora con la copia del scrittore il principio de la mia che havevo cominciato per V. R. si perche veda che io havevo volontà di servirla bene, come ancora per allegerire la fatica al fratello Lembo, il quale bisogna che copii la perspettiva se vorrà V. R. mandarla prima d’aspettar la stampata.
Staserio cerca di giustificare il ritardo nell’invio. Afferma di aver rinunciato a terminare la revisione della copia manoscritta che aveva fatto copiare per Clavio prima di iniziare a stampare; di non avervi neanche completato le figure. Le figure ancora mancanti saranno però inviate la settimana successiva o fatte a mano o a stampa (come ne manda già in questa spedizione). Deduciamo pertanto che parte delle figure che accompagnano il manoscritto sono disegnate a mano parte, invece, sono tratte dai fogli a stampa. Aggiunge inoltre di non poter mandare la propria copia per l’impedimento che V. R. sà della stampa. Possiamo ipotizzare che Clavio, di fronte ai continui ritardi, avesse chiesto a Staserio di inviare il manoscritto originale e non la copia scorretta; Staserio però ha, in effetti, necessità di tenere il manoscritto per completare il processo di stampa. Con questa lettera tutti i preparativi per la stampa sono completi, come evidente dall’ultima lettera (n. 326), neanche un mese dopo, il 18 febbraio, in cui Staserio può finalmente annunciare:³ Mando a V. R. quattro fogli [stampati] de la perspettiva del Mauroli, cioè ¹ In questo senso si possono interpretare anche le parole «et V. R. resti servito con havervi non una mala, ma molte buone copie». ² Si veda la lettera n. 323 del 21 gennaio 1611, op. cit., p. 167. ³ Cfr. op. cit., p. 170.
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fino all’E, . . . Spero che restara sodisfatto . . . delle copie stampate che haverà, quali spero senz’altro li mandarò la 7.na seguente.
In questa stessa lettera Staserio, nonostante la stampa sia già a buon punto, propone nuovamente a Clavio delle aggiunte al testo; esamineremo la questione nel dettaglio nella prossima sezione. 7. C Ora che abbiamo elencato i passaggi piú significativi delle lettere, possiamo ricostruire in parte le questioni relative ai vari manoscritti coinvolti nella vicenda. Prima di tutto ricordiamo che i testi vennero pubblicati con alcune aggiunte di Clavio. Come mostrato nelle sezioni precedenti, Staserio studiò a Roma con Clavio in un periodo (1595-1600) in cui anche Grienberger, De Dominis, e Villalpando si trovavano a Roma; questi personaggi, non a caso, furono tutti autori, curatori o comunque coinvolti in opere di argomento ottico. Le aggiunte che Staserio propone a Clavio (nell’ultima lettera soprattutto) testimoniano uno studio e una conoscenza approfondita del testo e della materia. Staserio mostra inoltre di conoscere abbastanza bene, fin dal 1606, le opere di ottica di Maurolico – tanto da proporle come testi da adottare nei collegi – e di possedere già un manoscritto di queste a partire dal 1610, prima che il progetto editoriale prendesse il via.¹ La richiesta da parte di Clavio di una copia delle opere ottiche di Maurolico pare, pertanto, sia partita indipendentemente dal progetto editoriale, all’epoca solamente vagheggiato. Clavio, al contrario, non parrebbe avere piú la disponibilità dei testi, almeno non nella forma posseduta da Staserio,² perché altrimenti avrebbe potuto facilmente far copiare il testo a Roma, invece di affidare questo compito a Staserio. Pare piuttosto strano però che Clavio si sia privato degli autografi mauroliciani o comunque delle copie ricevute a Messina. Allora la verità sta, secondo noi, in mezzo. La chiave di volta è nelle aggiunte di Clavio all’opera ottica mauroliciana. Staserio aveva un manoscritto, probabilmente risalente ai tempi del suo soggiorno romano, contenente sia le opere di Mau¹ Si veda la lettera n. 317 del 3 dicembre 1610, op. cit., p. 156. ² Sappiamo, infatti, che Clavio aveva (o almeno aveva avuto) «l’originale de Fotismi e dell’opera delli Diafani», cfr. p. 214.
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rolico sia inserite organicamente nel testo le osservazioni che Clavio, durante le spiegazioni, aggiungeva per chiarire o completare alcune parti. Questo era dunque un testo ‘prezioso’ che valeva la pena stampare ed è comprensibile il desiderio di Clavio di possederne copia (forse anche in prospettiva di un eventuale testo da fornire ai collegi). Ma come è spiegabile l’insistenza di Clavio, come traspare dalle lettere, di avere il testo manoscritto, quando era ormai in cantiere, e quasi conclusa, l’edizione a stampa? Possiamo avanzare l’ipotesi che Clavio non sapesse con esattezza cosa si stava per stampare e volesse quindi verificare che il suo nome non andasse a sancire un’edizione di un’opera di livello non adeguato. Sappiamo di certo che Staserio fece fare una copia per Clavio (quella che fu poi inviata con la lettera del 21 gennaio 1611). Per gli studi compiuti possiamo identificare con certezza questa copia con uno dei tre manoscritti che ancora oggi tramandano il testo delle opere ottiche mauroliciane: il codice conservato oggi a Lucca, presso la Biblioteca Statale, con collocazione 2080. Le dettagliate informazioni al riguardo che Staserio ci fornisce in varie lettere si adattano perfettamente al codice di Lucca. In particolare: • Il codice contiene molti errori ma è scritto con una chiara mano da copista. • Alcune figure sono stampate su foglietti poi incollati al manoscritto. I teoremi finali sono del tutto privi di figure. • Abbiamo individuato nel manoscritto in vari passaggi aggiunte e correzioni di mano di Staserio.¹ L’ultimo episodio del quale vogliamo discutere riguarda alcune aggiunte proposte da Staserio nell’ultima lettera. Le aggiunte riguardano il teorema IV dei Photismi e lo scolio al teorema V.² Per chiarire meglio la situazione riprendiamo la lettera del 14 gennaio e quella del 18 febbraio. Nella prima Staserio scrive: una propositione delli Photismi, nella quale vorrei accomodarvi la figura nel modo che sta fatta la 2.a perche la prima non mi par fatta giusta: con ¹ L’attribuzione a Staserio è stata effettuata sulla base del confronto con la grafia delle lettere coeve. ² Entrambe queste aggiunte mancano nel manoscritto di Lucca, che infatti, secondo la nostra ricostruzione, il 18 febbraio, data dell’ultima lettera, era già stato inviato a Roma.
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aggiungervi poche lettere, et un poco piú di circonferenza, per la postilla, che vorrei s’aggiungesse al luoco notato; perche altrimenti mi pare che sia oscura, et imperfetta.
Nella seconda lettera viene citato esplicitamente il teorema IV e viene proposta un’aggiunta che oggi ritroviamo negli Errata dell’edizione a stampa del 1611: Nella 4.a propos. de Photis. dopo quelle parole, della linea 9 della dimostrazione che dicono: Hoc enim possibile est, vorrei, al principio tra l’errati, mettervi la nota inclusa con la figura.¹
Staserio propone inoltre, di aggiungere uno scolio al teorema V, e anche questo scolio venne collocato tra gli Errata.² È la stessa lettera a spiegarci il perché: in essa Staserio – come si ricorderà – annunciava a Clavio di avergli mandato 4 fogli stampati del libro, (fino al foglio E escluso, cioè le prime 32 pagine), evidentemente, non era possibile ristamparli, conveniva perciò inserire le nuove e tardive aggiunte con gli Errata, l’ultima parte di un libro a essere stampata. Lo scopo del nostro contributo è stato dunque, quello di chiarire gli aspetti relativi al coinvolgimento dei Gesuiti (e soprattutto di G. G. Staserio) nella pubblicazione delle opere ottiche di Francesco Maurolico. Siamo riusciti inoltre a identificare un manoscritto citato nelle lettere tra Staserio e Clavio con uno oggi a nostra disposizione (conservato presso la Biblioteca statale di Lucca). Crediamo che emerga, una volta di piú, l’interesse dei Gesuiti per la composizione di compendi da utilizzare nell’insegnamento nei collegi e, in particolare, che vi sono chiari indizi del loro uso di opere di altri autori, esterni alla Compagnia stessa. Il caso da noi preso in esame è ovviamente parziale, occupandosi solo di Maurolico e delle opere ottiche, ma crediamo possa comunque risultare utile per indagare la situazione dell’insegnamento delle matematiche in Italia (e forse anche nel resto d’Europa) fra la fine del XVI e l’inizio del XVII secolo.
¹ Si trova in effetti, allegato alla lettera, un foglio con il testo in questione. Si veda la lettera n. 326, [C, 1992], vol. VI, p. 170. ² In questo caso, quindi, abbiamo la prova che le note esplicative al testo non sono opera di Clavio ma dello stesso Staserio.
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E M I L W E Y R E LUIGI CREMONA J ˇ B ˇ ˇ ∗ · M B ˇ ˇ ∗ A · Emil Weyr (1848-1894) was a great Czech geometer. His scientific career was predominantly influenced by the trainee-ship in Italy in the years 1870-1871, above all by encountering Luigi Cremona (1830-1903). After his Italian stay he became an adjunct professor of mathematics at the Czech polytechnic in Prague and since 1875 he was appointed as a full professor at the university in Vienna. During his stay in Italy Emil Weyr wrote a diary which is deposited in the Archive of the Academy of Sciences of the Czech Republic. Weyr’s notes present him as an honest and cultivated personality, for whom mathematics is an important but not the only or main component of his li-
fe. They represent a precious testimony on the life at the turn of the second and third thirds of the nineteenth century; since we do not have many similar documents from that time, they even more valuable. The diary is interesting not only for a description of contacts of Emil Weyr with Italian mathematicians and an atmosphere in the Italian scientific community. It also illustrates cultural and political events in Italy; above all it provides information on collecting first experiences of a young mathematician in his 23 years, his view of world, as well as his struggle with the Czech language, his youthful enthusiasm and his eagerness for all new and free.
soggiorno di studio in Italia negli anni 1870-1871, e soprattutto Idecisiva l’incontro con Luigi Cremona (1830-1903), ebbero un’influenza sulla carriera professionale di Emil Weyr (1848-1894), geometra ceco e poi austriaco. In questo articolo ci proponiamo di descrivere a grandi linee i tratti essenziali della biografia di Weyr e l’importanza del suo incontro con il grande geometra italiano.
∗ Jindˇrich Beˇcváˇr, Katedra didaktiky matematiky, MFF UK, Sokolovská 83, Praha 8, 186 75, Repubblica Ceca. E-mail: [email protected]. Martina Beˇcˇ váˇrová, Katedra aplikované matematiky, Fakulta dopravní CVUT, Na Florenci 25, Praha 1, 110 00, Repubblica Ceca. E-Mail: [email protected]. pages: Emil Weyr: http://www-groups.dcs.st-andrews.ac.uk/~history/Mathematicians/Weyr.html; Eduard Weyr: http://www-groups.dcs.st-andrews.ac.uk/~history/Mathematicians/ Weyr_Eduard.html
Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche · Vol XXVI · (2006) · Fasc. 2
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Emil Weyr nacque il 1 settembre 1848 a Praga, secondo dei dieci figli del professore di matematica e fisica nelle scuole medie superiori Franz Weyr (1820-1889) e di Marie Rumpl (1825-1889). Un suo fratello, Eduard (Eda, 1852-1903), fu anch’egli matematico (vedi [B1]), mentre un altro fratello, Bedˇrich (Fricek, 1853-1908), fu chimico. Negli anni 1859-1865 Weyr frequentò il liceo scientifico tedesco in via Mikulandská a Praga e già in quel periodo, sotto la guida del padre, si dedicò alla matematica superiore. Dal 1865 al 1868 studiò al politecnico di Praga, dove iniziò ad occuparsi intensamente di geometria proiettiva (‘la nuova geometria’), insegnata in quel periodo dal matematico tedesco Wilhelm Fiedler (1832-1912).¹ Emil fu uno studente eccezionale: già nel corso degli studi iniziò a pubblicare i propri lavori e attirò l’attenzione sul suo talento.² Nel mese di settembre del 1868 Weyr diventò assistente presso la cattedra di matematica superiore del professore tedesco H. Durège (1821-1893). A decorrere dal 1 marzo 1869, e fino al gennaio 1870, svolse il servizio militare come volontario.³ Il 5 maggio 1869 ottenne la laurea in filosofia all’università di Lipsia. Stimolato dal fisico e filosofo Ernst Mach (1838-1916),⁴ Weyr chiese la libera docenza all’università di Praga e il 3 maggio 1870 fu nominato libero docente di geometria proiettiva. Negli anni tra il 1869 e il 1870 aveva pubblicato ben 29 lavori e due trattati (presso Teubner, Lipsia): ¹ Wilhelm Fiedler fu negli anni 1864-1866 professore ordinario di geometria descrittiva al Politecnico di Praga, da dove più tardi si trasferì a Zurigo; fu il primo a insegnarvi la geometria proiettiva. Emil Weyr diede due esami con lui: Descriptive Geometrie e Neuere Geometrie. Con il professore Heinrich Durège sostenne gli esami di Höhere Mathematik II, Höhere Mathematik III, Analytische Mechanik, Warscheinlichkeitsrechnung und Methode der kleinsten Quadrate. ² Per maggiori informazioni sui suoi studi vedi [Ve], parte I. ³ Il Ministero rese possibile agli studenti universitari, a partire dal 1868, di svolgere un servizio militare speciale, creando un reparto di volontari di un anno. Gli studenti frequentavano al mattino le lezioni all’università, mentre nel pomeriggio, la domenica e durante i giorni festivi e le ferie svolgevano il servizio militare. Per maggiori dettagli vedi [Ve], parte I, pp. 580-581, e parte II, 65, pp. 218-219. ⁴ Negli anni 1867-1882 Ernst Mach svolse la sua attività all’università di Praga (nel corso dell’anno scolastico 1879-1880 fu rettore); negli anni 1882-1895 insegnò all’università tedesca di Praga (della quale fu rettore durante l’anno scolastico 1883-1884) e negli anni 1895-1901 all’università di Vienna. Mach fu membro onorario dell’Unione dei matematici cechi (1870), e influenzò in modo sostanziale una generazione di fisici cechi.
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Theorie der mehrdeutigen geometrischen Elementargebilde und der algebraischen Curven und Flächen als deren Erzeugnisse¹ (156 pagine) e Geometrie der räumlichen Erzeugnisse ein-zwei-deutiger Gebilde, insbesondere der Regelflächen dritter Ordnung² (175 pagine). 2. L I Nell’autunno del 1870 Emil Weyr intendeva recarsi a Parigi (con una borsa di studio di 1000 fiorini), per seguire l’attività di Ch. Hermite (1822-1901), J. A. Serret (1819-1885), M. Chasles (1793-1880) e altri importanti matematici (ad es. J. L. F. Bertrand e V. M. A. Mannheim). La guerra tra Germania e Francia lo costrinse però a cambiare i suoi piani: il 7 novembre 1870 partì per Milano. La prima tappa fu a Trieste, e la seconda a Venezia, dove rimase per alcuni giorni. A Milano arrivò solo all’inizio del mese di dicembre e al Politecnico iniziò a frequentare le lezioni di Luigi Cremona e di Felice Casorati (1835-1890).³ Nel mese di marzo del 1871 interruppe gli studi per viaggiare per l’Italia: visitò alcune università italiane (Padova, Bologna, Pisa, Pavia, Firenze, Torino, Roma, Napoli) e allacciò con-
¹ Teoria delle forme geometriche elementari di specie plurima e delle curve e superfici algebriche da esse generate. ² Geometria delle generazioni nello spazio da forme di prima o seconda specie, con particolare riguardo alle superfici rigate del terz’ordine. ³ Luigi Cremona fu un importante matematico italiano, un eccellente rappresentante della geometria italiana della seconda metà dell’ottocento. Aveva studiato all’università di Pavia con F. Brioschi. Negli anni cinquanta fu professore di matematica nei licei di Cremona e di Milano, mentre a partire dal 1860 fu professore di geometria superiore all’università di Bologna. Nel 1866 fu nominato professore di geometria e di statica grafica al Politecnico di Milano. Senatore dal 1872, l’anno seguente fu chiamato come direttore e professore di matematica alla scuola d’ingegneria di Roma. È autore di più di cento lavori scientifici, che spaziano dalla geometria proiettiva e algebrica alla statica grafica. Fu uno dei primi membri onorari stranieri dell’Unione dei matematici cechi (1871). Per maggiori informazioni vedi ad esempio Dictionary of Scientific Biography (New York, 1970-1990); Encyclopaedia Britannica; G. L, Luigi Cremona et son oeuvre mathématique, «Bibliotheca mathematica», 1904, pp. 125-195; I, Luigi Cremona, «Proceedings London Mathematical Society», 1 (1904), pp. 5-181; I, Luigi Cremona, «Archimede», 9 (1957), pp. 137-139; G. P, Some great mathematicians of the nineteenth century II, Benares, 1934, pp. 116-143; H. S. W, Cremona’s works, «Bulletin American Mathematical Society», 24 (1917-1918), pp. 238-243. Felice Casorati svolse la sua attività all’università di Pavia negli anni 1861-1868, e dal 1868 al 1875 al Politecnico di Milano. Si dedicò alla geometria differenziale, alla teoria delle funzioni di variable complessa e alla storia della matematica. Per maggiori informazioni vedi ad es. S. C, F. G, In memoria di Felice Casorati (1890-1990), Milano, 1992.
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tatti con altri matematici italiani di rilievo.¹ Verso la fine del mese di maggio del 1871 dovette ritornare a Praga, essendo prossima la decisione sulla carica di professore straordinario al locale Politecnico ceco. František Weyr (1879-1951) così ricorda il viaggio italiano del padre Emil: Del viaggio italiano di mio padre sono rimaste alcune lettere ai genitori. Scritte in un ceco scorretto . . . ma molto commovente, c’è in esse la nostalgia di un giovane di ventidue anni solo all’estero, nostalgia della sua patria e della famiglia. Sua sorella Helena mi raccontò che questo sentimento fu una volta tanto forte che ritornò in segreto per un certo periodo in Boemia, nascondendosi – in quanto borsista del governo aveva l’obbligo di non tornare dagli studi a casa in anticipo – da un suo cognato, Albín Sieber, direttore di uno zuccherificio. ([We], pagina 29; le lettere citate si trovano alle pagine 29-34).
3. I W Nell’Archivio dell’Accademia delle Scienze della Repubblica Ceca è depositato il diario scritto da Emil Weyr nel periodo del suo soggiorno in Italia e al quale più tardi aggiunse alcune altre notazioni. Si tratta di un piccolo quaderno (11,8 x 18,4 cm) contenuto in una cartella blu con un tassello bianco e blu. Il primo scritto è datato 7 novembre 1870; il diario è scritto in tedesco fino al 2 marzo del 1871 e dopo in ceco. L’ultima nota risale al 23 aprile 1871. Gli scritti, a matita o con inchiostro nero, in alcuni punti sono difficilmente leggibili; quelli in lingua ceca sono pieni di errori grammaticali e sintattici. Il diario è interessante per la descrizione che Emil Weyr fa dei matematici italiani e dell’atmosfera intellettuale della comunità scientifica italiana. Weyr osserva pure gli avvenimenti culturali e politici italiani, ma il suo diario rappresenta soprattutto una preziosa testimonianza della raccolta delle prime esperienze di un matematico di ¹ Emil Weyr ebbe occasione di frequentare i matematici Angelo Armenante (18441878), Eugenio Bertini (1846-1933), Giuseppe Battaglini (1826-1898), Francesco Brioschi (1824-1897), Giulio Ascoli (1843-1896), Ulisse Dini (1845-1918), Ernesto Padova (18451896), Giusto Bellavitis (1803-1880), Enrico D’Ovidio (1842-1933), Eugenio Beltrami (18351900); e gli astronomi Giovanni Virginio Schiaparelli (1835-1910) e Angelo Secchi (18181878). Fra i suoi amici si contano anche il poeta Domenico Carbone (1823-1883) e lo scienziato e uomo politico Quintino Sella (1827-1884).
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ventitré anni di grande talento, del suo parere riguardante il mondo ed anche della sua lotta con il ceco, del suo slancio giovanile e del suo entusiasmo per tutto ciò che era nuovo e libero. Ci limitiamo a citare alcuni passaggi interessanti che testimoniano gli studi e il lavoro di Emil Weyr, ma soprattutto i suoi contatti personali con i matematici italiani. I testi sono stati tradotti in italiano rispettando al massimo gli originali. Giovedì 2 marzo 1871 Ieri sono andato alle ore 6 1/2 da Cremona, dove sono stato ricevuto dal giovane Vittorio e da una piccola bambina di nome Itala che è stata ammalata alcuni giorni fa. Dopo un poco è venuto il vecchio nella sua vestaglia gialla con strisce verdi e mi ha accompagnato nel suo studio. Io gli ho dato i miei lavori ed i lavori di Eda e il programma del politecnico tedesco di Praga (quello ceco non l’avevo) e lui prima di tutto ha guardato il trattato e mi ha chiesto come si pronunciano Krejˇcí e Šafaˇrík. La pronuncia della lettera rˇ gli ha creato grossi problemi, che non sono riuscito a risolvere nonostante tutti i miei sforzi. Mi ha dato sette dei suoi articoli, quasi tutti dell’Istituto lombardo. Dopo ci siamo messi vicino al fuoco che è stato acceso subito quando sono arrivato e abbiamo chiacchierato di un po’ di tutto. All’inizio gli ho parlato di alcuni risultati del trattato sulle curve stereometriche razionali che sto preparando per gli Annali.¹ Mi ha comunicato che già da tempo intende pubblicare la teoria geometrica delle funzioni ellittiche, che però teme non possa mai vedere la luce. Vuole inoltre preparare la seconda edizione della sua «Introduzione»² che dovrebbe essere debitamente ampliata. Alla mia domanda se fosse d’accordo sulla traduzione di tutti i suoi scritti non ancora tradotti ha acconsentito subito, aggiungendo che lui stesso avrebbe partecipato a questo lavoro perché sia migliorato o aggiunto quello che occorre. Provvederei pure alla seconda edizione dell’introduzione. Si tratta di un lavoro grande e difficile, poiché è necessario realizzare studi accurati e ampi; spero però che mi tornerà utile. Quando gli ho detto che nella nostra società abbiamo soltanto un fascicolo dell’Istituto Lombardo, mi ha ordinato immediatamente di parlare con il signor Schiaparelli per quanto riguarda lo scambio delle pubblicazioni, cosa che farò, perché ne avrò veramente bisogno per i miei studi . . . ¹ Cfr. E. W, Sopra la corrispondenza del secondo grado fra due sistemi semplicemente infiniti, «Annali Mat. pura e appl.», (2) 4 (1870-1871), pp. 272-280. ² Si veda L. C, Introduzione ad una teoria geometrica delle curve piane, «Mem. Accad. Sci. Bologna», 12 (1861), pp. 305-426.
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Dopo siamo andati (alle ore 8 1/2), tenendoci per braccio, a passeggiare in Galleria, dove abbiamo incontrato il dott. Lungo e fino alle ore 10 1/2 abbiamo parlato della grammatica tedesca, di Fiedler, Salmon, Clebsch e della Francia. Poi sono stato con il dott. Lungo al Caffé Europa e sono andato al letto alle ore 12. Cremona mi ha prestato un fascicolo dell’Istituto Lombardo e la biografia di Plücker. Che brav’uomo!
Sabato 4 marzo 1871 . . . Subito dopo sono andato a seguire la lezioni di Casorati (dalle 2 fino alle 3 1/2). Insegna molto velocemente e in modo comprensibile. Mi ha prestato un suo libro perché io vi legga il 3° capitolo della terza parte e l’intera quarta parte. Avrò 14 giorni per cercare di capirci qualcosa, perché la prossima lezione non avrà luogo che . . . Dopo Casorati ha fatto lezione Cremona (fino alle ore 5 1/2) sulla superficie di Kummer e sulle sue 16 rette, in modo molto elegante secondo il proprio metodo. Dopo il pranzo [sono andato] alla cattedrale e da lì in Via Sant’Andrea n. 11 da Cremona, il quale mi ha accolto in maniera gentile e mi ha dato altri 3 suoi trattati ... Abbiamo letto insieme il breve lavoro che sto preparando per l’Istituto Lombardo; lui mi ha corretto l’italiano: veramente è un tipo gentilissimo. Dopo abbiamo parlato di Chasles. Ha ricevuto la lettera di Hirst da Londra, nella quale gli scrive che Chasles ha soggiornato a Parigi al tempo dello stato d’assedio ed ha terminato il proprio Aperçu. Chasles ha inviato due volte a Cremona tre suoi trattati e Cremona mi ha dato una copia di ogni trattato. Per quanto riguarda la sua Introduzione ha detto che è stata stampata solo come uno scritto accademico . . .
Domenica 5 marzo . . . Dopo colazione sono stato con il signor Adler nel salone restaurato dei Giardini pubblici (ingresso 1 lira), dove ha avuto luogo il concerto e la mostra dei quadri, tra i quali anche tre quadri del fratello di Cremona (Tranquillo Cremona è più giovane di Luigi e anche lui abita a Milano). Lì abbiamo incontrato la signora Cremona con la piccola Itala. . . . Cremona mi ha parlato oggi anche su come organizza il [suo] tempo di lavoro. Adesso d’inverno lavora dalle 8 e cerca di rimanere a casa fino a mezzogiorno (5 ore), nel pomeriggio non fa nulla fino alle 10 di sera, dopo lavora fino alle 12, 1 e 1 1/2. Però la sera d’estate lavora meno e inizia la mattina alle 5 o alle 6. Che diligenza!
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Mercoledì 8 marzo . . . Cremona mi ha promesso che domani potrò andare con lui alla sessione dell’Istituto lombardo, dove mi farà conoscere Schiaparelli e insieme presenterà pure quel mio lavoretto.¹ L’ho accompagnato fino a casa, dove abbiamo incontrato il signor Bertini con una donna non più giovane. Dopo il pranzo riposo e alle 6 3/4 da Cremona che sistema la veste tipografica dell mio articolo.
Domenica 12 marzo 1871 . . . Di sera sono stato due volte da Cremona, ma non l’ho trovato – perché è stato invitato a pranzo da qualche parte.
Lunedì 13 marzo 1871 Niente di particolare. Ho lavorato un po’ e basta.
Martedì 14 marzo 1871 Siccome è il compleanno del re Vittorio Emanuele e anche (!) del principe Umberto, la città è decorata dalle bandiere. Nel pomeriggio sono stato alla lezione di Cremona . . .
Mercoledì 15 marzo 1871 . . . Di sera con Cremona e Bertini in Galleria si è chiacchierato di geometria.
Giovedì 16 marzo 1871 Niente di speciale, mi sono alzato tardi, dopo ho raggiunto Cremona per la sua lezione; mi ha consigliato di andare a passeggio la mattina. Nel pomeriggio ho lavorato un po’ e basta.
Venerdì 17 marzo 1871 Di interessante c’è solo il fatto che mi sono alzato troppo tardi e non ho fatto in tempo a andare a lezione. . .
Sabato 18 marzo 1871 . . . Nel pomeriggio sono andato a spasso (Cremona non ha avuto lezione) e ho lavorato. Di sera sono stato con Cremona a passeggiare e lui mi ¹ Si veda nota 1 p. 249.
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raccontava le seguenti cose interessanti: Salmon è professore di teologia a Dublino. Cayley faceva prima l’avvocato. Silvester è all’accademia militare . . . Dopo, un po’ di vino.
Lunedì 20 marzo 1871 . . . Stasera sono stato dal professor Cremona e abbiamo letto insieme il mio lavoro «Sopra la corrispondenza generale di secondo grado fra due sistemi semplicemente infiniti» che sarà pubblicato nel prossimo volume degli Annali.¹ Cremona ha ricevuto nel frattempo da Christiania una lettera da parte di Lie che gli scrive di qualche lavoro. Deve essere un eccellente giovane geometra. Cremona mi ha fatto vedere un trattato danese di Zeuthen². che stima tantissimo. Solo alle 9 siamo andati a passeggiare e abbiamo parlato delle curve di 4° grado . . .
Giovedì 23 marzo Mattina a spasso, dopo la lezione di Cremona. Nel pomeriggio ho ricevuto la lettera da mio padre e da Fricek. Papà mi scrive che è d’accordo sul mio viaggio a Roma e che mi manderà 120 fiorini. Mi hanno inviato pure la IIa Relazione dei matematici cechi . . .
Venerdì 24 marzo 1871 Mi sono alzato tardi, perché ieri ho terminato il lavoro per gli Annali. Cremona è venuto qui, il che mi dispiace tanto. Io però non l’ho visto. All’una sono stato al Politecnico, dove ho parlato con il professor Loria e con il signor segretario che ha dato a me e al signor Adler il biglietto per la Società patriottica. Dopo ho incontrato Bertini, con il quale passeggiando ci siamo messi d’accordo che domani alle 2 verrà da me. Stasera sono stato con Adler alla Società, dove il professore Malafatti parlava della guerra francese. C’era Cremona con la moglie. Teneva gli occhiali a molla e faceva lo zerbinotto con le dame, quindi sua moglie l’ha guardato con una certa preoccupazione. C’era pure il signor segretario, il professore Loria e il dott. Jung³ . . .
Sabato 25 marzo 1871 . . . in Via San Vittore ho trovato la casa (vicino al Naviglio), sulla quale è scritto «In questa casa nacque nell’anno MDXLVIII Bonaventura Cavalieri ¹ Si veda nota 1, p. 249. ² Hieronymus Georg Zeuthen (1839-1920). ³ Giuseppe Jung (1845-1926).
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matematico». È una casa povera, a un piano. Non è stato però, come mi ha detto Cremona, inventore di qualche prospettiva ..., ma predecessore di Leibniz e Newton.
Domenica 26 marzo 1871 Mattina da Casorati. Sera da Cremona, ha avuto però mal di pancia e perciò me ne sono andato. Ho incontrato Bertini e Ascoli.
Lunedì 27 marzo 1871 . . . Sera con Bertini da Cremona, dove abbiamo trovato uno studente dell’Istituto tecnico. Di sera alla conferenza della Società patriotica.
Mercoledì 29 marzo 1871 Jung e Bertini sono venuti a casa mia. Bertini viene quasi tutti i giorni, perché lavoriamo insieme.
Giovedì 30 marzo 1871 Mi sono svegliato tardi e non ho fatto in tempo a andare alla lezione di Cremona. Veramente niente di extra.
Venerdì 31 marzo 1871 . . . Niente di speciale. Ho dormito e non ho fatto in tempo per la lezione di Cremona. Sono veramente un fannullone.
Lunedì 3 aprile 1871 Da Jung, alla lezione di Casorati, da Cremona con libri . . . Cremona e Jung mi hanno dato una lettera di raccomandazione . . . Domani a mezzogiorno parto per Venezia. Ciao!
Mercoledì (delle Ceneri) 5 aprile 1871 . . . Ho bevuto 2 quinte di vino e così ubriaco sono andato a letto. La camera era grande e si sentiva ogni scricchiolìo. Mi sono addormentato subito.
Sabato 8 aprile 1871 (Sabato santo) Alle 8 di mattina mi sono alzato. Al Caffé Greco. Dopo a vedere “la Barcaccia”. Sulla collina del Pincio, poi al Laterano, piazza del Popolo, via del Corso, Villa Borghese, Vaticano, San Pietro, Monte Sant’Angelo, Obelisco
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Traiano e Antonino, Rotonda (Pantheon) ecc. Ho fatto la prima colazione e il pranzo in osteria. Di sera, vino e Caffé Greco. Ciao, buona notte. Ho scritto a casa. All’Albergo Londra ho lasciato il mio indirizzo. A Piazza Colonna ho fatto fare i biglietti da visita (2 fr.). Ho comprato delle cartoline (1,50).
Venerdì 14 aprile Di mattina visita della città [Napoli]. Nel pomeriggio in carrozza a Pompei e Resina, al Vesuvio, sul quale siamo saliti vicino alla lava che scorreva alle ore 8 1/2 di sera (!! . . . in ∞), alle 12 di notte a casa. Le scarpe finite!
Domenica 16 aprile Alle 9 di mattina con Gregr a Pompei, da lì a cavallo al Vesuvio dall’altra parte. Di sera tornati a casa.
Martedì 18 aprile 1871 . . . Stasera Battaglini mi ha invitato al teatro San Carlo, dove c’era il principe Umberto con la moglie e quindi si teneva uno spettacolo solenne. Abbiamo avuto il palco numero 18 in terza fila. C’era anche sua moglie con il cognato, sua sorella e un sacco di altra gente. Siccome avevo soltanto un vestito normale da viaggio, mi hanno prestato . . . il loro guardaroba.
4. I Nel corso del suo soggiorno in Italia, Emil Weyr allacciò un’amicizia per tutta la vita con Luigi Cremona, come dimostrano 27 sue lettere (dal 1870 fino al 1891) che si trovano nel fondo di Cremona presso il Dipartimento di Matematica «Guido Castelnuovo» dell’Università La Sapienza di Roma.¹ Le prime lettere sono scritte da Weyr come studente di Cremona; sono formali, molto cortesi e impersonali. Le lettere successive sono scritte come amico, collega e ammiratore di Cremona. Contengono informazioni circa gli studi matematici e gli ¹ La prima lettera è scritta in francese perfetto, altre tre in italiano scorretto e il resto in un tedesco eccezionale. Per maggiori informazioni sulla corrispondenza di Luigi Cremona vedi G. I, L. N, Correspondence and Manuscripts Recovered at the Istituto Matematico “G. Castelnuovo” of the University of Roma, «Historia Mathematica», 10 (1983), pp. 93-97; G. I (coordinatore), La corrispondenza di Luigi Cremona (1830-1903), parte I, A. Millán Gasca (ed.), Roma, 1992; parte II, M. Menghini (ed.), Roma, 1994; parte III, M. Menghini (ed.), Palermo, 1996; parte IV, L. Nurzia (ed.), Palermo, 1999; M. Bˇˇ, Letters from Eduard Weyr e Letters from Emil Weyr, with a letter from František Houdek, in Ana Millán Gasca (ed.), The correspondence of Luigi Cremona (1830-1903), in corso di stampa.
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articoli di Weyr, circa le attività dell’Unione dei matematici cechi e del Politecnico ceco, circa la famiglia di Weyr e i suoi amici italiani. Le lettere dimostrano l’amicizia profonda dei due matematici e documentano come Weyr negli anni 1870-1871 avesse intrecciato rapporti con diversi scienziati e artisti italiani. Vi si trovano anche alcuni problemi matematici posti da Weyr a Cremona, i ringraziamenti per i consigli e gli stimoli, per l’aiuto nelle correzioni grammaticali degli articoli e così via. Sottolineiamo che il soggiorno di Weyr in Italia fu estremamente importante e denso di ispirazione per il suo successivo lavoro scientifico, poiché qui conobbe i risultati più recenti della geometria proiettiva e sintetica. Scrisse alcuni lavori specialistici che lo fecero conoscere tra i geometri europei. A seguito del suo soggiorno italiano, Emil Weyr nel 1871 scrisse 22 lavori (13 in tedesco, 8 in italiano, 1 in ceco), nel 1872 scrisse 11 lavori (6 in tedesco, 2 in italiano, 3 in ceco) e nel 1873 scrisse 11 lavori (5 in tedesco, 2 in italiano, 4 in ceco). I lavori scritti in italiano furono pubblicati nelle riviste: «Rendiconti del Real Istituto Lombardo» e «Annali di matematica pura ed applicata» (grazie alla collaborazione di L. Cremona) e «Giornale di Matematiche» (grazie alla collaborazione di G. Battaglini).¹ I contatti con i matematici di rilievo sono attestati pure dai seguenti brani tratti dalle lettere di Emil scritte ai genitori:² Dal professore Battaglini sono stato invitato nel palco al teatro e il secondo giorno a pranzo, dove però non sono andato . . .
¹ «Rendiconti del Real Istituto Lombardo»: Sopra una certa gobba di quart’ordine: (2) 4 (1871), pp. 144-146; Intorno all’involuzione cubica nella quale hanno luogo proprietà anarmoniche: (2) 4 (1871); Intorno alle cubiche gobbe: (7) 4 (1871); Sopra una proprietà metrica della cardioïde: (2) 5 (1872), pp. 204-206; Sopra le proprietà involutorie di un esagono gobbo e d’un esaedro completo: (2) 6 (1873), pp. 179-180; Sulle curve gobbe razionali: (2) 15 (1882), pp. 250-251. «Annali di matematica pura ed applicata»: Sopra la corrispondenza di secondo grado fra due sistemi semplicemente infiniti: (2) 4 (1870-1871), pp. 272-280; Nota sopra alcune singolarità di second’ordine delle curve gobbe razionali: (2) 4 (1870-1871), pp. 328-330. «Giornale di Matematiche»: Sulle curve piane razionali del terz’ordine: 9 (1871), pp. 145-147; Intorno alle curve gobbe razionali: 9 (1871), pp. 217-222; Alcuni teoremi intorno alla “Focale à Noeud”: 9 (1871), pp. 259261; Intorno alle involuzioni di grado qualunque: 10 (1872), pp. 165-169; Quistioni, Francesco Siacci et Emilio Weyr: 10 (1872), pp. 188-189. ² Nei ricordi dell’avvocato František Weyr [We] sono state pubblicate alcune lettere alla madre: due lettere da Venezia del 13 e 14 novembre, una del 12 dicembre 1870 e una da Milano del 24 aprile 1871.
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Tutto sabato sono stato a Pisa, dove sono stato gentilmente accolto dai professori Dini e Betti e dove mi hanno invitato a pranzo . . . ([We], p. 31)
5. E W Il 15 ottobre 1871 fu affidata a Weyr al Politecnico di Praga la supplenza alla cattedra di professore straordinario e il 17 dicembre 1871 fu confermata la sua nomina di professore straordinario di matematica.¹ Assieme alle lezioni al Politecnico, tenne lezioni anche all’università in qualità di libero docente. Fin dal 6 febbraio 1870 Weyr era membro dell’Unione dei matematici cechi, costituita nel 1869 in base all’Associazione per lezioni libere in matematica e fisica, a sua volta fondata nel 1862.² Nell’ambito dell’assemblea generale tenuta il 7 luglio 1872 fu eletto presidente dell’Unione. Nella prima metà degli anni settanta partecipò attivamente allo sviluppo della vita dell’associazione, alla sua attività editoriale, alla creazione di una biblioteca specializzata, allo scambio di pubblicazioni con società estere e così via. Assieme al fratello Eduard pubblicò due volumi del manuale Základové vyšší geometrie (Fondamenti di geometria superiore, 1871, 114 pagine; 1874, 186 pagine). Tradusse pure due libri di Luigi Cremona (Cremonovy geometrické transformace útvaru rovinných, 1872, 47 pagine; Úvod do geometrické theorie kˇrivek rovinných, 1873, 176 pagine).³ Partecipò inoltre al lavoro riguardante l’Enciclopedia di Rieger.⁴ Nel mese di aprile del 1873 Emil Weyr tornò ancora in Italia, accompagnato da August Seydler (1849-1891)⁵ che diventò più tardi suo cognato. Principale motivo del viaggio furono le consultazioni ¹ Al Politecnico svolsero l’attività, fino alla metà del 1871, il professore ordinario František Josef Studniˇcka (1836-1903) e il professore straordinario Gabriel Blažek (1842-1910). A seguito del trasferimento di Studniˇcka all’università, il 17 dicembre 1871 Blažek fu nominato professore ordinario e Emil Weyr professore straordinario. Per maggiori informazioni vedi ad es. [B1], [Be1] e [Be2]. ² Per la storia dell’Associazione per lezioni libere in matematica e fisica vedi [Be2]. ³ L. C, Sulle trasformazioni geometriche delle figure piane, «Memorie dell’Accademia delle scienze dell’Istituto di Bologna», tomo II (1863); tomo V (1865) e L. C, Introduzione ad una teoria geometrica delle curve piane, cit. ⁴ Per quanto riguarda i problemi con le traduzioni possiamo trovare alcune informazioni interessanti nelle lettere di Weyr a Cremona. ⁵ August Seydler fu un importante fisico ceco, negli anni 1881-1891 professore prima straordinario e poi ordinario all’università di Praga.
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con Cremona e le trattative ufficiali inerenti la traduzione del secondo libro di Luigi Cremona. Le ferie del 1874 Weyr le trascorse a Parigi, dove contattò M. Chasles; visitò anche Bordeaux, dove lavorava G. J. Hoüel (1823-1886), con il quale l’Unione era in stretto contatto già prima quale suo membro onorario straniero (dal 1873). In seguito alla riorganizzazione dell’Unione, nel 1874 Weyr diventò suo segretario permanente. Nel mese di luglio del 1874 l’Unione fondò la rivista internazionale Archiv mathematiky a fysiky. Emil Weyr diventò suo redattore, pubblicò in essa tre suoi lavori (in tedesco, italiano e francese) e acquisí per essa alcuni collaboratori (per esempio Hoüel). Già nel 1873 il corpo di professori al Politecnico cercò di proporre la nomina di Weyr a professore ordinario. Questo però non avvenne mai. Il 26 settembre 1875 Weyr fu nominato professore ordinario all’università di Vienna. In quel periodo aveva pubblicato ormai più di 80 lavori su riviste. Il 7 novembre, all’assemblea generale dell’Unione, fu eletto suo membro onorario e su proposta del professore František Josef Studniˇcka fu creato il cosiddetto Premio Weyr; doveva essere assegnato ogni cinque anni per i migliori risultati nella «nuova geometria». Il trasferimento di Weyr a Vienna fu considerato come omaggio al matematico ceco, ma anche come un’enorme perdita per la vita matematica ceca. La soppressione dell’Archiv mathematiky a fysiky fu evidentemente legata al trasferimento di Emil a Vienna. Albert Vojtˇech Velflík (1856-1920), professore al Politecnico ceco a Praga, ricorda Emil Weyr nella sua Storia del politecnico a Praga: Tutti i suoi ex studenti, ai quali anch’io – che scrivo queste righe – appartengo, ricordano le lezioni esemplari al Politecnico ceco, ancora oggi con la mente piena di tanta gratitudine. Weyr parlava in modo piano e tranquillo, in modo che ogni studente riuscisse a registrare bene tutto; spiegava le cose in maniera così perfettamente chiara che gli studenti capivano bene tutto, anche i problemi più difficili; teneva la voce bassa come se parlasse con dolore, ma nello stesso tempo era estremamente gradevole; spiegava appoggiandosi con la mano sinistra sulla lavagna mentre con la mano destra scriveva espressioni matematiche con grande e bella calligrafia, così che pure dai banchi più lontani della lunga aula n. IV erano ben visibili. Le lezioni di Emil Weyr erano un vero piacere per i suoi studenti; in più di 200 stavamo seduti nei banchi, ma durante la lezione c’era un silenzio
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assoluto, indisturbato, l’attenzione di noi tutti era tesa e quando la voce smorzata del professore si fermava, ciascuno di noi si precipitava dall’aula per correre in un’altra aula, la numero VII, per la geometria descrittiva, in modo da trovare un posto possibilmente vicino alla lavagna. ([Ve], parte II, p. 202)
Quando Weyr si trasferì a Vienna, smise di svolgere un ruolo importante nella comunità matematica ceca e non pubblicò quasi più nulla in lingua ceca. Non abbiamo informazioni più dettagliate circa i suoi anni successivi. Nel 1877 sposò a Vienna Marie Waniek (18601934); ebbero tre figli: František (1879-1951) che diventò giurista di rilievo (fu professore all’Università Masaryk a Brno, presidente dell’Istituto Statistico ceco, coautore della Costituzione cecoslovacca dall’anno 1920; dalle sue ampie memorie [We] abbiamo attinto tutta una serie di citazioni), Jindˇrich (1880-1957) e Marie (1883-?).¹ Nel 1878 fu pubblicato il terzo volume del manuale Základové vyšší geometrie dei fratelli Weyr (167 pagine). Negli anni ottanta Emil Weyr pubblicò a Vienna Beiträge zur Curvenlehre (Contributi alla teorie delle curve, 1880, 64 pagine), il libro in due volumi Die Elemente der projectivischen Geometrie (Elementi di geometria proiettiva, 1883, 1887, 231 + 228 pagine) e uno scritto più breve Über die Geometrie der alten Aegypter (Sulla geometria degli antichi Egizi, 1884, 35 pagine). Al congresso internazionale bibliografico di scienze matematiche, tenutosi a Parigi nel mese di luglio del 1889, Emil Weyr fu eletto vicepresidente e fu incaricato della gestione del lavoro bibliografico in Austria. In conseguenza dei citati sforzi internazionali, iniziò ad essere pubblicata nel 1893 la rivista di recensioni: «Revue semestrielle des publications mathématiques», pubblicata dalla Société mathématique d’Amsterdam. Emil Weyr però, già prima, aveva scritto recensioni sui lavori di matematici cechi per il «Bulletin des sciences mathématiques et astronomiques» (sul frontespizio è citato tra i collaboratori della detta rivista) e per lo «Jahrbuch über die Fortschritte der Mathematik und Physik».² Nel 1890 fondò assieme a Gustav von ¹ Per maggiori informazioni sulla famiglia vedi [B1]. ² La rivista «Bulletin des sciences mathématiques et astronomiques» venne pubblicata negli anni 1870-1876 a Parigi; ebbe parzialmente carattere di rivista di recensioni. A partire dal 1877 fu pubblicata sotto il titolo «Bulletin des sciences mathématiques», in due volumi all’anno, di cui uno fu dedicato alle recensioni. La rivista «Jahrbuch über die Fortschritte der Mathematik» fu pubblicata a Berlino negli anni 1868-1942.
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Escherich (1849-1935) la rivista «Monatshefte für Mathematik und Physik» che viene pubblicata ancora oggi (a partire dall’anno 1952 come «Monatshefte für Mathematik»). Negli ultimi tre anni della sua vita Emil Weyr si ammalò di tubercolosi. Passava le ferie in località termali: nell’inverno del 1892 andò per motivi di salute nelle terme di Helouan in Egitto (vicino al Cairo); le ferie del 1893 le trascorse nel sanatorio Purkersdorf, vicino Vienna. La sua malattia lo portò alla perdita dell’udito. Il 25 gennaio del 1894 Emil Weyr morì prima del compimento del suo 46 compleanno. Fu seppellito il 30 gennaio a Praga, nel cimitero di Olsany, nella tomba di famiglia. L’elenco degli articoli di Emil Weyr pubblicati su riviste contiene 137 voci (vedi [Pa1], pp. 204-219); i lavori sono scritti in tedesco (100), in ceco (16), in italiano (14) e in francese (7). Gli scritti indipendenti sono stati menzionati sopra; sono stati pubblicati in tedesco (6) e in ceco (5). La maggior parte dei lavori è dedicata alla geometria proiettiva. Emil Weyr pubblicò i risultati più significativi in lingue straniere. Perciò nell’ultimo decennio della sua vita fu considerato il piú importante geometra austriaco e un importante matematico europeo. I suoi risultati nel campo della geometria proiettiva furono all’epoca notevolmente apprezzati. A cavallo fra Otto e Novecento avvennero però rilevanti cambiamenti in geometria e i lavori di Emil Weyr, appartenendo a tematiche che pian piano si estinsero, non rientrarono nel quadro della geometria moderna.¹ Emil Weyr riuscí a vedere tutta una serie di apprezzamenti. Fu membro straordinario della Società reale delle scienze ceca (1870), dell’Accademia ceca per le scienze e le arti, delle accademie di Milano (1872), di Vienna (membro corrispondente dal 1875 e ordinario dal 1882), di Zagabria, delle società scientifiche di Bordeaux e di Lutych, e delle società matematiche di Parigi (1874), di Mosca e di Charkov. Nell’anno 1893 fu nominato consigliere di corte.² In conclusione cerchiamo ancora, con l’aiuto dei ricordi di Fran¹ Per maggiori informazioni vedi G. L, Storia della Geometria descrittiva dalle origini sino ai giorni nostri, Milano, Ulrico Hoepli, 1921; J. L. C, A History of Geometrical Methods, Mineola, New York, Dover Publications, Inc., 2003, [B1], [Pa1] e [Ve]. ² Questo titolo veniva assegnato in Austria ai professori universitari benemeriti (di solito in età avanzata).
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tišek Weyr (vedi [We]), di ritagliare un’immagine più nitida del padre Emil: . . . mio padre sarebbe sicuramente diventato un eccellente musicista, se si fosse dedicato alla musica al posto della matematica. Benché non l’avesse mai studiato e non riuscisse nemmeno a leggere le note – tuttavia, per quel che si dice, fu eccellente suonatore di pianoforte. . . . . Noi bambini ascoltavamo nostro padre mille volte, perché in ogni momento libero si sedeva al pianoforte. Suonava soltanto a memoria, cioè ad orecchio, e componeva e improvvisava accordi da solo. . . . riuscí a suonare tutto quello che voleva. Aveva un’eccellente memoria musicale, e perciò ci suonava subito tutto quello che ascoltavamo insieme, ad esempio a teatro. . . . . Suo grande amore e favorito per tutta la vita rimase Mozart. Ascoltava sempre le opere di questo grande maestro, continuava a cantare brani da queste opere e li suonava al pianoforte. ([We], p. 82) Nel suo studio aveva la propria biblioteca privata, che nel suo testamento lasciò in eredità all’Unione dei matematici e fisici cechi. In questa biblioteca per tutto il periodo che io mi ricordo fu appeso un piccolo quadro ovale del matematico Abel, del quale papà ci raccontava come morì giovane e come divenne famoso grazie ad un breve trattato di alcune pagine. . . . Per quanto mi ricordo, mio padre lavorava in maniera molto leggera e veloce. Come è stato già detto, per il suo lavoro non aveva bisogno di alcun apparato erudito, non si chiudeva nel suo studio per non essere disturbato, anzi noi bambini potevamo andare da lui quando volevamo. Spesso si metteva con il suo lavoro in mezzo a noi nel soggiorno parlando con noi e cantando. Sembrava che non si stancasse per niente del lavoro scientifico. Gli andò probabilmente molto bene. ([We], p. 80) Nostro padre organizzava qualche volta nel suo appartamento dei ‘concerti matematici’, come li chiamavamo. Invitava alcuni studenti e allievi e nella sua camera aveva una grande lavagna nera sul cavalletto. Naturalmente non fui mai presente ad un concerto del genere, ma credo che papà scrivesse sulla lavagna probabilmente nello stesso ritmo, quando lo vidi più tardi in casa di mio zio Eduard al politecnico di Praga. Mio padre scriveva in generale molto velocemente . . . ([We], p. 81) . . . uno di noi, non so più chi, ebbe il compito di moltiplicare due numeri a più cifre e dopo di dividere il risultato per uno di essi. Non riuscendo ad ottenere il secondo numero, andammo a trovare lui. Prima di tutto ci
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rimproverò come si deve e si mise a calcolare – ma neanche lui riuscí ad ottenere il risultato, quindi alla fine gridò: «Lasciatemi in pace e andate dalla signorina che ve lo risolverà». ([We], p. 121-122)
R Gli autori ringraziano vivamente il prof. Pietro Nastasi per il suo prezioso aiuto nella revisione e correzione della lingua italiana del testo originario. R [B1]
Bˇˇ J. e coll., Eduard Weyr 1852-1903, «Dˇejiny matematiky», 2, Praha, Prometheus, 1995. [B2] Bˇˇ J., Sto let od smrti Emila Weyra, «Pokroky matematiky, fyziky a astronomie», 39 (1994), pp. 102-107. [Be1] Bˇˇ M., Z historie Jednoty 1862-1869, «Dˇejiny matematiky», 13, Praha, Prometheus, 1999. [Be2] Nˇ-Bˇˇ M., František Josef Studniˇcka 1836-1903, «Dˇejiny matematiky», 10, Praha, Prometheus, 1998. [Ko1] K G., Emil Weyr, «Jahresber. der deutschen Math.-Vereinigung», 4 (1894-1895), pp. 24-33. [Ko2] K G., Emil Weyr, «Monatshefte für Mathematik und Physik», 6 (1895), pp. 1-4. ˇ [Pa1] P A., O životˇe a p˚usobení dra Emila Weyra, «Casopis pro pˇestování mathematiky a fysiky» (1895), pp. 161-224. ˇ [Pa2] P A., Pamˇetní ˇreˇc o Emilu Weyrovi, «Almanach Ceské akademie vˇed a umˇení», 5 (1895), pp. 106-112. ˇ [Po] P V., Dˇejepis Jednoty Ceských Mathematik˚u, Praha, 1912. [Ve] V A. V., Dˇejiny technického uˇcení v Praze, Praha, parte I: 1906 e 1909; parte II: 1910 e 1925. [We] W F., Pamˇeti. Díl I, Za Rakouska (1879-1918), Brno, Atlantis, 1999. [Le1] Biographisches Lexikon des Kaiserthum Oesterreich (Konstant von Würzbach), Bd. 55, Wien, 1887 (pp. 203-205). [Le2] J. C. Poggendorff ’s biographisch-literarisches Handwörterbuch zur Geschichte der exakten Wissenschaften, parte III (1858-1883), parte IV (1883-1904), Leipzig, 1898-1904, pp.1434-1435, 1623. Pervenuto in redazione il 7/12/2005
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GL I E L E M ENTI MECHANICI D I C O L A N TONIO STIGLIOLA, U N T R AT TATO ARCHIMEDEO D I M E C C A N I CA DEL XVI SECOLO R G∗ A · The De Gli Elementi Mechanici by Colantonio Stigliola, tough little-known, is one of most interesting treatise within the Archimedean tradition. Although inspired to the Maurolico’s De momentis aequalibus, it was nevertheless a truly original and unique work in the history of the renaissance me-
chanics. For in it Stigliola not only systematically used the concept of moment, but he also introduced the new concept of equally extended body, which enabled him to consider fundamental aspects of the simple machines in a new and effective way.
1. C S E M S (Nola 1546-Napoli 1623), medico, maC tematico, topografo, cosmografo, naturalista, architetto, astronomo, filosofo, stampatore, fu una delle figure più importanti della cultura napoletana del suo tempo.¹ Copernicano e anti-aristotelico ∗
Romano Gatto, Dipartimento di Matematica e Informatica, Università della Basilicata. E-mail: [email protected] ¹ Sebbene sul frontespizio de Gli Elementi Mechanici compaia Stelliola il suo vero cognome era Stigliola. Era infatti figlio di Federico Stigliola, come risulta dal Registro dei fuochi di Nola custodito presso l’Archivio di Stato di Napoli [cfr. P. M, Un grande nolano obliato: Nicola Antonio Stigliola, «Archivio Storico per le Provincie Napoletane», s. III, XI (1973), pp. 287-312]. Molto vasta è la bibliografia su questo personaggio a testimonianza dell’importanza che riveste nella storia della cultura scientifica napoletana. Oltre al già citato lavoro di Manzi, in particolare si rimanda a G. B. T, Istoria degli scrittori nati nel regno di Napoli, Napoli, Mosca, 1748-1755; M. B, Notizie istoriche dei mattematici e filosofi del regno di Napoli, In Napoli, presso Vincenzio Mazzola Vocola, 1778; G. T, Storia della letteratura italiana, Milano, Bettoni, 1833, v. X, p. 255; F. C, Storia dei filosofi e dei matematici napoletani, e delle loro dottrine da’ pitagorici sino al secolo XVII dell’era volgare, Napoli, dalla Tip. Trani, 1833-1834; M. W, Biographie universelle ou dictionnaire historique contenent la nécrologie des hommes célèbres de tous les pays, Paris, Furne, 1841, v. V, p. 642; C. M R, Memorie storiche degli scrittori nati nel Regno di Napoli, Napoli, Tip. Dell’Aquila, 1844; F. F, Niccolò Antonio Stigliola e Tommaso Campanella, in Bernardino Telesio ossia studi storici su l’idea della natura nel Risorgimento italiano, Firenze, Le Monnier, Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche · Vol XXVI · (2006) · Fasc. 2
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condivise molto del pensiero di Giordano Bruno e di Tommaso Campanella ai quali fu legato da amicizia. Ammiratore e sostenitore di Galileo, il 23 gennaio 1612 fu ascritto all’Accademia dei Lincei. Egli è conosciuto dalla maggior parte degli storici della scienza, oltre che per essere corrispondente di Galileo, anche come autore di un grandioso progetto enciclopedico, l’Encyclopedia Pythagorea, che doveva comprendere ben 147 trattati, divisi in 12 sezioni, riguardanti la matematica, l’astronomia, la cosmologia, la gnosologia, la fisica, la chimica, l’ontologia, l’etica, la politica, la logica, la retorica, la poetica, l’architettura civile e militare, la nautica, l’ottica.¹ Di questo vasto e complesso progetto fu pubblicato un solo trattato, Telescopio over ispecillo celeste.² Altri trattati rimasero manoscritti e alla sua morte vano fu il tentativo dell’Accademia dei Lincei di poterli acquisire e pubblicare. Il figlio Domenico, che voleva ricavarne profitto, rifiutò di cederli all’Accademia, ma le sue aspettative rimasero deluse perché, durante i moti della Congiura di Macchia nel 1701, i manoscritti del padre andarono distrutti in un incendio.³ Fino a poco tempo fa solo pochi erano informati del fatto che Colantonio Stigliola aveva pubblicato anche un trattato di meccanica; tra questi pochi ancora in minor numero erano quelli che l’avevano mai visto. Nel 1966 ne ho rinvenuto un esemplare conservato tra i Rari della Biblioteca Nazionale di Napoli con la segnatura S.Q. XXXI B 29. Si tratta di un volume di 68 pagine, intitolato De Gli Elementi Mechanici composto verso la fine del Cinquecento e edito a Napoli 1872; V. S, Quattro filosofi napoletani nel carteggio di Galileo Galilei, Portici, Della Torre, 1907; V. S, Sulle soglie del Seicento, Milano-Roma-Napoli, Dante Alighieri, 1926; G. G, Intorno a Nicola Antonio Stelliola filosofo e Linceo napoletano. Notizie e documenti inediti, «Giornale Critico della Filosofia Italiana», X (1929), pp. 469-485, G. G, Il Liceo di Napoli. Lincei e linceabili napoletani. Amici e corrispondenti della vecchia Accademia dei Lincei nel Mezzogiorno d’Italia, «Rendiconti della R. Accademia Nazionale dei Lincei», Cl. di Scienze morali, storiche e filologiche, s. VI, XVI (1939), pp. 497-565; N. B, Introduzione a G.B. Vico, Milano, Feltrinelli, 1961, pp. 13-19; N. B, Il programma scientifico di un bruniano: Colantonio Stigliola, «Studi storici», XXVI (1985), pp. 161-175; G. F, Documenti inediti e addenda per la Stamperia Stigliola, «Atti del Circolo Culturale B. G. Duns Scoto di Roccaroinola», n. 8-9, 1993, pp. 33-60. ¹ Di questa monumentale opera ci è pervenuto l’indice pubblicato a cura dell’Accademia dei Lincei, cfr. Enciclopedia Pythagorea mostrata Da Nicolò Antonio Stelliola Lynceo, In Napoli, Appresso Costantino Vitale, 1616. ² Napoli, Domenico Maccarano, 1627. ³ Si è salvato il solo manoscritto Delle apparenze celesti posseduto dall’Accademia dei Lincei (ms. Lincei 16, cc. 1-45), recentemente pubblicato in S. R, Nicola Antonio Stigliola enciclopedista e linceo con l’edizione del trattato Delle apparenze celesti a cura e con un saggio di Andrea Cuna, «Atti della Accademia Nazionale dei Lincei», s. IX, v. VIII (1996), f. I.
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265 nel 1597 per i tipi della Stamperia a Porta Regale di proprietà dello stesso Stigliola.¹ Di questo trattato, nel 1996, ho curato la ristampa anastatica² Un altro esemplare, privo di frontespizio, si trova nella Biblioteca Nazionale di Lisbona.³ È molto probabile che quest’opera sia divenuta rara già pochi anni dopo la sua pubblicazione. Quando ne rinvenni l’esemplare servito poi per la riproduzione della suddetta edizione, ne ricercai notizie tra i vari repertori di opere di scrittori, filosofi e matematici del regno di Napoli pubblicati tra il Seicento e l’Ottocento. Trovai che il solo Bernardo Chioccarello, a proposito di Stigliola, nel suo De illustris scriptoribus Regni Neapolitani, scriveva: Scripsit autem italicae tria volumina ad mathematicam disciplinam pertinentia, quae excusa sunt Neapoli; absque impersionis nomine et tempore, in 4° fo., nempe: De fortificationibus libros sex; De Castramentatione, item de instructione acierum, quas ordinantias militares appellant, De mechanicis librum, sive de instrumentis, – nempe quem in modum minor potentia vincere possit majorem; et potentia tardior vincere motu possit velociorem.⁴
Chioccarello, dunque, menzionava tra le opere di Stigliola un De mechanicis librum la cui breve descrizione lo fa senz’altro identificare con il trattato De Gli Elementi Mechanici. Il fatto, però, che non ne fornisca il titolo esatto, e che per giunta affermi erroneamente che questo trattato fu edito «absque impressionis nomine et tempore», ¹ Cfr. De Gli Elementi meccanici di C. Antonio Stelliola, In Napoli, nella Stamperia à Porta Regale, 1597. ² Cfr. R. G, La meccanica a Napoli ai tempi di Galileo. In appendice «De Gli Elementi Mechanici» di Colantonio Stigliola riproduzione anastatica e le inedite Meccaniche mie di Davide Imperiali, Napoli, La Città del Sole, 1996. Per quanto riguarda la Stamperia di Porta Regale cfr. P. M, Annali della Stamperia Stigliola a porta reale in Napoli, (1593-1606), Firenze, Olschki, 1968. ³ Cfre. O Livro Cientifico dos Séculos XV e XVI. Ciências Físico-Matemáticas na Biblioteca nazionale, Lisboa, Biblioteca nacional, 2004, p. 404. ⁴ («Scrisse poi tre opere in lingua italiana riguardanti la matematica, pubblicati a Napoli, senza il nome dell’editore e senza data, in 4°: Fortificazione libri sei, Castrametazione e parimenti sulla disposizione degli eserciti, che chiamano ordinamento militare; Libro di Meccanica, ovvero degli strumenti, cioè del modo in cui una potenza minore possa vincere una maggiore, e una potenza più lenta possa vincere nel moto una più veloce»). Quest’opera è stata edita solo parzialmente. La biografia dello Stigliola si trova nella parte inedita, conservata nella Biblioteca Nazionale di Napoli con segnatura ms. XIV A 28. Delle altre due opere qui citate, cioè quelle sulle fortificazioni e sulla castramentazione non si ha alcuna altra notizia.
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lascia pensare che egli non lo abbia avuto a portata di mano, ma che piuttosto l’abbia citato a memoria oppure rifacendosi ad altra fonte non perfettamente informata. Non meno indicativo è, poi, il fatto che quest’opera non compare nella Biblioteca napoletana del Toppi,¹ importante fonte documentaria sulle opere di autori del Regno di Napoli, che reca preziose informazioni su opere oggi introvabili. Una segnalazione di questo libro si deve alla particolare attenzione di Pietro Riccardi che, nella sua Biblioteca matematica italiana,² scrive di averne appreso l’esistenza dalla lettura della prefazione di un’altra opera di Stigliola, il Telescopio over ispecillo celeste da noi già citata.³ La poca attenzione prestata a Gli Elementi Mechanici potrebbe indurre a pensare che si tratti di un’opera priva di valore scientifico e che abbia seguito la sorte di tanti libri presto dispersi e dimenticati. In realtà, fin dall’inizio, questo trattato presenta motivi di assoluto interesse, non fosse altro per il fatto che è uno dei pochi testi di meccanica del Cinquecento in cui si fa uso sistematico e corretto del termine e del concetto di momento.⁴ È mia opinione che la sua rarità sia da attribuire, non al consueto processo di dispersione delle opere antiche, ma ad una sua originaria tiratura molto limitata. Tra il 1595 e il 1596, Stigliola, accusato di «irreligione» dal gesuita Claudio Migliarese, subì un processo presso il Santo Uffizio romano. Come spesso accadeva per tali denuncie, l’accusa si fondava più che su fatti realmente accertati su cose «sentite dire»: che «l’mangiare carne nei giorni prohibiti o il furnicare [. . . ] non è peccato, [. . . ] che parlandosene de le cose de la fede li padri gesuiti dicono cossì, et li ultramontani, et quelli della nova religione, dicono de un altro modo, [. . . ]».⁵ Molto probabilmente la ragione vera dell’ostilità del Migliarese ¹ Cfr. N. T, Biblioteca napoletana et apparato a gli uomini illustri in lettere, e del Regno delle famiglie, terre, città e religioni che sono nello stesso Regno, In Napoli, Bulifon, 1678. ² P. R, Biblioteca matematica italiana dall’origine della stampa ai primi anni del secolo XIX, Modena, Tipografia dell’erede Soliani, 1870-1876, ristampa anastatica, Milano, Gorlich, 1952. ³ Nel descrivere quest’opera Riccardi, tra l’altro, scrive: «Nella pref. dicesi pubblicato dall’a. anche un libro di meccanica che non ho rinvenuto». ⁴ Su questo importante concetto nella storia della meccanica cfr. P. G, Momento. Studi galileiani, Roma, Edizioni Ateneo & Bizzarri, 1979. ⁵ Cfr. L. A, Il Santo Officio della Inquisizione in Napoli, Città di Castello, Lapi, 1898, v. II, Documento n. 8, p. 51.
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267 non derivava tanto dagli atteggiamenti eterodossi imputati allo Stigliola quanto dal fatto che, come si legge nella deposizione di un teste, questi «legeva a molti scolari, et dixero da quatrocento scolari, et che legeva ad diversi signori»¹, facendo così concorrenza alla nascente scuola matematica del collegio gesuitico napoletano.² Gli atti del processo interessano qui soprattutto perché contengono riferimenti chiari all’attività di matematico dello Stigliola e al suo trattato di meccanica. Tra i testi chiamati a deporre compare anche Matteo di Capua, Principe di Conca, uno dei personaggi più in vista della nobiltà e della società civile napoletana. Questo, che aveva preso lezioni di matematica dallo Stigliola, pur non mancando di manifestare i suoi sentimenti di amicizia nei confronti del maestro, ritenne opportuno assumere un atteggiamento di prudenza e prendere le distanze da alcune idee ‘compromettenti’ da lui professate. In un passo della sua deposizione si legge: il detto Colantonio me disse che voleva ponere in luce una opera et dedicarla ad me, et io dalle sue parole andavi scorgendo che per stampare detta opera ci voleva una somma de denari, et perché io non la volli spendere, esso non parlò più di detta opera ne io parlai più con esso, la quale opera per quanto lui me diceva era de matematica de levar pesi, ancor che io la teneva molto suffistica perché lui tiene de queste suffisticherie per la testa, poi che lui tiene et cossì n’habbia stamppato (sic) una opera et fattone un trattato, ancor che non sia posto in luce, che la terra si mova et il cielo stia fermo, anzi queste sue opinioni me l’ha voluto più volte leggere et io non l’ho voluto sentire.³
Non vi è dubbio che l’opera «de levar pesi» sia il trattatello De Gli Elementi Mechanici, opera che dovette apparire «suffistica» a Matteo di Capua per il suo stile insolito e per l’impostazione generale diversa da quella della diffusa tradizione meccanica pseudo-aristotelica. Passata la tempesta del processo, e mancato il finanziamento da parte di Matteo di Capua, Stigliola dovette decidere di pubblicare il trattato a proprie spese nella sua stamperia, ma la non florida condizione economica del momento (era stato per oltre un anno nelle carceri dell’inquisizione romana) e i costi dell’opera certamente accresciuti ¹ Ibidem. ² Cfr. R. G, Tra scienza e immaginazione. Le matematiche presso il collegio gesuitico napoletano (1552- 1670 ca.), Firenze, Olschki, 1994. ³ Cfr. L. A, Il Santo Officio, cit., p. 51.
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dalla presenza in essa di numerose figure, verosimilmente gli imposero di tirarne un numero piuttosto esiguo di copie, decretandone così una scarsa diffusione tra gli studiosi del tempo. 2. L . I Ho precedentemente affermato che il trattato De Gli Elementi Mechanici, fin dal suo esordio, rivela motivi di assoluto interesse legati soprattutto al ricorso sistematico che in esso si fa del concetto di momento. Il volume si apre, infatti, con una Propositione di tutta l’opera nella quale Stigliola espone in modo stringato, ma quanto mai efficace, il piano del suo lavoro: Cerchiamo come possa la potenza minore vincer di forza la maggiore: e la potenza più tarda, vincer di movimento la più veloce e questo con Leve, Taglie, Viti, Rote, e tutti instrumenti che moltiplicar possono il momento, o, della forza, o della velocità. Qual soggetto communemente gli antichi chiamarono Mechaniche. Il che tutto si tratterà secondo le suppositioni fatte de momenti, o per linee parallele, o per linee concorrenti ad un punto, o per circonferenze d’intorno un centro istesso: e secondo il solito uso de mathematici deducendo dimostrationi, e cause de gli effetti, dalli primi e proprij principi.¹
Egli, dunque, si proponeva di presentare una teoria delle macchine semplici che procedesse dai principi propri della scienza meccanica, e si sviluppasse con considerazioni e dimostrazioni geometriche fondate sull’uso del concetto di momento. I suoi Elementi Mechanici, infatti, si presentano formalmente come un trattato di tipo euclideo, diviso in capitoli ciascuno dei quali è introdotto da un apparato di definizioni e di assiomi a partire dai quali la successiva teoria è sviluppata mediante la dimostrazione di teoremi e la risoluzione di problemi. Solo altri due autori del Cinquecento hanno fatto del concetto di momento il cardine della loro trattazione delle macchine semplici: Francesco Maurolico e Galileo Galilei. Maurolico, nel suo De momentis aequalibus, scritto tra il 1528 e il 1568, fu il primo a dare una chiara ed esplicita definizione di momento:
¹ C.A. S, De Gli Elementi Mechanici, cit., p. 1.
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269 Momentum est vis ponderis a spatio quopiam contra pendentis.¹
e fu anche il primo a fornire una caratterizzazione in termini di momenti delle relazioni intercorrenti tra i momenti stessi i pesi e le distanze di corpi in equilibrio: Gravia ab aequis spatijs pendentia sunt momentis proportionalia.²
e Gravium aequalium ab inaequalibus spatijs pendentium momenta sunt ab invicem sicut spatia.³
Egli ribadì la sua definizione di momento delucidandola ulteriormente nel 1554 con riferimento alla stadera: [. . . ] aequalia pondera in diversis spaciis non aequaliter, et inaequalia aequaliter ponderant; nam pondus a longiori spacio appensum ponderosius est, ut patet in statera. Erit ergo tertia quaedam potentia, sive tertia magnitudinis differentia, diversa a corpore, diversa a pondere, quam momentum vocant. Corpus igitur acquirit pondus a quantitate et qualitate; pondus autem momentum suscipit a spacio ad quod appenditur. Unde, quando ¹ («Momento è la forza del peso che contropende da un qualsivoglia spazio»). Si tratta della definizione VIII dell’Admirandi Archimedis Syracusani monumento omnia matehematica, quae extant, quorumque catalogum inversa pagina demonstrat, ex traditione doctissimi viri D. Francisci Maurolico, nobilis Siculi, Panormi, apud D. Cyllenium Hesperium, 1635, p. 86. Nella successiva definizione Maurolico spiegava «unde ponderum aequalium momenta possunt esse inaequalia, et e contra continget momentorum aequalium pondera esse inaequalia» («per cui avviene che momenti di pesi disuguali possono essere uguali, e viceversa che pesi di momenti uguali possono essere disuguali»). Su tale definizione e sulla sua caratterizzazione cfr. E. G, Il ruolo della matematica nella meccanica di Galileo, in Galileo e la cultura veneziana, Trieste, Lint, 1995, v. III, pp. 329-345 e, dello stesso autore, Maurolico et Archimède: sources et datation du premier livre du De momentis aequalibus, in P. D. Napoletani, P. Souffrin (eds), Medieval and Classical Traditions and the Renaissance of Physico-Mathematical Sciences in the 16th Century, Turnhout, Brepols, 2001, pp. 33-40. Non risulta che Maurolico abbia definito il momento come il «prodotto del peso per la sua distanza dal fulcro», come scrive U. B, Archimede nel seicento, in C. Dollo (ed.), Archimede. Mito Tradizione Scienza, Firenze, Olschki, 1992, p. 251. Lo scritto in cui è contenuta la definizione di momento, intitolato Archimedis de momentis aequalibus ex traditione Francisci Maurolico libri IV. L’autografo è andato perduto. Circa le vicende relative alla pubblicazione di tale opera cfr. R. M, Francesco Maurolico tra Rinascimento e scienza galileiana. Memorie e ricerche, Messina, Società Messinese di Storia Patria, 1988, pp. 111-131. ² («gravi pendenti da spazi uguali sono proporzionali ai momenti») De momentis aequalibus, cit., Propositio XXXVII, p. 103. ³ Ibidem («i momenti di gravi disuguali pendenti da spazi disuguali stanno tra di loro come gli spazi»).
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spatia sunt ponderibus reciproca, momenta sunt aequalia; ut Archimedes in libro aequalium momentorum demonstravit.¹
Nella versione lunga de Le Mecaniche, mai data alle stampe da Galileo e la cui datazione deve essere fissata al 1598-1599,² lo scienziato pisano fornì la prima teoria moderna della statica delle macchine semplici fondata sul concetto di momento statico da lui così definito: Momento è la propensione di andare al basso, cagionata non tanto dalla gravità del mobile, quanto dalla disposizione che abbino tra di loro diversi corpi gravi; mediante il qual momento si vedrà molte volte un corpo men grave contrapesare un altro di maggior gravità: come nella stadera si vede un picciolo contrapeso alzare un altro peso grandissimo, non per eccesso di gravità, ma sì bene per la lontananza dal punto donde viene sostenuta la stadera; la quale, congiunta con la gravità del minor peso, gli accresce momento ed impeto di andare al basso, col quale può eccedere il momento dell’altro maggior grave. È dunque il momento quell’impeto di andare al basso, composto di gravità, posizione e di altro, dal che possa essere tal propensione cagionata.³
Il trattato De Gli Elementi precedette Le Mecaniche, dunque Stigliola non poté giovarsi di quest’opera.⁴ Fu invece posteriore al De momentis aequalibus, opera che senza dubbio Stigliola dovette conoscere. Sebbene pubblicato solo nel 1685,⁵ si è già detto che il De momentis aequalibus fu scritto non oltre il 1568. Esso sicuramente ebbe una ¹ («[. . . ] pesi uguali posti in luoghi differenti non pesano ugualmente, e pesi uguali, posti in luoghi differenti pesano ugualmente. Infatti il peso pendente da una distanza maggiore è più pesante, come è manifesto nella stadera. Ci sarà quindi una terza potenza, ovvero una terza differenza di grandezza, diversa dal corpo, diversa dal peso, che chiamano momento. In effetti il corpo acquista peso dalla quantità e dalla qualità; il peso poi riceve un momento dalla distanza alla quale è sospeso. Da cui segue che quando le distanze sono in ragione inversa dei pesi, i momenti sono uguali, come ha dimostrato Archimede nel libro dei momenti uguali»), cfr. Maurolyci Abbatis Prologi, sive Sermones, quidam de divisione artium, de quantitate, de proportione, Edidit G. Bellifemine, Ex Typographia Mezzina, Melphicti, 1668, p. 46, citato da P. G, Momento, cit., p. 58. Questo Prologus è datato «Cataniae 18 giugno 1554». ² Cfr. G. G, Le Mecaniche. Edizione critica e saggio introduttivo a cura di Romano Gatto, Firenze, Olschki, 2002. ³ V.l., l. 143-154. ⁴ Esiste, in vero, una versione breve de Le Mecaniche, databile 1592, anch’essa rimasta inedita, in un punto della quale compare il termine momento. Ma qui Galileo non dà alcuna definizione di detta grandezza. Anche questa versione breve è stata pubblicata nella citata edizione critica de Le Mecaniche di Galileo. ⁵ Per la storia di questa edizione cfr. R. M, L’Archimede del Maurolico, in C. Dollo (ed.), Archimede. Mito tradizione e scienza, cit., pp. 111-164.
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271 circolazione in forma manoscritta seppure limitata ad alcuni particolari ambienti scientifici, come ad esempio i collegi dei gesuiti di Roma¹ e Napoli. Molto probabilmente il gesuita Giovanni Giacomo Staserio, che insegnò matematica nel collegio napoletano potrebbe averne posseduto un manoscritto da lui stesso copiato durante il suo soggiorno al collegio di Messina dove quasi certamente studiò matematica con lo stesso Maurolico². Certamente una copia del manoscritto del De momentis aequalibus era presente nella biblioteca di Adriano Acquavia, figlio del duca d’Atri, al quale Maurolico aveva dedicato le sue ricerche sui centri di gravità.³ Esistono comunque anche ragioni interne alle opere di questi due scienziati che danno motivo di affermare che Stigliola conoscesse il De momentis aequalibus. Non vi è dubbio, infatti, che egli abbia derivato il concetto di corpo ugualmente disteso, che rappresenta uno dei cardini della sua teoria della stadera, trasformando e ridefinendo il concetto mauroliciano di grave uniforme, e che ancora dall’opera di Maurolico egli abbia tratto spunti essenziali per la sua interessante caratterizzazione analitica del rapporto tra momenti. Per il resto i due trattati seguono vie differenti a cominciare dalla stessa definizione di momento. Laddove, infatti, Maurolico aveva dato una definizione esplicita di momento, Stigliola ne dà una implicita caratterizzando questo concetto mediante una serie di definitioni e positioni (assiomi). E questo è una prima prova della natura indipendente del lavoro di Stigliola, ispirato sì ad alcuni aspetti dell’opera di Maurolico, ma che nella sua struttura formale, nella scelta di alcune questioni prese in considerazione, per i metodi con cui queste vengono risolte, appare del tutto originale. Lo scienziato nolano parte dalla trattazione della stadera al principio della quale enuncia 11 Definitioni (con un Appendice) e 4 Positioni. La prima definizione è quella di «centro di peso» quale il punto, per cui il corpo comunque sospeso, non muta positione. ¹ Cfr. E. G, La matematica nella meccanica di Galileo, in Galileo e la cultura veneziana, Atti del Convegno, Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti, Venezia, 1995, pp. 321-337. ² Circa la formazione e l’attività di Giovanni Giacomo Staserio cfr. R. G, Tra scienza e immaginazione, cit. ³ Cfr. R. M, I gesuiti e le matematiche nel secolo XVI. Maurolico, Clavio e l’esperienza siciliana, Messina, Società Messinese di Storia Patria, 1998, p. 134.
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Si tratta di una definizione, non dissimile da quella data da Guidobaldo all’inizio del suo Mechanicorum liber,¹ desunta dall’ottavo libro delle Collezioni Matematiche di Pappo,² secondo la quale centrum gravitatis uniusquiusque corporis esse punctum quoddam intra positum a quo grave dependens mente concipiatur, dum fertur quiescit et servat eam quam in principio habebat positionem, neque in ipsa latione circumvertitur.³
A questa fa seguito quella di corpo egualmente disteso: Corpo egualmente disteso diciamo, che comunque tagliato con pianezze parallele, fa figure superficiali eguali e simili.⁴
Un corpo ugualmente disteso deve essere, dunque, omogeneo ed uniforme perché solo le sezioni superficiali di un corpo siffatto sono uguali e simili, cioè congruenti. Esso può applicarsi ad una linea secondo quanto stabilito nella definizione III: Applicarsi diciamo un corpo ad una linea, quando detto corpo ugualmente disteso occupi la lunghezza di detta linea.⁵
Ma veniamo a quanto prima detto circa la derivazione da parte di Stigliola di tale concetto da quello mauroliciano di grave uniforme definito dallo scienziato messinese all’inizio della dimostrazione della proposizione XXV⁶ del suo De momentis aequalibus: Uniforme grave appello, quod est aequidistantium laterum, sive illud sit parallelogrammum planum, sive solidum parallelepipedum.⁷ ¹ G. M, Mechanicorum Liber, Venetiis, Apud Evangelistam Deuchinum, 1615. ² Cfr. P A, Mathematicae Collectiones a Federico Commandino urbinate in Latinum conversae, et Commentarijs illustratae, Pisauri, apud H. Concordiam, 1588. ³ («centro di gravità di un corpo è un punto posto al suo interno dal quale si può immaginare che sospendendovi il corpo, fin quanto vi è sostenuto resta immobile e conserva sempre la stessa posizione che aveva inizialmente, né in questa stessa posizione esso si volge attorno»), ivi, p. 449. A questa definizione Guidobaldo ne fece seguire una seconda desunta dal De centro gravitatis solidorum di Federico Comandino, secondo la quale il centro di gravità è il punto «circa quod undique partes aequalium momentorum consistunt», spiegando che un qualsiasi piano che taglia la figura passando per tale punto, la divide in parti che si fanno equilibrio; cfr. Federici Commandini Urbinatis Liber de centro gravitatis solidorum, Bononiae, Ex officina Alexandri Benacii, 1565, p. 1. ⁴ Cfr. De Gli Elementi, p. 2. ⁵ Ibidem. ⁶ «Centrum gravis uniformis est in facta per medium axis sectione» («il centro di gravità di un corpo uniforme si trova sulla sezione tagliata attraverso il punto medio dell’asse»), De momentis aequalibus, p. 97. ⁷ Ibidem («Definisco grave uniforme un grave che ha lati equidistanti, cioè parallelogramma se è piano, parallelepipedo se solido»).
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273 È evidente che le sezioni piane parallele del corpo uniformemente grave di Maurolico sono figure congruenti, e quindi il concetto di corpo uniformemente disteso è più generale di quello di corpo uniformemente grave dal momento che quest’ultimo si riferisce soltanto a due particolari forme geometriche (parallelogramma e parallelepipedo), laddove invece il primo concerne tutte le possibili forme geometriche. L’unica condizione richiesta è che tutte le sezioni del corpo siano uguali e simili, ovvero congruenti. Inoltre, come vedremo, l’uso che Stigliola fa del concetto di corpo ugualmente disteso è alquanto differente da quello che Maurolico fa di grave uniforme. Dopo queste prime definizioni Stigliola introduce e caratterizza alcuni elementi che intervengono nella definizione di momento, cominciando dalla definizione di linea di momento: Linea di momento diciamo, per cui il centro di peso della grandezza da impedimento libera si muove.¹
La linea di momento, dunque, coincide con quella generalmente chiamata linea directionis, ossia la linea lungo la quale si muove un corpo in caduta libera, ma Stigliola preferisce questa dizione per mettere in evidenza che detta linea è sede del punto di momento, cioè del punto rispetto al quale si considera il momento della forza agente. Punto di momento è, infatti, l’intersezione della linea di momento e della stadera, o della leva,² strumenti che, come si legge nelle due successive definizioni, sono considerati nella loro pura essenza geometrica: Libra o statera diciamo la linea a cui si applicano, o appendono le gravezze: e che sia suspesa da un sol punto.³ E leva diciamo la linea sostenuta da due ponti, o sostenuta da un ponto e mossa da una possanza.⁴
Un altro punto caratteristico della stadera è il punto di appensione,⁵ ovvero il punto dal quale pende il grave e dal quale il grave stesso acquista momento. Nella stadera, allora, esistono due punti notevo¹ Cfr. De Gli Elementi, p. 2. ² Così propriamente la definizione VII: «Ponto di momento diciamo nella statera e leva, il ponto, nel quale s’incontra la linea del momento, con la linea della statera», ibidem. ³ Definitione V, ibidem. ⁴ Definitione VI, ibidem. ⁵ Così recita la Definizione VIII: «E ponto di appensione: il ponto, onde perde la gravezza staccata dalla statera, o leva, nel quale istesso ponto s’intende haver il suo momento», ivi, pp. 2-3.
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li, il punto di momento e il punto di appensione, i quali delimitano un segmento dalla cui lunghezza dipende la grandezza del momento. L’ultima definizione è quella di horizonte de pesi quale la superficie in cui le linee de momenti tutte vanno perpendicolarmente.¹
Tale definizione è seguita da un’Appendice nella quale l’autore chiarisce che l’horizonte dei momenti paralleli è una superficie piana, mentre quello dei momenti concorrenti è una superficie sferica. Il fatto che i momenti possono essere paralleli o concorrenti sta a significare che Stigliola intende il momento come una grandezza caratterizzata non solo dal suo modulo, ma anche dalla direzione (linea del momento) lungo la quale agisce. Da queste nove Definitioni non emerge ancora completamente quella del concetto di momento; da esse si evince soltanto che, per poter parlare di momento, è necessario che si faccia riferimento ad un punto di momento, coincidente nel caso della stadera e della leva con il fulcro. In realtà queste nove Definitioni si riferiscono unicamente a enti o grandezze che hanno una pura valenza geometrica o che possono ridursi a enti geometrici. Tra esse non troviamo definito alcun concetto di grandezze fisiche, quali la forza. Concetti di questa natura ricorrono, invece, nelle successive 4 Positioni che, come vedremo, concorrono a definire il momento. Nella Positione I Stigliola riprende il concetto di centro di peso affermando che nei corpi ugualmente distesi esso è un punto della superficie che divide la lunghezza del corpo in parti uguali.² Nella Positione II afferma che pesi uguali sospesi nello stesso punto, o da punti ugualmente distanti dal fulcro (punto di sospensione) della stadera hanno momenti uguali.³ Sicché, a questo punto si può dedurre che per poter parlare di momento bisogna specificare non solo la gravezza che agisce, ma anche la distanza dal punto di momento alla quale è posta la suddetta gravezza. La successiva Positione III caratterizzata il peso. Stabilisce, infatti:
¹ Ivi, p. 3. ² Positione I: «Pigliamo nelli corpi egualmente distesi il centro del peso esser nella superficie, che divide egualmente la lunghezza di detto corpo», ibidem. ³ Positione II: «Che gravezze eguali appese o nell’istesso ponto, o in ponti della libra egualmente distanti dalla sospensione della statera, habbiano momento uguale», ibidem.
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275 Che nelli corpi di una istessa natura sia proporzionale il peso alla quantità delli corpi.¹
Per corpi della stessa natura si devono intendere corpi costituiti dalla stessa materia, e che quindi abbiano lo stesso peso specifico; ebbene il loro peso è direttamente proporzionale al loro volume. L’ultima Positione contempla una nota proprietà del centro di peso di un corpo sospeso, e cioè che La gravezza appesa non si fermi, sin che il centro del peso non sia nella perpendicolare del ponto del sostentamento.²
A questo punto Stigliola enuncia e dimostra 14 propositioni³ la prima delle quali, data la sua evidenza, avrebbe potuto essere assunta come assioma. Ritengo che egli ne abbia voluto fare un teorema per introdurre una sorta di canone dimostrativo che utilizzerà varie volte nel seguito. L’enunciato di tale proposizione è: Se si tolgono due quantità da due altre, che siano eguali, e tra di loro, e alla composta delle due tolte, dico che le restanti alle tolte scambievolmente sono eguali.⁴
C E
G
D
H
F A B
F. FIG. 1. 1. Siano A eSiano B parti Adelle grandezze EF tali che CD=A+B EF=B+A. Sarà e Bdueparti delleuguali due CD, grandezze uguali CD,e EF tali che
CD = A + B e EF = B + A. Sarà
CD-A=CD-CG=GD=B EF-B=EF-EH=HF=A
In definitiva ¹ ² ³ Da qui consegue⁴
CD − A = CD − CG = GD = B Ibidem. GD=B HF=A Ibidem. L’ultima proposizione è erroneamente indicata come XV invece che XIV. immediatamente che se, come appena dimostrato, le restanti grandezze scamIvi, p. 4.
bievolmente sono uguali alle tolte, allora le stesse restanti grandezze sono proporzionali a quelle tolte, ovvero, essendo CG=HF e EH= GD, sarà: CG : EH = HF : GD i
Questa proposizione costituisce un lemma per la Propositione II: Se alla linea della statera si applicano continuamente due corpi: li centri delli corpi applicati, sono distanti i dal centro di tutto il composto, di distanze proporzionali alli pesi, pigliati reciprocamente 48 .
Siano AB la linea della stadera, BC e AC corpi ugualmente distesi rispettivamente applicati alle linee BD e AD. Detto E il punto medio di BD (punto di momento del corpo BC), F il punto medio di AD (punto di momento del corpo AC) e G il punto medio della linea AB (punto di mo-
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C i
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H A — 16:09 — page 276 — #135 “main” — 2007/2/7 B
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FIG. 1.
276 Siano A e B parti delle due grandezze uguali CD, EF tali che=CD=A+B e EF=B+A. Sarà − EH = HF A EF − B = EF In definitiva In definitiva
CD-A=CD-CG=GD=B EF-B=EF-EH=HF=A GD = B HF = A
Da qui consegue immediatamente che se, come appena dimostraGD=B scambievolmente sono HF=A to, le restanti grandezze uguali alle tolte, allora le stesse restanti grandezze sono proporzionali a quelle tolte, Da qui consegue immediatamente se,e come dimostrato, le restanti grandezze scamovvero, essendo CG che = HF EH = appena GD, sarà: bievolmente sono uguali alle tolte, allora le stesse restanti grandezze sono proporzionali a quelle tolte, ovvero, essendo CG=HF e EH= GD, CG :sarà: EH = HF : GD Questa proposizione costituisce lemma CG : EH un = HF : GDper la Propositione II: Se alla linea della statera si applicano continuamente due corpi: li cen-
tri dellicostituisce corpi applicati, sono per distanti dal centro di II: tutto il composto, di Questa proposizione un lemma la Propositione
distanze proporzionali alli pesi, pigliati reciprocamente.¹ Se alla linea dellaSiano stateraABsi la applicano continuamente duee corpi: li centri delli corpi applicati, linea della stadera, BC AC corpi ugualmente distesi ri- sono distanti dal centro di tutto il composto, di distanze proporzionali alli pesi, pigliati reciprocamente 48 . spettivamente applicati alle linee BD e AD. Detto E il punto medio
di BD (punto di momento del corpo BC), F il punto medio di AD (punto applicati alle Siano AB la linea della stadera, BC e AC corpi ugualmente distesi rispettivamente di momento del corpo AC) e G il punto medio della linea AB (punto linee BD e AD. Detto E il punto medio di BD (punto di momento del corpo BC), F il punto medi momento del corpo costituito dai corpi BC e AC insieme), si vuole dio di AD (punto di momento del corpo AC) e G il punto medio della linea AB (punto di modimostrare che mento del corpo costituito dai corpi BC e AC insieme), si vuole dimostrare che GF : GE = PBC : PAC GF : GE = PBC : PAC avendo indicato con PBC e PAC rispettivamente il peso dei corpi BC ed AC. avendo indicato con PBC e PAC rispettivamente il peso dei corpi BC ed AC. B
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C F. 2. FIG. 2.
Intanto evidente essendo e AC corpidistesi, ugualmente distesi,dei il loro pesi è uIntanto è evidente che, èessendo BCche, e AC corpi BC ugualmente il rapporto rapporto dei loro pesi è uguale a quello delle loro grandezze, cioè: guale a quello delle loro grandezze, cioè: ¹ Ivi, 5. : AC PBC : PAC = p.BC
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Ivi, p. 5.
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277 PBC : PAC = BC : AC D’altra parte il rapporto di dette grandezze è uguale a quello delle linee alle quali esse sono applicate, per cui BC : AC = BD : DA Ne segue, allora, che il rapporto dei pesi PBC : PAC è lo stesso di quello delle lunghezze dei bracci della bilancia BD : DA. Ora, poiché 1 AF = AD 2
1 BE = BD 2
si ha che 1 1 AF + BE = (AD + BD) = AB = BG = AG 2 2 Se allora si considerano i tre segmenti AG, GB, AF + BE e si toglie al primo di essi AF, al secondo BE e al terzo una volta AF e una volta BE si ottiene: AG − AF = FG GB − BE = EG AF + BE − AF = BE AF + BE − BE = AF D’altra parte per la Propositione I si ha FG : EG = BE : AF FG : EG = 2BE : 2AF Cioè FG : EG = BD : DA FG : EG = BC : CA e quindi
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FG : EG = PBC : PCA
Questa proposizione ha un’importanza notevole nella trattazione di Stigliola, non solo per le sue immediate conseguenze, ma anche per il suo carattere formale. Essa, infatti, consente di sostituire al rapporto dei pesi dei corpi ugualmente distesi applicati ai due bracci della bilancia quello delle loro linee di applicazione, trasformando così un problema tra grandezze fisiche in un problema tra grandezze geometriche. Quanto alle sue implicazioni, Stigliola deduce da essa immediatamente l’importante e fondamentale legge dell’equilibrio sancita da Archimede nelle proposizioni 6 e 7 del suo trattato Sull’equilibrio dei piani¹ e cioè che, perché una stadera ai cui estremi B e A siano appesi due pesi D e C resti in equilibrio, è necessario che il suo punto di sospensione E divida la linea della stadera AB in parti inversamente proporzionali ai pesi D, C.² Data la stadera AB ai cui estremi B e D sono sospesi rispettivamente i pesi D e C, Stigliola comincia col supporre che sia E il punto che divide BA in parti che stannoche trail suo loropunto come il rapporto inverso dei pesi D e C resti in equilibrio, è necessario di sospensione E divida la linea della pesi,AB ovvero tale che proporzionali ai pesi D, C50 . stadera in parti inversamente
Data la stadera AB ai cui estremi B e D sono sospesi rispettivamente i pesi D e C, Stigliola comincia col supporre che sia E il punto che divide BA in parti che stanno tra loro come il rap(1) porto inverso dei pesi, ovvero tale che BE : AE = C : D G
BE : AE = C : D B
(1) E
F
A
H
C
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FF. IG. 3.3.
Prolunga poi la linea della stadera dalla parte di B di un tratto GB=BF, e dalla parte di A di un tratto¹ AH=FA, e applica su GF un corpo ugualmente disteso di peso Ciò equivale a diArchimede dimostrò distintamente i due differenti casi, quelloPGF di=D. grandezze commenstribuire con continuità il peso D sotto la linea GF. Quindi prolunga questo corpo surabili (Proposizione 6) e quello di grandezze incommensurabili (Proposizione 7); fino cfr. all’estremo H. Valendo la (1)divale anche laTorino, relazione Opere di Archimede a cura A. Frajese, Utet, 1974, pp. 403-408.
² Proposizione III: «Se ad una statera siano appese due gravezze, e l’intervallo delli ponti 2BE : 2AE = C : D della sospensione si divida nella ragione delle gravezze, sospesa la statera dal ponto della divisione, sta in equilibrio», De Gli Elementi, pp. 6-7.
ovvero
GF : FH = C : D Dunque, il rapporto dei corpi ugualmente distesi GF e FH è uguale al rapporto dei pesi C e D. Ma trattandosi di sezioni di un corpo ugualmente disteso, il loro rapporto è anche uguale al rapporto dei loro pesi, cioè
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GF : FH = PGF : PFH
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E poiché PGF=D, necessariamente deve essere PFH=C. D'altra parte, per la proposizione precedente, le distanze dal punto E dei centri dei corpi ugualmente distesi GF e FG, cioè le distanze BE ed AE, stanno nel rapporto inverso ai loro pesi; dunque: BE : AE = PFH : PGF
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279 Prolunga poi la linea della stadera dalla parte di B di un tratto GB = BF, e dalla parte di A di un tratto AH = FA, e applica su GF un corpo ugualmente disteso di peso PGF = D. Ciò equivale a distribuire con continuità il peso D sotto la linea GF. Quindi prolunga questo corpo fino all’estremo H. Valendo la (1) vale anche la relazione 2BE : 2AE = C : D ovvero GF : FH = C : D Dunque, il rapporto dei corpi ugualmente distesi GF e FH è uguale al rapporto dei pesi C e D. Ma trattandosi di sezioni di un corpo ugualmente disteso, il loro rapporto è anche uguale al rapporto dei loro pesi, cioè GF : FH = PGF : PFH Poiché PGF = D, necessariamente deve essere PFH = C. D’altra parte, per la proposizione precedente, le distanze dal punto E dei centri dei corpi ugualmente distesi GF e FG, cioè le distanze BE ed AE, stanno nel rapporto inverso ai loro pesi; dunque: BE : AE = PFH : PGF e quindi BE : AE = C : D E è allora il punto di momento comune ai due corpi ugualmente distesi applicati alle linee BE, AE, e perciò è il punto di momento comune ai pesi D, C per cui la stadera sta in equilibrio. Non è difficile constatare che l’introduzione del concetto di corpo ugualmente disteso rende la dimostrazione di Stigliola più semplice e immediata di quella di Archimede. Questi aveva ricondotto il problema dell’equilibrio della bilancia ED con fulcro in C, bracci disuguali e pesi disuguali applicati alle sue estremità, tale che CD : EC = A : B
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D disteso rende Non è difficile constatare E che l’introduzione del concetto di corpo ugualmente la dimostrazione di Stigliola più semplice e immediata di quella di Archimede. Questi aveva riC ED con fulcro in C, bracci disuguali e pesi dicondotto il problema dell’equilibrio della bilancia suguali applicati alle sue estremità, tale che CD : EC = A : B
A
E C
D
F. 4.
A
B
B
a quello di una bilancia a bracci FIG. 4. uguali nella quale, a sinistra e a destra del fulcro C, a distanze uguali, simmetricamente sono sospesi a quello di una bilancia a bracci uguali nella quale, a sinistra e a destra del fulcro C, a distanze un uguale numero di pesetti la numero cui somma dàla l’intero A + B. uguali, simmetricamente sono sospesi un uguale di pesetti cui sommapeso dà l’intero peso A+B. E
C
G
D
K
L A
B FIG. 5.
F. 5.
Questa trasformazione comporta una serie di considerazioni e di passaggi talvolta piuttosto complessi che rendono la dimostrazione archimedea alquanto laboriosa. Questa trasformazione comporta una serie di considerazioni e di Un termine di confronto più appropriato, comunque, non è da ricercare tanto in Archimede, passaggi talvolta piuttosto complessi che in rendono la dimostrazione quanto nel De momentis aequalibus di Maurolico, dove entra gioco il concetto di grave uniforme. Nella proposizione XXVII Maurolico dimostra che il rapporto tra due pesi è uguale al archimedea alquanto laboriosa. rapporto inverso delle loro di distanze dal comune di gravità 51 ,comunque, che sostanzialmente è Un termine confronto piùcentro appropriato, non non è da affatto differente dalla legge dell’equilibrio archimedeo sopra menzionata.
ricercare tanto in Archimede, quanto nel De momentis aequalibus di Maurolico, dove entra in gioco il concetto di grave uniforme. Nella proposizione XXVII Maurolico dimostra che il rapporto tra due pesi è uguale al rapporto inverso delle loro distanze dal comune centro di gravità,¹ che sostanzialmente non è affatto differente dalla legge dell’equilibrio archimedeo sopra menzionata. Egli considera la linea DE = AB e su essa il punto F tale che DF = AC e FE = CB. Prolunga poi DE a sinistra di D fino ad un punto G tale che GD = FE e a destra di E fino ad un punto H tale che EH = DF. Infine prende FIGsul . 6. segmento DE il punto K tale che EK = EH = DF. In tal modo D risulterà essere il punto medio di GK Egli considera la linea DE=AB e su essa il punto F tale che DF=AC e FE=CB. Prolunga poi DE ed E quello di KM. a sinistra di D fino ad un punto G tale che GD=FE e a destra di E fino ad un punto H tale che EH=DF.Ponatur Infine prende segmento il punto Kgrave tale che EK=EH=DF. In tal modoMaurolico D risulterà circasulaxem GHDE uniforme – dice a questo punto essere il –punto medio di GK ed E quello di KM. et aequale aggregato ipsorum A B gravium, quod secetur apud K per
51
¹ Cfr. De momentis aequalibus, pp. 98-99, Propositio XXVII (erroneamente indicata XVII): «Gravia sunt distantijs, quibus eorum centra absunt a centro comuni».
Cfr. De momentis aequalibus, pp. 98-99, Propositio XXVII (erroneamente indicata XVII): «Gravia sunt distantijs, quibus eorum centra absunt a centro comuni».
13
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FIG. 5.
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i Questa trasformazione comporta una serie di considerazioni e di passaggi talvolta piuttosto com- i plessi che rendono la dimostrazione archimedea alquanto laboriosa. “main” — 2007/2/7 — 16:09 — page 281 — #140 Un termine di confronto più appropriato, comunque, non è da ricercare tanto in Archimede, quanto nel De momentis aequalibus di Maurolico, dove entra in gioco il concetto di grave uniforme. Nella proposizione XXVII Maurolico dimostra che il rapporto tra due pesi è uguale al rapporto inverso delle loro distanze dal comune centro di gravità 51 , che sostanzialmente non è affatto differente dalla dell’equilibrio archimedeo sopra menzionata. legge 281
i
FIG6.. 6. F.
Egli considera la linea DE=AB e su essa il punto F tale che DF=AC e FE=CB. Prolunga poi DE basibus, H parallelum, duodi gravia uniformia a sinistra di Dterminum fino ad un puntoqui Gper taleG,che GD=FE euta sint destra E fino ad un punto H tale che GK, KH circum axes GK, KH apud K terminum continuata.¹ EH=DF. Infine prende sul segmento DE il punto K tale che EK=EH=DF. In tal modo D risulterà essere il puntoMaurolico medio di GK ed E quello di KM. dimostra che i pesi GK e HK sono rispettivamente uguali ai pesi A e B e, con l’ausilio di teoremi dimostrati precedentemente, deduce la tesi. In sostanza egli opera una trasformazione di un sistema di due pesi e delle rispettive distanze dal loro comune centro di gravità in un grave uniforme costituito da due gravi uniformi rispetti51 Cfr. De momentis aequalibus, pp. 98-99, Propositio XXVII (erroneamente indicata XVII): «Gravia sunt divamente peso auguale ad A e B e i cui assi sono uguali alle distanze stantijs, quibus eorum centradiabsunt centro comuni». di A e di B dal loro comune centro di gravità. 13 Non vi è dubbio che anche in questo caso Stigliola abbia tratto ispirazione da Maurolico facendo uso del suo concetto di corpo ugualmente disteso al posto di quello di grave uniforme dello scienziato messinese. La dimostrazione di Stigliola è comunque più semplice e immediata di quella di Maurolico, sebbene non ne differisca nella sostanza. Vale la pena segnalare che anche Galileo, ne Le Mecaniche, per dimostrare un’analoga proposizione, sostituì alla distribuzione discreta di pesetti sospesi lungo i bracci della bilancia, un unico cilindro omogeneo sospeso orizzontalmente per i suoi estremi ad un’asta rigida della stessa lunghezza della bilancia ed operò, ¹ («si ponga intorno all’asse GH il grave uniforme ed uguale alla somma dei due gravi A, B, che sia tagliato attraverso K come termine parallelo alle basi per G e H, in modo che si abbiano due gravi uniformi GK e KH intorno agli assi GK, KH consecutivi presso il termine K»), ivi, p. 99.
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poi, con un procedimento che nella sostanza non differisce granché da quelli di Maurolico e di Stigliola.¹ Ma ritornando a Stigliola, dalla Proposizione III su dimostrata egli deduce due importanti risultati: primo, che il baricentro di un sistema di due pesi è il punto che divide la congiungente i centri di gravità dei due pesi in parti inversamente proporzionali ai pesi stessi;² secondo, che due pesi sospesi in due diversi punti fanno «l’istesso effetto nel momento» che se fossero congiuntamente sospesi nel loro comune baricentro.³ In più fa vedere che l’equilibrio di tale strumento non dipende dalla posizione dei punti dai quali vengono sospesi i pesi, ma solo dal rapporto delle distanze di detti punti dal fulcro,⁴ e che se, data una stadera in equilibrio, aggiungendo o sottraendo altri pesi ai due pesi sospesi ai suoi estremi l’equilibrio permane, allora i pesi aggiunti o sottratti stanno nello stesso rapporto di quelli a cui sono stati aggiunti o sottratti.⁵ Di queste proposizioni Stigliola si serve per risolvere il seguente problema enunciato nella Proposizione VI: Date quante si voglia gravezze appese in un’istessa statera, ritrovare il ponto del momento comune.⁶
Con riferimento alla F. 7, se alla bilancia AB sono sospesi i pesi C, D, E rispettivamente nei punti A, B, F, possono verificarsi due casi: o che F è il punto di momento comune a C e D, o che F non è il punto di momento comune a C e D. Nel primo caso, essendo anche il punto di momento di E, F, è il punto di momento comune cercato. Nel secondo caso, detto H il punto di momento comune a C e D, poiché i pesi C e D sospesi in A e B fanno lo stesso effetto che se ¹ Cfr. Le Mecaniche cit., pp. CXII-CXV. ² De Gli Elementi, p. 7, Appendice I: «Dal che è manifesto che ‘l centro comune di due pesi è il ponto che divide l’intervallo de’centri loro, reciprocamente». ³ Appendice II: «E se due gravezze divisamente si appendono: che diviso l’intervallo nella ragione delle gravezze reciprocamente: dette gravezze, fanno l’istesso effetto nel momento, che se in detto ponto giuntamente fussero appese», ibidem. ⁴ Proposizione IIII: «Se due grandezze appese in due ponti facciano equipondio: e di nuovo appese in due altri ponti facciano equipondio, l’intervalli delle sospensioni mutate, sono proporzionali con li pesi reciprocamente», ivi, pp. 7-8. ⁵ Proposizione V: « Se due gravezze si facciano equipondio, e gionte o tolte due altre gravezze facciano ancora equipondio, le gionte ancora e le tolte sono nell’istassa ragione», ivi, pp. 8-9. ⁶ Ivi, pp. 9-10.
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B
H
G
F
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A
283 B
D
D+C
H
D
G
FIG. 7.
D+C
E
C
E
C
F
A
Con riferimento alla FIG. 7, se alla bilancia AB sono sospesi i pesi C, D, E rispettivamente nei punti A, B, F, possono verificarsi due casi: o che F è il punto di momento comune a C e D, o che F non è il punto di momento comune a C e D. Nel primo caso, essendo anche il punto di momen7. to di E, F, è il punto di momento comune cercato. FF. IG. 7. Nel secondo caso, detto H il punto di momento comune a C e D, poiché i pesi C e D sospesi A e B fanno lo F stesso se sospesi fossero congiuntamente problema si risolCon inriferimento alla IG . 7,effetto se allache bilancia ABin sono i sospesi pesi C,inD,H,deterEilrispettivamente nei fossero congiuntamente H, ilsospesi problema si risolve ve determinando la posizione del punto G di HF tale che punti A, B, F, possono verificarsi duedel casi: o che F èHF il tale punto minando la posizione punto G di chedi momento comune a C e D, o che
F non è il punto di momento comune a C e D. Nel primo caso, essendo anche il punto di momen: GF : (D+C) to di E, F, è il punto di momento comune HGHG :cercato. GF = E=E: (D + C) Nel secondo La caso, detto H il punto di momento comune a centrale C e D, poiché i pesi C e D sospesi successiva Propositione gioca un ruolo nella teoria La successiva Propositione VII gioca unVII ruolo centrale nella teoria di Stigliola. Essa dimostra in A e B fanno lo stesso effetto che se fossero congiuntamente sospesi in H, il problema si risoldi Stigliola. Essa dimostra che che ve determinando la posizione del punto G di HF tale che Della grandezze che fanno equipondio, composte le ragioni delle gravez-
Della grandezze equipondio, composte ragioni delle gravezze e delle distanze, li estremi ze eche dellefanno distanze, li estremi termini le sono eguali.¹ HG : GF =E : (D+C) termini sono eguali 59
A VII gioca C B La successiva Propositione un ruolo centrale nella teoria di Stigliola. Essa dimostra che Della grandezze che fanno equipondio, composte le ragioni delle gravezze e delle distanze, li estremi termini sono eguali 59
A D
E B
C
H
G
F
F. FIG8. . 8.
D E Ciò che Stigliola intende far vedere è che, conalla riferimento F. si indicano con H, G F Ciò che Stigliola intende far vedere è che, con riferimento FIG. 9, se alla se siche indicano con H, G, F tre grandezze tali che tre grandezze9,tali H G F F D = G E
e
¹ Ivi, pp.H 10-11.BC
= G AC FIG. 8.
(2)
considerata la ragione composta del rapporto dei pesi e delle distanze,
Ciò che Stigliola intende far vedere è che, con riferimento alla FIG. 9, se si indicano con H, G F tre grandezze tali che i i
59
Ivi, pp. 10-11.
F D = G E
e
H BC = G AC
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(2)
considerata la ragione composta del rapporto dei pesi e delle distanze,
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F D H BC = (2) = e G E G AC considerata la ragione composta del rapporto dei pesi e delle distanze, D AC F H ⊗ = ⊗ E BC G G
(3)
segue che F=H La dimostrazione segue tenendo presente che, essendo la bilancia in equilibrio BC D F = = AC E G BC H = ; confrontando si ha D’altra parte per la seconda delle (2) AC G allora F H = G G e quindi F=H Ma perché qui Stigliola considera la ragione composta tra distanze e pesi? In realtà egli sta manipolando le grandezze peculiari che caratterizzano il momento al fine di determinare una relazione analitica tra di esse. Nel fare ciò egli giunge ad un passo dal definire il momento come prodotto di peso per distanza, e tuttavia non è in grado di conseguire tale risultato a causa dello strumento matematico di cui fa uso. Il concetto euclideo di ragione composta, infatti, non gli consente di effettuare la moltiplicazione aritmetica dei termini che costituiscono la ragione stessa come se fossero delle frazioni numeriche. Vale la pena di riflettere ancora un po’ sul modo di procedere di Stigliola. Lo scienziato nolano ha qui ridotto la ragione composta di due rapporti tra grandezze non omogenee, pesi e distanze, alla ragione composta di due rapporti tra grandezze omogenee, (cosa che farà anche nella Propositione IX) ovviando in un certo qual modo all’impossibilità di effettuare la moltiplicazione
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285 aritmetica tra i due rapporti della ragione composta sostituendo loro il rapporto tra due grandezze omogenee, ovvero dei segmenti di rette H e F, che rappresentano i momenti MD ed ME dei pesi D ed E rispetto a C. Così facendo egli ha dimostrato che, quando la stadera è in equilibrio, la ragione composta tra il rapporto dei pesi e quello delle distanze è uguale ad 1, ovvero D AC ⊗ =1 E BC Da questa espressione potremmo dedurre che D × AC = C × BC Ma ciò non è possibile, perché, come si è detto, la ragione composta non è un prodotto aritmetico di due frazioni numeriche. Stigliola dunque è giunto ad un passo dal definire il momento come prodotto della forza per la distanza, ma le strettoie del formalismo euclideo non gli hanno consentito di compiere il passo decisivo verso tale definizione. Dal punto di vista fisico ciò è una prova della difficoltà esistente all’epoca nel definire grandezze fisiche derivate. A questo punto Stigliola si è procurato i mezzi per dimostrare la proposizione: Li momenti delle gravezze uguali, appese in distanze ineguali, hanno fra di loro la proportione che le distanze¹
cioè, data la stadera AB sospesa per il punto C, che sostenga in A e in F rispettivamente i pesi D ed E, indicato con MD e ME i momenti di D e di E rispetto a C, si ha che MD : ME = AC : CF Anche in questo caso la dimostrazione segue con considerazioni semplici. Ai fini dell’equilibrio si sospenda in B un peso G il cui momento MG rispetto a C sia uguale a MD , e un peso H tale che MH = ME . Valgono allora le proporzioni G : D = AC : BC ¹ Ivi, pp. 11-12, Propositione VIII.
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Li momenti delle gravezze uguali, appese in distanze ineguali, hanno fra di loro la proportione che le distanze. 60
cioè, data la stadera AB sospesa per il punto C, che sostenga in A e in F rispettivamente i pesi D 286 con M e M i momenti ed E, indicato di D e di E rispetto a C, si ha che D E E : H = BC : CF Essendo D = E si ricava ex aequoMD: ME = AC : CF Anche in questo caso la dimostrazione G : H segue = AC :con CF considerazioni semplici. Ai fini dell’equilibrio si sospenda in B un peso G il cui momento MG rispetto a C sia uguale a quindi MD, e unepeso H anche tale che MH=ME. Valgono allora le proporzioni
MG : MH = AC : CF G : D = AC : BC D’altra parte MG = MD , e MH = M per E E:,H = cui BC : CF Essendo D=E si ricava ex aequoMD : ME = AC : CF A
F
D
E
G : H = AC : CF C
B G H
F. 9. FIG. 9.
e quindi A anche questo punto Stigliola può far vedere che la ragione composta di
cui alla proposizione VII è uguale al rapporto dei momenti dei pesi D ed E. Dimostra, infatti, che MG : MH = AC : CF Li momenti delle gravezze sospese in qual si voglia ponti della statera, D’altra parte MG=MD, e MH=ME, per cui han tra di loro la ragion composta, della ragion delle gravezze, e delle distanze.¹
MD : ME = AC : CF Data la stadera AB sospesa per il punto C nella quale pendano il peso dall’estremo A epuò il peso dall’estremo Stigliola vuole dimostraA questoDpunto Stigliola far Evedere che la F, ragione composta di cui alla proposizione VII è re che il rapporto tra il momento del peso D e quello del peso E uguale al rapporto dei momenti dei pesi D ed E. Dimostra, infatti, che (rispetto a C) è uguale alla ragione composta dal rapporto dei pesi D ed E e dal rapporto tra le distanze AC e CF, ossia: Li momenti delle gravezze sospese in qual si voglia ponti della statera, han tra di loro la ragion composta, della ragion delle gravezze, e delle distanze 61 .
¹ Ivi, p. 12.
Data la stadera AB sospesa per il punto C nella quale pendano il peso D dall’estremo A e il peso E dall’estremo F, Stigliola vuole dimostrare che il rapporto tra il momento del peso D e quello del peso E (rispetto a C) è uguale alla ragione composta dal rapporto dei pesi D ed E e dal rapporto tra le distanze AC e CF, ossia:
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Ivi, pp. 11-12, Propositione VIII. Ivi, p. 12.
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287 MD D AC = ⊗ E AC FC MM D E D = ⊗ ME E A tal fine sospende dal punto B unFC peso G che faccia equilibrio al peso D e un peso H che faccia equilibrio al peso E, inoltre sospende A tal fine sospende punto B un peso che faccia peso equilibrio al peso e un E. peso che faccia da A, dal oltre al peso D, unG secondo I uguale alDpeso PerH la equilibrio al peso E, inoltre sospende da A, proposizione VIII si avrà cheoltre al peso D, un secondo peso I uguale al peso E. Per la proposizione VIII si avrà che MI AC = FC MM I E AC ME A
F
D
E
=
FC C
B
G
I
H FIGF. . 10.10.
d’altra parte, d’altra essendoparte, D e I sospesi dallo puntodallo stesso punto essendo D estesso I sospesi D D D MM D == I I I MM I
Si ha dunque che Si ha dunque che
MI MD AC D ⊗ = ⊗ ME MI FC I M I M D AC D = ⊗ ed essendo I = E, Stigliola⊗conclude che ME
MI
FC
I
la ragione delli momenti D ad E, che è l’istessa che della portione G alla portione H, conclude è composta ed essendo I=E, Stigliola chedalla ragione delle gravezze e dalla ragione delle distanze.¹ la ragione delli momenti D ad E, che è l'istessa che della portione G alla portione H, è composta dalla raQuesto argomento è presente anche nel De momentis aequalibus di gione delle gravezze e dalla ragione delle distanze 62 .
Maurolico, ma non in altri trattati di meccanica di quel tempo. Ri-
sulta chiaro, però, che,nelanche in questoaequalibus caso Stigliola, trasse dal Questo argomento è presente anche De momentis di Maurolico, mateso non in altri mauroliciano soltanto l’ispirazione, mache, seguì nella sua trattazione trattati di meccanica di quel tempo. Risulta chiaro, però, anche in questo caso Stigliola, trasse dal teso mauroliciano soltanto l’ispirazione, ma seguì nella sua trattazione una via propria. Tutta la sua teoria, come abbiamo potuto vedere, si fonda sulla Proposizione VII della quale non ¹ Ibidem. c’è equivalente nel De momentis aequalibus. Maurolico, infatti, parte da alcune proposizioni che gli consentono di enunciare due teoremi con i quali stabilisce alcune relazioni tra il rapporto dei momenti e quello delle distanze 63 , e che infine gli consentono di dimostrare un teorema 64 non dissimile dalla Propositione IX. i
i 62
Ibidem. Propositio XXXVII: «Gravia ab aequis spatijs pendentia, sunt momentis proportionalia« («I gravi pendenti da uguali distanze sono proporzionali ai momenti»), ivi, p. 103; Propositio XXXVIII: «Gravium aequalium ab inaequalibus spatijs pendentium momenta sunt ad invicem sicut spatia» («I momenti di gravi uguali pendenti da spazi disuguali sono inversamente proporzionali alle distanze»), ivi, p. 104.
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una via propria. Tutta la sua teoria, come abbiamo potuto vedere, si fonda sulla Proposizione VII della quale non c’è equivalente nel De momentis aequalibus. Maurolico, infatti, parte da alcune proposizioni che gli consentono di enunciare due teoremi con i quali stabilisce alcune relazioni tra il rapporto dei momenti e quello delle distanze,¹ e che infine gli consentono di dimostrare un teorema² non dissimile dalla Propositione IX. Stigliola applica la Propositione IX per risolvere il seguente problema: Fatta la allaPropositione linea della statera application di corpo,problema: e sospese in essa più graStigliola applica IX per risolvere il seguente
vezze che sostentino un peso, ritrovare ciascuna gravezza quanto portion peso sostenti.³ Fatta alla linea di della statera application di corpo, e sospese in essa più gravezze che sostentino un peso,
ritrovare ciascuna gravezza quanto portion di peso sostenti 65 .
B
C
N H
M
E
G O
A
F
D
L
K
I
F. 11.
FIG. 11.
Data una stadera¹ BA sospesa per il punto quale un pendentia, peso MKLI Propositio XXXVII: «GraviaCabnella aequis spatijs suntpendente momentisdall’estremo proportio- B è («I gravi pendenti uguali sono proporzionali ivi, p. 103; da A, equilibrato da nalia» un peso D posto in A da e da altridistanze pesi, come E, F pendentiai amomenti»), distanze differenti ab sostenuta inaequalibusdaspatijs pendentium momenta si vuole saperePropositio quale siaXXXVIII: la parte «Gravium del peso aequalium MKIL peso ciascuno degli altri pesi. sunt ad invicem sicut spatia» («I momenti di gravi uguali pendenti da spazi disuguali sono Anche in questo caso Stigliola considera un corpo ugualmente disteso applicato alla linea dalinversamente proporzionali alle distanze»), ivi, p. 104. la stadera AB; considera poi su AB i punti N e O in modo tale che sia BC=CN e NO=OA. ² De momentis aequalibus, p. 104, Propositio XXXIX: «Momentorum ratio componitur ex Poiché C è il punto medio di BN et il ex corpo ugualmente BN sta in equilibrio nel dei punto ratione ponderum, ratione spatiorum, adisteso quibus gravia pendent» («Il rapporto mo- di sospensione C. Ugualmente, poiché O è il punto di NA corpo ugualmente disteso menti si compone del rapporto dei pesimedio e di quello delleildistanze dalle quali sono sospesiNA i sta pesi»). ³ Ivi, in equilibrio nel punto O. Se allora del peso MLKI si prende la parte M tale chepp.il15-16. rapporto tra BC e CO sia lo stesso che quello tra la parte del corpo ugualmente disteso applicata sotto NA ed M, cioè: BC NA = CO M
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il corpo ugualmente disteso applicato a NA, per la Propositione II, sta in equilibrio con M nel punto C. D’altra parte, essendo C punto medio di BN, le parti del corpo ugualmente disteso applicate a BC e a CN si fanno equilibrio in C. Pertanto nel punto C, M fa equilibrio ad AN, e BC fa equilibrio a CN. Dunque M fa equilibrio in C a tutto il corpo ugualmente disteso applicato sotto AB. Ciò equivale a dire che, per mantenere in equilibrio la stadera AB alla quale è applicato un corpo ugualmente disteso basta la sola parte M del peso IKLM.
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289 Data una stadera BA sospesa per il punto C nella quale un peso MKLI pendente dall’estremo B è equilibrato da un peso D posto in A e da altri pesi, come E, F pendenti a distanze differenti da A, si vuole sapere quale sia la parte del peso MKIL sostenuta da ciascuno degli altri pesi. Anche in questo caso Stigliola considera un corpo ugualmente disteso applicato alla linea dalla stadera AB; considera poi su AB i punti N e O in modo tale che sia BC = CN e NO = OA. Poiché C è il punto medio di BN il corpo ugualmente disteso BN sta in equilibrio nel punto di sospensione C. Ugualmente, poiché O è il punto medio di NA il corpo ugualmente disteso NA sta in equilibrio nel punto O. Se allora del peso MLKI si prende la parte M tale che il rapporto tra BC e CO sia lo stesso che quello tra la parte del corpo ugualmente disteso applicata sotto NA ed M, cioè: BC NA = CO M il corpo ugualmente disteso applicato a NA, per la Propositione II, sta in equilibrio con M nel punto C. D’altra parte, essendo C punto medio di BN, le parti del corpo ugualmente disteso applicate a BC e a CN si fanno equilibrio in C. Pertanto nel punto C, M fa equilibrio ad AN, e BC fa equilibrio a CN. Dunque M fa equilibrio in C a tutto il corpo ugualmente disteso applicato sotto AB. Ciò equivale a dire che, per mantenere in equilibrio la stadera AB alla quale è applicato un corpo ugualmente disteso basta la sola parte M del peso IKLM. A questo punto Stigliola considera le seguenti relazioni: P D AC ⊗ = F GC Q
e
F GC Q ⊗ = E HC R
dove P, Q, R sono grandezze tra loro omogenee (segmenti) in proporzione continua che, come nel caso delle Propositioni VII e IX, rappresentano i momenti dei pesi D, F, E rispetto a C. Se allora si divide la parte IKL del peso IKLM nelle parti I, K, L tali che P I = K Q
e
K Q = L R
si avrà che D fa equilibrio a I, E fa equilibrio a K e F fa equilibrio a L. La trattazione della stadera termina con la dimostrazione di due proprietà, l’una che l’equilibrio della stadera non dipende dal piano
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in cui la stadera può oscillare,¹ e l’altra che se il punto di sospensione della stadera non sta sulla congiungente i centri di gravità dei due pesi sospesi nei suoi estremi, allora la stadera tende a conservare la sua posizione di equilibrio orizzontale.² Vale la pena rilevare che anche il primo libro del De momentis aequalibus si chiude con una proposizione riguardante la stadera reale,³ nella quale Maurolico mostra come bisogna suddividere l’asta della stadera in funzione del peso del romano e come si debba scegliere in essa fulcro e punto di sospensione dei gravi da pesare in modo che, se il romano sulla prima tacca determina l’equilibrio della stadera dalla quale pende un determinato peso, spostando il romano nelle successive suddivisioni della stadera, questo tenga in equilibrio pesi multipli a quello dato. Si tratta, se si vuole, della taratura di una stadera reale fondata sul fatto che il momento è proporzionale alla distanza. Questa proposizione non trova una corrispondente nel trattato di Stigliola. Tuttavia la via dimostrativa seguita da Stigliola per dimostrare la Propositione IX è molto simile a quella seguita da Maurolico nella sopracitata proposizione. La differenza sostanziale tra il problema trattato da Maurolico e quello trattato da Stigliola consiste nel fatto che il primo considera il peso come multiplo di un peso dato e l’asta suddivisa in parti uguali, laddove invece Stigliola considera il peso come somma di pesi differenti e l’asta non divisa in parti uguali. In tale modo egli risolve un problema più generale di quello di Maurolico. Questi infatti aveva ricercato il modo di ottenere sull’asta della stadera multipli di un momento dato, laddove Stigliola invece aveva inteso mostrare come un determinato momento potesse essere ripartito in una somma di momenti non tutti uguali fra di loro. Con questo argomento si chiude ogni riferimento del trattato di Stigliola al De momentis aequalibus di Maurolico. La materia trattata ¹ Propositione XIII: «La statera di gravezze appese, che facciano equipondo: quantunque dal sito orizontale mossa si stà», ivi, pp. 17-18. ² Propositione XIV: «La statera di gravezze attaccate, che facciano equipondio, se’l ponto della sospensione, non sia nella linea delli centri: mossa dal sito orizontale non starà, ma ritornerà nell’istesso», ivi, pp. 18-19. ³ Cfr. De momentis aequalibus, pp. 110-111 Propositio XXXXIX: «Uniforme grave constituere, ut in spatiis momenta ferat aequalia unicuique multiplici dati ponderis usque ad multiplex dati numeri» («Costruire un grave uniforme, tale che nei suoi vari spazi rechi momenti uguali di un qualsiasi multiplo di un peso dato fino al multiplo di un dato numero»).
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291 nel seguito, per altro, non ha corrispondente nell’opera mauroliciana, e, salvo l’argomento del piano inclinato, relativamente al quale si trova qualche punto di contatto con Leonardo da Vinci, appare essere del tutto originale. 3. I Stigliola dedica un apposito capitolo alla trattazione del vette e della leva. Il vette è definito come la linea, che sostiene gravezza, qual sia nelli sue ponti estremi sostenuta.¹
Tale è il caso della pertica che, sostenuta in spalla da due portatori, serve per trasportare pesi. Questo differisce dalla leva che è la linea che sostenga gravezza, stabilita in un ponto che sotto leva diciamo, et in un altro ponto da possanza, o mossa, o sostenuta.²
Se si ricorre al moderno punto di vista, vette e leva differiscono per essere il primo una leva interresistenziale, e la seconda una leva interflulcrata. Prima di Stigliola, il solo Bernardino Baldi,³ aveva considerato esplicitamente la leva di secondo genere. Ma Stigliola non conobbe le Exersitationes di Baldi che, sebbene composte tra il 1589 e il 1590, furono pubblicate postume soltanto nel 1621.⁴ Bisogna dunque ritenere che egli sia pervenuto autonomamente alla considerazione di questo tipo di leva. Per altro, la designazione con differenti nomi, vette e leva, per questi due tipi di leva si trova soltanto nel suo trattato. Dopo le definizioni Stigliola fissa due Posizioni. Nella prima stabilisce che l’intensità della potenza è misurata da un peso ad essa equivalente pendente, o dallo stesso punto in cui essa è applicata, o da un punto ugualmente distante dal sottoleva.⁵ Nella seconda dice che ¹ Definitione I, p. 20. ² Definitione II, ibidem. ³ Cfr. B. B, In Mechanica Aristotelis Problemata Exercitationes; adiuncta succincta narratione de autoris vita et scriptis, Moguntiae, typis et sumptibus Viduae Joannis Albini, 1621. ⁴ Cfr, R. G, Bilance e leve nel trattato “In Meccanica Aristotelis Problemata Exercitationes” di Bernardino Baldi, in Bernardino Baldi (1553-1617) studioso rinascimentale: Poesia, Storia, Linguistica, Meccanica, Architettura, a cura di E. Nenci, Milano, FrancoAngeli, 2005, pp. 269-301. ⁵ Positione I: «Misuriamo la possanza con una gravezza equivalente, o appesa nell’istesso ponto della possanza, o nell’altro ponto egualmente dal sottoleva discosto», ibidem.
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la linea che sostenga gravezza, stabilita in un ponto che sotto leva diciamo, et in un altro ponto da possanza, o mossa, o sostenuta 70 . i i
Se si ricorre al moderno punto di vista, vette e leva differiscono per essere il primo una leva interresistenziale, e la seconda una leva interflulcrata. Prima di Stigliola, il solo BernardinoiBaldi 71 , aveva “main” considerato esplicitamente la leva—dipage secondo Ma Stigliola non conobbe le — 2007/2/7 — 16:09 292genere. — #151 Exersitationes di Baldi che, sebbene composte tra il 1589 e il 1590, furono pubblicate postume i soltanto nel 1621 72 . Bisogna dunque ritenere che egli sia pervenuto autonomamente alla considerazione di questo tipo di leva. Per altro, la designazione con differenti nomi, vette e leva, per questi due tipi di leva si trova soltanto nel suo trattato. Dopo 292 le definizioni Stigliola fissa due Posizioni. Nella prima stabilisce che l’intensità della potenza è misurata da un peso ed essa equivalente pendente, o dallo stesso punto in cui essa è applicata, o da un punto ugualmente distante dal sottoleva 73 . Nella seconda dice che ciascuna potenza, in quanto sostiene, essere eguale al peso sostenuto.¹ 74
al pesoleva sostenuto potenza, invedere quanto sostiene, eguale della Stigliolaciascuna fa innanzitutto che per essere l’equilibrio e del . vette vale lo stesso principio stabilito per la stadera. Nel primo caso, Stigliola fa innanzitutto vedere che per l’equilibrio della leva e del vette vale lo stesso principio infatti (F. 12), il rapporto tra la potenza e il peso deve essere uguale stabilito per la stadera. Nel primo caso, infatti (FIG. 12), il rapporto tra la potenza e il peso deve al rapporto inverso delle rispettive distanze dal sottoleva.² 75
essere uguale al rapporto inverso delle rispettive distanze dal sottoleva . A
C
B
E D
FIG. 12. F. 12.
Nel secondo caso (F. 13), in cui due potenze sostengono un peso mediante un vette, le porzioni di peso sostenute da dette due po69 Definitione p. 20. tra loro come il rapporto inverso delle distanze dalla tenze I,stanno 70 Definitione II, ibidem. resistenza loro interposta, cioè il peso si ripartisce secondo i mo71 Cfr. B. BALDI, In Mechanica Aristotelis Problemata Exercitationes; adiuncta succincta narratione de autoris vita et scripmenti due potenze rispetto al punto tis, Moguntiae, typisdelle et sumptibus Viduae Joannis Albini, 1621. di applicazione del peso 72 Cfr, stesso. R. GATTO, Bilance e leve nel trattato “In Meccanica Aristotelis Problemata Exercitationes” di Bernardino Baldi, in Bernardino (1553-1617) studioso rinascimentale: Storia, Linguistica, Meccanica, ArchiPartendo Baldi da questo risultato Stigliola prendePoesia, in considerazione tettura, a cura di E. Nenci, Milano, FrancoAngeli, 2005, pp. 269-301. uno dei problemi più discussi dello pseudo-Aristotele, la Questione 73 Positione I: «Misuriamo la possanza con una gravezza equivalente, o appesa nell’istesso ponto della possanza, nella quale chiedediscosto», di conoscere o nell’altroXXIX, ponto egualmente dalsisottoleva ibidem.la ragione per cui, traspor74 tando due uomini un peso sostenendolo in spalla con una sbarra di Ibidem. 75 Stigliola distingue differenti casi, sottoleva tra èla più potenza e la resistenza e quando il sottolelegno, fa piùi due fatica quello deiquando due alil quale il sta peso vicino.³
va è esterno a all’intervallo determinato dalla potenza e dalla resistenza. Nella Propositione I, infatti, dimostra che «Se il sottoleva stia tra la gravezza, e la possanza che sostenga detta gravezza; sarà tra la possanza e il peso la ragio¹ Ibidem. ne, che è tra le parti della leva, reciprocamente», ivi, p. 21, mentre nella Propositione III dimostra che. «Se il sottole² Stigliola distingue i due differenti casi, quando il sottoleva sta tra la potenza e la reva sia fuori della gravezza, e della possanza sarà la ragion della possanza alla gravezza l’istessa, che dell’intervalli sistenza e quando il sottoleva è esterno a all’intervallo determinato dalla potenza e dalla da esse ad resistenza. sottoleva reciprocamente pigliati», p. 23. che «Se il sottoleva stia tra la gravezza, e Nella Propositione I, infatti,ivi, dimostra la possanza che sostenga detta gravezza; sarà tra la possanza e il peso la ragione, che è tra 21 le parti della leva, reciprocamente», ivi, p. 21, mentre nella Propositione III dimostra che. «Se il sottoleva sia fuori della gravezza, e della possanza sarà la ragion della possanza alla gravezza l’istessa, che dell’intervalli da esse ad sottoleva reciprocamente pigliati», ivi, p. 23. ³ Questione XXIX: «Perché quando due uomini trasportano il medesimo peso con un legno o con qualcosa di simile, non sono ugualmente gravati a meno che il peso non sia nel mezzo, ma viene ad essere maggiormente gravato il portatore che è più vicino
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“main” — 2007/2/7 — 16:09 — page 293 — #152 Nel secondo caso (FIG. 13), in cui due potenze sostengono un peso mediante un vette, le porzioni Nel secondo caso (Fda IG. 13), in cui due potenze sostengono un peso mediante un vette, le porzioni di peso sostenute dette due potenze stanno tra loro come il rapporto inverso delle distanze daldi peso sostenute da dette due potenze stanno tra loro come il rapporto inverso delle distanze dalla resistenza loro interposta, cioè il peso si ripartisce secondo i momenti delle due potenze rispetla resistenza loro interposta, cioè il peso si ripartisce secondo i momenti delle due potenze rispetto al al punto puntodidiapplicazione applicazione peso stesso. to deldel peso stesso. 293 FF
D D
G
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G
C C FIG.F 13. F. 13. IG. 13.
Partendo da questo risultato Stigliola prende in considerazione uno dei problemi più discussi delPartendo da questo risultato Stigliola prende in considerazione uno dei problemi più discussi dello pseudo-Aristotele, la Questione XXIX, nella si chiede di conoscere la ragione per cui, Stigliola considera il problema nonquale in stretto riferimento alla partilo pseudo-Aristotele, la Questione XXIX, nella quale si chiede di conoscere la ragione per cui, trasportando colare due uomini un peso in spalla con ma unanella sbarra legno, fa più fatica questione postasostenendolo dallo pseudo-Aristotele, suadimassi76 trasportando due uomini un sostenendolo in spalla con una sbarra di legno, fa più fatica quello dei due al generalità, quale il peso è peso più vicino. ma estendendolo anche 76 al caso in cui la sbarra che soquello dei due al quale il non pesosia è non più vicino. Stigliola considera il problema in stretto riferimento alla questione stiene il peso in posizione orizzontale, maparticolare sia sollevata da posta dallo Stigliola considera il problema non in stretto riferimento alla particolare questione posta dallo pseudo-Aristotele, ma nella sua massima generalità, estendendolo anche al caso cui la sbarra un lato. In quest’ultimo caso (fig. 14), dimostra che, se il centro delin pseudo-Aristotele, ma sia nella sua generalità, estendendolo anche alIncaso in cui la sbarra che sostiene peso il peso non in posizione maleva sia sollevata un lato. quest’ultimo attaccato alla levamassima è al orizzontale, di sopra della stessa, la da potenza apche sostiene ildimostra pesodalla non siaseinilsollevata posizione orizzontale, ma sollevata da un In stessa, quest’ultimo caso (fig. 14),plicata che, centro delsostiene peso attaccato allasia leva è al di sopra della leva parte una parte del peso minore di lato. la potenza applicata dalla parte sollevata sostiene una parte del peso minore di quella sostenuta caso (fig. 14), dimostra che, se il centro del peso attaccato alla leva è al di sopra della leva stessa, quella sostenuta quando la sbarra è nella posizione orizzontale.¹ 77 . quando la sbarra è nelladalla posizione la potenza applicata parte orizzontale sollevata sostiene una parte del peso minore di quella sostenuta
quando la sbarra è nella posizione orizzontale 77 .
F. 14. FIG. 14.
Quando si solleva dalla parte di F il vette che sostiene il peso C por-
Quando si solleva dalla parte di F il vette che sostiene C portandolo dalla posizione orizFIG 14.il peso tandolo dalla posizione orizzontale a . quella obliqua AB, questo si zontale a quella obliqua AB, questo si comporta come una leva inter-resistenziale con il sottolecomporta come una leva inter-resistenziale con il sottoleva in A, la va in A, la in Cparte e la potenza B. Se traccia dail Cpeso la perpendicolare ad posizione AB e la orizQuando si resistenza solleva dalla di F il in vette chesisostiene C portandoloCD dalla perpendicolare all’orizzontale quest’ultima incontra la ABleva in uninter-resistenziale punto E al di sotto con di ED. zontale a quella obliqua AB,GCF, questo si comporta come il sottoleal peso?», cfr. Aristotele, Problemi meccanici, a cura di Maria una Elisabetta Bottecchia Dehò, Essendo dunque EB>DB si deduce che, nel sollevare il vette portando l'estremo F in B, il punto Soveria Mannelli, Rubetino, 2000, pp. 119-120. va in A, la resistenza in C e la potenza in B. Se si traccia da C la perpendicolare CD ad AB e la C si sposta in E¹ Proposizione e si allontana punto Bdelnel quale è applicata la potenza avvicinandosi, invece, VII: dal «Se’l centroquest’ultima peso attaccato ad essa leva sia sopra della leva, E al di perpendicolare GCF, incontra lacit., AB in un punto all'estremo Ainalzata cheall’orizzontale fala leva, da sottoleva. Allora, essendo GCF una leva inter-resistenziale, indicatosotto con di ED. la possanza sostentarà minor peso», De Gli Elementi, pp. 28-29. Essendo dunque EB>DB si deduce che, nel sollevare il vette portando l'estremo F in B, il punto PotF la potenza in F e con P il peso per il vette, vale la relazione
C si sposta in E e si allontana dal punto B nel quale è applicata la potenza avvicinandosi, invece, all'estremo A che fa da sottoleva. Allora, essendo GCF una leva inter-resistenziale, indicato con 76 Questione XXIX: «Perché quando due uomini trasportano il medesimo peso con un legno o con qualcosa di Pot la potenza in F e con P il peso per il vette, vale la relazione F non sono ugualmente simile, gravati a meno che il peso non sia nel mezzo, ma viene ad essere maggiormente gravai
to il portatore che è più vicino al peso?», cfr. Aristotele, Problemi meccanici, a cura di Maria Elisabetta Bottecchia Dehò, 76 Soveria Mannelli, Rubetino, 2000, pp. 119-120. 77 Questione XXIX: «Perché quando due uomini trasportano il medesimo peso con un legno o con qualcosa di Proposizione VII: «Se’l centro del peso attaccato ad essa leva sia sopra della leva, inalzata la leva, la possanza simile, non sonopeso», ugualmente gravati a cit., meno il peso non sia nel mezzo, ma viene ad essere maggiormente gravasostentarà minor De Gli Elementi, pp.che 28-29. i i
to il portatore che è più vicino al peso?», cfr. Aristotele, Problemi meccanici, a cura di Maria Elisabetta Bottecchia 22 Dehò, Soveria Mannelli, Rubetino, 2000, pp. 119-120. 77 Proposizione VII: «Se’l centro del peso attaccato ad essa leva sia sopra della leva, inalzata la leva, la possanza sostentarà minor peso», De Gli Elementi, cit., pp. 28-29.
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resistenza in C e la potenza in B. Se si traccia da C la perpendicolare CD ad AB e la perpendicolare all’orizzontale GCF, quest’ultima incontra la AB in un punto E al di sotto di ED. Essendo dunque EB > DB si deduce che, nel sollevare il vette portando l’estremo F in B, il punto C si sposta in E e si allontana dal punto B nel quale è applicata la potenza avvicinandosi, invece, all’estremo A che fa da sottoleva. Allora, essendo GCF una leva inter-resistenziale, indicato con PotF la potenza in F e con P il peso, per il vette vale la relazione PotF GC = P GF da cui GC PotF = P (4) GF Dunque, la potenza in F deve sopportare una parte di peso uguale al rapporto delle distanze GC e GF. D’altra parte, poiché «il momento opera secondo la sua perpendicolare», per il vette ADB nella posizione obliqua si può scrivere la relazione PotB AD = P AB E poiché AG, CE e BF sono parallele tagliate dalle trasversali AB, GB, GC AE si ha che = e la (4) può anche scriversi GF AB AE PotF = P AB Ora, quando si solleva l’estremo B, il punto del momento del peso P AE diventa il punto E, ed essendo AE < AD, sarà anche AB < AD AB , sicché in B la potenza dovrà sostenere una frazione di peso minore che in F.¹ Si è visto che, nel corso della dimostrazione, Stigliola afferma che «il momento opera secondo la sua perpendicolare»; questa precisazione conferma, ove mai ce ne fosse ancora bisogno, quanto chiaro e corretto fosse il concetto di momento posseduto dallo scienziato nolano. Vale la pena ricordare che anche Galileo nelle sue Mechaniche dedicò uno specifico Avvertimento per spiegare il modo in ¹ Ovviamente avviene il contrario quando, essendo il centro di gravità del peso al disopra della leva, un estremo della leva viene abbassato, o quando il centro di gravità del peso è al disotto della leva e si solleva un estremo della leva (cfr. Appendice I, II, III), ivi, p. 29.
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295 cui si deve considerare la distanza dalla forza agente dal punto di momento.¹ 4. I ’ Una ulteriore e non meno probante dimostrazione della solidità delle idee concepite da Stigliola in merito al concetto di momento, è fornita dalla trattazione del successivo capitolo, Raggi nell’asse, nel quale lo scienziato nolano prende in considerazione i due distinti casi, quello in cui due raggi di una ruota, i cui estremi siano centri di gravità di pesi in essi applicati, stanno sulla stesa retta, e quello in cui, invece detti raggi formano tra loro un angolo diverso dall’angolo piatto.² Alla base della sua trattazione c’è la seguente Positione: Pigliamo, il momento di ciascun peso, secondo il ponto, ove la perpendicolare del momento taglia la linea orizzontale, che passa per l’asse.³
Stigliola, dunque, assume per assioma che, nella considerazione del momento, per distanza deve intendersi il segmento avente per estremi il punto di momento e il piede della perpendicolare tracciata dal peso all’asse considerato. Il problema dell’equilibrio nel caso di raggi sulla stessa retta è, allora, ricondotto a quello della leva, per cui è facile dimostrare che: Delle grandezze poste in raggi che non fanno tra di lor angolo, in qualunque sito poste, li momenti tra di loro hanno l’istessa ragione.⁴
Nella posizione orizzontale (F. 15), infatti, è: MB AB = MC AC Nella posizione di DE MD AG = ME FA e poiché ¹ Cfr. G. G, Le Mecaniche, cit., il capitolo Alcuni avvertimenti circa le cose dette, pp. 52-54. ² Supposizione: «Supponiamo, in uno istesso asse, due raggi c’habbiano nelli suoi stremi li centri de pesi. E detti raggi, o in una pianezza, e che non facciano angolo, o in due, e che facciano angolo», ivi, p. 31. ³ Ibidem. ⁴ Ivi, pp. 31-32.
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Delle grandezze poste in raggi che non fanno tra di lor angolo, in qualunque sito poste, li momenti tra di loro hanno l’istessa ragione 82 .
Nella posizione orizzontale (FIG. 14), infatti, è:
Nella posizione orizzontale (FIG. 14), infatti, è:
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Nella posizione di DE Nella posizione di DE
M AC 0 B = M B AC M C BA = 0 BA — page —M C16:09
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si ha che
si ha che si ha che
AG AGAEAE ACAC = =AC= = AG AE BA = FA DA = DA BA FA FA DA BA MB MD = M M M BMCM DB M =E D MC
= MC ME
ME
FIG. 15.FIG . 15.15. F.
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296 — #155
M D AG = M D AG FA = ME M E FA
296 e poiché e poiché
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FF. IG. 16. FIG. 16. 16.
Se, invece, i raggi nell’asse non stanno sulla stessa retta, ma formaangolo (F. 16), per determinare i punti in cui i pesi B e C si fanno equilibrio,¹ bisogna innanzitutto assumere sulla congiun-24 gente i centri dei pesi B e C il punto D tale che il rapporto dei pesi stessi sia uguale al rapporto inverso delle loro distanze da D, ossia
81 Ibidem. Ibidem. un certo Ivi, pp. 31-32. 82no Ivi, pp. 31-32.
24
B CD = C DA Unito poi D con A si traccia da A la perpendicolare AEF a BD e si assume sulla circonferenza descritta da B il punto G tale che sia ˆ = DAB ˆ e sulla circonferenza descritta da C il punto H tale che EAG ˆ = EAH. ˆ I punti G e H saranno allora i punti in cui i pesi B e DAC C staranno in equilibrio. Infatti, quando B si porta in G percorrendo ˆ D si porta su AE percorrendo l’angolo EAG ˆ = DAB. ˆ l’angolo DAB, ¹ Propositione II: «Date qual si voglia due gravezze, nelli raggi che facciano angolo dato, ritrovar nelle loro circolationi, ponti ove facciano equipondio», ivi, pp. 33-34.
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297 ˆ = EAH, ˆ ossia DAE ˆ + EAC ˆ = EAC ˆ + CAH, ˆ D’altra parte, essendo DAC ˆ ˆ segue che DAE = CAH, il che vuol dire che, quando C si porta in H il punto D si porta sulla AE. Dunque, mentre B si porta in G e C si porta in H, il punto D, che è il comune centro dei pesi B e C, si porta sulla AE, ossia sulla perpendicolare del sostentamento e i pesi saranno in equilibrio. In modo analogo Stigliola risolve il problema della determinazione dei punti in cui i momenti dei pesi agli estremi di due raggi formanti un certo angolo stiano in un rapporto assegnato.¹ Queste considerazioni costituiscono una premessa per la trattazione del successivo capitolo dedicato alle Rote vettive. Tuttavia, prima di affrontare questo argomento, Stigliola parla dei Momenti centrali. Lo fa, in vero, in modo assai sintetico, dicendo: E quanto delli momenti paralleli habbiamo mostrato, tutto si adatterà anco alli momenti concorrenti à centro: se in vece di linee dritte consideriamo le circolari d’intorno il centro ove li momenti concorrono: e in dette circolari si faccia l’istessa partitione: e se in vece delli corpi terminati, da superficie parallele, s’intendano altri corpi terminati, parte da superficie sferiche c’habbiano detto centro: parte da superficie piane che passano per esso.²
Qui è evidente che per momenti paralleli bisogna intendere momenti di forze (potenze e resistenze) parallele, quali ad esempio sono i pesi che pendono dagli estremi della bilancia, e per momenti centrali i momenti di forze (potenze e resistenze) che non sono parallele e le cui rette di azione convergono in un punto. La distinzione tra momenti paralleli e momenti centrali conferma il fatto che Stigliola concepiva il momento come una grandezza caratterizzata non solo dal modulo, ma anche da una direzione. Questo importante aspetto emerge anche in altri punti del seguito. Nel capitolo delle Rote vettive, che fa seguito immediatamente a queste considerazioni, Stigliola considera il differente comportamen¹ Proposizione I (ma leggasi III): «Date qual si voglia due grandezze nelli dati raggi, che fanno dato angolo ritrovar nelle loro circolazioni, ponti ove il momento dell’uno, al momento dell’altro habbia qual si voglia data ragione». ² Ivi, p. 37. È molto probabile che una più estesa trattazione di qusto specifico argomento doveva essere contenuta nel capitolo previsto nella Enciclopedia Pitagorea, Delli due momenti delle parti, delle sfere prime di natura: l’uno detto centrale, et l’altro assale, che mai vide la luce.
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to di una ruota o di più ruote congiunte insieme¹ in movimento su di un piano orizzontale e su di un piano inclinato. Pone alla base della sua trattazione due Positioni con le quali caratterizza l’effetto del momento di forze agenti su una ruota vettiva, e più propriamente che ogni forza con cui una ruota vettiva viene tirata o spinta aggiunge momento nella direzione in cui essa agisce,² e che se il centro del peso della ruota sta sulla linea di sospensione o di sostentamento, il peso non ha momento in alcuna direzione.³ Dimostra quindi che, se una ruota vettiva si muove su di un piano orizzontale, il suo centro di peso sta sempre nella perpendicolare del sostentamento.⁴ infatti che,delconsiderata la sulla linea AB e su momento nella direzione in cuiFa essa agisce 87osservare , e che se il centro peso della ruota sta linea 88 di sospensione di sostentamento, il peso non ha alcuna direzione di essa oun cerchio tangente ABmomento in uninpunto C (F.. 17), il diametro Dimostra quindi che, se una ruota vettiva si muove su di un piano orizzontale, il suo centro di CD, perpendicolare in C ad AB, divide la ruota in due parti uguali 89 peso sta sempre nella perpendicolare del sostentamento . Fa infatti osservare che, considerata la Pertanto è la sostentamento linea eABequiponderanti. e su di essa un cerchio tangente AB inesso un punto C (Flinea IG. 17),di il diametro CD, perpendi- a cui colare in C ad AB, divide la ruota in due parti uguali e equiponderanti. Pertanto esso è la linea di appartiene il centro della ruota che è anche il centro di gravità della sostentamento a cui appartiene il centro della ruota che è anche il centro di gravità della stessa. stessa. Risulta allora manifesto che,
FIG. 17.
F. 17.
Risulta allora manifesto che,
rote,delle su quali l’asse qualicheposi la gravezza: che nel piano nelle nelle rote, su l’asse posidelle la gravezza: nel piano orizzontale, non habbiano momentoorizzontale, né verso l’una, né verso l’altra parte 90 non habbiano momento né verso l’una, né verso l’altra parte⁵
da che si trae che
¹ Stigliola distingue la congiunzione semplice da quella molteplice:91 si ha la prima (Definiqualsivoglia possanza, le porterà così nell’una, come nell’altra parte . tione I) quando le ruote sono congiunte su di uno stesso asse; la seconda (Definitione II) quando le ruote sono congiunte su risultato più assi.che, su un piano orizzontale, per mettere in In tal modo Stigliola stabilisce l’importante ² Positione I. «Poniamo o trattiva, o forza. pulsiva, giunger momento moto una ruota soggetta al solo suoogni pesoforza, basta una qualsiasi Corregge dunque Pappoverso che, quella ove tira,matematiche, o spinge», ivi, p. 39. nelle parte, sue Collezioni aveva erroneamente affermato che per mettere in moto un cor92 po su di³ un piano orizzontale occorre al peso del linea corpodell’appendimento, . È interessante notare Positione II: «E se’l centrouna delforza pesouguale sia nell’istessa o sostenche anche Galileo nella versione lunga Le Mecaniche stabilisce con assoluta chiarezza se parte», tamento: che la gravezza non de habbia momento, ne verso l’una, ne verso che, l’altra si considera ibidem.il problema dal punto di vista prettamente geometrico, ovvero se si astrae dall’attrito, dalla resistenza del mezzo e da ogni altro accidente, un corpo su di un piano orizzontale è mosso 93 ⁴ Propositione I: «Della rotache vettiva, che si move sopra dialun«qual piano «da qualunque minima forza» , cosa è perfettamente equivalente si orizzontale, voglia possan-il centro peso sempre è nella perpendicolare sostentamento», ivi,ilpp. 39-40. nella sua za» didel Stigliola. Dobbiamo supporre che Stigliola,del come Galileo, consideri problema ⁵ Appendice II, ivi, p. 40che il corpo di cui si sta parlando sia una sfera geometrica pogpura essenza geometrica, ovvero
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87 Positione I. «Poniamo ogni forza, o trattiva, o pulsiva, giunger momento verso quella parte, ove tira, o spinge», ivi, p. 39 88 Positione II: «E se’l centro del peso sia nell’istessa linea dell’appendimento, o sostentamento: che la gravezza non habbia momento, ne verso l’una, ne verso l’altra parte», ibid. 89 Propositione I: «Della rota vettiva, che si move sopra di un piano orizzontale, il centro del peso sempre è nella perpendicolare del sostentamento», ivi, pp. 39-40. 90 Appendice II, ivi, p. 40 91 Appendice III, ibidem. 92 Cfr. PAPPO ALESSANDRINO, Mathematicae Collectiones, cit., p. 459. 93 G. GALILEO, Le mecaniche, cit., V. l., ll. 895-896.
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299 da che si trae che qualsivoglia possanza, le porterà così nell’una, come nell’altra parte.¹
In tal modo Stigliola stabilisce l’importante risultato che, su un piano orizzontale, per mettere in moto una ruota soggetta al solo suo peso basta una qualsiasi forza. Corregge dunque Pappo che, nelle sue Collezioni matematiche, aveva erroneamente affermato che per mettere in moto un corpo su di un piano orizzontale occorre una forza uguale al peso del corpo². È interessante notare che anche Galileo nella versione lunga de Le Mecaniche stabilisce con assoluta chiarezza che, se si considera il problema dal punto di vista prettamente geometrico, ovvero se si astrae dall’attrito, dalla resistenza del mezzo e da ogni altro accidente, un corpo su di un piano orizzontale è mosso «da qualunque minima forza»,³ cosa che è perfettamente equivalente al «qual si voglia possanza» di Stigliola. Dobbiamo supporre che Stigliola, come Galileo, consideri il problema nella sua pura essenza geometrica, ovvero che il corpo di cui si sta parlando sia una sfera geometrica poggiata su di un piano geometrico. In ogni caso è bene sottolineare che Stigliola giunge alle sue conclusioni seguendo un percorso differente da quello di Galileo. La via da lui seguita, per vari aspetti, è molto simile a quella di Erone, ma l’opera di meccanica in cui questo autore tratta delle macchine semplici, fu riscoperta soltanto sul finire del sec. XIX,⁴ il che esclude ogni possibile diretta influenza di detta opera sullo scienziato nolano. Probabilmente questi conobbe la trattazione del piano inclinato di Leonardo da Vinci, come dimostrerebbe la successiva Propositione II⁵ nella quale si prende in considerazione il problema del piano inclinato da lui così enunciato: ¹ Appendice III, ibidem. ² Cfr. P A, Mathematicae Collectiones, cit., p. 459. ³ G. G, Le Mecaniche, cit., V. l., ll. 895-896. ⁴ Il Baroulkos, ovvero la meccanica di Erone di Alessandria, ci è giunto in una versione araba del nono secolo dovuta a Qust¯a b. L¯uq¯a di Baalbek. Questo testo è stato tradotto in francese da Carra di Vaux e pubblicato in più fascicoli del Giornale Asiatico nel 1893. Successivamente, nel 1894, venne ristampato per formare il volume Les Mècaniques ou L’élévateur de Hèron d’Alexandrie publiées pour la première fois sur la version arabe de Qostà ibn Lùqà et traduit en Fançais par M. le Baron Carra de Vaux. Extrait du Journal Asiatique, Paris, Imprimerie Nationale, 1894. ⁵ Cfr. Codice Atlantico 358 r. b. e il manoscritto M 412 r pubblicato anche da C. T, Essays on the history of mechanics, 1968.
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300 su di un piano geometrico. In ogni giata caso è bene sottolineare che Stigliola giunge alle sue conclusioni seguendo un percorso differente da quello di Galileo. La via da lui seguita, per vari aspetti, è molto simile a quella di Erone, ma l’opera di meccanica in cui questo autore tratta delle macchine semplici, fu riscoperta soltanto sul finire del sec. XIX 94 , il che esclude ogni possibile Nellainfluenza rota che porta piano inchinato, il centro delquesti peso, è fuori della diretta di si detta operaper sullo scienziato nolano. Probabilmente conobbe la trattaperpendicolare del di sostentamento, il momento della rota appoggiata zione del piano inclinato Leonardo da Vinci,etcome dimostrerebbe la successiva Propositioneal 95 IIpiano, nella quale si prende in della considerazione il problemaladel piano inclinato da luil’eccesso così enunciato: al momento rota sospesa, ragione ha, che delle portioni circolo, al circolo Nella rota chedel si porta per piano inchinato, tutto.¹ il centro del peso, è fuori della perpendicolare del sostentamento, et il momento della rota appoggiata al piano, al momento della rota sospesa, la ragione ha, che l’eccesso delle portioni del circolo, al circolo tutto. 96
F. 18. FIG. 18. Se, infatti, AB rappresenta il piano orizzontale, AC il piano inclinato e DEF la ruota che tocca quest’ultimo piano nel punto D (punto di sostentamento), la perpendicolare FDB per questo punSe, infatti, AB rappresenta il piano orizzontale, AC il piano inclinato to ad AB non contiene il centro del cerchio (FIG. 18). Infatti, essendo il triangolo ADB rettangoˆ A è acuto e DEF che«etocca nel DGF, punto D (punto di D lo, l’angololaBruota perciò –quest’ultimo conclude Stigliola piano – la portione è maggiore del semicircolo ed in essa sarà il centro del circolo, che è anco centro di peso». Il centro del peso, dunsostentamento), la perpendicolare FDB per questo punto ad AB non que, cade fuori della linea del sostentamento sicché la ruota non sta in equilibrio, ma discende contiene centroSe,del cerchio (F. 18). Infatti, il triangolo lungo il pianoilinclinato. infatti, si descrive la porzione di cerchioessendo DHF simmetrica rispetto a ˆ DF dellarettangolo, DEF, essendo uguali questeBdue si faranno la lunula DGF che, ADB l’angolo DAparti è acuto «eequilibrio. perciò Resta – conclude Stiglionon essendo equilibrata da altro, fa discendere la ruota verso il basso. Stigliola spiega la cosa in la – la portione DGF, è maggiore del semicircolo ed in essa sarà termini di momento. Infatti scrive:
il centro del circolo, che è anco centro di peso». Il centro del peso, dunque, cade fuori della linea del sostentamento sicché la ruota non sta in equilibrio, ma discende lungo il piano inclinato. Se, infatti, si descrive la porzione di cerchio DHF simmetrica rispetto a DF della Il Baroulkos, ovvero la meccanica di Erone di Alessandria, ci è giunto in una versione araba del nono secolo DEF, essendo uguali queste due parti si faranno equilibrio. Resta la dovuta a Qustā b. Lūqā di Baalbek. Questo testo è stato tradotto in francese da Carra di Vaux e pubblicato in più fascicoli del 1893. Successivamente, nel 1894, venne il volume Les lunulaGiornale DGF Asiatico che, nel non essendo equilibrata daristampato altro,perfaformare discendere la Mècaniques ou L’élévateur de Hèron d’Alexandrie publiées pour la première fois sur la version arabe de Qostà ibn ruota verso il basso. spiega laExtrait cosaduinJournal termini diParis, momento. Lùqà et traduit en Fançais par M.Stigliola le Baron Carra de Vaux. Asiatique, Imprimerie Nazionale, 1894. Infatti scrive: Cfr. Codice Atlantico 358 r. b. e il manoscritto M 412 r pubblicato anche da C. TRUSDELL, Essays on the il momento della rota appoggiata sarà meno che della rota sospesa, secondo la ragione della figura lunulare a tutto il circolo: cio è secondo la ragione dell’eccesso delle portioni, al circolo tutto 97 .
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history of mechanics, 1968. 96 De Gli Elementi, cit., p. 41. 97 Ivi, p. 42.
il momento della rota appoggiata sarà meno che della rota sospesa, secondo la ragione della figura lunulare a tutto il circolo: cio è secondo la 27 ragione dell’eccesso delle portioni, al circolo tutto.² ¹ De Gli Elementi, cit., p. 41.
² Ivi, p. 42.
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301 In tal modo lo scienziato nolano spiega perché la ruota scende lungo il piano inclinato, ma non fornisce una relazione tra i parametri caratteristici del piano inclinato che consenta di determinare analiticamente la forza necessaria a mantenere in equilibrio un corpo sul piano inclinato. Tuttavia la relazione tra momenti da lui determinata, sebbene poco utilizzabile nella pratica, è efficace a mostrare che non Intutto il lopeso della ruota, ovvero l’intero suo momento, ma solo tal modo scienziato nolano spiega perché la ruota scende lungo il piano inclinato, ma non fornisce una relazione tra i parametri caratteristici del piano inclinato che consenta di determinauna resua parte è causa del moto lungo il piano inclinato. Come dire analiticamente la forza necessaria a mantenere in equilibrio un corpo sul piano inclinato. Tutche tavia la componente efficace moto èsebbene quella allapratica, parte di peso la relazione tra momenti da luialdeterminata, poco dovuta utilizzabile nella è efficace a mostrare che non tutto il peso della ruota, ovvero l’intero suo momento, ma solo una sua relativa DGF.¹ parte èalla causa lunula del moto lungo il piano inclinato. Come dire che la componente efficace al moto è quella dovuta alla parte di peso relativa alla lunula DGF 98 .
FIG. 19. F. 19.
Stigliola completa poi la sua trattazione con la considerazione delle ruote congiunte (congiogate) mostrando che, nel caso che queste siano su di un piano orizzontale, i loro assi sostengono un peso in ragione inversa alle distanze del punto del momento dagli assi 99 ; nel caso in cui le stesse ruote si trovano su di un piano inclinato, l’asse della ruota inferiore sosterrà un peso maggiore di quello sostenuto sul piano orizzontale 100 . Poiché il punto di momento appartiene alla perpendicolare all’orizzontale, quando il sistema delle ruote congiunte sta sul piano orizzontale, il suo punto di momento è G; quando, invece, sta su di un piano inclinato, il suo punto di momento è H. E poiché EH>EG e DH
Stigliola completa poi la sua trattazione con la considerazione delle ruote congiunte (congiogate) mostrando che, nel caso che queste siano su di un piano orizzontale, i loro assi sostengono un peso in ragione inversa alle distanze del punto del momento dagli assi;² nel caso in cui le stesse ruote si trovano su di un piano inclinato, l’asse ¹ Vale la pena far rilevare che la via intrapresa da Stigliola non trova riscontro nella letteratura matematica del tempo. Solo nel 1629 un allievo di Gregorio di S. Vincenzo, 98 Vale la pena far rilevare che la via intrapresa da Stigliola non trova riscontro nella letteratura matematica del nel collegio gesuitico Lovanio, diede una dimostrazione pianodiede inclinato rifacendosi tempo. Solo nel 1629 un di allievo di Gregorio di S. Vincenzo, nel collegio gesuiticodel di Lovanio, una dimostrazione delleonardiano piano inclinato rifacendosi al modello leonardiano (cfr. Theoremata Mathematicae Scientiae al modello (cfr. Theoremata Mathematicae Scientiae Staticae De Staticae ductu De Ponderum ductu Ponderum per Planitiem Recta et oblique Horizontem decussantem. Defendenda ac Demonstranda in Colleper Planitiem Recta et oblique Horizontem decussantem. in Collegio gio Societatis Iesu Lovanij a Gualtiero Van Aelst Anteurpiensi PraesideDefendenda R. P. Gregorio Aac S. Demonstranda Vincentio. Anno 1629). 99 De GliLovanij Elementi, Propositione III: «Se unAelst peso siaAnteurpiensi portato da due congioigationi di rote, sarà il peso sostenuto Societatis Iesu a Gualtiero Van Praeside R. P. Gregorio A S. Vincentio. dalli due assi compartitamene, secondo la ragione delle distanze del momento de gli assi, reciprocamente», pp. 43Anno 1629). 44. 100 Propositione IIII: «Se’l peso sia portato da due congiogationi di rote per piano inchinato: sostenta l’asse delle ² DeroteGli Elementi, Propositione III:che«Se unnel peso portato due congioigationi di rote, inferiori di detto peso, maggior portione se fusse pianosia orizontale», ivi, da pp. 44-45. sarà il peso sostenuto dalli due assi compartitamene, secondo la ragione delle distanze del 28 momento de gli assi, reciprocamente», pp. 43-44.
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della ruota inferiore sosterrà un peso maggiore di quello sostenuto sul piano orizzontale.¹ Poiché il punto di momento appartiene alla perpendicolare all’orizzontale, quando il sistema delle ruote congiunte sta sul piano orizzontale, il suo punto di momento è G; quando, invece, sta su di un piano inclinato, il suo punto di momento è H. E poiché EH > EG e DH < DG, la ruota che sta più in basso sosterrà una porzione di peso secondo il rapporto EH/ED che è più grande del rapporto DH/ED che rappresenta la parte di peso sostenuta dalla ruota superiore. Segue una breve trattazione delle taglie nella quale Stigliola, dopo aver posto la distinzione tra taglia stabile e mobile mostra, fondando ancora una volta le sue argomentazioni sul concetto di momento, i principi generali del funzionamento di tali macchine. Dimostra così che ogni corda proveniente dalla taglia superiore all’inferiore e dall’inferiore alla potenza sostiene un’uguale parte di peso; che se un capo della corda avvolta alle girelle è legato alla taglia superiore o ad un termine fisso, il peso sostenuto è distribuito secondo un numero pari; se, invece, un capo, delle corda è avvolta alla taglia inferiore, il peso sostenuto è distribuito in parti secondo un numero dispari. Questo capitolo si conclude con la risoluzione di due problemi: nel primo si chiede di determinare in una taglia il numero minimo di girelle con le quali una data potenza possa sollevare un dato peso; nel secondo di conoscere quante taglie costituite da una sola girella ciascuna o quante taglie costituite da più girelle bisogna applicare per sollevare un determinato peso con velocità maggiore di una qualsiasi velocità prefissata.² 5. L Particolarmente interessante è l’argomento delle Rote motive, ovvero della trasmissione del movimento tra ruote «che stanno co’l toccamento», quali sono ad esempio le ruote dentate. Questo argomento fu poco trattato dagli studiosi di meccanica del ‘500. Non fu preso in considerazione da Maurolico, Guidobaldo, Benedetti, per citare alcuni dei maggiori autori che si interessarono di questa disci¹ Propositione IIII: «Se’l peso sia portato da due congiogationi di rote per piano inchinato: sostenta l’asse delle rote inferiori di detto peso, maggior portione che se fusse nel piano orizontale», ivi, pp. 44-45. ² Ivi, pp. 47-57.
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303 plina. Qualche cosa in merito scrisse Galileo nella versione breve de Le Mecaniche. Entrando qui in gioco tutto un sistema di ruote ciascuna con un movimento proprio, e quindi con un momento proprio, Stigliola mette in risalto la possibilità di sommare o sottrarre i momenti a seconda del verso del moto da essi prodotto. Definisce infatti momenti concorrenti quelli che portando verso l’istessa parte, si accrescono¹
e, momenti contrari, quelli che s’impediscono portando in contrario”²
Assume poi come assioma che potenze uguali in ruote di uguali semidiametri hanno momenti uguali,³ in ruote di semidiametri differenti hanno momenti in ragione dei semidiametri stessi⁴ e che momenti contrarij, per quanto si annullano, l’uno essere eguale all’altro.⁵
La trattazione di Stigliola, in merito, è alquanto articolata prendendo egli in considerazione varie situazioni. Dimostra per prima cosa che, data una serie di ruote congiunte ciascuna avente un proprio asse i cui punti di contatto appartengono al segmento congiungente i loro centri, se la potenza agente sulla prima ruota è annullata da quella agente sull’ultima ruota, allora le due potenze sono uguali.⁶ Fa poi vedere che se due ruote sono congiunte sullo stesso asse ed hanno uguale momento, allora il rapporto delle potenze agenti sulle due ruote è uguale al rapporto inverso dei raggi delle ruote stesse.⁷
¹ Definitione I, ivi, p. 58. ² Definitione II, ibidem. ³ Positione I: «Poniamo, possanze eguali in circonferenze di rote eguali, haver momenti eguali», ibidem. ⁴ Positione II: «Et in rote ineguali haver momento ineguale, secondo ragio de semidiametrj», ivi, p. 59. ⁵ Positione III, ibidem. ⁶ Proposizione I: «Se quante si voglia rote, una per asse, si tocchino: e poste le possanze l’una nella circonferenza della prima, e l’altra dell’ultima, si rattengono: saranno le possanze ugualj», ivi, pp. 59-60. ⁷ Proposizione II: «delle rote in uno asse la possanza, che fa eguale momento nella rota maggiore è di valor minore: e nella minore è di valor maggiore, nella ragione de semi diametri reciproca», ivi, pp. 60-61.
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FIG. 20.F.
FIG. 20.
FIG. 21.
20.
FIG. 21. F. 21. Infine considera la congiunzione di due diversi sistemi di ruote sullo stesso asse (FIG. 22) e fa ruote sullo stessodaasse (FIG . 22) e fa Infine considera congiunzione di due diversi sistemi vedere che se lalapotenza agente sulla prima ruota del primodisistema è annullata quella agente vedere che seruota la potenza agente sulla prima ruota del primo sistema è annullata sull’ultima del secondo sistema, allora il rapporto tra le due potenze è uguale da allaquella ragione Infine dal considera la congiunzione di due diversi sistemi diuguale ruote sul-agente composta ruota rapporto dei semidiametri delle ilruote congiunte ciascun asseè presi reciprocasull’ultima del secondo sistema, allora rapporto tra lesudue potenze alla ragione lo stesso asse (F. 22) e fa vedere che se la potenza mente, ovvero composta dal rapporto dei semidiametri delle ruote congiunte su ciascun agente asse presisulla reciproca-
mente, ovvero prima ruota del primo sistema è annullata da quella agente sull’ulti-
PB FD CA ma ruota del secondo sistema, =allora il rapporto tra le due potenze PPFB DC AB CA è uguale alla ragione composta dalFDrapporto dei semidiametri delle = PF DC AB ruote su ciascunleasse presi ovvero dove PB e congiunte PF denotano rispettivamente potenza agentireciprocamente, in B in F 109 .
dove PB e PF denotano rispettivamentePle CAin B in F109 . FD agenti B potenza
= ⊗ PF DC AB dove PB e PF denotano rispettivamente le potenza agenti in B in F.¹ Questi problemi costituivano dei casi paradigmatici a partire dai quali si potevano risolvere altre questioni più complesse relative a ruote congiunte risultanti dalla combinazione dei suddetti casi.² Gli Elementi Mechanici si chiudono con la seguente esposizione dei Momenti acquistati: FIG. 22.
Poniamo degli momenti, altri esser intrinsechi: altri acquistati, et altri miQuesti problemi costituivano dei casi paradigmatici a partire dai quali si potevano risolvere altre FIG. 22. questioni più complesse relative a ruote congiunte risultanti dalla combinazione dei suddetti ca110¹ Propositione III: «Se le rote, poste a due in ciascun asse, si tocchino: e le possanze, si . poste l’una nella prima, l’altra nell’ultima rota, si arattengono: lasiragion dell’una pos- altre Questi costituivano casi paradigmatici partire dai sarà quali potevano risolvere acquistati: Gliproblemi Elementi Mechanici si dei chiudono con la seguente esposizione dei Momenti
sanza più all’altra l’istessa,relative che la aragion composta delli semidiametri, che sono su questioni complesse ruote congiunte risultanti dalla combinazione deil’istesso suddetti capigliate reciprocamente», pp.in62-63. III: «Se le rote, posteivi, a due ciascun asse, si tocchino: e le possanze, poste l’una nella prima, si 110asse, . 109 Propositione l’altra nell’ultima rota, si rattengono: sarà la ragion possanzaesposizione all’altra che la ragion composta delli Alla fineMechanici di detta trattazione Stigliola quellol’istessa, che dei oggi si direbbe un proGli²Elementi si chiudono condell’una la proponeva seguente Momenti acquistati: semidiametri, che sono su l’istesso(Propositione asse, pigliate reciprocamente», ivi, pp. 62-63. tardità di possanza. e qualblema di ottimizzazione IV): «Data qualsivoglia 110 Alla fine di detta trattazione Stigliola proponeva quello che oggi si direbbe un problema di ottimizzazione 109 sivoglia velocità: e qualsivoglia data la ragion diametri delle congiogate: minimo Propositione III: «Se le rote, poste a dei due in ciascun asse, sirote tocchino: e eledata possanze, l’una nella (Propositione IV): «Data tardità di possanza. e qualsivoglia velocità: laritrovar ragionposte deiun diametri delleprima, numero di congiogationi, che laladiragion data possanza mova laall’altra cosa con maggior della l’altra nell’ultima rota, si rattengono: sarà dell’una si possanza l’istessa, che la velocità ragion composta rote congiogate: ritrovar un minimosinumero congiogationi, che la data possanza mova la cosa con maggior ve- delli locità dellaivi, data», ivi, pp. 66-67. Il volumetto contiene anche una una breve trattazione del cuneo edel dellacuneo vite. e della semidiametri, chepp. sono su l’istesso asse, pigliate reciprocamente», ivi,breve pp. 62-63. data», 66-67. Il volumetto contiene anche trattazione 110 Alla fine di detta trattazione Stigliola proponeva quello che oggi si direbbe un problema di ottimizzazione vite. 30 (Propositione IV): «Data qualsivoglia tardità di possanza. e qualsivoglia velocità: e data la ragion dei diametri delle rote congiogate: ritrovar un minimo numero di congiogationi, si che la data possanza mova la cosa con maggior velocità della data», ivi, pp. 66-67. Il volumetto contiene anche una breve trattazione del cuneo e della vite.
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vedere che se la potenza agente sulla prima ruota del primo sistema è annullata da quella agente sull’ultima ruota del secondo sistema, allora il rapporto tra le due potenze è uguale alla ragione composta dal rapporto dei semidiametri delle ruote congiunte su ciascun asse presi reciprocai mente, ovvero
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“main” — 2007/2/7 — 16:09 — page 305 — #164 PB FD CA = PF DC AB
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dove PB e PF denotano rispettivamente le potenza agenti in B in F 109 .
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22. FF. IG. 22.
Questi problemi costituivano dei casi paradigmatici a partire dai quali si potevano risolvere altre sti: et intrinsechi quelli, che non da movimento precedente dipendono: coquestioni più complesse relative a ruote congiunte risultanti dalla combinazione dei suddetti came sono gli movimenti delle gravezze in giù, e del corpo leggiero dentro 110 si . l’humor più grave in su. Acquistati quelli, che seguono l’impression fatGli Elementi Mechanici si chiudono con la seguente esposizione dei Momenti acquistati: ta da precedente movimento: come il movimento della cosa lanciata, che segue il movimento del braccio, o della corda. Misti, come il movimento 109 Propositione III: «Se le rote, poste a due in ciascun asse, si tocchino: e le possanze, poste l’una nella prima, delle gravezze dopo l’haver dato principio a muoversi: per il che veggial’altra nell’ultima rota, si rattengono: sarà la ragion dell’una possanza all’altra l’istessa, che la ragion composta delli di vicino lasciati,reciprocamente», muoversi con ivi, minor momento, che lasciati semidiametri, chemo sonolisupesi l’istesso asse, pigliate pp. 62-63. 110 di lontano: e molte cose portate dalla proprio gravezza nell’aria penetrar Alla fine di detta trattazione Stigliola proponeva quello che oggi si direbbe un problema di ottimizzazione contro di quel che porta l’intrinseco momento: dopo (Propositione IV):sotto «Datal’acqua, qualsivoglia tardità di possanza. e qualsivoglia velocità: e dataonde la ragion dei diametri delle rote congiogate: ritrovar minimo numero di congiogationi, che la data mova la cosa con maggior vel’essereunaffondate da se stessi ritornare si a galla. Et ilpossanza momento intrinseco locità della data»,esser ivi, pp. 66-67. Il volumetto contiene anche una breve trattazione del cuneo l’istesso sempre, l’acquistato, mancando la causa di ponersi, ee della con ilvite. tempo, e dall’impedimento che le faccia resistenza.¹ 30
Quest’ultima caratterizzazione si presta almeno ad una riflessione. Ci riferiamo alla frase «come sono gli movimenti delle gravezze in giù, e del corpo leggiero dentro l’humor più grave in su» che lascia intendere senza ombra di dubbio che in Stigliola era avvenuto il pieno superamento della concezione aristotelica dei luoghi naturali. Egli, infatti, giustifica il moto di corpi verso l’alto per il fatto di essere immersi in un ambiente di essi «più grave». E questa sua visione moderna delle cose ci fa ancor più rimpiangere la perdita di tante sue opere che probabilmente avrebbero rivelato in lui una personalità scientifica di assoluto valore, e giustificato la considerazione in cui fu tenuto dai suoi contemporanei. Pervenuto in redazione il 16 /4/06 ¹ Ivi, p. 68.
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IS T RU Z I O NI PER GLI AUTORI «Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche» pubblica manoscritti e carteggi inediti di maIdelletematici del passato, saggi bibliografici ed articoli originali riguardanti la storia della matematica e scienze affini. Tranne casi eccezionali, gli articoli dovranno essere scritti in italiano, inglese, francese, latino o tedesco. I lavori presentati per la pubblicazione dovranno essere inviati in duplice copia al seguente indirizzo: Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche Dipartimento di Matematica Viale Morgagni 67/A I - 50134 Firenze (Italia) I manoscritti inviati non verranno restituiti; gli Autori dovranno aver cura di conservarne almeno una copia. I lavori dovranno essere forniti su floppy disk o su altro supporto elettronico, allegando copia cartacea a spaziatura doppia. Una cura speciale dovrà essere usata per i riferimenti bibliografici che devono essere i più completi possibile in modo da permettere l’identificazione immediata della fonte. In particolare per le opere moderne si indicherà: A, Titolo completo, editore, Luogo e data di pubblicazione (per i libri) ovvero «Rivista», Volume, Anno e pagine (per gli articoli). Per le opere più antiche è consigliabile un’accurata trascrizione del frontespizio. Le figure nel testo vanno disegnate a parte su carta lucida, con inchiostro di china a grandezza doppia del naturale, indicando sul dattiloscritto il luogo dove devono essere inserite. Gli Autori dovranno fornire: l’indirizzo dell’istituzione a cui appartengono, il proprio indirizzo postale, quello e-mail, numero di telefono e fax. Dovranno altresì inviare un abstract in inglese di non più di 10 righe. Gli Autori riceveranno un solo giro di bozze, che dovranno essere tempestivamente corrette e restituite all’Editore; eventuali modifiche e/o correzioni straordinarie apportate in questo stadio sono molto costose e saranno loro addebitate. Nel caso di articoli in collaborazione le bozze saranno inviate al primo Autore, a meno che non sia esplicitamente richiesto altrimenti. Di ogni articolo gli Autori riceveranno gratuitamente 50 estratti.
* I N S T RU C T I ONS FOR AUTHORS «Bollettino» publishes correspondence and unpublished manuscripts of interest in the history T of mathematics, bibliographical essays and original papers concerning the history of mathematical sciences. Its preferred languages are Italian, English, French, German, and Latin. Papers submitted for publication should be sent in two copies to: Bollettino di Storia delle Scienze matematiche Dipartimento di Matematica Viale Morgagni 67/A I - 50134 Firenze (Italia) Manuscripts forwarded will not be returned. Authors will have to make sure that they keep at least another copy of them. Articles should be sent on floppy disk or other electronic support, together with a paper copy, typed in double spacing. Special care should be taken over bibliographic references, which must be as complete as possible. In particular, for modern works it is necessary to indicate: A, Complete title, Publisher, place and date of publication (for books) or else «Journal», Volume, year and pages (for articles). For older works, a precise transcription of the title page is advisable. Figures in the text must be drawn in double size on separate sheets of glossy paper in black ink, indicating on the manuscript where are to be placed. Authors must communicate the complete address of the institution to which they belong, their postal address, e-mail address, and telephone and fax numbers. In addition, a concise and informative abstract in English (not exceeding 10 lines) is required. Authors will usually receive one set of proofs, which must be corrected and promptly returned to the publisher; any additional modifications after this stage are very expensive and will be charged to the Authors. In case of joint works, proofs will be sent to the first Author unless otherwise requested. Authors will receive fifty offprints of each paper free of charge.
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LA M AT E M AT I CA ANTICA IN CD-ROM dei maggiori problemi nell’insegnamento e nella ricerca in Storia U della matematica consiste nella difficoltà di accedere alle opere originali dei matematici dei secoli passati. Ben pochi autori, in genere solo i più importanti, hanno avuto edizioni moderne; per la maggior parte occorre rivolgersi direttamente alle edizioni antiche, presenti solo in poche biblioteche. Questa situazione è particolarmente gravosa nei centri privi di biblioteche importanti, dove anche lo svolgimento di una tesi di laurea in storia della matematica è ritardato dai tempi, a volte lunghissimi, necessari per procurarsi fotocopie o microfilms delle opere necessarie, ma sussiste anche nei centri maggiori, dove in ogni caso l’accesso ai volumi antichi è sottoposto a controlli e limitazioni. Per ovviare almeno in parte a questi inconvenienti, e permettere una maggiore diffusione della cultura storico-matematica, il Giardino di Archimede ha preso l’iniziativa di riversare su CD-rom e diffondere una serie di testi rilevanti per la storia della matematica. Ogni CD contiene circa 5000 pagine (corrispondenti circa a 15-20 volumi) in formato PDF. La qualità delle immagini è largamente sufficiente per una agevole lettura anche dei testi più complessi e non perfettamente conservati. Il prezzo di ogni CD è di 130 euro. Per acquisti o abbonamenti a dieci o più CD consecutivi viene praticato uno sconto del 20%. Per ulteriori informazioni si può consultare il sito del Giardino di Archimede: www.archimede.ms Per ordinazioni: Il Giardino di Archimede Via San Bartolo a Cintoia 19a 50143 Firenze Tel. ++39-055-7879594, Fax ++39-055-7333504 e-mail: [email protected] Indice degli ultimi pubblicati: GdA 41 Bonfioli Malvezzi, Antonio - Epistola de Galilaei demonstratione a cl. Andres exposita. De Martino, Pietro - De luminis refratione et motu. Napoli, 1741. Köchler, Johann Baptist - Elementa ignis, aquae et terrae. Innsbruck, Wagner, 1734.
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Lorgna, A. Mario - Discorso sopra l’Adige. Verona, Moroni, 1768. Lorgna, A. Mario - Dissertazione sopra l’aria di Mantova. Mantova, Pazzoni, 1771. Lorgna, A. Mario - Dissertazione sopra le pressioni dell’acqua. Mantova, Pazzoni, 1769. Lorgna, A. Mario - Fabbrica ed usi della squadra di proporzione. Verona, Moroni, 1768. Lorgna, A. Mario - Memorie intorno all’acque correnti. Verona, Moroni, 1777. Lorgna, A. Mario - Opuscula mathematica et physica. Verona, Moroni, 1770. Lorgna, A. Mario - Opuscula tria ad res mathematicas pertinentia. Verona, Ramanzini, 1767. Lorgna, A. Mario - Principi di geografia astronomico-geometrica. Verona, Ramanzini, 1789. Luini, Francesco - Delle progressioni e serie. Milano, Galeazzi, 1767. Luini, Francesco - Esercitazione matematica, e altri opuscoli di vari autori. Milano, Marelli, 1769. Maffei, Scipione - Della formazione de’ fulmini. Verona, Tumermani, 1747. Maffei, Tommaso Pio - De cyclorum soli-lunarium inconstantia et emendatione. Venezia, Bartoli, 1706. Mairan, Jean Jacques - Lettre sur la question des forces vives. Paris, Jombert, 1741. Mairan, Jean Jacques - Dissertation sur la glace. Paris, Imprimerie Royale, 1749. Malfatti, Gianfrancesco - De natura radicum in aequationibus quarti gradus. Ferrara, Barberi, 1758. Mancini, Giulio - Apologia dell’occhio. Opera ottico-metafisica. Siena, Pazzini Carli, 1795. Manfredi, Eustachio - Compendio et esame del libro “Effetti dannosi ..” . Roma, Camera Apostolica, 1718. Manfredi, Eustachio - De gnomone meridiano Bononiensi. Bologna, Volpe, 1736. Manfredi, Eustachio - Mercurii ac solis congressus. Bologna, Pisarri, 1724. Manfredi, Eustachio - Replica de’ bolognesi ad alcune considerazioni dei ferraresi. Roma, Gonzaga, 1717. Manfredi, Eustachio - Elementi della geometria piana e solida. Bologna, Volpe, 1755. Manni, Domenico Maria - Degli occhiali da naso inventati da Salvino Armati. Firenze, Albizzini, 1738. Marchelli, Giovanni - Trattato del compasso di proporzione. Milano, Galleazzi, 1759. Marchetti, Alessandro - Discorso a Bernardo Trevisano contro la “Risposta apologetica” del p. Grandi. Lucca, Venturini, 1714.
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Marchetti, Francesco - Risposta apologetica contro G. Battista Clemente Nelli. Lucca, Giuntini, 1762. Marchetti, Francesco - Vita e poesie di Alessandro Marchetti. Venezia, Valvasense, 1755. Marescotti, Giacomo - Alla sacra congregazione delle acque. Roma, Bernabò, 1765. Mari, Gioseffo - Lettera sopra il trasporto del canale di Busseto. Parma, Rossi e Ubaldi, 1798. Marinoni, Giovanni - De astronomica specula domestica. Vienna, Kaliwod, 1745. Marsili, Luigi Ferdinando - Instrumentum donationis in gratiam novae scientiarum institutionis. Bologna 1712. Martin, Benjamin - Grammatica delle scienze filosofiche. Bassano, Remondini, 1769. Martini, Ranieri Bonaventura - Analysis infinite parvorum, sive Calculi differentialis elementa. Pisa, Carotti, 1761. Marzagaglia, Gaetano - Nuova difesa dell’antica misura delle forze motrici. Verona, Ramanzini, 1746. Mascardi, Giuseppe - Replica alla scrittura “Risposta idrometrica sopra il progetto di diramare il Tartaro in Po”. Bologna, Volpe, 1769. Mascheroni, Lorenzo - La geometria del compasso. Pavia, Galeazzi, 1797. Mascheroni, Lorenzo - Problemi per gli agrimensori. Pavia, Comino, 1793. Matani, A. Maria - Dissertazioni sopra l’istoria delle varie opinioni relative alla figura della Terra. Pisa, Pizzorno, 1766. Matheseophilus - Problemata mathematica quadraturam circuli concernentia. Augsburg, Pfeffel, 1733. Maupertuis, Pierre Louis, Camus, Clairaut- La figure de la Terre. Paris, Imprimerie Royale, 1738. Maupertuis, Pierre Louis - Examen des ouvrages qui ont été faits pour déterminer la figure de la Terre. Paris, Bachmuller, 1738. Mazzuchelli, Giammaria - Notizie istoriche e critiche intorno ad Archimede. Brescia, Rizzardi, 1737. GdA 42 Mengoli, Pietro - Novae quadraturae arithmeticae. Bologna, Monti, 1650. Mengoli, Pietro - Speculationi di musica. Bologna, Benacci, 1670. Mercator, Nicolaus - Institutiones astronomicae. Padova, Seminario, 1685. Mersenne, Marin - Cogitata physico-mathematica. Paris, Bertier, 1644. Mersenne, Marin - Novarum observationum physico-mathematicarum tomus III. Paris, Bertier, 1647.
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Mersenne, Marin - Questions physico-mathematiques. Et les mechaniques du sieur Galilée. Paris, Guenon, 1635. Meschini, Domenico - Narrazione delle solenni esequie del Sig. Francesco Piccolomini. Siena, Marchetti, 1608. Micalori, Giacomo - Antapocrisi. Roma, Cavalli, 1635. Micalori, Giacomo - Della sfera mondiale. Urbino, Mazzantini, 1626. Michelini, Famiano - Trattato della direzione de’ fiumi. Firenze, Stamperia della stella, 1664. Michelini, Gio Battista - Il vero giorno della Pasqua. Ravenna, Pezzi, 1685. Mignotti, Lanfranco - L’ultima parte della geometria. Pavia, Bartoli, 1620. Milliet Dechales, Claude Francois - L’art de naviger. Paris, Michallet, 1677. Minati, Asinio - Brevi considerazioni sopra la cometa apparsa nel mese di agosto 1682. Firenze, alla Condotta, 1682. Miscellanea italica physico-mathematica. Collegit Gaudentius Robertus. Bologna, Pisari, 1692. Mocenico, Leonardo - Philosophus peripateticus. Roma, Phaei, 1615. Molyneux, William - Sciothericum telescopicum. Dublin, Crook and Helsam, 1686. Monconys, Balthasar - Iournal des voyages (3 vol.) Lyon, Boissat & Remeus, 1665-66. Monod, Pierre - Il capricorno, o sia l’oroscopo di Augusto Cesare. Torino, Tarino, 1633. Montalbano, Ovidio - Speculum euclidianum. Bologna, Ferroni, 1629. Montalto, Filippo - Optica. Firenze, Giunti, 1606. GdA 43 Benedetti, Giovan Battista - Speculationum liber. Venezia, Baretti, 1599. De gli elementi. Venezia, Aldo, 1557. Del Monte, Guidobaldo - De ecclesiastici calendarii restitutione. Pesaro, Concordia, 1580. Del Monte, Guidobaldo - De cochlea libri quatuor. Venezia, Deuchino, 1615. Del Monte, Guidobaldo - Le mechaniche. Venezia, Franceschi, 1581. Del Monte, Guidobaldo - Mechanicorum liber. Venezia, Deuchino, 1615. Del Monte, Guidobaldo - Perspectivae libri sex. Pesaro, Concordia, 1600. Del Monte, Guidobaldo - Planisphaeriorum universalium theorica. Pesaro, Concordia, 1579. Del Monte, Guidobaldo - Problematum astronomicum libri septem. Venezia, Giunti e Ciotti, 1609. Manilius, Marcus - Astronomicon. Leyden, Rapheleng, 1600. Manzoni, Domenico - Quaderno doppio col suo giornale. Venezia, Comin da Trino, 1554.
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Martelli, Ugolino - La chiave del calendario gregoriano. Lyon, 1583. Marzari, Giacomo - Scelti documenti in dialogo a’ scholari bombardieri. Vicenza, Perin, 1595. Maurolico, Francesco - Quadrati fabrica et eius usus. Venezia, Bascarini, 1546. Mela, Pomponio - I tre libri del sito, forma e misura del mondo. Venezia, Giolito, 1557. Melanchthon, Philipp - Doctrinae physicae elementa, sive initia. Lyon, Tornes et Gaze, 1552. Mellini, Domenico - Discorso nel quale si prova non si poter dare un movimento che sia cotinuovo et perpetuo. Firenze, Sermartelli, 1583. Memmo, Giovanni Maria - Tre libri della sostanza e forma del mondo. Venezia, De Farri, 1545. Mengoli, Cesare - Della navigatione del Po di primaro. Cesena, Raveri, 1600. Mercator, Bartholomaeus - Breves in Sphaeram meditatiunculae. Birckmann, 1563. Mercator, Gerhard - Chronologia. Birckmann, 1569. Michele, Agostino - Trattato della grandezza dell’acqua et della terra. Venezia, Moretti, 1583. Mirami, Rafael - Compendiosa introduttione alla prima parte della specularia. Ferrara, Rossi e Tortorino, 1582. Mizauld, Antoine - Ephemerides aeris perpetuae. Antwerp, Beller, 1560. Mizauld, Antoine - Funebre symbolum de Orontio Finaeo. Paris, Gourbin, 1555. Mizauld, Antoine - Planetae, sive Planetarum collegium. Paris, Guillard, 1553. Moleti, Giuseppe - Discorso nel quale si insegnano tutti i termini e tutte le regole della geografia. Venezia, Valgrisi, 1561. Moleti, Giuseppe - Discorso ... della geografia di nuovo ricorretto e accresciuto. Venezia, Ziletti, 1573. Moleti, Giuseppe - Efemeridi dall’anno 1563. Venezia, Valgrisi, 1563. GdA 44 Milliet Dechales, Claude Francois - Cursus seu mundus mathematicus, Lyon, Anisson, Posuel et Rigaud, 1690. GdA 45 Benvenuti, Carlo - De lumine. Roma, De Rossi, 1754. Benvenuti, Carlo - Synopsis physicae generalis. Roma, De Rossi, 1754. Boscovic, R. Josip - De inaequalitate gravitatis in diversis Terrae locis. Roma, De Rossi, 1741. Boscovic, R. Josip - De lentibus et telescopiis dioptricis. Roma, De Rossi, 1755.
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Controversia sul Reno: Ragioni della città di Ferrara nella controversia con i Signori della Gabella grossa di Bologna. Ferrara, Barbieri, 1710. Risposta dei Sindici della Gabella grossa della città di Bologna alle pretese ragioni della città di Ferrara. Bologna, Benacci, 1711. Mezzavacca, Flaminio - Otia sive ephemerides felsineae recentiores, vol. I. Bologna, Pisari, 1701. Mezzavacca, Flaminio - Otia sive ephemerides felsineae recentiores, vol. II. Bologna, Pisari, 1701. Michelini, Famiano - Trattato della direzione de’ fiumi. Bologna, Borzaghi, 1700. Michell, John - Traité sur les aimants artificiels. Paris, Guérin, 1752. Montucla, Jean Etienne - Histoire des mathématiques, vol. I. Paris, Agasse, 1799. Montucla, Jean Etienne - Histoire des mathématiques, vol. II. Paris, Agasse, 1799. Montucla, Jean Etienne - Histoire des mathématiques, vol. III. Paris, Agasse, 1802. Montucla, Jean Etienne - Histoire des mathématiques, vol. IV. Paris, Agasse, 1802. GdA 46 More, Henry - Opera omnia. London, Norton, 1679. Moretti, Tommaso - Trattato dell’artiglieria. Venezia, Brogiollo, 1665. Naudin - L’ingenieur francois. Paris, Michalet, 1696. Connette, Michel - La geometrie practique.Paris, Ulpeau, 1626. Marchetti, Alessandro - Exercitationes mechanicae. Pisa, Ferretti, 1669. Martinelli, Domenico - Horologi elementari. Venezia, Tramontino, 1669. Metius, Adrian - Arithmeticae libri duo; et Geometriae lib. VI. Leiden, Elsevier, 1626. Montanari, Geminiano - L’astrologia convinta di falso. Venezia, Nicolini, 1685. Montanari, Geminiano - Copia di lettere ad Antonio Magliabechi. Venezia, Poletti, 1681. Montanari, Geminiano - Copia di lettera a G. Orsi. Bologna, Manolessi, 1676. Montanari, Geminiano - Discorso sopra la tromba parlante. Venezia, Albrizzi, 1715. Montanari, Geminiano - La fiamma volante. Bologna, Manolessi, 1676. Montanari, Geminiano - Le forze d’Eolo. Parma, Poletti, 1694.
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Montanari, Geminiano - Lezione accademica sopra le controversie passate fra il dottissimo sig. N. N. [Donato Rossetti] e lui. Torino e Bologna, Manolessi, 1678. Montanari, Geminiano - Manualetto dei bombisti. Verona, Merlo, 1682. Montanari, Geminiano - Pensieri fisico-matematici... intorno diversi effetti dei liquidi in cannuccie di vetro. Bologna, Manolessi, 1667. Montanari, Geminiano - Prostasi fisico-matematica: discorso apologetico di Ottavio Finetti intorno alle gare nate fra il sig. dottore Donato Rossetti e il sig. dottore Geminiano Montanari. Bologna, Manolessi, 1669. Montanari, Geminiano - Speculazioni fisiche ... sopra gli effetti di quei vetri temprati. Bologna, Manolessi, 1671. GdA 47 Belgrado, Jacopo - De vita B. Torelli Commentarius. Padova, Seminario, 1745. Boscovich, R. G., Maire, C. - De litteraria expeditione ad dimetiendos duos meridiani grados. Roma, Pagliarini, 1755. Cocoli, Domenico - Proposizioni fisico-matematiche. Brescia, Ragnoli, 1775. Colle, Giovanni Michele - Due lettere sopra il rigurgito dell’acque correnti. Brescia, Rizzardi, 1772. De Martino, Pietro - De corpurum viribus. Napoli, 1741. De Moivre, Abraham - La dottrina degli azzardi. Milano, Galeazzi, 1776. De Moivre, Abraham - Miscellanea analytica de seriebus et quadraturis. London, Tonson & Watts, 1730. F. F. - Lettera intorno la cagione fisica de’ sogni. Torino, Mairesse, 1762. Luini, Francesco - Esercitazione matematica. Milano, Marelli, 1769. Marchetti, Angelo - Breve introduzione alla cosmografia. Pistoia, Bracali, 1738. Maupertuis, Pierre Louis - Lettere filosofiche. Venezia, Zatta, 1760. Mazière, Jean Simon - Pièce qui a remporté le prix pour l’annèe 1726 [Le choc des corps] Paris, Jombert, 1727. Mazière, Jean Simon - Traité des petits tourbillons de la matière subtile. Paris, Jombert, 1727 Memorie relative a un progetto di ridurre il padule di Castiglione della Pescaia a laguna d’acqua salsa. Firenze, Bonducci, 1785. Menelaus - Sphaericorum libri III. Oxford, Sumptibus Academicis, 1758. Menni, Ottaviano - Amussis munitoria. Napoli, Roselli, 1702. Michelessi, Domenico - Vita di Francesco Algarotti. Venezia, Pasquali, 1770. Minasi, Antonio - Dissertazione prima sopra la Fata Morgana. Roma, Francesi, 1773. Miniscalchi, Luigi - Osservazioni sopra la scrittura austriaca che è intitolata Benacus per le vertenze del lago di Garda nell’ anno 1756. Montanari, Antonio - Risposta al dottor Fantoni. Bologna, Della Volpe, 1761.
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Montefani Caprara, Ludovico - In dedicatione bibliothecae Instituti Scientiarum et Artium Bononiensis oratio. Bologna, Della Volpe, 1757. Monti, Antonio - Orazione per i funerali di F. M. Zanotti. Bologna, S. Tommaso, 1779. Morelli, Iacopo - Monumenti veneziani di varia letteratura. Venezia, Palese, 1796 Morgan, Guglielmo - Esame della teoria di Crawford intorno al calore e alla combustione. Torino, Briolo, 1788. Moro, Anton Lazzaro - Lettera o dissertazione sopra la calata de’ fulmini dalle nuvole. Venezia, 1750. Morozzi, Ferdinando - Dello stato antico e moderno del fiume Arno. Firenze, Stecchi, 1762. Morri, Giuseppe - Il perito in Romagna. Faenza, Archi, 1791. Mosca Barzi, Carlo - Saggio di una nuova spiegazione del flusso, e riflusso del mare. Pesaro, Amati, 1764. Mosca Barzi, Carlo - Nuove ragioni sopra il Saggio del flusso e riflusso del mare. Pesaro, Amati, 1764. Muller, John - Traité analytique des sections coniques, fluxions et fluentes. Paris, Jombert, 1760. Müller, Johann Ulrich - Astronomia compendiaria. Ulm, Kuhn, 1709. Nelli, Giovan Battista - Discorsi di architettura. Firenze, Paperini, 1753. Nelli, Giovan Battista - Saggio di storia letteraria fiorentina. Lucca, Giuntini, 1759. Nenci, Pierantonio - Parere intorno le acque stagnanti delle colmate. Firenze, Bonducci, 1760. Newton, Isaac - La cronologia degli antichi regni emendata. Venezia, Tevernin, 1757. Newton, Isaac - La chronologie des anciens royaumes corrigée. Paris, Martin, Coignard, Guerin et Montalant, 1728. Newton, Isaac - Observations upon the prophecies of Daniel and the Apocalypse of St. John. London, Darby and Browne, 1733. Parvi, Pietro - De vita Francisci Ginanni. Brescia, Rizzardi, 1767. Voltaire et al - Maupertuisiana. Leyden, Luzac, 1753. Zimmermann, Johann Jacob - Scriptura S. Copernizans. [Ulm, Kuhn, 1709]. GdA 48 Newton, Isaac - Lectiones opticae. London, Innys, 1729. Newton, Isaac - Opuscula Mathematica, Philosophica et Philologica. 3 vol. Lausanne et Genève, Bousquet, 1744. Newton, Isaac - Opera quae exstant omnia. 5 vol. London, Nichols, 1779. Poleni, Giovanni - Epistola ad Gabrielem Manfredium. Padova, 1761.
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Porcelli, Giuseppe e Lecchi, Antonio - Sentimento intorno agli effetti di tre argini. Piacenza, Giacopazzi, 1764. Riflessioni sopra una mappa del Ferrarese. Bologna, Della Volpe, 1760. Ruggieri Buzzaglia, Filippo - Dissertazione sopra il Trattato del Mariotte. Mantova, Pazzoni, 1773. Terminazione sopra provveditori e Memoria del soccorrere i sommersi. Venezia, Pinelli, 1768. Veronese, N. - Lettera del Conte N. N. a un suo amico. Verona, Ramanzini, 1760. Zanotti, Eustachio - De Veneris ac Solis congressu. Bologna, Della Volpe, 1761. Zanotti, Eustachio e Matteucci, Petronio - Osservazioni sopra la cometa. Bologna, Della Volpe, 1744.
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BOLLETTINO DI STORIA DELLE
SCIENZE MATEMATICHE
BOLLETTINO DI STORIA DELLE SCIENZE MATEMATICHE Il Giardino di Archimede Un Museo per la Matematica
Direttore Enrico Giusti Vice direttore Luigi Pepe Comitato di redazione Kirsti Andersen Michel Blay Raffaella Franci Paolo Freguglia (segretario) Giorgio Israel Ebarhard Knobloch Pier Daniele Napolitani Patricia Radelet de Grave Clara Silvia Roero Roshdi Rashed Laura Toti Rigatelli
Per la migliore riuscita delle pubblicazioni, si invitano gli autori ad attenersi, nel predisporre i materiali da consegnare alla Redazione ed alla Casa editrice, alle norme specificate nel volume Fabrizio Serra, Regole editoriali, tipografiche & redazionali, Pisa · Roma, Istituti editoriali e poligrafici internazionali, 2004 (Euro, 34,00, ordini a: [email protected])
BOLLETTINO DI STORIA DELLE
SCIENZE MATEMATICHE
Anno XXVII · Numero 2 · Dicembre 2007
PISA · ROMA FABRIZIO SERRA · EDITORE MMVII
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SOMMARIO Sandro Caparrini, Il calcolo vettoriale di Domenico Chelini (1802-1878) 197 Erika Luciano, Il trattato Genocchi - Peano (1884) alla luce di documenti inediti 219 Roshdi Rashed, Lire les anciens textes mathématiques. Le cinquième livre des Coniques d’Apollonius 265 Elisabetta Ulivi, Ancora su Benedetto da Firenze
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Raffaella Franci, Trattatistica d’abaco e numismatica. Un caso esemplare: il trattato del senese Tommaso della Gazzaia. Ms. C. III. 23 della Biblioteca Comunale degl’Intronati di Siena 315
«Bollettino di storia delle scienze matematiche» · Vol. XXVII · 2007 · Fasc. 2
I L CA LCO LO V E T TORIALE DI D O M E N I CO CH E LIN I (1802-1878) Sandro Caparrini* Abstract · While the creation of vector calculus is commonly attributed to W.R. Hamilton, H. Grassmann, J.W. Gibbs and O. Heaviside, it can be argued that the core of the geometrical theory was already present in the works of the Italian mathematician Domenico Chelini (18021878), who began to publish his results as early as 1838. Chelini was motivated by the well-known theo-
rems in statics regarding the composition of forces and moments of forces. In 1845 he applied his “theory of projections” to the differential geometry of skew curves and of surfaces, and in 1868 he expressed the main formulae of vector calculus in non-orthogonal Cartesian coordinates. His work was quickly forgotten after his death, and these results had to be rediscovered later.
1. Preliminari giudizio della maggior parte degli storici, la storia del calcolo vettoriale elementare è ormai ben conosciuta. Il testo principale al riguardo è la History of Vector Analysis di M.J. Crowe [1967], che viene citato in ogni articolo sull’argomento e le cui conclusioni non sono mai state messe in discussione. Crowe descrive uno sviluppo che si può dividere in tre tempi. Dapprima vi fu la scoperta della rappresentazione geometrica dei numeri complessi, un risultato ottenuto indipendentemente da almeno sei autori diversi (C. Wessel, A.Q. Buée, J.R. Argand, C.V. Mourey, J. Warren e Gauss) nel periodo che va dal 1798 al 1831. Essa condusse attorno al 1844 Hamilton e Grassmann, a formulare, indipendentemente uno dall’altro, due importanti teorie matematiche che comprendevano il calcolo vettoriale come caso particolare. Hamilton, com’è noto, creò un sistema di numeri ipercomplessi a quattro unità detti quaternioni; Grassmann delineò in sostanza quella che oggi viene detta algebra lineare. Sia Hamilton che Grassmann applicarono i loro formalismi alla fisica matematica, ma non riuscirono a convincere la maggioranza degli altri matematici a seguirli su questa strada. In effetti le due teorie erano in un certo senso ancora troppo ampie e potenti per le applicazioni, ed era dunque
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* Sandro Caparrini, Dipartimento di Matematica, Università di Ferrara. E-mail: caparrini@ libero.it «Bollettino di storia delle scienze matematiche» · Vol. XXVII · 2007 · Fasc. 2
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necessario semplificarle e modificarle. Questo compito fu affrontato (contemporaneamente e indipendentemente) attorno al 1880 da Heaviside e Gibbs, i quali ottennero così il calcolo vettoriale moderno. I metodi vettoriali furono diffusi soprattutto tramite i lavori sull’elettromagnetismo dei fisici tedeschi e vennero generalmente accettati attorno al 1910. Questa ricostruzione presta però il fianco alle critiche.1 Sembra strano infatti che una teoria tanto semplice sia sorta così tardi, e che la sua nascita non sia stata influenzata dalle applicazioni. In realtà, un esame più attento delle fonti rivela che nella prima metà dell’Ottocento vi fu un’intensa attività su temi vettoriali. In meccanica si scoprì che non solo la forza e lo spostamento, ma anche la velocità angolare e i momenti sono grandezze che si compongono secondo la legge del parallelogramma. I lavori di statica di Poinsot, all’epoca molto noti, diedero l’esempio di un ramo della meccanica completamente ricondotto alla composizione geometrica di vettori. In geometria si studiarono i poligoni sghembi considerandone i lati come segmenti orientati, si rappresentarono vettorialmente i poliedri per mezzo di segmenti ortogonali alle facce, si applicò la proiezione di segmenti orientati per ricavare le trasformazioni tra sistemi di assi non ortogonali e si studiarono analiticamente i tetraedri e i parallelepipedi come sistemi di tre vettori aventi un’origine comune. Nei lavori di Lagrange, L. Carnot, Binet e Cauchy appare la formula del prodotto scalare e il suo significato geometrico, il prodotto misto comparve sotto forma di volumi orientati e la teoria dei momenti, equivalente all’uso del prodotto esterno, venne esposta in forma geometrica. Si delinearono così poco per volta i diversi aspetti del calcolo vettoriale elementare. In seguito cominciarono ad apparire alcune trattazioni generali che riunivano questi primi risultati. Nel 1820 l’italiano G. Giorgini pubblicò una Teoria analitica delle projezioni in cui diede una formulazione unitaria dei problemi sui segmenti orientati; poiché fece uso di assi cartesiani non ortogonali, dovette introdurre quelle che oggi sono dette componenti contravarianti e covarianti di un vettore.2 Ispirandosi al lavoro di Giorgini e alla statica di Poinsot, nel 1830 M. Chasles trasportò dalla meccanica alla geometria i risultati principali sui sistemi di forze e sui loro momenti; per quanto rozzo e incompleto, questo è probabilmente il primo ten1 Per maggiori dettagli sulla ricostruzione che segue, qui esposta solo nelle sue linee più essenziali, si vedano [Caparrini 2002, 2003, 2004, 2005]. 2 Il significato geometrico delle componenti covarianti e contravarianti di un vettore si perde un po’ nelle trattazioni moderne, in cui si procede nel modo più generale. Se ci limitiamo allo spazio euclideo tridimensionale e riferiamo tutto ad assi cartesiani non ortogonali, i due tipi di componenti diventano appunto le due proiezioni di Giorgini.
il calcolo vettoriale di domenico chelini
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tativo di creare un calcolo vettoriale. A partire da allora, forse sotto l’influsso dei lavori di Cauchy sui momenti delle forze, si moltiplicarono i sistemi di calcolo geometrico. Nel 1832 nacque il calcolo delle equipollenze di Bellavitis (limitato a due dimensioni), nel 1840 Grassmann espose una prima teoria geometrica dei vettori (pubblicata solo nel 1911), nel 1844 cominciarono ad essere pubblicati lavori di O’Brien, nel 1845 apparve il calcolo vettoriale di Saint-Venant, ispirato alla meccanica, nel 1844 e nel 1847 le lunghe memorie di Cauchy sulle proiezioni dei segmenti orientati. Saint-Venant applicò la composizione di vettori alla geometria differenziale delle curve sghembe in lavoro del 1845. La teoria dei quaternioni di Hamilton e la Ausdenungslehre di Grassmann non sono dunque altro che la parte più notevole di uno sviluppo molto ricco, che aveva avuto origine quasi cinquant’anni prima. Mentre Hamilton e Bellavitis erano partiti dalla teoria dei numeri complessi, gli altri autori si erano ispirati alla meccanica e alla geometria. 2. Domenico Chelini (1802-1878) Tutte le teorie e i metodi vettoriali sviluppati nei primi anni dell’Ottocento confluirono nell’opera dell’italiano Domenico Chelini. Unendo i diversi risultati, Chelini creò un vero e proprio calcolo vettoriale in componenti, ispirato dalla meccanica, che contiene operazioni equivalenti ai prodotti scalare, esterno e misto. Il calcolo di Chelini era basato sull’idea di proiettare i segmenti orientati sugli assi di un sistema cartesiano, e le superficie piane sui tre piani coordinati; da qui il nome di «teoria delle projezioni». Sommando queste proiezioni, egli definiva quindi la composizione di segmenti e superficie. La prima pubblicazione risale al 1838, ed è quindi anteriore agli analoghi lavori di Grassmann, Hamilton, SaintVenant e O’Brien. Su Chelini esiste un buon articolo biografico di Cremona [1879], da cui riassumiamo i dati essenziali. Nacque il 18 ottobre 1802 a Gragnano, in provincia di Lucca, da una famiglia agiata. Studiò dapprima a Lucca, poi, dal 1819 al 1826, al Collegio Nazareno a Roma. Divenne scolopio nel 1818, prete nel 1827. In matematica non ebbe maestri di particolare rilievo; come capita spesso, si formò soprattutto sui lavori originali. Divenuto insegnante fu dapprima professore di retorica a Narni (1828-29), e l’anno successivo professore di filosofia a Città della Pieve. Nel 1831 Chelini ottenne finalmente la cattedra di matematica al Collegio Nazareno, che conservò per vent’anni. Nel 1851 divenne professore di meccanica e idraulica all’università di Bologna, ma nel 1864 dovette lasciare la cattedra perché aveva rifiutato di prestare giuramento al nuovo Regno d’Ita-
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lia. Si trasferì quindi a Roma, dove nel 1867 gli fu assegnata la cattedra di meccanica razionale all’università, ma anche in questo caso dovette lasciare il posto quando Roma divenne capitale d’Italia. Da allora insegnò nell’università pontificia fino alla sua soppressione. Morì il 16 novembre 1878. Chelini fu membro delle maggiori accademie italiane (Lincei, di Bologna, dei XL, …), e divenne amico di alcuni importanti matematici della sua epoca, tra cui Jacobi, Beltrami e Cremona.1 Il calcolo vettoriale di Chelini, di cui egli diede nel corso degli anni diverse formulazioni, assomiglia alla teoria di Saint-Venant o al primo calcolo geometrico di Grassmann. A differenza di Grassmann, Chelini usa un vettore ortogonale per rappresentare le superficie; a differenza di Saint-Venant, la teoria di Chelini è ben più che un primo abbozzo. Il merito di Chelini fu soprattutto di aver compreso l’importanza dei metodi vettoriali e di averli applicati ai problemi più svariati, ritenendo che permettessero di unificare rami diversi della matematica. Le sue concezioni non furono influenzate in alcun modo dalle scoperte di Hamilton e Grassmann; quanto a Heaviside e Gibbs, i loro lavori sui vettori cominciarono ad apparire solo due anni circa dopo la sua morte, oltre quarant’anni dopo che egli aveva pubblicato il primo articolo sul calcolo vettoriale. Il calcolo di Chelini è il punto d’arrivo dello sviluppo dei metodi vettoriali interno alla meccanica e alla geometria. Buona parte dell’opera di Chelini consiste di lunghe esposizioni sistematiche di teorie già note, formulate in uno stile matematico denso e preciso, quasi sempre abbreviate e chiarite mediante l’uso dei vettori. Nonostante la mancanza di vera originalità, però, Chelini fu un matematico di buon livello. Si può avere un’idea della considerazione in cui era tenuto dai suoi contemporanei leggendo l’elenco degli studiosi italiani e stranieri che contribuirono alla raccolta di saggi in suo onore, pubblicata dopo la sua morte [Beltrami e Cremona 1881]. La prefazione di Beltrami alla Collectanea in memoria di Chelini è in pratica l’unico esame critico della sua opera [1881]. Per fortuna si tratta di uno studio preciso e meticoloso, in cui ogni lavoro viene descritto e valutato singolarmente. Beltrami discute in più punti della teoria delle proiezioni, mostrando di apprezzarne l’utilità ma senza tuttavia riuscire a inquadrarla correttamente nello sviluppo storico dei metodi vettoriali. È un errore giustificabile: nel 1881 Beltrami non poteva prevedere la successiva diffusione del calcolo vettoriale, e d’altra parte la teoria delle pro1 Il prof. Romano Gatto e la prof.ssa Maria Rosaria Enea stanno attualmente studiando la corrispondenza di Chelini, da poco ritrovata presso la Casa Generalizia dei Padri Scolopi a Roma, che promette di essere interessantissima.
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iezioni doveva sembrare ormai elementare rispetto alla matematica più recente, quali ad esempio la teoria dei parametri differenziali. Proprio in quegli anni usciva la trattazione di Gibbs del calcolo vettoriale [1881]. Un confronto fra le due teorie mostra i limiti di Chelini, ma è un paragone ingeneroso, che non tiene conto dei quarant’anni circa che separano le due formulazioni. Se ritorniamo al periodo precedente al 1850 vediamo che la teoria delle proiezioni non sfigura neanche rispetto ai lavori di Grassmann. Chelini ha dunque un posto di rilevo tra i creatori del calcolo vettoriale. 3. Il calcolo vettoriale di Chelini Da dove ebbe origine la «teoria delle projezioni»? Per nostra fortuna, abbiamo la testimonianza di Chelini stesso: Fin dai primi anni dei miei studii nelle scienze esatte mi avvenne di notare che le leggi quali si danno in Meccanica per comporre, decomporre ridurre e trasformare i sistemi di forze, mirabilmente perfezionate dall’immortale Poinsot, potevano egualmente stabilirsi (rimossa ogni idea di forza) pe’ sistemi di rette, pe’ sistemi di aree e pe’ sistemi di punti affetti da coefficienti, e che, una volta stabilite sopra definizioni puramente geometriche, queste leggi divenivano il vero punto di partenza ed il principio più semplice e più fecondo della geometria in genere, ma più particolarmente della geometria analitica. Con simile intendimento composi e pubblicai nel 1838 un saggio di geometria analitica, imperfettissimo, senza dubbio, ma che pure mi fu approvato dal signor Poinsot, come apparisce da una lettera che ho riportato nel preambolo ai miei Elementi di Meccanica razionale (Bologna, 1860). In appresso ho cercato di porre in chiaro l’utilità di questo metodo, applicandolo successivamente a diverse questioni di geometria infinitesimale e di meccanica. Da ultimo, nella Memoria Sulla composizione geometrica de’ sistemi di rette, di aree e di punti, letta all’Accademia delle Scienze di Bologna il 12 Maggio 1870, ed in un’altra del 1871, riassumendo il metodo nella sua unità di principio (Risultanti e loro Momenti), ho dimostrato che in esso metodo si trova pur contenuta la vera base della Nuova geometria de’ complessi di Plücker [1873, p. 205].
In una nota a piè di pagina di un altro suo lavoro Chelini discute della relazione tra la propria teoria e i lavori degli altri creatori di metodi vettoriali: Fin dal 1831, essendo in Roma addetto all’insegnamento delle matematiche nel Collegio Nazareno, mi avvenne di notare la fecondità di questo principio (fecondità che parmi venire principalmente dal modo con cui preparo e stabilisco la definizione geometrica della risultante); e ne feci l’oggetto di una Memoria che lessi nell’Accademia de’ Lincei, e che qualche anno dopo, cioè nel 1837 o 1838, pubblicai nel Giornale Arcadico sotto il titolo: Saggio di geometria analitica trattata con nuovo metodo. Quanto all’idea di comporre le rette come le forze e
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le aree come le coppie, ho in appresso riconosciuto che non era nuova (Si veda nel tom. VI della Corrispondenza matematica e fisica di M. Quetelet, an. 1830, Mémoire de géométrie pure, sur les systèmes de forces, et les systèmes d’aires planes; et sur les polygones, les polyèdres, et les centres des moyennes distances par M. Chasles; Nel tom. IV degli Ann. di Gergonne, an 1813 e 1814. Nouveaux principes de géométrie de position et interpretation géométrique des symboles imaginaires par M. J. Français, Essai sur une manière de représenter les quantités imaginaires par M. Argant [Sic]; e negli Annali del Fusinieri, an. 1835, Calcolo delle equipollenze del Sig. Giusto Bellavitis). Ciò che mi sembra meritevole di qualche attenzione, e che ignoro se altri ancora abbia messo in rilievo, si è il metodo semplice e pressoché intuitivo con cui dalla definizione, quale si è da me posta, della risultante si deducono e svolgono le verità più essenziali ed importanti della geometria [Chelini 1863, p. 4].
È un fatto interessante che le prime riflessioni di Chelini sul calcolo vettoriale risalgano al 1831. Nel 1830 Chasles aveva pubblicato la propria teoria, mentre nel 1832 sia Grassmann che Saint-Venant, per loro stessa ammissione, avevano cominciato a sviluppare i loro sistemi di calcolo geometrico. Evidentemente i tempi erano ormai maturi. Chelini nega esplicitamente di essersi ispirato ai lavori di Giorgini e di Chasles: Nel percorrere la Correspondance mathématique et physique che si pubblicava dal Sig. A. Quetelet (favoritami dal chiarissimo Principe D. Baldassare Boncompagni) mi sono incontrato (tom. VI, a. 1830) nella bella Memoria del Sig. Chasles intitolata Mémoire de géométrie pure, sur les systèmes de forces, et les systèmes d’aires planes; et sur les polygones, les polyèdres, et les centres des moyennes distances, dove trovasi sviluppata l’idea di comporre le rette e le aree come le forze, e di rappresentare le aree con proporzionali segmenti de’ loro assi, e dove inoltre insieme co’ teoremi de’ n. 15 e 20 si enunciano e si dimostrano più e più altre verità, ad alcune delle quali era già pervenuto dal suo lato (come avverte lo stesso Sig. Chasles) il ch. Sig. Gaetano Giorgini autore di eccellenti opere geometriche e meccaniche. Tuttavia noi differiamo nel punto di partenza, nel metodo e nello scopo. Non mi è occorso fin qui di leggere alcun geometra il quale abbia rilevato che negli esposti principii sta il vero fondamento della geometria analitica, e che da essi convien cominciarne la costruzione [Chelini 1849b, p. 334].
Sembrerebbe dunque che l’idea originaria sia nata riflettendo sulla meccanica, in particolare sulle opere di Poinsot, indipendentemente dai lavori di altri autori sul calcolo dei segmenti orientati. Solo in seguito Chelini sarebbe venuto a conoscenza degli scritti di Chasles, Argand e Bellavitis.1 1 Per inciso, si noti come i tre matematici italiani che contribuirono alla nascita del calcolo vettoriale appartengano a tre linee di sviluppo differenti: Giorgini prese spunto principalmente dalla geometria, Chelini dalla meccanica, Bellavitis dall’interpretazione geometrica dei numeri complessi. Su Bellavitis si vedano, ad esempio, [Freguglia 1992, 2001].
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Non c’è dubbio però che egli sia stato influenzato dalla Teoria analitica di Giorgini, come si capisce ad esempio dalla forte somiglianza fra diverse formule corrispondenti dei due autori.1 La prima memoria in cui Chelini espose il proprio calcolo vettoriale fu la Teorica de’ valori delle proiezioni [1838], che è anche una delle prime da lui pubblicate. In una breve introduzione egli afferma di considerare la teoria delle proiezioni come un prologo necessario alla geometria analitica, ed in effetti questo lavoro non è altro che la prima parte di un trattato di geometria analitica.2 Chelini esordisce definendo la proiezione di un punto su un piano dato parallelamente ad una retta assegnata. Per questa operazione egli usa il simbolo daX, essendo a il punto proiettato, X il piano della proiezione e d l’asse dirigente. Allo stesso modo, Chelini definisce la proiezione di un punto su una retta assegnata parallelamente ad un piano dato, operazione denotata con il simbolo Dpx, essendo p il punto proiettato, x l’asse e D il piano dirigente. La proiezione di una figura si ottiene proiettando i singoli punti. Egli dimostra rapidamente la formula per la proiezione obliqua di un segmento a sopra un asse x parallelamente ad un piano dirigente D, a = a sen.Da , a = a sen.Dx ,
D D x x
già ottenuta da Giorgini e, prima ancora, da Hachette.3 Chelini usa solo segmenti e superficie superficie orientati, e discute con cura lo convenzioni sulle proiezioni. Seguono altri teoremi ben noti, tra cui quello per cui la somma algebrica delle proiezioni dei lati di un poligono qualsiasi su una retta data è nulla. L’uso della proiezione di segmenti lungo una direzione fissata è ovviamente una operazione geometrica circa equivalente al nostro prodotto scalare, e il teorema sulla proiezione dei lati di un poligono corrisponde alla formula (a + b + c + …)·u = a·u + b·u + c·u + …
Chelini definisce una «retta risultante», ovvero la somma geometrica di vettori. La sua definizione differisce da quella usuale, ed è basata sul concetto di proiezione: 1 Entrambi i matematici erano di Lucca e all’incirca coetanei. La Teoria analitica di Giorgini fu pubblicata appunto negli Atti dell’Accademia di Lucca. 2 Pubblicato anche come volume a parte: Saggio di geometria analitica trattata con nuovo metodo [1838]. 3 In tutti i suoi scritti Chelini usa il termine «retta» per denotare un segmento orientato; chiaramente si tratta di una traduzione letterale del francese droite, usato con lo stesso significato dagli autori precedenti.
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La risultante di più rette divergenti da un centro, è la retta la cui proiezione sopra un asse mutabile (essendo qualunque il piano dirigente) è sempre uguale alla somma delle proiezioni omologhe di tutte le rette date, le quali si diranno componenti della prima. Quindi è palese che, trattandosi di proiezioni, si potrà sostituire la risultante alle componenti, e viceversa. Si sa dalla meccanica, che se le rette componenti rappresentassero forze, la retta risultante rappresenterebbe la forza unica cui equivalgon le prime. È di qui che si sono desunte le denominazioni di risultante e di componenti [1838, p. 57].
Da questa definizione egli ricava poi le usuali proprietà della somma di vettori.1 Operando con le proiezioni di segmenti, Chelini introduce esplicitamente il prodotto scalare: Teor. Una retta r moltiplicata per la proiezione che riceve da un’altra q, è uguale alla somma delle componenti a, b, c, d … dell’una r, moltiplicate rispettivamente per la proiezione che ricevon dall’altra q: cioè qrq = rqr = aqa + bqb + cqc + dqd + ec. [1838, p. 59]
Nell’introduzione Chelini aveva fatto notare l’importanza di questo teorema: […] e dimostro che una retta moltiplicata per la proiezione che riceve da un’altra retta, è uguale alla somma delle componenti dell’una, moltiplicate rispettivamente per la proiezione che ricevon dall’altra. Da questo teorema, il quale nella teorica delle forze divenendo il principio delle velocità virtuali tutta in sé racchiude la meccanica, si deriva un nuovo metodo sommamente semplice, elegante e spedito di trattare la geometria a due e a tre coordinate, finita ed infinitesimale, del quale darò un saggio in seguito [1838, p. 47].
Chelini passa quindi a trattare della proiezione di superficie piane orientate (“aree”), un’operazione equivalente al prodotto esterno di vettori. Per cominciare, egli distingue tra le due facce di una superficie per mezzo di un asse perpendicolare, allo stesso modo di Poinsot [1803], Poisson [1811] e Chasles [1830]. Introduce quindi la rappresentazione vettoriale delle superficie piane: E converremo di rappresentare ogni area positiva con un proporzionale segmento dell’asse positivo; e però con un proporzionale segmento dell’asse negativo, ogni area negativa [1838, p. 62]. 1 Chelini dimostra anche l’unicità della risultante, che si poteva supporre intuitivamente vera. Questo rigore formale non era così diffuso all’epoca, almeno per quanto riguarda la geometria e la meccanica.
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Grazie alla rappresentazione per mezzo di un segmento perpendicolare, la composizione di superficie piane si riduce alla regola del parallelogramma. Chelini può dunque ricavare facilmente i teoremi per le superficie piane equivalenti a quelli sulle proiezioni di segmenti (come già aveva fatto Chasles). In particolare può definire le proiezioni sui piani coordinati come «aree componenti», e sommando le componenti ottiene una «area risultante». Da ultimo Chelini si occupa di quelle particolari superficie piane che rappresentano i momenti. Per Chelini «la teorica delle proiezioni delle aree può ridursi alla teorica delle proiezioni de’ momenti» [1838: 71];1 dal punto di vista storico, si tratta di un ritorno alle fonti della teoria. I momenti di Chelini sono dei triangoli rappresentati da un vettore, per cui assomigliano forse più ai momenti di Poisson che a quelli di Poinsot o Cauchy. Chelini usa sistemi di assi cartesiani non ortogonali. Sarebbe perciò necessario distinguere tra i due tipi di componenti, covarianti e contravarianti, di un vettore, ma nelle prime esposizioni egli si limita a definire le componenti contravarianti. Bisogna sottolineare l’importanza della notazione usata da Chelini. In effetti uno degli aspetti importanti del calcolo vettoriale moderno è proprio l’uso di una notazione algebrica per la trattazione di operazioni geometriche. L’introduzione di una notazione specifica, per quanto farraginosa e non del tutto adeguata, è quindi un passo importante nella creazione di un calcolo geometrico. Il calcolo vettoriale di Chasles, ad esempio, si limitava a usare i simboli usuali della statica. Si è già detto che Chelini espose la sua teoria in più lavori e sotto diverse forme. Al principio della memoria Sulla curvatura delle linee e delle superficie [1845] egli ne riassunse i princìpi essenziali. I principi geometrici che io suppongo e da cui io parto sono i seguenti: 1. Le rette parallele sono proporzionali alle loro projezioni omologhe. 2. Se due rette r, r, divergenti da un medesimo punto, hanno su tre assi rettangolari le projezioni (l, m, n), (l', m', n'), sarà rr'cos(rr') = ll' + mm' + nn', vale a dire: Una retta moltiplicata per la projezione che riceve da un’altra, è uguale alla somma delle projezioni dell’una su tre assi rettangolari, moltiplicate rispettivamente per le projezioni omologhe dell’altra. […] 1 La teoria dei momenti può esser vista come un metodo per comporre geometricamente i triangoli: infatti, il momento di una forza rispetto a un punto non è altro che l’area del triangolo avente la forza come base e il punto come vertice. Ogni superficie piana delimitata da una poligonale può essere spezzata in triangoli, e ogni superficie piana generica può essere approssimata da una superficie delimitata da una poligonale.
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3. Il parallelogrammo costruito sulle due rette r, r', ed = rr'sen(rr'), ha sui piani coordinati yz, zx, xy, le projezioni mn' – m'n, nl' – n'l, lm' – l'm. 4. Se l’espressione rr'sen(rr') si considera come rappresentante una retta perpendicolare al piano (r, r'), tale retta avrà sugli assi x, y, z, le projezioni mn' – m'n, nl' – n'l, lm' – l'm. [1845, p. 105]
Da qui è evidente come la teoria delle proiezioni di Chelini coincida in gran parte con l’algebra vettoriale dei nostri giorni. Chelini diede un’altra esposizione del calcolo vettoriale in un’appendice ai suoi Elementi di Meccanica razionale [1860].1 I procedimenti logici sono gli stessi della prima formulazione, ma i risultati vengono ottenuti in modo meno conciso. Nella nuova formulazione viene anche applicato più diffusamente il formalismo per indicare le operazioni di proiezione. Così, ad esempio, la proprietà secondo cui la proiezione su una retta della somma di più vettori è uguale alla proiezione della loro somma è data dalla formula D
rx = D(a + b + c + d)x,
dove r = a + b + c + d è la somma dei vettori proiettati, D il piano della proiezione e x l’asse dirigente. La trattazione dettagliata dei due tipi di componenti comparve finalmente nella prima parte della Teoria delle coordinate curvilinee nello spazio e nelle superficie [1868b], una memoria dedicata alla geometria differenziale. I procedimenti di Chelini sono basati sull’introduzione di un secondo sistema di assi non ortogonali, ‘supplementari’ ai primi nel senso di Hachette,2 e sull’uso sulla trigonometria sferica. In tal modo si maschera forse un po’ la semplicità dei risultati, poiché si considerano allo stesso tempo le componenti rispetto a entrambi i riferimenti. 1 Gli Elementi sono dedicati a Poinsot: «Alla memoria di Luigi Poinsot, che colle tecniche intuitive delle coppie e delle rotazion de’ corpi aprì nella scienza dell’equilibrio e del moto quasi un gran centro di nuova luce e di bellezza». Negli Elementi Chelini riporta anche una lettera inviatagli da Poinsot contenente un giudizio positivo sul suo calcolo vettoriale. 2 Hachette [1811] aveva definito gli assi «ausiliari» di un sistema assegnato di assi cartesiani non ortogonali Dato il sistema (O; x, y, z), l’asse OX è perpendicolare al piano yOz, l’asse OY è perpendicolare al piano zOx, l’asse OZ è perpendicolare al piano xOy. Gli assi ausiliari di Hachette furono poi ripresi da Cauchy [1841]. Nelle trattazioni moderne del calcolo vettoriali, vengono detti «basi reciproche» o «basi duali». Sia infatti (e1, e2, e3) una base generica di uno spazio euclideo tridimensionale. La sua base reciproca (e1, e2, e3) è definita dalle relazioni ei · ek = ‰ik (i = 1, 2, 3), dove ‰ik è il simbolo di Kronecker. Un attimo di riflessione è sufficiente per comprendere che i vettori della base reciproca hanno la stessa direzione degli «assi ausiliari» di Hachette.
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Fissato dunque un sistema di assi cartesiani non ortogonali, per un dato vettore r Chelini definisce le proiezioni ortogonali L = r cos(xr),
M = r cos(yr),
N = r cos(zr),
e le componenti l = r sen(yz,r) , l = r sen(yz,x) ,
m = r sen(zx,r) , m = r sen(zx,y) ,
n = r sen(xy,r) , n = r sen(xy,z) ,
essendo ovvio il significato dei simboli. In termini moderni, come sappiamo, queste non sono altro che le componenti covarianti e contravarianti del vettore r. Ottiene poi la relazione tra i due tipi di componenti, vale a dire le formule che permettono di ottenere le componenti covarianti date quelle contravarianti, L = l + m cos(xy) + n cos(zx), M = m + n cos(yz) + l cos(xy), N = n + l cos(zx) + m cos(yz),
come pure le formule inverse. Introduce quindi il prodotto scalare e ne fornisce e espressioni, per mezzo dei due tipi di componenti: rr'cos(rr') = Ll' + Mm' + Nn', rr'cos(rr') = ll' + (mn' + m'n) cos(yz).
∑ ∑
Queste relazioni erano però già state ottenute da Giorgini. Chelini riconosce esplicitamente l’importanza del prodotto scalare e il suo legame con la meccanica: Al principio delle velocità virtuali, fondamento di tutta la meccanica, corrisponde in geometria analitica un principio analogo fecondissimo, che, associato al principio della proporzionalità, ne regge e governa tutte le parti elementari [Chelini 1849º, p. 39].
Chelini definisce inoltre il prodotto esterno: Le due rette r, r' date nello spazio in grandezza e in direzione, si concepiscano condotte parallelamente a sé stesse ad aver comune l’origine, e si riguardino come lati di un parallelogrammo, il quale s’intenda rappresentato in grandezza e in asse da una terza retta p, vale a dire da una retta di lunghezza = rr'sen(rr'), sorgente perpendicolarmente sul piano (rr'), e disposta rispetto all’angolo rr' (minore di due retti) come uno degli assi polari positivi, per es. Ox1, è disposto rispetto all’angolo (yz) [Chelini 1868b, p. 486].
Di esso trova i due tipi di componenti. Ad esempio, per il prodotto esterno p di due vettori r, r' le componenti contravarianti sono date da (MN' – M'N) H-1, (L'N – LN') H-1, (LM' – L'M) H-1,
e le componenti covarianti da
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essendo H/6 il volume del tetraedro identificato dall’origine e dalle intersezioni dei tre assi cartesiani con la sfera di raggio unitario centrata nell’origine. Infine, Chelini definisce il prodotto misto Sia data una terza retta r" di componenti l", m", n", e di projezioni L", M", N". Se si moltiplica p per la projezione che riceve da r", il prodotto dovrà essere uguale, com’è noto, alla somma de’ prodotti che si ottengono moltiplicando le componenti dell’una delle due rette p, r", per la projezione che ricevono sulle loro direzioni dall’altra retta [Chelini 1868b, p. 486].
Anch’esso viene espresso sia mediante le coordinate covarianti che rispetto a quelle contravarianti: [(mn' – m'n)l" + (nl' – n'l)m" + (lm' – l'm)n"] H, [(MN' – M'N)L" + (NL' – N'L)M" + (LM' – L'M)N"].
Questi risultati rimarchevoli, che in parte vanno oltre quello che aveva ottenuto Giorgini, non sembra siano stati notati all’epoca.1 Chelini diede altre esposizioni della sua teoria, ad esempio nella memoria Sull’uso sistematico de’ principii relativi al metodo delle coordinate rettilinee [1849b]. L’esposizione più ampia, in un certo senso definitiva, del calcolo vettoriale di Chelini si trova nella memoria Sulla composizione geometrica de’ sistemi di rette, di aree e di punti [1870]. Le righe introduttive dànno una buona idea di quali siano state le fonti d’ispirazione di Chelini: Esporre le leggi geometriche che presiedono alla composizione e trasformazione de’ sistemi, sia di rette, sia di aree, sia di punti affetti da coefficienti, rimossa ogni idea di forza e di velocità, tale è l’oggetto del presente scritto. In altre Memorie ho più volte toccato questo argomento, ma sempre parzialmente: qui mi propongo soprattutto di metterne in rilievo il principio di unità che ne informa ed anima, per così dire tutte le parti, collegandole in una nuova teoria semplice ed elementare. La quale, ove fosse introdotta nell’insegnamento, aprirebbe un accesso oltre modo piano ed attraente (secondo che a me pare) non solo alla geometria analitica e sintetica, ma ben anche alla meccanica; essendomi studiato di rendere puramente geometrici i grandi concetti dei Sigg. Poinsot e Chasles sulla composizione e riduzione delle forze e delle rotazioni simultanee; concetti di una mirabile fecondità, espressi dai loro autori con tale chiarezza, con ordine così lucido che potrebbero forse servire di base sia per rischiarare, sia per coordinare in meglio le nuove vedute del Sig. Plücker sulla 1 In parte queste formule si trovavano già nel Saggio di geometria analitica, trattata con nuovo metodo [1838-1839, § 57]. Si veda anche la prima parte della memoria Sull’uso sistematico de’ principii relativi al metodo delle coordinate rettilinee [1849b].
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geometria dello spazio considerato nei complessi di rette, almeno per ciò che riguarda il progresso vero della Meccanica [Chelini 1870, p. 343].
Questa lunga memoria di fatto non aggiunge nulla ai risultati precedenti, ma anzi li soffoca in un mare di dettagli. Così, ad esempio, vengono dedicate diverse pagine a spiegare nuovamente, quasi negli stessi termini usati originariamente, diversi teoremi sulle coppie che derivano dalla Statique di Poinsot. A differenza di altri autori, Chelini non riuscì mai a staccare del tutto il proprio calcolo vettoriale dalle sue origini nella meccanica. 4. Applicazioni alla geometria differenziale La teoria delle proiezioni di Chelini ottenne i suoi risultati più brillanti in geometria differenziale. Il fatto non è sorprendente, se si pensa che buona parte della teoria classica delle curve e delle superficie può essere ricondotta a poche relazioni fondamentali tra un numero limitato di vettori caratteristici. Introducendo i metodi vettoriali in geometria differenziale, Chelini riuscì a semplificare e a razionalizzare la trattazione dei classici teoremi ottenuti nella prima metà dell’Ottocento. Il primo lavoro di questo tipo fu la memoria Sulla curvatura delle linee e delle superficie [1845]. Beltrami osserva che esso apparve contemporaneamente al Mémoire sur les lignes courbes non planes di Saint-Venant, e che i due lavori coincidono in parte riguardo ai metodi ed ai risultati pur essendo completamente indipendenti. In effetti oggi sappiamo che le idee di Chelini e di Saint-Venant avevano seguito uno sviluppo parallelo: attorno al 1831-1832 entrambi avevano cominciato a sviluppare il proprio calcolo vettoriale ispirandosi alla meccanica, e solo diversi anni dopo lo esposero per iscritto, per poi applicarlo alla geometria differenziale. Trattando delle curve sghembe, Chelini considera in un punto generico M della curva il segmento orientato di componenti (dx, dy, dz), ovvero il vettore tangente dr, come pure il versore tangente dr/ds = t. Prendendo la differenza dei versori posti in due punti ‘successivi’ della curva, M ed M + dM, ottiene il vettore ⎛d dx, d dy, d dz⎞ , ovvero dt, normale alla ⎝ ds ds ds ⎠ curva. Da qui ricava facilmente un’espressione per il raggio di curvatura Ú = ds/dı [1845: 107]. Rappresenta poi il parallelogramma costruito su due ‘lati successivi’ della curva mediante un segmento ad esso perpendicolare, denotato con v, di componenti dy d2 z – dz d2 y,
dz d2 x – dx d2 z,
dx d2 y – dy d2 x.
È ovvio che v non è altro che il vettore dr × d2r, ovvero la binormale [1845: 108]. L’angolo tra due binormali ‘successive’ è l’angolo di torsione. Con-
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siderando il vettore dv, Chelini ottiene una formula di Lancret per l’angolo di torsione. Nella seconda parte dell’articolo, Chelini discute delle curve che giacciono su una superficie: Supponiamo adesso che la curva AMB corra nella superficie dell’equazione u = 0, e che il punto M abbia le coordinate x, y, z. Facciamo du du du = X, dy = Y, dz = Z, dx e rappresentiamo con t la retta che sugli assi x y z ha le projezioni X, Y, Z. Differenziando u = 0 abbiamo X dx + Y dy + Z dz = 0, la quale mostra che la retta t è normale alla superficie nel punto M [Chelini 1845, p. 131].
Il vettore t (X, Y, Z) è il gradiente, che compare esplicitamente per la prima volta.1 Nel seguito Chelini applica, in forma ancora imperfetta, un ragionamento vettoriale assai semplice e potente [1845: 433]. Data la solita curva giacente su una superficie, consideriamo in un suo punto generico il versore normale t = dr/ds e un vettore N normale alla superficie. Ovviamente N·t = 0. Derivando rispetto alla lunghezza d’arco s questa relazione otteniamo dt d2r cos(N,n), – t · dN ds = N · ds = N · ds2 = Ú
essendo n la normale e Ú il raggio di curvatura. Il membro di sinistra non dipende dalla curva che passa per il punto prescelto se non per la direzione della tangente. Da qui, con pochi passaggi si ottengono i teoremi di Euler e di Meusnier. La forma definitiva di questa dimostrazione compare alcuni anni dopo, nella memoria Della curvatura delle superficie con metodo diretto e intuitivo [1868a: 52]. È il metodo che si trova oggi, ad esempio, nelle Lectures on Classical Differential Geometry di Struik [1950], probabilmente grazie alla sua riscoperta da qualche autore successivo a Chelini. La memoria contiene un accenno ad un risultato interessante (non dimostrato): l’invarianza in forma dell’espressione per il rotore nel passaggio da un sistema di assi ortogonali ad un altro [1845: 441]. Chelini scrisse diversi altri lavori di geometria differenziale, tutti assai interessanti. Ognuno di essi contiene qualche applicazione del calcolo 1 Le proprietà vettoriali del gradiente, ovvero delle tre derivate parziali prime di una funzione f(x, y, z), erano però già state riconosciute da Poinsot nel considerare l’equilibrio di un punto soggetto a una forza esterna e vincolato a restare su una superficie [Poinsot 1806, § II].
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vettoriale elementare. Le considerazioni sulle più generali trasformazioni di coordinate, inoltre, sviluppano i risultati di Lamé e anticipano quelli di Beltrami. La memoria Sulle formole fondamentali riguardanti la curvatura media delle superficie e delle linee [1853], ad esempio, contiene la prima trasformazione in coordinate generali (non necessariamente ortogonali) dell’operatore laplaciano [1853, p. 364]. Nella Teoria delle coordinate curvilinee nello spazio e nelle superficie si trova un’eloquente difesa dei metodi vettoriali e un’amara constatazione della loro scarsa influenza sui matematici dell’epoca: La teoria delle coordinate curvilinee, costituita da Gauss, e successivamente sviluppata e perfezionata per opera di Lamé, Bertrand, Bonnet, Liouville ed altri illustri geometri, è stata di recente ripresa sotto un altro punto di vista più generale dai chiarissimi Professori Brioschi, Codazzi, Beltrami, Aoust. Dal mio lato sino dall’anno 1853 pubblicai intorno alle coordinate curvilinee (intersezioni sotto un angolo variabile di un sistema triplo di superficie) le formole generali acconce ad esprimere i parametri differenziali del 1º e 2º ordine, sia le direzioni delle linee di curvatura sopra una data superficie e le lunghezze de’ raggi principali corrispondenti, sia i punti singolari chiamati ombelici, e mostrai come da queste formole si passava alle formole date da Lamé per un sistema triplo ortogonale. Sembra per altro che quel mio lavoro sia rimasto del tutto inosservato, per colpa mia senza dubbio, avendo io tralasciato in sulle prime di addurre le dimostrazioni, ed in seguito appoggiandomi sopra i principii geometrici della composizione e decomposizione delle linee e delle aree, i quali, benché semplicissimi e fecondissimi, non parmi che siano ancora passati nell’insegnamento e nell’uso comune per quanto, a mio credere, lo richiederebbe la loro importanza. Ritornando ora sopra questo argomento, trovo che gli stessi principii debitamente sviluppati conducono pure direttamente e colla più grande chiarezza ai nuovi risultati a cui sono giunti, per mezzo di calcoli più o meno laboriosi, gli autori sullodati, conferendo loro per sovrappiù un significato geometrico che non può mancare di essere assai utile nelle applicazioni. Questa è almeno la mia fiducia nel pubblicare la presente Memoria, dove mi propongo di niente omettere di ciò che può servire a render chiare e facili le dimostrazioni, e a dare al soggetto l’unità e la semplicità di una vera teoria [Chelini 1868b, p. 483].
Per apprezzare il valore delle osservazioni di Chelini si ricordi che la memoria precede di quasi vent’anni i lavori di Gibbs e Heaviside. Chelini trattò degli elementi della geometria differenziale di curve e superficie anche in appendice agli Elementi di meccanica razionale [1860: Appendice 38-58]. Qui l’esposizione è più semplice di quella data nel 1845, e si limita ai concetti fondamentali. Alcuni indizi, quali le notazioni un po’ diverse dalle precedenti, fanno pensare che in questo caso Chelini abbia approfittato della memoria di Saint-Venant.
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sandro caparrini 5. Altre applicazioni geometriche
In quasi tutti i lavori di Chelini si trovano applicazioni della sua «teoria delle proiezioni». Paradossalmente le memorie meno interessanti dal nostro punto di vista sono quelle di meccanica. In effetti il calcolo vettoriale di Chelini non è altro, come si è già detto, che la trasposizione immediata in geometria di operazioni meccaniche, per cui il suo ritorno alla meccanica risulta, per così dire, ridondante. Per lo stesso motivo, però, le applicazioni alla geometria risultano tutte degne di nota. Abbiamo già esaminato i contributi di Chelini alla geometria differenziale; vediamo ora quelli alla geometria analitica e sintetica. La prima applicazione del calcolo vettoriale di Chelini alla geometria si trova nel Saggio di geometria analitica, trattata con nuovo metodo [1838-1839]. Il Saggio è un trattato sistematico di geometria analitica elementare, e il nuovo metodo è la teoria delle proiezioni. Ecco, ad esempio, come viene ricavata l’equazione della retta in tre dimensioni riferita ad assi obliqui: Trovar l’equazione di una retta riportata a tre assi coordinati (x), (y), (z). Soluz. Consideriamo sulla retta un segmento v che cominci dal punto ·‚Á e termini al punto xyz: le componenti di v rispettivamente parallele agli (x), (y), (z) siano l, m, n. Poiché le rette parallele sono proporzionali alle loro componenti omologhe, si avrà x–· y–‚ z–Á v = m = n = r. l Queste due equazioni appartengono soltanto alla retta condotta pel punto ·‚Á parallelamente alla risultante delle linee l, m, n, cioè ad una retta unica [Chelini 1838-39: § 58].
A parte la notazione non c’è alcuna differenza tra la dimostrazione di Chelini e quella moderna, in cui la direzione della retta viene definita per mezzo di un vettore. Per inciso, la forma dell’equazione della retta usata nella dimostrazione all’epoca era relativamente recente, poiché la sua applicazione sistematica si trova solo nelle Leçons sur les Applications du Calcul infinitésimal a la Géométrie di Cauchy [1826, Oeuvres, p. 19].1 Anche per trovare l’equazione del piano viene data una dimostrazione vettoriale: L’equazione
Ax + By + Cz = D rappresenta un piano distante dalla origine O dell’intervallo k = D/g, ove g è un segmento di tale distanza, avente sugli assi coordinati (x), (y), (z) le proiezioni A, B, C. 1 Essa compare però già in una memoria di Euler sulla teoria dei momenti [1793: § 8].
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Dim. Prendiamo, a partire dalla origine O sull’asse (x) un segmento Oa = A; sull’asse (y) un segmento OB = B; sull’asse (z) un segmento OC = C; e all’estremità di questi segmenti eleviamo sopra gli assi (x), (y), (z) tre piani perpendicolari, i quali concorreranno necessariamente in qualche punto g. Designata per g la retta Og, prendiamo sulla medesima (prolungata, se occorre) un segmento Ok = D/g = k, e sopra questo segmento nella sua estremità s’innalzi perpendicolare un piano indefinito: questo piano sarà il luogo geometrico dell’equazione [del piano]. Infatti consideriamo in esso un punto qualunque M = (x, y, z): OM avrà per componenti x, y, z. Quindi il noto principio delle proiezioni fornisce g.OM cos gOM = Ax + By + Cz; ma g.OM cos gOM = gk = D: dunque D = Ax + By + Cz. Cosi ogni punto xyz del nostro piano verifica questa equazione, ed inoltre si vede che non può verificarla altro punto al di qua o al di là del medesimo piano [Chelini 1838-1839, § 59].
Qui viene introdotto esplicitamente il vettore normale, e l’equazione del piano viene correttamente identificata come un prodotto scalare. Nel Saggio vengono inoltre usati sistematicamente gli axes conjuguées di Hachette, qui denominati «assi supplementarii» [1838-1839, § 28]. Chelini riprese gli stessi argomenti nella memoria “Sull’uso sistematico de’ principii relativi al metodo delle coordinate rettilinee” [1849b], a cui aggiunse qualche altra dimostrazione di carattere vettoriale. Ad esempio, per trovare la minima distanza tra due rette, egli calcolò il prodotto esterno tra i due vettori direzione delle rette e considerò i piani passanti per tali rette e normali a tale vettore [1849b: 351]. Questi risultati ci autorizzano ad affermare che è stato Chelini ad introdurre per la prima volta esplicitamente il calcolo vettoriale in geometria analitica (nel 1838!).1 Nella parte finale della memoria, Chelini trova le equazioni del cambiamento di assi cartesiani usando il suo formalismo vettoriale, e discute infine, basandosi sulla semplice analogia formale, dell’invarianza di talune espressioni formate con i simboli di derivata parziale, in modo analogo a quanto aveva fatto Cauchy [1841]. Anche l’esplicita formulazione vettoriale della teoria del centro di massa, implicitamente contenuta nelle opere di Carnot [1803] e Lhuilier [1789], si deve a Chelini. La si trova nella memoria Sui centri de’ sistemi geometrici [1849a]: Definizione. Centro di un sistema di punti A, A', A", … è un nuovo punto, di cui le distanze ai punti dati hanno una risultante nulla, ossia projettate omologa1 «Non mi è occorso fin qui di leggere alcun geometra il quale abbia rilevato che negli esposti principii sta il vero fondamento della geometria analitica, e che da essi convien cominciarne la costruzione» [Chelini 1849b, p. 334].
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mente sopra un asse qualunque, la somma delle projezioni è sempre uguale a zero. Problema. Trovare il centro di un sistema di m punti A, A', A"… Soluzione. Da un punto qualunque V tiriamo ai punti dati altrettante rette VA, VA', VA" … Determinata la loro risultante VR, prendiamovi sopra un segmento VO = VR/m; il punto O sarà il centro degli m punti dati. Infatti prolunghiamo RV al di là di V di un intervallo VR = -RV = m.OV; la risultante delle rette VA, VA', VA", … VR sarà = 0, e però sarà = 0 la somma delle loro projezioni omologhe sopra un asse qualunque. Ora, avuto riguardo ai triangolo OVA, OVA', OVA", OVA"', … si vede che le projezioni, sopra un asse qualunque, delle rette OA, OA', OA", … (distanze tra il punto O e ciascuno dei punti dati) equivalgono rispettivamente alle projezioni omologhe delle linee spezzate OV + VA, OV + VA', OV + VA", … Ma la somma delle projezioni di queste sopra un asse qualunque è nulla, essendo eguale evidentemente alla somma delle projezioni omologhe delle rette m.OV, VA, VA', VA", … la cui risultante è nulla per la fatta costruzione. Le distanze adunque tra il punto O e ciascuno de’ punti dati A. A, A, … hanno una risultante nulla. Dunque il punto O è il centro de’ punti dati, giusta la definizione [Chelini 1849a: 40].
A parte il linguaggio arcaico, la dimostrazione di Chelini coincide nella forma e nella sostanza con le attuali dimostrazioni vettoriali. In sostanza: dato il sistema di punti A, A', A', …, aventi rispettivamente le masse m, m', m", …, il centro di massa G è definito dalla relazione m · GA = 0, e per trovarlo è sufficiente considerare il vettore m · OA / m, essendo O un punto qualsiasi. Le altre dimostrazioni della memoria sono simili a questa.
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6. Conclusioni Dopo la morte di Chelini rimasero ben poche tracce della sua teoria delle proiezioni. I suoi lavori, infatti, non ebbero alcuna influenza diretta su coloro che si occuparono di calcolo vettoriale alla fine dell’Ottocento. È interessante osservare, però, che la composizione di aree di Chelini viene citata da Peano in relazione alla nascita del prodotto esterno di vettori nel Formulaire mathématique:
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L’expression uav est le “produit alterné” ou “produit extérieur” des vecteurs u, v. On peut le représenter par le parallélogramme construit sur u et v. Elle est dite aussi “bivecteur”, et dans la Mécanique “couple” (Poinsot, a. 1803). On rencontre un calcul sur les aires dont on considère l’orientation dans Chelini, Saggio di geometria analitica, trattata con nuovo metodo, Roma a. 1838 [Peano 1903, p. 278].
In un altro lavoro di Peano [1890], Chelini viene affiancato a Grassmann, Möbius e Hamilton, come creatore del concetto di bivettore. Dunque Peano conosceva bene il ruolo di Chelini nella storia del calcolo vettoriale. I metodi vettoriali di Poinsot, Chasles e Saint-Venant continuarono a essere usati nell’insegnamento almeno fino agli anni ’30. In quasi tutti i libri di meccanica razionale e di geometria analitica di quegli anni, infatti, il capitolo sul calcolo vettoriale ha spesso poco a che fare con le teorie formali derivate da Grassmann. Si vedano, ad esempio, le Leçons de cinématique di Koenigs [1895] e il Traité de Mécanique rationnelle di Appell [1941 (VI edizione)], in cui tutte le nozioni sui vettori derivano dagli autori della prima metà dell’Ottocento. Anche nella Einführung in die Maxwellsche Theorie der Elektrizität di Foeppl [1921 (VIII edizione)], il testo fondamentale per la conoscenza dell’elettromagnetismo all’inizio del Novecento, il prodotto esterno viene definito come un caso particolare della composizione e decomposizione di superficie piane rappresentate da un vettore ortogonale. Gli esempi si potrebbero facilmente moltiplicare. Il definitivo tramonto di questa teoria semplificata si ebbe solo dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, con l’introduzione dei metodi più astratti anche nella matematica di base. Ringraziamenti Parte delle ricerche per il presente lavoro sono state svolte durante il mio periodo di dottorato presso il Dipartimento di Matematica dell’Università di Torino (XVI ciclo). Ho potuto inoltre usufruire del sostegno del Gruppo di Storia della Matematica dell’Università di Torino e del GNSAGA. La redazione finale è stata effettuata nel periodo trascorso a Cambridge (MA) come fellow del Dibner Institute for the History of Science and Technology (2005-06). Sono grato a Paolo Freguglia per le piacevoli discussioni sulla storia del calcolo vettoriale. Ringrazio inoltre Livia Giacardi per l’aiuto costante in tutte le fasi del lavoro.
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sandro caparrini Bibliografia
Le date indicate sono quelle di pubblicazione. Appell Paul 1941, Traité de mécanique rationnelle. Tome premier: Statique – Dynamique du point, VI edizione, Paris, Gauthier-Villars. Beltrami Ernesto e Cremona Luigi (a cura di) 1881, In memoriam Dominici Chelini: collectanea mathematica, Mediolani, sumptibus U. Hoepli. Beltrami Ernesto 1881, Della vita e delle opere di Domenico Chelini, In In memoriam Dominici Chelini, cit., pp. i-xxxii. Caparrini Sandro 1999, The Discovery of the Vector Representation of Moments and Angular Velocity, «Archive for History of Exact Sciences», 56, pp. 151-181. Caparrini Sandro 2003, Early Theories of Vectors, in Between Mechanics and Architecture: The Work of Clifford Ambrose Truesdell and Edoardo Benvenuto; Proceedings of the international symposium, 30 November-1 December 2001, Genoa, Italy, a cura di M. Corradi, A. Becchi and F. Foce, Basel, Birkhäuser, pp. 173-193. Caparrini Sandro 2004, The Theory of Vectors at the Beginning of the Nineteenth Century, in Variar para encontrar. Varier pour mieux trouver. The Lore of Variation: Finding Pathways to Scientific Knowledge, a cura di C. Alvarez, J. Rafael Martinez, P. Radelet de Grave, J. Lacki, México, Universidad Nacional, Autónoma de México - Universitas Catholica Lovaniensis - Université de Genève, 2004, pp. 235-257. Caparrini Sandro 2005, On the Common Origin of Some of the Works on the Geometrical Interpretation of Complex Numbers, in Two Cultures: Essays in honour of David Speiser, a cura di K. Williams, Basel, Birkhäuser, pp. 139-151. Carnot Lazare Nicolas Marguérite 1803, Géométrie de position, Paris, chez J. B. M. Duprat. Cauchy Augustin Louis 1826, Leçons sur les Applications du Calcul infinitésimal a la Géométrie. Paris, De Bure frères. Ristampato in Oeuvres Complètes de Cauchy, (2) 5. Cauchy Augustin Louis 1841, Mémoire sur divers théorèmes relatifs à la transformation des coordonnées rectangulaires, «Exercices d’Analyse et de Physique Mathématique», 2, pp. 273-286. Ristampato in Oeuvres Complètes de Cauchy, (2) 12, pp. 310-325. Chasles Michel 1830, Mémoire de géométrie pure, sur les systèmes de forces, et les systèmes d’aires planes; et sur les polygones, les polyèdres, et les centres des moyennes distances, «Correspondance mathématique et physique», 6, pp. 92-120. Chelini Domenico 1838, Teorica de’ valori delle proiezioni, «Giornale arcadico di scienze, lettere ed arti», 74, pp. 47-73. Chelini Domenico 1838-1839, Saggio di geometria analitica, trattata con nuovo metodo, «Giornale arcadico di scienze, lettere ed arti», 75, pp. 80-130, 279-308; 76, pp. 3-65, 257-286. Ristampa in volume: Roma, Tip. delle belle arti, 1838. Chelini Domenico 1845, Sulla curvatura delle linee e delle superficie, in Raccolta di lettere ed altri scritti intorno alla Fisica e alle Matematiche, 1, pp. 105-109, 129136, 140-148, 156-160.
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I L TR AT TATO G E N OCCHI - PEAN O (1884) A L L A LUCE D I D O CU M E N T I IN E D IT I Erika Luciano* Abstract · This paper presents the contents, the scientific progress and the differences with respect to Genocchi’s lectures and the debates that surrounded the writing of the Genocchi - Peano treatise (1884). The study of the correspondence between Genocchi and his contemporaries sheds light on the context of the publication of the volume (Genocchi at first refused to put his name on it) and how Genocchi’s behaviour changed after comments were received from abroad. An examination of three manuscript versions of Genocchi’s unpublished lectures,
conserved in the archives of Piacenza and Torino, shows the extent of the influence exerted on Peano by his master, the differences between the teachings of the two mathematicians, and the accurate studies by Peano of the most important treatises of his time. Thanks to the marginalia, noted by Peano on his copy, it is possible to follow the development of the research undertaken by Peano in the years 1884-1899, when the German version was published, and the progression to the logical notations in his research and teaching in the field of analysis.
razie allo studio di fonti archivistiche edite e inedite, reperite nelle biblioteche di Cuneo, Torino, Genova, Piacenza, Parma e Napoli, sono emersi alcuni elementi di novità e di interesse concernenti il contesto, le fasi di elaborazione, i retroscena e i dibattiti che accompagnarono la stesura e l’uscita del Genocchi - Peano.1 In particolare, il carteggio ine-
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* Ricerca eseguita nell’ambito del Progetto MIUR, Storia delle Matematiche, Unità di Torino. Erika Luciano, Dipartimento di Matematica, Università di Torino, Via Carlo Alberto 10, I 10123, Torino. E-mail: [email protected] 1 Per le fonti d’archivio si utilizzano le seguenti abbreviazioni: ADT, Archivio Privato del Prof. M.U. Dianzani, Torino; AFT, Archivio Storico, Istituto Francesco Faà di Bruno, Biblioteca dell’Istituto del Suffragio, Torino; ASUT, Archivio Storico dell’Università di Torino; BCC, Biblioteca Civica di Cuneo; BCT, Biblioteca Civica di Torino; BNT, Biblioteca Nazionale di Torino; BUG, Cassetta Loria, Biblioteca Universitaria di Genova; FCP, Fondo Cassina, Biblioteca del Dipartimento di Matematica dell’Università di Parma; FGP, Fondo Genocchi, Biblioteca Passerini-Landi, Piacenza; FSN, Fondo Siacci, Biblioteca del Dipartimento di Matematica dell’Università di Napoli. Per gli scritti di Peano si utilizzano le sigle riportate nel cd-rom L’Opera Omnia di Giuseppe Peano, indicato in Bibliografia come Peano 2002 e consultabile nel sito www.dm.unito.it/collanacdrom/operaomnia/scritti.pdf. «Bollettino di storia delle scienze matematiche» · Vol. XXVII · 2007 · Fasc. 2
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dito fra Angelo Genocchi e Placido Tardy consente di illustrare i rapporti di stima che legarono Genocchi e Peano, solo temporaneamente e superficialmente incrinati dalla vicenda legata alla comparsa del trattato di Calcolo differenziale, con la conseguente dichiarazione di estraneità all’opera da parte di Genocchi. Il raffronto fra i manoscritti delle Lezioni di Calcolo differenziale ed integrale dettate da Genocchi all’Università di Torino e il testo a stampa permette invece di valutare l’impronta dell’insegnamento di analisi di Genocchi sulla formazione del giovane Peano e di stabilire in che misura e in che senso quest’ultimo recepì, utilizzò e modificò le lezioni del maestro. Infine, lo studio dei marginalia apposti da Peano sulla sua copia del Genocchi - Peano rende possibile ripercorrere, anche attraverso le edizioni successive, gli sviluppi che questo trattato ebbe nella ricerca e nella didattica di Peano nel campo dell’analisi. 1. Il contesto internazionale e l ’ ambiente torinese Quando nel settembre del 1884 è pubblicato a Torino, presso l’editore Bocca, il trattato di Angelo Genocchi Calcolo differenziale e principii di calcolo integrale pubblicato con aggiunte dal D.r Giuseppe Peano1 la capitale sabauda sta vivendo un periodo di indiscutibile vivacità dal punto di vista culturale e scientifico. Nell’ambito dell’ateneo operano docenti di spicco fra cui, oltre a Genocchi, Enrico D’Ovidio, Francesco Siacci e Francesco Faà di Bruno; nel 1883 è stata inaugurata la Biblioteca Speciale di Matematica e, nello stesso tempo, alcune case editrici, fra cui quella dei Fratelli Bocca avviano collane destinate alla matematica e alle scienze. Il panorama della ricerca scientifica internazionale in cui si inserisce la pubblicazione di questo trattato si configura come una fase di transizione verso la moderna analisi, contraddistinta da una stretta interazione fra attività di ricerca e di insegnamento: un’epoca in cui i docenti erano «chiamati ad insegnare ciò che essi medesimi giorno per giorno studiavano e scoprivano»2 e in cui gli allievi non si limitavano ad assistere passivamente alla creazione di nuove teorie, ma erano essi stessi invitati a collaborare con osservazioni e contributi originali. La didattica e la ricerca viva nel campo dell’analisi si alimentano ed arricchiscono vicendevolmente, e il frutto degli studi sui fondamenti del Calcolo si traduce 1 Angelo Genocchi, Calcolo differenziale e principii di calcolo integrale pubblicato con aggiunte dal D.r Giuseppe Peano, Torino, Bocca, 1884. Nel seguito tale trattato sarà citato in nota come Peano 1884c. 2 Vito Volterra, Le matematiche in Italia nella seconda metà del secolo XIX, Atti del IV Congresso Internazionale dei Matematici (Roma, 6-11 aprile 1908), Roma, Tip. della R. Accademia dei Lincei, vol. I, 1909, p. 58.
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nella produzione di una manualistica di alto livello, ai cui vertici si distinguono le lezioni di Ulisse Dini e il Genocchi - Peano, testi che portano l’Italia all’avanguardia nell’insegnamento dell’analisi a livello europeo. Il Genocchi - Peano viene così a rappresentare una tappa fondamentale e un riflesso di quella stagione della matematica, a ragione caratterizzata da Beppo Levi come il «periodo eroico della teoria delle funzioni di variabile reale»,1 di cui Peano diventerà, a breve, brillante protagonista. Nel contempo, emergono e vanno delineandosi, con sempre maggiore chiarezza, tre scuole di ricerca impersonate da Vito Volterra nelle figure di Enrico Betti, Francesco Brioschi e Felice Casorati che, pur con mutue interazioni, propugnano le istanze dell’analisi pura, di quella applicata e dell’analisi intesa come studio critico, volto a portare rigore e precisione in teorie già assodate.2 È soprattutto la figura del matematico pavese a fornire il metro di paragone con cui contestualizzare i primi lavori di Peano nel campo dell’analisi3 e, non a caso, sarà proprio Casorati, con cui Peano è in contatto a partire dal novembre 1883, a risultare uno dei mentori del Genocchi - Peano a livello nazionale, suggerendone la lettura e l’acquisto da parte dei suoi studenti all’Università di Pavia.4 Se l’insegnamento di Casorati privilegia il legame fra la docenza del Calcolo infinitesimale e delle sue applicazioni, utili a coloro che avrebbero operato nelle Scuole di applicazione per ingeneri,5 l’insegnamento impartito da Genocchi all’Università di Torino si contraddistingue per il taglio maggiormente orientato ai temi dell’analisi astratta. Formatosi da autodidatta, alla scuola di Giovanni Plana e di Felice Chiò, Genocchi è un valente analista, la cui produzione spazia dalla teo1 Levi 1932, p. 256 e 1955, p. 13. 2 Vito Volterra, Betti, Brioschi, Casorati, trois analystes italiens et trois manières d’envisager les questions d’analyse, in Compte rendu du deuxième Congrès international des mathématiciens, Paris, 1900; Paris, Colin, 1902, pp. 43-57. 3 Vito Volterra, Betti, Brioschi, Casorati, cit., 1902, pp. 46-47: «L’esprit de Casorati était d’une nature différente: il vécut et travailla presque exclusivement pur ses élèves et pour son école. Ses travaux en effet ont presque tous ce cachet spécial qui révèle que le but de l’auteur était d’éclaircir quelque point obscur, ou de corriger quelque résultat, ou d’exposer d’une manière critique un corps de doctrines. Mais quelle originalité dans la critique, quel talent dans l’exposition d’une théorie, qui devenait une nouvelle théorie en vertu du point de vue d’où Casorati l’envisageait, combien de résultats nouveaux et complètement inattendus ressortaient d’une simple erreur qu’il corrigeait!» 4 F. Casorati a G. Peano, Pavia 6.11.1883, G. Peano a F. Casorati, Torino 13.11.1883 e F. Casorati a G. Peano, Pavia 2.12.1883 in Gabba 1957, pp. 877-878. 5 Felice Casorati, Discorso pronunziato il 17 Gennajo 1864, Prolusione al corso di Calcolo differenziale ed integrale, Università di Pavia, riedito in Antonio Capelo, Mario Ferrari, Alberto Gabba, P. Moglia, Un discorso di Felice Casorati sull’analisi matematica del suo tempo, «L’insegnamento della matematica e delle scienze integrate», 20B, 1997, pp. 209-266, cfr. in particolare p. 240.
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ria delle serie – in particolare i numeri di Bernoulli, l’espressione del resto nella serie di Euler sotto forma di integrale definito, la serie di Lagrange, gli sviluppi in serie di Stirling, di Binet e di Prym – fino agli studi riguardanti le funzioni interpolari, ellittiche e gli integrali euleriani, un soggetto che rivela in lui «un seriissimo istinto di maestro associato a quello di ricercatore».1 Approdato all’insegnamento universitario nel 1857, Genocchi tiene dapprima il corso di Algebra complementare e Geometria analitica, nel 1861 diviene titolare dell’insegnamento di Analisi Superiore, passando poi nel 1862 alla cattedra di Introduzione al Calcolo2 e successivamente, nel 1865, a quella di Calcolo differenziale ed integrale, denominato a partire dal 1876 Calcolo infinitesimale, su cui rimane fino alla morte. Sia sotto il profilo contenutistico, sia a livello espositivo, l’insegnamento di Genocchi presenta importanti innovazioni. Mosso dalla convinzione, che gli aveva fruttato un richiamo ufficiale nel 1858,3 che il livello dell’insegnamento della matematica in Italia non potesse che abbassarsi se si ponevano «nelle mani dei giovani elementi molto leggieri, i quali compariscono facili perché sono inesatti»,4 Genocchi impartiva lezioni che si distinguevano per chiarezza, precisione e rigore delle trattazioni. D’altro canto egli mirava a introdurre le conquiste della moderna critica analitica, con il commento ai lavori di Augustin-Louis Cauchy e di Felice Chiò5 e amava fare oggetto di insegnamento teorie analitiche su 1 Enrico D’Ovidio, Onoranze ad A. Genocchi, «Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino, Classe di Scienze FMN», 27, 1892, pp. 1088-1106 citazione a p. 1101. Sulla figura e l’opera scientifica di Genocchi cfr. anche Francesco Siacci, Cenni necrologici di Angelo Genocchi, «Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino», 39, 1889, pp. 463-496; Giuseppe Peano, Angelo Genocchi, 1890a, pp. 195-202; Conte, Giacardi 1991 e Livia Giacardi, Angelo Genocchi, in Roero 1999, t. II, pp. 461-467. 2 Il corso di Introduzione al Calcolo è previsto come insegnamento obbligatorio dal Regolamento della Facoltà di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali del 13 novembre 1859 (Legge Casati). In ASUT, XIVB, è conservato il Programma per gli esami d’introduzione al calcolo proposto a norma dell’art. 130 della Legge del 13 novembre 1859 dalla Commissione creata dal Ministero della Pubblica Istruzione, ed approvato dal Consiglio Superiore, redatto da E. Martini e pubblicato a Torino, presso la Stamperia Reale nel 1861. Il corso di Introduzione al calcolo è poi accorpato a quello di Calcolo differenziale ed integrale nel Decreto Matteucci (settembre 1862). Come si evince dai Registri delle sue lezioni, Genocchi continuerà tuttavia ad operare ufficiosamente una suddivisione del corso da lui tenuto in due parti distinte: un primo gruppo di una quindicina di lezioni, dedicate appunto all’Introduzione al calcolo, tenute dall’assistente, cui segue il corso ‘vero e proprio’ di Calcolo differenziale ed integrale, svolto interamente dal professore. 3 Cfr. Angelo Genocchi, Notizie intorno alla vita ed agli scritti di Felice Chiò, «Bullettino di Bibliografia e Storia delle Scienze Matematiche e Fisiche (Boncompagni)», 4, 1871, pp. 375-376. 4 Pietro Paoli, Elementi di Algebra, vol. I, Torino, Stamperia Reale, 2a ed., 1799, p. i. 5 Secondo la testimonianza di D’Ovidio (Enrico D’Ovidio, Onoranze ad A. Genocchi, cit., 1892, p. 1099), Genocchi ben conosceva ed ammirava anche i risultati ed i metodi di B. Riemann e di K. Weierstrass, pur non adoperandoli come strumenti di ricerca.
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cui lavorava egli stesso come ricercatore: significativa, in tal senso, risulta l’esposizione di argomenti quali la teoria delle funzioni interpolari e le funzioni prive di derivata, all’epoca al centro della ricerca, illustrate sia nell’ambito delle lezioni accademiche, sia nel contesto delle conferenze alla Scuola di Magistero in Matematica.1 Apprezzato per le sue doti scientifiche e umane, «più che amato, venerato dagli studenti»,2 nella sua decennale carriera di docente Genocchi ha, fra i suoi più eccellenti allievi, oltre a Peano, anche il geometra algebrico Corrado Segre e l’economista Vilfredo Pareto, che segue il corso di Calcolo tenuto da Genocchi nell’anno accademico 1865-66.3 Il matematico piacentino contribuirà, con il suo insegnamento, a creare a Torino un ambiente aperto e recettivo in cui – dopo il definitivo consolidamento delle teorie di Cauchy e grazie all’acquisizione dei moderni studi di aritmetizzazione dell’analisi ad opera di K. Weierstrass, G. Cantor, E. Heine, R. Dedekind e C. Méray – potrà dispiegarsi l’opera creativa di Peano. 2. I rapporti fra Genocchi e Peano alla luce del carteggio fra Genocchi e Tardy Iscrittosi al corso di laurea in Matematica dell’Università di Torino nel 1876, il giovane Peano si fa da subito apprezzare come uno studente di promettente talento da tutti i suoi maestri.4 Fra questi vi sono eminenti matematici – come Enrico D’Ovidio, Francesco Faà di Bruno, Angelo Genocchi e Francesco Siacci – che, attirati dalla politica illuminata di casa Savoia e di Cavour, si erano trasferiti a Torino negli anni a ridosso dell’unità d’Italia per contribuire al risorgimento nazionale e alla ripresa culturale: saranno loro ad esercitare su Peano la più forte influenza e ad orientarlo verso la ricerca. Personalità dal forte carisma, E. D’Ovidio è professore di Peano nel corso di Algebra Complementare e Geometria Analitica ed è relatore della sua tesi di laurea. Consapevole delle capacità non comuni del giovane Peano, gli offre il posto di assistente nella Scuola da lui diretta5 e lo indirizza nelle prime ricerche, incentrate sui connessi e sulla teoria delle 1 Cfr. Giuseppe Peano, Angelo Genocchi, 1890a, pp. 197, 199. 2 Enrico D’Ovidio, Giuseppe Peano, Angelo Genocchi, «La Letteratura», quotidiano apparso a Torino il 1.4.1889, pagina non numerata. 3 Cfr. Luigi Pepe, La formazione matematica di Vilfredo Pareto, «Revue Européenne des Sciences Sociales», XXXVII, 1994, n. 116, pp. 173-189. 4 Sugli anni della formazione universitaria di Peano cfr. Clara Silvia Roero, Giuseppe Peano, geniale matematico, amorevole maestro, in Allio 2004, pp. 138-140. 5 Cfr. ASUT XIV B, 30.10.1880.
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forme multiple e binarie, presentando all’Accademia delle Scienze di Torino le sue prime note.1 Seguendo nel 1878 il corso di Analisi superiore, Peano ha inoltre la possibilità di apprezzare la radicale opera di innovazione apportata da F. Faà di Bruno che, animato dal desiderio di creare una tradizione di studi algebrici e analitici in grado di competere con le sedi europee della ricerca avanzata, rivede radicalmente i contenuti del corso, incrementando il peso della trattazione dell’algebra lineare e dedicando ampio spazio all’esposizione della teoria delle forme binarie, degli invarianti e dei covarianti. L’eredità dell’insegnamento di Faà di Bruno sul giovane Peano è destinata ad emergere, oltre che nella comune propensione alla trattatistica, in tre suoi lavori giovanili sulle forme binarie,2 fortemente apprezzati da G. Battaglini.3 Per quanto concerne infine il corso di Calcolo differenziale ed integrale, da cui trarrà origine il Genocchi - Peano, esso era affidato a Genocchi, era obbligatorio per il curriculum del secondo anno4 e, come si desume dal programma ufficiale redatto da Genocchi nel 1870, prevedeva la trattazione di 16 tesi di Calcolo differenziale e di 15 tesi di Calcolo integrale, oltre a comprendere le Applicazioni geometriche del calcolo infinitesimale, il cui insegnamento era però affidato all’assistente Eligio Martini. Il 27 ottobre del 1880, a poco più di tre mesi dalla laurea conseguita con il massimo dei voti, Peano è assunto come assistente provvisorio presso la Scuola di Algebra complementare e Geometria analitica diretta da d’Ovidio,5 un incarico che tiene fino al 16 giugno del 1881, quando è chiamato d’urgenza a sostituire E. Martini nella commissione d’esame di Calcolo infinitesimale. Quest’ultimo aveva infatti deciso di non prender parte agli esami a causa delle agitazioni studentesche che avevano gravemente disturbato il suo insegnamento nel corso dell’an1 Cfr. Giuseppe Peano, Costruzione dei connessi (1,2) e (2,2), 1880a; Un teorema sulle forme multiple, 1881a; Sui sistemi di forme binarie di egual grado e sistema completo di quante si vogliano cubiche, 1881b. 2 Giuseppe Peano, cit., 1881a; cit., 1881b; Giuseppe Peano, Formazioni invariantive delle corrispondenze, 1882a. 3 Cfr. Relazione sul concorso al posto di professore straordinario di calcolo infinitesimale nella R. Università di Modena, «Bollettino ufficiale dell’Istruzione», XI, 11.10.1885, p. 40. 4 In base al Programma per gli esami speciali di Algebra complementare e di Geometria analitica, Torino, Stamperia Reale, 1873 gli studenti acquisivano infatti i primi rudimenti di analisi nell’ambito del corso tenuto da D’Ovidio. Quest’ultimo doveva illustrare a lezione, ad esempio, i seguenti argomenti: la classificazione delle funzioni, la continuità, le derivate, il teorema di esistenza degli zeri, la formula di Taylor per il caso di funzioni razionali intere, la continuità delle funzioni razionali intere, le derivate di funzioni razionali intere, lo studio del segno di una funzione, i primi elementi della teoria delle differenze e la formula di interpolazione di Newton. 5 Cfr. ASUT, XIV B, Disposizioni relative al personale insegnante, Preside, Prof. ordinari, straordinari, incaricati e supplenti, 27.10.1880, 30.10.1880.
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no e a nulla erano valsi i tentativi di Genocchi di distoglierlo dalla sua decisione.1 Messo nella necessità di completare repentinamente la commissione d’esame, Genocchi si rivolge al Rettore, che convoca Peano. Per il giovane matematico si tratta del primo contatto con il matematico piacentino. Nell’ottobre del 1881, in seguito al ritiro dall’insegnamento di Martini, Peano gli subentrerà definitivamente in qualità di assistente. A partire da questa data, Genocchi è afflitto da una lunga serie di malattie, fra cui la progressiva cecità, che lo portano a diradare ed infine ad interrompere la sua attività di ricercatore e di docente. I rapporti fra allievo e maestro sono da subito improntati ad un’indiscutibile stima reciproca. Genocchi elogia il suo giovane assistente sia dal punto di vista dell’attività di ricerca, che sotto il profilo dell’insegnamento. Comunica ad esempio i lavori di Peano, talvolta inviandone anche gli estratti, a H. Schwarz, C. Hermite e G. F. Monteverde,2 e non esita, insieme a D’Ovidio, a supportarlo fin dal 1882 dal punto di vista accademico, proponendo per lui un aumento del salario.3 Impossibilitato a proseguire le sue lezioni per una caduta, Genocchi sospende il suo insegnamento nell’aprile del 1882, affidando la prosecuzione del corso di Calcolo e la gestione degli esami a Peano,4 che nel maggio dello stesso 1 Cfr. ASUT, XIV B, 74, Disposizioni relative al personale insegnante, Preside, Prof.i ordinari, straordinari, incaricati e supplenti, E. Martini, 17.5.1881, 23.5.1881, 25.5.1881, 16.6.1881, 30.6.1881, 4.7.1881, 14.7.1881, 18.7.1881, 25.10.1881; FGP, ms. TT, Copia di lettera del Sig. Prof. Martini, 30.9.1881; ASUT, XIV B, 77bis, Disposizioni relative al personale inseg.te, Preside, Professori ordinari, straordinari, incaricati e supplenti, 28.10.1881, 28.11.1881; FGP, ms. TT, Conferma del Dottore Giuseppe Peano ad Assistente provvisorio, 14.7.1882; FGP, ms. TT, Conferma di incarico, 27.9.1884. 2 Cfr. A. Genocchi a H. Schwarz, Torino 26.5.1882, in H. Schwarz, Gesammelte Mathematische Abhandlungen, 2, Berlin, Springer, 1890, p. 369; C. Hermite a A. Genocchi, Flanville par Metz 22.9.1882, Paris 16.10.1882 in Cassina 1950, p. 322 e Michelacci 2005, pp. 101, 104, G. F. Monteverde a A. Genocchi, Genova 25.10.1886, FGP, ms. QQ, c. 1r: «Ricevetti l’interessante nota del chiaris.mo D.r Peano, che acquista ai miei occhi maggior pregio in quanto che mi viene da Lei.» 3 Cfr. ASUT XIV B, 77bis, Disposizioni relative al personale inseg.te, Preside, Professori ordinari, straordinari, incaricati e supplenti, 21.5.1882, 25.5.1882; ASUT XIV B, 83, Disposizioni relative al personale insegnante, Preside, Professori ordinari, straordinari, incaricati e supplenti, 14.6.1884; E. d’Ovidio a A. Genocchi, [Torino] 4.6.1883, FGP, ms. I, cc. 1r-2r; E. D’Ovidio a A. Genocchi, [Torino] 17.4.1884, FGP, ms. I, c. 1r. Cfr. anche G. Peano ad A. Genocchi, Torino 14.7.1882, FGP, ms. G2, c. 1r: «Ricevetti ieri sera un avviso della Rettoreria dove mi si fissa lo stipendio per l’anno scorso. Io la ringrazio vivissimamente della proposta che Elle fece; perché non mi aspettavo tanto; procurerò quindi d’ora innanzi di fare tutto per meritarmi ognor più la sua stima.» 4 Genocchi interrompe le sue lezioni il 22.4.1882, per riprenderle l’11.3.1884. Cfr. A. Genocchi a P. Tardy, Torino 21.5.1882, BUG, busta 12/73, c. 1r: «Ho sospeso per ciò le mie lezioni facendomi suplire dal mio assistente Dr Peano che è veramente un bravo giovine e di cui avrete veduto qualche lavoro negli Atti dell’Accademia.»; A. Genocchi a P. Tardy, Torino 20.10.1883, BUG, busta 12/82, c. 1r: «Lunedì prossimo all’Università cominceranno gli esami affidati alla Commissione a cui appartengo ma io non vi assisterò e spero di poter riprendere nel nuovo anno scolastico il corso delle mie lezioni.»
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anno illustra a lezione la sua osservazione sull’erroneità della definizione di area secondo Serret, elaborata indipendentemente ed in contemporanea a H. Schwarz. Sempre a causa delle cattive condizioni di salute, pur essendo Socio dell’Accademia delle Scienze di Torino, non sarà Genocchi a presentare i primi lavori analitici di Peano, la cui lettura è affidata a E. D’Ovidio e a F. Siacci. Nel giugno del 1883 il direttore della casa editrice Bocca, Lerda, desiderando inaugurare la nuova collana «Biblioteca Matematica» con la pubblicazione del corso di Calcolo tenuto da Genocchi, si rivolge a Peano, sollecitandolo ad agire come intermediario.1 Genocchi accorda prontamente e senza riserve il permesso a pubblicare le sue lezioni e la stesura del trattato dovrebbe essere completata nelle vacanze estive del 1883. Nel novembre di quell’anno alcuni fascicoli del Genocchi - Peano sono già stampati e tuttavia, nei mesi intercorsi, il matematico piacentino ha continuato a mantenersi estraneo alla compilazione del trattato, lasciando cadere inascoltati gli inviti di Tardy, che lo pregava di non far mancare al giovane assistente aiuto e consigli.2 Nonostante le reiterate richieste di Peano a rivedere il manoscritto o almeno le bozze di stampa, Genocchi ha infatti preferito disinteressarsene, come egli stesso confessa a Tardy: Il mio assistente Dr Peano indotto dal Libraio Bocca si è messo a far stampare un Corso di calcolo differenziale e integrale ch’egli stesso viene compilando sulla traccia delle mie lezioni orali degli anni scorsi. Egli mi aveva pregato di rivedere il manoscritto o almeno le bozze di stampa ma io non ho voluto saperne temendo di avermi troppo a seccare, e così la compilazione rimane tutta sua e sotto la sua responsabilità.3
Nel marzo del 1884, a stampa del volume ormai avanzata,4 i rapporti fra Genocchi e Peano sono ancora ottimi, come si evince dai retroscena della polemica intercorsa fra Philippe Gilbert e Peano.5 Nei primi mesi dell’anno, infatti, quest’ultimo ha rilevato un’inesattezza nel celebre Cours d’Analyse di Camille Jordan e, non senza una certa qual mancanza di diplomazia, ne ha fatto l’oggetto di una lettera aperta apparsa sui 1 Cfr. G. Peano a A. Genocchi, Torino 7.6.1883, in Cassina 1952, pp. 344-345 e Borgato 1991, p. 87. 2 Cfr. P. Tardy a A. Genocchi, Genova 13.11.1883, in Cassina 1952, p. 346. 3 A. Genocchi a P. Tardy, Torino 11.11.1883, BUG, busta 12/83, c. 1r. 4 Cfr. A. Genocchi a P. Tardy, Torino 11.3.1884, BUG, busta 12/86, cc. 1r-v, qui trascritta in Appendice. 5 Cfr. Giuseppe Peano, Extrait d’une lettre [su un teorema di Camille Jordan], 1884a, pp. 4547; Philippe Gilbert, Correspondance, «Nouvelles Annales de Mathématiques», 3, III, 1884, pp. 153-155; Giuseppe Peano, [Réponse à Ph. Gilbert], 1884b, pp. 252-256; Philippe Gilbert, Lettre de M. Ph. Gilbert, Professeur à l’Université de Louvain, «Nouvelles Annales de Mathématiques», 3, III, 1884, pp. 475-482. Sulla polemica con Gilbert cfr. anche Peano 1884c p. xiv.
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«Nouvelles Annales». Jordan, in contatto epistolare con Peano, ammette pubblicamente l’errore commesso, e richiede al suo interlocutore di esibire la dimostrazione della proprietà in questione.1 Peano invia a Jordan la dimostrazione e la pubblica poco dopo sulla medesima rivista.2 La critica di Peano ha suscitato però l’intervento inutilmente polemico e non pertinente di Gilbert,3 professore di Analisi all’Università di Lovanio e autore a sua volta di un trattato di Calcolo. Genocchi, come testimonia il suo carteggio con Tardy, segue con attenzione la regia di questa polemica e supporta il suo allievo, lodando la schietta franchezza che ha improntato lo stile degli interventi dei protagonisti, Jordan e Peano, e criticando invece la condotta ambigua di Gilbert.4 Nel frattempo la macchina editoriale si è attivata in vista dell’uscita del Genocchi - Peano, annunciato in corso di stampa con un buon battage pubblicitario dalla casa editrice Bocca. Il volume, inizialmente a nome del solo Genocchi, a partire dai primi mesi del 1884 è reclamizzato con quello che diventerà il suo frontespizio definitivo.5 Il trattato è licenziato infine nell’autunno del 1884, con notevole ritardo sui tempi previsti: la Prefazione, a firma del solo Peano, reca la data 1 settembre. L’autore sottolinea l’intenzione da cui è nato il volume, cioè quella di contribuire a colmare una lacuna nella manualistica di analisi in lingua italiana, pubblicando un corso, quale quello di Genocchi, «tanto, ed a ragione, stimato pel suo rigore».6 Nello stesso tempo, appellandosi alla distanza naturale che intercorre fra un testo edito e la trascrizione delle lezioni orali a cura degli studenti, Peano giustifica l’esigenza, avvertitasi in corso d’opera, di apportare aggiunte e modifiche. Per redigerle egli ha quindi ritenuto necessario confrontare i contenuti dell’insegnamento orale impartito da Genocchi con quelli inseriti nei principali testi di analisi, in uso in Italia e all’estero, e ampliarli con il frutto di personali ricerche: un lavoro di studio critico, questo, che da un lato è confluito nella redazione di un apparato di note storico-bibliografiche (un elenco di 1 Cfr. Extrait d’une Lettre de M. C. Jordan, in Peano 1884a, p. 47. 2 Giuseppe Peano, [Réponse à Ph. Gilbert], 1884b, pp. 254-256. 3 Philippe Gilbert, Lettre de M. Ph. Gilbert … 1884, pp. 153-155, cit. in nota 5 a p. 226. 4 Cfr. A. Genocchi a P. Tardy, Torino 11.3.1884, BUG, busta 12/86, cc. 1r-2r; A. Genocchi a P. Tardy, Torino 10.4.1884, BUG, busta 12/87, cc. 1r-2r; A. Genocchi a P. Tardy, Torino 27.4.1884, BUG, busta 12/88, cc. 1r-1v in Appendice. 5 Il repertorio Bibliografia Italiana, presente in BNT, comprende, oltre all’elenco di tutte le pubblicazioni italiane a stampa, anche le inserzioni pubblicitarie a pagamento delle maggiori case editrici. Il Genocchi - Peano è annunciato, a nome del solo Genocchi, nelle pubblicità dell’editore Bocca inserite in Bibliografia Italiana, XVII, 1883, p. 251 e con il titolo che resterà definitivo in Bibliografia Italiana, XVIII, 1884, p. 142. 6 Peano 1884c, Prefazione, pagina non numerata.
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«date e nomi di autori» come rileva qui lo stesso Peano), dall’altro ha condotto ad evidenziare imprecisioni ed errori presenti in numerosi trattati di riferimento. Il volume giunge a Genocchi il 23 settembre 1884, come testimonia la data autografa apposta sull’esemplare in suo possesso, ora conservato nella Biblioteca Passerini-Landi di Piacenza. La vicenda che ne segue è nota. La reazione di Genocchi di fronte ad una prima lettura del trattato è espressamente negativa ed egli non esita a sfogare la propria amarezza con P. Agnelli, C. Hermite, P. Tardy, cui manifesta l’intenzione di sconfessare pubblicamente Peano. Da più parti alcuni storici hanno tentato di avallare questa brusca presa di posizione sia invocando l’indole di Genocchi, incline a scatti d’ira e poco diplomatica, sia ipotizzando il presunto risentimento per la qualifica di «importanti» con cui l’allievo aveva descritto le aggiunte da lui apportate, o appellandosi al dispiacere da lui provato per aver visto tanti suoi amici e corrispondenti colti in fallo, a causa delle inesattezze presenti nei loro trattati e qui denunciate esplicitamente da Peano.1 Il carteggio intercorso con Tardy consente invece di mostrare come quella di Genocchi sia un’obiezione di carattere strettamente deontologico, che investe i temi della responsabilità e della collaborazione scientifica. Genocchi infatti non rimprovera a Peano di avere alterato il dictat delle sue lezioni, né si pronuncia sul merito scientifico delle integrazioni. Si mostra invece estremamente piccato per la mancata segnalazione dell’entità e dell’estensione di tutte le aggiunte, e per la ritrosia, da parte di Peano, ad accollarsi, a suo solo nome, la responsabilità di tali parti dell’opera, come si evince dalle sue parole: Si è finito di stampare il volume di Calcolo che pubblicava il Dr Peano mettendovi il mio nome. […] Ma è strano che mentre il Peano mi aveva chiesto il permesso di pubblicare le mie lezioni, si sono poi fatte senza mia saputa non poche aggiunte e variazioni che non si sa dove comincino e dove finiscano, e inoltre molte annotazioni critiche delle quali non ho avuta conoscenza prima della pubblicazione e dopo ciò si è messo il mio nome in capo ad un frontespizio spropositato! Io avea dimandato che il mio nome fosse tolto dal frontespizio ma non potei ottenerlo, e mi limiterò a pubblicare una protesta …2 1 Cassina 1952, pp. 341-342; Bottazzini 1981, p. 238; Kennedy 1980, p. 14; Kennedy 2002, p. 17. 2 A. Genocchi a P. Tardy, Torino 25.10.1884, BUG, busta 12/96, c. 1v. Cfr. anche L. Cremona a A. Genocchi, Roma 2.12.[1884], G. Battaglini a L. Cremona, Roma 2.12.1884 ed A. Genocchi a L. Cremona, Torino 23.11.1884, in Luciano Carbone, Romano Gatto, Franco Palladino (a cura di), L’epistolario Cremona-Genocchi (1860-1886), La costituzione di una nuova figura di matematico nell’Italia unificata, Firenze, Olschki, 2001, pp. 139, 140, 211-212.
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Il risentimento di Genocchi non rimane confinato solo a livello di corrispondenze private, ma si concreta nella pubblicazione di alcune secche dichiarazioni apparse su prestigiose riviste dell’epoca – in Belgio la «Mathesis» di Mansion, in Francia i «Nouvelles Annales» e in Italia gli «Annali» di Brioschi – in cui, senza entrare nella questione del merito scientifico dell’opera, si «stabilisce la verità dei fatti»1 e cioè l’effettiva estraneità di Genocchi alla redazione del volume.2 Nel novembre del 1884 sono ormai pervenuti al matematico piacentino, da più parti, giudizi altamente elogiativi del Genocchi - Peano. Prima ancora di venire a conoscenza dell’affaire legato al disconoscimento della paternità dell’opera, il 6 ottobre 1884 Hermite scrive a Genocchi elogiando il trattato3 e, in particolar modo, l’ineccepibile paragrafo sulle funzioni interpolari, a tal punto chiaro che egli non ha avvertito problemi nella sua lettura, nonostante la poca dimestichezza con la lingua italiana.4 Il 31 ottobre torna a scrivergli sullo stesso tema, mostrandosi dispiaciuto per il torto che Genocchi ha subito da parte di Peano, assistente «indiscreto e infedele», ma lo invita a prescindere dai risvolti morali della vicenda e ribadisce il suo apprezzamento per un’opera che concede ampio spazio alle moderne esigenze del rigore.5 Mansion reputa «eccellente» il lavoro di Peano6 e Schwarz scrive a Genocchi: Die Arbeiten des Herrn Peano finde ich sehr sorgfältig redigiert; ich bin der Meinung, daß die eine über Integrale einen beträchtlichen Fortschritt enthält. Hoffentlich gefällt mein neuester Beweis auch Ihnen.7
Ecco allora che, nel volgere di appena un mese, Genocchi rivede radicalmente la sua opinione sulla condotta tenuta da Peano, a cui è ormai solo ascritta una colpa di «imprudenza», tipicamente giovanile: Il Peano […] in sostanza non è un cattivo giovine e non ha agito con cattiva intenzione. È stato imprudente facendo al mio corso aggiunte che io non aveva 1 A. Genocchi a P. Tardy, Torino 25.11.1884, BUG, busta 12/97, c. 1v. 2 Angelo Genocchi, Correspondance, «Mathesis» (P. Mansion), 4, 1884, pp. 224-225; Angelo Genocchi, Correspondance, «Nouvelles Annales de Mathématiques», 3, III, 1884, pp. 579, 580; Angelo Genocchi, Dichiarazione, «Annali di Matematica pura ed applicata», s. 2, 12, 1883-1884, pagina non numerata. 3 C. Hermite a A. Genocchi, Flanville par Metz 6.10.1884 in Cassina 1952, p. 348 e Michelacci 2005, pp. 176-179. 4 C. Hermite a A. Genocchi, Flanville par Metz 6.10.1884 in Cassina 1952, p. 348 e Michelacci 2005, p. 177. 5 C. Hermite a A. Genocchi, Paris 31.10.1884 in Cassina 1952, pp. 348-349 e Michelacci 2005, pp. 179-182. 6 Paul Mansion, [N.d.r.], «Mathesis» (P. Mansion), 4, 1884, p. 224. 7 H. A. Schwarz a A. Genocchi, Göttingen, 9.1.1884, FSN, c.p.
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previamente approvate né conosciute, ma solo mosso dal pensiero di accrescere il merito del suo libro il che per suo giudizio doveva piacere anche a me. Non volle fare una speculazione perché aveva un // contratto coi librai Bocca e la somma pattuita non si variava fossero molte o poche le copie vendute. Del resto sento che molti trovano l’opera eccellente.1
La contrastata vicenda editoriale del Genocchi - Peano non è priva di ricadute negative per Peano: l’editore Bocca «va un poco in collera» con lui e ricuce i rapporti solo grazie alle assicurazioni di Genocchi che il libro «era stato lodato anche da illustri matematici» e dopo la conferma di quest’ultimo che la pubblicazione del corso era avvenuta previo suo consenso.2 Peano è descritto da Genocchi a Luigi Cremona come fortemente «abbattuto e addolorato» per il clamore suscitato dalla reazione di Genocchi3 e quest’ultimo, plausibilmente consapevole di aver gettato un certo discredito sul suo assistente, rinuncia a pubblicare altre puntualizzazioni sul «Giornale di Matematica ad uso degli studenti delle Università Italiane» di Giuseppe Battaglini e sugli «Zeitschrift für Mathematischen und Naturalischen Wissenschaften» di Siegmund Günther. A partire dal dicembre del 1884, i rapporti fra Genocchi e Peano tornano ad essere improntati a toni di reciproca cordialità e tali resteranno fino alla fine.4 A seguito della restitutio della condotta del suo allievo personalmente compiuta da Genocchi, alcuni corrispondenti si ricredono sul conto di Peano. Tardy dichiara di non aver mai dubitato della sua lealtà5 e Hermite, rallegrandosi per la conclusione del malinteso, si spinge a scrivere: J’ai eu une véritable satisfaction à apprendre par vôtre dernière lettre que l’affaire de la publication de l’ouvrage de M. Peano était beaucoup moins grave pour lui que je ne pensais, et qu’au fond tout se réduit à un simple mal entendu, sans qu’il y ait eu à sa charge un abus de confiance.6
La vicenda si può considerare definitivamente conclusa con la convalida delle affermazioni di Genocchi da parte di Peano, pubblicata dapprima sulla rivista belga «Mathesis» nel 1885 e, successivamente, nel 1887, nella 1 A. Genocchi a P. Tardy, Torino 25.11.1884, BUG, busta 12/97, cc. 1r-v. 2 A. Genocchi a P. Tardy, Torino 6.12.1884, BUG, busta 12/98, cc. 1v-2r. 3 A. Genocchi a L. Cremona, Torino 23.11.1884, in Luciano Carbone, Romano Gatto, Franco Palladino (a cura di), L’epistolario Cremona-Genocchi, cit., 2001, p. 211. 4 Cfr. ad esempio la lettera di G. Peano a A. Genocchi, Torino 7.9.1886, FGP, ms. G2, c. 1v: «Godo assai che Ella abbia lasciato Torino, ove [da] alcuni giorni fa un caldo soffocante, per l’aria marina, dove si troverà assai meglio. Sono certo che Ella ritornerà a Torino con una buona dose di salute. Io le auguro, amatissimo signor professore, tutto il bene che posso […].» 5 P. Tardy a A. Genocchi, Genova 28.11.1884 in Cassina 1952, p. 347. 6 C. Hermite a A. Genocchi, Paris 20.11.1884, FSN, c. 1r.
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Prefazione al trattato Applicazioni geometriche del calcolo infinitesimale che, pur entro limiti di una sostanziale autonomia, si configura come il secondo tomo del Genocchi - Peano.1 Qui l’autore si limita a segnalare, elencando i numeri dei rispettivi paragrafi, tutte quelle aggiunte e modifiche che non sono state stampate in corpo minore, o che non sono state contrassegnate con la sigla del suo nome nel trattato dell’84 e se ne assume la piena responsabilità. Nel 1885 la salute di Genocchi sembra conoscere un lieve miglioramento, tanto che egli può riprendere le sue lezioni, ma è purtroppo costretto ad interromperle dopo un breve periodo,2 e gradualmente finisce per estraniarsi dalla vita scientifica e accademica:3 Anche per quest’anno ho incaricato il Dr Peano di far le mie veci all’Università. Io non intendo di riprendere le mie lezioni. Nulla posso dirvi di lavori nuovi e non ho visto i libri che mi citate.4
Genocchi inoltre mostra di non essere a conoscenza del fatto che Peano sta redigendo le Applicazioni geometriche del calcolo infinitesimale, nonostante l’allievo l’avesse tenuto al corrente in merito,5 dal momento che scrive a Tardy che Peano non pensa «per ora al secondo volume del Calcolo», e ribadisce di aver perso interesse per la ricerca e per le novità editoriali, fra cui il primo volume del Traité d’Analyse di H. Laurent.6 Nello stesso tempo egli manifesta il proposito, che però non metterà mai in pratica, di ritirarsi del tutto dall’insegnamento.7 Sempre più spesso Ge1 Giuseppe Peano, Correspondance, «Mathesis» (P. Mansion), 5, 1885, p. 11; Giuseppe Peano, Applicazioni geometriche del calcolo infinitesimale, 1887b, pp. viii-ix. Le stesse precisazioni saranno ribadite nel necrologio di Genocchi: cfr. Giuseppe Peano, Angelo Genocchi, 1890a, pp. 198-199. 2 Cfr. ASUT, XIV B, 93, Preside. Personale Insegnante della Fac.à Disposizioni relative, 1.2.1886, 11.2.1886, 18.2.1886; FGP, ms. TT, Sua [di Genocchi] supplenza per due mesi, 18.2.1886; ASUT XIV B, 93, Disposizioni relative alla Facoltà di Scienze. Insegn.ti, iscrizioni, tasse, esami, orari, relazione, 15.5.1886. Cfr. anche A. Genocchi a P. Tardy, [Torino 1885], BUG, busta 12/104, c. 1r; E. D’Ovidio a P. Tardy, Torino 27.2. [1885], BUG, busta 22/7, c. p. 3 Cfr. A. Genocchi a P. Tardy, Torino 5.3.1886, BUG, busta 12/111, cc. 1r-v; A. Genocchi a P. Tardy, Torino 20.10.1886, BUG, busta 12/116, cc. 1r-v; A. Genocchi a P. Tardy, Torino 28.12.1886, BUG, busta 12/117, c. 1r; E. D’Ovidio a P. Tardy, Torino 28.12.1888, BUG, busta 22/9, c.p.; F. Siacci a P. Tardy, Torino 10.3.1889, BUG, busta 18/2, cc. 1r-2r. 4 A. Genocchi a P. Tardy, Torino 14.11.1887, BUG, busta 12/118, c. 1r. 5 G. Peano a A. Genocchi, Torino 7.9.1886, FGP, ms. G2, c. 1v: «Per quanto riguarda me, vado terminando finalmente il libro in corso di pubblicazione.» 6 A. Genocchi a P. Tardy, Torino 25.12.1885, BUG, busta 12/110, c. 2r. Cfr. anche P. Tardy a A. Genocchi, Genova 22.12.1885, FGP, ms. EE, c. 2v. 7 A. Genocchi a P. Tardy, Torino 20.10.1886, BUG, busta 12/116, cc. 1r-v: «All’Università sono cominciati gli esami a cui da // parecchi anni non intervengo. Presto cominceranno le lezioni e mi sento ancora incerto di darle o di lasciarle al mio assistente avendo sofferto un forte raffreddore dopo il mio ritorno da Cornigliano. Sono molto tentato di seguire il vostro esempio e di ritirarmi del tutto dall’insegnamento. Basta: vedremo.»
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nocchi ricorre all’aiuto di Peano,1 e il 29 maggio 1886 conclude la sua trentennale carriera di insegnamento all’Università di Torino, tenendo l’ultima lezione. 3. Le lezioni di Genocchi e il trattato del 1884 La trama del Genocchi - Peano è costituita dalle lezioni di Calcolo infinitesimale, impartite dal matematico piacentino all’Università di Torino, a partire dal 1865. Secondo la testimonianza di Peano, Genocchi le aveva in gran parte scritte e le dettava con stile piano, lucido ed essenziale, ricorrendo all’aiuto di uno studente per scrivere le formule alla lavagna.2 Un resoconto fedele dell’insegnamento di Genocchi proviene quindi da due suoi manoscritti autografi: il Calcolo differenziale e l’Introduzione alle Lezioni di Calcolo differenziale, risalenti al 1865-1867 conservati a Piacenza e da tre altri manoscritti delle sue lezioni redatte da allievi, attualmente custoditi a Torino.3 I marginalia apposti agli autografi piacentini, e datati fino al 1881-1885, testimoniano l’incessante lavoro di revisione e di perfezionamento stilistico e di contenuti compiuto da Genocchi. Essi inoltre permettono di individuare le fonti di riferimento, cui attingeva di preferenza per le sue lezioni, grazie alle citazioni e ai rimandi ai trattati di C. Hermite, E. Hoppe, J. Hoüel, J. Bertrand, G. Novi, A.L. Cauchy, J. Serret, J.-M. Duhamel, ecc. La storiografia secondaria, che si è prevalentemente incentrata sui manoscritti piacentini, ha soprattutto evidenziato l’influenza esercitata dal Cours d’analyse di Cauchy sull’insegnamento di Genocchi.4 U. Cassina in particolare, riteneva che «non vi fosse traccia di redazioni più recenti» delle lezioni e sottolineava che la presenza, in questi appunti, di imprecisioni ed errori analoghi a quelli denunciati da Peano sui trattati di analisi dell’epoca, avrebbe potuto amareggiare Genocchi.5 Ad esempio tro1 Cfr. A. Genocchi a P. Tardy, Torino 5.3.1886, BUG, busta 12/111, c. 1r: «Ho sofferto per infreddature che mi hanno costretto ad astenermi dalle lezioni. Il Ministro mi ha conceduto due mesi di riposo accogliendo la proposta della Facoltà di farmi supplire dall’assistente Dr Peano.»; A. Genocchi a P. Tardy, Torino 28.12.1886, BUG, busta 12/117, c. 1r: «Io sono sempre tormentato da un forte raffreddore al quale devo se non ho potuto riprendere le mie lezioni: mi supplisce al solito l’assistente Dr Peano, ed io mi annoio mortalmente non facendo niente.» 2 Giuseppe Peano, Angelo Genocchi, 1890a, p. 197. 3 Angelo Genocchi, [Calcolo differenziale 1865-66], FGP, ms. S1, ff. 1-24; [Introduzione alle Lezioni di Calcolo differenziale 1867], FGP, ms. S2, ff. 1-13 (i due manoscritti sono redatti su fogli formato protocollo, di quattro pagine ciascuno, scritti sulla metà di destra); [Calcolo differenziale], 1871-72, ADT, cc. 1-497; Calcolo integrale, 1871-72, ADT, cc. 1-338; Calcolo Differenziale ed Integrale, Lezioni del Prof. Genocchi, 1870-71, BCT, Iº Calcolo Differenziale, ms. 669, cc. 1-356, IIº Calcolo Integrale, ms. 570, cc. 1-289; Sunti delle Lezioni di Calcolo Integrale fatte dal Prof.e A.lo Genocchi nella Regia Università di Torino 1881-82 Compilati da Benvenuto Luigi, AFT, An.C.6.16, cc. 1-223. 4 Cfr. Cassina 1952, pp. 350-354; Bottazzini 1991. 5 Cfr. Cassina 1952, p. 343.
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viamo in questi manoscritti la definizione di limite come «una quantità fissa a cui una quantità variabile si accosta in modo da poterne differire quanto poco si voglia senza mai eguagliarla»1 e un’incerta trattazione dei rapporti fra continuità e derivabilità. La distanza fra queste lezioni e il Genocchi - Peano emerge poi in tutta evidenza nel paragrafo di apertura, in cui si illustra la «Divisione delle funzioni»,2 senza alcun cenno alla teoria assiomatica dei numeri reali. Di grande interesse risultano invece i paragrafi sulla risoluzione numerica delle equazioni trascendenti,3 sul teorema di Taylor4 e sull’interpolazione.5 Tutti questi temi, infatti, costituiranno uno degli oggetti preferenziali di ricerca da parte di Peano negli ultimi anni della sua vita. La loro introduzione nell’insegnamento, lungi dall’essere una bizzarria di Peano, come lascerebbero supporre le critiche di Francesco Tricomi,6 rappresenta un retaggio dell’insegnamento di Genocchi, che ampio spazio concedeva a questi argomenti «d’utilità anche pratica».7 Pur trattandosi dell’unica redazione autografa di Genocchi, i manoscritti piacentini non rappresentano tuttavia una traccia esaustiva del corso da lui tenuto, dal momento che egli non aveva avuto la forza di «metterlo tutto per scritto».8 Tali appunti infatti, arrestandosi alla teoria delle funzioni implicite, non comprendono alcun elemento di calcolo integrale, né la trattazione delle equazioni differenziali o delle applicazioni geometriche del Calcolo. Inoltre, tenendo conto del fatto che Peano non ebbe mai occasione di vedere questi manoscritti, come egli stesso dichiara,9 ci è parso preferibile appuntare l’attenzione su quelle «migliaia di sunti» scritti dagli allievi di Genocchi e generalmente fedeli, su cui Peano effettivamente si basò per una prima stesura del trattato del 1884.10 1 Angelo Genocchi, [Introduzione alle Lezioni di Calcolo differenziale 1867], FGP, ms. S2, f. 2, c. 1r. 2 Angelo Genocchi, [Introduzione alle Lezioni di Calcolo differenziale 1867], FGP, ms. S2, f. 1, cc. 1r-2v. 3 Angelo Genocchi, [Calcolo differenziale 1865-66], FGP, ms. S1, f. 7, cc. 1r-2v. 4 Angelo Genocchi, [Calcolo differenziale 1865-66], FGP, ms. S1, f. 8, cc. 1r-2v, f. 9, cc. 1r-2v, f. 10, cc. 1r-2r. 5 Angelo Genocchi, [Calcolo differenziale 1865-66], FGP, ms. S1, f. 10, c. 2v. 6 Francesco Tricomi, Matematici torinesi dell’ultimo secolo, «Atti dell’Accademia delle Scienze di Torino», 102, 1967-68, p. 257: «Quanto al lungo insegnamento del Peano […] non si può tacere che esso, ottimo all’inizio, cominciò a scadere intorno alla fine del secolo scorso, degenerando infine in una poco seria congerie di logica matematica, applicazioni del calcolo vettoriale, approssimazioni numeriche, ecc.» 7 Angelo Genocchi, [Calcolo differenziale 1865-66], FGP, ms. S1, f. 7, c. 1r. 8 A. Genocchi a P. Agnelli, Torino 16.8.1883, in P. Agnelli, Di Angelo Genocchi memoria biografica, Strenna piacentina, 1893, p. 42 e Cassina 1952, p. 345. 9 Giuseppe Peano, Angelo Genocchi, 1890a, p. 202. 10 Cfr. Peano 1890a, cit., pp. 198-199. A proposito della redazione del Genocchi - Peano cfr. anche G. Peano a E. Cesàro, Torino 14.1.1891, in Palladino 2000, pp. 17-18: «[…] abbondano anche le correzioni tipografiche […] nel principio di quel libro, e specialmente nel primo foglio di stam-
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La prima di queste redazioni, conservata nell’Archivio privato del prof. Mario Umberto Dianzani, è costituita dagli appunti presi da uno studente anonimo che frequentò le lezioni di Genocchi nell’anno accademico 1871-72.1 L’analisi di tali manoscritti ha evidenziato alcune differenze non solo dal punto di vista stilistico – espressioni farraginose o poco precise possono infatti derivare dalla disattenzione o dall’imprecisione dello studente che stilò gli appunti – ma anche a livello strutturale, con interi paragrafi la cui collocazione risulta differente rispetto al piano del Genocchi - Peano: i principii di differenziazione, ad esempio, sono posti fra la teoria delle serie e la trattazione delle serie di Taylor. A livello di tecnica dimostrativa occorre rilevare come in alcune dimostrazioni è assunta da Genocchi senza giustificazioni la completezza dei numeri reali2 e sono compiute imprecisioni nell’invertire il senso delle implicazioni: la continuità viene ad esempio a configurarsi come condizione necessaria e sufficiente per l’esistenza della derivata.3 All’anno accademico 1870-71 risalgono invece le Lezioni di Genocchi, in possesso di Adolfo Rossi, come appare dalla firma apposta sul frontespizio, e conservate alla Biblioteca Civica di Torino.4 Tali lezioni sono suddivise in due tomi, il primo dei quali, che raccoglie il Calcolo differenziale, è particolarmente utile per il confronto con il Genocchi - Peano. Esso è stato a lungo considerato perduto ed è riemerso solo recentemente, in fase di catalogazione del patrimonio librario della Biblioteca Civica. Comprendente 57 lezioni di Calcolo differenziale e 36 di Calcolo integrale, il manoscritto di Rossi, la cui redazione rivela una maggior precisione ed accuratezza, rispetto agli appunti citati sopra, conservati nell’Archivio Dianzani,5 consente di apprezzare la ricchezza di esempi ed esercizi con cui Genocchi corredava l’insegnamento teorico, la semplicipa; poiché io diedi al compositore le lezioni autografate dagli allievi, delle mie lezioni, pensando poi di correggerle sulle bozze (allora ero nuovo allo stampare!), cosa che poi non mi riuscì bene; quindi i fogli successivi li scrissi io stesso; e quel primo io lo voleva rifare, ma ne fui impedito dall’editore.» 1 Si tratta dei manoscritti [Calcolo differenziale], 1871-72, ADT, cc. 1-497; Calcolo integrale, 187172, ADT, cc. 1-338. Essi sono parzialmente trascritti e commentati in Giuliana Borzieri (relatore Livia Giacardi), Le lezioni di Analisi di Angelo Genocchi (1871-72) e il trattato Genocchi - Peano (1884) a confronto: un’analisi storico-critica, Tesi di Laurea in Matematica, Università di Torino, a.a. 1997-98; un sunto è apparso in Tesi, «Annali di Storia delle Università Italiane», 5, 2001, pp. 283284. Il microfilm di questi manoscritti è conservato nella Biblioteca del Dipartimento di Matematica dell’Università di Torino, Inv. 11030, Rullo 17. 2 [Calcolo differenziale], ADT, cc. 8, 89-90. 3 [Calcolo differenziale], ADT, c. 56. 4 Calcolo Differenziale ed Integrale, Lezioni del Prof. Genocchi, 1870-71, BCT, Iº Calcolo Differenziale, ms. 669, cc. 1-356, IIº Calcolo Integrale, ms. 570, cc. 1-289. 5 Ad esempio, il valore per l’esponenziale è correttamente registrato in Calcolo Differenziale, BCT, c. 12, mentre risulta errato in [Calcolo differenziale], ADT, c. 10.
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tà della sua esposizione della teoria elementare delle serie1 e l’ampiezza con cui trattava le applicazioni geometriche del calcolo infinitesimale.2 Le Lezioni di Rossi, così come quelle conservate a Piacenza, si aprono con la classificazione delle funzioni in uniformi e multiformi, di una e di più variabili, algebriche e trascendenti, implicite ed esplicite, razionali ed irrazionali, intere e frazionarie e così via. Si trattava di un tema, affrontato da Genocchi ricorrendo ai testi di C. Hermite, E. Hoppe e J. Hoüel, cui era assegnato il ruolo di paragrafo preliminare al Calcolo. Nel trattato del 1884 Peano abbandona del tutto tale trattazione, che viene sostituita con un paragrafo dedicato ai contributi sulla teoria assiomatica dei numeri reali, desunti dai lavori di U. Dini, R. Dedekind e M. Pasch. A fianco di questi, Peano cita i contributi di G. Cantor, ripresi da A. Harnack, R. Lipschitz e P. du Bois-Reymond: il matematico tedesco, con un’impostazione meno semplice rispetto alle precedenti, definisce infatti gli irrazionali come limiti di successioni di razionali, senza ricorrere al concetto di sezione.3 Segue la definizione rigorosa del concetto di funzione di variabile reale,4 mentre nelle Annotazioni Peano ripercorre il percorso storico di questo concetto, con citazioni di passi originali, selezionati a partire dal testo di H. Hankel, Untersuchungen über die unendlich oft oscillirenden und unstetigen Funktionen (Tübingen, 1870).5 Numerose sono le dimostrazioni riprese dalle Lezioni di Genocchi: ad esempio quelle dei teoremi sull’algebra dei limiti,6 e la dimostrazione del teorema del differenziale totale,7 poi ulteriormente semplificata nelle Lezioni di Analisi infinitesimale di Peano all’Accademia Militare.8 Tuttavia, anche nelle Lezioni in possesso di Rossi si riscontrano incertezze teoriche, espressioni ambigue ed arcaismi del tipo «far crescere indefinitamente». La trattazione di alcuni paragrafi risulta del resto estremamente prolissa rispetto al trattato a stampa: così, mentre Peano dedica appena poche righe alla differenziazione delle funzioni composte, il medesimo tema occupa quasi sette pagine nelle Lezioni di Rossi.9 La medesima prolissità, non meramente giustificabile sulla base delle esigenze didattiche, né appellandosi allo stile espositivo del cura1 Calcolo Differenziale, BCT, cc. 60-72. 2 Calcolo Differenziale, BCT, cc. 233-356. 3 Peano 1884c, pp. vii-viii e pp. 1-3. 4 Peano 1884c, p. 3. 5 Peano 1884c, p. viii. Nell’esemplare del Genocchi - Peano conservato in FCP, sui margini di p. 3, si trovano gli appunti presi da Peano per redigere l’Annotazione al N. 6 (Peano 1884c, p. viii) inerente la storia del concetto di funzione. 6 Cfr. Calcolo Differenziale, BCT, cc. 3-8 e Peano 1884c, pp. 5-7. 7 Cfr. Calcolo Differenziale, BCT, cc. 110-113 e Peano 1884c, pp. 139-140. 8 Cfr. Giuseppe Peano, Lezioni di analisi infinitesimale, 1893h, vol. II, p. 143. 9 Cfr. Calcolo Differenziale, BCT, cc. 37-43 e Peano 1884c, p. 41.
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tore, emerge con evidenza accostando le dimostrazioni del teorema del confronto per i limiti di funzioni fornite rispettivamente da Genocchi e da Peano. Se nel Genocchi - Peano la dimostrazione è condensata in quattro righe,1 nelle Lezioni ha un’estensione quadrupla e del medesimo enunciato, per altro elementare, sono fornite due dimostrazioni equivalenti.2 Esiste infine un manoscritto di Sunti delle Lezioni di Calcolo Integrale, compilati dallo studente Luigi Benvenuto nell’anno accademico 1881-82 e conservate a Torino nel Fondo Faà di Bruno della Biblioteca dell’Istituto del Suffragio.3 Si tratta di una corposa redazione, particolarmente interessante per il fatto che proprio nell’aprile del 1882 Peano subentrava a Genocchi, tenendo le sue prime lezioni di Calcolo infinitesimale. Fra gli elementi di maggior novità che tali lezioni presentano spicca la trat∞ tazione di Genocchi degli integrali del tipo ∫ senx dx, già apprezzata per 0 x il suo rigore da Peano, e quella delle equazioni differenziali, una teoria non affrontata nel Genocchi - Peano, ma destinata a rivelarsi uno dei temi di ricerca privilegiati da Peano negli anni immediatamente successivi.4 L’analisi comparata di queste Lezioni con il trattato a stampa,5 se da un lato evidenzia la cura con cui Genocchi impartiva il suo insegnamento, dall’altro ne rimarca la distanza sotto il profilo contenutistico, strutturale, espositivo e metodologico. 1 Peano 1884c, p. 7: «Teorema V. – Se una quantità è sempre compresa fra due altre che tendono verso uno stesso limite, anche la prima tende verso questo limite. Infatti se P e Q sono due variabili che tendono verso A, ed R è sempre compreso fra P e Q, sarà anche R – A compreso fra P – A e Q – A; e se si rendono P – A e Q – A minori di  sarà anche R – A minore di  ossia R ha per limite A.» 2 Calcolo Differenziale, BCT, cc. 8-9: «Supponiamo ora di avere tre quantità variabili che potrebbero anche essere costanti. Siano esse P, Q, R tali che il valore di Q sia sempre compreso fra i valori di P e di R cioè P < Q < R. Se P ed R tendono verso uno stesso limite L, questi sarà pure il limite di Q. Difatti se la differenza fra P o R ed L può divenire tanto piccola quanto si vuole, siccome Q è sempre compreso fra P ed R, la differenza fra Q ed L potrà pure divenire tanto piccola quanto si vuole ossia lim Q = L. Ciò si può pure dimostrare in altro modo. Possiamo scrivere Q = P + ı (R – P) in cui © varierà solo da 0 ad 1 giacché se si fa ı = 0 si ha Q = P, e se si fa © = 1 si ha Q = R. Avremo allora lim Q = lim P + lim[ı (R – P)] ossia lim Q = lim P + lim © × lim(R – P). Ora lim ı, essendo © compreso fra 0 ed 1, è compreso anche fra 0 ed 1, lim(R – P) tende ad L – L ossia a zero, quindi lim Q = lim P ossia lim Q = L come si voleva provare. Se una delle quantità è costante, il suo limite è il suo valore costante, così può darsi che R sia costante: avrà per valore costante L, e la dimostra//zione sarà sempre la stessa». 3 Sunti delle Lezioni di Calcolo Integrale fatte dal Prof.e A.lo Genocchi nella Regia Università di Torino 1881-82 Compilati da Benvenuto Luigi, AFT, An.C.6.16, cc. 1-223. 4 Sunti delle Lezioni di Calcolo Integrale …, AFT, cc. 145, 147-149, 169-223. 5 Un’analisi maggiormente dettagliata è condotta nella mia tesi di dottorato, Giuseppe Peano docente e ricercatore di analisi, diretta da Clara Silvia Roero, in corso presso il Dipartimento di Matematica dell’Università di Torino.
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L’aggiornamento e la riforma dei programmi dei corsi di Calcolo infinitesimale non sono infatti sufficienti, da soli, a spiegare la maggiore attenzione posta da Peano all’assiomatica di Dedekind, alla definizione di limite superiore ed inferiore, alla teoria della derivabilità e dell’integrabilità e ai criteri per determinare massimi e minimi di funzioni di più variabili. Nel Genocchi - Peano è inoltre ben chiara la distinzione – non solo labile, ma talora del tutto assente nelle lezioni di Genocchi – fra i concetti di continuità e di continuità uniforme, di convergenza e di convergenza uniforme. Il maggior rigore di Peano si esplica non solo nell’elaborazione dei controesempi e nelle definizioni rigorose dei concetti, ma anche nella volontà di depurare gli enunciati dei teoremi da quelle condizioni superflue di cui spesso erano infarciti i trattati classici. Le notazioni utilizzate da Peano risultano, generalmente, più chiare ed uniformi rispetto a quelle di Genocchi, tuttavia manca nel Genocchi - Peano qualsiasi impiego dell’ideografia logica, i connettivi e i quantificatori sono assenti, con una certa ritrosia è introdotto il simbolo di sommatoria e la gestione algoritmica dei valori assoluti non è ancora condotta con sicurezza. Infine, mentre emerge una comune idiosincrasia per l’approccio grafico-intuitivo, a cui Genocchi ricorre estremamente di rado e che risulta assente nel trattato dell’84, per contro è da rilevare l’innegabile progresso ottenuto da Peano relativamente alla generalità delle dimostrazioni. È plausibile che un’esigenza di mediazione didattica abbia indotto Genocchi a far precedere sovente la dimostrazione di un teorema da alcuni casi particolari, ricavando poi induttivamente la proposizione desiderata, tuttavia questo approccio risulta una pratica dimostrativa ricorrente anche nei manoscritti piacentini, la cui redazione non era finalizzata alla consultazione da parte degli allievi. Le differenze che abbiamo segnalato trovano del resto riscontro nei Registri delle lezioni tenute da Genocchi, negli anni 1877-78, 1882-83, 188384 e 1885-86.1 Tali registri, finora studiati solo dal punto di vista biografico-aneddotico,2 permettono di verificare le mutue corrispondenze e le discordanze fra i contenuti previsti nei programmi ufficiali, quelli presentati a lezione dai due matematici e quelli confluiti nel Genocchi - Peano e consentono di evidenziare le differenze nelle cadenze didattiche degli 1 Registro delle Lezioni di Calcolo infinitesimale dettate dal Sig. Prof. Genocchi (Assistente E. Martini) nell’anno scolastico 1877-78, FGP, ms. SS; Registro delle Lezioni di Calcolo infinitesimale dettate dal Sig. Prof. Genocchi nell’anno scolastico 1881-82, FGP, ms. SS, cc. 1r-5v; Registro delle Lezioni di Calcolo infinitesimale dettate dal Sig. Prof. Genocchi (assistente Dr Peano) nell’anno scolastico 1883-84, FGP, ms. SS, cc. 1r-6v; Registro delle Lezioni di Calcolo infinitesimale dettate dal Sig. Prof. Genocchi e Assistente Peano nell’anno scolastico 1885-86, FGP, ms. SS, cc. 1r-6r. 2 Cassina 1952, p. 338.
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insegnamenti di Peano e di Genocchi. Per esempio, Peano dedicava più lezioni alle formule di interpolazione e di Simpson1 e alle funzioni interpolari,2 mentre Genocchi preferiva soffermarsi sulla teoria degli integrali impropri3 e sugli integrali euleriani.4 Il trattato del 1884, secondo la qualifica dello stesso Peano, è essenzialmente «un lavoro di compilazione» per la redazione del quale è stato necessario consultare un gran numero di testi, per la maggior parte dichiarati nelle note di apertura del volume. Le fonti annoverano una trentina di opere, fra cui i principali manuali di analisi infinitesimale italiani, francesi e tedeschi, e in particolare i corsi di C. Jordan, J. Serret, U. Dini, A. Harnack ed I. Todhunter, e oltre un centinaio di monografie. Stupisce soprattutto la citazione di lavori recentissimi, fra cui il testo di O. Rausenberger sulla teoria delle funzioni periodiche, edito nel 1884, e il cui riferimento fu aggiunto in fase di revisione delle bozze di stampa, come si deduce dai marginalia apposti sull’esemplare di Parma.5 Alla luce di queste note autografe si può stabilire la consistenza e la successione temporale delle letture di Peano. Per la redazione del capitolo sulle serie, egli ad esempio annota, in un foglio bianco rilegato fra le pagine 54 e 55, alcuni rimandi ai lavori di N. Trudi, D. Besso, E. Catalan, F. Siacci, E. Lucas, G. Ascoli, J. Thomae, U. Dini, P. du Bois-Reymond, M. A. Stern, J. A. ˝ ttinger e K. Weierstrass, ed essi sono solo parzialmente reGrunert, L. O gistrati nelle note in apertura al trattato. Per quanto concerne la redazione dell’apparato di Annotazioni, è da rilevare, fra l’altro, come siano solo in parte veritiere le lamentele espresse da Genocchi ai contemporanei (v. sopra), che sosteneva di non esser stato preventivamente consultato sul contenuto di queste note. Le poche lettere inviategli da Peano permettono infatti non solo di mostrare che i contenuti delle annotazioni ai numeri 44-45, 55 e 62 erano stati sommariamente comunicati,6 ma anche che lo studio critico intrapreso da Peano in quei mesi aveva coinvolto altri illustri analisti, quali A. Harnak, M. 1 A questi temi Genocchi dedica una lezione e mezza su 68, mentre Peano tre lezioni su 65 (cfr. Registro … 1883-84, FGP, ms. SS, c. 5v, lezioni del 17.4.1884 e 19.4.1884 e Registro … 1885-86, FGP, ms. SS, cc. 4v-5r, lezioni del 27.3.1886, 30.3.1886 e 1.4.1886). 2 Mentre le funzioni interpolari non sono presentate nelle lezioni tenute da Genocchi, Peano vi dedica due lezioni (cfr. Registro … 1883-84, FGP, ms. SS, c. 2r, lezioni del 15.12.1883 e 18.12.1883). 3 Genocchi dedica a questo tema le lezioni del 11.3.1884, del 13.3.1884 e parte della lezione del 18.3.1884, Peano tratta gli integrali impropri nella sola lezione del 16.3.1886 (cfr. Registro … 188384, FGP, ms. SS, c. 4v, e Registro … 1885-86, FGP, ms. SS, c. 4r). 4 Cfr. Registro … 1883-84, FGP, ms. SS, cc. 4v-5r, lezioni del 22.3.1884, 27.3.1884 e 29.3.1884. 5 Cfr. FCP, marginalia Peano 1884c, p. 54. 6 Cfr. G. Peano a A. Genocchi, Torino 7.10.1882, G. Peano a A. Genocchi, s.l., s.d. [settembre 1884], G. Peano a A. Genocchi, s.l., s.d. [settembre 1884], in Borgato 1991, pp. 85-86, 88-92.
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Pasch e C. Jordan, di cui Peano acclude a Genocchi le lettere. Purtroppo, non restando traccia a Piacenza di queste missive, non è possibile ricostruire il contenuto dei singoli interventi.1 A sancire la fama ed il successo del Genocchi - Peano sono proprio i contributi originali di Peano, fra cui troviamo le condizioni per lo sviluppo di una funzione di più variabili in serie di Taylor con espressione esplicita del resto, il teorema sulla continuità uniforme per le funzioni di più variabili, le condizioni di esistenza e derivabilità delle funzioni implicite, l’integrazione delle funzioni razionali con zeri del denominatore non noti, la presentazione rigorosa dei teoremi sui limiti, l’espressione analitica della funzione di Dirichlet e la definizione dell’integrale definito come estremo superiore ed inferiore di somme finite. Numerose sono le note di tipo critico, in cui Peano riscontra e denuncia lacune ed inesattezze presenti in una folta messe di manuali spesso stereotipati uno dall’altro: dieci sono gli errori rilevati nei trattati di J. Serret, cinque in quelli di C. Jordan e di J. Bertrand, quattro nel testo di C. Sturm, due in quelli di P. Gilbert, I. Todhunter e G. Novi, mentre un solo errore è segnalato nei volumi di O. Rausenberger, L. Olivier, J. König, E. Amigues, C. Hermite, O. Schlömilch, L. Königsberger.2 È particolarmente severa la critica esercitata da Peano nei confronti del Cours de Calcul différentiel et intégral (1879) di Serret, un testo considerato di alto livello all’epoca e che riscosse un notevole successo, con sei edizioni fra il 1868 e il 1911.3 Il matematico cuneese scorge in esso alcune asserzioni gratuite, scaturite dalla mancata introduzione dell’assiomatica dei numeri reali, e segnala errori nella trattazione della continuità e derivabilità delle funzioni, nei criteri di convergenza delle serie, nella stima dell’errore nelle tavole d’interpolazione dei logaritmi, nella determinazione del resto della formula di Taylor per funzioni di più variabili, e così via.4 Celebri però, in primis, risultano i controesempi, efficaci e ben scelti, coniati con l’obiettivo di mostrare la fallacia di risultati accolti fino ad allora senza riserve. L’esempio di una funzione le cui derivate parziali seconde miste non commutano, quello di una funzione di due variabili, continua su ogni retta del piano ma non in tutto il piano, e quello sui massimi e minimi delle funzioni di due variabili sono divenuti ormai classici nella letteratura matematica e sanciscono, come rileva Glaeser, con la loro «intrusione», un cambiamento radicale nelle abitudini mentali dei ma1 G. Peano a A. Genocchi, Torino 4.10.1884; G. Peano a C. Jordan, Torino 16.2.1884, in Borgato 1991, pp. 88, 93-95. 2 Cfr. Peano 1884c, pp. viii, xi, xiv, xv, xvi, xvii, xviii, xxiii, xxv, xxvii, xxviii, xxix, xxx. 3 Cfr. Zerner 1986, p. 13, Zerner 1994, pp. 10, 67-68. 4 Cfr. Peano 1884c, pp. viii, xiv, xvi, xxiii, xxv, xxvii, xxix.
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tematici, a partire dalla fine dell’Ottocento.1 In tal senso, è invece rimasto finora taciuto il suggestivo legame fra questi controesempi e la scoperta della curva che riempie un quadrato. Quello che è unanimemente ritenuto uno dei più celebri risultati ottenuti da Peano nel campo analitico è infatti considerato anch’esso dal matematico piemontese un controesempio, elaborato con l’intenzione di chiarificare il concetto di dimensione, dopo aver riscontrato alcune inesattezze in merito nei trattati di geometria.2 Se è vero che, nella forma e nella sostanza, l’insegnamento di Genocchi e quello di Peano sono separati da un solco marcato, occorre in conclusione sottolineare come sia ravvisabile una forte eredità culturale del maestro sul giovane allievo, sia sul versante della ricerca che della didattica. L’accento di Genocchi sull’importanza di porre rigorosamente i concetti fondamentali dell’analisi, perseguendo la semplicità dei procedimenti e la chiarezza di esposizione diventano infatti il leitmotiv della docenza di Peano. La sensibilità di Genocchi per l’inquadramento storico dei concetti trova largo riscontro nell’operato del matematico cuneese che, secondo la testimonianza di M. Gliozzi e di G. Vacca, conduceva l’insegnamento «con metodo storico»,3 costellava di riferimenti storicobibliografici i suoi lavori e non esitava a criticare quei trattati di analisi, che attribuivano ‘a casaccio’ la paternità dei teoremi, come ad esempio il testo di H. Lebesgue.4 Infine, nell’attività di ricerca, intesa da entrambe come arricchimento e riflesso del loro insegnamento, Genocchi e Peano sono accomunati dalla consonanza dei temi, dall’attitudine critica e dalla metodologia di lavoro, tanto che le parole usate da D’Ovidio per caratterizzare la produzione scientifica del primo potrebbero descrivere con ugual aderenza quella di Peano: [Genocchi] soleva ritornar sovente sopra un medesimo soggetto; tanto più che molti de’ suoi lavori, abbondando di commenti agli altrui e di svariate osservazioni, mal si prestano ad esser riassunti senza che perdano troppo della propria 1 G. Glaeser a P. Dugac, 10.2.1992 in Dugac 2003, p. 330. 2 Scrive infatti Peano nel curriculum edito a Torino, Pubblicazioni di G. Peano Prof. ord. di Calcolo infinitesimale nella R. Università di Torino, 1916e, p. 4: «Sur une courbe qui remplit toute une aire plane […]. In realtà, lo scopo del lavoro è molto modesto; esso si propone, al pari dei lavori N. 28 [Sopra alcune curve singolari], 39 [Esempi di funzioni sempre crescenti e discontinue in ogni intervallo], ecc. di indicare degli errori che si trovavano in alcuni libri.» 3 Mario Gliozzi, Giuseppe Peano (27 augusto 1858-20 aprile 1932), «Archeion», XIV, 1932, p. 255; Giovanni Vacca, Lo studio dei classici negli scritti matematici di Giuseppe Peano, «Atti della Società Italiana per il Progresso delle Scienze», XXII, 9-15.10.1932, II, 1933, pp. 97-99. 4 Cfr. la lettera di G. Peano a G. Vitali, Torino 3.4.1905, in Maria Teresa Borgato, Luigi Pepe, Opere sull’analisi reale e complessa, Carteggio, Bologna, Cremonese, 1984, p. 453.
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fisionomia. […] Non vi è forse scrittura del Genocchi, nella quale non sia corretto qualche errore, chiarito qualche punto di storia della scienza, giudicata qualche questione di priorità. Non poche sono interamente dedicate ad argomenti di critica, e sono modelli di acuto ragionare, di coscienziosa ricerca storica, di vasta e sicura erudizione.1
4. L’influenza del trattato del 1884 sulla produzione di Peano Se è indubbio che nel Genocchi - Peano confluiscano in larga misura le ricerche analitiche del giovane Peano, e in particolar modo i contenuti delle sue note sull’integrabilità delle funzioni2 e sulle funzioni interpolari,3 meno palese appare invece il legame con un cospicuo gruppo di lavori successivi. Fra questi possiamo citare le note sui determinanti Jacobiani4 e quelle sul resto nella formula di Taylor, oggi detto «resto di Peano», enunciato nel trattato del 1884, dimostrato nelle Applicazioni geometriche del 1887 e infine pubblicato su una rivista scientifica nel 1889.5 I contributi di Peano a questo proposito non ricevono subito grande accoglienza, tanto che, recensendo il monumentale Traité d’Analyse di H. Laurent, Peano lamenta che il matematico francese «insieme a tutti gli autori» abbia riportato sotto il nome di teorema di Bertrand la proposizione sui determinanti Jacobiani, la cui inesattezza egli aveva già rilevato fin dal Genocchi - Peano e abbia continuato a dimostrare la formula di Taylor supponendo la continuità della derivata n-esima.6 La nota di Peano del 1895 sulla definizione di integrale nasce invece da un appunto mosso da Giulio Ascoli ad uno dei riferimenti storico-bibliografici del trattato del 1884.7 Nell’annotazione al paragrafo 193 si attribuiva infatti a Volterra la definizione dell’integrale basata sui concetti di limite superiore ed inferiore delle somme integrali: un contributo di cui Ascoli rivendica la paternità.8 Sono però soprattutto alcune riflessioni sui concetti fondamentali del Calcolo infinitesimale, e in particolar modo su quelli di limite, di deriva1 Enrico D’Ovidio, Onoranze ad A. Genocchi, cit., 1892, pp. 1099, 1101. 2 Giuseppe Peano, Sull’integrabilità delle funzioni, 1882b; Peano 1884c, pp. xxxi, 298-300. 3 Giuseppe Peano, Sulle funzioni interpolari, 1882c; Peano 1884c, pp. xx-xxii, 90-95. 4 Peano 1884c, pp. xvi-xxvii, 170-173; Giuseppe Peano, Su d’una proposizione riferentesi ai determinanti jacobiani, 1889f. 5 Peano 1884c, p. xix; Giuseppe Peano, Applicazioni geometriche del calcolo infinitesimale, 1887b, p. 49; Giuseppe Peano, Une nouvelle forme du reste dans la formule de Taylor, 1889e. 6 Cfr. Giuseppe Peano, Osservazioni sul “Traité d’Analyse par Hermann Laurent”, 1892e, pp. 3132, 34. 7 Giuseppe Peano, Sulla definizione di integrale, 1895n. 8 Cfr. Peano 1884c, p. xxxi; Giulio Ascoli, Sulla definizione di integrale, «Annali di Matematica pura ed applicata», s. 2, 23, 1895, pp. 67-71.
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ta e di differenziale, ad essere oggetto di successivi ampliamenti. Tali concetti sono studiati da Peano, fra il 1884 e il 1895, con l’obiettivo di tradurli in linguaggio ideografico, per inserirli nel Formulario di Matematica,1 e successivamente essi vengono inglobati nelle ricerche sulla teoria della definizione. Nell’articolo Le definizioni in matematica Peano si interroga ad esempio sulla liceità di definizioni che, come quella di derivata fornita nel Genocchi - Peano, non garantiscono di per sé l’esistenza del definito, tanto da dover essere completate con opportune condizioni necessarie e sufficienti.2 Nel 1912-13 questi temi, contestualizzati dal punto di vista storico, diventeranno l’oggetto dell’intervento di Peano nel dibattito nazionale scaturito dall’introduzione di elementi di analisi nell’insegnamento secondario, ad opera di G. Castelnuovo. Precorrendo l’invito di E. Beke, che domanda: comment, dans le pays de la critique mathématique où Dini, Genocchi et Peano ont traité les principes du Calcul infinitésimal d’une façon modèle, comment, dans ce pays, on présentera ces principes aux élèves3
Peano pubblica i saggi Derivata e Differenziale e Sulla definizione di limite.4 Nel primo si interroga sui pregi della notazione differenziale, nel secondo presenta invece uno studio critico comparativo delle definizioni di limite nella manualistica secondaria e universitaria, commentando le trattazioni di R.-L. Baire, E. Cesàro, F. D’Arcais, C. Arzelà, U. Grassi, J. Serret, J.-M. Duhamel, A.-L. Cauchy, E. Borel, J. Tannery, R. Sturm, E. Catalan e H. Fine, e conclude con queste significative parole: Confrontando i programmi proposti per le scuole italiane, con quelli francesi, del 31 maggio 1902, giudico migliori i nostri perché più liberali. Nei programmi francesi è quasi imposto il metodo di insegnamento. […] Se l’insegnante delle scuole medie impiega la sua prima lezione a sviluppare tutto il formalismo della logica matematica, avrà uno strumento per spiegare in modo semplicissimo queste complicazioni. Altrimenti io temo che l’introduzione del limite delle funzioni (invece di quello delle classi) riproduca nelle scuole medie quella se1 Cfr. Giuseppe Peano, Sulla definizione del limite d’una funzione, 1892l; Sur la définition de la dérivée, 1892s; Estensione di alcuni teoremi di Cauchy sui limiti, 1895a; Sur la définition de la limite d’une fonction. Exercice de logique mathématique, 1895c. 2 Cfr. Peano 1884c, p. xiv e Giuseppe Peano, Le definizioni in matematica, 1911d, p. 54: «Dalla definizione ordinaria: “Derivata d’una funzione è il limite del suo rapporto incrementale”, risulta che la derivata esiste o non, secondo che esiste o non questo limite. Alcuni autori, per voler essere più rigorosi, dicono: “Derivata è il limite, ove esista, del rapporto incrementale”, e allora se il limite non esiste, non si può più conchiudere che la derivata non esiste.» 3 Emanuel Beke, Les résultats obtenus dans l’introduction du calcul différentiel et intégral dans les classes supérieures des établissements secondaires, Rapport général, «L’Enseignement mathématique», 16, 1914, p. 255. 4 Giuseppe Peano, Derivata e differenziale, 1913a; Sulla definizione di limite, 1913e.
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rie di confusioni, di cui si è a stento (e non completamente) liberato il Calcolo infinitesimale odierno.1
Un’ulteriore allusione inserita nel Genocchi - Peano riguarda la teoria dei «modi di diventare di una funzione» o «teoria dei fini», e i suoi legami con la ricerca dell’ordine di infinità delle funzioni, adombrati nelle annotazioni di apertura del trattato: Del resto il modo di diventare d’una funzione f(x) è un ente, che si può introdurre in matematica […]. Invero, potremo definire di questi enti l’eguaglianza e disuguaglianza, e le operazioni analitiche fondamentali. […] Potremo assumere le seguenti definizioni: Diremo che, col crescere indefinitamente di x, f(x) diventa maggiore o eguale o minore di Ê(x), se da un certo valore di x in poi f(x) è maggiore o eguale o minore di Ê(x). La Ê(x) potrebbe anche ridursi ad un numero costante, ed allora resta definita l’eguaglianza o diseguaglianza del modo di diventare di f(x) e di un numero.2
Tale trattazione sarà approfondita nel 1910 sia sotto il profilo della ricerca, che nei suoi risvolti didattici, e sarà proposta da Peano al suo allievo Vincenzo Mago come tema di dissertazione di laurea.3 Nel trattato dell’84 si possono rintracciare, infine, i germi dell’interesse del matematico cuneese per le approssimazioni numeriche e per le formule di interpolazione.4 Anch’essi sono scaturiti dall’insegnamento di Genocchi, noto anche in ambito internazionale per le sue ricerche in teoria dei numeri,5 e si sono alimentati con la lettura dei lavori di G. Bellavitis, H. Schwarz, J. Bertrand e T. Stjeltjes. Questo tipo di ricerche si è poi ampliato con la stesura del volume di Applicazioni geometriche del calcolo infinitesimale ed è giunto a maturazione molti anni più tardi, in relazione all’attività di Peano nell’ambito delle Conferenze Matematiche Torinesi.6 1 Giuseppe Peano, Sulla definizione di limite, 1913e, pp. 771, 772. 2 Peano 1884c, pp. ix-x. 3 Cfr. Giuseppe Peano, Sugli ordini degli infiniti, 1910b, p. 780: «Così si è condotti ad unire ad ogni funzione un nuovo ente, che rappresenta l’ultimo modo di comportarsi della funzione, e che, in mancanza di termine più appropriato, dirò suo fine, e che si definisce per astrazione come segue. Il fine d’una funzione avente il valore costante a è questa costante. Il fine d’una funzione f è maggiore, o eguale, o minore del fine d’una funzione g, se si può determinare un indice m, tale che per ogni indice x da m in poi, sempre si abbia fx > gx, o fx = gx, o fx < gx. […] Ad ogni successione f corrisponde allora un nuovo ente, suo fine […].» Sul concetto di fine cfr. anche Giuseppe Peano, Le definizioni per astrazione, 1915k, p. 116; Relazione sulla memoria del Dr. Vincenzo Mago: Teoria degli ordini, 1914a e Vincenzo Mago, Teoria degli ordini, «Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino», s. 2, 64, 1914, N. 8, pp. 1-25. 4 Cfr. Peano 1884c, pp. xx-xxiii, 90-103. 5 Cfr. Carlo Viola, Alcuni aspetti dell’opera di Angelo Genocchi riguardanti la teoria dei numeri, in Conte, Giacardi 1991, pp. 11-29. 6 Gli ultimi risultati matematici di Peano in questi campi risalgono agli anni 1913-1918 e furono oggetto di successive generalizzazioni ad opera di E. J. Rémès, J. Radon, F. Riesz, A. Sard, A. Ghizzetti e A. Ossicini. Cfr. Roero 2004, p. 142.
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erika luciano 5. La ricezione del Genocchi - Peano e la sua collocazione nel contesto europeo
Il Genocchi - Peano riscuote da subito un ottimo successo editoriale, avvalorato dalle traduzioni nelle lingue tedesca (1899) e russa (1903 e 1922),1 dalle numerose recensioni elogiative,2 dalle varie citazioni in articoli di ricerca3 e dalla sua presenza nelle maggiori biblioteche. Nella recensione apparsa sul «Bulletin des Sciences Mathématiques», Amédée Paraf4 sottolinea con particolar enfasi lo «spirito moderno» con cui è stato redatto il trattato, che egli auspica destinato ad influenzare positivamente la didattica dell’analisi a livello internazionale. Paraf rileva 1 Angelo Genocchi, Differentialrechnung und Grundzüge der Integralrechnung, herausgegeben von Giuseppe Peano, 1899t; Differencial’noe ischislenie i osnovy integral’nago ischislenija, izdannyja prof. Giuseppe Peano, 1903t; Differencial’noe ischislenie i nachala integral’nogo ischislenija, izdannoe s dopolnenijami i primechanijami prof. Dzh. Peano, 1922u. 2 Amédée Paraf, Angelo Genocchi. Calcolo differenziale e principii di calcolo integrale …, «Bulletin des Sciences Mathématiques», 2, IX, 1885, pp. 170-172; Otto Stolz, Angelo Genocchi. Calcolo differenziale e principii di calcolo integrale …, «Jahrbuch über die Fortschritte der Mathematik», 16, 1884, pp. 223-224; Emil Lampe, Genocchi Angelo, Differentialrechnung und Grundzüge der Integralrechnung, herausgegeben von Giuseppe Peano …, «Jahrbuch über die Fortschritte der Mathematik», 29, 1898, pp. 227-228; «Jahrbuch über die Fortschritte der Mathematik», 30, 1899, pp. 260-261; Gino Loria, Angelo Genocchi, Differentialrechnung und Grundzüge der Integralrechnung, herausgegeben von Giuseppe Peano …, «Bollettino di Bibliografia e Storia delle Scienze Matematiche», II, 1899, pp. 123-124. 3 Fra gli autori che trassero spunti dal Genocchi - Peano in edizione italiana o tedesca per le loro ricerche di analisi si possono citare: L. Scheeffer, Theorie der Maxima und Minima einer Function von zwei Variabeln, «Mathematische Annalen», 35, 1890, pp. 546, 557, 572-576; W. Osgood, The law of the mean and the limits 0, ∞ ∞, «The Annals of Mathematics», 12, 1898, p. 70; W. Osgood, Sufficient conditions in the Calculus of Variations, «The Annals of Mathematics», 2, 2, 1900, p. 114; O. Bolza, Lectures on the calculus of variations, Chicago, University Press, 1904, p. xi; E. Hedrick, A peculiar example in minima of surfaces, «The Annals of Mathematics», 2, 8, 1907, p. 172; A. Miller, Note on the definitions of a variable, «The American Mathematical Monthly», XIV, 1907, p. 214; A. Emch, Geometric Properties of the Jacobians of a Certain System of Functions, «The Annals of Mathematics», 2, 15, 1913, p. 136; W. Osgood, On functions of several complex variables, «Transactions of the American Mathematical Society», 17, 1, 1916, p. 3; H. Hancock, Theory of maxima and minima, Boston, USA, 1917, p. v; A. Emch, A model for the Peano surface, «The American Mathematical Monthly», 29, 10, 1922, pp. 388-391; H. S. Carslaw, The differentiation of a function of a function, «The Mathematical Gazette», 12, 170, 1924, p. 93; P. v. Szász, Über einen Mittelwertstaz, «Mathematische Zeitschrift», 25, 1926, p. 119. 4 Curiosi sono i commenti di Genocchi relativi a questa recensione: A. Genocchi a P. Tardy, Torino 25.7.1885, BUG, busta 12/106, c. 2r: «Nel Bulletin Darboux (pag. 170) un articolo piuttosto laudativo parla del mio Corso pubblicato con aggiunte del Dr Peano, ed è firmato A. Paraf. Chi si nasconde mai sotto questa cifra per me indecifrabile?»; P. Tardy a A. Genocchi, San Marcello Pistoiese 12.8.1885, FGP, ms. EE, c. 2r: «Non ricevendo qui il Bullettino di Darboux non ho visto l’articolo sul volume del Peano né capisco da quella cifra chi possa esserne l’autore»; A. Genocchi a P. Tardy, Torino 24.8.1885, BUG, busta 12/107, c. 2r: «Un telegramma di Aristide Marra annunziava al Boncompagni che A. Paraf sottoscritto ad un articolo del Bulletin Darboux è Amédée Paraf della Ecole Normale Supérieure di Parigi. È dunque un nome vero; ma ignoro che qualità abbia nella scuola N. S.»
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l’importanza dell’introduzione della teoria di Dedekind e dei paragrafi sui limiti superiore ed inferiore, e segnala un unico neo nel mancato inserimento dei classici teoremi sui limiti della somma e del rapporto degli infinitesimi: un’obiezione, questa, cui Peano risponderà implicitamente nel 1891, recensendo il volume di Calcolo infinitesimale di F. D’Arcais: La parte II, Infinitesimi, contiene, fra l’altro, i due noti principii fondamentali sui rapporti e sulle somme di infinitesimi […]. Ma a questo proposito mi sia permesso di osservare che il primo, quello riferentesi al rapporto di infinitesimi, è di applicazione così ovvia, che parmi non necessario venga espressamente menzionato; il secondo poi […] è dalla massima parte dei trattati enunciato sotto forma inesatta.1
L’obiezione di Paraf ha portata molto più ampia di quanto si potrebbe a tutta prima supporre: proprio la presenza del principio di sostituzione per gli infinitesimi è infatti uno dei parametri che stigmatizzano il passaggio fra i manuali di analisi ‘di seconda generazione’ – cui appartengono i testi di J.-M. Duhamel, J. Serret e C. Sturm – e quelli della ‘terza’, redatti da J. Tannery e E. Goursat.2 La scelta di sorvolare sul principio di sostituzione, unitamente all’attenzione per i fondamenti dell’analisi e per la costruzione dei numeri irrazionali basterebbero quindi da sole a rendere il Genocchi - Peano un testo all’avanguardia in campo internazionale. Secondo il giudizio espresso da A. Voss e A. Pringsheim nell’Enzyklopädie der Mathematischen Wissenschaften, il Genocchi - Peano è uno dei diciannove trattati che maggiormente hanno contribuito al rinnovamento dell’insegnamento dell’analisi a livello universitario.3 Peano stesso, nel 1916, elenca le principali novità contenutistiche del trattato, già rilevate nell’Enzyklopädie e successivamente ribadite da A. Mayer,4 e non esita ad asserire che il Genocchi - Peano è «citato in tutti i libri di Calcolo che contengono alcune righe di bibliografia».5 1 Giuseppe Peano, Francesco D’Arcais, Corso di Calcolo infinitesimale, 1891e, p. 19. 2 Zerner 1986, pp. 10-13 e Zerner 1994, pp. 7-14. 3 Cfr. Alfred Pringsheim 1898, pp. 2, 26, 48, 49; Voss 1898, pp. 66, 72, 73, 77, 83, 92. 4 Adolph Mayer, Vorwort, in Peano 1899t, pp. iii-iv. 5 Giuseppe Peano, Pubblicazioni di G. Peano …, cit., 1916e, p. 1. Fra i manuali in cui è espressamente menzionato il Genocchi - Peano possiamo ad esempio citare: Francesco D’Arcais, Corso di Calcolo Infinitesimale, I, Padova, Draghi, 1891, p. v; Francesco D’Arcais, Corso di Calcolo Infinitesimale, 2a ed. con aggiunte e modificazioni, I, Padova, Draghi, 1899, p. v; Cesare Arzelà, Lezioni di Calcolo Infinitesimale date nella R. Università di Bologna, I, §1, Firenze, Le Monnier, 1901, p. iv; Ernesto Cesàro, Elementi di Calcolo Infinitesimale, 2a ed., Napoli, Alvano, 1905, pagina non numerata; Paul Mansion, Résumé du cours d’analyse infinitésimale de l’Université de Gand, Calcul différentiel et Principes de Calcul intégral, Paris, Gauthier-Villars, 1887, p. viii; Otto Stolz, Grundzüge der Differential-und Integralrechnung, Leipzig, Teubner, 1893, pp. iii, ix, 45, 91, 134, 146, 226, 294, 458.
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Pur senza addentrarci in un’indagine sistematica, per lumeggiare l’influenza esercitata da questo trattato sulla manualistica successiva, risultano significative le parole con cui D’Arcais dichiara le sue fonti d’ispirazione: Le opere che più mi furono utili […] sono: in primo luogo le Lezioni di Analisi Infinitesimale (litografia) e Fondamenti per la teorica delle funzioni di variabili reali del nostro illustre professore Ulisse Dini, opere […] alle quali deve necessariamente ricorrere chi si accinge a scrivere un libro di analisi; il Calcolo differenziale e principî di Calcolo integrale del prof. Genocchi pubblicato con molte aggiunte e proprie considerazioni dal Prof. G. Peano, e Die Elemente der Differential und Integralrechnung di Axel Harnack, i quali due ultimi lavori, unitamente a quello del Lipschitz, segnarono ancor essi un progresso nei metodi coi quali devonsi trattare le ricerche spettanti al calcolo infinitesimale.1
Analogamente, in Belgio, P. Mansion così ribadisce l’influenza ricevuta nella redazione delle dispense del suo corso di analisi all’Università di Gand: Pour rédiger ce livre, nous avons consulté la plupart des bons Traités d’Analyse infinitésimale. […] Mais nous devons signaler spécialement, parmi les écrits qui nous ont servi de guide, les manuels de Cauchy et de Duhamel, le Lehrbuch der Analysisde M. Lipschitz, et, à partir du nº 214, le Cours de MM. Genocchi et Peano.2
Sul fronte della ricerca, lo studio dei limiti delle forme indeterminate è ripreso da W. Osgood,3 mentre H. Hancock riceve dal Genocchi - Peano lo stimolo per le nuove teorie sugli estremali delle funzioni di più variabili reali, sviluppate da G. Scheffers, dallo stesso Stoltz e da V. Dantscher.4 Nei Rendiconti del Circolo Matematico di Palermo appare inoltre, a firma di A. Capelli, la relazione sul Genocchi - Peano, in cui si sottolinea il retaggio positivo avuto dalla polemica fra Peano e Gilbert sul trattato stesso: [Peano] fa in particolare delle osservazioni sull’importanza dell’enunciato, più generale del consueto, di un teorema fondamentale del calcolo, che ha dato luogo ad una recente polemica. (Nouvelles Annales des Math. 3èmè serie, vol. III. 1884) […]. Fa notare come in questo enunciato, che non suppone necessariamente la continuità delle derivate, si deve però intendere che ammetta f(x) dappertutto una derivata ordinaria. Con ciò restano escluse per le derivate le discontinuità così dette di prima specie; cioè il teorema si applica ad ogni funzione continua 1 Francesco D’Arcais, Corso di Calcolo Infinitesimale, cit., 1891, p. v. 2 Paul Mansion, Résumé … cit, 1887, p. viii. Egli, di fatto, utilizza il trattato del 1884 nell’esposizione della teoria dei massimi e minimi di funzioni di due variabili, dei determinanti funzionali, nello studio delle forme indeterminate, e così via (cfr. § 217, 226, 280, 303). Mansion aveva subito manifestato il proposito di studiare con attenzione il Genocchi - Peano e di utilizzarlo per la redazione del suo Corso. Cfr. P. Mansion a A. Genocchi, Anvers 17.10.1884 e Gand 28.10.1884, in Cassina 1952, pp. 349-350. 3 Cfr. William Osgood, The law of the mean and the limits 0, ∞ ∞, cit., 1898, p. 70. 4 Cfr. Harris Hancock, Theory of maxima and minima, cit., 1917, p. v.
il trattato genocchi - peano
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f(x) avente una derivata continua od anche affetta da discontinuità di seconda specie. Indica alcune applicazioni di questo teorema.1
A fianco dei giudizi positivi finora visti, si registrano tuttavia altri commenti non del tutto favorevoli. Hermite, ad esempio, nella sua corrispondenza con Genocchi esprime la convinzione che non si debba «concedere tanto al rigore» in sede di insegnamento elementare e afferma che mai «perderebbe tempo» a lezione per esporre le complicate dimostrazioni sulle funzioni discontinue di Darboux o per provare la non commutabilità delle derivate parziali seconde miste.2 La valutazione dei contenuti del Genocchi - Peano oscilla in effetti fra chi, come B. Levi, ritiene che siano troppo ristretti3 e chi, come G. Loria, è convinto del contrario.4 Questa valutazione di Loria è peraltro stata recentemente sposata da M. Zerner, che ritiene i Fondamenti del Dini e il Genocchi - Peano trattati di fondamenti della teoria delle funzioni di variabile reale, piuttosto che veri corsi di analisi infinitesimale.5 Analoga disparità di giudizi sarà espressa a proposito delle Applicazioni geometriche6 e delle Lezioni di Analisi Infinitesimale7 di Peano, e deriva 1 Seduta del 4.12.1884, Rivista bibliografica: Alfredo Capelli, Sul Trattato di Calcolo differenziale etc. di Angelo Genocchi pubblicato con aggiunte dal Dr. Giuseppe Peano (Torino, 1884), «Rendiconti del Circolo Matematico di Palermo», I, 1884-1887, pp. 11-12. Tale relazione è segnalata in FCP, marginalia Peano 1884c, apposto sul risvolto di copertina. 2 C. Hermite a A. Genocchi, Paris 31.10.1884 in Cassina 1952, pp. 348-349 e Michelacci 2005, pp. 180-181. 3 Levi 1932, p. 256 e 1955, p. 14: «[fu un] volume che […] ebbe dal Peano, mediante chiose critiche e storiche, mediante esempi ed altre aggiunte, un carattere personale: pel quale, pur contenuto in un programma che, lungi dall’avvicinarsi all’ampiezza dei classici trattati del Serret, del Jordan, del Dini, può considerarsi ristretto anche per un nostro odierno Corso universitario, passò presto fra i classici di quel periodo critico […].» 4 Gino Loria, Angelo Genocchi …, cit., 1899, p. 124: «Non si tratta di un manuale nel senso ordinario […], specialmente non si tratta di un manuale per principianti, che non hanno preparazione sufficiente ad un completo rigore. Ciò non ostante, lo stile limpido in cui il libro è scritto farà sì che chiunque sia famigliare cogli elementi dell’analisi, potrà leggerlo agevolmente e trarne perenne utilità e non comune piacere.» 5 Cfr. Zerner 1994, p. 17. 6 Cfr. Relazione della Commissione incaricata di giudicare sul concorso alla cattedra di professore straordinario di calcolo infinitesimale nella R. Università di Torino, «Bollettino ufficiale dell’Istruzione», a. XVIII, 16, 16.4.1891, p. 428: «Il trattato delle applicazioni geometriche del calcolo infinitesimale è inferiore a molte opere sullo stesso argomento uscite prima e contemporaneamente al lavoro del Peano, avendo l’autore tralasciato molti dei più importanti capitoli della geometria differenziale, forse perché troppo preoccupato del metodo che ha voluto usare (il calcolo dei segmenti) metodo che non sarebbe opportuno introdurre nell’insegnamento in sostituzione di quelli classici»; Jules Tannery, G. Peano, Applicazioni geometriche del calcolo infinitesimale, «Bulletin des Sciences Mathématiques», 2, 11, 1887, p. 237: «L’auteur de ces Applications géométriques du Calcul différentiel a moins cherché à accumuler dans son Livre des faits mathématiques qu’à éclaircir les définitions et à donner des notions à la fois générales et précises: il est, à cet égard, intéressant et satisfaisant; au surplus, la publication antérieure du Livre intitulé: Calcolo differenziale e principii di Calcolo integrale, […] avait déjà montré quelles étaient ses préoccupations.» 7 Le Lezioni di Analisi redatte da Peano per gli allievi dell’Accademia Militare sono considera-
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dalla sintomatica attitudine del matematico piemontese a considerare il libro di testo come uno strumento di formazione autonoma, che da un lato confida nella mediazione didattica del docente, e dall’altro esige autonomia di studio da parte dell’allievo. La fortuna del Genocchi - Peano è ampiamente dovuta al suo taglio innovativo rispetto ad altri celebri testi di analisi dell’epoca. L’innovazione di maggior rilievo che esso presenta è da individuarsi nell’ampio spazio dedicato ai fondamenti del Calcolo, e in particolar modo ai risultati della scuola tedesca. È sufficiente scorrere l’indice analitico del trattato del 1884 per percepire il rinnovo del suo impianto strutturale: mentre nei Cours di Camille Jordan1 o di Joseph Serret2 i principi del Calcolo si riducevano all’esposizione dei teoremi sugli infinitesimi, Peano affronta dettagliatamente temi come la costruzione dei numeri reali, l’esistenza del limite superiore, i teoremi sui limiti e sulle successioni di reali, la convergenza uniforme e così via. Diverso è anche il peso attribuito alla continuità e allo studio di funzioni. Mentre nei trattati – soprattutto in quelli francesi – apparsi fra il 1870 e il 1886, come quelli di J. Hoüel3 e di C. Hermite,4 la continuità è un tema poco o niente studiato, sulla scia di Genocchi e di Dini, Peano dimostra, con dovizia di dettagli, le proprietà fondamentali delle funzioni continue, fra cui il teorema dei valori intermedi. Né manca, nelle note di apertura del volume, un cenno agli studi fondamentali condotti da G. Darboux,5 largamente ignorati da parte degli analisti francesi contemporanei. L’attenzione per i fondamenti dell’analisi si riverbera poi in alcuni aspetti tecnici, e giustifica le critiche rivolte da Peano a Jordan, Serret e Sturm, per le imprecisioni relative all’esistenza della derivata, alla dimostrazione del teorema fondamentale del calcolo integrale e alle condizioni di validità della formula di Taylor.6 te nell’Enzyklopädie der Mathematischen Wissenschaften fra i diciannove trattati che maggiormente hanno influito sullo sviluppo del calcolo infinitesimale; da B. Levi sono invece considerate, come già il Genocchi - Peano, troppo schematiche (Levi 1955, p. 9). 1 Camille Jordan, Cours d’Analyse de l’Ecole Polytechnique, t. 1, Calcul différentiel, Paris, Gauthier-Villars, 1882, t. 2, Calcul intégral, Paris, Gauthier-Villars, 1883, t. 3, Paris, Gauthier-Villars, 1887. 2 Joseph Serret, Cours de calcul différentiel et intégral, Paris, Gauthier Villars, 1a ed. 1868, 2a ed., 1879. 3 Jules Hoüel, Cours de calcul infinitésimal, Paris, Gauthier Villars, 1878. 4 Charles Hermite, Cours [de calcul infinitésimal] professé à la Faculté des Sciences pendant le 2. semestre, 1881-1882, Paris, Gauthier Villars, 1882. 5 Gaston Darboux, Mémoire sur les fonctions discontinues, «Annales Scientifiques de l’École Normale Supérieure», s. 2, IV, 1875, pp. 57-112. 6 Cfr. Peano 1884c, pp. xii-xiv, xvii-xix, xxv-xxvi.
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Il trattato dell’84 viene così ad inserirsi in un nuovo filone di manuali per l’insegnamento dell’analisi, avviato in Italia dalla pubblicazione in litografia dei Fondamenti per la teorica delle funzioni di variabili reali di U. Dini e contraddistinto da un taglio più rigoroso ed astratto. A livello europeo il Genocchi - Peano contribuirà a sua volta a sancire il decollo di questa tipologia di trattatistica, cui afferiscono, dopo il 1884, i corsi di analisi di Jules Tannery,1 la seconda edizione del Cours di Camille Jordan2 e i manuali di O. Stolz e P. Mansion.3 Simile per impostazione e metodologia al trattato di Dini, il Genocchi Peano se ne discosta però a livello contenutistico, presentando solo una parte delle teorie svolte dal matematico pisano, senza quindi illustrare argomenti, come ad esempio le funzioni non derivabili di una variabile reale su un insieme di punti, che esulavano dai confini del corso di analisi tenuto tradizionalmente all’Università di Torino. Le fonti stesse consultate dai due autori sono differenti: per Dini è H.A. Schwarz in primis a costituire il tramite per la conoscenza dei risultati della scuola tedesca, mentre Peano è orientato prevalentemente dalla lettura degli scritti di A. Harnack e di P. Du Bois Reymond.4 Nonostante l’approccio assai moderno ai fondamenti dell’analisi, anche il Genocchi - Peano presenta tuttavia alcuni nei. Essi sono ravvisabili ad esempio nell’eccessiva concisione con cui sono introdotti i reali e nella presentazione dell’integrazione come operazione inversa della derivazione. Quest’approccio adottato da Peano in sede didattica appare antiquato, se si pensa che in Italia, negli stessi anni, Cesare Arzelà stava elaborando per questo tema una trattazione diversa e più articolata.5
1 Jules Tannery, Introduction à la théorie des fonctions d’une variable, Paris, Hermann, 1886. 2 Mosso dall’intenzione di ovviare alle critiche mosse da Peano e da altri colleghi al suo Cours del 1882-1887, Jordan pubblicherà nel 1893 una nuova edizione del suo trattato interamente rivista ed emendata, nella quale ampio spazio è attribuito ai risultati sui fondamenti dell’analisi. Uno studio comparato delle due edizioni del Cours di Jordan è condotto in Hélène Gispert, Camille Jordan et les fondements de l’analyse. Comparaison de la 1ère édition (1882-1887) et de la 2ème (1893) de son cours d’analyse de l’Ecole Polytéchnique, Paris, Université de Paris-Sud, 1982 («Publications mathématiques D’Orsay», 82-05). 3 Otto Stolz, Vorlesungen über allgemeine Arithmetik, Leipzig, Teubner, 1885; Paul Mansion, Résumé du cours d’analyse infinitésimale de l’Université de Gand: Calcul différentiel et calcul intégral, Paris, Gauthier Villars, 1887. 4 Cfr. Axel Harnack, Die Elemente der Differential und Integral Rechnung, Leipzig, Teubner, 1881; Paul Du Bois-Reymond, Die allgemeine Functionentheorie. I. Teil. Metaphysik und Theorie der mathematischen Grundbegriffe: Grösse, Grenze, Argument und Function, Tübingen, Laupp, 1882. 5 Sui contributi di Arzelà a questo proposito cfr. Veronica Gavagna, Cesare Arzelà e l’insegnamento della matematica, «Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche», XII, 2, 1992, pp. 265-268.
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erika luciano 6. I marginalia di Peano al trattato del 1884 e i riflessi sull’insegnamento successivo
A partire del 1884 Peano progressivamente modifica la struttura dei suoi corsi, come si evince da un manoscritto di Lezioni di Calcolo, a cura degli studenti di Peano, non datate, ma ascrivibili agli anni 1885-1889.1 Nell’anno accademico 1885-86 abbandona l’esposizione della teoria delle funzioni interpolari, introduce nell’insegnamento le formule di quadratura e i relativi resti e nel 1891, commentando alcuni paragrafi del Genocchi - Peano, confida a Cesàro: Per alcuni anni diedi in iscuola questi teoremi sulle funzioni continue; ma da molto tempo non li espongo più (nel corso di Calcolo) limitandomi ad accennarli, ed ammetterli come precedentemente dimostrati quando ne ho bisogno. E faccio questo onde poter trattare più ampiamente altre questioni che paionmi di maggiore importanza pratica. Ma se avessi da darli nuovamente, o pubblicare una nuova edizione del libro, cambierei tutte le dimostrazioni …2
La dinamica di queste modifiche trova riscontro nell’analisi dei contenuti inseriti nel trattato del 1884, nelle Applicazioni (1887) e nelle Lezioni di Analisi (1893): pur tenendo presente il diverso pubblico di lettori cui questi testi sono rivolti, si rileva infatti uno spostamento dell’asse concettuale nella scelta dei temi e soprattutto nella metodologia didattica. Entrambe questi aspetti possono essere giustificati tenendo conto del fatto che, nel periodo immediatamente successivo all’edizione del Genocchi Peano, Peano si era accostato ai metodi e alle notazioni del calcolo geometrico, e, parallelamente, aveva iniziato ad interrogarsi sull’opportunità di elaborare un’ideografia logico-matematica, funzionale sia all’attività di ricerca, sia alla didattica. Proprio in conseguenza di ciò, le Lezioni di Analisi possono segnare, come asserisce B. Levi, un regresso rispetto al trattato del 1884 a livello di rigore espositivo,3 ma nel contempo ne rap1 Cfr. Giuseppe Peano, Lezioni di Calcolo, ms. litografato, cc. 1r-178v, nn., Archivio Privato del Prof. E. Casari. 2 G. Peano a E. Cesàro, Torino 20.1.1891, in Palladino 2000, p. 20. 3 Levi 1932 p. 262, 1955, p. 21: «[…] e qui voglio ancora ricordare una caratteristica per così dire pratica del pensiero e dell’insegnamento del Peano, che potrebbe parere in opposizione colle astrattezze dell’assoluto rigore: chi esamini le Lezioni di Analisi infinitesimale che riproducono il Corso quale egli impartì fra il 1890 e il 1900 nella R. Accademia Militare e nella R. Università di Torino a scolaresche miste di aspiranti alla scienza pura e alla pratica applicazione, non trova né ricerca di generalità, né minuzia di condizioni per la validità delle proposizioni; nonostante qualche divagazione attraverso gli argomenti prediletti, notazioni logiche e calcolo geometrico, l’Autore procede rapido ammettendo tutte le condizioni di continuità che nella pratica si verificano e che consentono agli enunciati e alle dimostrazioni la massima semplicità.»
il trattato genocchi - peano
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presentano il completamento, essendo arricchite di nuovi paragrafi, dedicati alla logica e alla teoria dei complessi ad n-unità.1 Non stupisce allora che, all’atto di curare l’edizione tedesca del Genocchi - Peano, si sia scelto di integrare la versione italiana proprio con la traduzione di quei paragrafi delle Lezioni di Analisi,2 né stupisce che, citando nei lavori successivi il suo trattato, Peano ricorra sovente all’edizione tedesca.3 Il maggior peso della logica e dei temi dell’analisi algebrica, e la progressiva acquisizione di una mentalità operatoriale e funzionale, che emergono nelle ricerche di analisi di questi anni, riflettono le nuove esigenze dei progressi compiuti dalla ricerca analitica, e sono presenti anche nelle lezioni litografate dei corsi tenuti da Peano nel 1891 e nel 1904.4 Essi costituiscono uno dei trait d’union fra il Genocchi - Peano e il Formulario di Matematica, definito non a caso dallo stesso Peano: un trattato, più completo dei miei precedenti, di Calcolo Infinitesimale incluse le parti introduttorie, Aritmetica, Algebra e Geometria.5
Fra il 1884 e il 1899 Peano conduce un attento esame delle ambiguità linguistiche ancora presenti nel Genocchi - Peano. Alcune tracce di quest’analisi affiorano nelle sue corrispondenze. Ad esempio egli scrive a E. Cesàro nel gennaio del 1891: Riesaminai la dimostrazione del teorema di Cantor, a pag. 13 e 14 del Calcolo differenziale ecc. di A. Genocchi, da me pubblicato, e la trovo del tutto rigorosa. Salvochè la dicitura non è la migliore […]. Ritornando a questa dimostrazione, essa mi pare rigorosa. Forse c’è pericolo di ambiguità nella 3a ultima riga di pag. 13, ove dico che le quantità della serie possono crescere in modo da raggiungere b. Con queste parole non intendo di affermare che esse crescano in modo da raggiungere b, cosa che non sarebbe vera; ma semplicemente che si può scegliere la serie in modo tale che esse crescano in modo da raggiungere b. Quindi Ella mi farà assai piacere a segnalarmi le difficoltà che vi ha trovato. […] E io spero che Ella vorrà anche parlarmi di altre questioni di Matematica; e poiché noi dobbiamo fare lo stesso insegnamento, e quindi incontrare sulla nostra via le stesse difficoltà, io mi permetterò di sottoporre anche qualcuna al suo giudizio.6 1 Giuseppe Peano, Lezioni di analisi infinitesimale, 1893h, vol. I, pp. 9-10, 132-136, 259-266, vol. II, pp. 1-140. 2 Il capitolo di Peano 1899t sulla teoria dei complessi è parzialmente tradotto dalle Lezioni di Analisi, 1893h, vol. II, pp. 1-140. 3 Giuseppe Peano, Formulaire de Mathématiques, 1899b, pp. 133, 171, 174; Formulaire de Mathématiques, 1901b, p. 148; Formulaire mathématique, 1903f, p. 179. 4 Lezioni di calcolo infinitesimale del prof. G. Peano per cura di C. S. Meriano, 1891n; Lezioni di Calcolo infinitesimale tenute dal prof. G. Peano nella R. Università di Torino, 1904, Stenografate da Igino De Finis, 1904d. 5 Giuseppe Peano, Pubblicazioni di G. Peano, cit., 1916e, p. 8. 6 G. Peano a E. Cesàro, Torino 14.1.1891, in Palladino 2000, pp. 17-18.
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A distanza di appena pochi giorni Peano torna sull’argomento proponendo di emendare così il testo del trattato del 1884: Le espressioni di cui mi servii a pag. 13 lasciano molto a desiderare. Invece delle parole (linea ultima) le quantità a, a1, a2, … tenderanno verso un limite, e sia c si legga: Sia c il limite superiore di tutte le possibili quantità a, a1, …1
Una fonte preziosa per documentare le ricerche di Peano in campo analitico in questi anni è inoltre fornita dai marginalia da lui apposti sulla sua copia del Genocchi - Peano, conservata a Parma. Essi costituiscono una sorta di memorandum in cui sono registrati, con accuratezza, le fasi, i tentativi e i risultati dell’analisi logico-linguistica condotta sul trattato di Calcolo.2 Si tratta di oltre seicento note autografe, la cui datazione risale agli anni 1884-1899. Il termine post quem è giustificato dal fatto che le annotazioni comprendono le correzioni dei refusi tipografici, apportate in fase di revisione di bozze per stilare l’Errata Corrige apposto al termine del volume.3 Il limite ante quem è invece dovuto ai riferimenti e confronti fra l’edizione italiana e quella tedesca, risalente appunto al 1899.4 A ridosso dell’uscita del trattato Peano registra, sul risvolto di copertina e sulle pagine bianche del volume, la dichiarazione di Genocchi di estraneità pubblicata sugli «Annali di Matematica» e l’intervento da lui inviato in risposta alla dichiarazione apparsa invece sulla rivista belga «Mathesis». Trascrive poi i commenti lusinghieri che avevano accolto il trattato: la recensione di A. Paraf, la relazione di A. Capelli, il giudizio eccellente di P. Mansion, la prefazione alla terza edizione del Cours d’Analyse di P. Gilbert, in cui quest’ultimo dichiarava di essersi «particolarmente ispirato» al Genocchi - Peano e, infine, la recensione a questo testo curata da P. Fambri e P. Cassani, in cui gli autori ne ribadivano il rigore: In questi ultimi tempi apparvero tre opere magistrali di calcolo differenziale ed integrale. Essi dal lato del rigore dimostrativo soddisfano pienamente alle esigenze dei tempi: d’una è autore il Ch.mo sig. Jordan, d’un’altra i nostri lodatissimi Genocchi e Peano, della terza l’illustre sig. Gilbert.5 1 G. Peano a E. Cesàro, Torino 20.1.1891, in Palladino 2000, pp. 19-20. 2 La correzione elaborata da Peano, a seguito delle obiezioni sollevate da Cesàro, è ad esempio registrata in FCP, marginalia Peano 1884c, p. 13. 3 FCP, marginalia Peano 1884c, pp. 4, 7, 13, 16, 18, 19, 25, 28, 32, 43, 44, 45, 48, 50, 61, 71, 73, 77, 97, 110, 117, 124, 148, 150, 153, 172, 173, 178, 188, 190, 207, 224, 245, 275, 277 e 282. 4 FCP, marginalia Peano 1884c, p. xiii. 5 FCP, marginalia Peano 1884c, apposto sulla pagina non numerata della Prefazione; Paulo Fambri, Pietro Cassani, Relazione intorno al nuovo corso d’analisi infinitesimale del prof. Filippo Gilbert dell’Università di Lovanio, «Atti del Reale Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti», VII, 1888-1889, pp. 589-601, la citazione qui riportata si trova a p. 590.
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Accanto ai marginalia di Peano si trovano poi alcune note, talora scritte su foglietti bianchi inseriti nel Genocchi - Peano, ma autografe di U. Cassina: ad esempio, nella pagina della Prefazione, a fianco della frase «mi obbligò a importanti aggiunte e a qualche modificazione» Cassina scrive: «Ecco la frase che deve aver offeso Genocchi!».1 Frutto di un accurato e continuo lavoro di revisione e di integrazione, i marginalia di Peano comprendono complementi e appunti per dimostrazioni alternative,2 correzioni,3 e integrazioni bibliografiche.4 Queste ultime testimoniano, fra l’altro, le ricerche svolte da Peano, in corso di edizione, per redigere le sue Annotazioni iniziali. Esse sono state redatte dopo l’uscita dei primi ventidue fascicoli e sono infine confluite nei due fascicoli di «aggiunte», in apertura al volume.5 Altre note, risalenti agli anni successivi alla stampa del volume, comprendono citazioni e appunti su quei matematici che, alla luce della pubblicazione del Genocchi - Peano, hanno corretto le inesattezze e gli errori segnalati nei loro trattati o ne hanno tratto spunti per modificare le loro esposizioni. Ad esempio Peano commenta a pagina XI: Il Gilbert, nella 3a edizione (1887) pag. 61 si corregge e fa rilevare l’errore in cui era caduto.6
A piè di pagina, dopo l’annotazione contenente il celebre controesempio sulla teoria dei minimi e massimi per funzioni di due variabili, Peano segna invece i nomi di F. Richelot, P. Schiermacher, K.A. Posse e B. Bukreiew che, fra il 1884 e il 1893, hanno ripreso e ampliato tale risultato.7 A fianco del teorema sui determinanti Jacobiani, erroneamente enunciato da J. Bertrand, Peano osserva invece che «il Laurent, pag. 164 riporta questo teorema»:8 un cenno, questo, che utilizzerà nella sua recensione al Traité d’Analyse (1892).
1 FCP, marginalia Peano 1884c, autografo di U. Cassina, apposto sulla pagina non numerata della Prefazione. 2 FCP, marginalia Peano 1884c, pp. xv, 1, 3, 4, 6, 7, 8, 11, 12, 22, 23, 25, 26, 28, 29, 30, 35, 38-39, 42, 43, 44-45, 46, 49, 50-51, 53, 61, 62, 63, 64, 65, 68, 70, 71, 72, 78, 79, 80, 82, 84, 85, 87, 89, 90, 91, 93, 94, 95, 96, 99, 106, 107, 108-109, 110, 111, 114, 116, 117, 118, 119, 148, 176, 177, 182, 183, 191, 192, 194, 195, 200, 203, 214, 219, 220, 222, 223, 228, 242, 251, 269, 274, 275, 276, 277, 282, 283, 284, 309, 316, 317, 327, 331, 332, 333. 3 FCP, marginalia Peano 1884c, pp. 13, 76, 97, 112, 120, 139, 253, 255, 259. 4 FCP, marginalia Peano 1884c, pp. vii, ix, xvi, xxvii, 5, 13, 27, 29, 30, 31, 36, 43, 44, 53, 57, 65, 68, 69, 78, 85, 89, 90, 91, 92, 93, 99, 103, 115, 116, 117, 118, 120, 122, 124, 129, 131, 144, 149, 172, 191, 195, 208, 218, 220, 252, 264, 266, 267, 269, 274, 275, 276, 277, 282, 299, 313, 318, 328, 330. 5 FCP, marginalia Peano 1884c, pp. 3, 10, 20, 29, 50, 52, 54, 58, 64, 65, 69, 70, 71, 90, 107, 108, 123, 124, 125, 128, 178, 215, 224, 262. 6 FCP, marginalia Peano 1884c, p. xi. 7 FCP, marginalia Peano 1884c, p. xxix. 8 FCP, marginalia Peano 1884c, p. xxvii.
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Numerosi marginalia, inoltre, comprendono la traduzione in linguaggio logico-matematico delle proposizioni del trattato del 1884.1 Essa è stata condotta ricorrendo a differenti sistemi simbolici e i marginalia registrano il processo per prove ed errori con cui Peano ha elaborato il suo linguaggio ideografico e lo ha applicato nell’ambito analitico. L’interesse per le notazioni in uso nei differenti trattati emerge a partire dal 1887 ed è confermato dal commento sui segni impiegati da Gilbert nella terza edizione del suo Calcolo: – per ≥ e ⬍ – per ≤; VA per valore assoluto di; M per medio.2 Propone il segno ⬎
Nel paragrafo sul concetto di limite, su cui Peano si sofferma fra il 1892 e il 1895, molte proposizioni sono accostate alla loro traduzione in linguaggio ideografico, con il ricorso a simboli poi abbandonati da Peano. Nella relazione (A 䉰 lim E) 艚 (B 䉰 lim E) < (A = B)3
che esprime il teorema secondo cui «una quantità non può tendere contemporaneamente verso due limiti diversi» compare infatti il segno < per denotare l’implicazione fra classi, poi sostituito con il simbolo 傻, mentre il segno 䉰 cadrà successivamente in disuso. A pagina 8 si trova invece l’espressione in linguaggio ideografico del concetto di limite superiore: A sia una classe di N.[umeri] Def. lim sup A = x : {[A(> x) = 0] 艚 [y : {(y < x) 艚 [A(> y) = 0]} = 0]}4
Proprio l’esame di questi marginalia, unitamente a quello delle note autografe alle Lezioni di analisi infinitesimale del 1893, apposte sulla copia in possesso di Peano, oggi conservata nella Biblioteca Civica di Cuneo,5 ha consentito di evidenziare un legame fra questi trattati e di mostrare come essi abbiano costituito una delle basi contenutistiche per la redazione dei capitoli di calcolo differenziale ed integrale del Formulario di Matematica. 1 FCP, marginalia Peano 1884c, pp. 1, 4-5, 6, 7, 8, 10, 11, 28, 36, 42, 49, 55, 59, 61, 62, 106, 127, 149, 152, 170, 218, 229, 230, 231, 235, 237. 2 FCP, marginalia Peano 1884c, apposto sul risvolto di copertina. 3 FCP, marginalia Peano 1884c, p. 5. 4 FCP, marginalia Peano 1884c, p. 8. 5 Giuseppe Peano, Lezioni di analisi infinitesimale, 1893h, BCC, vol. I, marginalia pp. 1, 3, 4-5, 6, 7, 8, 12, 13, 14, 15, 16, 21, 33, 54, 58, 61, 64, 85, 105, 123, 124, 127, 130, 137, 138, 154, 155, 163, 165, 191, 211, 216, 217, 218, 219, 221, 223, 224, 226, 227, 228, 229, 230, 231, 236, 243, 245, 247, 259, 262, 264, 265, 271, 278, 283, 288, 290, 298-299, 305, 306, 309, 312, 313; vol. II, marginalia pp. 2, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 15, 19, 28, 33, 34, 39, 42, 43, 44, 48, 54, 55, 59, 60, 62, 63, 66, 73, 74, 78, 84, 96, 108, 115, 121, 130, 135, 136, 141, 149, 150, 193, 195, 210, 211, 212, 213, 214, 220, 221, 230, 231, 232, 233, 235, 236, 237, 240, 242, 244, 245, 248, 255, 259, 261, 262, 263, 264, 267, 268, 269, 270, 274, 275, 276, 277, 279, 280, 282, 283, 285, 286, 287, 288, 290, 291, 294, 295, 296, 300, 302, 303, 304, 305, 307, 308, 309, 316, 317, 318, 321, 323.
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(1884)
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In conclusione, nel volgere di una decina di anni, l’interesse di Peano per gli aspetti formali si traduce in attenzione per il simbolismo matematico. I marginalia al trattato del 1884 riflettono apertamente il duplice spirito che anima l’elaborazione da parte di Peano del suo linguaggio logico-simbolico: essa da un lato risulta motivata dalla volontà di fornire uno strumento utile per la ricerca, dall’altro è dovuta all’intenzione di implementare la precisione e il rigore nell’insegnamento dell’analisi. Peano stesso mostra del resto piena consapevolezza del fatto che l’introduzione del linguaggio e degli strumenti logici nelle scuole deve essere graduale e mediata, come si evince dalla lettera che scrive a E. Catalan nel 1892: Or, dans notre cas, je suppose données les idées générales de logique […]. L’homme acquiert ses cognitions non seulement au moyen de la déduction (définitions, syllogismes, etc.), mais aussi, et spécialement dans sa jeunesse, par l’induction, la généralisation, l’abstraction, etc. Et il convient dans l’enseignement tirer parti de toutes les cognitions précédentes, et de toutes les qualités de l’âme, au lieu de se servir seulement de quelqu’unes. Cela n’empêche pas qu’on puisse ensuite étudier ce qu’on peut déduire, en supposant seulement certaines idées, et sans se servir des autres. […] Les études de cette nature ne sont pas, je crois, stériles. On voit sous des points différents les éléments de la mathématique; et lorsque ces théories sont suffisamment élaborées, on les peut substituer ou partiellement ou en totalité dans l’enseignement à d’autres théories. Mais il ne faut pas, de l’autre coté, exagérer, et croire qu’on puisse tout-de-suite expliquer dans les écoles, les définitions et les théorèmes, p. ex., sous la forme que j’ai publié. Ils seront simplement incomprensibles.1
I marginalia offrono allora un bell’esempio della feconda interazione fra l’attività di ricerca e la docenza che costituisce una delle più efficaci chiavi di interpretazione dell’intera opera di Giuseppe Peano. Appendice La polemica Gilbert-Peano 1. A. Genocchi a P. Tardy, Torino 11.3.1884, BUG, busta 12/86, cc. 1r-2r. Carissimo Tardy, Domenica scorsa (9 Marzo) la nostra Accademia tenne adunanza a classi unite per festeggiare il centenario della sua fondazione. Lesse il Presidente Fabretti2 1 G. Peano a E. Catalan, Torino 25.1.1892, in François Jongmans, Quelques pièces choisies dans la correspondance d’Eugène Catalan, «Bulletin de la Société Royale des Sciences de Liège», 50, 9-10, 1981, pp. 307-308. 2 Ariodante Fabretti è presidente dell’Accademia delle Scienze di Torino dal 1883 al 1885.
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un bel discorso sulle vicende del nostro sodalizio, e il Tesoriere Barone Manno1 un ragguaglio di documenti manoscritti che si trovavano nei vecchi scaffali dell’Accademia. Poi fu distribuito agli Accademici un grosso volume che già vi annunziai e che contiene le mie Note biografiche intorno a Luigi Lagrange.2 Credo che questo volume si mandi a tutti i Corrispondenti dell’Accademia e quindi lo avrete ricevuto o lo riceverete anche voi; ma ignoro che si siano destinati esemplari a parte del mio articolo, e non ho osato di chiedere se si diano o non si diano, ma il mio articolo era già stampato da più d’un anno, cosicché a quest’ora non devo più aspettarne esemplari a parte. In pochi giorni sarà pure pubblicato il primo fascicolo degli Atti della stessa Accademia pel nuovo anno 1883-84. Il Peano ha pubblicata la seconda dispensa delle lezioni // di calcolo che va incirca fino alla pag. 150.3 Egli ha scritto al Jordan4 comunicandogli una dimostrazione che non abbisogna della continuità della derivata e che è la stessa data da me nel mio Corso orale,5 ovvero con poche modificazioni quella che è riferita dal Serret nel suo Trattato e da lui attribuita ad Ossian Bonnet.6 Nei Comptes rendus ho stampato un sunto d’alcune mie vecchie ricerche intorno all’esistenza di certi numeri primi.7 Me ne diede occasione l’annunzio di ricerche analoghe d’un M. Lefébure che prima aveva preteso di poter dimostrare il teorema del Fermat (xn + yn = zn impossibile per n > 2) e anzi (se non erro) è uno dei due concorrenti pel premio stabilito sopra tale questione dall’Accademia di Brusselle, premio che non fu assegnato ad alcuno.8 La questione della tautocrona fu trattata di nuovo dal prof. Formenti nei Rendiconti dell’Istituto Lombardo ove chiamò l’attenzione a studi del Lagrange9 1 Antonio Manno è vice tesoriere dell’Accademia delle Scienze di Torino dal 1879 al 1883 e tesoriere dal 1883 al 1889. 2 A. Genocchi, Note Biografiche intorno ai tre fondatori della R. Accademia delle Scienze, I Luigi Lagrange, in A. Manno, Il primo secolo della Reale Accademia delle Scienze di Torino. Notizie Storiche e Bibliografiche, 1783-1883, Torino, Paravia, 1883, pp. 86-95. 3 Peano 1884c. Le prime due dispense comprendevano il Capitolo I, Delle funzioni (pp. 1-30), il Capitolo II, Delle derivate (pp. 31-53), il Capitolo III, Delle Serie (pp. 54-125) e il Capitolo IV, Delle funzioni di più variabili. Funzioni implicite (pp. 126-148). 4 La lettera di G. Peano a C. Jordan, Torino 16.2.1884, è edita in Borgato 1991, pp. 93-95. Tardy cita le osservazioni di Peano a Jordan nella lettera ad A. Genocchi, Genova 1.3.1884, FGP, ms. EE, c. 2v: «Il Peano ha cominciato a stampare le lezioni di Calcolo? Vidi di lui una rettificazione al Jordan che fu trovata giusta dall’autore. In quanto alla formola f(x + h) – f(x) = hf'(x + ©h) anch’io sono poco persuaso che non sia necessaria la continuità delle derivata.» 5 Cfr. A. Genocchi, [Calcolo differenziale 1865-66], FGP, ms. S1, f. 6, cc. 1r-2v; [Calcolo differenziale], ADT, cc. 91-96; Calcolo Differenziale, BCT, cc. 48-52. 6 Cfr. J. A. Serret, Cours de calcul différentiel et intégral, Paris, Gauthier-Villars, 1868, vol. I, pp. 17-19 (edizione da me consultata, 3a, 1886, vol. I, pp. 17-19). 7 A. Genocchi, Sur le diviseurs de certains polynômes et l’existence de certains nombres premiers, «Comptes Rendus de l’Académie des Sciences», XCVIII, 1884, pp. 411-413. 8 A. Lefébure, Sur la composition de polynômes algébriques qui n’admettent que des diviseurs premiers d’une forme déterminée, «Comptes Rendus de l’Académie des Sciences», XCVIII, 1884, pp. 293295, 413-416. 9 C. Formenti, Espressione generale di Lagrange della forza atta a produrre un movimento tautocrono, «Rendiconti dell’Istituto Lombardo», 2, XVI, 1883, pp. 927-936.
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di cui non avevano fatto cenno né il Bertrand né il Brioschi1 ma ch’io aveva notati da molti anni proponendomi di parlarne, e che ho menzionati nelle suddette mie Note biografiche.2 // Leggerò appena potrò la Memoria che m’indicate del Thomé.3 Il Darboux fu eletto dall’Accademia di Parigi a successore del Puiseaux.4 Ho salutati per voi gli amici D’Ovidio5 e Siacci6 che vi ringraziano e vi rendono il saluto. Scrivetemi subito se non volete dimenticarvene di nuovo, state sano e credetemi Torino (14 via Rossini), 11 marzo 84 Vro Affmo Amico A. Genocchi
2. P. Tardy a A. Genocchi, Genova 13.3.1884, FGP, ms. EE, cc. 1r-2v. Carissimo Genocchi, vi scrivo subito due righe, perché domani l’altro parto per Roma. Vado a passare là alcuni giorni con mio nipote, e più tardi andrò in Toscana da una delle nipoti. Probabilmente farò la Pasqua fuori di Genova, ma non sono ancora del tutto deciso. Una volta, quando non ero solo, faceva dei progetti ben definiti; ora mi lascio guidare un po’ dalle circostanze, inoltre più che spesso mi prende // la smania di mutare, come se il cangiamento dovesse farmi del bene, o recarmi un conforto. Vi ringrazio della vostra lettera, e del piccolo lunario, e delle notizie che mi date.7 Conosceva la dimostrazione di quella formola data dal Bonnet, e riferita dal Serret. Ora non ho il tempo di riguardarla, ma l’impressione che mi è rimasta si è che le condizioni imposte alla derivata ne implicassero la continuità.8 Aveva pure veduto l’articolo del Formenti, il quale mentre ha delle // osservazioni giuste, in qualche punto non mi soddisfa.9 Ora faccio i preparativi per la partenza, e non ho la quiete per occuparmi d’altro. Ho sviluppato un altro calcolo non fatto dal Thomé, e mi pare di avere anche semplificata la deduzione di una sua formola.10 1 F. Brioschi, Intorno al problema delle tautochrone, «Bullettino di Bibliografia e Storia delle Scienze Matematiche e Fisiche (Boncompagni)», 9, 1876, pp. 241-246. 2 Cfr. nota 2, p. 256. 3 Genocchi allude qui ai due saggi di L.W. Thomé, Zur Theorie der linearen Differentialgleichungen, «Journal für die reine und angewandte Mathematik (Crelle)», 74, 1872, pp. 193-217 e L.W. Thomé, Zur Theorie der linearen Differentialgleichungen (Fortsetzung; siehe Bd. 74 und 75 dieses Journals), «Journal für die reine und angewandte Mathematik (Crelle)», 76, 1873, pp. 273-302. 4 Gaston Darboux (1842-1917) fu eletto nel 1884 socio dell’Accademia delle Scienze di Parigi, sul posto lasciato vacante da Victor Alexandre Puisieux (1820-1883) e nel 1900 divenne segretario dell’Accademia. 5 Enrico D’Ovidio (1843-1933). 6 Francesco Siacci (1839-1907). 7 A. Genocchi a P. Tardy, Torino 11.3.1884, BUG, busta 12/86, cc. 1r-2r. 8 Cfr. note 5 e 6, p. 256. 9 Cfr. nota 9, p. 256. 10 Cfr. nota 3, p. 257.
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Cremona1 mi ha scritto una riga per dirmi che Hirst2 è a S. Remo e che forse tra qualche giorno passerà per Genova. Mi rincresce moltissimo di non trovarmi, e perdere così l’occasione di rivedere quell’uomo tanto simpatico. // Penso con piacere che più tardi (forse nel Giugno) potrò trovarmi con voi in Torino, se non sorgeranno ostacoli. Addio, carissimo Genocchi, vogliatemi sempre bene, e credetemi Vo Aff. P. Tardy È forse il Bona l’editore del trattato di Calcolo del Peano?3 Vi do il mio indirizzo di Roma, se mai voleste scrivermi: 133. Via Principe Umberto. Del resto le lettere mandate a Genova mi saranno sempre recapitate.
3. A. Genocchi a P. Tardy, Torino 10.4.1884, BUG, busta 12/87, cc. 1r-2r. Carissimo Tardy, Ricevetti a suo tempo la grata vostra del 13 marzo che mi annunziava la vostra partenza per Roma e la probabile vostra dimora fuori di Genova fin dopo Pasqua.4 Scrivo nondimeno a Genova come mi suggerite poiché non avete potuto assegnar preciso il tempo né il luogo della vostra assenza. Intanto sin dal giorno 11 marzo ho ripreso le mie lezioni all’Università5 senza troppo incommodo anzi con qualche vantaggio per le distrazioni che mi procurano togliendomi alla noia del vivere solitario. Ne ho fatte undici e spero di continuarle dopo le vacanze pasquali.6 Sono solito anche di assistere alle adunanze della nostra Accademia delle Scienze. Seppi che il libro del Centenario non si mandava ai Corrispondenti, e a me non furono dati esemplari a parte delle mie Note biografiche intorno al Lagrange;7 ma il prof. Giuseppe Molinari, Assistente alla Segreteria dell’Accademia, al quale io manifestai il desiderio che uno di quei volumi potesse venirvi mandato, lo comunicò al Presidente prof. Ariod. Fa1 Luigi Cremona (1830-1903), professore ordinario di Geometria superiore all’Università di Bologna e di Statica grafica al Politecnico di Milano, nel 1873 si trasferì a Roma come direttore della Scuola d’Ingegneria. I suoi contributi più importanti riguardano lo studio delle corrispondenze algebriche birazionali, poi dette cremoniane, e la geometria algebrica, di cui pose le basi. Cfr. Luigi Cremona (1830-1903), Convegno di Studi matematici, Milano 16-17 ottobre 2003, Milano, Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, 2005. 2 Thomas Archer Hirst (1830-1892), docente di fisica all’University College di Londra, lasciò importanti contributi sulle trasformazioni cremoniane e il suo lavoro su questo tema fu insignito della medaglia della Royal Society nel 1883. 3 Il trattato del 1884 fu pubblicato dalla casa editrice Fratelli Bocca e fu stampato a Torino per i tipi di Vincenzo Bona, come si legge sul retro del frontespizio. 4 P. Tardy a A. Genocchi, Genova 13.3.1884, FGP, ms. EE, cc. 1r-2v. 5 Genocchi tenne le sue lezioni dall’11.3.1884 fino al termine dell’anno scolastico; l’ultima lezione è datata 24.5.1884. Cfr. Registro delle Lezioni di Calcolo infinitesimale dettate dal Sig. Prof. Genocchi (assistente Dr Peano) nell’anno scolastico 1883-84, FGP, ms. SS, cc. 4v-6v. 6 Si tratta delle lezioni tenute nei giorni 11, 13, 18, 20, 22, 25, 27 e 29 del mese di marzo, 1, 3 e 5 aprile. Il corso di Genocchi riprese regolarmente, dopo la pausa delle vacanze pasquali, il 17 aprile 1884. Cfr. Registro delle Lezioni di Calcolo infinitesimale dettate dal Sig. Prof. Genocchi (assistente Dr Peano) nell’anno scolastico 1883-84, FGP, ms. SS, cc. 4v-5v. 7 Cfr. nota 2, p. 256.
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bretti e questi avendone più d’uno ebbe la gentilezza di darne uno al Molinari che s’incaricò di trasmetterlo per la posta sinchè già da qualche tempo sarà giunto al vostro domicilio in Genova. Mi avete fatto cenno dei vostri studi per spiegare e semplificare la deduzione d’alcuna formola del Thomé. Non sarebbe utile che li pubblicaste?1 Il Serret, dopo aver riportata la dimostrazione di Ossian Bonnet per la formola f (x0 + h) – f(x0) = hf' (x0 + ıh) dice espressamente ch’essa non suppone la continuità della derivata; la sola condizione espressa è che la derivata abbia un valore determinato per ogni valore di x nell’intervallo da x0 ad x0 + h.2 Ora una funzione può avere un valor determinato in un intervallo anche lungo senza esser continua e si può immaginare che l’in//tervallo sia diviso in molte parti, che in ciascuna parte la funzione sia continua e si riduca a qualche funzione nota, e che nel passaggio dall’una all’altra parte prenda per esempio il valore zero. Trovo nel Serret una funzione che rappresento con 2
∞
∫0 senat tcos xt dt
e che per x < a ha il valore 1, per x = a il valore 21 e per x > a il valore zero: ecco dunque una funzione discontinua che ha sempre un valor determinato.3 La dimostrazione di Ossian Bonnet a me quando la lessi parve esatta o facilmente riducibile all’esattezza, ed era solito darla in iscuola. Credo anche l’abbia data il Peano nell’anno scorso e in questo.4 Nelle Nouvelles Annales, marzo 1884, pag. 153, la quistione tra Jordan e Peano è stata ripresa dal prof. Ph. Gilbert di Lovanio5 che sostiene aver ragione il Jordan anche nella parte principale in cui egli aveva confessato d’aver avuto torto, cosa che mi pare alquanto strana.6 Il Gilbert suppone che Jordan abbia veduto dietro l’obbiezione del Peano qualche difficoltà più sottile; ma una delle due: o questa difficoltà infirmava la dimostrazione del Jordan, e allora questi avrebbe errato nel suo libro, o non la infirmava e Jordan non doveva ritirarsi innanzi ad 1 Il suggerimento di Genocchi fu accolto da Tardy che pubblicò le sue ricerche nella nota Relazioni tra le radici di alcune equazioni fondamentali determinanti, «Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino», XIX, 1884, pp. 835-848. 2 J. A. Serret, Cours de calcul différentiel et intégral, Paris, Gauthier-Villars, 1868, vol. I, p. 19 (edizione da me consultata, 3a, 1886, vol. I, p. 19). 3 J. A. Serret, Cours de calcul différentiel et intégral, Paris, Gauthier-Villars, 1868, vol. II (3a edizione da me consultata, 1886, vol. II, pp. 130-131). 4 Tale dimostrazione è esposta da Peano nella nona lezione del corso, tenuta il 27.11.1883 (cfr. Registro delle Lezioni di Calcolo infinitesimale dettate dal Sig. Prof. Genocchi (assistente Dr Peano) nell’anno scolastico 1883-84, FGP, ms. SS, cc. 1v), mentre non è possibile datare quella dell’anno precedente, mancando il relativo Registro. 5 Louis-Philippe Gilbert (1832-1892), professore di analisi all’Università cattolica di Lovanio dal 1855, si occupò di calcolo infinitesimale, di ottica teorica e di fisica sperimentale. Cattolico militante, partecipò alla creazione della Société Scientifique de Bruxelles e, in alcuni lavori di storia della scienza, cercò di difendere la condotta tenuta dalla Chiesa nel processo di Galileo. Cfr. J. Mawhin, Une brève histoire des mathématiques à l’Université Catholique de Louvain, «Revue des Questions Scientifiques», 163, 1992, pp. 372-375. 6 P. Gilbert, Correspondance, «Nouvelles Annales de Mathématiques», 3, III, 1884, pp. 153-155.
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essa e ammettere d’aver errato.1 Poi viene la quistione della continuità della derivata, e il Gilbert crede che Jordan l’abbia sollevata non sans malice perchè le théorème est inexact, ma porta un esempio che non prova nulla. La funzione che dal valore 兹苶苵 2 px passa al valore 兹苶苶苵 2 p(2a苵苶 – x) ha una derivata p p 苶 passa al valore – 苶 苶苶 che dal valore 2x 2(2a – x) quindi al valore x = a della p p 苶 苶 e – 2a di questa derivata, e non si sa variabile corrispondono due valori 2a a quale dei due valori si debba dare la preferenza. Non si tratta dunque soltanto d’una derivata discontinua ma di una derivata che non ha un valor determinato per un valor determinato della variabile. Ma come si vede il gesuita che mancando di franchezza non può ammettere che gli altri siano franchi e sinceri! Jordan non sarebbe schietto quando riconosce d’aver errato e nasconderebbe una malizia quando chiede una dimostrazione. Il Peano ha mandata al Jordan la dimostrazione chiestagli, e quegli non ha più replicato onde è probabile che l’abbia trovata esatta.2 Ma Gilbert pare che voglia per forza farci ricordare d’esser sempre quel clericale che diede le sue dimissioni dall’Accademia di Brusselle perchè un // Accademico si era burlato della Balena di Giona. Avete indovinato. È proprio il Bona l’editore del Calcolo di Peano. Una disgrazia che non mi aspettava è accaduta in questo tempo. Il Sella che aveva dieci anni meno di me ci è stato rapito!3 Ciò mi ha recato molto dolore anche pei servigi e gli atti di benevolenza ch’io ho avuti da lui in ogni tempo. Nella presidenza de’ Lincei gli è succeduto il Brioschi.4 Molti portavano il Cremona e senza dubbio sono scienziati eminenti l’uno e l’altro. Datemi vostre notizie al più presto, gradite i miei cordiali augurii per le prossime feste, e credetemi sempre Vro Affmo A. Genocchi Torino (via Rossini Nº 14) 10 aprile 1884
兹
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兹
兹
PS. Se non fosse giunto alla sua destinazione in Genova il volume Accademico del centenario, avvertitemi e ne faremo subito ricerca per ricuperarlo e mandarvelo. 1 Extrait d’une lettre de Camille Jordan, in Peano 1884a, p. 47. 2 La lettera di G. Peano a C. Jordan, Torino 16.2.1884, è edita in Borgato 1991, pp. 93-95. Cfr. anche G. Peano, [Réponse à Ph. Gilbert], 1884b, pp. 254-256. 3 Quintino Sella (1827-1884), formatosi all’École des Mines di Parigi, docente presso la Facoltà di Scienze dell’Università e alla Scuola di Applicazione per gli ingegneri di Torino, è uno dei fondatori della cristallografia matematica. Eletto deputato nel 1861 partecipò attivamente all’attività politica del nuovo stato italiano. Cfr. F. Parlamento, Quintino Sella, in Roero 1999, t. II, pp. 477-482, da cui risulta che morì a Biella il 14.3.1884. 4 Francesco Brioschi (1824-1897) professore di idraulica al Politecnico di Milano si occupò soprattutto di analisi, lasciando importanti contributi sulla risoluzione mediante funzioni ellittiche delle equazioni di 5º e di 6º grado. Fu presidente dell’Accademia dei Lincei dal 1884 alla morte. Cfr. C. G. Lacaita, A. Silvestri (a cura di), Francesco Brioschi e il suo tempo (1824-1897), Milano, F. Angeli, 2000.
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4. A. Genocchi a P. Tardy, Torino 27.4.1884, BUG, busta 12/88, cc. 1r-1v. Carissimo Tardy, ho ricevuto la vostra lettera di Firenze 18 Aprile e la vostra cartolina da Genova 24 aprile e vi ringrazio dell’una e dell’altra. Ho sentito con piacere che a Genova avete trovato il volume del primo secolo della nostra Accademia ed io intendeva di far oggi i vostri ringraziamenti al Presidente Fabretti, essendovi adunanza della nostra Classe, ma il Fabretti mancava essendo trattenuto a Roma dal Consiglio Superiore. Fate pure quanto mi accennavate delle vostre note sul Thomé: ne prenderò cognizione e vi dirò il mio parere.1 Tornando alla questione della continuità della derivata, io citai un esempio preso dal Serret d’una funzione discontinua che ha sempre un valor determinato; e voi rispondeste che quella funzione prende tre valori che non sarebbero meno di due quand’anche la funzione fosse tale da aver uguali i valori estremi.2 Credo che la vostra osservazione non regga. La funzione Ê(x) di cui si tratta prende tre valori Ê(a – h), Ê(a), Ê(a + h) quando h sia, se si vuole, infinitesimo ma diverso da zero, ma questi tre valori corrispondono a tre diversi valori di x a – h, a, a + h; se si suppone h = 0 si ha un solo valore a di x e un solo valore Ê(a) della funzione. Trattandosi d’una funzione discontinua non è permesso di sostituire zero ad un valore infinitesimo. Voi premettete che nella dimostrazione del Bonnet non solo la derivata deve aver un valor determinato per ogni valore di x ma si deve aggiungere che il valor della derivata deve rimanere lo stesso per x = a sia che x si accosti al valore a da una parte sia che vi si accosti dall’altra parte. E anche ciò non mi pare esatto. Supposta la funzione f (x), non è la derivata f ' (x) che debba tendere verso lo stesso valore quando x tende verso a da destra o da // sinistra, ma è il rapporto 1 Cfr. nota 3, p. 257. 2 Ecco quanto in proposito si legge nella lettera di P. Tardy a A. Genocchi, Firenze 18.3.1884, FGP, ms. EE, cc. 1v-2v: «Grazie pure di quanto mi scrivete circa la nota formola. Però è sempre qualche dubbio, e mi pare che nella dimostrazione del Bonnet non basta la condizione che la derivata abbia un valore determinato per ogni valore di x nello intervallo da x0 ad x0 + h, e che bisogna aggiungere sia che si accosti a questo valore da una parte o dall’ // altra. Nell’esempio della funzione che voi portate abbiamo tre valori Ê(a – o), Ê(a), Ê(a + o). E se anche si prendesse una funzione per cui Ê(a – o) e Ê(a + o) fossero uguali e Ê(a) diverso si avrebbero due valori. Erano queste considerazioni che mi facevano dire che implicitamente nella dimostrazione del Bonnet era ammessa la continuità della derivata. Forse, esaminando meglio la cosa, si potrà concludere che basta avere Ê(a – o) = Ê(a + o) e che Ê(a) possa assumere un valore diverso, e quindi essere Ê(x) discontinua per x = a; ma non sono ancora del tutto persuaso. Aspetto vostri dischiarimenti. Le osservazioni del Gilbert sono strane davvero, e quando sarò a Genova leggerò il suo articolo nelle Nouvelles Annales.»
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f (a + h) – f (a) h che deve tendere allo stesso limite quando h tende verso zero da destra o da sinistra. Questo rapporto ha per limite la derivata ma non è la derivata, e le due cose non si possono confondere senza presupporre la continuità della derivata. Il Peano ha mandata al Jordan la dimostrazione ch’egli ha dichiarato di aver desiderio di conoscere,1 e il Jordan gli ha risposto con una lettera gentilissima ringraziandolo e assicurandolo che profitterà delle sue osservazioni nel seguito della sua opera. Vedete che linguaggio diverso da quello del Gilbert. Qui regna un gran movimento per l’Esposizione.2 Non ve ne parlo perché dai giornali saprete più di quanto io ve ne potrei dire. State sano e scrivetemi subito Torino 27 aprile 1884 Vro Affmo A. Genocchi
Ringraziamenti Al termine di questo lavoro desidero esprimere il mio più sentito ringraziamento alla Prof.ssa C.S. Roero, che con acume critico e generosa disponibilità ha diretto questa ricerca in tutte le sue fasi, incoraggiandomi ad esporla ed essendo prodiga di innumerevoli e preziosi suggerimenti. Sono inoltre grata al Prof. E. Giusti per le sue interessanti osservazioni e alla Prof.ssa L. Giacardi che ha messo a mia disposizione il manoscritto delle Lezioni di Genocchi conservato nell’Archivio privato del Prof. M.U. Dianzani. Bibliografia Celebrazioni in memoria di Giuseppe Peano nel cinquantenario della morte, Atti del Convegno organizzato dal Dipartimento di Matematica dell’Università di Torino, 27-28 ottobre 1982, Torino, Litocopisteria Valetto, 1986. Peano e i fondamenti della matematica, Atti del Convegno, Modena, Accademia Nazionale di Scienze Lettere e Arti, 22-24 ottobre 1991, Modena, Mucchi, 1993. Allio Renata (a cura di) 2004, Maestri dell’Ateneo torinese dal Settecento al Novecento, Torino, Stamperia artistica nazionale. Ascoli Guido 1955, I motivi fondamentali dell’opera di Giuseppe Peano, in Terracini 1955, pp. 23-30. Boggio Tommaso 1933, Giuseppe Peano, «Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino», 681, pp. 436-446. 1 Cfr. nota 2, p. 260. 2 Si allude all’Esposizione Generale Italiana, inaugurata a Torino nell’aprile del 1884.
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LI R E L ES A N CI E N S T E X T E S MAT HÉ M AT IQUE S. LE CI N QUI È M E LIVRE DE S C ON I QU E S D’A P OLLON IUS Roshdi Rashed* Abstract · One of the main questions raised by historians of ancient and classical mathematics is how to read and comment the authors’ text and how to choose among the various and rival readings and commentaries. This paper takes anew this
question for one of the major contributions to Greek mathematics: the fifth book of Apollonius’ Conica. It presents three possible models for the proper understanding of this book and discusses the value of each.
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omment lire une œuvre mathématique ancienne? quels sont les moyens qui conviennent le mieux à son interprétation? Cette question n’a cessé de préoccuper aussi bien les historiens que les philosophes des mathématiques. Même l’historien indifférent aux faits mathématiques au point de traiter l’œuvre qui les expose comme il le ferait pour un tableau ou un texte théologique, c’est-à-dire comme un fait sociologique, ne peut contourner cette question. Il devra pour le moins classer, sinon hiérarchiser, les œuvres mathématiques. La réponse à cette interrogation est cependant loin d’être immédiate et simple: il suffit de rappeler les débats et les controverses qui ont opposé les historiens à son propos. Pour mieux cerner la difficulté, distinguons les deux tâches qui sont impliquées dans toute interprétation d’une œuvre mathématique. La première tâche est aussi celle qui incombe à l’historien lecteur d’une œuvre philosophique: il lui faut exhiber la structure des réseaux des significations, celle de l’argumentation, tout en dégageant les intuitions de l’auteur. C’est en examinant les articulations de ces structures qu’il peut reconstituer l’œuvre et l’insérer dans la tradition, ou les traditions, à laquelle elle appartient. Mais, si l’historien de la philosophie peut s’en tenir à cette tâche interprétative, sans juger de la vérité des éléments de la doctrine, il en va tout autrement pour l’historien des mathématiques. Chacun sait en effet que c’est
* Roshdi Rashed, Centre d’histoire des sciences et des philosophies arabes et médiévales, cnrsUniversité Paris 7. E-mail: [email protected] «Bollettino di storia delle scienze matematiche» · Vol. XXVII · 2007 · Fasc. 2
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en examinant la vérité des faits mathématiques – théories et théorèmes – et la validité des démonstrations qu’il accomplit la vraie lecture de l’œuvre. Mais cette tâche se heurte à bien des obstacles lorsque l’œuvre lue est ancienne, c’est-à-dire produit d’une rationalité mathématique qui n’est plus la nôtre, parfois dans une langue aujourd’hui morte et au sein d’une société et d’une culture depuis longtemps disparues: l’Égypte, Babylone, la Grèce, etc. Il est vrai que dans sa lecture l’historien tirera parti de certains traits qui distinguent un texte mathématique; quelle que soit sa nature, en effet, ce texte est traduisible dans d’autres langues mathématiques. Cette possibilité est elle-même la conséquence d’une propriété plus fondamentale: une fois établis, une théorie ou un théorème le sont pour toujours et en tout lieu. Il n’y a aucun exemple de théorème rejeté après avoir été démontré. Aussi ce même théorème peut-il se dire dans d’autres langues que celle de sa formulation initiale. Or cette possibilité de traduction est à la fois théorique et historique. Théoriquement, on peut en effet énoncer le même fait dans plusieurs langages. Ainsi le plan dans la géométrie hyperbolique peut être défini axiomatiquement, comme chez Lobatchevski, et la géométrie plane de ce dernier s’est ainsi élaborée comme dans les Éléments d’Euclide. On peut aussi considérer un morceau de plan de la géométrie hyperbolique comme la surface d’une pseudo-sphère, les courbes géodésiques tenant lieu de lignes droites. On peut aussi prendre pour plan de la géométrie hyperbolique l’intérieur d’un cercle. Cette possibilité de traduction est d’ailleurs à l’origine de la notion de modèle en logique. Mais il arrive souvent que ces traductions multiples soient des lectures historiques, où il est d’ailleurs permis de voir l’un des vecteurs principaux du développement des mathématiques: on reprend les anciens faits mathématiques dans un autre langage, dans une autre mathesis que la leur. C’est ainsi que les mathématiciens du Xe-XIe siècle, Alhazen notamment, puis ceux du XVIIe siècle, comme Fermat, ont lu certains travaux d’Archimède, et que plus tard cette même œuvre d’Archimède fut traduite dans le langage des sommes intégrales. On peut aussi évoquer les Arithmétiques de Diophante, lues dans le langage de l’algèbre classique, et, plus récemment, les travaux d’Euler et de Lagrange sur la théorie des formes quadratiques repensés ensuite par Kummer, Dedekind et Kronecker dans le langage des corps des nombres algébriques. Les exemples abondent de cette pluralité – théorique et historique – de lectures, dont chacune recueille une nouvelle richesse de l’objet mathématique. L’historien des mathématiques se trouve de ce fait dans une situation un peu paradoxale, où la stabilité du fait mathématique s’op-
le cinquième livre des coniques d ’apollonius 267 pose à la variété des matheseis dans lesquelles ce même fait s’intègre. Pour revenir à la lecture d’Archimède par ses successeurs, l’organisation de l’ontologie n’est pas la même chez Archimède et chez Alhazen ou Fermat, non plus que les méthodes, les langues et le pouvoir d’extension de la pensée mathématique. Prenons un exemple simple, celui du célèbre problème (II. 8) de Diophante: «Partager un carré proposé en deux carrés».1 À la suite de l’invention de l’algèbre, les mathématiciens arabes l’ont lu comme une équation indéterminée du second degré à deux variables, x2 + y2 = a2; d’autres, qui avaient développé l’analyse diophantienne entière, y ont vu un problème arithmétique – triangle rectangle numérique; on peut aussi le lire comme un problème de paramétrage rationnel du cercle (x = ut; y = ut – a; d’où x = 2au et y = a · u2 – 1; le point (0, -a) est 1 + u2 1 + u2 rationnel). C’est à propos de ce problème que Fermat énonce en marge l’impossibilité de décomposer une puissance n-ième en somme de deux puissances n-ièmes lorsque n ≥ 3; cette observation est à l’origine du fameux «dernier théorème de Fermat», démontré seulement en 1994. Le fait mathématique est vrai quelle qu’en soit la lecture; mais la mathesis est chaque fois différente. La question est donc posée: l’historien peut-il indifféremment opter pour une quelconque lecture; ou y a-t-il une lecture qui, mieux que les autres, permette de situer l’œuvre mathématique dans l’histoire? ou, enfin, est-il indispensable de multiplier les lectures, et lesquelles? La tentation la plus commune est de lire l’œuvre à la lumière des travaux des prédécesseurs de son auteur. C’est précisément ce qui s’est passé lorsque l’on a voulu lire les Arithmétiques de Diophante dans la langue de la logistique et de l’arithmétique de ses prédécesseurs; ou lire la Géométrie de Descartes dans la seule langue des Cossistes ou de Clavius. Mais cette seule lecture risque de manquer ce que l’œuvre contient 1 Voici son texte: «Proposons donc de partager 16 en deux carrés. Posons que le premier membre est 1 carré d’arithme. Dès lors, l’autre nombre sera 11 unités moins 1 carré d’arithme. Il faut donc que 16 unités moins 1 carré d’arithme soient égaux à un carré. Formons le carré d’une quantité quelconque d’arithmes diminuée d’autant d’unités qu’en possède la racine de 16 unités. Que ce soit le carré de 2 arithmes moins 4 unités. Ce carré sera donc 4 carrés d’arithme plus 16 unités moins 16 arithmes. Égalons-le à 16 unités moins 1 carré d’arithme; ajoutons de part et d’autre les termes négatifs, et retranchons les semblables des semblables. Il s’ensuit que 5 carrés d’arithme sont égaux à 16 arithmes, et l’arithme devient 16. 5 Dès lors, l’un des nombres sera 256, 25 et l’autre sera 144. 25 Or, ces deux nombres additionnés forment 400, 25 c’est-à-dire 16 unités, et chacun d’eux est un carré» (Diophante d’Alexandrie. Les six livres arithmétiques et le livre des nombres polygones, œuvres traduites pour la première fois du grec en français par Paul Ver Eecke, Nouveau tirage, Paris, Librairie A. Blanchard, 1959, p. 54).
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de nouvelles formes, et que les successeurs ne cesseront de mettre à jour et de féconder; si bien que l’histoire d’une œuvre mathématique est aussi celle de l’exploitation que les mathématiciens ultérieurs en ont faite. Et d’ailleurs l’historien qui s’en tiendrait à l’examen des prédécesseurs encourrait un autre risque, celui de dériver vers une recherche des origines, lesquelles sont le plus souvent enfouies dans les limbes. La discussion engagée depuis bientôt deux siècles sur les origines de l’Algèbre d’alKhwa¯rizmı¯ illustre bien les limites de cette recherche. Une autre tentation peut s’emparer des historiens, surtout lorsque leur connaissance des prédécesseurs est incertaine ou fragmentaire, c’est de commenter les propos de l’auteur en recourant à d’autres phrases, empruntées à son propre texte. Ce commentaire, nécessairement limité, risque en fait de n’être qu’une piètre répétition, en d’autres mots, de la transcription mathématique du texte. Bien plus, cette lecture est encore moins bien armée que la précédente pour démasquer les nouvelles vérités sous leurs anciens habits. Il n’est pas rare que de telles lectures, qui se réclament de la «fidélité» au texte, finissent en fait par en trahir le contenu mathématique. C’est donc une véritable stratégie de lecture des œuvres anciennes qu’il va falloir élaborer. Rappelons d’abord que bon nombre de ces œuvres ont subi de graves accidents lors de leur transmission, et que la connaissance de leurs auteurs et de leurs prédécesseurs est pauvre et lacunaire. Telle est la situation d’Apollonius et de ses Coniques, de Menelaüs et de ses Sphériques, de Diophante et de ses Arithmétiques, et de bien d’autres mathématiciens alexandrins et arabes. Il arrive aussi qu’il faille attendre des siècles et le secours d’une autre mathématique pour que l’on se mette à lire et à exploiter l’œuvre. C’est seulement au IXe siècle qu’on a commencé à lire Diophante; quant à Apollonius, il a fallu attendre le Xe siècle pour que soit réactivée la recherche sur la géométrie des Coniques, etc. Il importe donc au premier chef de commencer par établir rigoureusement les textes de l’auteur et de ses successeurs mathématiciens. À ce stade, il est judicieux de solliciter une autre mathématique, à laquelle on empruntera les instruments susceptibles d’actualiser toute l’information mathématique présente dans l’œuvre lue. Autrement dit, il s’agit, à partir d’une autre mathématique, d’élaborer un modèle qui permette d’aller plus loin dans l’intelligence du texte. Il arrive même que ce modèle, parfois conçu à partir des mathématiques récentes, joue le rôle d’un révélateur en dévoilant les méthodes sous-jacentes à l’œuvre en question. Ce modèle a donc un rôle instrumental et heuristique. Ainsi, pour lire les Arithmétiques de Diophante, on a proposé un modèle
le cinquième livre des coniques d ’apollonius 269 forgé à partir des concepts de la géométrie algébrique sur le corps des rationnels. Un tel modèle est à l’évidence anhistorique. Dans d’autres cas, la mathématique du modèle, cette fois encore différente de celle de l’œuvre lue, s’inscrit toutefois dans la postérité de cette dernière. C’est le cas, nous le verrons, des Coniques d’Apollonius et des mathématiques algébrico-analytiques. Si le recours à des modèles pour l’interprétation d’une œuvre ancienne nous semble indispensable, c’est parce que l’œuvre entretient un rapport diffus d’identité et de différence avec les mathématiques postérieures, que ce lien soit théorique ou historique. Que le modèle ne soit pas l’objet, c’est un truisme. Modèle et œuvre interprétée relèvent, on l’a dit, de deux matheseis différentes. Mais cet usage instrumental et heuristique des modèles risque de déplaire deux fois. D’abord, à ceux qui ne distinguent pas le modèle de son objet. Certains éminents mathématiciens n’ont en effet pas hésité à trouver dans les Arithmétiques de Diophante non seulement l’algèbre, mais les notions mêmes de la géométrie algébrique et ses méthodes (la méthode de la corde, celle de la tangente). Attitude qui n’a cependant rien à voir avec la démarche qui consiste à opérer une régression brutale, sans quelque modèle que ce soit, pour découvrir dans l’ancien texte des concepts et des procédés qu’il a fallu plusieurs siècles pour concevoir. C’est la démarche que suit J. Dieudonné lorsqu’il écrit à propos des Coniques d’Apollonius: […] les développées des coniques y sont complètement caractérisées et étudiées, les théorèmes que prouve Apollonius se traduisent immédiatement dans nos notations en l’équation de la développée, que seule l’insuffisance de l’algèbre grecque l’empêche d’écrire.1
C’est une chose de recourir à un modèle élaboré à partir d’une autre mathématique; c’en est une autre, bien différente, d’en projeter les concepts et les méthodes sur une œuvre conçue dans une mathématique différente. L’appel aux modèles déplaira aussi aux historiens qui, impressionnés par le reflet des concepts mathématiques récents sur les miroirs ternis des époques anciennes, y verront une démarche anachronique. Notons que le modèle n’est pas unique. On peut en élaborer plusieurs, à partir des différentes mathématiques. Les Arithmétiques de Diophante, par exemple, s’accommodent d’un modèle algébrique, d’un modèle 1 Jean Dieudonné, Cours de géométrie algébrique, I: Aperçu historique sur le développement de la géométrie algébrique, Paris, PUF, 1974, p. 17.
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arithmétique, d’un modèle géométrique, alors que Diophante n’était pas davantage algébriste que géomètre. Il en est de même pour le cinquième livre des Coniques d’Apollonius, comme on le verra. Tout le problème est donc de trouver le modèle pour ainsi dire minimal, capable de recueillir toute l’information contenue dans le texte et d’expliquer de manière exhaustive tous les faits mathématiques qui s’y trouvent. Reste enfin à confronter le modèle aux mathématiques de l’auteur et de l’époque pour en ôter toutes les notions étrangères au contexte de l’œuvre. Ainsi, dans le cas des Arithmétiques, une fois évacuées les notions de géométrie algébrique, il reste un nombre réduit d’algorithmes (correspondant en particulier à la méthode de la corde et à celle de la tangente) qui rendent compte de tous les problèmes considérés par l’auteur. Le modèle a donc permis d’identifier un nombre restreint de méthodes et de mettre ainsi en lumière la démarche de Diophante, dont on affirmait depuis Hankel qu’elle n’était en fait que l’examen aléatoire d’une succession de problèmes.1 Or c’est précisément cette confrontation qui est épreuve de vérité, et qui permet de juger de la pertinence du modèle. Pour illustrer rapidement cette recherche historique et cette stratégie, j’évoquerai le cinquième livre des Coniques d’Apollonius. Le cinquième livre est assurément l’un des sommets des mathématiques anciennes et classiques. Si on le compare aux autres livres du traité d’Apollonius, c’est sans aucun doute le plus important et le plus difficile. La difficulté est d’autant plus grande que l’analyse d’Apollonius est absente. Alors que ce livre est au fond le plus analytique des sept qui constituent les Coniques, le style de sa rédaction est purement synthétique. On comprend qu’il n’est pas facile d’en faire un commentaire systématique. Ce commentaire exige d’abord, bien entendu, une véritable édition critique ainsi qu’une traduction rigoureuse – ce que nous pensons avoir accompli. Le commentaire peut alors être tenté, ce qui exige que soient multipliés les angles d’attaque. Le premier n’est certes pas une lecture de la contribution d’Apollonius dans celles de ses prédécesseurs, mais, seulement et dans la mesure où les documents le permettent, un repérage des questions soulevées par ces derniers et de leur reprise par Apollonius. La seconde lecture s’opère au moyen d’un modèle algébrico-analytique, dont l’élaboration s’engage un millénaire après Apollonius et dont le développement s’étendra encore sur plusieurs siè1 Hermann Hankel, Zur Geschichte der Mathematik in Altertum und Mittelalter, 1e éd., Leipzig, 1874; reprod. Hildesheim, Georg Olms, 1965, pp. 164-165.
le cinquième livre des coniques d ’apollonius 271 cles. Étrangères donc à la mathématique des Coniques, il reste que ces mathématiques algébrico-analytiques trouvent dans le livre d’Apollonius l’une de leurs racines historiques. On voit toute la complexité des rapports d’identification et de différence. Une troisième lecture, à l’aide de la théorie des singularités d’applications différentiables, si elle est dénuée de toute dimension historique, aide cependant à apprécier toute la richesse des objets considérés par le mathématicien alexandrin. Il va de soi que dans le cadre d’une brève étude on ne peut évoquer que les grandes lignes de ces lectures. Ce sera donc une esquisse rapide, où je m’arrêterai à une seule courbe, la parabole. Quelles étaient les intentions d’Apollonius lorsqu’il élaborait le cinquième livre; quel était son projet? Apollonius est avare d’explications. Juste une petite phrase dans le prologue du premier livre des Coniques, où il dit que le cinquième livre est consacré «d’une manière plus développée aux minima et aux maxima», c’est-à-dire aux lignes extrémales que l’on peut mener d’un point donné aux points de la courbe. Pour comprendre cette allusion, nous avons pour seule source le prologue du cinquième livre. Dans sa lettre d’envoi du cinquième livre à Attale, Apollonius trace un rapide historique de la recherche qu’il compte y entreprendre, et s’explique sur son propre apport. On regrettera que l’historique aussi bien que l’explication soient très brefs, voire quelque peu allusifs. Il écrit d’abord à Attale: Dans ce livre se trouvent des propositions sur les lignes maximales et minimales.1
Voilà le domaine désigné. Il poursuit: Il faut que tu saches que nos prédécesseurs et nos contemporains ne se sont que peu attachés à l’examen des minimales, et ont montré, grâce à cela, quelles sont les droites qui touchent la section, et la réciproque; c’est-à-dire ce qui advient aux droites qui touchent les sections, de telle sorte que, si cela advient, les droites soient tangentes.
De cet historique, il ressort donc que les prédécesseurs et les contemporains se sont intéressés seulement aux lignes minimales, et dans l’unique perspective de déterminer les tangentes aux sections coniques. On voit donc qu’il s’agissait, pour les anciens, d’un prolongement de l’étude faite par Euclide des tangentes au cercle. Bien que notre information sur 1 Voir notre édition, traduction et commentaire du Livre V des Coniques, à paraître chez De Gruyter.
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les prédécesseurs et les contemporains d’Apollonius soit aussi lacunaire que partielle, on peut voir là une allusion au second livre des Corps flottants d’Archimède, et à des mathématiciens de la tradition de Conon et de Dosithée, qui ont traité du miroir parabolique – et dont certains sont évoqués par Dioclès. Ce dernier fait en effet appel à deux propriétés de la parabole qui portent sur la tangente et la normale: le sommet de la parabole est le milieu de la sous-tangente; la sous-normale est égale à la moitié du côté droit.1 Apollonius lui-même reprend cette étude dans les propositions 27 à 33, et nous informe par là-même sur ce type de recherche menée par les prédécesseurs et les contemporains. Il s’agit en fait d’étudier l’orthogonalité de la droite minimale aboutissant à un point A de la section conique, à partir d’un point B dans la concavité de la courbe, et de la tangente en A. Rappelons par exemple l’énoncé de la proposition 27: La droite menée de l’extrémité de l’une des droites minimales que nous avons mentionnées, et qui est tangente à la section, est perpendiculaire à la droite minimale.
Soit une parabole d’axe B°, la tangente à l’extrémité A d’une droite minimale est perpendiculaire à cette droite. A
°
H
B
¢
Si l’on en croit Apollonius, ses prédécesseurs et contemporains avaient déterminé les tangentes comme étant perpendiculaires aux droites minimales issues de l’axe – étude qu’Apollonius, on le verra, intègre dans un champ plus vaste. 1 Les Catoptriciens grecs. I: Les miroirs ardents, édition, traduction et commentaire par Roshdi Rashed, Collection des Universités de France, publiée sous le patronage de l’Association Guillaume Budé, Paris, Les Belles Lettres, 2000, p. 103 sq.
le cinquième livre des coniques d ’apollonius Continuons à écouter Apollonius.
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Pour notre part, nous avons montré ces choses dans le premier livre, sans utiliser pour démontrer cela ce qui a trait aux lignes minimales; et nous avons voulu faire que leur position soit proche du lieu où nous avons expliqué la génération des trois sections, afin de montrer, grâce à cela, que, pour chacune des sections, il peut y avoir de ces droites tangentes un nombre infini; et en raison de ce qui advient et de ce qui leur est nécessaire, comme ce qui est advenu pour les premiers diamètres.
Apollonius explique ainsi que, s’il n’a pas recouru, comme ses prédécesseurs et ses contemporains, aux droites minimales dans la recherche sur les tangentes, c’est parce que, contrairement à eux, il a, lui, voulu élaborer une théorie des tangentes aux courbes coniques, comme il l’avait fait pour les diamètres, et en liaison avec les diamètres plutôt qu’avec les normales. Ainsi, pour pouvoir rendre compte de leur nombre infini et de leurs propriétés nécessaires, il ne suffit plus d’étudier les tangentes à l’aide des normales; mais on doit procéder comme pour les diamètres, en leur consacrant une étude propre. Contrairement à d’autres études menées par Euclide au troisième livre des Éléments, ou par Archimède dans La Spirale, l’étude d’Apollonius ne porte pas sur la tangente à une courbe – le cercle ou la spirale –, mais sur la tangente à toute une classe de courbes: les sections coniques. Dans cette nouvelle étude, on doit en outre aborder plusieurs thèmes de recherche autres que tangente et normale, comme par exemple tangente et ordonnée, tangente et diamètre, tangente et asymptote, différentes méthodes pour déterminer les tangentes, etc. Or cette extension, sans précédent, du domaine aussi bien que des thèmes, a, semble-t-il, exigé une élucidation plus poussée du concept de tangente, ainsi que l’élaboration d’une théorie qui l’englobe. Tâche qui s’imposait d’autant plus qu’Apollonius commençait délibérément par examiner les propriétés de la tangente pour toute une classe de coniques, avant de revenir à son étude pour une sous-classe: coniques à centre, d’une part, parabole, d’autre part. C’est dans le premier livre, là où il traite de la génération des sections coniques, qu’Apollonius, nous l’avons montré,1 jette les bases de cette théorie des tangentes, ce à quoi il consacre une douzaine de propositions. Une fois élaborée une théorie de la tangente – dans laquelle les droites minimales ne jouent pas un rôle fondateur –, Apollonius revient vers celles-ci pour en entreprendre une étude systématique. Mais cette étude appelle tout naturellement celle de leur alter-ego: les droites maximales. 1 Voir notre édition, traduction et commentaire du Livre I des Coniques, sous presse chez De Gruyter.
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Tel est précisément le thème attribué au cinquième livre: les droites extrémales. Écoutons encore Apollonius s’adresser à Attale: Quant aux propositions dans lesquelles nous nous sommes exprimé sur les lignes minimales, nous les avons distinguées et isolées, à part, après un long examen; et nous avons réuni tout ce qui en est dit à ce qui est dit des lignes maximales que nous avons expliquées auparavant – parce que nous avons vu que ceux qui étudient cette science en ont besoin pour connaître la détermination et l’analyse des problèmes, ainsi que leur synthèse; outre ce qui tient à ellesmêmes. C’est l’une des choses auxquelles aspire l’étude.
Les propos sont limpides, le but est clair: le cinquième livre est un traité entièrement consacré aux lignes extrémales, à la fois pour l’intérêt propre de ces objets mathématiques et pour l’utilité qui est la leur dans les diorismes et l’analyse et la synthèse des problèmes. Il s’agit principalement d’étudier la distance d’un point donné du plan à un point variable, décrivant l’une ou l’autre section conique. On devrait en particulier, pour chacune des trois sections coniques, déterminer s’il existe des solutions; et, dans le cas où elles existent, leur nombre. Tel est donc l’objet du cinquième livre. Au cours de cette étude cependant apparaîtra un sousgroupe de propositions qui portent expressément sur la normale: les propositions 27 à 33. Outre ce groupe, on ne cesse de rencontrer cette notion de normale dès que l’on examine un peu plus à fond la progression du cinquième livre. Pour saisir quelle est la place de cette étude de la normale dans le cinquième livre, avant d’en entreprendre un commentaire détaillé, rappelons que l’étude de la distance d’un point E donné dans le plan d’une section conique, à un point M variable sur la section, soit la distance l = EM, s’opère en deux temps. Les trois sections y sont rapportées à leur axe qui, dans le cas de l’ellipse, peut être le grand ou le petit axe; le sommet ° de la section est pris comme origine sur cet axe. Apollonius considère en général les points M sur une moitié de la section séparée de cet axe. I: Le point E est pris sur l’axe de la section, qui est une demi-droite intérieure à la section dans le cas de la parabole ou de l’hyperbole, et un segment de droite dans le cas de l’ellipse. Dans les propositions 1 à 43, Apollonius étudie la variation de l en fonction de l’abscisse du point variable M, et montre l’existence d’une droite EM1 d’une longueur minimale l1 (si E est pris sur le petit axe de l’ellipse, il s’agira d’une droite maximale). Apollonius montre en particulier que, dans tous les cas, une droite minimale (ou maximale) est normale à la section. L’exposé s’articule de la manière suivante:
le cinquième livre des coniques d ’apollonius
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M M1
E
Z
°
1. Les propositions du premier groupe (1-3) sont des lemmes. 2. Groupe (4-11): Apollonius montre qu’à chaque point E de l’axe est associée une distance minimale l = EM, ou une distance maximale si E est sur le petit axe de l’ellipse. La proposition 12 est un corollaire (pour les trois coniques) de la proposition 7. 3. Groupe (13-25): il montre qu’à chaque point M de l’arc considéré est associé sur l’axe un point E unique, pour lequel la distance l est minimale. Dans le groupe (16 à 32) il montre quand cette distance est maximale. 4. Groupe (27-29): il montre que toute droite EM, distance minimale (ou maximale), est orthogonale à la tangente au point M; c’est-à-dire qu’elle est normale à la section. 5. Groupe (31-33): il montre réciproquement que, pour tout point M de l’arc considéré, la normale coupe l’axe en E, et l = EM est la distance minimale associée au point E (distance maximale si E est sur le petit axe de l’ellipse). 6. Groupe (35-36): il étudie l’angle que fait la normale avec l’axe. 7. Groupe (38-40): il étudie la position du point d’intersection de deux droites minimales (ou maximales); dans la proposition 38, pour toute section conique; dans les deux autres propositions, pour l’ellipse. 8. Groupe (41-43): il étudie les conditions dans lesquelles une droite minimale recoupe la section. 9. Dans les deux propositions qui restent (12 et 34), il fait quelques remarques sur les distances. C’est ainsi que se présente la structure de la première partie du cinquième livre, qui comporte quarante-trois propositions. Neuf propositions portent directement sur la normale. II: Le point E n’est pas pris sur l’axe. Ce point E et la partie considérée de la section sont de part et d’autre de l’axe. Apollonius étudie alors les droites passant par E et qui sont les supports des droites minimales examinées dans I. Il discute dans cette partie – les propositions 44 à 63 – de l’exis-
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tence et du nombre de telles droites. La partie centrale est formée des propositions (51, 52) et (62, 63). Le groupe (44, 49, 51, 58, 62) est consacré à la parabole; alors que le groupe (45 à 48, 50, 52 à 57, 59, 63) traite de l’ellipse et le groupe (45 à 50, 52 à 61 et 63) de l’hyperbole. III: Le dernier groupe (64 à 77) est consacré à l’étude de la variation de la distance l quand le point M décrit la section considérée; Apollonius fait intervenir les résultats des discussions précédentes, et notamment les propositions 51 et 52. Le groupe (64, 67, 72 plus le lemme 68) est consacré à la parabole; le groupe (65, 67, 72 plus le lemme 69) traite de l’hyperbole, et le groupe (66, 73 à 75 plus les lemmes 70 et 71) de l’ellipse. Restent les propositions 76 et 77 qui sont des cas particuliers. Dans ces groupes on rencontrera, comme dans les propositions 73, 74, 75, des résultats relatifs aux normales. Le cinquième livre s’organise donc selon ces trois parties. À cette étape de la discussion, on pourrait dire que l’examen des normales s’impose tout naturellement au cours de cette étude des distances, mais sans être visé pour lui-même; il représente une part importante de cette étude, sans toutefois que celle-ci s’y réduise. Une description plus détaillée montrera le sens et la portée de cette conclusion. Nous allons donc engager les commentaires. Première lecture Des propos mêmes d’Apollonius, il ressort d’une part que ses prédécesseurs et ses contemporains se sont interrogés sur les minima et les maxima, et que d’autre part c’est précisément cette réflexion qu’il entend reprendre plus amplement. Apollonius ne nomme ni ses prédécesseurs ni ses contemporains, et n’expose pas les résultats de leurs recherches. On sait toutefois par d’autres sources que deux techniques mathématiques fleurissaient à l’époque pour l’examen des problèmes solides: l’intercalation d’une part, et l’intersection des coniques. Ainsi, dans son Traité sur la spirale (propositions 5, 7, 8, 9 notamment), Archimède ramène à des intercalations les propositions les plus difficiles. D’autre part, selon le témoignage d’Apollonius lui-même, on sait que, dans l’entourage de Conon d’Alexandrie, on avait recours à l’intersection des coniques pour l’étude des problèmes solides. Mais on sait aussi qu’il y avait des problèmes, tels que les deux moyennes, qu’on étudiait à l’aide des deux techniques. Or, bien des propositions du cinquième livre peuvent se ramener aux neusis sous différentes formes. Apollonius y traite le
le cinquième livre des coniques d ’apollonius 277 diorisme de l’intersection d’une section conique et d’un cercle de centre donné et de rayon variable. Il y donne aussi l’intercalation entre une conique et l’un de ses axes d’une droite donnée dirigée vers un point donné. Le sujet semble avoir été traité par les prédécesseurs, si l’on en croit le prologue. On sait d’ailleurs qu’Archimède, dans le second livre des Corps flottants, fait appel aux normales à la parabole. On vient aussi de rappeler le témoignage d’Apollonius selon lequel ses prédécesseurs avaient déterminé les tangentes comme étant perpendiculaires aux lignes les plus courtes issues de l’axe, en procédant pour ainsi dire comme plus tard Descartes, au second livre de sa Géométrie. La détermination des droites minimales issues des points de l’un des axes d’une section conique était donc un problème bien connu à l’époque d’Apollonius. Non seulement le mathématicien le reprend, mais il en considère un, plus général, et qui exige d’autres moyens: les droites issues d’un point quelconque, pour étudier comment il se ramène à celui de la détermination d’un lieu solide. Reprenons ce problème. Une conique étant donnée par son axe, son sommet et son côté droit, on cherche à lui mener des normales à partir d’un point P fixé; on impose que P et les pieds de ces normales soient dans les demi-plans opposés face à l’axe de la conique. Limitons-nous au cas de la parabole.1 Si PM est normale à la parabole P et coupe l’axe en Q, on sait que la sous-normale QZ (Z projection orthogonale de M sur l’axe) est égale au demi-côté droit p; leur recherche s’apparente à une neusis: insérer, entre l’axe et P, une droite QM dirigée vers P et dont la projection QZ est égale à une droite donnée. Le point P étant dans le demi-plan inférieur, on commence par déterminer le lieu des points M du demi-plan supérieur tels que, si PM coupe l’axe en Q, la projection QZ de QM soit égale à p. Y
M
K Q
H
Z
P
1 Cf. également Hieronymus Georg Zeuthen, Histoire des mathématiques dans l’Antiquité et le Moyen Âge, Paris, Gauthier-Villars, 1902, pp. 178-182 et Jean Itard, L’angle de contingence chez Borelli: commentaire du livre V des Coniques d’Apollonius, «Archives internationales d’histoire des sciences», nº 56-57, 1961; reprod. dans Jean Itard, Essais d’histoire des mathématiques, réunis et introduits par R. Rashed, Paris, Librairie A. Blanchard, 1984, pp. 112-138, aux pages 118-124.
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Les triangles PQK (K projection de P sur l’axe) et MQZ sont semblables, QZ KQ KH + HZ donc ZM = KP = ZM KZ + KP = ZM + KP , où on a introduit le point H de KZ tel que KH = p = QZ, donc HZ = KQ; ainsi QZ (ZM + KP) = ZM (KH + HZ), d’où KH · KP = QZ · KP = ZM · HZ si on supprime les termes égaux QZ · ZM = ZM · KH. Cette relation signifie que le point M appartient à l’hyperbole HP d’asymptotes HZ, HY qui passe par le point P; plus précisément, M est sur la branche de HP dans le demi-plan supérieur et P est sur l’autre branche. Ainsi les pieds des normales à P issues du point P sont les points d’inHZ KH HZ2 KH2 KH2 KH tersection de P avec HP. On a KP = ZM , donc KP 2 = ZM2 = 2KH·AZ = 2AZ où A est le sommet de la parabole et où on a tenu compte du symptôme de la parabole ZM2 = 2p · AZ. Comme le carré KP2 et le segment KH 2 sont connus, la détermination de Z relève du lemme d’Archimède pour la proposition 4 du livre II de La sphère et le cylindre: diviser la droite donnée AH au point Z tel que le rapport du carré de HZ au carré donné KP2 soit égal au rapport du segment donné KH 2 à AZ. Le diorisme de la proposition 51 se reconstitue facilement. Le point K étant fixé, cherchons une position du point P sur la perpendiculaire KP à l’axe tel que l’hyperbole HP soit tangente à P en un point B se projetant en E sur l’axe. On sait que la tangente en B à P rencontre l’axe en un point F tel que EA = AF; si cette droite est aussi tangente à HP, E est le milieu de HF, donc HE = EF = 2EA et E se trouve donc au tiers de AH à partir de A. Ceci détermine le point E, donc le point B et le point G où PB rencontre l’axe, puisque GE = p; on a enfin P au point où BG rencontre KP. Apollo§ nius détermine KP = § à partir de BE en se servant de la proportion BE = 2 2 KG HE 2AE EB § 1 2 GE = KH ; on a HE2 = KH2 = KH où AE = 3 AH et HE = 3 AH; ainsi §2 · KH = 8 AH3, ce qui détermine K en fonction de AH. 27 L B
K G H
P
E
A
F
le cinquième livre des coniques d ’apollonius
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Considérons maintenant un point P' de KP tel que KP' > §; on a donc KH · KP' > KH · KP et il en résulte que, pour tout point M de HP', ZM · HZ > EB · HE. Ainsi la branche supérieure de l’hyperbole HP' est au-dessus de celle de HP et cette branche est donc entièrement extérieure à P, donc il n’y a pas de normale issue de P' avec un pied dans le demi-plan supérieur. Si au contraire KP' < §, KH · KP' < KH · KP et ZM · HZ < EB · HE pour tout point M de HP'; il en résulte que la branche supérieure de HP' est audessous de celle de HP et qu’elle rencontre P en deux points séparés par B. Il y a donc deux normales issues de P' avec des pieds dans le demi-plan supérieur. On a donc remarqué que les points d’intersection de cette hyperbole et de la parabole donnée seront les pieds des normales issues de P (x0, y0). Tout le problème est donc de déterminer les points P dont les hyperboles sont tangentes à la parabole. Le lieu de ces points est une courbe (une parabole semi-cubique) qui partage le plan en deux régions telles que des points de l’une on peut mener deux normales et des points de l’autre une seule normale. C’est lors de la recherche des conditions pour que ces hyperboles soient tangentes à la parabole que l’on détermine l’ordonnée d’un point de cette courbe, connaissant son abscisse. On sait que cette courbe est la développée de la parabole. Mais rien ne permet d’affirmer qu’Apollonius ou quiconque avant Huygens a pensé à cette courbe. 1. Dans cette étude, Apollonius est aussi proche que possible de la définition de la développée de la parabole P, puisqu’à chaque abscisse x d’un point P de l’axe, il associe une longueur de référence § qui est l’ordonnée du point d’abscisse x sur la développée. Il est clair cependant qu’il ne considère nullement cette courbe et que la considération des ordonnées et des abscisses de points n’a de sens, dans son traité, que pour les points d’une conique. 2. On a déjà remarqué que, dans le cas de la parabole, la construction des normales issues de P se ramène au problème de la division d’Archimède. Le commentaire d’Eutocius à La sphère et le cylindre contient une construction de cette division, qu’Eutocius a rétablie à partir d’un texte corrompu qu’il attribue à Archimède. Cette construction, appliquée au problème qui nous occupe, détermine le point Z comme la projection sur l’axe AH de l’intersection d’une parabole de sommet A, d’axe AL perKP2 pendiculaire à AH et de côté droit AH , avec une hyperbole d’asymptotes
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AH et AL passant par le point B tel que HB soit perpendiculaire à AH et égal à KH 2 . Ces deux courbes sont différentes de P et de HP; l’hyperbole ne dépend que de K tandis que la parabole dépend de la position de P sur KP et que HP dépend de la position de P et P est fixée. Le diorisme permettant de déterminer à quelle condition les deux courbes se rencontrent est aussi obtenu, dans le commentaire d’Eutocius, par la détermination de la position qui assure le contact des deux courbes. L’hyperbole est fixée et on fait varier la parabole en changeant la valeur de KP; comme dans le cas d’Apollonius, les propriétés des tangentes aux coniques permettent de conclure que le contact a lieu lorsque Z est au tiers de AH à partir de A. On observe ainsi une parenté entre la tradition issue d’Archimède et les recherches d’Apollonius. 3. On peut exprimer l’idée sous-jacente au diorisme d’Archimède ou d’Apollonius en disant que les propriétés d’intersection d’une conique fixe C avec une conique mobile HP changent seulement lorsque HP vient à être tangente à C, c’est-à-dire lorsque la transversalité des deux courbes est perdue. On est proche de l’intuition selon laquelle la transversalité est une propriété stable. Ajoutons que l’ensemble des points P pour lesquels HP et C ne sont pas transversales est la développée de C, donc un ensemble fermé rare. C’est un cas tout à fait simple et élémentaire du célèbre théorème de transversalité de Thom. 4. L’étude menée par Apollonius sur la détermination des droites extrémales issues d’un point donné est présentée d’une manière entièrement statique en ce sens qu’il compare des longueurs de segments pour diverses positions d’une extrémité sur la conique. Apollonius n’envisage pas encore à ce stade la variation continue d’une droite joignant un point fixe de l’axe à un point mobile sur la conique. À partir de la proposition 64 de ce même livre, il étudie en revanche la variation continue de la distance d’un point E du plan à un point variable M sur la conique. On ne saurait trop insister sur le caractère novateur de cette étude dans la mathématique héllenistique.1 Au XIe siècle, Ibn al-Haytham développe davantage la recherche sur la variation continue il étudie notamment le comportement asymptotique de grandeurs telles que des segments, mais aussi des rapports de segments ou d’arcs de cercles à l’aide de notions infinitésimales; les préoc1 Voir Apollonius, Les Coniques, Livre V, établi et commenté par R. Rashed, De Gruyter, à paraître en 2008.
le cinquième livre des coniques d ’apollonius 281 cupations astronomiques (mouvement apparent d’une planète sur la sphère céleste) n’y sont sans doute pas étrangères.1 Il est tout à fait vraisemblable qu’Apollonius ait procédé à cette analyse, et l’on peut se satisfaire d’un tel commentaire, qui ne fait intervenir aucun concept inconnu d’Apollonius, et qui d’autre part rend compte de ses rapports aux mathématiciens de son temps. En revanche, ce commentaire ne nous éclaire pas suffisamment sur le lien entre les concepts élaborés par Apollonius et la rationalité mathématique qui les habite et qui s’est imposée à Apollonius. Si donc on veut saisir les vraies raisons de sa recherche dans le cinquième livre, élucider tous les faits mathématiques qui y sont présents pour ainsi comprendre ce qui fait de ce livre ce qu’il est effectivement, il nous faudra définir ce lien et suivre sa genèse. Or cette tâche explicative ne pourra se faire d’une manière pertinente dans les mathématiques de l’auteur. Il faudra donc recourir à un modèle élaboré à partir d’une autre mathématique, au risque de devoir revenir au texte pour apprécier le pouvoir qu’a ce modèle explicatif d’épuiser l’information qu’il véhicule. Le premier modèle trouve sa source dans une mathématique algébrico-analytique, suscitée par la lecture des Coniques d’Apollonius par al-Khayya¯m, Sharaf al-Dı¯n al-T ․u¯sı¯, Descartes, Fermat, etc. Deuxième lecture On attend donc de ce modèle qu’il décrive l’évolution de la recherche au cours du cinquième livre, qu’il éclaire les liaisons entre les différents thèmes abordés par le mathématicien et dégage les raisons des faits mathématiques établis. C’est ainsi que se dessinent les thèmes autour desquels s’organise le livre: la distance extrémale d’un point variable de la courbe conique à un point donné du plan, qui peut être sur l’axe ou en dehors de celui-ci; une théorie des normales et une étude de la variation d’une grandeur géométrique: la distance entre le point donné dans le plan aux points de la courbe. Or, si l’étude des droites minimales et maximales délimite le domaine de la recherche, celle des normales et de la variation des distances s’impose comme une recherche aussi féconde que novatrice. C’est d’ailleurs principalement par cette recherche que l’étude d’Apollonius se distingue de celle de ses prédécesseurs et de ses contemporains. Considérons rapidement et partiellement l’exemple de la parabole. 1 R. Rashed, Les Mathématiques infinitésimales du IXe au XIe siècle. Vol. V: Ibn al-Haytham: Astronomie, géométrie sphérique et trigonométrie, Londres, 2006.
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Apollonius commence par étudier la longueur l – la distance – d’un point donné E (x0, y0) à un point M (x, y) qui parcourt la parabole P rapportée au repère rectangulaire (°x, °y) formé par l’axe et la tangente au sommet, d’équation y2 = 2 px. Il considère les cas suivants: E est donné sur l’axe x0 > 0, y0 = 0 et M sur la demi-parabole d’ordonnée positive, et sur l’axe °x on prend le point Z tel que °Z = p. l2 = EM2 = (x – x0)2 + y2 = x2 – 2x x0 + x 20 + 2 px l2 = f (x) = x2 – 2x(x0 – p) + x20, f '(x) = 2x – 2(x0 – p).
La dérivée f '(x)est positive ou nulle si x≥ x0 – p, ce qui a toujours lieu lorsque x0 ≤ p, c’est-à-dire lorsque le point E est entre ° et Z. Dans ce cas f(x) est toujours croissante et son minimum est obtenu pour x = 0, soit M = °; alors la valeur minimum l0 de EM est E° = x0 (si x0 = p, on obtient l0 = p). y M
M0
°
E1
Z
H0
E
x
Si au contraire x0 > p, c’est-à-dire si E est au-delà de Z sur l’axe °x de la parabole, f '(x) < 0 pour 0 ≤ x < x0 – p et f est décroissante dans cet intervalle. Dans ce cas, f (x) a un minimum pour x = x0 – p, de valeur: x2 – 2x(x0 – p) + x 02 = x 02 – (x0 – p)2 = 2x0p – p2
et la valeur minimum de EM est EM0 = l0 = 兹苶苶苵 2 x0 p苵苶 – p2 où M0 est le point de la parabole d’abscisse x0 – p. Sa projection H0 sur l’axe est telle que EH0 = p et on voit donc que EM0 est normale à la parabole. Pour tout autre point M, on a EM2 = l2 = l 02 + (x + p – x0)2 EM2 = EM 02 + (xM – xM )2. 0
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Conclusion: À tout point E de l’axe °x d’abscisse x0 ≥ p correspond sur la demi-parabole d’ordonnée positive un point M0 d’abscisse xM = x0 – p 0 tel que la longueur EM0 = l0 soit la longueur minimale de tous les segments EM. Inversement, à tout point M d’abscisse xM pris sur la demi-parabole correspond sur l’axe °x un point E d’abscisse x0 = xM + p. Donc par tout point M il passe une droite et une seule sur laquelle l’axe sépare une droite minimale. Apollonius étudie ensuite l’angle que fait la droite minimale avec l’axe. Le triangle MEH est rectangle en H, donc MÊ° < 1 droit. Posons MÊH = ·, on a tg · = yp . Quand M décrit la parabole, yM croît de 0 à l’∞, donc tg · croît de 0 à + ∞ et · croît de 0 à 2 . M
Conséquence immédiate: Deux droites minimales issues de deux points M et M1 d’ordonnées positives se coupent en un point O d’ordonnée négative. Ce début du commentaire montre que, pour Apollonius, l’étude des normales est intimement liée à celle des droites minimales. L’étude du nombre des droites minimales qui se rencontrent en un point donné se ramène à l’étude des normales à la parabole qui passent par ce point p y2 = 2 px ⇒ 2 yy' = 2 p ⇒ y' = y . p y
est le coefficient directeur de la tangente au point d’ordonnée y, donc – py est le coefficient directeur de la normale. M2
M1
M
°
·0
H
·1
E
·2
E2
E1
O
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Apollonius étudie les normales passant par O (x0, y0) et qui rencontrent la parabole au point (x, y). On a y – y0 = m (x – x0), avec m = – px le coeffim 2p cient directeur; d’où m2p2 = 2 px (équation de la parabole) et x = m2p ; et, en remplaçant dans la première équation, on a (*)
f(m) = pm3 + 2m(p – x0) + 2y0 = 0.
• Si y0 = 0, m = 0 est solution pour toute valeur x0; m = 0 donne la droite O° qui est la normale au sommet °. Si pm2 + 2(p – x0) = 0, deux cas se présentent: x0 ≤ p; la seule racine de l’équation (*) est m = 0; la seule normale est O °. 2(x – p) x0 > p; m2 = 0 p , d’où deux racines opposées m' et m" qui donnent deux normales en deux points symétriques par rapport à l’axe °x. • Si y0 ≠ 0, on peut supposer y0 < 0; l’équation (*) s’écrit (**)
f (m) = m3 + 2m
(p – x0) 2y0 p + p = 0.
L’étude du nombre des racines de cette équation (x > 0, y < 0) se déduit du signe de 27 y 02 – 8p (x0 – p)3. 8 (x – p)3. On est donc ramené à étudier l’équation y2 = 27 p Mais on se souvient qu’Apollonius avait défini une «longueur de référence» k dans les deux propositions les plus importantes du cinquième 8(x – p)3. livre, telle que k2 = 0 27
On comprend ainsi la genèse de cette «longueur de référence», donnée sans explication par Apollonius. L’autre thème particulièrement important est l’étude de la variation de la distance EM quand M décrit la demi-parabole. On montre alors que, si les points M' et M" correspondent aux deux normales issues du point E, alors la distance EM croît quand M parcourt l’arc ° M', décroît quand M parcourt l’arc M'M" et croît indéfiniment quand M s’éloigne indéfiniment.
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M”
M‘
p
x
°
E
Cette lecture recueille toute l’information contenue dans le cinquième livre, et rend compte de tous les faits mathématiques qui y sont établis. Une fois débarrassée de toutes les notions étrangères à la géométrie d’Apollonius, elle met la lumière sur tous les faits établis par ce dernier. Troisième lecture On peut également lire la recherche d’Apollonius à l’aide de la théorie des singularités d’applications différentielles. Dans ce cas où le texte d’Apollonius n’est plus l’une des sources de cette théorie, cette lecture permet cependant de dégager une potentialité de sa recherche, qui ne pouvait être actualisée que dans une autre mathématique. Il s’agit d’une théorie des développées (enveloppes des normales à la parabole dans ce cas), qui permet, a posteriori, de dévoiler l’organisation du cinquième livre et révèle l’enchaînement rationnel des propositions qui le composent. Soit une parabole P d’équation (1)
y2 = 2 px
et un point E du plan, de coordonnées (Í, Ë); on cherche les valeurs extrémales de la distance d (E, M) quand M parcourt P. On peut paramétrer P pour exprimer cette distance comme une fonction d’une seule variable; en posant x = uy dans (1), on trouve (2)
x = 2 pu2, y = 2 pu.
Le carré de la distance s’écrit (3)
d(E, M)2 = f (u; Í, Ë) = 4 p2u2(1 + u)2 – 4 pu(Íu + Ë) + Í2 + Ë2.
Le problème revient donc à étudier les valeurs de u pour lesquelles cette
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fonction passe par un extremum, encore appelées valeurs critiques; elles sont données par l’annulation de la dérivée f '(u; Í, Ë) = 4 p[4pu3 – 2 u(Í – p) – Ë],
(4)
qui s’annule en même temps que le polynôme P (u; Í, Ë) = 4 pu3 – 2 u(Í – p) – Ë = 0.
(5)
On remarque que, pour u fixé, le polynôme P est linéaire en (Í, Ë); l’équation P (u; Í, Ë) = 0 définit donc une droite N dans le plan de E. Cette droite passe par le point M défini par l’équation (2); sa pente est égale à – 2u. Comme la pente de la tangente à P en M est u2 , on voit que N est une normale à P en M (c’est la base de l’étude algébrico-analytique). L’équation (5) est de degré 3, de la forme ·3 + ·a + b = 0. Elle admet donc 1 ou 3 solutions finies selon que le discriminant ¢(Í, Ë) = 8(Í – Ë)3 – 27 pË2
(6)
est positif ou négatif. Le cas limite, ¢(Í, Ë) = 0 définit une courbe Q d’équation (Í – Ë)3 –
(7)
27 pË2 . 8
Cette courbe est une parabole semi-cubique, et elle partage le plan en deux régions: l’intérieur, {(Í, Ë)|¢(Í, Ë) > 0}et l’extérieur {(Í, Ë)|¢(Í, Ë) < 0}. On montre que, lorsque E est à l’intérieur de Q, il y a trois racines finies de P; et que lorsque E est à l’extérieur de Q, il y a une seule racine. La courbe Q est décomposée en une partie régulière X et un point de rebroussement Z auquel aboutissent les deux arcs: Q = X 艛 Z.
P
Z °
Q
le cinquième livre des coniques d ’apollonius
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Sans nous étendre davantage, rappelons seulement que le point de vue adopté ici conduit à examiner la dépendance des solutions u de l’équation f ' (u; Í, Ë) = 0 par rapport à (Í, Ë) = E. On sait par exemple qu’en dehors de la courbe Q, ces solutions sont fonctions différentielles de (Í, Ë), dépendant régulièrement de E; autrement dit, les pieds des normales issues de E dépendent régulièrement de E. De même, le long de la courbe Q, la racine double u de P dépend régulièrement de E. * Les lectures d’une œuvre mathématique ancienne, et qui plus est fondatrice, telle que les Coniques et en particulier le cinquième livre, sont, on l’a vu, multiples, différentes et nullement exclusives l’une de l’autre. La première consiste à tenter de comprendre l’œuvre dans le contexte de la recherche de son temps, en fonction de laquelle, mais aussi contre laquelle, elle s’est constituée. La tâche n’est ni facile, ni définitive. En effet, une œuvre scientifique n’est ni uniforme, ni d’un seule tenant, et celle de l’ancien mathématicien a elle aussi ses aspérités, ses clivages et ses stratifications. Comme contribution ancienne, elle est de plus marquée par le temps et par les aléas de la transmission et de la traduction. Aussi la reconstitution d’une telle œuvre n’est-elle jamais qu’un arrangement provisoire, régi par les critères d’une époque. Elle est donc toujours perfectible, au gré des progrès de la connaissance des faits, ou d’une meilleure intelligence des résultats et des méthodes mathématiques. Le but de l’historien qui entreprend une telle reconstitution est double: comprendre les intentions de l’auteur mathématicien; et saisir l’enchaînement rationnel des concepts qu’il a mis en œuvre, afin d’appréhender la réalité mathématique qu’il vise. On pourra également, et c’est la deuxième voie suivie, forger un modèle capable de dégager la structure latente de l’œuvre, aussi bien que ce qu’elle contient en puissance et qui sera exploité par les mathématiciens postérieurs. En suivant cette démarche, on s’efforce, il est vrai, d’examiner l’œuvre de manière intrinsèque, hors de la diachronie. On ne s’intéresse cette fois nullement à ce qu’elle peut devoir aux travaux des prédécesseurs et des contemporains. Sans doute cela engagera-t-il certains à dénoncer cette voie, ainsi que le «modèle» élaboré, en les taxant d’anachronisme. Mais ce serait oublier la fonction assignée au modèle, c’està-dire instrumentale et heuristique. Et de fait l’exemple du cinquième livre nous a montré comment les modèles ont mis en lumière les thèmes de recherche, théorie des normales et étude de la variation entre autres,
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les réseaux des liaisons et les procédés d’argumentation. Ces modèles ne sont du reste ni arbitraires ni exclusifs, et ne sont pas non plus les seuls possibles. Tous portent sur cette même réalité mathématique étudiée par Apollonius, mais selon une refonte de l’ontologie chaque fois différente. Et chaque fois de nouvelles strates de signification viennent au jour dans cette réalité mathématique qu’Apollonius s’est efforcé d’appréhender il y a deux millénaires déjà. La contribution d’Apollonius n’est donc nullement une première approximation de l’un des modèles invoqués; elle est elle-même un modèle élaboré à partir d’une organisation particulière de l’ontologie. Pour lire un texte ancien, l’historien des mathématiques n’a aucun autre choix que de mobiliser toutes ces méthodes et de renoncer à la prétention à une fidélité chimérique. Il lui faut se convaincre une fois pour toutes que la seule soumission aux mots n’assure pas nécessairement la fidélité aux concepts, et que l’histoire des mathématiques est à jamais inachevée, toujours à reconstruire, à la merci des acquis des mathématiques futures. Pervenuto in redazione il 19 settembre 2007
A NC OR A S U B E N E D E T TO DA F IRE N Z E Elisabetta Ulivi* Abstract · Our work presents new documents on the master of the abacus Benedetto di Antonio from Florence. In particular: a subscription to a family deed, drawn up by the abacist in 1457; an autograph report presented by Benedetto to the Ospedale di San Matteo in 1469, in which we
find our subject alongside Francesco Monciatto, a well-known master carpenter and inlayer; two documents of the Mercanzia from 1480; a group of other notarial deeds from the years 1468-1481, most of them contained in the registers of Ser Piero da Vinci, Leonardo’s father.
1. Introduzione nota presenta un nuovo gruppo di documenti inediti dell’ArQ uesta chivio di Stato di Firenze, riguardanti Benedetto di Antonio da Firenze, uno dei più significativi maestri nonché autori di trattati d’abaco del Quattrocento.1 Ne ricordiamo la Praticha d’arismetrica (1463), una delle cosiddette ‘enciclopedie’ matematiche del primo Rinascimento, conservata nel codice L. IV. 21 della Biblioteca Comunale di Siena, ed un Trattato d’abacho (ca 1465) di cui sono pervenute ben diciotto copie manoscritte. Del noto abacista abbiamo già ampiamente parlato in una monografia ed in un più recente lavoro, costruiti sulla base di oltre centosessanta documenti inediti sempre dell’Archivio di Stato, dai quali riassumiamo in breve le principali notizie biografiche.2 * Elisabetta Ulivi, Dipartimento di Matematica, Università di Firenze. E-mail: ulivi@math. unifi.it 1 I documenti sono riportati in Appendice. Nella trascrizione abbiamo sciolto le abbreviazioni, staccato le parole, introdotto accenti ed apostrofi, ricostruito la punteggiatura e l’uso delle maiuscole; in parentesi quadre abbiamo aggiunto le date talvolta mancanti, e lettere o parole utili alla comprensione del testo. Nei documenti riportati parzialmente i tre puntini di sospensione stanno ad indicare brani da noi omessi nella trascrizione. Tre puntini in parentesi quadre indicano un passo illeggibile. Tre spazi vuoti tra parentesi quadre corrispondono ad una lacuna. Ricordiamo che l’anno fiorentino iniziava il 25 marzo. Nel fare riferimento ai singoli documenti, abbiamo sempre seguito la datazione moderna, mantenendo quella originale solo all’interno dei documenti stessi. 2 Elisabetta Ulivi, Benedetto da Firenze (1429-1479) un maestro d’abaco del XV secolo. Con documenti inediti e con un’Appendice su abacisti e scuole d’abaco a Firenze nei secoli XIII-XVI, Pisa-Roma, Istituti editoriali e poligrafici internazionali, 2002 (in «Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche», XXII, 1, 243 pp.). E. Ulivi, Un documento autografo ed altri documenti inediti su Benedetto da Firenze, «Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche», XXVI, 1, 2006, pp. 109-125. Per un altro documento in cui è citato «Benedetto dell’abacho» cfr. Robert Black, Education and Society in Florentine Tuscany: Teachers, Pupils and Schools, c. 1250-1500, Leiden-Boston, Brill, 2007, p. 369. «Bollettino di storia delle scienze matematiche» · Vol. XXVII · 2007 · Fasc. 2
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Ultimo di otto figli, Benedetto nacque a Firenze nel 1429 da Taddea di Domenico di Piero e da Antonio di Cristofano di Guido, un tessitore di seta la cui fruttuosa attività assicurò alla famiglia un’ampia casa a Firenze e possedimenti in Valdarno Superiore e in Valdelsa. Nel 1457 Benedetto si sposò con Pippa di Giovanni di Bartolo Tinghi, un «chomandatore» della Signoria. La ragazza portò al marito una buona dote di 250 fiorini, ma sembra che non gli abbia dato figli. Benedetto visse con i familiari fino al 1476 nel Popolo di San Michele Berteldi sotto il Gonfalone del Drago del Quartiere di San Giovanni, sulla scomparsa Piazza Padella, verso l’attuale Via Teatina. Prima, e per quasi un quarantennio, nel palazzo di proprietà confinante con l’abitazione che appartenne a Filippo Brunelleschi e successivamente al suo erede Andrea di Lazzaro Cavalcanti, detto il Buggiano; poi, in un periodo di ristrettezze economiche successivo alla morte del padre, in una vicina casa presa in affitto. Nell’ultimo triennio della sua vita, Benedetto e la consorte abitarono nella Via dei Fibbiai, sempre in San Giovanni ma nel Popolo di San Michele Visdomini all’insegna del Vaio, in un sito che al tempo apparteneva al Monastero di Santa Maria degli Angeli. Il maestro morì nel 1479, seguito a breve distanza dalla moglie. Allievo di Calandro di Piero Calandri, Benedetto insegnò a partire dal 1448 in più botteghe d’abaco di Firenze, collaborando col Maestro Mariano figlio del Maestro Michele di Gianni, quasi sicuramente con Bettino di Ser Antonio Da Romena, e forse anche con Banco di Piero Banchi e con i figli di Calandro, Piermaria e Filippo Maria.1 Ebbe inoltre due nomine come maestro d’abaco ad Arezzo e Perugia. All’attività didattica, il Nostro unì ed alternò quella di perito e misuratore, fino ad oggi testimoniata da resoconti relativi al Palazzo della Signoria del 1475 e 1477, da atti notarili privati tra cui un lodo scritto dallo stesso Benedetto nel 1477, e da documenti del 1474-1475 appartenenti 1 Sui maestri Michele di Gianni e Mariano di Michele si veda E. Ulivi, Mariano del Mº Michele, un maestro d’abaco del XV secolo, «Nuncius, Annali di Storia della Scienza», XVI, 1, 2001, pp. 301-346; E. Ulivi Maestri e scuole d’abaco a Firenze: la ‘Bottega di Santa Trinita’, «Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche», XXIV, 1, 2004, pp. 51-53, 61-63, 66-69, 74-75. Su Bettino Da Romena cfr. E. Ulivi, Bettino di Ser Antonio, un maestro d’abaco nel Castello di Romena, «Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche», XXVI, 1, 2006, pp. 57-107. Sugli abacisti della famiglia Calandri, su altri abacisti fiorentini ad essi legati, ed in particolare sul Maestro Banco di Piero, è in corso la stesura di un libro che ne raccoglie notizie e documenti inediti; per alcune informazioni in proposito si veda E. Ulivi, I Maestri Biagio di Giovanni e Luca di Matteo e la “Bottega d’abaco del Lungarno”, Quaderno del Dipartimento di Matematica “U. Dini”, Università degli Studi di Firenze, 11, 1993, 17 pp., ed E. Ulivi, Scuole e maestri d’abaco il Italia tra Medioevo e Rinascimento, in Un ponte sul Mediterraneo. Leonardo Pisano, la scienza araba e la rinascita della matematica in Occidente, a cura di E. Giusti e con la collaborazione di R. Petti, Firenze, 2002, p. 135 e segg. Cfr. anche R. Black, Education and Society in Florentine Tuscany, cit., ad vocem.
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alla Mercanzia ed al Monastero degli Angeli, per il quale l’abacista lavorò anche nelle vesti di sindaco e procuratore. 2. Benedetto da Firenze, Francesco Monciatto e l’Ospedale di San Matteo Il primo dei documenti che qui riportiamo, trascrivendolo per intero, è contenuto in una filza dell’Ospedale di San Matteo. Si tratta di una relazione autografa del Maestro Benedetto, che risale al 1469, e che precede dunque di otto anni la sentenza arbitrale stilata dalla mano del maestro, da noi già pubblicata. L’Ospedale di San Matteo,1 detto anche «di Lemmo» o «di Lelmo» fu fondato da Guglielmo di Vinci di Graziano Balducci da Montecatini, un cambiatore che, verso la fine della sua vita, decise di devolvere gran parte delle ricchezze accumulate grazie all’usura, per la creazione di un nosocomio sull’antico Monastero delle suore benedettine di San Niccolò di Cafaggio, all’angolo tra la Via del Cocomero, ora Via Ricasoli, e Via della Sapienza, oggi Cesare Battisti. Le monache trasferirono la loro sede poco lontano, dall’altro lato della Via del Cocomero all’angolo con Via del Ciliegio, l’odierna Via degli Alfani, dove si trova il Conservatorio musicale Luigi Cherubini. I lavori per l’edificazione dell’ospedale, i cui locali ospitano oggi l’Accademia delle Belle Arti, iniziarono verso il 1385 e si protrassero per oltre un ventennio. Tra il 1387 ed il 1393 l’abacista Michele di Gianni vi collaborò con i capomastri incaricati della costruzione, e nel corso del Tre-Quattrocento vi lasciarono alcune loro opere illustri artisti quali Paolo Uccello, Lorenzo di Credi e Andrea della Robbia, del quale, sul portone principale, è ancora visibile una lunetta in terracotta policroma invetriata. Prima intitolato a San Niccolò, l’ospedale prese poi il nome di San Matteo protettore dell’Arte del Cambio, alla quale il Balducci aveva conferito, nel suo testamento, il perpetuo patronato sulla pia istituzione. Verso il 1465 i Consoli dell’Arte stabilirono di sfruttare la vasta area dell’orto del nosocomio che si affacciava sulla Via del Ciliegio del Popolo di San Michele Visdomini, edificando su di essa quattro case, una di seguito all’altra.2 Le prime due vennero ultimate oltre tre anni dopo, quando Benedetto dell’abaco, il 13 febbraio 1469, espose in tre carte la propria det1 Sull’ospedale di San Matteo e per alcuni cenni a Maestro Benedetto cfr. Esther Diana, San Matteo e San Giovanni di Dio, due ospedali nella storia fiorentina, Firenze, Le Lettere, 1999, pp. 21-122. Sull’ospedale anche Luciano Artusi, Antonio Patruno, Gli antichi ospedali di Firenze, Firenze, Semper, 2000, pp. 247-256. 2 Per la storia di quelle case cfr. in particolare Archivio di Stato di Firenze (in seguito ASF), Ospedale di San Matteo detto di Lemmo Balducci 99, cc. 5r-6r.
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Fig. 1. La relazione presentata da Benedetto da Firenze il 13 febbraio 1469. ASF, Ospedale di San Matteo detto di Lemmo Balducci, c. 114r.
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tagliata relazione con il resoconto di tutte le misure fatte da lui nelle costruzioni appena edificate, e con i relativi costi.1 Parte della paga stabilita gli verrà consegnata dal capo-mastro Michele di Mariano, e registrata in tre filze dell’ospedale.2 Una delle due case venne data in affitto, nello stesso anno, al notaio Ser Marchionne Donati, per essere poi venduta nel 1481 al medico Antonio di Ser Paolo Benivieni.3 L’altra fu appigionata a Francesco di Domenico, un maestro del legno ed intarsiatore, noto anche come il Monciatto, dal soprannome sia del nonno sia del padre Domenico di Simone di Domenico, che fu prima corriere e poi legatore alla dogana. Dopo aver vissuto al Canto alla Briga, nel Popolo di San Pier Maggiore del Gonfalone delle Chiavi in San Giovanni, Francesco si trasferì, nel 1468, con i genitori e la moglie Piera, nella casa dell’Ospedale di San Matteo, dove divenne padre di due figlie e dove rimase almeno fino al 1495.4 Tra il 1468 ed il 1483 il legnaiolo prestò più volte la sua opera per lo stesso ospedale e per le due case misurate dal Maestro Benedetto, collaborando dunque col Nostro negli anni della loro edificazione.5 Nella sua scritta, Benedetto fece, di fatto, ripetuti riferimenti al Monciatto, al tempo già conosciuto a Firenze per aver lavorato ai ponti della lanterna del Duomo nel 1455, e per aver realizzato il coro della Basilica di San Miniato al Monte e lavori in legno del Palazzo della Signoria nel 1466. Benedetto di Antonio e Francesco di Domenico avranno occasione di ritrovarsi, negli anni 1475-1478, durante l’opera di ristrutturazione della Sala Grande e della Sala del Consiglio, o dei Duegento, di Palazzo Vecchio, che vide impegnati importanti architetti e scultori del Quattrocento.6 L’artigiano e l’abacista apparterranno infine alla stessa parrocchia, il 1 Cfr. Appendice, documento 1. Una delle restanti due case fu solo iniziata e quindi venduta a Iacopo di Stefano Rosselli, mentre per il quarto edificio l’ospedale concesse la porzione di terreno utile alla costruzione ad un livellario, Zanobi di Michele Brancacci: Ospedale di San Matteo 331, cc. 97s, 151s. 2 Cfr. Appendice, documenti 2-4. 3 ASF, Ospedale di San Matteo 186, c. 207v; 188, c. 97v; 331, cc. 106s, 192s. 4 ASF, Catasto 80 (anno 1427), c. 526r; Catasto 719 (anno 1451), c. 944r; Catasto 828 (anno 1458), c. 482r; Catasto 927 (anno 1469), c. 383r; Catasto 1021 (anno 1480), c. 33r; Decima Repubblicana 31 (anno 1495), c. 517r; Ospedale di San Matteo 331, c. 85s. Dal Catasto del 1458, abbiamo notizia anche di un figlio illegittimo di Francesco. 5 ASF, Ospedale di San Matteo 188, cc. 29v, 53r, 57r, 84r; 257, c. 107v; 331, cc. 58s, 58d, 81d, 85d. 6 Sempre in Palazzo Vecchio, nel 1495-1497, il legnaiolo collaborerà alla fabbrica della Nuova Sala del Consiglio, o Salone dei Cinquecento. Nel 1498 ai restauri della lanterna di Santa Maria del Fiore. Del Monciatto, è nota la partecipazione, nel gennaio del 1504, all’insigne commissione per la collocazione del David di Michelangelo. Ricordiamo anche che nel 1471 gli Operai dell’Opera del Duomo commissionarono a Francesco di Domenico gli arredi del coro. Benedetto Dei lo elenca, nella sua Cronaca fiorentina, tra i maestri di prospettiva a Firenze nel 1470. Assie-
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Popolo di San Michele Visdomini, nell’ultimo triennio della vita di Benedetto da Firenze. 3. Benedetto e Ser Piero da Vinci Dopo quelli dell’Ospedale di San Matteo, i successivi quattordici documenti sono atti notarili. Il primo è riportato in un protocollo di Ser Giuliano di Giovanni Lanfredini. Uno è contenuto in una filza di Ser Benedetto di Ser Francesco da Cepperello. Tre si trovano tra le carte di Ser Angelo di Ser Alessandro da Cascese. Tutti gli altri fanno parte dei rogiti di un ben più famoso ed importante notaio del tempo, Ser Piero di Antonio da Vinci, il padre di Leonardo. Si tratta di quattro notai che furono tra loro professionalmente molto legati, come attesta la frequente e reciproca presenza nei rispettivi rogiti, e quella contemporanea in atti di altri colleghi.1 Ser Giuliano di Giovanni Lanfredini ebbe con Ser Piero da Vinci anche relazioni di parentela; sua figlia Francesca fu infatti la seconda moglie di Ser Piero. I Lanfredini abitarono nel Popolo di San Frediano, in Santo me a Giuliano da Maiano, Francione e Baccio Pontelli, il Monciatto è citato, ancora nel 1470, in relazione al Monastero delle SS. Flora e Lucilla ad Arezzo, e nel 1476 circa alcuni lavori per il Duomo di Pisa. Sulla sua attività si vedano: Giovanni Gaye, Carteggio inedito d’artisti dei secoli XIV-XV-XVI, Firenze, G. Molini, vol. I, 1839, pp. 574, 587; Cesare Guasti, La Cupola di Santa Maria del Fiore, Firenze, Barbera, Bianchi e Comp., 1857, pp. 105, 120; Aurelio Gotti, Storia del Palazzo Vecchio in Firenze, Firenze, Stabilimento G. Civelli, 1889, pp. 110, 121; Iginio Benvenuto Supino, I maestri d’intaglio e di tarsia in legno nella Primaziale di Pisa, «Archivio Storico dell’Arte», VI, 1893, p. 164; Cornelius Von Fabriczy, Giuliano da Maiano, «Jahrbuch der Königlich Preussischen Kunstsammlungen», XXIV, 1903, p. 164; Giovanni Poggi, Il Duomo di Firenze. Documenti sulla decorazione della chiesa e del campanile tratti dall’Archivio del’Opera, Berlino, Bruno Cassirer, 1909 (ristampa anastatica con note a cura di Margaret Haines, Firenze, Medicea, 1988, 2 voll.), vol. I, pp. cxxi-cxxiii, 241-242; Giuseppina Carla Romby, Descrizioni e rappresentazioni della città di Firenze nel XV secolo, con la trascrizione inedita dei manoscritti di Benedetto Dei e un indice ragionato dei manoscritti utili per la storia della città, Firenze, Libreria Editrice Fiorentina, 1976, p. 73; Giulio Lensi Orlandi, Il Palazzo Vecchio di Firenze, Firenze, Martello-Giunti, 1977, pp. 76-81, 89-92, 110; Franco Borsi, Gabriele Morolli, Francesco Quinterio, Brunelleschiani, Roma, Officina, 1979, pp. 203, 242, 284, 286; Margaret Haines, La sacrestia delle messe del Duomo di Firenze, Firenze, Cassa di Risparmio, 1983, pp. 27, 138, 310; Francesco Gurrieri, L’Architettura, in La Basilica di San Miniato al Monte a Firenze, Firenze, Giunti, ed. Cassa di Risparmio di Firenze, 1988, pp. 49, 120-121; Nicolai Rubinstein, The Palazzo Vecchio 1298-1532, Oxford, Clarendon Press, 1995, pp. 29, 32, 40, 60; F. Quinterio, Giuliano da Maiano ‘grandissimo domestico’, Roma, Officina, 1996, ad vocem: Franco Gizdulich, Il modello del coro di Santa Maria del Fiore, in Sotto il cielo della Cupola. Il coro di Santa Maria del Fiore dal Rinascimento al 2000, Milano, Electa, 1997, pp. 46-47. Si ringrazia Margaret Haines per le informazioni bibliografiche riguardanti Francesco Monciatto. 1 Si veda ad esempio ASF, Notarile Antecosimiano 7525 (Ser Andrea di Romolo Filiromoli); 8343 (Ser Fronte di Tommaso di Fronte); 12124 e 12125 (Ser Lorenzo di Niccolò di Diedi).
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Spirito,1 il quartiere dove Ser Giuliano stilò buona parte dei suoi rogiti, complessivamente tra il 1433 ed il 1483.2 Ser Benedetto da Cepperello visse prima nel Quartiere di Santa Croce sotto il Gonfalone del Bue, poi nel Popolo di San Miniato tra le Torri del Quartiere di Santa Maria Novella.3 Esercitò l’attività notarile almeno dal 1466 al 1480.4 Ser Angelo da Cascese era nipote del maestro d’abaco Banco di Piero Banchi, essendo sua madre Antonia una sorella dell’abacista.5 Come Benedetto da Firenze, abitò anche lui, per qualche tempo, nel Popolo di San Michele Visdomini,6 dopo avere probabilmente vissuto all’insegna della Vipera, in Santa Maria Novella.7 Ser Angelo ha lasciato numerosi protocolli compresi tra il 1470 ed il 1513.8 Ser Piero da Vinci svolse la sua intensa professione per oltre un cinquantennio, dal 1449 alla morte, avvenuta nel 1504.9 Almeno dal 1457, ma quasi con certezza già da diversi anni, Ser Piero ebbe successive residenze a Firenze, nelle zone di Santa Croce e di Santa Maria Novella: in particolare, nel Popolo di Santa Maria Sopra Porta, di quest’ultimo quartiere, il notaio abitò tra il 1462 ed il 1467 verso la Piazza di Parte Guelfa, vicino alla casa che il Maestro Benedetto aveva in Piazza Padella. Fin dal 1456, Ser Piero svolse la sua professione nel Popolo di Santo Stefano alla Badia, dal 1461 in una bottega che era proprietà della stessa Badia Fiorentina e che si trovava in Via del Palagio del Podestà, un tratto dell’attuale Via Ghibellina, di fronte al Bargello.10 Lo studio di Ser Piero era in una zona allora densa di botteghe di notai, tra cui quelle di Ser Niccolò Da Romena fratello dell’abacista Bettino,11 e di Ser Angelo da Cascese,12 e dove anche Ser Benedetto da Cepperello stilò molti dei suoi rogiti. Accanto agli studi notarili, in quelle strade fiorirono varie botteghe di mi1 ASF, Catasto 693 (anno 1451), c. 4r; Catasto 795 (anno 1458), c. 353r; Catasto 909 (1469), c. 731r; Catasto 1000 (anno 1480), c. 215r. 2 Cfr. ASF, Notarile Antecosimiano 11400-11404. 3 Cfr. ASF, Catasto 801 (anno 1458), c. 710r; 913 (anno 1469), c. 1037v; 1003 (anno 1480), c. 172r. 4 ASF, Notarile Antecosimiano 2308. 5 Biblioteca Nazionale di Firenze, Magl. XXVI, 142, p. 340. ASF, Catasto 695 (anno 1451), c. 290r. 6 Cfr. ad esempio ASF, Notarile Antecosimiano 12124, c. 62v e 16827, c. 3v. 7 Suo padre Ser Alessandro di Angelo si trova infatti nel Sommario dei Campioni del Catasto del 1458 per il Gonfalone della Vipera, ma la corrispondente portata risulta mancante: ASF, Catasto 836. 8 ASF, Notarile Antecosimiano 610-635. 9 ASF, Notarile Antecosimiano 16823-16842. 10 Sull’attività notarile di Ser Piero da Vinci e sulle sue residenze a Firenze, si vedano Il notaio nella civiltà fiorentina. Secoli XIII-XVI. Mostra nella Biblioteca Medicea Laurenziana, Firenze 1º ottobre10 novembre 1984, Firenze, Vallecchi, 1984, pp. 256-258; E. Ulivi, Le residenze del padre di Leonardo da Vinci a Firenze nei Quartieri di Santa Croce e di Santa Maria Novella, «Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche», XXVII, 1, 2007, pp. 155-171. Cfr. anche i lavori citati nella nota 4 a p. 296. 11 E. Ulivi, Bettino di Ser Antonio, cit., pp. 66-67. 12 Cfr. ad esempio il Notarile Antecosimiano 613, c. 60r.
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niatori, di cartolai e librai come il biografo Vespasiano da Bisticci.1 In Via San Martino, ora Via Dante Alighieri, ebbe vita la Scuola d’abaco della Badia, confinante con la celleria del monastero, dove il Maestro Bettino insegnò tra il 1452 ed il 1456,2 dopo gli anni della sua presunta collaborazione con Benedetto di Antonio nella Scuola di Orsanmichele. Dei suddetti quattordici rogiti, il primo risale al 1457, il successivo al 1468, undici riguardano il biennio 1476-1477, mentre l’ultimo del 1481 è posteriore alla morte del Maestro Benedetto. Al di là del loro contenuto, essi giocano un ruolo significativo su quanto a suo tempo ipotizzato da Solmi e da Hart circa eventuali rapporti diretti tra Benedetto e Leonardo,3 negli anni che il giovane scienziato trascorse a Firenze subito dopo aver lasciato Vinci e prima di trasferirsi a Milano.4 Un’ipotesi che fu suggerita al Solmi dalla presenza, nel Codice Atlantico, di un elenco di uomini illustri del tempo, probabilmente compilato verso la fine degli anni settanta. Il passo in questione contiene, infatti, il nome di «Benedetto de l’abbaco» e, certo non a caso, anche quello di Ser Benedetto da Cepperello.5 Altri per1 E. Ulivi, Bettino di Ser Antonio, cit., p. 75. 2 Ivi, pp. 75-80. 3 Edmondo Solmi, Leonardo (1452-1519), Firenze, G. Barbera, 1900, pp. 12-13; Ivor Hart, The world of Leonardo da Vinci, London, Mac Donald, 1961, p. 28. 4 Come ben noto, Leonardo nacque il 15 aprile 1452, figlio naturale di Ser Piero e di una ragazza di nome Caterina. Dopo un primo periodo trascorso a Vinci nella casa del nonno paterno Antonio, Leonardo si trasferì a Firenze verosimilmente entro i primi anni sessanta. Lasciò Firenze verso il 1482; nella primavera del 1483 era già a Milano. Per notizie sulla famiglia di Leonardo e sulla sua prima giovinezza, e per i relativi riferimenti archivistici e bibliografici, si vedano: Gustavo Uzielli, Ricerche intorno a Leonardo da Vinci, Firenze, Stabilimento di G. Pellas, 1872; Nino Smiraglia Scognamiglio, Ricerche e documenti sulla giovinezza di Leonardo da Vinci (14521482), Napoli, Riccardo Marghieri di Gius., 1900; Luca Beltrami, Documenti e memorie riguardanti la vita e le opere di Leonardo da Vinci, Milano, Fratelli Treves Editori, 1919; Gerolamo Calvi, Spigolature Vinciane dall’Archivio di Stato di Firenze, «Raccolta Vinciana», XIII, 1926-1929, pp. 35-43; Renzo Cianchi, Vinci Leonardo e la sua famiglia (con appendice di documenti inediti), Milano, Ed. Museo Nazionale della Scienza e della Tecnica, 1953; Carlo Vecce, Leonardo, Roma, Salerno editrice, 1998; Pietro C. Marani, Leonardo: una carriera di pittore, Milano, Federico Motta, 1999; David Alan Brown, Leonardo da Vinci: origini di un genio, Milano, Rizzoli, 1999; David Alan Brown, Leonardo apprendista, Comune di Vinci, Firenze, Giunti, 2000; Enrico Guidoni, Fanciullezza e giovinezza di Leonardo da Vinci, Roma, Kappa, 2003; Leonardo da Vinci. La vera immagine. Documenti e testimonianze sulla vita e sull’opera, a cura di Vanna Arrighi, Anna Bellinazzi, Edoardo Villata, Firenze-Milano, Giunti, 2005; Edoardo Villata, Leonardo, Milano, 5Continents, 2005; Angelo de Scisciolo, Per un’altra storia. Studi sull’opera “Il Ritratto di Ginevra de’ Benci” di Leonardo da Vinci, Città di Castello, Edimond, 2006; E. Ulivi, Le residenze del padre di Leonardo da Vinci a Firenze, cit.; E. Ulivi, Nuovi documenti e notizie sulla famiglia di Leonardo: I matrimoni di Ser Piero e Francesco di Antonio da Vinci, Quaderno del Dipartimento di Matematica “U. Dini”, Università degli Studi di Firenze, 9, ottobre 2007, 35 pp. 5 Lo riportiamo per esteso: «Quadrante di Carlo Marmocchi - Messer Francesco, araldo - Ser Benedetto da Cepperello - Benedetto de l’abbaco - Maestro Pagolo, medico - Domenico di Michelino - El Calvo de li Alberti - Messer Giovanni Argiropolo»: cfr. Leonardo da Vinci, Il Codice Atlantico della Biblioteca Ambrosiana di Milano. Trascrizione diplomatica e critica di Augusto Marinoni, Firenze, Giunti Barbera, I, 1975, pp. 91-92 (Tavole, c. 42v). In proposito cfr. anche C. Vecce,
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sonaggi citati sono: il noto scienziato Paolo dal Pozzo Toscanelli; Carlo Marmocchi, ingegnere e matematico al servizio della Signoria di Firenze nonché cultore di astronomia e geografia; il pittore Domenico di Francesco detto Domenico di Michelino; gli umanisti Giovanni Argiropulo traduttore e commentatore delle opere di Aristotele, e Francesco Filarete che fu araldo della Signoria.1 Passiamo ora ad una rapida descrizione dei rogiti. Il primo concerne la dote di 250 fiorini che Benedetto da Firenze ebbe dalla famiglia della moglie Pippa Tinghi, ed è di poco successivo al loro matrimonio. Nel documento, datato 6 dicembre 1457, l’abacista e suo padre Antonio di Cristofano, dichiaravano di aver ricevuto da Giovanni Tinghi, per la dote della figlia, cinquanta fiorini, e in sostituzione dei rimanenti duecento l’usufrutto di un podere con casa da lavoratore situato nel Popolo di Sant’Angelo a Legnaia. L’atto si conclude con tre sottoscrizioni: una di Benedetto, le altre dei due testimoni del rogito.2 Il breve passo che si deve alla mano di Benedetto è, a tutt’oggi, il più antico documento autografo lasciato dal maestro fiorentino. I successivi dodici rogiti, di cui riportiamo solo degli estratti, sono tutti legati ad una stessa attività che il Nostro svolse negli ultimi anni di vita, al di fuori dei suoi impegni come abacista, quella cioè di procuratore. Prima con una nomina privata del 2 febbraio 1468 fatta dal notaio Ser Matteo di Ramondo Fortini,3 che abbiamo già incontrato in relazione al Maestro Benedetto,4 poi quale sindaco di due istituti religiosi, il Convento delle suore agostiniane di Santa Maria sul Prato di Ognissanti e il Monastero dei frati camaldolesi di Santa Maria degli Angeli. Il Convento di Santa Maria sul Prato, fondato nel 1289 dal Vescovo Andrea de’ Mozzi ed unito nel 1714 a quello di San Giuseppe, si trovava verso Borgo Ognissanti sull’area chiamata “Il Prato” a causa della manLeonardo, cit., pp. 60-61; A. de Scisciolo, Per un’altra storia, cit., pp. 59-60, 68, 176; E. Villata (a cura di), Leonardo da Vinci. I documenti e le testimonianze contemporanee. Milano, Castello Sforzesco, 1999, p. 12. 1 Sul Toscanelli si veda G. Uzielli, La vita e i tempi di Paolo dal Pozzo: ricerche e studi, Roma, Auspice il Ministero della Pubblica Istruzione, 1894. Su Domenico di Michelino, Giovanni Argiropulo e Francesco Filerete cfr. il Dizionario Biografico degli Italiani, ad vocem. Ricordiamo che il Filarete fu, con Leonardo da Vinci e Francesco Monciatto, fra coloro che espressero un parere alle autorità cittadine in merito alla collocazione del David: cfr. G. Lensi Orlandi, Il Palazzo Vecchio, cit., p. 110. 2 Cfr. Appendice, documento 5. Un riferimento al documento del 6 dicembre 1457 si trova in un appunto stilato dal notaio Ser Matteo Guerrucci in data 19 agosto 1467, e conservato tra le carte di Ser Giovanni di Domenico Carondini: ASF, Notarile Antecosimiano 4358 (1466-1468), n. 14. 3 Cfr. Appendice, documento 6. 4 Cfr. E. Ulivi, Un documento autografo ed altri documenti inediti su Benedetto da Firenze, cit., pp. 117-118, 121-122, 124-125.
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canza di pavimentazione, in quanto allora occupata dal mercato settimanale del bestiame.1 Il lavoro svolto da Benedetto per il convento ci viene per la prima volta attestato da un documento del 6 luglio 1477,2 dove si fa riferimento alla sua elezione a sindaco in un atto rogato da Ser Giovanni di Francesco Neri, ma non pervenutoci, e col quale l’abacista trasferì il suo incarico di sindaco a Messer Piero di Donato di Leonardo Bruni, nipote dell’umanista aretino Leonardo Bruni, e personaggio di rilievo che ebbe stretti rapporti col Nostro.3 Il grande Monastero di Santa Maria degli Angeli del Tiratoio – situato in Via degli Alfani e fondato nel 1295 per volontà e grazie ad un lascito di Fra’ Guittone d’Arezzo – fu famoso dal punto di vista artistico e culturale. Nel corso del Trecento come sede di un importante laboratorio di miniatura da cui uscì il pittore Lorenzo Monaco; nel Quattrocento come centro di studi promossi da Ambrogio Traversari ed ai quali parteciparono uomini illustri, tra cui Leonardo Bruni, Carlo Marsuppini, Bartolomeo Valori, Paolo dal Pozzo Toscanelli, Cosimo e Lorenzo de’ Medici.4 Quattro volumi del convento testimoniano e raccontano ampiamente il lavoro svolto dal loro «fattore» Benedetto tra il febbraio del 1476 ed i primi di giugno del 1479, al tempo in cui ne fu priore Don Leonardo di Donato di Leonardo Bruni, fratello del citato Piero. A questi documenti, già pubblicati, si aggiungono ora: quattro rogiti del 3 e 9 luglio 1476 e del 14 marzo 1477 che contengono la «Sindicatio», cioè l’atto ufficiale con cui l’abacista veniva periodicamente nominato procuratore e sindaco del monastero, per due volte assieme a frate Andrea di Iacopo da Lunigiana;5 cinque rogiti del 18, 19, 26 settembre 1476 e 30 maggio 1477 dove Benedetto compare solo nel ruolo di testimone di quattro atti di locazione del Monastero degli Angeli e di una «Sindicatio» del solito Piero di Donato Bruni;6 infine una «Promissio» fatta da Benedetto allo stesso Don Leonardo il 26 ottobre 1477.7 L’ultimo rogito, e due documenti della Mercanzia ad esso correlati, che trascriviamo sempre in sintesi, riguardano una questione intercorsa 1 Cfr. Giuseppe Richa, Notizie istoriche delle Chiese fiorentine divise ne’ suoi Quartieri. In Firenze, nella Stamperia di Pietro Gaetano Viviani, IV, 1756, pp. 238-251; Gianpaolo Trotta, Il Prato d’Ognissanti a Firenze, genesi e trasformazione di uno spazio urbano, Firenze, Alinea, 1988, pp. 20-21, 28, 43, 56, 59. 2 Cfr. Appendice, documento 9. 3 Cfr. E. Ulivi, Benedetto da Firenze, cit., ad vocem; E. Ulivi, Un documento autografo ed altri documenti inediti su Benedetto da Firenze, cit., p. 117. Messer Piero rimase procuratore delle monache almeno fino al 1485: ASF, Corporazioni religiose soppresse dal governo francese 129, 70, cc. 2r, 4r, 7r. 4 Sul Monastero di Santa Maria degli Angeli si vedano G. Richa, Notizie istoriche delle Chiese fiorentine, cit., VIII, 1759, pp. 143-174 e Divo Savelli, Il Convento di S. Maria degli Angeli a Firenze, a cura dell’a.n.m.i.g., Firenze, Editoriale Tornatre, 1983. 5 Cfr. Appendice, documenti 7, 8, 10, 15. 6 Cfr. Appendice, documenti 11-14, 16. 7 Cfr. Appendice, documento 17.
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Fig. 2. La sottoscrizione di Benedetto da Firenze al documento del 6 dicembre 1457. ASF, Notarile Antecosimiano 11401, c.n.n.
tra alcuni parenti di Benedetto da Firenze ed il Monastero di Santa Maria degli Angeli, dopo la morte del Nostro. I tre documenti non aggiungono, in realtà, molto a quanto già sappiamo, grazie ad un atto del Podestà del 13 giugno 1480, ad una lettera degli Otto di Guardia e Balia della Repubblica datata 15 luglio 1480, ed a vari passi tratti dagli stessi libri del convento, tutti a suo tempo pubblicati. Mettono tuttavia a fuoco alcuni punti della questione, ci portano a conoscenza di altri documenti, convalidano e confermano alcune ipotesi da noi già avanzate sul periodo immediatamente successivo alla scomparsa dell’abacista. Il lungo rogito, del 4 aprile 1481,1 inizia ricordando alcuni avvenimenti: Ancora il matrimonio di Benedetto e Pippa, e la consegna della dote al maestro ed a suo padre Antonio da parte di Giovanni Tinghi; la morte di Benedetto e quella di Pippa, «ab intestato» e «parum post mortem ipsius Benedicti», avvenute «nullis ex eis relictis comunibus filiis vel aliis descendentibus masculis vel feminis legiptimis et naturalibus, uno et seu pluribus»; l’assegnazione agli eredi di Pippa, i suoi tre fratelli Bartolomeo, Francesco e Luca, ed in restituzione della sua dote, di un podere situato a San Giovenale nella Plebe di Cascia del Valdarno Superiore, assegnazione che fu stabilita dal citato atto del Podestà, a seguito di 1 Cfr. Appendice, documento 18.
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un’istanza avanzata l’11 febbraio 1480 da Ser Andrea di Ser Angelo da Terranova. Il rogito prosegue informandoci che, nello stesso anno, i frati del Monastero di Santa Maria degli Angeli, dopo aver conteggiato un debito di oltre 180 fiorini lasciato da «Benedetto dell’abacho», negli anni in cui fu loro procuratore, chiesero agli eredi del maestro il risarcimento del debito, che venne loro accordato con una sentenza del Tribunale della Mercanzia. La petizione fu presentata al Tribunale il 24 marzo 14801 dall’allora sindaco del monastero Don Mauro di Giampiero, contro i suddetti eredi, ossia Andrea, Cristoforo e Iacopo, nipoti di Benedetto in quanto figli di suo fratello Lorenzo, e la sentenza fu emanata dal giudice il successivo 16 maggio.2 Finalmente, la «Convenctio» stilata da Ser Piero da Vinci il 4 aprile 1481, stabilì che una parte di quel debito, 45 fiorini larghi, venisse pagata ai monaci di Santa Maria degli Angeli dai fratelli nonché eredi di Pippa Tinghi, avendo stimato il podere ad essi aggiudicato di valore superiore alla dote della sorella. È quello, a tutt’oggi, l’ultimo documento noto in relazione a Benedetto da Firenze. Ap pe ndic e Do cum e n ti de l l ’ Archivio di Stato di Firenz e 1. Ospedale di San Matteo detto di Lemmo Balducci 1 (Scritture attinenti a Lemmo Balducci ed alla fabbrica dell’ospedale), cc. 114r-115r 13 febbraio 1469 1468 Richordo chome a dì 13 di febraio io Benedetto d’Antonio dell’abacho misurai el lavorio di 2 chase poste al lato al fornaio da Sancto Nicholò della Via del Chochomero, che sono dello Spedale di Lelmo, fatte per Michele di Mariano, e prima Tetti El tetto di dette due chase dinanzi a’ veroni insino alla via, quadro __ br. 1337 El tetto che è di sopra a’ terrazi d’amenduni le chase, quadro ______ br. 1112 El tetto di dietro a’ veroni d’amenduni le chase, quadro___________ br. 1480 El tetto dove sono le cucine e stalle d’amenduni le chase __________ br. 1190 Somma 1119 Muro di mattone sopra mattone El muro del chamino, che cholla trameza, in tutto quadro_________ br. 1178 1 Cfr. Appendice, documento 19.
2 Cfr. Appendice, documento 20.
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El muro dell’altro chamino, e cholle spallette insino al verone, quadro _ br. 1193 E muri d’amenduni e terrazi, in tutto quadro___________________ br. 1248 El muro dell’uscio che va in sul verone d’amenduni le chase, quadro_ br. 1124 E muri che sono al lato al detto uscio, in tutto quadro ____________ br. 1175 E muri de’ chamini d’amenduni le chase, quadro ________________ br. 1170 El muro di tramezo delle chamere e cucine e antichamere d’amenduni le case, quadro ______________________________________________ br. 1136 El muro ch’è sopra la loggia d’amenduni le case, quadro in tutto____ br. 1752 El muro degli scrittoi e necessari d’amenduni le chase, quadro in tutto _ br. 1184 El muro che è sopra le schale delle volte d’amenduni le chase, quadro in tutto ____________________________________________________ br. 1118 El muro de’ tramezi delle stalle e cucine d’amenduni le chase, quadro__ br. 1116 E muri delle spallette da piè delle schale d’amenduni le chase, quadro in tutto ____________________________________________________ br. 1138 El muro di sopra il muro grosso ch’è di sopra alle stalle, e il muro dal lato, e il tramezo, e il muro dell’altra chasa, di stalla e cucina, quadro in tutto ____________________________________________________ br. 1154 El muro de’ 2 chamini di sopra a dette stalle e cucine, in tutto quadro braccia ____________________________________________________br. 1130 El muro di detti chamini cioè le ghole e dall’alto, in tutto quadro____ br. 1190 El muro dinanzi di dete cucine e stalle, quadro in tutto, d’amenduni le chase ____________________________________________________ br. 1195 El muro che è di sopra al muro grosso, che divide la chorte dal’orto delle monache ____________________________________________ br. 1100 El muro che divide amenduni le chase, quadro _________________ br. 1154 El muro delle schaluze delle stalle ___________________________ br. 1117 El muro che divide le chase fatte da quelle che s’ànno a ffare, quadro ___ br. 1188 El muro dell’orticino dove sta Monciatto, quadro________________ br. 1119 El muro del pozo cioè la ghola, dal lato di Monciatto dal piano in su _ br. 1114 El muro del muricciuolo della chasa di Monciatto _______________ br. 1116 El muro del chamino del fornaio ch s’è fatto di nuovo e quello che s’è rifatto, in tutto________________________________________________ br. 1190 Somma 2589 Palchi amattonati El palchi d’amenduni e terrazi di dette chase, quadro_____________ br. 1160 E palchetti sotto e terrazi di dette due chase, quadro in tutto _______ br. 1124 E palchi di sopra d’amenduni le chase, quadro in tutto____________ br. 1570 E palchi degli scrittoi e necessari d’amenduni le chase ____________ br. 1126 E palchi di sopra le cucine e stalle di dette due chase _____________ br. 1168 Somma 848 //
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El muro di verso l’orto della Via de’ Servi, cioè il muro della chasa di Monciatto e il muro che divide le 2 chase, in tutto____________________ br. 1568 E muri de tramezi d’amenduni le chase che dividono le schale, quadro _ br. 1960 El muro della faccia dinanzi d’amenduni le chase, quadro _________ br. 1419 El muro che divide le chamere dall’antichamere di di dette 2 chase, quadro ____________________________________________________br. 1325 El muro dal lato del fornaio, dal tetto di detto fornaio in su, quadro__ br. 1308 El muro rinfondato nelle volte, e più uno muro rifatto in una volta __ br. 1143 El muro di verso l’orto delle stalle e chucine d’amenduni le chase ___ br. 1180 El muro tra la chorte e l’orto delle monache, quadro _____________ br. 1180 El muro dov’è murato e chondotti, quadro braccia ______________ br. 1126 Somma 3909 Le volte amattonate Le volte delle sale e chamere e antichamere d’amenduni le chase, in tutto ___ _____________________________________________________br. 543 Le volte delle 2 dette chase sopra la volta del vino, quadro in tutto ___ br. 206 Le volticiuole del piano della volta del vino d’amenduni le chase, in tutto ____________________________________________________ br. 118 La volticiuola di sopra gl’androni d’amenduni le chase, in tutto quadro__ br. 152 Somma 809 Intonachi Intonachi d’intorno alle volte da vino d’amenduni le chase, quadro ___ br. 312 E dove sono le schale da vino d’amenduni le chase, quadro _________ br. 162 E più gl’intonachi del muro vechio, quadro bracia ________________ br. 448 Somma 822 Schale Le schale delle volte da vino d’amenduni le chase ________________ br. 118 Le schale di dette chase, cioè d’amenduni, in tutto________________ br. 190 Somma 108 Muro di 1/2 braccio El muro che divide l’androne dalle chamere d’amenduni le chase, in tutto quadro ______________________________________________ br. 160 El muro del pozo dalla ghiaia insino al piano dell’aloggio, in tutto quadro br. 122 Somma 182
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Amattonati Gli amattonati d’amenduni le loggie di dette chase _______________ br. 140 Gli amattonati de’ terreni d’amenduni le chase, quadro in tutto______ br. 200 Gli amattonati delle chucine d’amenduni le chase, quadro in tutto ___ br. 160 Gli amattonati e lastrichi delle stalluccie di dette chase, quadro in tutto__ br. 160 Somma 460 // Somma le braccia quadre del tetto, in tutto braccia __ 1119, monta per 2 s., 2 d. il braccio ___________________________________ £. 121, s. 14, d. 6 Somma le braccia di muro di mattone sopra monta _ 2589, monta per 2 s., 9 d. il braccio_______________________________________ £. 355, s. 19, d. 9 Somma le braccia de’ palchi amattonati _____ 848, monta per 4 s., 8 d. il braccio ___________________________________________ £. 197, s. 17, d. 4 Somma le braccia del muro grosso _____ 3909, monta per 4 s., – il braccio __ ______________________________________________ £. 781, s. 16, d. 4 Somma le braccia della volta amatonata ______ 809, monta per 6 s, – il braccio ______________________________________________ £. 242, s. 14, d. 4 Somma le braccia dell’intonachi ______ 822, monta per 1 s., – il braccio ______________________________________________ £. 141, s. 12, d. 4 Somma le braccia del muro di 1/2, braccio ______ 182, monta per 4 s., – il braccio ___________________________________________ £. 136, s. 18, d. 4 Somma le braccia delle schale _______ 108, monta per 4 s., 8 d. il braccio ______________________________________________ £. 125, s. 14, d. 4 Somma le braccia delli amattonati __________ 460, monta per 1º s., – il braccio ___________________________________________ £. 123, s. 44, d. 4 E più per 2 focholari del chamino delle cucine che sono braccia _____ 20, per 4 s. il braccio____________________________________ £. 114, s. 44, d. 4 Due truoghi nelle cucine, due vasi murati, due navicelli nelle chucine £. 7, s. 10, d. – Una schaluza nelle stalle di braccia 5 per 4 s., 8 d. __________ £. 111, s. 13, d. 4 Due volticiuole sopra pozi neri nelle volte _______________ £. 112, s. 18, d. 4 Per 2 s. il braccio, 4 fogne degli acquai di cucine al pozo da smaltare, braccia 28 in tutto ________________________________________ £. 112, s. 16, d. 4 Due chamini di sale chon 2 aquai, due aquai in terreno, due navicelle delle loggie ___________________________________________ £. 118, s. 44, d. 4 E più braccia 130 d’intonachi nella chorte e dietro allo vano del muro vechio, monta a s. 1º il braccio ____________________________ £. 116, s. 10, d. 4 E più braccia 140 d’arriciato nella corte sopra le mura vechie, monta per 0 s., 6 d. il braccio_____________________________________ £. 113. s. 10, d. 4 Somma in tutto £. 1861,1 s. [ ]4, d. 11 1 «1861» è corretto da «1868».
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2. Ospedale di San Matteo detto di Lemmo Balducci 188 (Giornale e Ricordi), c. 37v 13 febbraio 1469 Ricordo delle misure fatte de’ lavori à fatti Maestro Michele di Mariano alle nostre chase nuove, misurati per Benedetto d’Antonio dell’abacho per insino a dì 13 di febraio 1468, e de’ pregi di detti lavori fatti per Maestro Domenicho di Taddeo e Maestro Stefano di Iachopo da San Chasciano, chapo maestri chiamati d’achordo per Messer Lucha spedalingho e detto Maestro Michele, e loro raporto è in filza … Posto al Libro Azuro segnato G,1 c. 57.
3. Ospedale di San Matteo detto di Lemmo Balducci 257 (Libro di Entrata e Uscita segnato F), c. 106r 11 aprile 1469 A dì 11 di detto [aprile 1469] A Michele di Mariano chapo maestro £. due, s. diciassette, per lui al maestro dell’abacho per misuratura delle chase nuove, che in tutto ebbe f. uno largho, al Libro Azurro segnato G, c. 57 ____________________________ £. 2, s. 17
4. Ospedale di San Matteo detto di Lemmo Balducci 331 (Libro Azzurro segnato G: Debitori e creditori), c. 57s 11 aprile 1469 Michele di Mariano chapo maestro de’ dare … A dì XI detto [aprile 1469] £.dua, s. XVII per lui al maestro dell’abacho per fare la misura delle chase, come apare a uscita segnata F,2 c. 106________ £. 2, s. 17
5. Notarile Antecosimano 11401 (Ser Giuliano di Giovanni Lanfredini), c.n.n. 6 dicembre 1457 MCCCCLVII, indictione VIa et a dì VI di dicembre [1457] Sia manifesto a qualunche persona vedrà la presente scriptta che egli è certa cosa che oggi questo dì soprascripto Antonio di Cristofano di Guido tessitore di drappi et Benedetto suo figluolo confessorono avere avuto fiorini ducentocinquanta in dota et per dota di Monna Pippa figluola di Giovanni di Bartolo comandatore et donna di detto Benedetto. Et che el vero è che detti Antonio et Benedetto non ànno avuto se non fiorini cinquanta per le donora, et che la det1 Cfr. Ospedale di San Matteo detto di Lemmo Balducci 331. 2 Cfr. Ospedale di San Matteo detto di Lemmo Balducci 257.
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ta confessione s’è fatta per potere ritrorre di camera fiorini cento settanta per vigore di leggie scriptta in camera al libro del […] ad c. 231 et c. 232. Et per ritrargli fece detto Benedetto consentimento d’Antonio suo padre, procuratore Paolo di Iacopo Federighi. Onde oggi questo dì detto di sopra, volendo el decto Giovanni sicurare e soprascripti Antonio et Benedetto della detta dota, consegnò al soprascripto Benedetto uno podere con casa da llavoratore posta nel Popolo di Santo Angnolo a Legnaia, che da primo la via del comune, a II beni di Santa Maria Nuova, a terzo et quarto beni del Munistero di Santa Felicita di Firenze, infra predetti confini o altri che più veri fussono, ad avere, tenere, possedere et usufructare per insino che gl’arà interamente pagato fiorini dugento, oltra a’ soprascripti cinquanta, per la dota di detta Monna Pippa. Et promette el detto Giovanni al detto Benedetto lasciargli tenere el detto podere et quello usufructare liberamente insino che gl’arà interamente pagati e detti fiorini dugento, oltra e soprascripti fiorini cinquanta. Et così et converso, el detto Benedetto, con consentimento di detto Antonio suo padre presente et a llui a ttucte le infrascripte cose consentiente, comme apparisce per mano di me Giuliano notaio infrascripto, promisse al detto Giovanni rendere et restituire al detto Giovanni el soprascripto podere di sopra scriptto et confinato ogni volta che arà ricevuto e soprascripti fiorini dugento, oltra a detti fiorini cinquanta che à avuto per le donora comme di sopra. Et per le dette cose attendere et observare obligorono le dette parti, l’una all’altra et econverso, loro et ciaschuno di loro heredi et beni presenti et futuri et rinumptiorono a ogni benificio che per loro facesse. Et io Giuliano di Giovanni Lanfredini, comme servata persona, di volontà et per chiarezza delle dette parti ò fatta questa presente scriptta di mia propia mano et amendune le parti si soscriverranno da piè et così Antonio Cavalcanti et Domenico da Castello Fochognano, è quali furono presenti e testimoni alla presente scriptta. Io Giovanni di Bartolo chomadatore sopradeto sono chontento a quato di sopra si chotiene et per chauza di ciò mi sono soscchito di mia propia mano, ano, mese et dì sopradeto. // Io Benedetto d’Antonio sopra detto sono chontento a quanto si chontiene in questa scritta et per chiareza di ciò mi sono soscritto di mia propia mano, anno et mese, dì detto di sopra. Io Antonio di Guido Chavaleschi fui presente quanto in questo si convene di sopra, anno e messe e dì detto, e però mi sono soscrito di mia propia manno dì detto. Io Domeniche di Nanni da Chasstello Fochogniano fui pressente a quanto di sopra si chontiene, e per fede di ciò mi sono soschritto di mia propia mano, anno e mese e dì detto di sopra.1
1 La scritta è preceduta da un rogito, sempre del 6 dicembre 1457, che espone i termini della questione, ricordando il matrimonio di Benedetto e Pippa e la relativa confessione di dote, purtroppo con lacune per quanto concerne le date ed il notaio.
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6. Notarile Antecosimiano 2308 (Ser Benedetto di Ser Francesco da Cepperello), c. 119r 2 febbraio 1468 In Dei nomine amen. Anno Domini ab eius salutifera incarnatione millesimo quadringentesimo sexagesimo septimo, indictione prima, die vero secunda mensis februarii. Actum Florentie et in Populo Sancti Michaellis Berteldi de Florentia, presentibus testibus etc. Laurentio olim Niccolai Michaellis lignaiolo Populi Sancti Felicis in Piaza de Florentia, et Masio olim Gratie Iusti laboratore terarum Populi Sancti Thomei a Hostina Plebatus Cascie Vallis Arni Superioris Comitatus Florentie, et Bartholomeo filio Benedicti Baldesis barbitonsore Populi Sancti Pauli de Florentia. Pateat omnibus evidenter qualiter Ser Matheus filius ut dixit emancipatus Raymundi Antonii Raymondi, civis et notarius florentinus Populi Sancti Marci de Florentia … fecit etc. suum procuratorem etc. Benedictum olim Antonii Cristofori magistrum arismetrice in civitate et civem florentinum, generaliter etc. ad agendum etc. … .
7. Notarile Antecosimiano 611 (Ser Angelo di Ser Alessandro da Cascese), c. 182r 9 luglio 1476 In Dei nomine amen. Anno Domini ab eius incarnatione 1476, indictione VIIII et die nona iulii. Actum in Conventu Angelorum et in loco capituli, presentibus testibus etc. Ricchardo Mattie Ser Riccardi legnaiuolo Populi Sancte Reparate de Florentia et Michele Laurentii Luce Ferracci Populi Santi Iusti al Ponte a Greve Comitatus Florentie. Convocatis ad capitulum etc. fratribus seu heremitis Angelorum: Dominus Leonardus olim Donati Domini Leonardi de Aretio dignus prior … Dominus Benedictus Marci de Alamania, Dominus Gherardus Gherardi de Alamania … Dominus Andreas Sandris de Boemia …, fecerunt sindicos … Fratrem Andream et Benedictum Antonii Cristofari … .
8. Notarile Antecosimiano 611, c. 183v 9 luglio 1476 Eadem die, et loco et coram dictis testibus etc. Prefati sindici ambo in concordia, ex parte una, et Niccolaus olim Francisci Ugolini Cucci, ex alia … compromiserunt etc. in spectabiles viros Filippum Francisci de Tornabuonis et Ieronimum Mattei Morelli de Morellis cives florentinos ambos in concordia … .
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9. Notarile Antecosimiano 612 (Ser Angelo di Ser Alessandro da Cascese), c. 46r 6 luglio 1477 In Dei nomine amen. Anno Domini ab eius incarnatione millesimoCCCCLXXVII, indictione X et die sexta iulii. Actum Florentie in Populo Sancti Michaelis Vicedominorum de Florentia, presentibus testibus etc. Iuliano Benedicti Pieri Giuntini Populi Sancti Petri Maioris de Florentia et Antonio Simonis Matini vetturale Populi Sancti Stefani a Pozzolaticho. Benedictus olim Antonii dell’abbacho civis florentinus, sindicus et procurator et sindicario et procuratorio nomine abbatisse et monialis monasterii, capituli et Conventus Sancte Marie dal Prato Ognisancti de Florentia, ut de suo sindicatu sufficienti etc. constare dixit publicum instrumentum manu Ser Iohannis Francisci Nerii … ad substituendum etc., omni modo etc., substituit et subrogavit etc. Pierum Donati Domini Leonardi de Aretio civem florentinum presentem et acceptantem etc. … .
10. Notarile Antecosimiano 16831 (Ser Piero di Antonio da Vinci), cc. 93r93v 3 luglio 1476 Sindicatio In Dei nomine amen. Anno ab eiusdem salutifera incarnatione MCCCCLXXVI, indictione VIIII et die IIIº mensis iulii. Actum Florentie in Monasterio fratrum Angelorum Florentie et in loco capituli ditti monasterii, presentibus testibus etc. Dominico Filippi Monis Cinozi laboratore terrarum Populi Sancti Bartoli in Cinto et Bartholomeo Fei Dominici laboratore terrarum Populi Sancti Stefani a Chierichale Vallis Grevis. Convocatis ad capitulum omnibus et singulis fratribus seu monacis et heremitis monasterii, capituli et Conventus Sancte Marie de Angelis de Florentia ordinis camaldulensis … de consensu et voluntate … venerabilis pretris Dompni Leonardi Donati Domini Leonardi Bruni digni prioris dicti monasterii … infrascripti monaci … fecerunt … veros et legiptimos sindicos et procuratores etc. fratrem Andream Iacobi de Lunigiana fratrem professum et conversum dicti monasterii, et Benedictum Antonii del’abacho civem florentinum, et quemlibet eorum in solidum etc., ad agendum et causandum etc. item ad ministrandum introitos etc. … // … .
11. Notarile Antecosimiano 16831, cc. 127v-128r 18 settembre 1476 Locatio Item postea dictis anno [MCCCCLXXVI], indictione [VIIIIa] et die [XVIII mensis settembris]. Actum in Monasterio Sancte Marie de Angelis in loco camerarii dicti monasterii, presentibus testibus etc. Piero Donati Domini Leo-
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nardi Bruni cive florentino et Benedicto Antonii Cristofari magistro abbaci cive florentino. Frater Andreas Iacobi de Lunigiana frater profexus et conversus dicti monasterii nec non sindicus et procurator prioris, fratrum, capituli et Conventus Sancte Marie de Angelis de Florentia, ordinis camaldulensis … locavit ad affictum Tommasio et Simoni fratribus et filiis // olim Iohannis Tomasii Populi Sancti Petri a Monticelli prope Florentiam … unum podere cum domibus pro laboratore … positum in Populo Sancti Petri a Monticelli prope Florentiam … .
12. Notarile Antecosimiano 16831, cc. 128r-128v 19 settembre 1476 Locatio Item postea dictis anno [MCCCCLXXVI], indictione [VIIIIa] et die XVIIII dicti mensis settembris. Actum ubi supra, presentibus testibus etc. Piero olim Domini Leonardi Bruni et Benedicto Antonii Cristofari magistro abbaci, civibus florentinis. Frater Andreas Iacobi de Lunig[i]ana frater profexus et conversus dicti monasterii, capituli et Conventus Sancte Marie de Angelis de Florentia, ut sindicus et // procurator … locavit ad affictum Augustino olim Marci Pucci Populi Sancti Petri a Monticelli prope Florentiam … unum podere cum domo pro laboratore … positum in Populo Sancti Petri a Monticelli prope Florentiam … .
13. Notarile Antecosimiano 16831, c. 129r 19 settembre 1476 Locatio Item postea dictis anno [MCCCCLXXVI], indictione [VIIIIa] et die [XVIIII dicti mensis settembris] et loco et presentibus dictis suprascriptis testibus … Prefatus Frater Andreas sindicus et procurator predictus … locavit ad affictum dicto Augustino olim Marci Pucci Populi Sancti Petri a Monticelli prope Florentiam … unum podere cum chasecta et cum terris laborativis … positum in dicto Populo Sancti Petri a Monticelli prope Florentiam … .
14. Notarile Antecosimiano 16831, c. 130v 26 settembre 1476 Sindicatio Item postea dictis anno [MCCCCLXXVI], indictione [Xa] et die [XXVI mensis settembris]. Actum in Monasterio Sancte Marie de Angelis de Florentia, in capitulo dicti monasterii, presentibus testibus etc. Benedicto Antonii magistro abbaci de Florentia et Meo Fei Dominici Populi Sancti Stefani a Polichalli Vallis Grevis Comitatus Florentie. Convocatis ad capitulum omnibus et singulis fratribus seu monacis et heremitis monasterii, capituli et Conventus Sancte Marie de Angelis de Florentia ordinis camaldulensis, ad sonum campanelle ut moris est et in loco capituli dicti
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monasterii, de licentia, voluntate et ad requisitionem venerabilis Prioris fratris Leonardi Donati Domini Leonardi Bruni … infrascripti fratres … fecerunt etc. eorum et dicti monasterii etc. verum et legiptimum sindicum etc. Pierum olim Donati Domini Leonardi de Aretio absentem etc. … .
15. Notarile Antecosimiano 16831, cc. 210v-211r 14 marzo 1477 Sindicatio Item postea, dictis anno [MCCCCLXXVI], indictione [Xa] et die XIIII dicti mensis martii. Actum Florentie in Monasterio Sancte Marie de Angelis ordinis camaldulensis, in capitulo et loco capituli ipsius monasterii, presentibus testibus etc. Paulo Pieri Bartholomei de Sancte Marie Impruneta et Bartholomeo Fei Populi Sancti Stefani Vallis Grevis ortulano dicti monasterii. Convocatis ad capitulum omnibus et singulis monacis monasterii, capituli et Conventus Sancte Marie de Angelis de Florentia ordinis camaldulensis, ad sonum campanelle ut moris est et in capitulo et loco capituli ipsius monasterii … de consensu, voluntate et licentia et ad requisitionem venerabilis Prioris Dompni Leonardi olim Donati Domini Leonardi Bruni digni prioris dicti monasterii … infrascripti monaci … fecerunt et constituerunt eorum et cumsilibus eorum et dicti monasterii, capituli et conventus verum et legiptimum sindicum et procuratorem Benedictum Antonii Cristofari dell’abacho civem florentinum habsentem sed tamquam presentem … ad confitendum et recognoscendum a Domino Bartholomeo Schala, cancellario Magnificorum Dominorum Civitatis Florentie, summam et quantitatem florenorum quatuorcentorum auri de sigillo, pro dando et solvendo abbati, // monasterio, capitulo et Conventui Sancti Salvatoris de Septimo prope Florentiam ordinis cisterciensis, pro pretio cuiusdam poderis venditi per dictum abbatem, monacos, monasterium, capitulum et conventum dicto Domino Bartholomeo Schala, positi in Civitate Florentie iuxta monasterium cisterciensium, via mediante, infra suos confines ut de dicta vendita constare dixerunt manu Ser Amanzi Ser Nicholai de Sancto Geminiano civis et notarii florentini sub hac presente die … .1
16. Notarile Antecosimiano 16831, cc. 259v-260r 30 maggio 1477 Locatio Item postea dictis anno [MCCCCLXXVII], indictione [Xa] et die XXXº dicti mensis maii. Actum Florentie in Monasterio Sancte Marie de Angelis de Florentia, presentibus testibus etc. Ser Thommasio Marci Zenobii cive et notario florentino et Benedicto Antonii Cristofari cive florentino. Frater Andreas Iacobi Orselli de Lunigiana frater conversus et profexus nec non sindicus et procurator Prioris, fratrum seu heremitarum Sancte Marie de 1 ASF, Notarile Antecosimiano 13149 (Ser Amanzio di Niccolò Martini), cc. 125r-125v: atto del 13 marzo 1477.
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Angelis de Florentia … locavit ad pensionem etc. Iohanni olim Chirichi Iohannis Pepi campsori et civi florentini … duas apothecas quarum una est ad usum banci et alia ad usum aurificis, contiguas … positas in Populi Sancte Cicilie de Florentia, super angulum Calismale … // … .
17. Notarile Antecosimiano 16831, c. 352r 26 ottobre 1477 Promissio Item postea dictis anno [MCCCCLXXVII], indictione [XIa] et die [XXVI mensis ottobris]. Actum in Monasterio Angelorum de Florentia, presentibus testibus etc. Piero Donati Domini Leonardi Bruni et Ciore Antonii Ser Baldi civibus florentinis. Benedictus olim Antonii Cristofari magister arismetrice habitator ad presens in Populo Sancti Michaellis Vicedominorum de Florentia, omni modo etc, et ex certa scientia etc. promisit et solempni stipulatione convenit venerabili religioso Dompno Leonardo olim Donati Domini Leonardi digno priori Monasterii Angelorum ibidem presenti et pro se et dicto monasterio, monacis, capitulo et Conventu Angelorum recipienti et stipulanti, ipsum priorem, monacos, monasterum, capitulum et Conventum Angelorum … conservare indempnem et indempnes et penitus sine dampno ab omni et quarumlibet promissione, obligatione et solutione facte et seu quomodolibet fiende per dictum priorem, monacos, monasterum, capitulum et conventum alicui creditori dicti Benedicti et tam presenti quam futuri, que omnia etc. sub pena florenorum ducentorum auri … .
18. Notarile Antecosimiano 16832 (Ser Piero di Antonio da Vinci), cc. 586r-588v 4 aprile 1481 Conventio Item postea, dictis anno [MCCCCLXXXI], indictione [XIIIIa] et dicta die quarta dicti mensis aprilis. Actum Florentie in Monasterio Sancte Marie de Angelis de Florentia, et in loco capituli dicti monasterii, presentibus testibus etc. Lodovico Taddei de Antilla et Niccholao Vieri de Banchozis ambobus Florentie. Certum esse dicitur qualiter de anno Domini ab eius incarnatione MCCCCLVII et de mense decembris dicti anni, seu alio veriori tempore, Antonius olim Cristofari Guidonis textor drapporum Populi Sancti Michaellis Berteldi de Florentia et Benedictus filius dicti Antonii cum consensu, verbo, licentia et auctoritate dicti Antonii eius patris ibidem presentis et eidem consentientis … habuisse et recepisse a Domina Pippa filia Iohannis Bartholi de Ghanghalandi Preceptoris Dominorum de Florentia, et uxoris dicti Benedicti, dante pro dote et nomine dotis ipsius Domine Pippe, inter denarios et res mobiles, eorum concordia extimatas florenos ducentos quinquaginta auri recti ponderis et conii florentini et a dicto Iohanne eius patre dante et solvente pro ea, et propterea fecerunt eidem Domine Pippe donationem propter nuptias de libris quin-
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quaginta florenorum parvoum secundum formam statutorum et ordinamentorum Comunis Florentie, quas dotes at donationem propter nuptias prefati Antonius et Benedictus et quilibet eorum in solidum et in totum se obligando promiserunt et solempni stipulatione convenerunt dicto Iohanni ibidem tunc // presenti at pro dicta Domina Pippa eius filia et eius heredibus et successoribus recipienti reddere, solvere et restituere … . Et quod dicti Benedictus et Domina Pippa fuerunt vir et uxor legiptimi et legiptimi coniugales et ad invicem et vicissim matrimonium legiptime contraxerunt et carnali copula consumaverunt iam sunt anni XXIII proxime elapsi vel circa. Et quod postea et post dictum contractum et consumatum matrimonium prefatus Benedictus olim vir et maritus dicte Domine Pippe mortuus est et decessit iam sunt anni duo proxime elapsi vel circa, relicta et supervivente dicta Domina Pippa eius uxore legiptima predicta et nullis ex eis relictis comunibus filiis vel aliis descendentibus masculis vel feminis legiptimis et naturalibus uno et seu pluribus. Et quod postea et post mortem dicti Benedicti dicta Domina Pippa etc. mortua est et decessit parum post mortem ipsius Benedicti, relictis poste se et hodie superviventibus Bartholomeo, Francisco et Luca fratribus carnalibus ipsius Domine Pippe et nullis aliis relictis … et quod ipsi Bartholomeus, Franciscus et Lucas fuerunt estimati veri et legiptimi heredes dicte Domine Pippe … . Ac etiam dicitur esse verum qualiter postea et de anno Domini MCCCCLXXVIIII et die XI mensis februarii dicti anni, ad instantiam et petitionem Ser Andree olim Ser Angeli de Terranova civis et notarii florentini, tunc procuratoris et procuratorio nomine seu nominibus dicti Bartholomei et Francisci et Luce fratrum et filiorum dicti Iohannis Bartholi de Gangalandi Preceptori Dominorum de Florentia, heredum ab intestato quilibet eorum pro tertia parte dicte Domine Pippe eorum sororis carnalis et uxoris dicti olim Benedicti Antonii … pro executione dicte dotis fuit pronuntiata tenuta infrascriptis bonis, videlicet: Uno predio cum domo pro domino et laboratore et cum terris laborativis, vineatis, olivatis, boscatis et fructatis stariorum triginta vel circa in pluribus // (587r) petiis terrarum ad unum tenere, positum in Comitatu Florentie et in Populo Sancti Thommè a Ostina Plebatus Sancti Petri a Chascia Vallis Arni Superioris, loco dicto a Sangiovenale … que quidem pronuntiatio tenute pronuntiata fuit per Dominum Andream de’ Recuperatis de Faventia tunc iudicem collateralem Quarteriorum Sancti Spiriti et Sancte Crucis tunc Domini Potestatis Civitatis Florentie tamquam in bonis, de bonis et super bonis dicti olim Antonii Cristofari et Benedicti eius filii et obligatorum ad restitutionem dicte dotis dicte Domine Pippe. Et que quidem bona, postea et de anno proxime preterito MCCCCLXXX et die XIII mensis iunii dicti anni, seu alio veriori tempore, per Dominum Iohannem Franciscum de Antinellis de Turdeto tunc iudicem collegialem dictorum Quarteriorum Sancti Spiriti et Sancte Crucis tunc Domini Potestatis Civitatis Florentie … adiudicata fuerunt in solutionem et pagamentum dicto Ser Andree de Terranova tunc procuratori et procuratorio nomine dictorum Bartholomei et Francisci et Luce … pro extimatione florenorum trecentorum triginta ad rationem librarum quatuor, et soldorum duorum pro quolibet floreno … .
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Ac etiam dicitur esse verum qualiter de dicto anno proxime predicto MCCCCLXXX et de mense maii dicti anni, seu alio veriori tempore, prior, monaci seu heremiti monasterii, capituli et Conventus Sancte Marie de Angelis de Florentia ordinis camaldulensis obtinuerunt sententiam in Curia Mercantie et Universitatis Mercantie Civitatis Florentie // contra et adversus heredes et hereditatem et bona et possessores bonorum dicti Benedicti olim Antonii Cristofari Guidonis vocati Benedetto dell’abacho, per quam in effectu causis et rationibus in dicta sententia contentis prefati heredes et hereditas et bonorum possessores dicti Benedicti fuerunt declarati debitores veri et legiptimi dicti prioris, monacorum et seu heremitarum dicti monasterii, capituli et Conventus Sancte Marie de Angelis de Florentia et eorum sindici et procuratoris, de summa et quantitate florenorum centum ottuaginta auri largorum, pro vera fonte, et librarum triginta quatuor et soldorum quatuor florenorum parvorum … . Et quod postea et de dicto anno proxime predicto MCCCCLXXX et die secunda mensis octobris dicti anni, seu alio veriori tempore, ad petitionem et instantiam Ser Caroli Iohannis Pieri de Meleto civis et notarii publici florentini tunc sindici et procuratoris dicti prioris, monacorum seu heremitarum monasterii, capituli et Conventus Sancte Marie de Angelis, vigore dicte sententie et pro eius executione pronuntiata fuit tenuta in dicto suprascripto podere et bonis ut supra dictis Bartholomeo et Francischo et Piero adiudicatis, et eisdem Bartholomeo, Francischo et Piero facta fuerunt precepta de disgombrando, que tenuta pronuntiata fuit per Dominum Iohanfranciscum de Antinellis de Turdeto legum doctorem tunc iudicem collateralem Quarteriorum Sancte Marie Novelle et Sancti Iohannis … . Et quod … asserebatur dicta bona ut supra in solutione accepta per dictos Bartholomeum, Francischum et Pierum fuerunt et sunt multo maioris valute et extimationis quod in veritate non fuerunt extimata et quod pro eo pluri dicta bona pertinent ad dictum monasterum, capitulum et conventum, pro satisfactione dicte eorum sententie habite per suprascriptos priorem, monacos, capitulum et conventum in Curia Mercantie … // (588r) … idcirco prefatus Bartholomeus olim Iohannis Bartholi … vice et nomine dictorum Francisci et Luce eius fratrum carnalium … ex parte una, et prefati prior, monaci et seu heremiti dicti monasterii … ex parte alia, devenerunt ad infrascriptam compositionem et concordiam et transsationem, videlicet: Et primo quod dicta bona ut supra contenta et confinata et per dictos Bartholomeum, Franciscum et Pierum1 in solutionem accepta in totum pertineant et expectent ad ipsos Bartholomeum, Francischum et Pierum … Item quod dicti Bartholomeus, Francischus et Pierus et quilibet eorum in solidum et in totum unica solutione sufficientie teneant et obligati sint, per omni et toto eo quo dicta bona supra contenta et confinata plus valerent credito dictorum Bartholomei et fratrum … dare et cum effectu solvere et pagare dicto priori, monacis, capitulo et conventui florenos quadragintaquinque de auro lar1 Qui ed in seguito, al posto del nome Piero si deve leggere Luca.
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gos hoc modo videlicet, impresentiarum florenos duodecim de auro largos et in auro, et residuum, videlicet florenos triginta tres de auro largos et in auro, infra decem et octo menses proxime futuros hodie incipiendos, videlicet quolibet semestri tertiam partem, videlicet florenos undecim largos et in auro. // … .
19. Mercanzia 1506: Atti in Cause Ordinarie 24 marzo 1480 Die XXIIII martii 1479 Dinanzi a voi Dompno Marcho di Giovanpiero monacho ordinis heremitorum del Monastero di Santa Maria degli Angeli di Firenze, sindico e procuratorio nomine del decto monastero, che gli heredi e possessori de’ beni di Benedetto d’Antonio dell’abacho sono veri debitori del decto monastero di f. cento ottanta larghi, per parte di magior somma per danari che ’l decto per l’adrieto Benedetto d’Antonio, come sindico e procuratore del decto monastero, à riscosso da’ debitori di decto monastero, e d’altra ragione auta a ffare insieme, come appare al libro del decto Monastero … el quale decto Marco … domanda etc. vi piacia previa sententia … condamnare a dare e pagare al detto Monastero … .
20.Mercanzia 7260, c.n.n. 16 maggio 1480 Die XVI maii 1480 Ad petitione di decto Don Mauro di Gianpero monacho et heremita di Sancta Maria degli Agnoli di Firenze, sindaco e procuratore et sindicario e procuratorio nomine de’ monaci e heremiti e Monastero di Santa Maria degli Agnoli di Firenze, ne’ modi e nomi nello instrumento del suo mandato contenuti, Antonio vocato Cerrota messo della decta Corte rapportò al decto Messer Ufficiale e a me notaio infrascripto sé di licentia di detto Messer Ufficiale avere richiesti e detti heredità, heredi et possessori de’ beni di Benedetto d’Antonio dell’abacho et nominatamente Andrea, Cristofano et Iacopo fratelli del decto per l’adreto Benedetto et figli del detto Antonio dell’abacho,1 a’ quali s’aspetta la presente causa della sucessione della heredità del detto per l’adrieto Benedetto, et a ciaschuno di loro per questo dì e hora, ultimo e perhentorio thermine, a vedere et udire la nostra sententia … . Et decta richiesta et rapporto detto messo avere fatta a dì XX del passato mese d’aprile in questo modo a detti heredità, heredi, beni e possessori de’ beni del decto Benedetto alla casa dell’uscita habitatione del decto per l’adrieto Benedetto al tempo della sua vita et morte, con dimissione di cedula … . Et più rapportò decto Cerrota messo predecto di nuovo avere richiesti decti heredi, heredità e possessori de’ beni del decto Benedetto alla casa della uscita habitatione del decto per l’adrieto Benedetto al tempo della sua vita et morte con dimissione di cedula … a dì 29 d’aprile 1480 … . 1 Erano in realtà i nipoti di Benedetto, in quanto figli di suo fratello Lorenzo.
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Al nome di Dio amen, noi Vandino de’ Vandini da Firenze giudice ex Officio predecto … veduta e considerata una petitione e domanda data e fatta nella presente Corte insino a dì XXIIII del mese di marzo proximo passato, o in altro più vero tempo, per decto Don Mauro di Gianpiero, decti nomi, contro decti heredità, heredi, beni e possessori de’ beni del decto Benedetto d’Antonio per la quale in effetto decto Don Mauro, detti nomi e modi, adimandò che per noi s’adoprasse decti heredità, heredi, beni et possessori de’ beni del decto Benedetto a dare e pagare ai detti monaci heremiti e Monastero di Sancta Maria degli Agnoli e al decto Don Mauro, detti nomi et modi, fiorini cento ottanta larghi per pare di maggior somma // per denari che ’l decto per l’adrieto Benedetto d’Antonio, come sindicho et procuratore del decto monastero et heremiti à riscosso da’ debitori di decti heremiti et monastero, et d’altre cose avute a ffare insieme, come partialmente apparisce al libro et per libro del decto monastero et heremiti, segnato G, a c. 172 … . Et veduto decto libro et l’aprovatione di quello facta per decti nostri Sei consiglieri … et finalmente veduta la soprascripta richiesta e la forma della ragione, statuti et ordini di decta Corte … pronuntiamo, sententiamo e dichiariamo decti heredi, heredità, beni e possessori de’ beni di decto Benedetto d’Antonio essere stati et essere veri e legittimi debitori de’ decti monaci heremiti et Monastero di Sancta Maria egli Angnoli e del decto Don Mauro, decti nomi e modi, della decta quantità di fiorini cento ottanta larghi, per dette ragioni e cagioni. Et così per questa nostra presente sententia condempniamo decti heredi, heredità, beni et possessori de’ beni del decto Benedetto d’Antonio a dare e pagare a detti monaci heremiti e Monastero di Sancta Maria degli Agnoli e al decto Don Mauro, decti nomi e modi, la decta quantità di fiorini cento ottanta larghi per decte cagioni per parte, et più £. XXXIIII, s. IIII per le spese nella detta causa fatte per detto Don Mauro … . Lata, data … nell’anno del Signore 1480, indictione XIII et a dì 16 di maggio, presenti Giovanni di Biag[i]o e Adamo di Lorenzo donzelli di decta chasa, testimoni alle predecte cose avuti e chiamati. Pervenuto in redazione il 19 settembre 2007
T R ATTAT I S T I CA D’A BACO E N UM IS M AT IC A. U N C A S O E S E M P LA R E : IL T RAT TATO DEL SEN E S E TO M M A S O DE LLA G AZ Z AIA ms. c. iii. 23 della biblioteca comunale degl’ intronati di siena Raffaella Franci* Abstract · The abacus treatise written in the first quarter of the 15th century by Tommaso della Gazzaia, a merchant and banker of Siena, is specially interesting as to Medieval numismatics. This text in fact gives a
great attention to mercantile problems on currencies and alligation, further it includes three interesting lists of silver and gold coins whose transcription we includes.
1. Introduzione
L’
esistenza di scuole d’abaco è documentata in molte città dell’Italia centro-settentrionale a partire dalla seconda metà del XIII secolo. Nei centri minori esse erano istituite e finanziate dalle amministrazioni comunali che non solo pagavano gli stipendi dei docenti, i maestri d’abaco, ma li sceglievano con molta cura e vigilavano sul loro operato.1 Queste scuole assieme a quelle di grammatica rispondevano alla esigenza di istruzione connessi con il grande sviluppo economico e commerciale dell’epoca. Nelle scuole di grammatica si imparava a leggere e scrivere, in quelle d’abaco venivano insegnate prevalentemente l’aritmetica commerciale e la geometria pratica. La prima comprendeva l’insegnamento del sistema indo-arabico di rappresentazione dei numeri e dei metodi per eseguire le operazioni con i numeri e le frazioni, della regola del tre, delle regole di falsa posizione e delle loro applicazioni alle principali operazioni commerciali (sistema di monete-pesi-misure, calcolo del prezzo delle merci, cambio, calcolo degli interessi e degli sconti, calcolo
* Raffaella Franci, Dipartimento di Scienze matematiche e informatiche Roberto Magari, Università di Siena, Pian dei Mantellini 44, I-53100 Siena. E-mail: [email protected] 1 Raffaella Franci, L’insegnamento della matematica nel Tre-quattrocento, «Archimede», 40 (4), 1988, pp. 182-193; Elisabetta Ulivi, Scuole e maestri d’abaco in Italia tra Medioevo e Rinascimento, in Un ponte sul Mediterraneo. Leonardo Pisano, la scienza araba e la rinascita della matematica in Occidente, a cura di Enrico Giusti e con la collaborazione di R. Petti, Firenze, 2002, pp. 121-159. «Bollettino di storia delle scienze matematiche» · Vol. XXVII · 2007 · Fasc. 2
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delle leghe metalliche etc.). Una esemplificazione dell’insegnamento impartito nelle scuole d’abaco si trova nei contemporanei trattati d’abaco nei quali sono ampiamente illustrati tutti gli argomenti sopra elencati. Attualmente conosciamo circa trecento di questi testi il più antico dei quali risale agli ultimi decenni del XIII secolo.1 I trattati d’abaco pervenutici sono diversi per forma, contenuti e ampiezza, il loro tratto distintivo è la presenza di un consistente numero di problemi di tipo commerciale. Gli autori dei testi attualmente noti non sono, come ci si potrebbe aspettare, solo maestri d’abaco ma anche mercanti, artisti, artigiani e marinai. I trattati d’abaco, infatti, non erano libri di testo ad uso degli studenti ma compilazioni fatte dagli autori per uso personale onde mantenere vive le nozioni apprese a scuola e quelle successivamente acquisite nell’esercizio delle loro attività. Gli autori pertanto vi inserivano oltre agli elementi basilari di matematica mercantile argomenti attinenti alla loro occupazione. Abbiamo così trattati d’abaco contenenti calendari, portolani, pratiche di mercatura, regole astrologiche e astronomiche, elenchi di monete. Da alcuni decenni questi testi sono studiati non solo dagli storici della matematica ma anche da quelli di storia dell’economia, della ragioneria, dell’astronomia, della lingua italiana. Il loro uso negli studi di numismatica è invece molto recente, è iniziato, infatti, con Lucia Travaini che in suo saggio sulle monete medioevali analizza e confronta elenchi di monete contenuti in alcune pratiche di mercatura dei secoli XIV e XV e in quattro trattati d’abaco del XIV secolo.2 Osserviamo che le liste di monete sono abbastanza rare nei trattati d’abaco, tuttavia utili contributi alla storia della moneta si possono desumere anche da altre sezioni dei trattati medesimi quali quelle dedicate alle leghe metalliche, al cambio e alla valuta delle monete. Sollecitata da Lucia Travaini ho esaminato numerosi trattati d’abaco manoscritti alla ricerca di ulteriori elenchi di monete. La mia indagine finora ha dato un solo risultato positivo che però, come vedremo, è di grande interesse. Il manoscritto in questione, contiene un trattato d’abaco composto dal senese Tommaso della Gazzaia agli inizi del XV secolo nel quale sono presenti tre elenchi di monete e numerose questioni ad esse legate quali il calcolo del loro prezzo e delle loro leghe. L’attenzione dell’auto1 Per un elenco, una descrizione e un sommario dei contenuti dei trattati d’abaco attualmente noti vedi: Warren Van Egmond, Practical Mathematics in the Italian Renaissance. A catalog of Italian abbacus manuscripts and printed books to 1600, Supplemento agli «Annali dell’Istituto e Museo di Storia della Scienza», Fascicolo 1, Firenze, 1980, pp. xliv+442. 2 Lucia Travaini, Monete mercanti e matematica, Roma, Jouvence, 2003.
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re a queste questioni ben si spiega se si tiene presente che egli apparteneva a una famiglia di mercanti e che i mercanti senesi erano prevalentemente mercanti-banchieri, cioè la merce principale da essi trattata era proprio il denaro.1 2. Il trattato d ’ abaco di Tommaso della Gazzaia Il manoscritto C. III. 23 della Biblioteca Comunale degl’Intronati di Siena della fine del XVII o inizi del XVIII secolo, delle dimensioni di 288 × 200-205 mm, è composto di 292 carte numerate più tre non numerate all’inizio e due alla fine. È rilegato in cartone con dorso in pergamena sul quale figura l’iscrizione miscellane a / storica / letteraria. È scritto con inchiostro marrone in una chiara grafia corsiva da un’unica mano. La numerazione delle pagine e l’indice seguente, contenuto nella terza carta non numerata iniziale, sono invece di mano diversa: Indici / Ottanta tre ottave delle quali mancano dieci in principio 1 / Cronaca di Ser Gorello in terza rima intorno ai fatti della città di Arezzo 14 / Varie lezioni cavate da due Mss dell’Istoria di Ser Gorello tutti e due di Sig. Baliredi 100 / Capitoli della Compagnia e spedale di S. Andrea Apostolo e di S. Honofrio fatti ed approvati in Siena nel 1351 nel mese di Maggio 110 / Trattato di Algebra e Geometria del Cav. Tommaso della Ghazaia di Siena 136 / Sonetto di M. Tommaso della Ghazaia, di M. Benuccio Salimbeni a Bido Bonichi, Bindo Bonichi a B. Salimbeni 285. Il codice contiene una serie di documenti di varia natura ricopiati, non sappiamo per quale motivo, da testi più antichi. Il trattato di Tommaso della Gazzaia o Agazzari occupa le carte 136r-284v, in realtà le sue carte sono 152, come del resto mostra una sua propria numerazione posta all’interno, poiché quella predetta che è posta all’esterno reca anche le segnature 139bis, 253bis, 277bis. La paternità del trattato è testimoniata da numerosi passi dell’opera nei quali l’autore afferma di avere personalmente trovato alcune delle regole presentate, si tratta di regole per calcolare la misura delle botti e la data della Pasqua.2 Le date degli esempi relativi all’ultima regola, comprese tra il 1400 e 1415, suggeriscono l’ipotesi che il testo sia stato compilato proprio in quell’arco di tempo. Era infatti consuetudine illustrare le regole 1 Vedi Marco Tangheroni, Siena e il commercio internazionale nel Duecento e Trecento, in Banchieri e mercanti di Siena, Siena, Monte dei Paschi di Siena, 1987, pp. 23-105. Riprodotto anche in Marco Tangheroni, Medioevo tirrenico, Pisa, Pacini Editore, 1992, pp. 133-193. 2 Io Tommaso de la Gazaja Kavaliere trovai per me medesimo certa regola da misurare le botti, c. 186r; Regola trovata e composta per me Tommaso di Missere Bartolomeo de la Gazaja Kavaliere, c. 269r; Questa seguente tavola dimostra a quanti dì del mese di Marzo o del mese di Aprile sia la Pasqua … colta e composta per me Tommaso Kavaliere de la Gazzaja, c. 264v, etc.
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con esempi contemporanei. La presenza di date molto precedenti 12701271, 1331-1332-1333 presenti in alcuni problemi commerciali, ci fa pensare invece che per queste parti Tommaso abbia trascritto testi più antichi. Per meglio illustrare il contenuto del trattato ne proponiamo un indice ricavato dai titoli che si incontrano nella lettura integrandoli laddove mancano. 136r. – Partire per regola 137v. – Multiplicazioni di numeri spezzati vel rocti 138v. – Soctraimento di numeri spezzati vel rocti 139r. – Diminuire vel menomare di numeri e rocti 139v. – A partire in ciento, cioè per lo quintale di ciento libre 139bisr. – 151v. – 156v. – Ragioni di baracti 159r. – <problemi di matematica ricreativa> 160r. – Regole tutte disposte delle tre chose 163v. – Ragioni di numeri 164v. – Praticha di Geometria e tutte misure di terre 173r. – Ragioni di tempo 175v. – Ragioni di saldare e di rechare a termine1 180v. – <esercizi di calcolo di leghe d’oro> 184r. – Regola da misurare botti e cogliare scemi 188r. – 230r. – <problemi di calcolo di interessi e sconti> 233r. – Inchomincia che chosa è saldare e rechare a termine2 240r. – Qui inchominciaremo a scrivare lege di monete 244v. – 245v. – 246r. – <problemi di calcolo di interessi> 253r. – Ragioni da leghare oro e argento 253v. – 255r. – La ragione della Luna3 259r. – Regola da misurare botti 260v. – Fare d’oro d’ogni ragione 261v. – 269v. – 277v. – La tavola e la regola da cogliere li scemi delle botti … fatta per Maestro Pavolo da Firenze. 278r. – 1 Gli esempi sono tutti relativi all’anno 1333. 2 Gli esempi sono relativi agli anni 1270-1271 e 1331-1332-1333. 3 Le regole sono relative all’età della luna e alla determinazione di quale sia il primo giorno dell’anno o del mese. Gli esempi sono relativi agli anni 1410, 1412 e 1415.
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La lettura dell’indice mette subito in evidenza che il testo è composto di due parti. La prima che occupa le carte dalla 136r alla 229v sembra più strutturata e corrisponde al contenuto standard di un trattato d’abaco elementare, seguito da una pratica di mercatura. La seconda si presenta come una miscellanea di argomenti, che si susseguono senza alcun ordine logico. Alcuni, come il calcolo degli interessi, ragioni di saldare e recare a termine, già presenti nella prima parte. Altri nuovi come le regole del calendario e quelle per calcolare la data della Pasqua e la capacità delle botti.1 Di alcune fra queste ultime, come abbiamo già osservato, l’autore rivendica orgogliosamente la paternità. La struttura del testo sopra evidenziata, suggerisce l’ipotesi che Tommaso abbia in un primo tempo compilato per suo uso personale un trattato d’abaco, annotando successivamente altri problemi su argomenti già trattati o nuove regole, alcune delle quali da lui stesso elaborate. Questa ipotesi è suffragata anche da quello che il trascrittore scrive all’inizio dell’opera: «Incipit Liber Geometriae P.us Quat.or / Paucis relictis sic sequitur». Il Liber Geometriae, in realtà un trattato d’abaco,2 corrisponde alla prima parte, i Paucis relictis, che potrebbero anche essere stati fogli sparsi, alla seconda. Come abbiamo già notato, Tommaso si dichiara autore di alcune delle regole presentate, per le altre parti del testo, in particolare per quelle concernenti gli argomenti classici della trattatistica dell’abaco egli può aver fatto riferimento a qualche testo compilato da uno dei numerosi maestri d’abaco che avevano insegnato e insegnavano a Siena.3 La parte più propriamente matematica del testo è comunque molto elementare, non sono infatti menzionate né le regole di falsa posizione né quella d’algebra. L’unico strumento matematico usato per risolvere i problemi è la 1 La parte del manoscritto relativa agli ultimi due argomenti è stata trascritta e studiata da Gino Arrighi, vedi: Gino Arrighi, Regole sul calendario del matematico senese Tommaso dalla Gazzaia, «Bullettino Senese di Storia Patria», 72 (1965), pp. 3-13; Gino Arrighi, La tenuta delle botti e il calcolo degli scemi, «Rivista di Storia dell’Agricoltura», n. 3, 1967, pp. 3-24. La Praticha di Geometria è trascritta e studiata in Tommaso della Gazzaia, Praticha di Geometria e tutte misure di terre. Dal ms. C. III. 23 della Biblioteca Comunale di Siena. Trascrizione di C. Nanni, introduzione di G. Arrighi, «Quaderni del Centro Studi della Matematica Medioevale», n. 1, Siena, 1982. 2 Ricordiamo che all’epoca in cui il trattato è stato trascritto la parola Geometria era spesso usata come sinonimo di matematica. 3 Sull’insegnamento dell’abaco a Siena vedi Stefano Moscadelli, Maestri d’Abaco a Siena tra Medioevo e Rinascimento, in L’Università di Siena: 750 anni di storia, Milano, 1991, pp. 111-129. Per un maestro d’abaco contemporaneo di Tommaso della Gazzaia che ci ha lasciato un trattato d’abaco più professionale, vedi: Raffaella Franci, Gilio da Siena: un maestro d’abaco del XIV secolo, in Atti del Convegno di Storia della Matematica Italiana, Cagliari, 29-30 Settembre-1 Ottobre 1982, Cagliari, 1983, pp. 319-323.
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regola del tre della quale si fa comunque un uso molto semplice. Gli stessi problemi presentati e risolti sono in genere facili. Gli interessi personali di Tommaso sembrano essere stati da un lato prettamente geometrici con una spiccata passione per il calcolo della capacità delle botti, dall’altro specificatamente mercantili come è testimoniato dall’ampio spazio riservato a quegli argomenti che più direttamente interessavano un operatore del commercio e della finanza. La trattazione è sempre molto pratica e diretta, così, per esempio, mentre la maggior parte dei trattati d’abaco, a partire dal Liber abaci di Leonardo Pisano, dedica un lungo capitolo al consolare delle monete, cioè ai modi di ottenere monete d’oro o d’argento aventi un titolo prestabilito partendo dal metallo puro con aggiunta di rame oppure da un miscuglio di vecchie monete d’argento, Tommaso dedica poco spazio teorico a questo argomento. Egli però a differenza della maggior parte degli altri autori fornisce dettagliati elenchi di monete delle quali quasi sempre indica la quantità di metallo prezioso presente. Il primo di questi elenchi, che inizia a carta 240v e termina a carta 244v, riguarda monete d’argento, il secondo e il terzo che occupano rispettivamente le carte 253v-254v e 260v-261r sono relativi a monete d’oro. Scarse ed irrilevanti sono invece le notizie relative alle monete nella dettagliata pratica di mercatura che occupa le carte 188r-229v, dove invece troviamo numerose informazioni sui pesi, le misure e usi doganali delle più importanti piazze commerciali europee e del vicino oriente.1 Chi era Tommaso della Gazzaia? La circostanza sopra ricordata che egli si dichiari autore di alcune delle regole che compaiono nel trattato ci potrebbe far pensare che egli fosse un professionista della matematica, per esempio un maestro d’abaco. Questa ipotesi è tuttavia da scartare in quanto lui stesso, nell’opera, afferma di dedicarsi alla matematica per suo diletto. A carta 271v leggiamo infatti «regola … trovata et composta per me Tommaso di Misser Bartolomeo de la Gazzaia per suo piacere dilettandosi de la scientia de la Geometria et à sempre inteso di stare a la correzione di chi più ne sapesse». Dal passo citato apprendiamo che Tommaso era figlio di Bartolomeo della Gazzaia. La famiglia de la Gazzaia o Agazzari, originaria della Gaz1 Le Tariffe o Pratiche di mercatura, propongono usualmente un elenco delle principali piazze d’affari europee e del vicino oriente, di ognuna delle quali vengono enumerate le unità di misura, le monete in corso, le consuetudini commerciali e le date delle fiere. Le pratiche di mercatura furono anche scritte e diffuse separatamente dai trattati d’abaco, tuttavia sono molti quelli che ne contengono una. Questa circostanza si spiega facilmente tenendo presente che spesso i mercanti tenevano un testo d’abaco nella loro bottega, da consultare quando avessero avuto necessità di rivedere o approfondire alcune delle nozioni apprese alla scuola. Nelle botteghe di solito era presente anche una pratica di mercatura, non è quindi strano che talora i due testi di consultazione venissero fusi insieme.
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zara o di Montichiello si trasferì a Siena nella seconda metà del secolo XIII, dove i suoi membri si dedicarono al commercio partecipando contemporaneamente anche al governo della città. Tommaso, fu nominato cavaliere nel 1385, e negli anni seguenti fino al 1430 è ricordato spesso negli atti ufficiali della repubblica senese come membro di ambascerie presso il papa, l’imperatore, il duca di Milano, come confaloniere ed esecutore della gabella del vino del Terzo di città. Fu anche podestà a Lucca, Todi, Bologna e Pisa.1 Fu spesso commissario del Comune in atti amministrativi dell’Ospedale di Santa Maria della Scala del quale divenne Rettore nel 1430.2 Come abbiamo già osservato alcune parti del trattato di Tommaso sono state trascritte e studiate, nel seguito noi ci occuperemo solo di quelle sezioni che sono di interesse per la storia della moneta, riteniamo però che l’intero trattato sia di grande interesse. In particolare sarebbe molto utile confrontarlo con altri testi del XIV secolo nei quali sono numerosi i riferimenti al commercio con la regione francese come quelli di Paolo dell’Abaco, Paolo Gherardi, Jacopo da Firenze. 3. La valuta dell ’ oro e dell ’ argento La parte iniziale del trattato, carte 139-150, che illustra il calcolo del prezzo delle merci, è dedicata per la maggior parte alla valuta dell’oro e dell’argento, cioè al modo di calcolare il prezzo delle monete d’oro e d’argento. L’esposizione inizia con l’indicazione dell’unità di peso usata per l’argento, il marco, suddiviso in 8 once. Per ulteriori suddivisioni Agazzari distingue due consuetudini principali. Secondo la prima, che egli afferma essere praticata in Valenza, in Catalogna e in tutta la Provenza tranne che alla corte papale di Avignone, il marco dell’argento è suddiviso in 8 once, ognuna delle quali vale 24 denari pesanti, 3 denari pesanti fanno un ternale, dunque ogni oncia vale 8 ternali. L’autore illustra questo uso con un semplice esempio nel quale calcola il prezzo di «13 marchi e oncie 5 et ½» sapendo che un marco costa 4 lire e 12 soldi.3 1 Vedi Antonio Sestigiani, Ordini, armi, residenze e altre memorie di famiglie nobili di Siena, ms. A13, Archivio di Stato di Siena. 2 Tra le attività di Tommaso connesse con l’Ospedale ricordiamo la sua partecipazione alla compilazione del Libro del pellegrino, testo edito di recente e di grande interesse per la storia della numismatica medioevale, vedi: Gabriella Piccinni, Lucia Travaini, Il Libro del Pellegrino (Siena 1382-1446). Affari, uomini, monete nell’Ospedale di Santa Maria della Scala, Napoli, Liguori Editore, 2003. 3 Ricordiamo che la lira è una moneta di conto che vale 20 soldi, un soldo vale a sua volta 12 denari.
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Nell’altro modo di pesare l’argento, che Tommaso dice essere di uso corrente in Italia, in Inghilterra e alla corte papale, un marco vale ancora 8 once, ma ogni oncia vale 20 sterlini; gli sterlini sono poi suddivisi in mezzi, quarti e ottavi. L’autore avverte che ognuno di questi sottomultipli acquista una denominazione diversa nelle diverse regioni.1 Anche in questo caso è proposto un semplice esempio nel quale si chiede di calcolare il prezzo di «18 marchi et 3 oncie et sterlini uno e mezzo» sapendo che un marco costa 4 lire e 8 soldi. Successivamente è presentata una serie di problemi nei quali si calcola il valore di una certa moneta d’oro relativamente ad un’altra. Preliminarmente l’autore osserva che se una lira di una qualunque moneta vale x lire di un’altra moneta, allora anche il denaro della stessa moneta vale x denari dell’altra e lo stesso rapporto vale per i soldi.2 Negli esercizi si calcola: – il valore di 12 lire e 8 soldi e 10 denari di tornesi d’argento in choronati, sapendo che un tornese vale 13 e 1/2 choronati – il valore di 123 lire 4 soldi 5 denari di sterlini d’argento in lire, sapendo che uno sterlino vale denari 5 e 1/4 – il valore di 967 fiorini d’oro in tornesi, sapendo che un fiorino vale 13 soldi e 5 denari di tornesi – il valore di 1234 agnelli d’oro in lire, sapendo che un agnello vale 15 soldi e 1/2 – la quantità di fiorini d’oro che entrano in 900 tornesi sapendo che 1 fiorino vale 13 soldi e 4 denari di tornesi piccoli – la quantità di agnelli d’oro che entrano in 900 lire sapendo che un agnello vale 13 soldi e 9 denari – la quantità di gigliati d’argento che entrano in 5 lire 2 soldi 3 denari se un gigliato vale 12 denari e mezzo. Successivamente l’autore affronta il problema di calcolare quale moneta sia più vantaggiosa nell’effettuare i pagamenti fra due piazze nelle quali sono in uso monete differenti. Noi siamo in Vignone et avemo a ffare un pagamento a Tholosa, et in Vignone vale lo fiorino dell’oro 13 soldi et 4 denari di choronati, cioè della moneta di Vignone, et a Tholosa vale lo fiorino 12 soldi tolosani et simigliantemente a Vignone vale lo tornese d’argento 13 choronati et Tholosa vale lo detto torne1 «Sichome sonno le chostumanze delle terre ciaschuno pone suo nome», c.143r. 2 «Qui si mostra di qualunque moneta d’argento noi dicessimo la cotal moneta vale chotanto, quanto varranno le chotante libre et chotanti soldi et chotanti denari della detta moneta in qualunque luogho noi fossimo», c. 144r.
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se d’argento 12 tolosani. Dimmi quale ci mettarà meglio a portare a Tholosa per fare lo detto pagamento in tra fiorini d’oro o tornesi d’argento. El paghamento sie di 400 libre della moneta di Tholosa. (c. 146r-v)
Tommaso, tenuto conto dei valori del fiorino d’oro nelle due piazze, calcola con una semplice proporzione che 1 lira di soldi avignonesi vale a Tolosa 18 soldi tolosani. Un calcolo analogo fatto sulla base dei valori del tornese d’argento da come risultato che 1 lira avignonese vale in Tolosa 18 soldi e 5 denari e 7/13 tolosani. Dunque «metterae meglio a portare tornesi d’argento che fiorini d’oro, 5 denari e 7/13 per ciascuna libra» che moltiplicati per 400 lire «sonno 9 libre e 4 soldi et 7 denari e 9/13, e tanto guadagnerae del cambio a portare tornesi d’argento meglio che fiorini». L’autore conclude osservando che il metodo di risoluzione usato è del tutto generale: «e chosì possiamo fare di qualunque monete fosseno e quanto fusse la valuta di ciascuna moneta». Egli propone comunque un altro esempio nel quale le due piazze su cui si fanno i pagamenti sono Avignone e Parigi e le monete che si devono confrontare sono l’agnello d’oro e il fiorino d’oro. L’autore che ha già introdotto le monete d’oro in numerosi esempi sente ora la necessità di spiegare il modo con cui si vende l’oro. Oro si vende e compra a marchi, et a oncie, el marcho si è 8 oncie, e ll’oncia si è 24 denari pesanti, el denajo pesante si è 24 grani, e legha a charati all’oro fino si è di 24 charata e non puote più montare. E quando noi diciamo questo horo è a charata 22 per oncia, si s’intende che in una oncia d’oro si àe charata 22 d’oro fino, e due charata di rame overo argento, secondo la legha. Et simigliantemente se noi dicessimo questo oro è a charati 19 e 1/2 per oncia, si intende che in una oncia d’oro abbia charata d’oro fino 19 e 1/2, di rame infino in 24, cioè charata 4 et 1/2, e se fosse alleghato ad argento si v’arebbe 4 et 1/2 d’argento. (c. 147v)
Anche in questo caso l’unità di peso è il marco diviso in 8 once: ogni oncia vale 24 denari pesanti, e ogni denaro pesante vale 24 grani. L’oro fino è a 24 carati per oncia. La trattazione prosegue con la presentazione di una regola per «comperare e vendere argento e biglione in qualunque terre fussemo et a qualunque moneta fusse». La regola molto semplice consiglia di informarsi sul prezzo locale del marco dell’argento fino e di calcolare il valore del denaro. Valutato poi il contenuto in denari della lega o del biglione che si vuole comperare o vendere si trova l’importo semplicemente moltiplicando i due valori trovati. Vengono proposti due semplici esempi nel primo dei quali si vuole comperare ad Avignone biglione a denari 3 e 1/2 di lega sapendo che il marco dell’argento fino costa 4 lire e 8 soldi di coronati. Nell’altro si vuole comperare a Parigi argento a denari 8 e 1/4 di lega sapendo che il marco dell’argento fino vale 66 soldi di parigini.
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Tommaso, che nei suoi esempi fino a questo punto si è sempre riferito alla Francia, ricorda che nell’Italia meridionale è in uso un diverso sistema di pesi la cui unità principale è ancora l’oncia suddivisa in 30 tarì, ciascuno dei quali vale 20 grani. A Napoli e per tutto lo regno e per tutta la Cicilia si àe uno peso e una channa e per tutto si compra e vende ad oncie ed a terì ed a grana, et 20 grana sono uno tarì e 30 terì sonno una oncia. E chosì come noi in Italia diciamo libre et soldi et denari, chosì si dicie nello regno et in Cicilia oncie et terì et grana, e quattro carlini di reali d’oro sono una oncia, e 60 carlini d’argento overo gigliati overo reali di Cicilia sonno una oncia. (c. 148v)
Questa parte della trattazione si conclude con alcuni esercizi nei quali si calcola il prezzo di date quantità d’oro o d’argento a diversa lega. Nelle carte dalla 180v alla 183v Tommaso risolve alcuni problemi relativi all’affinamento dell’oro e alla preparazione di leghe d’oro di titolo prestabilito a partire da due o più quantità d’oro di titolo diverso. Gli esercizi sono illustrati da semplici ma efficaci diagrammi. Alla fine l’autore avverte che si può procedere analogamente per l’argento ricordando che «tutti gli argenti s’allegano a denari di lega o a oncie, e tanto monta l’uno quanto l’altro». 4. Le liste di monete nel trattato di Tommaso della Gazzaia Nel trattato sono presenti tre elenchi di monete: uno relativo alle monete d’argento, gli altri due a monete d’oro,la cui trascrizione integrale è riportata in appendice. La valutazione del loro interesse numismatico è ovviamente compito degli studiosi specialisti, noi ci limitiamo a una breve descrizione e a qualche considerazione di carattere generale. Questi elenchi si possono utilmente confrontare con quelli contenuti negli altri trattati d’abaco, che sono tutti di epoca precedente, e con quelli presenti nelle pratiche di mercatura. Tutte queste liste sono trascritte e commentate nel più volte ricordato testo di Lucia Travaini. Per comodità di riferimento ne riportiamo l’elenco – Paolo Gherardi, Liber Habaci, ms. Magliabechiano XI, 88, Biblioteca Nazionale di Firenze, sec. XIII-XIV, G.1 – Anonimo, Trattato di aritmetica, Columbia University Library ms. X511 AL3, sec. XIII/XIV, C.2 1 Pubblicato in Paolo Gherardi, Opera matematica, a cura di Gino Arrighi, Lucca, Maria Pacini Fazzi, 1987, pp. 110-172. 2 Pubblicato in Kurt Vogel, Ein Italienisches Rechenbuch aus dem 14. Jahrhundert, München, Deutsche Museum, 1977.
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– Jacopo da Firenze, Tractatus algorismi, d. 1307, JF.1 – Anonimo, Trattato di aritmetica, Biblioteca Marciana Ms Ital. XI 18/1, c. 1305, M. – Francesco Balducci Pegolotti, La pratica di mercatura, 1290-1320, Pe. – Francesco Datini, La pratica di mercatura, c. 1300, D. – Acciaiuoli, La pratica di mercatura, Biblioteca Nazionale di Firenze raccolta Tordi n.139, c. 1306, A. – Lippo di Fede, Libro dei conti, c. 1314, L. – Saminiato de’ Ricci, Antonio di Francesco da Pescia, Manuale di mercatura, 1396-1418, S. – Pseudo-Chiarini, El libro di mercatantie et usanze de’ paesi, c. 1380, p-C. L’elenco delle monete d’argento, cc. 240v-244v, è assai ampio e, come vedremo, di grande interesse non solo per la numismatica. Le monete d’argento, all’epoca, erano di due tipi: grosse o bianche e piccole o nere. Le prime ad alto contenuto d’argento servivano assieme a quelle d’oro, per il commercio all’ingrosso sia locale che internazionale, le altre, a scarso contenuto di metallo prezioso, erano invece riservate al piccolo commercio locale, nondimeno la conoscenza anche di quelle di paesi stranieri era utile ai mercanti che spesso soggiornavano per lunghi periodi nelle loro filiali estere. La lista in questione è relativa prevalentemente a monete di stati appartenenti alla regione geografica francese, in particolare la parte iniziale è dedicata alle monete della Provenza, regione nella quale l’autore dichiara di risiedere al momento in cui scrive. L’elenco, infatti, inizia con l’affermazione: «inchominciaremo a quelle de rre Uberto inperoché nnoi siamo in luogo due si spende ditta muneta». Poiché la prima moneta dell’elenco è il choronato d’argento e i coronati, erano la moneta ufficiale della Provenza sotto il re Roberto,2 il re Uberto menzionato è quindi da identificare con questo sovrano che morì nel 1343. La lista è stata dunque compilata prima del 1343, ad avvalorare questa ipotesi concorre la circostanza che quasi tutte le monete elencate risultano essere in corso nella prima metà del XIV secolo, l’elenco, infatti, comprende solo monete coniate tra il 1307 e il 1343. Dunque Tommaso non può esserne l’estensore, egli può averla copiata oppure potrebbe essere finita tra le sue carte e copiata assieme ad esse dal copista che ci ha tramandato il testo. Che egli 1 Pubblicato in Annalisa Simi, Trascrizione e analisi del manoscritto Ricc. 2236 della Biblioteca Riccardiana di Firenze, Siena, Università degli Studi di Siena, Dipartimento di Matematica, Rapporto n. 287, 1995; e in Jens Høyrup, Jacopo da Firenze’s Tractatus Algorismi and Early Italian Abbacus Culture, Birkhäuser, Basel, 2007. 2 Marc Bompaire, Françoise Dumas, Numismatique Médiévale, Turnhout, Belgium, Brepols, 2000, pp. 557-563.
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fosse in possesso di un simile elenco non ci deve stupire, la sua, infatti, era una famiglia di mercanti e la Francia è sempre stato il mercato preferito dei mercanti senesi che vi si recavano spesso anche per lunghi soggiorni di affari.1 La lista potrebbe verosimilmente essere stata compilata da qualche antenato di Tommaso e far parte, assieme alla pratica di mercatura, degli strumenti del mestiere. Che si tratti di uno strumento di lavoro per mercanti e banchieri appare chiaro dalla sua lettura da cui emerge la cura con cui le monete sono descritte e che permette di identificarle senza equivoci. L’identificazione esatta di una moneta era, all’epoca, particolarmente necessaria in quanto le monete non avevano un valore facciale ma erano valutate per la quantità di metallo prezioso in esse contenuto. Ed è per questo motivo che accanto ad ogni moneta viene specificato il titolo della lega con cui è coniata. Nell’elenco le monete sono raggruppate per omogeneità geografica, di ogni regione vengono ricordate sia le monete grosse che quelle piccole. La descrizione è molto accurata, in alcuni casi il testo fa riferimento a disegni che purtroppo nella copia che ci è pervenuta mancano. La lista di monete d’oro contenuta a carte 253v-254v elenca 46 diverse monete di 35 delle quali è specificato anche il contenuto del metallo prezioso. Ricordiamo che le monete d’oro sostituirono quelle d’argento nelle grandi transazioni commerciali nella seconda metà del XIII secolo. La prima metà dell’elenco enumera monete di epoca molto antecedente a quella in cui si presume composto il trattato, essa infatti coincide, anche nell’ordine con quella di Jacopo da Firenze che Travaini dice contenere monete databili entro il 1300.2 Nella seconda parte della lista figurano invece anche monete più recenti quali per esempio i sanesi d’oro, battuti per la prima volta nel 1376,3 è curioso che di questa moneta l’autore non specifichi la caratura, che peraltro era pari a quella del fiorino di Firenze. Molte delle monete enumerate nella seconda parte della lista compaiono in una o più delle liste sopra menzionate. Per esempio gli ungari vecchi e quelli della mannaja sono menzionati in p-C, anche i reali fatti dopo gli agnelli sembrano corrispondere ai reali vecchi di Francia della medesima lista. Le doble di Morroco compaiono in varie liste ma tutte con carature diverse. I reali doppi de la riera potrebbero essere i reali d’oro della ciariera della lista Pe. Alcune però come i reali duri vecchi e nuovi, i vari tipi di miccianti non sono inclusi almeno con questa denominazione, in alcuna delle liste considerate. 1 Vedi p. e. Marco Tangheroni, Siena e il commercio internazionale, cit. 2 Lucia Travaini, Monete, Mercanti, cit., p. 104. 3 Gabriella Piccinni, Lucia Travaini, Il libro del pellegrino, cit., p. 110.
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La lista di monete d’oro che compare a carte 260v-261r è assai più corta della precedente giacché enumera solo cinque monete d’oro fino e nove di minor caratura. Questa seconda parte dell’elenco è evidentemente incompleta, l’autore, infatti, all’inizio di essa afferma di voler descrivere tutti i tipi di fiorini e altre monete d’oro mentre il resto della lista comprende solo nove voci. Questo elenco mostra una particolare attenzione alle monete della zona della vallata del Rodano e può essere datata attorno al 1365 ed è quindi più antica della precedente.1 Queste liste presentate al convegno Culture monétaire, aspects mathématiques technologiques et marchands (XIIIe-XIVe) (Centre Ernest Babelon, Orléans-Paris, 2-4 Septembre 2004), hanno suscitato grande interesse da parte del noto studioso di numismatica medioevale francese Marc Bompaire che ne sta curando un commentario sistematico. 5. Conclusioni Le liste di monete presenti nei trattati d’abaco non forniscono solo informazioni ai numismatici ma hanno una notevole utilità anche per gli storici della matematica, come illustriamo qui di seguito facendo riferimento al trattato di Tommaso della Gazzaia. Uno dei problemi più spinosi per gli studiosi dei trattati d’abaco medioevali è quello di stabilire la data di composizione del trattato o di alcune sue parti. Spesso il compilatore del manoscritto attinge a fonti diverse scritte in epoche diverse, pertanto anche quando è presente una datazione esplicita del trattato, questa garantisce solo che il materiale contenuto nel testo è stato elaborato antecedentemente. Considerazioni analoghe si possono fare anche per i testi datati mediante la filigrana della carta su cui sono scritti. L’esame dei contenuti e il loro confronto con quelli di altri testi permette spesso di stabilire che non tutte le parti sono coeve. Le sezioni che ci danno maggiori informazioni sulla data della loro composizione sono quelle relative al «saldare e recare a termine», i calendari, le regole per trovare la data della Pasqua e l’età della luna. In tutti questi casi, infatti, si fanno esempi in cui le date sono da ritenersi quelle vicine all’anno di composizione. È proprio l’applicazione di questo criterio che ci ha portati ad affermare che alcune parti del trattato di Tommaso sono state composte in tempi precedenti e quindi copiate da testi più vecchi. Per esempio le «ragioni di saldare e rechare a termine» sono relative agli anni 1370-1371 e 1331-1333, mentre le date 1410-1415, relative ai calendari e alle età della luna, regole delle quali l’autore rivendica la paternità, sono in effetti a lui contemporanee. Quindi l’esame in1 Marc Bompaire, comunicazione personale.
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terno del testo ci porta a formulare l’ipotesi che alcune parti siano state copiate da un trattato più antico compilato attorno agli anni 1330. Questa conclusione trova una conferma dall’analisi dei problemi sul calcolo della «valuta dell’oro e dell’argento» e dallo studio numismatico delle liste di monete. Per quanto riguarda i problemi, il dato interessante è il tasso di cambio, di cui altre fonti ci forniscono i valori per certi anni, ora i dati di cambio tra Tolosa ed Avignone usati nel testo concordano con quelli in uso negli anni 1330, fornendo così una conferma alla datazione dei problemi mercantili. Questo dato è anche coerente con la datazione della lista delle monete d’argento che si riferisce alla medesima regione. Una possibile obiezione a questo tipo di ragionamenti è che i dati contenuti nei problemi siano di pura fantasia, ma tenuto conto del carattere pratico di questi testi, sembra più ragionevole pensare che i dati avessero una veridicità al momento della prima stesura e che nelle successive copiature non venissero aggiornati, mantenendo comunque il valore di esempio che permetteva di risolvere lo stesso problema con qualunque altro valore, la veridicità di questa ipotesi è suffragata anche da controlli effettuati su altri testi.1 In conclusione dunque lo studio delle liste di monete e quello dei problemi sulle valute ci permettono di datare la prima parte del testo attorno al 1330 non solo ma ci permettono anche di affermare che l’autore di quel testo aveva uno spiccato interesse per le operazioni commerciali nell’area provenzale e più in generale francese. Tutto questo è infine in pieno accordo con quanto sappiamo sull’attività dei mercanti-banchieri senesi nel Trecento.2 Quanto detto finora ci conferma ancora una volta che i trattati d’abaco non vanno studiati solo per i loro contenuti matematici, ma sono fonti preziose anche per altri settori storiografici, che a loro volta possono contribuire alla migliore valutazione dei testi medesimi. Appendice In questa appendice sono trascritte integralmente le tre liste di monete presenti nel manoscritto. Monete d’argento c. 240v Qui inchominciaremo a scrivare leghe di monete e inchominciaremo a quelle de rre Uberto inperoché nnoi siamo in luogo due si spende la ditta muneta 1 Lucia Travaini, Monete, Mercanti, cit., p. 66. 2 Marco Tangheroni, Siena e il commercio internazionale, cit.
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Choronato d’ariento de re Uberto biancho cholla testa inchoronata, e ànno i gigli al petto, sono a d. 9 di lega1 Et avene a d. 11 di lega, e quelli ànno 4 punti dila la Crocie, e chelli che dichono Charlo rex sono a d. 11 1/2 di lega A pié ssono gigliati bianchi che sso a d.11 grana 4 di lega, ànno quelli dinsegni che ttu vedrai disengniato qui apresso2 Et acci d’un’altra maniera muneta biancha, cioè medaglia biancha che ssono a d. 10 e grana 4 di lega Quie apresso porremo monete nere de re Uberto Choronato nero che ànno la testa inchoronata e gigli nel petto, sonno di d. 3 di lega, apresso vedrai i detti sengniali in questa faccia Ruberto cholla chorona e llettere di sotto, sonno a d. 3 e grani 6 di lega, la loro figura vedra’ disengnata qui apresso Patacho che àe dal lato della Crocie 2 picholi Gigli e dall’altro lettare, sonno a d. 3 e grani 19 Rubertone che ànno uno picholo giglio dal lato dela Crocie e dall’altra parte la corona, sono a d. 2 e 1/2 di lega ne più ne meno Medaglie picciole sonno a d. 2 quelle che ànno la corona, cioè a d. 2 di lega Medaglie cholla testa inchoronata sono a d. 2 di lega, la loro figura disegnaremo quie apreso Medaglie picciole primaie di Giglio che ànno la Crocie tonda sonno a d. 1 grana 18 ne più ne meno Medaglie picciole che ànno il giglio alla grocie chol ganbo lungo, sonno d.1 grani 8 Pugiesi vechi che ànno 4 lettare sotto la corona e uno picholo giglio dal lato ritto della Crocie sonno a d. 2 di lega Pugiesi di somegliante forma ànno il picholo giglio dal lato mancho, sonno a d. 1 grana 18 di lega Pugiese ch’ànno il Giglio sotto la corona sono a d. 1 grana 12 di lega Pugiese ch’ànno i rre sotto la corona sono a d. 1 e grana 8 di lega Torneselli picholi Marguliesi Gienovini borgiesi Viennesi vecchi Et delfinati vecchi leonati Marsigliesi Rastrellini spronti
Tutte queste monete insieme sono di lega d. 3 grani 13
1 La definizione del fino argenteo in questa lista è fatta in denari e grani come era consuetudine in Francia, 1 oncia = 12 denari, 1 denaro = 24 grani. 2 Purtroppo qui e nel seguito nel manoscritto mancano i disegni.
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raffaella franci Medaglie Borgiesi Marcugliesi Marsigliesi
Tutte queste munete insieme sonno a d. 3 grani 2
c. 241r Qui apresso poremo munete bianche de rre di Francia Grossi tornesi che ànno il detto sengniale che ttue vedrai disengniato quie apresso sonno a d. 11 e 1/2 di lega Medaglie bianche che ànno il detto sengniale salvo c’ànno la corona dov’è la pichola Crocie e dall’altro lato alla grande chrocie, sonno a d. 10 grana 4 Medaglie bianche della stella, ànno i detti sengniali salvo ch’egli no ànno una stella dal lato della chorona, sonno a d. 7 grana 14 di lega Medaglie che sonno d. 6 e 15, ànno i punti in sulla Crocie, sono a d. 5 e grane 16 di lega Medaglie di 5 e 16, ànno il giglio in sulla Crocie, sonno a d. 5 grana 16 di lega Medaglie fiorate che ànno la Crocie pichola e d’altra parte il giglio, sono a d. 5 e grana 16 di lega Medaglie che ssi feciono per d. 4 che ànno la Crocie pichola e dall’altra parte ànno come vedrai diseniato, sonno a d. 8 grana 14 Avene a d. X grana 12 Quie apresso poremo munete nere de rre di Francia Pattachi 3 e 19 ànno la barra attraverso uno ganbo della Crocie, sonno a d. 3 e grana diciannove di lega Pattachi di 2 e 20 ànno la Croce per somigliante modo salvo che ànno a la Crocie i punti, e ànno 20 al giglio dal lato delle lettare, sono a d.2 e grana 20 di lega Pattachi di 2 1/2 ànno 2 istelle al pié del ganbo della Crocie e 2 istelle c. 241v dal lato delle lettare, sonno chol giglio dal lato, a d. 2 grana 12 di lega ne più ne meno Pattacho d’uno e 21 che ànno la Crocie per somigliante modo e nnon ànno nulla al giglio, sono di 2 maniere, cioè di quelli fiorati che ànno il giglio dalla parte due, gli altri ànno la Crocie, sono a d. 1 e grana 21 di lega Torneselli vechi ànno i detti segniali che quie fieno disengnati, sonno a d. 3 e grana 13 di lega Medaglie torneselle ànno i detti sengniali sono a d. 3 e grana 3 di lega Medaglie torneselle sonno a d. 3 e grani 14 Medaglie torneselle choronate sonno a d. 2 e grani 6 di lega Margugliese vechio ànno i detti sengniali che quie apresso si disegniarano sono, a d. 3 grani 13 di lega
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Mitte sonno a d. 2 di lega Parigini vechi ànno i detti sengniali disengniati quie apresso, sono a d. 4 e grani 8 di lega, avene a d. 4 chiamati Parigini pelati Borgiesi vechi ànno i detti sengnali, sonno a d. 5 grani 18 di lega, avene di più maniere, tutti sono a meno Valogi primi vechi sono a d. 5 grana 18 Valogi sichondi sono a d. 4 e grana 18 Valogi del detto Re di Francia sono a d. 3 grana 19 di lega e sonne di più maniere Morlani vechi d’ariento che ànno lettare nel giro e dell’altro lato una chrocie con 2 punti, sono a d. 5 grani 18 c. 242r Morlani nuovi ànno una crocie nel giro sono a d. 5 grani 18 Brettone nero àe nel giro l’arme a quartieri, sono a d. 2 grani 16 di lega Et quello che àe l’arme a quartieri entro lo scudo sonno a d. 1 di lega Muneta nera de rre d’Inghilterra che ànno lo leone nel mezo sono a d. 7 grani 12 e di tali ne sono a d. 3 Pattachi d’Orenga fatti come quelli di Francia gli primaj che erano a d. 3 grana 19, sono a d. 3 grana 20 Medaglie Parigine e mitte sono a d. 2 Bosanesi sono a d. 3 grana 16 Torneselli piccioli del Duca di Borgognia sono a d. 3 grani 13 Delfinati bianchi del Delfino dal lato della Crocie sono a d. 3 grana 22 Chastellani sono a d. 3 grani 12 Bolongnino picholo, astingniani picholi sono a d. 3 Terzaruole de re di Francia che ssi feciono 13 per uno grosso, sono ad. 11 grani 12 Mazzesi sonno a d. 2 grani 17 Majolichini sono a d. 2 e grani 14 Medaglie picciole del Dalfino a d. 1 grani 4 Medaglie del Prenze d’Orencha grani 10 c. 242v Qui apresso porremo munete stratte di molte maniere Sterlini bianchi de re d’Inghilterra ànno il d. sengniale, sono a d. 11 di lega e questa è la loro dritta lega Barzalonesi ragonesi cholla gullia buemini va d. 11 Grossi di Conte di Frania ànno i detti sengniali sono a d. 8 grani 17 di lega quelli che ànno la rosetta sopra la testa del leone e avene a d. 7 e 1/2 Grossi del Duca di Brabante ànno i detti sengniali, sono a d. 8 grani 12 di lega Grossi de re di Buemia ànno una chorona nel mezo e dall’altra parte ànno uno grande leone, sono a d. 10 grana 20 di lega, e questi dicono Ihos (?) dala parte della corona, e quelli che dicono vincielaus sono a d. 11 grana 4 1/2 Grossi de Re di Ragona che ànno di sopra la Crocie 4 corone son a d. 11 e 1/2
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PortoGallese der re di Portogallo a 5 scudi nel mezo sono, sono a d.11 grani 12 Bolongnino di Bolongnia ànno il detto sengnale, sonno a d. 10 1/2 di lega Lo Viniziano di Vinegia picholo è a d. 1(V?) di lega Chlementini, ragonesi, starlini, Marsigliesi vechi, Leonesi, Chavalieri del Prenza d’Orencha
Tutte queste monete sono di lega a d. 11
Chapelletti sono a d. 10 c. 243r Viniziani grossi, torneselli grossi, portogliesi, Parigini d’ariento, medaglie terze vechie. Tutte queste monete insieme sono a d. 11 grani 12 Gigliati der re Ruberto Gigliati del Papa Gigliati d’India vechi Terzaruole der re Terzaruole d’indi
Tutte queste monete insieme sono a d. 11 grani 5 di lega
Chonpangnioni l’uno per l’altro a d. 8 Dozzini di Valenza con 2 Crociette al lato alla Crocie in sul capo della guglia, sono a d. 3 grani 21 Dozini sichondi chon 2 o al lato dell Crocie in su la testa della guglia sono a d. 4 grani 22 Dozzini chon uno |o| e chrocie al lato alla Crocie e in sul chapo alla guglia a d. 3 e grani 22 Dozzini quarti chon una Crocie e chon uno punto sotto le tre penne della guglia a d. 2 e grani 21 Dozini quarti chon una crocie e chon uno punto sotto le 3 penne della guglia, a d. 2 e grani 21 Dozini quarti chon una Crocie a d. 3 e grani 3 Dozini sesti in diensa ànno una Crocietta al lato alla Crocie in sulla testa alla guglia, a d. 2 e grani 10 Barzalonesi sono a d. 2 e grani 21 Borgiesi sonno a d. 3 e garni 12 c. 243v Quie apresso porremo monete di Valenza e inchominciamo a gigliati Gigliati chon due oo tra lle lettare, sono a d. 11 e grani 4 Que ch’ànno uno o nel petto di nostra Donna sonno a d. 9 e grani 12 Que ch’ànno 2 Crociette tra le lettare sono a d. 8 Que ch’ànno la testa schostata dal giro sono a d. 5 Que ch’anno un o dietro alla testa sono a d. 4
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Que ch’anno due oo sotto piedi sonno a d. 3 Denari che ssi feciono in Savoja, tre denari per uno, s’intende, sono a d. 8 e gr. 20 / sono a d. 8 e gr.a 7 (?) Quie apresso porremo munete di missamari (?), incominceremo a gigliati Que ch’ànno due Crociette tra le lettare sono a d. 8 Que ch’ànno due Croci e una Crocietta o istela una sono a d. 7 e grana 12 Que ch’ànno due stelle tra lle lettare sono a d. 6 e grani 6 Que ch’ànno due rosette tra lle lettare sono a d. 5 e grani 12, que ch’ànno i punti a d. 5 Que ch’ànno la Crocie atraverso il petto di nostra donna sono a d. 4 Que ch’ànno i punti sotto i piedi sono a d. 3 Dalfini chol grande Dalfino che sssi feciono due per uno grosso sanza il punto sotto il corpo del pescie, sono a d. 6 grani 4 Dalfini d’ariento chol punto sotto il corpo del pescie, sono a d. 5 grani 22 Dalfini primi quando cominciò chattiva muneta, sono a d. 4 grani 21 Delfini sichondi ch’ànno uno punto e una Crocie al lato la testa, sono a d. 3 grani 2 Delfini terzi che ànno allato alla testa 2 punti e 2 Crociette sonno a d. 3 grani 13 c. 244r Delfini d’ariento ch’anno 3 punti intorno alle lettare sonno a d. 6 grani 10 Quie apresso porremo munete del dalfino di Vienna chominciaremo a gigliati Gigliati chon 3 punti tra lle lettare sono a d. 8 Gigliati cholle Croci tra lle lettare sonno a d. 7 Quie apresso porremo munete d’Orenga e chominciaremo a gigliati Que ch’ànno 4 corna chol libro grande sono a d. 8 Que ch’ànno 4 corna chol libro picholo sono a d. 7 grana 12 Que ch’ànno il pichollo libro senza corna sono a d. 6 grana 12 Que ch’ànno il giglio in mano sono a d. 5 Quie apresso porremo monete di sancto Pavolo e chominciaremo a gigliati Que ch’anno il fanciullo dal lato mancho chon 3 chasella dal lato dritto della Crocie, sono a d. 5 grani 18 Que ch’ànno il fanciullo dal lato ritto e lle 3 chasella chon una aguglia sono a d.4 grani 12 Que ch’ànno 3 chastella chon una aguglia dal lato mancho della Crocie a d. 5 Que ch’ànno le rosette da ongni lato sono a d. 5 Que ch’àno le rosette dall’uno lato e punti dall’altro sono a d. 3 e grani 12 Quie apresso porremo munete di Vienna e inchominciaremo a gigliati Que ch’ànno la Crocie in chapo a modo di chorona sono a d. 5 grani 12 Que ch’ànno la Corona a modo di Sc.o (?) sono a d. 4
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Quie apresso poremo munete di Dosola e chominciaremo a Gigliati Gigliati ch’ànno due oo tra lle lettare sono a d. 5 grana 12 c.244v Que ch’ànno il pasturale al lato la testa di nostra donna, sono a d. 4 grani 20 Que ch’àno una agugli allato la crocie sono a d. 4 Que ch’ànno il giglio al lato la croccie e nnon dall’altro lato, sono d. 3 grani 12 Que ch’ànno il giglio da ongni parte, sono a d. 3 Que ch’ànno i punti da ongni lato sono a d. 2 grani 12 Monete d’oro, I c. 253v Qui apresso saranno scritte tutte leghe e tenute di monete d’oro generalmente e prima Fiorini d’oro di Firenze sono a carate 24 per oncia Agostani d’oro de l’onperadore sono a carate 20 1/2 Perperi paglialocati sono a carrate 15 Perperi nuovi d’oro sono a carate 14 Doble de la mirra sono a carate 23 1/2 Doble da Rascetto sono a carate 23 1/4 Chastelllani d’oro sono a carrate 23 1/2 Anfosini d’oro sono a carrate 20 1/2 Tornesi d’oro sono a carrate 23 3/4 Bisanti vecchj sono a carrate 24 Perperi vecchi comunali e mezani sono a carati 17 per oncia Bisanti saracinati di 12 per oncia sono a carate 15 Lucchesi d’oro a cavallo sono a carrati 18 c. 254r Gianovini d’oro a cavallo sono a carrate 24 meno 1/15 Oro di teri sono a carrate 16 1/3 Genovini d’oro a piedi sono a carrate 23 1/4 Charlini d’oro sono a carrate 24 Pezzetti di Bisanti sono a carrate 11 3/4 Romanini d’oro sono a carrate 24 meno 1/18 Parigini der Re di Francia coli agnius Dei sono a carrate 23 3/4 Venitiani d’oro di Vinegia sono a carrate 24 Ragonesi d’oro sono a carrate 23 3/4 Bisanti d’Acri colla crocetta sono a carrate 15 2/3 Lucchesi anno il 9 a cavallo sono a carrate 24 meno 1/18 Dobble di Morrocco sono a carate 23 1/4 Oro fino senpre a carate 24 Reali d’oro di Majolica sono a carate 23
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Doble d’oro che corrono per buone a Majolica en ispagna e aragona sono a carrate 22 3/4 Reali d’oro de la riera sono a carate 24 Miccianti e picolini fiorini der re di Francia sono a carrate 24 Angnelli d’oro sono a carrate 24 Reali duri vecchi sono a carrate 23 1/4 Reali duri nuovi sono a carrate 21 1/2 Miccianti de la Camera de la Reina sono a carrate 23 1/2 Miccianti duri e quelli de la Carrera tanto l’uno quanto l’altro Reali fatti dopo gli agnelli sono a carrate 23 7/8 c.254v Bolognini d’oro sono a carrate Ungari vecchi sono a carate Ungare de la Manaja sono a caratj Pisani d’oro sono a carrate Sanesi d’oro sono a carrate Papali d’oro di Giglio S.to Giovanni sono a carrate Papali d’oro cole chiave e cola mitria sono a carrate Fiorini di Misser Barnabo sono a carrate Fiorini del Duca di Milano sono a carrate Corone d’oro di Francia sono a carate Scudi d’oro di Francia sono a carate Monete d’oro, II c. 260v Fare d’oro d’ongni ragione come apresso diremo e cominciaremo a oro fine Fiorini di Firenze sonno fini e non altro fiorino che cura, non si fa tanto fino quanto di Firenze a ca. 24 Duchati d’oro fatti a Vinegia a ca. 24 Gienovini d’oro di Gienova sonno a ca. 24 Fiorini di camera fatti a Vignione per Papa Inocienzo o per Papa Urbano di peso d. 3 gr. 1 a ca. 24 Fiorino dela Reina Giovanna ch’ànno una corona e dall’altra parte una Crocie doppia pesano l’uno d. 3 gr 1 a ca. 24 c. 264r Altri ori non so’ fini di 24 carati ma diremo d’ongni maniera fiorini e altre monete d’oro Fiorini d’Araghona vecchi che ànno aperto il punto del mantello e pesano scharsi 3 d. a l’uno di tara grani 4 1/2 Fiorini d’Araghona nuovi ànno chiuso il punto che gli altri ànno aperto gr. 9 Fiorini d’Oringha ànno le lettare per sengnale a lato a la testa di Santo Giovanni e su lettere non à niente, sono gra. 2 De detti ànno per sengnale l’elmo aperto e l’elmo è torto in giù, ànno 3 gr
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Detti ànno il detto sengnale e l’elmo ritto e non ànno puntato il piue del giglio che da una parte e quela è dala parte del G e simigliantemente quegli ànno lettere e sopra grani 3 1/1? Istessi ànno J stellette sono alle dette leghe cioè Fiorini dell’Arcivescovo d’Arli ànno per segnale J? sotto la testa di Sancto Giovanni di gr. 2 Fiorini fatti a santo Pagholo ànno per sengnale 1 tore e da latra parte del Giglio 1 rosa e questa rosa non à niuno punto, ànno grana 2 De detti ànno il detto sengnale e la detta rosa puntata. Pervenuto in redazione il 24 settembre 2007
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composto, in carattere dante monotype, impresso e rilegato in italia dalla accademia editoriale ® , pisa · roma
* Dicembre 2007 (cz2/fg21)
LA MATEMATICA ANTICA IN CD-ROM
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no dei maggiori problemi nell’insegnamento e nella ricerca in Storia della matematica consiste nella difficoltà di accedere alla opere originali dei matematici dei secoli passati. Ben pochi autori, in genere solo i più importanti, hanno avuto edizioni moderne; per la maggior parte occorre rivolgersi direttamente alle edizioni antiche, presenti solo in poche biblioteche. Questa situazione è particolarmente gravosa nei centri privi di biblioteche importanti, dove anche lo svolgimento di una tesi di laurea in storia della matematica è ritardato dai tempi, a volte lunghissimi, necessari per procurarsi fotocopie o microfilms delle opere necessarie, ma sussiste anche nei centri maggiori, dove in ogni caso l’accesso ai volumi antichi è sottoposto a controlli e limitazioni. Per ovviare almeno in parte a questi inconvenienti, e permettere una maggiore diffusione della cultura storico-matematica, il Giardino di Archimede ha preso l’iniziativa di riversare su CD-rom e diffondere una serie di testi rilevanti per la storia della matematica. Ogni CD contiene circa 5000 pagine (corrispondenti circa a 15-20 volumi) in formato PDF. La qualità delle immagini è largamente sufficiente per una agevole lettura anche dei testi più complessi e non perfettamente conservati. Il prezzo di ogni CD è di 130 euro. Per acquisti o abbonamenti a dieci o più CD consecutivi viene praticato uno sconto del 20%. Per ulteriori informazioni si può consultare il sito del Giardino di Archimede: www.archimede.ms Per ordinazioni: Il Giardino di Archimede Via San Bartolo a Cintoia 19a 50143 Firenze Tel. ++39-055-7879594, Fax ++39-055-7333504 e-mail: [email protected] Indice degli ultimi cd pubblicati: GdA 41
Bonfioli Malvezzi, Antonio, Epistola de Galilaei demonstratione a cl. Andres exposita. De Martino, Pietro, De luminis refratione et motu. Napoli, 1741. Köchler, Johann Baptist, Elementa ignis, aquae et terrae. Innsbruck, Wagner, 1734. Lorgna, A. Mario, Discorso sopra l’Adige. Verona, Moroni, 1768.
Lorgna, A. Mario, Dissertazione sopra l’aria di Mantova. Mantova, Pazzoni, 1771. Lorgna, A. Mario, Dissertazione sopra le pressioni dell’acqua. Mantova, Pazzoni, 1769. Lorgna, A. Mario, Fabbrica ed usi della squadra di proporzione. Verona, Moroni, 1768. Lorgna, A. Mario, Memorie intorno all’acque correnti. Verona, Moroni, 1777. Lorgna, A. Mario, Opuscula mathematica et physica. Verona, Moroni, 1770. Lorgna, A. Mario, Opuscula tria ad res mathematicas pertinentia. Verona, Ramanzini, 1767. Lorgna, A. Mario, Principi di geografia astronomico-geometrica. Verona, Ramanzini, 1789. Luini, Francesco, Delle progressioni e serie. Milano, Galeazzi, 1767. Luini, Francesco, Esercitazione matematica, e altri opuscoli di vari autori. Milano, Marelli, 1769. Maffei, Scipione, Della formazione de’ fulmini. Verona, Tumermani, 1747. Maffei, Tommaso Pio, De cyclorum soli-lunarium inconstantia et emendatione. Venezia, Bartoli, 1706. Mairan, Jean Jacques, Lettre sur la question des forces vives. Paris, Jombert, 1741. Mairan, Jean Jacques, Dissertation sur la glace. Paris, Imprimerie Royale, 1749. Malfatti, Gianfrancesco, De natura radicum in aequationibus quarti gradus. Ferrara, Barberi, 1758. Mancini, Giulio, Apologia dell’occhio. Opera ottico-metafisica. Siena, Pazzini Carli, 1795. Manfredi, Eustachio, Compendio et esame del libro “Effetti dannosi…”. Roma, Camera Apostolica, 1718. Manfredi, Eustachio, De gnomone meridiano Bononiensi. Bologna, Volpe, 1736. Manfredi, Eustachio, Mercurii ac solis congressus. Bologna, Pisarri, 1724. Manfredi, Eustachio, Replica de’ bolognesi ad alcune considerazioni dei ferraresi. Roma, Gonzaga, 1717. Manfredi, Eustachio, Elementi della geometria piana e solida. Bologna, Volpe, 1755. Manni, Domenico Maria, Degli occhiali da naso inventati da Salvino Armati. Firenze, Albizzini, 1738. Marchelli, Giovanni, Trattato del compasso di proporzione. Milano, Galleazzi, 1759. Marchetti, Alessandro, Discorso a Bernardo Trevisano contro la “Risposta apologetica” del p. Grandi. Lucca, Venturini, 1714. Marchetti, Francesco, Risposta apologetica contro G. Battista Clemente Nelli. Lucca, Giuntini, 1762. Marchetti, Francesco, Vita e poesie di Alessandro Marchetti. Venezia, Valvasense, 1755.
Marescotti, Giacomo, Alla sacra congregazione delle acque. Roma, Bernabò, 1765. Mari, Gioseffo, Lettera sopra il trasporto del canale di Busseto. Parma, Rossi e Ubaldi, 1798. Marinoni, Giovanni, De astronomica specula domestica. Vienna, Kaliwod, 1745. Marsili, Luigi Ferdinando, Instrumentum donationis in gratiam novae scientiarum institutionis. Bologna, 1712. Martin, Benjamin, Grammatica delle scienze filosofiche. Bassano, Remondini, 1769. Martini, Ranieri Bonaventura, Analysis infinite parvorum, sive Calculi differentialis elementa. Pisa, Carotti, 1761. Marzagaglia, Gaetano, Nuova difesa dell’antica misura delle forze motrici. Verona, Ramanzini, 1746. Mascardi, Giuseppe, Replica alla scrittura “Risposta idrometrica sopra il progetto di diramare il Tartaro in Po”. Bologna, Volpe, 1769. Mascheroni, Lorenzo, La geometria del compasso. Pavia, Galeazzi, 1797. Mascheroni, Lorenzo, Problemi per gli agrimensori. Pavia, Comino, 1793. Matani, A Maria, Dissertazioni sopra l’istoria delle varie opinioni relative alla figura della Terra. Pisa, Pizzorno, 1766. Matheseophilus, Problemata mathematica quadraturam circuli concernentia. Augsburg, Pfeffel, 1733. Maupertuis, Pierre Louis, Camus, Clairaut, La figure de la Terre. Paris, Imprimerie Royale, 1738. Maupertuis, Pierre Louis, Examen des ouvrages qui ont été faits pour déterminer la figure de la Terre. Paris, Bachmuller, 1738. Mazzuchelli, Giammaria, Notizie istoriche e critiche intorno ad Archimede. Brescia, Rizzardi, 1737. GdA 42 Mengoli, Pietro, Novae quadraturae arithmeticae. Bologna, Monti, 1650. Mengoli, Pietro, Speculationi di musica. Bologna, Benacci, 1670. Mercator, Nicolaus, Institutiones astronomicae. Padova, Seminario, 1685. Mersenne, Marin, Cogitata physico-mathematica. Paris, Bertier, 1644. Mersenne, Marin, Novarum observationum physico-mathematicarum tomus III. Paris, Bertier, 1647. Mersenne, Marin, Questions physico-mathematiques. Et les mechaniques du sieur Galilée. Paris, Guenon, 1635. Meschini, Domenico, Narrazione delle solenni esequie del Sig. Francesco Piccolomini. Siena, Marchetti, 1608. Micalori, Giacomo, Antapocrisi. Roma, Cavalli, 1635. Micalori, Giacomo, Della sfera mondiale. Urbino, Mazzantini, 1626. Michelini, Famiano, Trattato della direzione de’ fiumi. Firenze, Stamperia della stella, 1664.
Michelini, Gio Battista, Il vero giorno della Pasqua. Ravenna, Pezzi, 1685. Mignotti, Lanfranco, L’ultima parte della geometria. Pavia, Bartoli, 1620. Milliet Dechales, Claude Francois, L’art de naviger. Paris, Michallet, 1677. Minati, Asinio, Brevi considerazioni sopra la cometa apparsa nel mese di agosto 1682. Firenze, alla Condotta, 1682. Miscellanea italica physico-mathematica. Collegit Gaudentius Robertus. Bologna, Pisari, 1692. Mocenico, Leonardo, Philosophus peripateticus. Roma, Phaei, 1615. Molyneux, William, Sciothericum telescopicum. Dublin, Crook and Helsam, 1686. Monconys, Balthasar, Iournal des voyages (3 vol.). Lyon, Boissat & Remeus, 1665-1666. Monod, Pierre, Il capricorno, o sia l’oroscopo di Augusto Cesare. Torino, Tarino, 1633. Montalbano, Ovidio, Speculum euclidianum. Bologna, Ferroni, 1629. Montalto, Filippo, Optica. Firenze, Giunti, 1606. GdA 43 Benedetti, Giovan Battista, Speculationum liber. Venezia, Baretti, 1599. De gli elementi. Venezia, Aldo, 1557. Del Monte, Guidobaldo, De ecclesiastici calendarii restitutione. Pesaro, Concordia, 1580. Del Monte, Guidobaldo, De cochlea libri quatuor. Venezia, Deuchino, 1615. Del Monte, Guidobaldo, Le mechaniche. Venezia, Franceschi, 1581. Del Monte, Guidobaldo, Mechanicorum liber. Venezia, Deuchino, 1615. Del Monte, Guidobaldo, Perspectivae libri sex. Pesaro, Concordia, 1600. Del Monte, Guidobaldo, Planisphaeriorum universalium theorica. Pesaro, Concordia, 1579. Del Monte, Guidobaldo, Problematum astronomicum libri septem. Venezia, Giunti e Ciotti, 1609. Manilius, Marcus, Astronomicon. Leyden, Rapheleng, 1600. Manzoni, Domenico, Quaderno doppio col suo giornale. Venezia, Comin da Trino, 1554. Martelli, Ugolino, La chiave del calendario gregoriano. Lyon, 1583. Marzari, Giacomo, Scelti documenti in dialogo a’ scholari bombardieri. Vicenza, Perin, 1595. Maurolico, Francesco, Quadrati fabrica et eius usus. Venezia, Bascarini, 1546. Mela, Pomponio, I tre libri del sito, forma e misura del mondo. Venezia, Giolito, 1557. Melanchthon, Philipp, Doctrinae physicae elementa, sive initia. Lyon, Tornes et Gaze, 1552.
Mellini, Domenico, Discorso nel quale si prova non si poter dare un movimento che sia cotinuovo et perpetuo. Firenze, Sermartelli, 1583. Memmo, Giovanni Maria, Tre libri della sostanza e forma del mondo. Venezia, De Farri, 1545. Mengoli, Cesare, Della navigatione del Po di primaro. Cesena, Raveri, 1600. Mercator, Bartholomaeus, Breves in Sphaeram meditatiunculae. Birckmann, 1563. Mercator, Gerhard, Chronologia. Birckmann, 1569. Michele, Agostino, Trattato della grandezza dell’acqua et della terra. Venezia, Moretti, 1583. Mirami, Rafael, Compendiosa introduttione alla prima parte della specularia. Ferrara, Rossi e Tortorino, 1582. Mizauld, Antoine, Ephemerides aeris perpetuae. Antwerp, Beller, 1560. Mizauld, Antoine, Funebre symbolum de Orontio Finaeo. Paris, Gourbin, 1555. Mizauld, Antoine, Planetae, sive Planetarum collegium. Paris, Guillard, 1553. Moleti, Giuseppe, Discorso nel quale si insegnano tutti i termini e tutte le regole della geografia. Venezia, Valgrisi, 1561. Moleti, Giuseppe, Discorso … della geografia di nuovo ricorretto e accresciuto. Venezia, Ziletti, 1573. Moleti, Giuseppe Efemeridi dall’anno 1563. Venezia, Valgrisi, 1563. GdA 44 Milliet Dechales, Claude Francois, Cursus seu mundus mathematicus. Lyon, Anisson, Posuel et Rigaud, 1690. GdA 45 Benvenuti, Carlo, De lumine. Roma, De Rossi, 1754. Benvenuti, Carlo, Synopsis physicae generalis. Roma, De Rossi, 1754. Boscovic, R. Josip, De inaequalitate gravitatis in diversis Terrae locis. Roma, De Rossi, 1741. Boscovic, R. Josip, De lentibus et telescopiis dioptricis. Roma, De Rossi, 1755. Controversia sul Reno: Ragioni della città di Ferrara nella controversia con i Signori della Gabella grossa di Bologna. Ferrara, Barbieri, 1710. Risposta dei Sindici della Gabella grossa della città di Bologna alle pretese ragioni della città di Ferrara. Bologna, Benacci, 1711. Mezzavacca, Flaminio, Otia sive ephemerides felsineae recentiores, vol. I. Bologna, Pisari, 1701. Mezzavacca, Flaminio, Otia sive ephemerides felsineae recentiores, vol. II. Bologna, Pisari, 1701. Michelini, Famiano, Trattato della direzione de’ fiumi. Bologna, Borzaghi, 1700.
Michell, John, Traité sur les aimants artificiels. Paris, Guérin, 1752. Montucla, Jean Etienne, Histoire des mathématiques, vol. I. Paris, Agasse, 1799. Montucla, Jean Etienne, Histoire des mathématiques, vol. II. Paris, Agasse, 1799. Montucla, Jean Etienne, Histoire des mathématiques, vol. III. Paris, Agasse, 1802. Montucla, Jean Etienne, Histoire des mathématiques, vol. IV. Paris, Agasse, 1802. GdA 46 More, Henry, Opera omnia. London, Norton, 1679. Moretti, Tommaso, Trattato dell’artiglieria. Venezia, Brogiollo, 1665. Naudin, L’ingenieur francois. Paris, Michalet, 1696. Connette, Michel, La geometrie practique. Paris, Ulpeau, 1626. Marchetti, Alessandro, Exercitationes mechanicae. Pisa, Ferretti, 1669. Martinelli, Domenico, Horologi elementari. Venezia, Tramontino, 1669. Metius, Adrian, Arithmeticae libri duo; et Geometriae lib. VI. Leiden, Elsevier, 1626. Montanari, Geminiano, L’astrologia convinta di falso. Venezia, Nicolini, 1685. Montanari, Geminiano, Copia di lettere ad Antonio Magliabechi. Venezia, Poletti, 1681. Montanari, Geminiano, Copia di lettera a G. Orsi. Bologna, Manolessi, 1676. Montanari, Geminiano, Discorso sopra la tromba parlante. Venezia, Albrizzi, 1715. Montanari, Geminiano, La fiamma volante. Bologna, Manolessi, 1676. Montanari, Geminiano, Le forze d’Eolo. Parma, Poletti, 1694. Montanari, Geminiano, Lezione accademica sopra le controversie passate fra il dottissimo sig. N. N. [Donato Rossetti] e lui. Torino e Bologna, Manolessi, 1678. Montanari, Geminiano, Manualetto dei bombisti. Verona, Merlo, 1682. Montanari, Geminiano, Pensieri fisico-matematici … intorno diversi effetti dei liquidi in cannuccie di vetro. Bologna, Manolessi, 1667. Montanari, Geminiano, Prostasi fisico-matematica: discorso apologetico di Ottavio Finetti intorno alle gare nate fra il sig. dottore Donato Rossetti e il sig. dottore Geminiano Montanari. Bologna, Manolessi, 1669. Montanari, Geminiano, Speculazioni fisiche … sopra gli effetti di quei vetri temprati. Bologna, Manolessi, 1671. GdA 47 Belgrado, Jacopo, De vita B. Torelli Commentarius. Padova, Seminario, 1745, Boscovich, R. G., Maire, C., De litteraria expeditione ad dimetiendos duos meridiani grados. Roma, Pagliarini, 1755.
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BOLLETTINO DI STORIA DELLE
SCIENZE MATEMATICHE
Anno XXVIII · Numero 1 · Giugno 2008
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SOMMARIO Cesare S. Maffioli, «Acqua premuta». Benedetto Castelli and the incompressibility of water
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Paolo Freguglia, Viète reader of Diophantus. An analysis of Zeteticorum libri quinque. 51
«Bollettino di storia delle scienze matematiche» · Vol. XXVIII · 2008 · Fasc. 1
«ACQUA P R E M UTA». B E N E D E T TO CAS T E LLI A ND TH E I N CO M P RE S S I B ILIT Y OF WAT E R Cesare S. Maffioli* Abstract: Castelli’s Della misura dell’acque correnti (1628) stood out from current engineering practices and deep rooted philosophical beliefs such as that of the condensation of water. This second line has not yet been fully acknowledged because Castelli only hinted at it by criticizing Giovanni Fontana’s measurements of the Tiber and his use of the term acqua premuta. The acknowledgement of the incompressibility of water was nonetheless an essential prerequisite of Castelli’s mathematical formulation of the continuity law of running water. In this paper the
question of incompressibility is approached from different angles: Galileo’s hydrostatics and the Florentine debate on the causes of floating and sinking; the corpuscular views of Hero of Alexandria, Patrizi, Galileo and Castelli; the engineering context; Cabeo’s criticism of Castelli. The focus is nonetheless on the geometric part of Castelli’s tract in order to show that the simplification allowed by the principle of the incompressibility of water was instrumental for giving a new kind of mathematical and physical coherence to this old subject.
1. Introduction n his 1628 tract Della misura dell’acque correnti, Benedetto Castelli was able to overcome two main obstacles that until then had delayed the emergence of an exact formulation of what is now known as the law of continuity for incompressible fluids. At the time, a geometric method for studying the flow of fluids still waited to be developed and even the basic idea of the incompressibility of water was a matter of contention. Al-
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* Cesare S. Maffioli, 8 rue A. De Musset, L-2157, Luxembourg. E-mail: [email protected] This article is a revised and extended version of a paper that was delivered at a workshop on 16th- and 17th-century mechanics organized by the ‘Centro di Ricerca Matematica Ennio De Giorgi - Scuola Normale Superiore’ (Pisa, 25-26 November 2005). Parts of it in earlier forms had been previously discussed at the ‘Dibner Institute for the History of Science and Technology – MIT’, at the ‘Department of History and Philosophy of Science of Indiana University’ and at the ‘CIS - Department of Philosophy’ of Bologna University. I thank Allen Shotwell for the help provided in revising the English text. «Bollettino di storia delle scienze matematiche» · Vol. XXVIII · 2008 · Fasc. 1
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cesare s. maffioli
though both steps were essential for expressing in a manageable form the law of continuity of running water, Castelli discussed them in a curious way. In the first part of the book, critical remarks on the lack of understanding of the incompressibility and the measure of running water were levelled just against engineering practices and beliefs while, in the second part, the principle of conservation of volumes was just implicitly taken for granted and not clearly and openly stated. Still more bewildering is the odd inversion of the usual mathematical order. Corollaries and appendixes are to be found in the first part of Castelli’s tract, while mathematical definitions, axioms and propositions in the second. What is more, Castelli proposed two ways of reading his book. Those who were proficient in mathematics could start with reading the second part which is provided with a separate title page and has a different title, Demostrazioni geometriche della misura dell’acque correnti, and then turn to the first part for practical examples and further qualitative development. Those who instead had not at least studied the first six books of Euclid’s Elements might nevertheless understand the first part, in which the doubts about the ordinary measure of running water were put forward in the very order that had occurred to Castelli and the subject was explained by examining the «cose stesse naturali».1 Contrary to usual mathematical practices in which the printed work gives scarce or no hints of the heuristic path followed by the author, in Castelli’s book the contexts of discovery and justification are juxtaposed and even closely connected. Although this article primarily concerns the issue of the incompressibility of water, it cannot therefore avoid dealing with Castelli’s geometry of running water and some aspects of the engineering context of the discovery of the continuity law. To understand the problems met by Castelli, it is also worth comparing his approach with earlier mathematical, philosophical and engineering attempts at disentangling some elements of the continuity law. 2. Practical geometry and the arithmetic of flow In the prefatory discourse, after having emphasized the two possible reading orders of his book, Castelli explained the first doubts on the ordinary measure of running water that had occurred to him. Several times, he had heard saying 1 B. Castelli, Della misura dell’acque correnti, Roma, Stamparia Camerale, 1628, p. 3.
benedetto castelli and the incompressibility of water 11 that such a river is two or three thousand feet of water or that such a fountain is twenty, thirty or forty oncie, &c.
Although even engineers and periti used this kind of language, Castelli confessed of not understanding it at all. His doubt arose from his frequent observation of ditches and channels carrying water to turn mills. The ordinary measure of the flow at a certain distance from the mill, i.e. the measure of the cross-sectional area of the stream in the conduit, was usually much greater than the measure of the same water in the fall it made for turning the wheel. The stream had, in other words, different measures in different parts of its path. Therefore, – continued Castelli – this ordinary manner of measuring running waters, being uncertain and vague, began to be considered by me with suspicion since the measure should be certain and just one.1
The missing element, explained Castelli, was the velocity of the flow. If we open two equal taps which are set at different heights in the side of a vessel kept full of water, we observe that the amount of water flowing out in a given time is not the same. The amount of water issued from the lower tap is greater, and this is because the issuing velocity is correspondingly greater.2 Castelli had had the opportunity to develop and apply these views during the 1625 visit of Monsignor Ottavio Corsini to the waters of the papal territories bordering the Po River. By order of Urban VIII (Maffeo Barberini), Castelli had acted as the mathematical adviser of Corsini. It is worth recalling that the Della misura dell’acque correnti was also published, three years later, by order of the Barberinis.3 It was no coincidence, thus, if in the corollaries and appendixes that follow the prefatory discourse Castelli extensively dealt with the confluence and division of rivers,4 which was a central issue of the controversy between the 1 Ibidem, pp. 3-4. English translations are mine, unless otherwise specified. In the case of quotes from Castelli’s book on the mensuration of running waters, I have anyway taken advantage of the English translation by Thomas Salusbury (in Idem, Mathematical collections and translations, I / 2, London, W. Leybourne, 1661, pp. 1-45). Less useful and even partly misleading is, on the contrary, the recent translation by Deane R. Blackman. For an assessment of this work, see my book review in «Nuncius», XX, 2005, pp. 243-244. 2 Ibidem, pp. 5-6. 3 C. S. Maffioli, Out of Galileo: The Science of Waters 1628-1718, Rotterdam, Erasmus Publishing, 1994, pp. 41-45 and 422-423; Idem, La controversia tra Ferrara e Bologna sulle acque del Reno. L’ingresso dei matematici (1578-1625), in Giambattista Aleotti e gli ingegneri del Rinascimento, ed. by A. Fiocca, Firenze, Olschki, 1998, pp. 262-265. 4 Castelli, Della misura dell’acque correnti (cited n. 1), corollaries 1-2, 4-5, 9-13 and appendixes 3-4, pp. 7-26 and 30-31.
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papal towns of Ferrara and Bologna that Corsini and the pope were trying to settle. If Castelli’s approach were limited to these matters, the Della misura dell’acque correnti would probably have got a place in the history of engineering but it would have never become a landmark of science. Even its intellectual originality would have been questionable. Already in such a well-known work as De rerum varietate, Girolamo Cardano had not only appropriated some previous technical knowledge about the motion of waters but he had also partially explained this kind of knowledge by means of mathematical and philosophical considerations.1 We may further expand this argument by examining what I would like to call the arithmetic tradition, although it properly belongs to practical geometry, to contrast it with Castelli’s new geometry of running water. Within this tradition the idea of rate of flow, in the sense of the quantity of water flowed through an orifice in a given time, was firmly established. Besides, it was also well known that the velocity influenced the outflow. To emphasize this point I confine myself to examining two Renaissance mathematical works. The first is the Opera geometrica by Johannes Buteo ( Jean Borrel), while the second is Francesco Barozzi’s translation of a Greek manuscript, whose Latin title is Liber de geodaesia, by an anonymous Byzantine author known as Hero Mechanicus or Hero of Byzantium. Buteo’s geometric works included a short tract De fluentis aquae mensura. Most of it was devoted to a critical examination of Sextus Iulius Frontinus’ De aquaeductibus urbis Romae commentarius. Although Frontinus was intuitively aware that the velocity influences the quantity of water supplied, he had not explained in what manner this happens and had not suggested any correct way of measuring the flow. This kind of criticism was not just levelled at the old Roman curator aquarum. Buteo believed in fact that no one in the antiquity had ever solved the problem. Geometers have taught with subtlety how to use water to perform many kinds of measurements, – so begins Buteo’s tract – such as to divide the time, to know the diameters of the sun and the moon, to detect a mixture of gold and argent, to make levellings. (…). None, however, has taught a sure and true method to 1 According to Cardano, e.g., the amount of water flowed out from an irrigation outlet depended on the size of the orifice and the «impetus aquae». Subsequently, he devoted some effort to explain the «causae impetus aquae», a subject that Castelli did not discuss in his 1628 tract (G. Cardano, De rerum varietate libri xvii, Basileae, per H. Petri, 1557, pp. 34-40). On Cardano’s philosophy of waters, see C. S. Maffioli, Cardano e i saperi delle acque, in Cardano e la tradizione dei saperi, ed. by M. Baldi and G. Canziani, Milano, FrancoAngeli, 2003, pp. 97-103.
benedetto castelli and the incompressibility of water 13 measure running water. Since such knowledge is very useful for ordinary life, its ignorance is shameful and intolerable in science.1
Buteo’s method was based on the observation that as it is possible to measure the time through water dripping in a clepsydra, it should conversely be possible to measure the flow of water by a water-clock. It was enough to make a vessel of a given capacity, e.g. of five cubic feet, and to measure with the clepsydra the time elapsed for filling it. If the standard of measurement is e.g. a volume of twenty cubic feet filled in a quarter of an hour – a standard that Buteo called «quinaria» as a reminiscence from the old Roman unit – it is a simple enough numerical multiplication to have the measure of whatever flow. If in a quarter of an hour four vessels of five cubic feet each are filled, the flow is of one quinaria; if eight of these vessels are filled in this given time or four in half of this time, the flow is of two quinaria; and so on. In the case of great amounts of water, it was necessary to dig a reservoir in some kind of tenacious soil such as clay and to convey into it the running water that is to be measured. If e.g. in a quarter of an hour a reservoir of 100,000 cubic feet is filled, this means that the stream is of 5,000 quinaria.2 Strangely enough, Buteo seemed to believe that this kind of practical method for measuring the flow was brand new. Whatever it may be, this was certainly not the case as we immediately realize by looking at the Liber de geodaesia. In prop. 9, the Byzantine author had followed the method of Hero of Alexandria to solve the problem of measuring the flow of a spring.3 I spare the reader from details since it is evident that, almost 1,500 years before Buteo, the Alexandrian mathematician had already proposed the same method.4 What is more, Hero of Alexandria 1 «Cum multa geometrae subtiliter in mensionibus aqua ministrante docuerint, utpote tempus ipsum partiri, solis, ac lunae diametros intelligere, auri misturam cum argento detegere, libramenta disponere. (…). Nullum tamen est invenire qui fluentis aquae mensuras indubitato, certoque modo tradiderit. Quaequidem cognitio, sicut ex usu vitae est: ita & ignoratio turpis, nec ferenda disciplinis» ( J. Buteo, Opera geometrica, Lugduni, apud T. Bertellum, 1554, p. 68). 2 Ibidem, pp. 71-72. 3 Heronis Mechanici Liber de Machinis Bellicis, nec non Liber De Geodaesia à Francisco Barocio latinitate donati, Venetiis, apud F. Franciscium Senensem, 1572, pp. 68v-69r. 4 This acknowledgement by Hero of Byzantium («Cognoscemus autem fontis quoque defluxum secundum Heronem quantuscumque sit», ibidem, p. 68v), is confirmed by a passage of the Dioptra of Hero of Alexandria. In this work, we find indeed described how to measure the flow of a spring with the help of a reservoir and a sundial (Heronis Alexandrini opera quae supersunt omnia, III, ed. by H. Schöne, Leipzig, Teubner, 1903: Dioptra, § 31, pp. 284-287). Although Barozzi believed that the source of prop. 9 of the Geodaesia had been the lost books on waterclocks by Hero of Alexandria, it is possible that the Byzantine writer had under his eyes a manuscript copy of the Dioptra or, at least, a fragment including § 31. The two versions are, in fact, almost identical.
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had also understood the role played by the velocity in increasing or decreasing the discharge.1 3. Visual and spatial representations of the flow All this is evidence of the high level reached by practical geometry in 1stcentury Alexandria. Hero’s experimental procedure for measuring the flow, in any case, is just based on elementary solid geometry and numerical calculations. Water is collected and then measured as the volume of a container or a reservoir. Therefore, the ‘solid’ of water is not conceived as a flowing magnitude and the flow velocity is not an essential element of the method of measurement. Not only are space and time unrelated variables, but even an accurate depiction of the flow is substantially lacking. In the Renaissance age, drawings and other kinds of visual representation began to fill the gap. Leonardo’s drawings of waterfalls, which often portray a gradual thinning of the falling stream, are a case in point. Leonardo saw a sort of inverted pyramid in the geometric form described by falling water, a solid with a gradually decreasing cross-sectional area that in the end would reduce to a point if air were not to break the continuity of the flow. What is more, in his notebooks Leonardo explained the narrowing of the solid of water with the increase in velocity due to the vertical fall.2 This kind of justification of the pyramidal shape of falling water was apparently in contrast with another tenet of Leonardo, namely with the principle that the velocity is proportional to the weight of the falling object. In the case of a gradual thinning of the vertical stream of water, the weight per unit of length reduces as well. Therefore, as Leonardo put it, the downwards movement of the water column would have slowed down instead of accelerating if the thickness / weight of the column 1 «It is to be noted – wrote Hero of Alexandria in § 31 of the Dioptra – that in order to know how much water the spring supplies it does not suffice to find the area of the cross section of the flow (…). It is necessary also to find the speed of flow, for the swifter is the flow, the more water the spring supplies, and the slower it is, the less» (M. R. Cohen and I. E. Drabkin, A source book in Greek science, Cambridge MA, Harvard University Press, 1958, p. 241, English translation by I. E. Drabkin). 2 See e.g. the following note in the Codex Atlanticus: «Necessaria cosa è che l’acqua che cade con continuo discenso infra l’aria, sia di figura piramidale, ancora che sempre esca d’una medesima grossezza di canna. E la ragione si è che la qualità del discenso non fia d’equale velocità, imperò che quella che più è caduta, per la sesta di questo, più si fa veloce, e quella che men cade fa per l’opposito» (Leonardo da Vinci, Il Codice Atlantico della Biblioteca Ambrosiana di Milano, ed. by A. Marinoni, Firenze, Giunti-Barbèra, 1978, f. 407r [= f. 151 r-a of the former foliation]).
benedetto castelli and the incompressibility of water 15 continually decreased!1 Within the framework of thought of Aristotelian physics and of the medieval science «de ponderibus» it was very difficult if not impossible to solve this contradiction. Leonardo was however confident in the truthfulness of visual experience and, as emphasized by Filippo Arredi, he struggled with the limits of his science of motion.2 A note in the left margin of f. 398r of the Codex Atlanticus shows a case of this struggle. In it, Leonardo considered the possibility that the push of supervening water might compensate the reduction in weight due to the pyramidal shape. In another note, a little beneath, Leonardo explored another possibility, namely that the great velocity causes a loss of continuity. From a certain point on, the flow consists of a myriad of detached particles.3 In 1567 Giuseppe Ceredi, a physician from Piacenza, expressed ideas partly similar to those of Leonardo in a book devoted to the application of waterscrews to land irrigation. In the context of a discussion touching on the impossibility of perpetual motion, Ceredi associated the force of percussion of a jet to the quantity and the speed of water. In the conduit carrying water to a mill, the stream reduces in ‘quantity’ and increases in velocity by approaching to the wheel. Ceredi implied that the force of percussion is unchanged, since these magnitudes are in inverse ratio.4 Like Leonardo, Ceredi believed that in a vertical fall of water or in a steep channel the mass / weight and the volume per unit of length decrease with the distance travelled by the stream. His vision of the continuity of the flow was however purely spatial; he was unable to integrate within his description the spatial and the temporal features of the flow. On the other hand, Leonardo’s drawings also show that the gradual thinning during the fall is sometimes counteracted by a loss of cohesion 1 «Ma appresso ci nasce un altro dubbio, con ciò sia che se essa acqua più s’assottiglia, essa manco pesa, e per la seconda del primo di questo che dice che quella cosa che manco pesa, manco fia veloce nel suo discenso, adunque tale acqua non si assottiglia, imperò che se ella s’assottigliassi, ella sarebbe di più tardi moto» (Ibidem, f. 398r [= f. 147 v-a of the former foliation]). 2 F. Arredi, L’enunciazione vinciana del principio del moto permanente, «Annali dei lavori pubblici», LXX / 12, 1932, pp. 1094-1097. 3 I quote both passages, which are not cited in Arredi’s article: 1) «E se pure noi vorreno dire che l’acqua nel suo perpendiculare discenso in continovo diretto si facci più sottile e più veloce, e che facendosi più sottile, ella è più lieve e non po per la quinta esser più veloce, io dirò che l’acqua che di sopra se le appoggia, sia quella che la sospinge»; 2) «Concludo che in certa parte del discenso essa acqua s’assottigli e si faccia veloce in modo che l’aria la divida e di quantità continua la facci discreta, ma l’occhio non la po discernere. E così poi il discenso è discreto» (Leonardo da Vinci, Il Codice Atlantico, cited above, f. 398r [= f. 147 v-a of the former foliation]). 4 G. Ceredi, Tre discorsi sopra il modo d’alzar acque da’ luoghi bassi, Parma, S. Viotti, 1567, pp. 26-31.
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of the column of water and by its division into smaller jets and drops. The physical mixing of air and water made it difficult if not impossible to observe a regular mathematical shape of the falling ‘solid’ of water and to convince by means of visual experience alone that the cross-sectional area of the falling stream becomes gradually narrower. While this feature was observed in falling jets and small cascades, in the case of water falling in great quantity «from a very high rock, most of it arrives at the ground split in very small drops, much smaller than the grains of sand». Although these words might have been his, they were actually uttered almost a century after Leonardo’s death. The quote is from a book published in 1615 by Castelli as an answer to the objections raised by some Florentine philosophers against Galileo’s Discorso intorno alle cose che stanno in su l’acqua, o che in quella si muovono.1 Galileo believed that water is composed of tiny, contiguous particles. A Florentine follower of Aristotle, Vincenzio di Grazia, had on the contrary sustained that water is a continuous body because, among other things, it moves as a whole. If it were composed of tiny parts, a falling drop of water would not preserve its continuity and its particles would scatter as when we throw a handful of sand. Since we observe the opposite, namely that the drop keeps its unity during the fall, Di Grazia concluded that water is a continuous and not a contiguous body. Castelli and Galileo replied to this argument with the above quoted example of the waterfall. They added that also rivers do not move as a whole, since their waters are swifter at the surface than on the bottom and since we observe many sorts of swirlings and irregular movements in them. This was evidence that the parts of running water are detached and incessantly change their mutual contacts, contrary to what Di Grazia maintained.2
1 [B. Castelli & G. Galilei], Risposta alle opposizioni del S. Lodovico delle Colombe, e del S. Vincenzio di Grazia, …, Firenze, appresso C. Giunti, 1615. In the dedicatory epistle to Enea Piccolomini Aragona, Benedetto Castelli spoke of the book as his own work. However, Antonio Favaro has demonstrated that Galileo saw the whole manuscript, introduced many changes and additions, and even wrote substantial parts of it (Le opere di Galileo Galilei [hereafter OG], ed. by A. Favaro, IV, Firenze, G. Barbèra, 1968 [orig. publ. in 1890-1909], pp. 13-16). In his edition, Favaro has also tried to distinguish what is Galileo’s from what is Castelli’s. In the following, I nevertheless consider the Risposta alle opposizioni as a joint effort of Castelli and Galileo, without making any distinction between their own contributions. 2 Ibidem, pp. 278-280 (OG, IV, pp. 729-730).
benedetto castelli and the incompressibility of water 17 4. Water compressed The causes of floating and sinking, the starting point of the Florentine debate, were associated by Galileo’s opponents with several tenets of Aristotelian natural philosophy. Besides the continuity of matter and the resistance opposed to division by water,1 another related issue was the condensation and rarefaction of bodies. Although the question of the compressibility / incompressibility of water was not the main subject of the debate, it nonetheless surfaced several times. In a sense, the compressibility of water was a straightforward consequence of Aristotle’s theory of matter. According to the Stagirite, matter is intrinsically capable of dimensional expansion or contraction.2 The examples usually cited by Aristotle were, however, associated with thermal phenomena and the process of generation and corruption, not with the flow of water. When water e.g. evaporates, it rarefies but it also loses its form and assumes the form of air.3 In a passage of Physics, Aristotle nonetheless stated that water may contract by expelling the air inside it: Nor does condensation necessarily imply the entrance of particles into vacant dimensional interstices; for we may suppose the condensing body to be squeezing out some foreign substance that it contained, as water for instance when pressed together extrudes the air that is in it.4
In Aristotle’s opinion, it was not necessary to admit the existence of interspersed voids among the parts of matter for explaining the compressibility of water. The example just referred to possibly had to do with the formation of foam that is observed in cascades falling into a pool or in the rapids of a river. According to this interpretation, impacts of water on water or of water against rocks cause the expulsion of trapped air. On 1 At the end of De coelo Aristotle had famously objected to Democritus that «flat objects of iron or lead float on water» not thanks to «the heat-particles rising from the water», but because water resists more to division if the objects have a flat and large shape (Aristotle, On the heavens, Cambridge MA, Harvard University Press, 1939: IV.6, 313 a-b, English translation by W. K. C. Guthrie). 2 «So, too, the smallness of a physical bulk is not stretched into largeness by the matter of it annexing anything to itself, but is possible because that matter had itself the potentiality of either bulk. So it is the very same thing that is now dense and now tenuous, and the matter of both is identically the same» (Aristotle, The physics, Cambridge MA, Harvard University Press, 1929 [revised 1957]: IV.9, 217b, English translation by P. H. Wicksteed and F. M. Cornford). 3 Ibidem, IV.9, 217a; Aristotle, De generatione et corruptione, ed. by C. J. F. Williams, Oxford, Clarendon Press, 1985: I. 5, 321a. For more on Aristotle’s explanation and conception of condensation and rarefaction, see e.g. E. Grant, Much ado about nothing. Theories of space and vacuum from the Middle Ages to the Scientific Revolution, Cambridge, Cambridge University Press, 1981, pp. 72-73. 4 Aristotle, Physics, cited above, IV.7, 214a-b.
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the other hand, in book IV of Meteorology it was unequivocally stated that iron, stone, water and any liquid cannot be squeezed like sponges, wax and flesh.1 The views expressed in Meteolorogy IV are in contrast with the above quoted opinion of Physics.2 Within the framework of scholastic natural philosophy, they might in any case be reconciled. An early 17th-century Aristotelian, faced with the practical impossibility of squeezing water by means of a syringe,3 would probably have acknowledged the fact and believed that the contraction is too small to be detected. For him water, both in its simple elemental form and as part of compositions and mixtures, is however compressible because it may increase in density during motion and change.4 Whatever it may be, the latter was the opinion of Galileo’s opponents. In his Discorso apologetico, published in 1612, Lodovico delle Colombe sustained that air and water greatly condense to form mercury, and this explains why mercury weighs more than metals like iron. Nevertheless, while it is possible to measure in air the weight of air, by forcing and compressing it into a ball, it is useless to try to weigh water in water with the same method. New water cannot be forced to enter in a close container full of water, because it cannot be «condensed like air».5 After a few pages, however, Delle Colombe explained that deep water resists more and is «more pressed» by the parts that are above it. Because of this, deep water is «more united and restricted, as you have in Archimedes (…) where the parts of water have a smaller place towards the centre, and are therefore less apt to be displaced».6 1 Aristotle, Meteorologica, ed. by H. D. P. Lee, Cambridge MA, Harvard University Press, 1952: IV.9, 386b. 2 Meteorology IV is a puzzle for Aristotle’s students because it lays out a detailed corpuscular description of matter (W. R. Newman, Atoms and alchemy: chymistry and the experimental origins of the scientific revolution, Chicago, The University of Chicago Press, 2006, pp. 66-68). On Nicolò Cabeo’s discussion of the text of Meteorology IV partially referred to in the previous note, see below p. 46. 3 An experiment of this kind was e.g. described by Salomon de Caus, Les raisons des forces mouvantes, Francfort, I. Norton, 1615, p. 2r (def. 3: «Leau, est un element humide, pesant & coulant, lequel ne se peut presser estant enserré»). 4 It should nonetheless be kept in mind that, according to a widespread tenet among Aristotelian philosophers, the four elements lose their own form in mixtures and are present within them only «virtually» (Newman, Atoms and alchemy, cited above, pp. 4-5 and 36-37). 5 L. delle Colombe, Discorso apologetico d’intorno al discorso di Galileo Galilei, circa le cose, che stanno sù l’acqua, ò che in quella si muovono, Firenze, Pignoni, 1612, pp. 54-55 (or in OG, IV, p. 363). 6 «Adunque quanto sarà l’acqua piu profonda, tanto sarà la forza maggiore nel resistere alla violenza. E questo perche nel profondo è più calcata dalle parti superiori, e perche verso il fondo è più unita, e ristretta, come havete in Archimede, per la regola delle linee tirate dal centro alla superficie, che ristringon sempre verso il centro, e fanno alle parti dell’acqua luogo più angusto;
benedetto castelli and the incompressibility of water 19 Delle Colombe referred to book I of On floating bodies, probably to the drawings of propositions 3-5 that show a plane section of the sphere of water with lines converging at the centre of the earth. Castelli and Galileo replied by saying that Delle Colombe had wholly misunderstood Archimedes’ work. The Archimedean lines are mental constructions and not boards or walls delimitating and reducing the place occupied by water. Besides, even if they were real physical barriers, the reduction of place caused by their lack of parallelism would have been almost insensible because the depth of the sea is very little in comparison with the length of the semidiameter of the earth. Finally and above all, Delle Colombe was wrong in implying that water necessarily contracts if it has less available place. There is a real contraction / expansion only when a small place holds as much water as a large one, not when the amount of water contained is proportional to the size of the container.1 The view that water is a compressible body appears also in the 1613 Considerazioni by Vincenzio di Grazia. Di Grazia interpreted a passage of Physics by saying that a body descending in water raises as much water as its own bulk, on condition that «water and the body do not squeeze in». This was a strained interpretation of Physics, IV.8, 216a, 28-34.2 Nor did any Aristotelian philosopher share this particular vision.3 Whatever the circumstances may be, the consequence drawn by Di Grazia was his own only: Therefore, many solids while submerging in water will not raise a twentieth of their bulk, some more and some less according to their [degree of] union [with water].4 onde, son meno atte, a cedere il luogo loro» (ibidem, pp. 56-57 [or, with small differences in punctuation and spelling, in OG, IV, p. 365]). 1 «In oltre qual semplicità è il dire, – wrote Castelli and Galileo – che facendo le linee verso ’l centro il luogo più angusto alle parti dell’acqua, e[l]la ne venga più ristretta & unita? (…) si ristringerebbon le parti quando nel luogo più angusto si dovesse contener tant’acqua, quanta nel più spazioso; ma quando vi sen ha da contener manco à proporzione, che nel più largo, io non sò vedere, che tale strettezza possa far nulla» ([Castelli & Galileo], Risposta alle opposizioni, cited above, p. 231 [or, with small differences in punctuation and spelling, in OG, IV, p. 680]). 2 The Stagirite had stated that a cube immersed in water or in air displaces a bulk equal to its own, unless the medium condenses. He had not referred to water in particular, but to any yielding medium. 3 A case in point is that of Francesco Buonamici, an influential lecturer of the Pisa Studium whose work was well known by Galileo’s opponents as well as by Galileo. In his 1591 De motu, Buonamici discussed Hiero’s crown problem and did not accept the mathematical idea of hydrostatic thrust. Nonetheless, he shared Archimedes’ opinion that the crown, while submerging, simply displaces an equal volume of water (M. O. Helbing, La filosofia di Francesco Buonamici professore di Galileo a Pisa, Pisa, Nistri-Lischi, 1989, pp. 180-181 and 215-223). 4 «e quindi avviene che molti solidi, nel sommergersi nell’acqua, non alzeranno la ventesima parte di essi, altri più, e altri meno, secondo che fra di loro si uniranno» (V. di Grazia, Conside-
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To the extravagant idea that a volume of water may become 20 times smaller, Castelli and Galileo replied by appealing to experience: I do not want to start a quarrel with Aristotle, whose authority is cited without need in this case, – we read in the Risposta – in which the means to ascertain the truth is given by manifest experience (…).
A solid descending in water will compress the liquid neither 20 times as Di Grazia claimed, nor 10 or 2 times. Actually, its volume will not become smaller even by a point. Even by enclosing water in a vessel, where it can be pressed with great force, we will not observe that water yields and becomes smaller, as we observe with air which is compressed with violence two or three times more than when it is free. Therefore, Signor Grazia is greatly mistaken.1
5. Galileo ’ s «Discorso intorno alle cose che stanno in su l ’ acqua» Besides this experiment, other reasons convinced Castelli and Galileo of the incompressibility of water. One was associated with the everyday experience of liquid measurement and decanting, which would be wholly different if the mass of water were to change with the shape of the container and the way in which it is disposed (e.g. horizontally or vertically). Castelli developed this argument in his 1628 book, within a long corollary that we will discuss below.2 Another reason had to do with the mathematical tradition, chiefly with Galileo’s reinterpretation of Archimedes. Galileo did not prove the law of floating and sinking with the method followed by Archimedes in On floating bodies, but by means of a principle razioni sopra ’l discorso di Galileo Galilei intorno alle cose che stanno su l’acqua, e che in quella si muovono, Firenze, Z. Pignonj, 1613, p. 19 [or, with small differences in punctuation and spelling, in OG, IV, p. 388]). 1 «Io non voglio ingaggiar lite con Aristotile la cui autorità vien senza bisogno citata quì dove l’esperienza manifesta può essere di mezzo, e’l detto del Sig. Grazia di troppo s’allontana dal vero: perche quanto a i corpi che si considerano demergersi nel presente discorso, essendo ò legni, ò metalli, ò simili solidi, è manifesto che questi non si costipano, onde se vi accade costipazione alcuna, è necessario, che sia tutta nelle parti dell’acqua, e che essa si costipi quelle venti volte tanto, che vuole il Sig. Grazia, ma dubito che essa non voglia; anzi son sicuro, che non solo un solido, che si ponga nell’acqua la quale liberamente possa cedergli, e alzarsi, non la costipera venti volte, ne dieci, ne due; ma ne anco un punto solo; anzi à riserrarla anco in un vaso dove con immensa forza si possa comprimere, non si vedrà che ella sensibilmente ceda, e si ristringa; il che ben si vede far all’aria la quale con violenza si costipa due, o tre volte più di quel che ella è libera; onde l’inganno del Sig. Grazia resta infinito» ([Castelli & Galileo], Risposta alle opposizioni, cited above, p. 257 [or, with small differences in punctuation and spelling, in OG, IV, p. 707]). 2 See the quote in n. 1 of p. 42.
benedetto castelli and the incompressibility of water 21 of mechanics that is now known as the principle of virtual velocities. Archimedes had considered a volume of liquid equal and similar to the part of the solid immersed, and had compared the vertical pressures or thrusts exerted downwards by (the weight of ) this volume of liquid and by (the weight of ) the whole solid.1 In his 1612 Discorso on the causes of floating and sinking, Galileo considered instead the reciprocal action of a solid and water that follows on immersion; and this action it is that in submersion of a solid drawn downward by its own heaviness, water comes to be driven out from the place into which the solid successively enters, and the displaced water is lifted and rises above its first level, which lifting is resisted by its nature as a heavy body.2
Galileo’s method of demonstration therefore focused on vertical displacements and made it clear that water is just displaced and not compressed by a solid body that descends in it. Galileo did not openly state that water is incompressible. He simply took it for granted, and used this basic property of liquids as a prerequisite of his demonstrations.3 In his 1612 Discorso, following an Archimedean line, Galileo stated that the floating or sinking of a body in water depends exclusively on a comparison between the specific weights of the medium and the body in it. He therefore defined what he intended for specific weight and explained how to compare the specific weights of two different substances.4 However, and contrary to the purely mathematical method of On floating bodies, Galileo also qualitatively associated this mathematical concept with something like the density or degree of condensation of matter. The Flo1 See propositions 3-5 of book I On floating bodies (The works of Archimedes, ed. by T. L. Heath, New York, Dover [no year given: orig. publ. in 1897 by Cambridge UP], pp. 255-257). 2 «la scambievole operazione di essi solidi, e dell’acqua: la quale operazione conseguita alla immersione; e questa è, che nel sommergersi, che fa il solido, tirato al basso dalla propria sua gravità, viene discacciando l’acqua dal luogo, dove egli successivamente subentra, e l’acqua discacciata si eleva e innalza sopra il primo suo livello, al quale alzamento essa altresì, come corpo grave, per sua natura resiste» (G. Galilei, Discorso intorno alle cose che stanno in su l’acqua, o che in quella si muovono, Firenze, C. Giunti, 1612, p. 9 [or, with small differences in punctuation, in OG, IV, pp. 69-70]; English translation by S. Drake, Cause, experiment and science. A Galilean dialogue incorporating a new English translation of Galileo’s «Bodies that stay atop water, or move in it», Chicago, The University of Chicago Press, 1981, p. 32). 3 A theorem, included in the second revised edition of 1612, shows e.g. that the volume of water that is raised by submerging a solid prism is equal to the part of the solid that lies below the original level of water. In another addition to the second edition, Galileo proved the well-known experimental fact of water having the same level in two interconnected vessels of different size. In the demonstration, Galileo assumed the equality of the volume of water ‘virtually dropping’ in one vessel and the volume of water ‘virtually rising’ in the same time in the other vessel. Both proofs would be wrong if the displaced water is to contract or expand (OG, IV, pp. 71-72 and 77-78). 4 Galileo, Discorso intorno alle cose che stanno in su l’acqua, cited above, p. 7 (OG, IV, pp. 67-68).
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rentine debate developed in such a way that, from the very beginning, Galileo had to combine Archimedean hydrostatics with his views on the physical properties of water and ice. Finding me last summer in conversation with men of learning, – told Galileo to his readers – it was said in the discussion that condensation is a property of cold, and the example of ice was given. I then said that I should have thought ice to be rarefied water, rather than condensed, since condensation gives rise to shrinkage in volume and increase of heaviness, but rarefaction to greater lightness and bulk. Now, when water freezes it increases in volume and the ice formed is lighter than water, since it floats thereon.1
This brings us to a third possible reason for maintaining, on the side of Castelli and Galileo, that water is incompressible, namely their theory of matter. In a long passage added to the second edition of the 1612 Discorso, Galileo explained that the nature of the parts of water and other fluids is such that «there is nothing in them that must be divided». He was inclined to believe that the parts of a fluid are rather contiguous than continuous because of the great difference in cohesion existing between the parts of a hard solid metal like silver and the same parts of this metal when it is melted. If we divide a solid mass of silver into two parts, we will encounter not only a resistance for merely moving them but also another resistance, incomparably greater, from overcoming that force that holds them attached together. If we divide these parts into another two and we further proceed with these halvings, in dividing the small parts we will also continue to encounter similar resistances, though of intensity increasingly smaller. But when finally, making use of the thinnest and sharpest instruments, which are the very tenuous parts of fire, we resolve this [metal] into perhaps its ultimate and least particles, there will no longer remain in them any resistance to division; and not only that, but also any possibility of being further divided, (…). Of similar arrangement and position I deem to be the parts of water and of other fluids; that is, incapable by their tenuity of being divided, (…).2
Even though Galileo expressed cautiously and in dubitative terms his atomistic views, he firmly believed that fluids are actually composed of 1 Ibidem, p. 5 (OG, IV, p. 65); I have slightly adapted the English translation by S. Drake, Cause, experiment and science, cited above, pp. 21-22. 2 «ma quando finalmente, adoprando sottilissimi e acutissimi strumenti, quali sono le più tenui parti del fuoco, lo solveremo forse nell’ultime e minime sue particelle, non resterà in loro più non solo la resistenza alla divisione, ma nè anco il poter più esser divise, (…). Di costituzione e positura simile stimo esser le parti dell’acqua e de gli altri fluidi, cioè incapaci di esser divise per la lor tenuità, (…)» (OG, IV, p. 106; I have slightly adapted the English translation by S. Drake, Cause, experiment and science, cited above, pp. 117-118).
benedetto castelli and the incompressibility of water 23 hard, indivisible and separate particles. In any case, in Galileo’s Discorso we find no explicit indication that an atomistic theory may explain the incompressibility of water. Galileo had put forward his matter theory for supporting the view that water offers no resistance to division. He had not envisaged any particular shape of the particles of fluids or any particular way in which they are assembled. Although his might be depicted as a Democritean line, Galileo had also carefully avoided any reference to the vexed question of void. 6. Heaps of particles The argument for a particulate view of fluids was further developed in the answer to Lodovico delle Colombe. Here Castelli and Galileo were a little more explicit. Delle Colombe had stated that, in spite of his continuity, air offers less resistance to division than water. Galileo was therefore wrong in inferring that water is a contiguous body from its small resistance to division. Unless they admitted the existence of void, on the other hand, nobody could deny the continuity to the substance of air. In conclusion, if Galileo wanted to prove that water is a contiguous body he should first prove that the void actually exists in nature.1 If the non-existence of void were enough to prove the continuity of air, Castelli and Galileo objected, with yet stronger evidence it would prove the continuity of water. There are indeed more grounds for believing «that the void is inside air than water, given that air is much compressed and shrunk by a small force and water not at all even by a huge force».2 Besides, when has it ever been shown that in a body whose parts are contiguous there are necessarily empty spaces? How could Delle Colombe have forgotten that Plato attributes the cubic figure to the first corpuscles that compose the earth, because only this shape among the regular bodies is apt to fill the space and to form the densest solid?3 1 Delle Colombe, Discorso apologetico, cited above, p. 18 (or in OG, IV, p. 330). 2 «dice il Sign. Colombo resolutamente non si poter negare nell’aria la continuità, perche altramente vi sarebbe il voto: dove io noto diversi errori; e prima se l’inconveniente del darsi ’l voto è mezo bastevole per provar la continuità nell’aria, perche non bast’egli con altrettanta forza à provarla nell’acqua? (…) anzi se la discontinuità non può star senza ’l voto (…) la continuità resta molto più evidente nell’acqua, che nell’aria; perche molto più si può temer, che ’l voto si ritrovi nell’aria, che nell’acqua, poi che l’aria si comprime, e condensa assai con poca forza, e l’acqua non punto con forza immensa» ([Castelli & Galileo], Risposta alle opposizioni, cited above, p. 70 [or, with small differences in punctuation and spelling, in OG, IV, pp. 524-525]). 3 Ibidem, pp. 70-71 (OG, IV, p. 525). In Timaeus, Plato had famously attributed the figure of the five regular polyhedra to the corpuscles of fire (tetrahedron), earth (cube), air (octahedron), water (icosahedron) and the celestial element (dodecahedron). However, Plato had not precisely said that the earth’s corpuscles have a cubic figure because «questa sola tra corpi regolari è atta a
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The image of the tessellation of space with cubes was only taken in to show the weakness of Delle Colombe’s reasoning. If we consider water and other fluids as aggregates of small equal polyhedra fitting together without leaving any spaces, it would be hard to explain the properties that are usually associated with fluidity. We may therefore understand why Castelli and Galileo did not discuss this point further. They proposed instead the analogy between the top particles of a mass of dust and those on the water surface, which are both lifted and brought away by the breathes of a gentle breeze. They also referred to the evaporation caused by solar heat: sunrays act so exquisitely as to be capable of detaching the least particles from the water surface. These particles of water, which are perhaps its first components, rise on high and become visible when they gather and assume the appearance of vapour or mist or clouds or smoke or other similar things.1 According to the Risposta alle opposizioni, the least particles of water possibly have a spherical shape. The adduced reason was that aggregates of very small, smooth and hard spheres in some circumstances roughly approach the behaviour of water. Delle Colombe had drawn attention to the different effects observed when we pull out of a pond and out of a sand heap a partially immersed column of marble. After the lifting of the column, the water surface of the pond returns flat and horizontal while the sand heap conserves the ‘imprint’ of the operation. In his opinion, this was another piece of evidence supporting that water, instead of having a particulate constitution like sand, is a continuous body.2 Castelli and Galileo strongly objected to this conclusion. When we put a solid body in a mass of particles and subsequently we pull it out, the particles will displace differently according to their shape, smoothness and weight. A column will e.g. penetrate easier in a pond filled with small globes than with dies, because globes slip easily and dies with difficulty. Besides, if the small globes are perfectly spherical and smooth and have a less specific weight than marble, they will yield promptly when the colriempiere ’l luogo», as Castelli and Galileo wrote. He had justified this choice by saying that «earth is the most immoble and the most plastic body» (Plato, Timaeus, Cambridge MA, Harvard University Press, 1929: 55 D-E, English translation by R. G. Bury). 1 «e se noi volessim’ancora strumenti più sottili, e operazion più esquisita, direi che guardassimo i raggi del Sole, osservando con quanta diligenza vanno separando le supreme, e minime particole dell’acqua, le quali dall’esalazion ascendente vengon subblimate; ed essendo ridotte forse ne primi corpicelli componenti, son à noi invisibili à una, à una, e solo ci si manifestano moltissime ’nsieme, sotto specie di quel, che noi chiamiamo vapore, ò nebbia, ò nugole, ò fumi, ò cose tali» (ibidem, p. 74 [or, with small differences in punctuation and spelling, in OG., IV, pp. 527-528]). 2 Delle Colombe, Discorso apologetico, cited above, p. 19 (or in OG, IV, p. 330).
benedetto castelli and the incompressibility of water 25 umn is put in and they will flatten themselves evenly without leaving any hole on the surface when the column is pulled out. Therefore, – concluded Castelli (and Galileo) – since I find for Signor Colombo an aggregate of discontinuous parts that easily yields to the immersion of a solid body and promptly runs to fill the space [when the same body is pulled out], he may very well believe that also water can be of a similar [constitution].1
If we fill a cylindrical vessel with these small hard spheres and we press them with a piston, they will occupy the same volume whatever the external pressure is. If we discharge at a constant rate a great amount of these spheres at the top of a smooth inclined canal, the acceleration of their motions will be revealed by the gradual thinning of the ‘fluid layer’ flowing along the canal. Although Castelli and Galileo did not develop the model of the heap of spheres in these directions,2 their corpuscular views were in tune with the basic idea of the incompressibility of water. Some hints may be found in their assertion that the particles of water are so small to impede the particles of air to penetrate between them and in their sceptical attitude about the opposite view, namely that the pores of water are full of air.3 Indirect evidence is also given by Galileo’s wellknown image of the First Day of the Discorsi intorno a due nuove scienze, in which water is composed of infinitesimal parts without any void space left between them.4 7. Hero ’ s «Pneumatics» and the condensation of bodies The negative stance of Castelli and Galileo towards the compressibility of water was not, at any rate, a derivative idea from the ancient atomistic philosophy. A similar remark can be made, with yet stronger rea1 «perche dunque io trovo al Sig. Colombo un aggregato di parti discontinuate, che cede facilmente all’immersion d’un solido, e scorre prontamente à riempier lo spazio, può molto ben creder, che l’acqua ancor essa poss’esser un simile» ([Castelli & Galileo], Risposta alle opposizioni, cited above, p. 76 [or, with small differences in punctuation, in OG, IV, p. 529]). 2 In the 1630-1631 debate on the Bisenzio River, Andrea Arrighetti and Galileo pictured the flow of water as the movement of a series of small balls descending along a canal. However, their discussion concerned the applicability of Galileo’s laws of acceleration to the case of the Bisenzio, not the model of the heap of spheres (on this debate see C. S. Maffioli Galileo, Guiducci and the engineer Bartolotti on the Bisenzio River, forthcoming in «Galilaeana», V, 2008). 3 [Castelli & Galileo], Risposta alle opposizioni, cited above, pp. 74 and 161 (OG, IV, pp. 528 and 608). 4 H. E. Le Grand, Galileo’s matter theory in New perspectives on Galileo, ed. by R. E. Butts and J. C. Pitts, Dordrecht, Reidel, 1978, pp. 200 and 203; G. Nonnoi, Il pelago d’aria: Galileo, Baliani, Beeckman, Roma, Bulzoni, 1988, pp. 34-35; Idem, Galileo Galilei: quale atomismo?, in Atomismo e continuo nel XVII secolo, ed. by E. Festa and R. Gatto, Napoli, Vivarium, 2000, pp. 143-146.
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sons, for Castelli’s mathematical idea of the invariance of the specific volume of running water. To point it up, I take my cue from two rather different texts. The first is the Pneumatics by Hero of Alexandria, who we have met above as the inventor or at least the propagator of a practical method for measuring the flow of a spring. The second is a section of the 1591 Nova de universis philosophia by Francesco Patrizi, who from the late 1570s lectured on Platonic philosophy and advised the duke of Ferrara in several political matters, including the question of the Reno River. In chapters 3 and 4 of the Pneumatics, two constant-discharge siphons are described. The interesting part is that these siphons float, to keep constant the difference in height between the surface of water in the vessel and the outer hole of the siphon. Some clepsydrae and other kinds of timekeepers were based on the same principle.1 Hero of Alexandria and some of his predecessors had therefore grasped that the rate of efflux depends on the head of water above the hole. However, this does not prove that they also believed that the volume rate of flow in any cross-section of the conduit is constant, as might seem rather obvious from our vantage point. What would happen, e.g., if the outer and the inner leg of the siphon have different diameters and, at a certain point, the 傽-shaped tube increases or decreases in size? After this point the flowing water, whose streamlines adapt to the size of the tube, would perhaps become rarer or denser? While the arithmetic of flow was unable to answer these questions, Hero’s theory of matter did not exclude and even implied that a change in size of the tube involves a change in density of running water. This remark acquires its full meaning if we keep in mind that Hero’s presentation of techniques of construction of pneumatic devices influenced the mode of thinking of a great number of late Renaissance practitioners, who might therefore have been uncertain about the incompressibility of water. While practical experience of measurement and decanting of liquids as well as the Archimedean mathematical tradition suggested that water is incompressible, the observation of falling water and the physics of both Aristotle and Hero seemed to indicate that in some circumstances water might indeed shrink in volume. Learned mathematicians and engineers-architects found in Hero’s theoretical introduction of the Pneumatics, to use Marie Boas Hall’s 1 A. G. Drachmann, Ktesibios, Philon and Heron. A study in ancient pneumatics, Copenhagen, Munksgaard, 1948, pp. 17-19, 26-27, 32 and 96-97 (here I refer to the chapter numbering of Hero’s Pneumatics as given in Commandino’s Latin version and in Greenwood’s English translation; Drachmann refers instead to the Teubner edition, in which the constant-discharge siphons are in ch. 4-5).
benedetto castelli and the incompressibility of water 27 words, «an essentially Aristotelian theory of matter which takes cognizance of the advantage of atomism in the explanation of many physical phenomena».1 Water changes in earth when it is spilled on the ground and becomes mud and in air when it is rarefied by fire. The opposite transformations are also evident, as when water rises from the earth and becomes mist and when the cooled mist comes down as dew. Practically all substances, on the other hand, consist of minute particles that have some sort of void round them. This is particularly evident in the case of air, which can be easily compressed and rarefied. However, the existence of small empty pores is also obvious for water. How would we otherwise explain the transparency of water, if it had no small interstices through which sunrays can penetrate? When wine is poured into water, it is seen to spread itself through every part of the water. How would this be possible if there are no scattered vacua in the water?2 While the believers of the plenum did not offer any tangible proof of their claim, by the observation of sensible phenomena we are assured that «every body is composed of minute particles, between which are empty spaces less than the particles of the body». Most interestingly, Hero also claimed that, in proportion «as any one of these particles recedes, some other follows it and fills the vacant space».3 Although the Alexandrian mathematician did not specifically mention that water is compressible, this seems a rather obvious corollary of his theory. However this may be, a late Renaissance mathematical practitioner could read not only in many other sources but also in the 1575 Commandino’s edition that, by compression, bodies fill up their scattered vacua.4 If he was unable or unwilling to read Latin, he might perhaps have derived a similar notion from one of the two Italian versions of Hero’s Pneumatics then available in print.5 1 The pneumatics of Hero of Alexandria, a facsimile of the 1851 Woodcroft edition introduced by M. Boas Hall, London and New York, Macdonald and American Elsevier, 1971, p. xi. «It has been plausibly argued – adds Boas in her introduction – that this non-atomistic, particulate theory of matter arose in Aristotle’s Lyceum in the generation after Aristotle’s death – the period which saw the appearance of the oldest surviving Greek work on mechanics, the Mechanical Problems – and is possibly to be ascribed to Aristotle’s successor, Strato of Lampsacus, who is known to have written on air and on atomism, and to whom similar views were attributed by later writers» (pp. xi-xii). 2 Ibidem, pp. 5-10; Drachmann, Ktesibios, Philon and Heron, cited above, pp. 88-89. 3 Ibidem, p. 10 (English translation by J.G. Greenwood). 4 «corpora ipsa per compressionem disseminata vacua replere» (Heronis Alexandrini Spiritalium Liber. A Federico Commandino Urbinate, ex Graeco, nuper in Latinum conversus, Urbini, [no name of publisher given], 1575, p. 5v; this line is at p. 7 of the Woodcroft edition). 5 «& essi corpi per compressione riempire li disseminati Vacui» (Gli artifitiosi et curiosi moti spiritali di Herrone. Tradotti da M. Gio. Battista Aleotti d’Argenta, Ferrara, per V. Baldini, 1589, p. 5); «e
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The two Italian translators, Giovan Battista Aleotti and Alessandro Giorgi, commented on Hero’s vacuist theory in a rather different way. While the first substantially accepted it or at least did not openly object to the idea of disseminated vacua, the second leant towards Aristotle’s plenum. As for the phenomena of condensation and rarefaction, Aristotle’s teaching in book IV of Physics was highly praised by Giorgi.1 A mathematical practitioner who studied the Latin or the Italian translations of Hero’s Pneumatics was therefore confronted with a vacuist explanation of the condensation of bodies. As an alternative, in Giorgi’s preface he was referred to Aristotle’s plenist views.2 In both theories, at any rate, air and water are subject to condensation and rarefaction and experience a cyclical process of generation and corruption. 8. Patrizi ’ s views on the flow of water The condensation / rarefaction of bodies was a widespread philosophical belief supported by customarily accepted empirical evidence. Many philosophers, not just the Florentine opponents of Galileo, e.g. believed that water contracts when it changes into ice and expands when it changes into vapour.3 The rival theories of the peripatetics and the atomists radically differed, however, in the interpretations of these phenomena. Suppose that part of the air filling a close vessel is sucked out. While some simply thought that the air left inside the vessel is rarer but che i corpi stessi quando sono premuti, riempono quei vacui sparsi» (Spiritali di Herone Alessandrino ridotti in lingua volgare da Alessandro Giorgi da Urbino, Urbino, appresso B. e S. Ragusij, 1592, p. 9v). For more on the Renaissance editions of Hero’s works, see W. R. Laird, Hero of Alexandria and Renaissance mechanics, in Mathematical Practitioners and the Transformation of Natural Knowledge in Early Modern Europe, ed. by L. Cormack, forthcoming. 1 Spiritali di Herone Alessandrino, 1592 edition, cited above: Introduttione, p. 6r. 2 Besides Giorgi, at least another translator of the Pneumatics criticized Hero’s vacuist theory and supported Aristotle’s plenum. He was Oreste Vannocci Biringucci who, in the preface to his 1582 manuscript translation, emphasized that a given quantity of matter can become of a greater or a smaller bulk without any need of admitting the void (Erone Alessandrino tradotto da Oreste Vannocci, ff. 2r-4v. A facsimile online edition of this codex is on the site of the Max-Planck-Institut für Wissenschaftsgeschichte of Berlin. The original is in Siena, in the Biblioteca Comunale degli Intronati, ms. L.VI.44). 3 The image of ice as condensed water appears nowadays rather odd because we know that ice, though hard, has a smaller density than water. Therefore, we decidedly sympathize with Galileo’s views (see the quote from Galileo’s Discorso, p. 22 above, n. 1). Around 1600, it was nonetheless very difficult if not impossible to falsify by experiment the image put forward by Galileo’s opponents, namely that water in freezing expels some of the most subtle parts while some of the trapped air expands. According to this view, the substance of ice is denser than water. The accidental composition of ice and air may nevertheless float, independently from its shape, because it may have a lesser specific weight than water (see e.g. Delle Colombe, Discorso apologetico, cited above, pp. 35-36 [or in OG, IV, pp. 345-346]).
benedetto castelli and the incompressibility of water 29 nonetheless still continuous, others believed that some void has been created. This was the opinion of Hero and Patrizi, who both cited this experience as an example of generation of a continuous or large vacuum.1 Like Hero, Francesco Patrizi believed in the natural existence of small microscopic vacua, of tiny empty spaces interspersed between the particles of air, water and other substances. Here as well, the phenomena of condensation and rarefaction furnished the bulk of the ‘empirical’ evidence. Of two equal parts of water, after their change into ice, only one part is left (namely the newly formed ice has half the size of the former liquid!). This cannot be ascribed to a destruction of matter since, after the melting of ice, the original size is restored. If we exclude the interpenetration of bodies, concluded Patrizi, we must admit that during the formation of ice the particles of water have filled the empty spaces that are interspersed within the liquid.2 Patrizi had something to say also on the contraction / expansion experienced by water in flow. In this case, he partly took into account the technical knowledge of some Renaissance engineers and periti. However, his philosophical tenets largely predominated and led him on a rather diverging road. The outcome was, as we will see, a qualitative vision of the mass flow of a compressible fluid that Patrizi identified with running water. In 1579-1581 Patrizi had become heavily involved in the question of the Reno, a relatively small tributary of the Po that was at the centre of a political struggle between the towns of Ferrara and Bologna. Patrizi had perused the records of past negotiations, read the engineering papers related to the Reno controversy, and studied the books of ancient and medieval geographers and historians. He had even proposed some practical schemes. In short, as Patrizi claimed in a letter of 28 November 1580 to the duke of Ferrara, he had not only studied anything worthy of knowing about the rivers Po and Reno but he had also elaborated a «universal, orderly and certain science of waters, derived from its true principles, both natural and mathematical».3 Although Patrizi had written 1 The pneumatics of Hero of Alexandria, cited above, p. 3; F. Patrizi, On physical space, translated by B. Brickman, «Journal of the History of Ideas», IV / 2, 1943, p. 234 (Patrizi’s De spacio physico and De spacio mathematico were originally published in 1587 in Ferrara, and subsequently reprinted as books I and II of the Pancosmia, the last of the four main parts in which the Nova de universis philosophia is divided). 2 Ibidem, pp. 232-233 (for the original Latin text, see F. Patrizi, Nova de universis philosophia, Ferrariae, apud B. Mammarellum, 1591: Pancosmia, lib. I, p. 63r). 3 This letter has been published by A. Fiocca, Francesco Patrizi e la questione del Reno nella seconda metà del Cinquecento: tre lettere inedite, in Francesco Patrizi filosofo platonico nel crepuscolo del Rinascimento, ed. by P. Castelli, Firenze, Olschki, 2002, pp. 279-282.
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some interesting papers on the Po of Ferrara and the Reno controversy,1 he certainly had a too high opinion of his originality when he boasted of being the first writer to have developed a ‘universal science of waters’.2 In any case, the knowledge that Patrizi had drawn from this practical experience influenced only very slightly the treatment of the subject of waters in the Nova de universis philosophia. Like the engineers and the mathematicians that were assessing the effects of the confluence of the Reno in the Po of Ferrara, Patrizi was aware that the relative strength of the currents was a relevant factor of the question. Patrizi also knew that the inclination of the longitudinal profile influences the speed and the strength of the current.3 These ideas appear in a rather distorted way in book XXIV De aqua et mari of the Pancosmia where, among other things, Patrizi analyzed what happens in a narrow passage of a river. If the water level rises, Patrizi admitted that the river is swifter in the passage. Often, however, there is no rise in the water surface. Patrizi did not consider the possibility that in this case the speed might also increase for the push of supervening water, a rather common notion of contemporary engineering science, or for some other reason. Coherently with his theory of matter, he believed that the mass of water running through the narrow passage is squeezed together and does increase in density. The flow is not swifter in the narrow, it is denser. A local increase or decrease in density takes place, for the same reason, in a pipe of non-uniform size that runs full. Patrizi saw the flow through the lenses of ancient atomism. Apart from the temporary filling of the empty spaces interspersed between the particles of water, he explained the squeezing of running water in the narrow parts of the conduit with the expulsion of trapped air: It cannot be otherwise than water is squeezed together and thickened. No other reason can be given for this squeezing and thickening, apart from the expulsion 1 I refer to the following works: 1) the Discorso sopra lo stato del Po di Ferrara (written in about June-July 1579); 2) the Risposta a Scipio di Castro sopra l’arenamento del Po di Ferrara (a first draft of this Risposta was written by 5 August 1579); 3) the Relatione di quanto negotiato a Ravenna con mons. Sanfelice (which was written after the mission of Patrizi to Ravenna, presumably in November-December 1579). All these papers are published in F. Patrizi da Cherso, Lettere ed opuscoli inediti, ed. by D. Aguzzi Barbagli, Firenze, Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento, 1975. 2 «io primo et fin hora solo ho formato una universale ordinata et certa scienza dell’acque, tratta da suoi veri principij naturali et mathematici» (the quote is from the letter of Patrizi to the duke of Ferrara, cited above, p. 281). 3 In the Discorso sopra lo stato del Po di Ferrara Patrizi listed 16 general rules, «communi a tutto il genere dell’acqua». The 6th and the 8th rule have to do with the relation between inclination and speed (Patrizi, Lettere ed opuscoli inediti, cited above, p. 215).
benedetto castelli and the incompressibility of water 31 of trapped air between atoms, with the subsequent production of foam, or the temporary occupation of the atoms of void interspersed into water.1
Although only in a limited sense and in a distorted way, Patrizi had grasped the continuity of the flow. He had no doubts on the conservation of the flow mass and it is possible that he shared, together with many mathematical practitioners and some natural philosophers, a qualitative vision of the equality of the mass rate of flow along the conduit. In the just quoted passage of the Nova de universis philosophia, we have read that rivers «in angustias acti» (pushed forwards in the narrows) run with the same «cursu» (course / speed) – on condition that they do not rise – as in the wide parts of the riverbed. If the mass rate of flow is constant, it necessarily follows that the water running in the narrows is compressed. Where the riverbed becomes wide again, the empty spaces between the particles of water grow and some air may partly fill them as before. The examples discussed so far show that the obstacles that delayed the emergence of an exact formulation of the law of continuity of running water were not only of a mathematical but also of a physical nature. Leonardo as well as many Renaissance artist-engineers and other mathematical practitioners had in all likelihood no doubts on the incompressibility of water.2 However, the prevailing philosophical opinion still was that the density of flowing water might actually change. It is time, now, to turn our attention to Castelli’s modelling of the flow of water. 1 The whole passage reads as follows: «Nam & rivi, & fluvij, lati prius, in angustias acti, nihilque altiores saepe facti, per eas eodem labuntur cursu. si altiores fiant: etiam citatiore. Et quae a fontibus, aut fluviis, aut lacubus ad usus humanos, per subterraneos tubulos, vel lapideos, vel lateritios, vel plumbeos ducitur: compertum est, quae duorum palmorum diametro prius fluebat, si vel ventus, vel aqua alia a tergo impellat, eam in se redactam, per diametrum unius transire palmi. Id autem ratione ulla fieri non posset, nisi densaretur, & in se coiret. Densari autem & coire, alia ratione nulla potest, praeter quam quod vel aerem per atomos sibi intermistum in alias pellat partes, unde spuma fit. vel in atomos vacui sibi inter mistos, interim resideat» (F. Patrizi, Nova de universis philosophia, cited above: Pancosmia, lib. XXIV, p. 124r). G. Piaia has drawn attention to this mechanism, which explains the ‘property’ of water «di venire compressa senza mutarsi in altro», in Tra misticismo neoplatonico e «filosofia dei fiumi». Il tema delle acque in Francesco Patrizi, «Quaderni per la storia dell’Università di Padova», XXIX, 1996, pp. 141-142. 2 In the few known attempts at calculating the discharge of a river made by Renaissance practitioners, the incompressibility of running water does not explicitly come forth. An analogous observation applies to Leonardo’s formulations of the law of continuity. It is likely that they considered such a property as an obvious prerequisite of their methods. In his notebooks, Leonardo nonetheless recalled that water differs from air because it is just displaced and not condensed: «The air that moves with impetus in among other air condenses within itself, (…). Water in such cases cannot be compressed. And as it has these same movements within its body, it is necessary that it push other water from its site» (Leonardo da Vinci, The manuscripts in the Institut of France: Ms. L, translated by J. Venerella, Milano, Ente Raccolta Vinciana, 2001, f. 78r). In another
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9. Castelli ’ s geometry of running water In the first part of Della misura dell’acque correnti, Castelli made a point of criticizing the usual engineering method to measure running waters. Although there had been several ingenious attempts to control the flow of irrigation outlets,1 Renaissance practices of water distribution did not much differ from those described in Frontinus’ commentary on the Roman aqueducts. The size of the orifice or the size of the conduit still was the fundamental if not the only variable taken into consideration. In spite of some endeavours in considering the speed as well, the method of measuring the cross-section of river flow remained the main quantitative estimate of fluvial discharge then available. It seems therefore only natural that the first definition in the geometric part of Castelli’s tract is that of section of a river. In spite of that, the fluvial features outlined by Castelli in the form of mathematical suppositions and definitions had little to do with the practice of rivers. The banks of Castelli’s river are perpendicular to the surface of running water, and the bottom is at right angles to the banks. In the third supposition, Castelli also made clear that he did not consider any kind of transient movement. His propositions only concerned rivers in a given state of flow, e.g. when they are shallow or when they are deep.2 After these suppositions, Castelli introduced the two key definitions of section and of equally swift sections: Def. 1. If a river will be cut by a plane normal to the water surface and to the banks, this cutting plane is called section of the river. This section, for the suppositions above, will be a rectangular parallelogram. Def. 2. Equally swift sections are called those through which water runs with equal velocity. A section is called more or less swift than another when water runs through it with more or less velocity.3 text, this point is explained by emphasizing the different kind of penetration through water and air of a fish and a bird (Leonardo da Vinci, I manoscritti dell’Institut de France: Ms. E, ed. by A. Marinoni, Firenze, Giunti Barbèra, 1989, f. 71v). 1 An important example is the practice of adjusting the head on the outlet, so as to keep it constant, that was introduced in the 1570s in the Navigli of Milan (C. Maffioli, Tra Girolamo Cardano e Giacomo Soldati. Il problema della misura delle acque nella Milano spagnola, in Arte e scienza delle acque nel Rinascimento, ed. by A. Fiocca, D. Lamberini, C. Maffioli, Venezia, Marsilio, 2003, pp. 119-126). 2 Castelli, Della misura dell’acque correnti, cited above: Demostrazioni geometriche, suppositions 1-2-3, p. 45. Besides, in the first two suppositions, Castelli considered the upper surface and the bottom as flat surfaces. In prop. 1, however, both are represented as curved surfaces. In this drawing, the only regular features are the rectangular shapes of the cross-sections (see infra). 3 Ibidem, pp. 45-46.
benedetto castelli and the incompressibility of water 33 Already this combination of definitions and suppositions constituted a remarkable example of mathematization. It was a break with tradition, both in the field of engineering and natural philosophy. Consider the definition of rectangular section. Castelli did not introduce it in the traditional way of the arithmetic of flow, as the product of the linear dimensions of the rectangle. His section was a plane intersecting a highly idealized physical object, whose connections with a real river were far from obvious. Still more perplexing was the idea that a plane surface, without physical attributes such as mass and weight, may have a velocity. A comparison with the approaches of Leonardo and Cabeo shows that these mathematical views had little if any currency among engineers and natural philosophers. In his many formulations of the principle of steady flow and the continuity law, Leonardo always referred to the quantity of water and the velocity in a given part of the river. The term ‘section of river’ does not appear in Leonardo’s vocabulary. Almost 20 years after the publication of Castelli’s work, in a tract on the mensuration of running waters that was part of his commentary of Aristotle’s Meteorology, the Ferrara Jesuit Nicolò Cabeo talked of ‘sections’ either in the traditional way of the arithmetic of flow or as layers delimited by two parallel planes. Cabeo discarded, in other words, Castelli’s definition of section as a plane surface in accordance with his attempt to deal with the subject more by a physical than by a mathematical method.1 Another revealing feature of Castelli’s kinematics of rivers is that the velocity is not defined. As in the section De motu aequabili of the Third Day of Galileo’s Discorsi intorno a due nuove scienze, Castelli’s velocity is a primitive notion.2 Its meaning as well as the way in which two velocities can be quantitatively compared is considered acquired. For this reason, in def. 2 Castelli could talk of sections more or less swift than others without bothering to explain how to compare two velocities.3 To this pur1 N. Cabei … in quatuor libros meteorologicorum Aristotelis commentaria et quaestiones, I, Romae, typis haeredum F. Corbelletti, 1646: De mensuratione aquarum decurrentium, pp. 333-334. 2 The Galilean mathematical horizons of the geometric theory of proportions impeded to define the velocity as a ratio between two non homogeneous magnitudes such as space and time (E. Giusti, Aspetti matematici della cinematica galileiana, «Bollettino di storia delle scienze matematiche», I / 2, 1981, pp. 19-20; Idem, Ricerche galileiane: il trattato «De motu aequabili» come modello della teoria delle proporzioni, «Bollettino di storia delle scienze matematiche», VI / 2, 1986, pp. 91-92). 3 In book II Della misura dell’acque correnti, which was posthumously published in 1660, Castelli partially filled this gap: «Muoversi due fiumi con egual velocità si diranno, quando in tempi eguali passano spazij eguali di longhezza» (B. Castelli, Della misura dell’acque correnti (…). In questa terza edizione accresciuta del secondo libro, (…), Bologna, per gli HH. del Dozza, 1660, p. 77 [book II, def. 1]).
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pose, however, he was compelled to associate with each section of the river a given velocity. Castelli was well aware that the physical reality of running waters was much different. In their 1615 published work, he and Galileo had adduced the example of rivers just to show that waters do not move as a whole. How could Castelli now pretend that the velocity in a section has only one value if he had formerly stated that river waters are swifter at the surface? A possible explanation of these contradictory views may be found in the mathematical difficulty met by Castelli in dealing with the case of various velocities within a given river section. Towards the end of 1625, after his return to Pisa from the visit to the waters of the papal territory of the Po delta, Castelli developed his thoughts on fluvial hydraulics in close touch with Galileo and wrote a first version of his tract.1 A letter of 10 December 1625 shows the embarrassment of Castelli in dealing with the above mentioned case: I must tell you – wrote Castelli to Galileo – of an entanglement that I have in my head, which has been the main or maybe the only reason for not proving the two last axioms and for proving the third proposition in the way that I have done. The problem that entangles me and that I am unable to solve is the following: whether water runs with the same velocity in the upper and in the lower parts [of the river section].2
If the river flows steadily, in a given cross-section the velocity does not change with time. However, and notwithstanding the supposition of steady flow, if the velocities have different values in each point of the section the case is much more complex. To cope with it, Castelli ought to have hypothesized a distribution law of these velocities and to have developed some infinitesimal methods. It is probably to eschew this difficulty that Castelli, in his published tract, let it be understood by way of implication that in any cross-section the velocity is just one.3 After these suppositions and definitions, five axioms follow up. In them Castelli talked of quantity of water discharged by a given section in a given time. In itself, this expression might refer to the mass / weight or to the volume rate of flow.4 Within the language of the theory of pro1 For more on these points, see Maffioli, Out of Galileo, cited above, pp. 45-46, 52 (n. 5) and 422-423. 2 OG, XIII, letter 1744, p. 291. 3 M. Bucciantini, Il trattato «Della misura dell’acque correnti» di Benedetto Castelli. Una discussione ‘sulle acque’ all’interno della scuola galileiana, «Annali dell’Istituto e Museo di storia della scienza di Firenze», VIII / 2, 1983, pp. 118-122. 4 In book II, Castelli let it be afterwards understood that for measure he intended the weight of water that flows in a given time: «Misurare un fiume, ò vero un’acqua corrente, appresso di noi, si dirà investigare quante determinate misure, ò vero pesi d’acqua in un dato tempo [here
benedetto castelli and the incompressibility of water 35 portions, provided that these magnitudes are proportional, we can mentally substitute one for the other. The situation changes, however, if the density of water is not constant during the flow. In this case, Castelli’s axioms cannot be interpreted in terms of mass rate of flow. Take e.g. the first axiom: Axiom 1. Equal sections, being equally swift, discharge equal quantities of water in equal times.1
If the densities are not the same, it is not possible to infer from the equality in size and swiftness of two sections that they discharge equal masses of water. Castelli had insisted on incompressibility only in the first part of his 1628 tract. In the second part, he used this basic property without explicitly reaffirming it. The invariance of the specific volume is fundamental to the demonstration of the first proposition, in which Castelli enounced the principle of steady flow. While the third supposition limits the ambit of the geometric discourse to steady flow, in prop. 1 Castelli stated that the rate of flow of whatever section of a river is constant. A drawing of Castelli’s idealized river is included within the original text of the proof: Let A and B be two sections of river C, which flows from A to B. I say that they will discharge equal quantities of water in equal times. For, if a greater quantity of water
A
C B
were to pass through A than through B, it would follow that in the intermediate space of river C water would continuously increase, which is manifestly wrong. But, if more water were to leave from section B than it were to enter through section A, in the intermediate space C the water would be continuthe verb flow is missing] per il fiume, overo alveo dell’acqua, che si deve misurare» (Castelli, Della misura dell’acque correnti, third edition, cited in n. 3 of p. 33, pp. 77-78 [book II, def. 3]). 1 Castelli, Della misura dell’acque correnti, cited above: Demostrazioni geometriche, axiom 1, p. 46.
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ously decreasing and always lowering, which is also wrong. Therefore the quantity of water which passes through section A is equal to that which passes through section B, and consequently the sections of the same river discharge, &c. That was to be demonstrated.1
In this demonstration, Castelli made use not only of the conservation of the volume of water C but also of the invariance of the shape of the longitudinal profile of this part of the river. While in supposition 3 the steady flow of water is dealt with as a kind of visual experience, prop. 1 can be considered as an exact definition of this particular condition of flow. A similar idea had occurred to Leonardo, although Leonardo had expressed it in a different form.2 In the demonstrations of the following two propositions, the geometric theory of proportions comes in full sight. Prop. 2 states that the ratio of the quantity q(A) of water which passes through a section A of a river to the quantity q(B) which passes through a section B of another river is the compounded ratio of A to B and of vA to vB. To prove it, Castelli took a third section G which is equal in size to A and has the same velocity as B.3 Namely G = A and vG = vB
From this assumption and from axioms 4 and 5,4 it follows that q(A) : q(G) = vA : vG = vA : vB and q(G) : q(B) = G : B = A : B
The ratio q(A) : q(B) is compounded of the ratios q(A) : q(G) and q(G) : q(B). Therefore
1 Ibidem, proposition 1, pp. 48-49. 2 «Adunque si pò dire – had e.g. written Leonardo in his notebooks – che in ogni parte della lungheza del moto dell’acqua per sé mossa con equal tenpo passi equal peso d’acqua. Pell’avversario Questo si prova esser vero col mostrare che in quella parte che tu volessi dire che passassi più acqua over che entrassi più acqua che quella che n’esscie, ti bisognierebbe confessare che in tal sito col tenpo sarebe adunare tutto l’elemento dell’acqua, perché in ogni punto che v’entrassi dua botti d’acqua e ssol ne versassi una botte, tu avanzeresti in quel sito tante botti d’acqua in quanti punti tu potessi anumerar nel tenpo» (Leonardo da Vinci, Il codice Arundel 263 nella British Library, ed. by. C. Pedretti and C. Vecce, Firenze, Giunti, 1998, P 72r: f. 216r). 3 In a ‘petition’ which follows axiom 5, Castelli had asked to be allowed to suppose the existence of a section equal in size to a given one, but of different width, height and velocity (Castelli, Della misura dell’acque correnti, cited above: Demostrazioni geometriche, p. 47). 4 «Axiom 4. When two sections are unequal but equally swift, the quantity of water which passes through the first section to that which passes through the second will have the same ratio which has the first section to the second. (…). Axiom 5. If the sections are equal but of unequal velocity, the quantity of water which passes through the first section to that which passes through the second will have the same ratio which has the velocity of the first section to the velocity of the second section» (ibidem, pp. 46-47).
benedetto castelli and the incompressibility of water 37 q(A) : q(B) = A : B # vA : vB1
Prop. 3 is a consequence of prop. 2. If q(A) = q(B), it follows that A : B = vB : vA,
namely that the sizes of the two sections have the inverse ratio of their velocities. This result would be wrong if the densities ÚA, ÚB of water running through the two sections were different.2 In the corollary of prop. 3, Castelli combined the outcomes of prop. 1 and 3 to pointing out the error of the ordinary practice of river measurement: Corollary. Hence it is manifest that the sections of the same river (which are no other than the ordinary measures of the river) have between them the inverse ratio of their velocities. (…) and therefore the same running water changes its measure when it changes of velocity, namely it increases in measure when the velocity decreases and it decreases in measure when the velocity increases. (…).3
As Castelli had emphasized in the first part of his tract, the area of the cross-section of a river is not a reliable measure of the flow. Castelli believed that this ordinary measure should be replaced with a ‘mathematical measure’ given by the volume of a rectangular parallelepiped whose first two dimensions are the width and the height of the section, and the third dimension is a length proportional to the velocity of the section. Each section of the river is associated with a particular flowing parallelepiped. In a condition of steady flow, however, all these infinite solid magnitudes have the same volume because their bases (the areas of the wetted sections of the river) are in inverse ratio to their heights (the velocities of these sections). 1 Ibidem, pp. 49-51. The structure of the proof of prop. 2 is similar to that of theorem 4 of Galileo’s De motu aequabili; Castelli’s axioms 4-5 play the role of Galileo’s theorems 1-2 (on Galileo’s proof of theorem 4, see Giusti, Ricerche galileiane: il trattato «De motu aequabili», cited above, pp. 102-104). 2 Ibidem, pp. 52-53. In algebraic terms, Castelli’s prop. 3 may be stated as follows: vA A = vB B. If ÚA ⫽ ÚB, the law of continuity for steady flow has instead a different form: ÚA vA A = ÚB vB B. 3 Ibidem, pp. 53-54. It has been recently suggested that a root of Castelli’s inverse ratio law may be found in the 1612 Galilean proof (see n. 3 of p. 21) of the equality of level in two interconnected vessels (D. Bertoloni Meli, Thinking with objects: the transformation of mechanics in the seventeenth century, Baltimore, The John Hopkins University Press, 2006, pp. 84-85). The question is not easy to be settled because the inverse ratio of size and velocity is just ‘virtual’ in the two Galilean vessels (the water being there at rest) and because Castelli deliberately excluded any dynamic foundation from his science of running waters. On the other hand, it is difficult to believe that Castelli failed to notice, in preparing his 1628 book, that the 1612 Galilean argument can be interpreted in terms of the inverse ratio law.
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It was a remarkable thought, but Castelli refrained from clearly explaining his new mathematical method. At the end of the first part of the 1628 tract, we only find a hint of this method: the water being a body, to form a concept of its quantity it is necessary to consider in it all the three dimensions, namely width, depth and length. The first two dimensions are taken into account in the usual and ordinary method of measuring running waters, but [in this ordinary method] the third dimension of length is omitted. Perhaps such an oversight has been committed because the length has been reputed in a sense infinite, since running water never finishes of passing. As infinite, it has been considered incomprehensible and such that it would not be possible to get any certain knowledge of it. Therefore, no account at all has been taken of the length of running water. However, if we pay the due attention to our consideration of the velocity of water we will find that, by taking account of it also the length is reckoned. In fact, when it is said that the water of a spring runs with a velocity of a thousand or two thousand rods in an hour, in substance this is no other than saying that such a fountain discharges in one hour a water of a thousand or two thousand rods long. Although the total length of running water is incomprehensible as infinite, it is nevertheless intelligible by parts in its velocity.1
In the letter to Galileo of 10 December 1625, Castelli had expressed the real reason of this reticence.2 From our vantage point, the way to overcome the mathematical difficulty presented by the various velocities in different parts of the section seems rather obvious. Like Galileo, Castelli was however limited by the constraints of the Eudoxian theory of proportions. Within this classical geometric framework, it was not possible to introduce the concept of average speed of the water flowing through a given cross-section as the ratio of the sum or aggregate of the velocities and the area of the cross-section. On the other hand, the notion of aggregate of velocities required some sort of infinitesimal foundation. It is therefore probable that in the years 1625-1628 Castelli did not search further in this direction.3 1 Castelli, Della misura dell’acque correnti, cited above, p. 42. 2 The passage of Castelli’s letter, referred to in n. 2 of p. 21 continues in this way: «E per tanto, per sfuggire questo punto, o, per dir meglio, per non haverne bisogno, ho tralasciato il concetto di quei prismi d’acqua che passano per le sezioni etc., perchè se queste correnti non sono le medesime nelle parti superiori che nelle inferiori, non ritrovo quei prismi: e so che nasce dalla mia debolezza; però V.S. mi scusi, e apra la mente, perchè doven[to] matto intorno a questa materia» (OG, XIII, p. 291). 3 In the late 1641-early 1642, when he was preparing book II, Castelli resumed the question and exchanged his views with Cavalieri. Subsequently, in September 1642, Castelli sent a copy of the manuscript of book II to Florence. Next month Torricelli, from Florence, asked the advice of Cavalieri in Bologna and developed the mathematical model of the semiparabolic aggregate of velocities. On these discussions, see Maffioli, Out of Galileo, cited above, pp. 65-67 and 75-77.
benedetto castelli and the incompressibility of water 39 10. Castelli and the «acqua premuta» of Giovanni Fontana It is not easy to disentangle the thread that links the mathematical and the physical sides of Castelli’s discussion of the continuity law. The political and the practical aims that were behind the publication of Della misura dell’acque correnti left little if any room for a discussion of the theory of matter or of the causes of the motion of waters. This partly explains why Castelli presented his argument on the incompressibility of water in a corollary of the first part, in the form of a critical assessment of an engineering pamphlet on the flood of Rome of Christmas 1598. Its author, the Ticinese engineer-architect Giovanni Fontana, had produced a series of measures of the water that had entered into the Tiber during the flood. His conclusion had been that the channel of the Tiber in Rome was too small.1 According to Fontana, to avoid the danger of future floods it would have been necessary to build other two river channels having at least the size of the existing one.2 In corollary 10, Castelli solved a ‘difficulty’ met by the «most diligent but ill-advised observers» of the rivers Po and Tiber.3 When they compared the measure of the area of the cross-section of the main river and the sum of the measures of the cross-sections of its tributaries, the two figures were not the same as it was expected. This was because – continued Castelli – the waters of the tributaries, once in the main river, increase in velocity and decrease in measure. The notion that a greater body of water is swifter was part of the engineering knowledge of the As for Galileo, it has been aptly emphasized that it would be mistaken to interpret Galileo’s notion of aggregate of velocities in terms of average speed (Giusti, Aspetti matematici della cinematica galileiana, cited above, pp. 17 and 32, notes 29 and 58). 1 This was a largely shared opinion, but only Fontana had supplemented it with precise measurements. Coeval reports and descriptions e.g. indicated in the many obstacles disseminated in the urban stretch of the river the reason why the 1598 flood had become a major disaster (see e.g. G. della Porta, Modo, e parere, sopra la riparatione dell’innondatione del Tevere, in C. D’Onofrio, Il Tevere (…), Roma, Romana Società Editrice, 1980, pp. 339-340; A. Bacci, Del Tevere … libro quarto. Di tutte le prodigiose inondationi … fin’a quest’ultima del 99 (…), Roma, appresso gli Stampatori Camerali, 1599, pp. 66-67 and 70). 2 «Si che si può conoscere, che à voler levar l’inondatione à Roma affatto bisognerà far doi altri Alvei di fiume che fussero larghi quanto quello che è hoggidì, e meno basteria» (G. Fontana, Mesure dell’accrescimento che hanno fatto li fiumi, torrenti, e fossi che hanno causato l’inondatione à Roma il Natale 1598, Roma, appresso gli Stampatori Camerali, 1599, pp. n.n.). 3 Castelli referred to the measurements of the Tiber and its tributaries by Giovanni Fontana and his nephew Carlo Maderno and to some similar, but unspecified, kind of measurements of the Po. In all likelihood, he had in mind the measures produced by Giovan Battista Aleotti in the Difesa per riparare alla sommersione del Polesine di S. Giorgio (Ferrara, V. Baldini, 1601, pp. 20-23).
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age, but Castelli used it in an original way. Castelli in fact let understand his readers that even the most scrupulous measurements of rivers were misleading, since the engineers and the periti had left aside the problem of the measurement of the velocity.1 In the next corollary, Castelli discussed Fontana’s method of measurement of the amount of water drained into the Tiber during the 1598 flood. This method was mistaken for the reason given before. The comparison between the sum of the cross-section areas of the waters of the tributaries and the cross-section areas of the main river in some particular places of its course was of little or any help if it was not supplemented with the knowledge of the velocity of the currents. Castelli also took the occasion of a passing remark of Fontana for emphasizing that the Ticinese architect had not even grasped that running water is incompressible: For a lack of understanding of the force of the velocity of water in altering its measure (…), – so begins Castelli’s corollary 11 – the architect Giovanni Fontana ended in measuring (…) all the ditches and rivers that had discharged their waters into the Tiber at the time of the inundation that had occurred in Rome the year 1598. He printed a pamphlet about it, in which the measures of the extraordinary water that had entered into the Tiber are collected. He reckoned that this water was about five hundred canne more than the ordinary one,2 and at the end of his tract he concluded that to rid Rome wholly of the flood it would be necessary to make two new river channels equal to the present one, and even that would not suffice. And finding afterwards that the whole flood had passed under the Ponte Quattro Capi (whose arches are of a far less measure than five hundred canne), he concluded that under the said bridge had passed one hundred and fifty one canne of water compressed (I 1 Castelli, Della misura dell’acque correnti, cited above, corollary 10, pp. 13-14. 2 At Rome, the «canna architettonica» measured about 2.23 m. Since the 500 canne of Fontana were «quadrate», they corresponded to about 2,500 square meter of extraordinary water entered into the Tiber. Fontana obtained this figure in the following way. In the territory of Orvieto, the architect Ippolito Scalza had measured for him the rivers Paglia-Chiane which joined together just before their confluence in the Tiber. While the ordinary current was 20.5 canne of width and 0.6 canne of height, at the time of the flood the current had widened up to 35.2 canne and the water had raised 2.9 canne more than the ordinary level. This meant that the extraordinary water carried into the Tiber by the Paglia-Chiane during the flood was 35.2 x 2.9 ⬵ 102 canne. To this figure, Fontana added the 136 canne of extraordinary water of the Tiber before the immission of the Paglia-Chiane, and the measures of the extraordinay waters of all the tributaries of the Tiber from the confluence of the Paglia-Chiane as far as Rome. These measurements were made by Fontana himself and by his nephew Carlo Maderno and other collaborators between 16 January and 20 February 1599. Overall, they measured 81 tributaries of the Tiber. Other measurements concerned the Tiber (in four different places), and the rivers Paglia-Chiane and Velino-Nera. In most cases, Fontana produced the data concerning both the ordinary and the extraordinary water (Mesure dell’accrescimento, cited above, pp. n.n.).
benedetto castelli and the incompressibility of water 41 have set down the precise term – acqua premuta – used by Fontana), wherein I note several errors.1
At this point, Castelli linked the criticism of the lack of understanding in engineering of the role of the velocity to the more general question of the incompressibility of running water. It was not a simple reminiscence from the debate with the Florentine philosophers on the causes of floating and sinking.2 As we have seen before, the acknowledgement of the incompressibility of water was an essential step of Castelli’s mathematical formulation of the law of continuity. In his geometric demonstrations, Castelli could avoid any explicit mention of this physical property of water because in corollary 11 he had already mentioned it. The criticism of Fontana’s pamphlet had allowed him to briefly discuss such a sensitive philosophical topic within a book that above all had – at least to the eyes of Urban VIII and Cardinal Francesco Barberini, who had chosen the timing of the publication and had sponsored it – practical aims. The length of corollary 11, which covers five printed pages, is an indication of the importance that Castelli attributed to the criticism of Fontana’s pamphlet. After the above quoted passage, Castelli discussed six different errors made by Fontana. The sixth one has to do with the question of the incompressibility: Sixthly, it seems to me a great weakness to say that under the Ponte Quattro Capi passed one hundred and fifty one canne of water compressed. Water is not like cotton or wool, which can be compressed and squeezed as it happens also to the air. After that a quantity of air is reduced to its natural constitution in a certain place and has filled this entire place, it can be compressed in such sort that – by force and violence – it is reduced to a much smaller place. In such a way, [in the place originally occupied by the air in its natural constitution,] it can be put in four or six times more air than before (…). But water, as far as I know, can never be pressed and squeezed so that if before compression it holds and occupies a certain place, being in its natural constitution, I do not believe that it is possible to press and squeeze it to make it occupy a smaller place.
The reason adduced by Castelli has to do with the experience of liquid measurement. If water were a compressible fluid, a long cylindrical vessel should hold more water when it stands upright than when it is 1 In the original text, the last part of the quote reads as follows: «e ritrovando poi, che tutta la piena passò sotto il ponte Quattro Capi (il vano del quale è di molto minor misura delle cinquecento canne) conclude, che sotto il detto ponte, passorono, cento e cinquantuna canna di acqua premuta (ho posto il termine preciso di acqua premuta, scritto dal Fontana) dove io noto diversi errori» (Castelli, Della misura dell’acque correnti, cited above, corollary 11, p. 14). 2 For a different opinion see P. Buonora, Cartografia e idraulica del Tevere (secoli XVI-XVII), in Arte e scienza delle acque nel Rinascimento (cited in n. 1 of p. 32), p. 181.
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horizontal.1 Castelli was however not primarily concerned with the incompressibility of water at rest but of running water: Therefore in our case, in conformity with our principles, – concluded Castelli – we will say that all the water of that flood passed under the said bridge of Quattro Capi, for that being there most swift, it should consequently be of less measure. And here we can see how many errors we may run into for the ignorance of a true and real principle, which once known and well understood takes away every darkening of doubt and very easily resolves all the difficulties.2
Although Castelli’s argument is sound, it lacked any experimental proof but the visual experience that shows that running water is swifter in the narrows. What is more, Castelli had interpreted in a questionable way Fontana’s wording. In his pamphlet, Fontana had not stated that the whole flood had passed under the Ponte Quattro Capi. He had on the contrary let it be understood by way of comparison that the huge quantity of water carried by the Tiber in flood could not pass under that bridge.3 The exact words are the following: I find that 500 square canne and palmi 9 of water, more than the ordinary one, entered into the Tiber upstream Rome during the flood of this Christmas, (…). Under the Quattro Capi Bridge, I find that during the flood passed about 151 canne of compressed water; so that from this little labour everyone can understand the reason why the said inundation occurred.4 1 «(…). Ma l’acqua, non si può già mai, che io sappia, calcare, o premere in modo, che se avanti la compressione tiene, e occupa un luogo, stando nella sua naturale constituzione, non credo dico, che sia possibile, premendola, e calcandola farla occupare minor luoco, perche, se si potesse, conprimere l’acqua, e farla occupare minore luogo, ne seguirebbe, che due vasi di eguali misure, mà di ineguali altezze, fossero di ineguale capacità, e verrebbe a capire più acqua quello, che fosse più alto; anzi un cilindro, o altro vaso più alto, che largo, capirebbe maggiore quantità d’acqua, stando eretto, che stando disteso, perche stando eretto l’acqua postavi dentro, verrebbe à essere più premuta, e calcata» (Castelli, Della misura dell’acque correnti, cited above, corollary 11, pp. 17-18. In the English translation and in the quote from the original text I have taken account of the changes indicated in the errata put at the end of the book). 2 «E però nel caso nostro conforme ai nostri principij diremo, che l’acqua di quella piena passò tutta sotto il nominato ponte di Quattro Capi, perche essendo ivi velocissima, in conseguenza doveva essere di minore misura. Vedasi per tanto, in quanti errori si casca per l’ignoranza di un vero, e reale fondamento, il quale poi conosciuto, e bene inteso, leva via ogni caligine di dubbio, e risolve facilissimamente tutte le difficoltà» (ibidem, corollary 11, pp. 18-19). 3 It is perhaps worth mentioning, given that this old usage has recently produced some confusion, that with the term «Ponte Quattro Capi» Fontana and Castelli in all likelihood referred to both the ‘ponte Fabricio’ and the ‘ponte Cestio’ which join the Isola Tiberina to the left and the right bank of the Tiber. 4 «All’inondatione di questo Natale, trovo che nel Tevere da Roma in sù, vi sono entrate canne quadrate 500 e p. 09 di acqua di più dell’ordinaria, (…). Sotto à ponte Quattro Capi, all’inondatione di questo Natale, trovo, che vien ad esser passato sotto à detto ponte canne 151 in circa di acqua premuta, talche da questa poca di faticha, ogn’uno potrà conoscere la causa, per laquale è successa detta inondatione» (Fontana, Mesure dell’accrescimento, cited above, the quote is from the last two paragraphs of the pamphlet).
benedetto castelli and the incompressibility of water 43 Of course, Castelli was right in saying that the comparison of these two figures is scarcely significant if not meaningless. But it was hard to believe that the entire flood had passed under the Quattro Capi Bridge and that Fontana had shared this opinion. If this were true, why had Fontana emphasized the need of two supplementary channels for the Tiber? According to Bacci’s description, Rome during the «flooding» was a town «sinked in a great sea gulf». The water for a width of more than two miles covered «all this flat area of Rome and Prati».1 Only part of the flood was channelled along the urban stretch of the river and under the bridges of the Tiber. In the case of major disasters like the 1598 inundation, the water flooding Rome divided in several surface streams that followed the paths of least resistance.2 11. Early reactions to Castelli ’ s criticism of Fontana It was not this aspect, at any rate, that raised doubts and sparked off a debate but the criticism of Fontana’s acqua premuta. Galileo himself was not convinced of the soundness of Castelli’s interpretation: All who have read your book – wrote Galileo to Castelli on 8 January 1629 – have liked it a lot. Here it has been suggested to reprint it, but I understand that you are not satisfied with it. I will read it again many times and, if I will find something to note, I will let you know at the time in which it should be reprinted. For the moment, it comes to my mind of that acqua premuta that you interpret as condensed. The author might defend himself from this opposition by saying that it is not necessary that squeezed water ought to condense to run away with more impetus. E.g. the cherry stone, squeezed by the fingers, runs away swiftly without being condensed. Water itself, if squeezed in a syringe also jumps up and if pressed by its own weight comes out swiftly from a full cask.3
Galileo pointed out the semantic ambiguity of the word «premuta» and proposed an alternative reading of Fontana’s words. Although Galileo was right in suggesting that the text of Fontana had not been wholly understood, Castelli easily replied that Fontana’s method of measurement did not at all take into account the velocity of the currents. Why should Fontana have used the expression «acqua premuta» to mean that water was swift? Running water flows through a smaller cross-section area not 1 Bacci, Del Tevere libro quarto, cited above, p. 48. 2 V. Di Martino, M. Belati, Qui arrivò il Tevere. Le inondazioni del Tevere nelle testimonianze e nei ricordi storici, Roma, Multigrafica Editrice, 1980, pp. 17, 76 and 78. 3 OG, XIV, pp. 16-17.
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because it is squeezed but for being swifter; ice floats as well not because the air is the predominating element in it but for being lighter than water.1 This passing remark of Castelli should obviously be read in connection with the 1610s philosophical debate on the causes of floating and sinking. It would nonetheless be wrong to see in this linkage the motive behind corollary 11. The real point was another one: the mathematical frame built by Castelli would lose its foundation if water were a compressible fluid. Through the criticism of Fontana’s method of measurement and of the acqua premuta Castelli wanted to emphasize another kind of connection, namely that between the continuity and the incompressibility of running water. Although his arguments were sound, Castelli had played a little with Fontana’s words and intentions. Admittedly, these words were far from clear. It is possible but unlikely that Fontana believed that the turbulent flow under the arches of the bridge was actually of water denser than in its natural state. In all likelihood, he had in mind something more akin to Galileo’s than to Castelli’s reading. As many other practitioners, Fontana was aware that the velocity of the current influences the measure of the cross-section of the river.2 This kind of awareness was nonetheless just qualitative and did not produce any new experimental method for measuring the flow of a river.3 In a small pamphlet printed in 1638 in Venice, a harsh criticism was levelled at the contents and the mathematical method of Della misura dell’acque correnti. Its author, a certain Pietro Petronio from Foligno, used an almost offensive tone and had the audacity of addressing the pamphlet to Raffaello Magiotti, a pupil of Castelli in Rome. It is nonetheless an interesting document because it let appear, although covered with a 1 «Quanto a quella difficoltà che fa dell’acqua premuta, – replied Castelli to Galileo on 21 January 1629 – non credo che il Fontana possa pretendere quella fuga che V.S. pensa: prima, perchè non l’ha detto; e di più, se lo voleva dire, e se intendeva questo punto della velocità, fu in tutto vanissima l’opera sua di quelle misure. Ma rispondendo più vivamente dico, che in tal senso non è vero che l’acqua occupi minor loco per essere premuta, come dice il Fontana, ma per essere veloce, come dico io; nel modo che non è vero che il giaccio galleggi per essere a predominio aereo, ma perchè è più leggiero dell’acqua» (OG, XIV, p. 19). 2 See e.g. the quotes from Fontana’s pamphlet in Buonora, Cartografia e idraulica del Tevere, cited above, p. 172. As for the acqua premuta, Buonora interprets this expression as water passed «a forza» under the bridge and emphasizes that «la maggiore velocità aveva sicuramente smaltito una grande quantità di acqua, ma non certo tutta la piena» (ibidem). 3 Fontana’s method was not only wrong but gave indirect support to extravagant ideas like the one of bypassing Rome with a second channel, conveying in it part of the Tiber water. As far as I know, Fontana’s work nonetheless constituted the first recorded attempt of making a quantitative estimate of a major flood through measurements covering an important part of the river basin. Castelli himself, albeit only between the lines, had acknowledged this merit in corollary 10 (see above, p. 39).
benedetto castelli and the incompressibility of water 45 bombastic and confusing language, views and doubts shared by many people. Petronio was wholly against the idea of reducing the matter of rivers to mathematical simplicity. According to him, Castelli’s definitions are incomprehensible and the rectangular sections are fanciful constructions. As for the incompressibility of water, the example of the cylindrical vessel is misplaced since the behaviour of water at rest is different from that of running water. Although it is quite likely that Petronio believed in the compressibility of running water, his defence of Fontana in a sense resembles Galileo’s reading: Fontana had given the cause, Castelli the effect. Under the Quattro Capi Bridge, the water had passed with great velocity for no other reason than for being pressed.1 In 1646, Castelli’s work was censured again in a printed work. This time, it was not in an obscure pamphlet but in a monumental commentary of Aristotle’s Meteorology. Its author, the learned Jesuit Nicolò Cabeo, inserted in his commentary a tract De mensuratione aquarum decurrentium which was aimed at criticizing Castelli’s way of dealing with the matter of rivers and at developing a more philosophical and experimental way.2 In commenting upon Castelli’s corollary 11, Cabeo was harsh about Fontana’s method and recommendation as well.3 But Cabeo firmly defended the Peripatetic tenet of the compressibility of both air and water. The latter was experimentally evident in some portable fountains. Prince Ferdinando Gonzaga had a model with a glass globe where it was possible to ‘see’ the water becoming denser when it was put in by force and gradually becoming rarer when it started to gush out.4 1 «Quando esso Padre viene à parlar delle inondationi di fiumi, – wrote Petronio – & di quella in particolare, del fiume Tevere, che seguì in Roma l’anno 1598 biasma il Fontana Architetto famoso, (…). Conclude poi finalmente co ’l Fontana, che sotto detto Ponte passasse detta quantità d’acqua non perche fusse premuta: ma perche passò con gran velocità, & si vede apertamente, che non conosce, che ’l Fontana hà detta la causa, & esso Castelli ha detto l’effetto: perche non per altro passò con velocità, se non perche era premuta» (P. Petronio, Considerationi sopra l’opera del Padre Don Benedetto Castelli intitolata Misura dell’Acqua Corrente, Venetia, appresso G. A. Giuliani, 1638, pp. n.n.). 2 Cabeo’s tract consists of the discussion of a series of questions that follows the comment of text 60 of book I of the Meteorology (for the identification and an English translation of this text, see Aristotle, Meteorologica, cited above: I.13, 349b 16-27). 3 According to Cabeo, the cause of inundations such as the 1598 one was a temporary rise in the sea level hindering the discharge of the river into the sea. In this perspective, the idea of making a new channel bypassing Rome was still more nonsensical. The only possible remedy was that of building higher riverbanks as it was practised in the Po River (Cabeo, In quatuor libros meteorologicorum, cited above, I: De mensuratione aquarum decurrentium, pp. 347-348; see also A. Fiocca, I gesuiti e il governo delle acque del basso Po nel secolo XVII, in Giambattista Riccioli e il merito scientifico dei gesuiti nell’età barocca, ed. by M. T. Borgato, Firenze, Olschki, 2002, pp. 350-351). 4 «Deridet Castellus corrol. 11 in architecto Fontana, quasi ortum ex magna ingeniij imbecillitate, dictum: quod aqua ad huiusmodi pontes densetur: (…). ego vero, – wrote Cabeo – & aerem,
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Some remarks included in a long question of the commentary of book IV concerned the compressibility of substances. This question follows the comment of text 31 of Meteorology IV (386a 17-386b 11), in which bodily properties like the capability of taking an impression, the plasticity and the squeezability are discussed. Substances like sponges and wax «which have pores empty of their own material», we read in the Aristotelian text, can be squeezed because they can «contract under pressure into the empty space within them, that is, into their own pores». Conversely, substances like iron or water cannot «contract on pressure into their own pores either because they have none or because they are full of a material harder than themselves».1 Cabeo was not satisfied with this philosophy («Mihi vero haec philosophia non placet»). The matter of the sponge, as well as the fibres of cotton and wool and other similar substances, does not really contract under pressure. By squeezing it, the sponge simply reduces of volume by expelling some foreign substance. The same occurs to water in motion, which is subject to a contraction due to the relative motion of its parts. In both cases, the body becomes denser because its corpuscles, thanks to the expulsion of the thin matter interspersed between them, approach each other.2 Cabeo accepted from Meteorology IV the idea that matter is composed of corpuscles, but he was careful to limit the explicatory power of this philosophy. Following Aristotle, he took the example of wax to emphasize the case of a soft substance that can retain an impression. Cabeo, however, also emphasized that wax changes in shape but not in size because it has no pores, contrary to what it was maintained in Meteorology IV.3 For the condensation of water as well, Cabeo was not disposed to consider the teaching of Meteorology IV as indisputable. However, in this case his tenet was not at all anti-Peripatetic but a direct emanation of & aquam eodem modo addensari credo». First, Cabeo spoke of the rarefaction and condensation of water associated with thermal phenomena. Then, he gave examples of compressibility of air and water. The one concerning water is the fountain of Ferdinando Gonzaga (ibidem, p. 355). For Castelli, instead, portable fountains were examples of compressed air. In corollary 11, he had cited the fountains built by Vincenzo Vincenti from Urbino, which «schizzano in alto l’acqua a forza di aria compressa, la quale, mentre cerca ridursi alla sua naturale constituzione, nel dilatarsi, fa quella violenza» (Castelli, Della misura dell’acque correnti, cited above, p. 18). 1 Aristotle, Meteorologica, cited above: IV.9, 386a-b, English translation by H. D. P. Lee. 2 Cabeo, In quatuor libros meteorologicorum, cited above, IV: De compressione corporum quid sit, & quomodo fiat, p. 393. 3 «patet hoc evidenter; – concluded Cabeo – quia non imminuitur magnitudo, & moles ipsius cerae, sicut nec plumbi, dum contunditur, & quantum constringitur secundum unam dimensionem, tantum secundum alteram dilatatur, ita ut nulla prorsus sensibilis fiat imminutio magnitudinis in cera; quamtumvis redigatur ad subtilissimam crassitiem» (ibidem).
benedetto castelli and the incompressibility of water 47 Aristotle’s Physics. Within our limited horizon, therefore, Cabeo does not appear in the dresses of the heterodox Aristotelian but in those of the faithful disciple who builds upon the true foundations of the master. This sense is conveyed also in the tract De mensuratione aquarum decurrentium, where Cabeo systematically criticized Castelli’s mathematical formulation of the continuity law. Although Cabeo primarily turned his attention to the actual measurement of the velocity and the way of measuring the discharge of a river, his remarks on the acqua premuta let us understand that the criticism concerned both the mathematics and the physics of Castelli. 12. Conclusion Thanks to the hypothesis of incompressibility, the formulation of the continuity law of running water became a real tool of mathematical and experimental research. In the geometric part of his tract, Castelli had taken advantage of the simplification allowed by this hypothesis. Not only in propositions 1-3, whose demonstrations have been discussed above, but also in the following propositions 4-6. These propositions concerned some key issues of the Reno River debate, such as the expected rise in the main river caused by a new tributary. Castelli was unable to solve this problem in an experimental way. His propositions nonetheless constituted a first exact indication and opened the road to new developments. The example of Cabeo is revealing. Without the impulse of Castelli’s book, Cabeo would have never emphasized the problem of the experimental measurement of velocity. The hypothesis of the invariance of the specific volume allowed Castelli to express the law of continuity in terms of experimentally manageable magnitudes such as cross-sections and velocities. Another consequence of incompressibility, namely that any small change of pressure in a point is instantaneously perceived in the whole liquid mass, was experimentally discovered by Raffaello Magiotti five years after Castelli’s death. A small pressure exerted on the free surface was immediately detected in the whole mass of water filling a glass cylinder. Magiotti conceived this mechanism as a possible model of transmission of impulses in the human body.1 The idea of the incompressibility of water was therefore rather in tune with a dynamic approach, as the same objections of Galileo to Castelli’s reading of the acqua premuta indicated. It is hard, however, to 1 R. Magiotti, Renitenza certissima dell’acqua alla compressione dichiarata con varij scherzi in occasion d’altri problemi curiosi, Roma, per F. Moneta, 1648, pp. 8-9 and 13-23; for a description of this experiment see also Maffioli, Out of Galileo, cited above, pp. 95-96.
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find hints of a fluid dynamics in Castelli’s book.1 Even in the proof of prop. 2 of book II, – a proposition stating that, in a rectangular fluvial cross-section of heigth h and velocity v, it is v ⬀ h – Castelli did not avail himself of dynamic considerations and used only a kinematic model.2 Bonaventura Cavalieri had suggested it, even though both he and Castelli were not satisfied with this model as well as with the proof of v ⬀ h.3 The different readings of Fontana’s acqua premuta are an indication of the difficulties met by early pioneers of the mechanics of fluids like Castelli. A main stumbling-block was represented by the ambiguities surrounding the idea of fluid pressure, a concept that was still ill-defined if not totally lacking. According to a widespread tenet, originally suggested by Hero of Alexandria for solving the famous problem of the diver,4 water has no weight in water. Therefore, the water above does not exert any pressure on that beneath it. The same occurs to air, another element relatively heavy that – on condition that it is in its natural constitution – does not weigh in its own place. At the time of the debate on the causes of floating and sinking, both Castelli and Galileo shared this view and considered it a rather obvious consequence of Archimedes’ hydrostatics.5 In 1628, at any rate, the first had changed his mind a little on this matter. In corollary 11, as we have seen, Castelli stated that if water were compressible a long cylindrical vessel should hold more water when it is upright because the liquid is then «more pressed». It seems, therefore, that Castelli admitted that the layers of water that are above press those below them. In spite of that, all the layers have the same density because water is incompressible.6 The discussion between Castelli and Galileo on the acqua premuta highlights another area of uncertainty of early fluid mechanics, namely that of the causes of the acceleration of running water. At the end of December 1625, Galileo had told Castelli that he was busy investigating why there is an acceleration while the water enters in a narrow, in spite of the fact that the riverbed has the same slope in the wider and in the narrow1 The most significant is the example of the resistances opposed to running waters, which is discussed in appendixes 7-9 (Castelli, Della misura dell’acque correnti, cited above, pp. 32-36). 2 Castelli, Della misura dell’acque correnti, third edition, cited in n. 3 of p. 33: book II, prop. 2, p. 82. 3 Cavalieri conceived the body of water as divided in parallel layers of equal thickness. Since each layer is carried by the subjacent ones, its velocity is increased in proportion to their number (Maffioli, Out of Galileo, cited above, pp. 65-68). 4 The pneumatics of Hero of Alexandria, cited above, pp. 8-9. 5 See e.g. [Castelli & Galileo], Risposta alle opposizioni, cited above, pp. 267 and 313-314 (OG, IV, pp. 717-718 and 764-765). In these pages, there is no explicit reference to Archimedes. Already Hero had however linked the solution of the problem of the diver to prop. 3 of book I On floating bodies. 6 The relevant passage of corollary 11 is cited above, in n. 1 p. 42.
benedetto castelli and the incompressibility of water 49 er parts. Castelli answered by return of post, but he put off the discussion of the problem until their next meeting: As for the problem that you have mentioned, – wrote Castelli from Pisa on 1 January 1626 – I might tell you what I have considered here in Pisa during the floods of the Arno, while the water passes under the arches of the bridges (…). However, because it would be quicker to talk than to write, I will let you know my thoughts on this and other [related] matters when we will meet.1
The question appears again in the letter of 8 January 1629, where Galileo tentatively suggested a qualitative dynamic model. Like Fontana’s acqua premuta under the bridge, Galileo let it be understood that the water issuing from a full vessel is swift because it is pressed by its own weight.2 However, Galileo had not offered this opinion as his own but as a possible line of defence of Fontana. For his part, in commenting in his book on the experiment of efflux, Castelli had explicitly avoided discussing the reason why the water issuing from the lower tap is swifter.3 In the correspondence between Castelli and Galileo, we find another hint of the acqua premuta in a letter of 24 February 1629 in which Castelli told Galileo he had found «alcune cose belle» in this matter.4 Unfortunately, we have no other information on this attempt. We know, on the other hand, that in the report of 16 January 1631 on the Bisenzio River Galileo resumed the question of the acceleration under the arches of bridges. In his book, Castelli had simply stated that under the Quattro Capi Bridge the flood current was swifter and, consequently, had a smaller cross-section. Galileo, instead, saw the reason of the acceleration in the increase of slope of the longitudinal surface profile of the current just before the bridges.5 As Cabeo was to point out, a source of doubt about Castelli’s theory lay in the difficulty of measuring the velocities and the cross-sections of the flow. Why, then, did Castelli appear to be certain of the physical truth of his mathematical formulation of the continuity law? Castelli readily admitted that his tract was only a first attempt to deal with the subject of rivers with a mathematical method. He also proudly declared, however, that his was a difficult subject, left untouched by ancient and modern authors. As Galileo had cautioned in the book on sunspots, some1 OG, XIII, p. 296 (see p. 294 for the relevant passage of Galileo’s letter of 27 December 1625). 2 See above, the quote from Galileo’s letter referred to in n. 3 of p. 43. 3 «E se noi più attentamente consideraremo questo negozio, ritrovaremo, che l’acqua per la cannella inferiore corre, e passa con assai maggiore velocità di quello, che fa per la superiore, qual si sia la cagione» (Castelli, Della misura dell’acque correnti, cited above, p. 5). 4 OG, XIV, p. 21. 5 OG, VI, p. 642.
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times it was indeed more difficult to get reliable information of things next to our senses as rivers and seas than of the motions of planets and the periods of stars.1 The missing element of the velocity was of course a simple finding of practical measurement. But Castelli took advantage of this discovery for developing a kind of mathematical and physical coherence in a subject that until then had been the province of engineers-architects and other practitioners. Curiously enough, a substitute for experiment in Castelli’s theory seems to be constituted more by the mistakes that he had discovered in the engineering practices than in the Renaissance traditions of the arithmetic and the visualization of flow. If we look more attentively, however, we realize that these traditions played an important albeit less evident role and were appropriated and subsumed by Castelli within a Galilean mathematical perspective. It was this interplay of theoretical and practical elements, of criticism of traditional practices and new mathematical concepts, that was the real source of Castelli’s confidence. Although the incompressibility of running water was essential for working out Castelli’s programme, no experimental proof could be invoked in support of it. Castelli simply believed, contrary to a widespread philosophical opinion, that incompressibility was not only a property of water at rest but of water in general. He was not alone; many mathematical practitioners had a similar belief. In the case of Castelli, however, it was perhaps also a Galilean assertion of the mathematical simplicity of nature and the uniformity of behaviour of the natural bodies. Pervenuto in redazione il 14 giugno 2007 1 Castelli, Della misura dell’acque correnti, cited above: see the dedicatory epistle to Urban VIII (pp. n.n.) as well as the prefatory discourse (pp. 2-3). As for Castelli’s reference to the book on sunspots, see G. Galilei, Istoria e dimostrazioni intorno alle macchie solari e loro accidenti, Roma, appresso G. Mascardi, 1613, pp. 101-102.
V I È T E RE A D E R O F D IOPHAN T US. AN A NA LYS I S O F Z E T E T I CORUM LIB R I QUIN QUE Paolo Freguglia* Abstract: In the second half of the XVIth century and the first years of the XVIIth century, the Diophantus Arithmetica was studied with great interest. The manuscripts of Arithmetica were discovered by A. M. Pazzi and were translated by R. Bombelli (1567, 1572), by G. Xylander (1575) and by S. Stevin (1585). François Viète, taking the Xylander text into account, wrote Zeteticorum Libri quinque in 1593 using his algebraic techniques. Viète’s aim was only partially to translate by means of his logistica speciosa the Diophantus’s quaestiones. As a matter of fact he proposes other interesting problems. Our goal is an analysis of some aspects of Viète’s Zeteticorum libri quinque. In particular, we will ex-
amine some zetetici of the IVth book, which concern the indeterminate second degree problems, the relationships with some propositions which we find in the part Genesis Triangulorum of Notae Priores and the pre-eminent role of the zeteticum IV, 2. Furthermore, it is interesting to consider the geometrical interpretation of some zetetici by scholars of Viète (see i.e. J. L. Vaulézard (1630)). Moreover, we will analyze the indeterminate third degree problems by comparing them with some of Fermat’s remarks. In this context we will propose an interesting mathematical philological result regarding the solution of the indeterminate equation x3 + y3 = a3 + b3.
1. Introduction
D
uring the period between the second half of the XVIth century and the first years of the XVIIth century, in the Western Latin culture we find a considerable interest for Diophantus’s work. This interest has led to a lot of writings where we can find a partial or complete translation, a commentary and an enrichment of Diophantus problems. We have the following works: * Paolo Freguglia, Pure and Appled Mathematics Department, University of L’Aquila, Italy. E-mail: [email protected] or [email protected] My thanks to Enrico Giusti with whom I have discussed at length the points covered in this paper. Moreover, I have had the chance to develop this subject-matter in various seminars and discussions in 2006, whilst I held the post of visiting professor at the EHESS in Paris, collaborating with Jean Dhombres. My thanks go to him and I would also like to thank Roshdi Rashed and Christian Houzel for the many fruitful discussions we had together. «Bollettino di storia delle scienze matematiche» · Vol. XXVIII · 2008 · Fasc. 1
52
paolo freguglia
– the third book of the Bombelli’s Algebra (1572); – Rerum arithmeticarum libri VI by G. Xylander (1575); – the Appendix to second book of S. Stevin’s L’Arithmétique (1585, ed. A. Girard 1634); – Zeteticorum libri quinque by F. Viète (1593). The text by Xylander is only a simple translation.1 A table of comparison between Bombelli and Diophantus has been drawn up by P. Ver Eecke.2 Fundamentally, the mathematical approach which we find in the works of Bombelli, Stevin and Viète is in an algebraic context. Moreover, in the works of Viète scholars (see J. L. Vaulézard (1630), A. Vasset (1630) and even M. Ghetaldi (1630)) are considered not just rational quantities, particularly in some interpretations according to «retica exegetica (geometrica)» when they use geometrical objects (segments, etc.). In this paper we would like to propose a philological analysis of parts of Viète’s Notae Priores and Zeteticorum libri quinque. The Zeteticorum libri presents a lot of innovative elements: Viète not only translates by means of his «logistica speciosa» many of Diophantus’s problems, but he proposes other interesting kinds of problems. It is well known that Viète studied Diophantus using Xylander’s text. We would like to show that: – Viète presents an articulate theory where the Notae Priores propositions about the construction of numerical right-angled triangles are linked with the zetetici which solve the diophantine second degree equations. – With regards to some third degree diophantine equations, Viète establishes the solutions which Fermat subsequently develops in a satisfactory way.3 2. Viète ’ s Zeteticorum libri quinque Zeteticorum libri quinque constitute the application and the illustration of the method («ars analytica») which had been proposed in Ad artem 1 Of course even in the Arabic culture Diophantus’s work was very important, see for instance R. Rashed (Al-Khwa¯rizmı¯, texte établi, tr. et comm. par R. Rashed) [2007] pp. 61-64 2 See Diophante d’Alexandrie, 1959 (tr. et int. par P. Ver Eecke) p. lxvi. 3 The reading and the commentary by Fermat of Diophantus’s Arithmetica was an arithmetical reading. Fermat proposes an analysis of Diophantus’s text which goes beyond a simple translation and he obtains some results which are well known to historians of mathematics and to mathematicians. Fermat made his remarks using the Claude Gaspard Bachet edition (1621).
an analysis of zeteticorum libri quinque
53
analyticem Isagoge (1591) and in Notae Priores (edited posthumously by Beaugrand in 1631, but written before 1593). Viète explains his method which consists both of a new kind of calculus («logistica speciosa») and of an improvement in the solving tools. Hence the Isagoge, Notae Priores and Zeteticorum libri quinque can be considered a unique and uniform treatise. The analysis method is presented by Viète with a new epistemological approach and the books of the zetetici show the forcefulness of this method. Viète wrote this work (composed of five books) from 1592 to 1593 and he published it at Tours in 1593. Almost a third of the zetetici (which we find in the five books) correspond to Diophantus’s quaestiones (which we find in the first four books of Arithmetica). While some zetetici, which are to be found, in particular in the third book, do not correspond to Diophantus’s work. In these zetetici Viète applies the continuous ratios. Now let’s consider the following table of comparison and of correspondence between Viète’s zetetici and Diophantus’s quaestiones. We have enriched the analogous table which François Van Schooten inserts as the commentary in the IV chapter of the Isagoge edited by him in 1646. We have also taken into consideration the table of comparison DiophantusBombelli. diophantus
viete
bombelli
I, 1 I, 2 I, 4 I, 5 I, 6 I, 7 I, 9 I, 10
I, 1 I, 3 I, 2 I, 7 I, 8 I, 4 + Aliter I, 5 + Aliter I, 6
III, 2 III, 8 III, 10 III, 11 III, 13 III, 14 III, 16 III, 18
I, 27
II, 4
III, 49
I, 28 I, 29 I, 30 II, 8 II, 9 II, 10 II, 11 II, 12 II, 13
II, 6; (II, 5); (III, 5); (III, 6) II, 8; (II, 7); (III, 3); (III, 4) II, 3 IV, 1 IV, 2 and IV, 3 IV, 6 IV, 7 IV, 8 IV, 9
III, 49 bis III, 51 III, 53 III, 61 III, 62 III, 63 III, 66 III, 67
54
paolo freguglia diophantus
viete
bombelli
V, 16 (Porsims) V, 16 (Porisms) III, 7 III, 9 III, 10 III, 11 III, 12 and III, 13 1st Lemma to V, 7 2nd Lemma to V, 7 V, 8 V, 30 VI, 3 VI, 4 VI, 5
IV, 18 IV, 19 IV, 20 V, 3 V, 4 V, 5 V, 7 V, 8 IV, 10 IV, 11 V, 1 V, 14 V, 14 V, 10 V, 11
III, 106 III, 111 III, 113 III, 114 III, 116, 117 III, 216 III, 216 III, 218 -
Firstly, we can observe that these three authors each have a different order strategy and classification criterion of problems. With regard to Viète method, schematically we can say that Viète explains in Isagoge Chap. I (De Definitione et Partitione Analyseos, et de iis quae juvant Zeteticen)1 three methodological phases, that is Analysis (or Resolutio), Synthesis (or Compositio) and Retica exegetica (numerical or geometrical interpretations). The latter is the novelty when compared with classical tradition. Viète only quotes Plato and Theon explicitly.2 However, a zeteticum3 is a problem, that is an application of analysis methodus. At this point, it is useful to see how Marino Ghetaldi, who was a Viète (and Clavius’s) scholar, explains in an explicit way Viète’s methodological phases. According to Viète, the analysis is constituted by the zetetics (where we find, for instance, a proportion, “quae invenitur aequalitatis proportiove magnitudinis”)4 and by the poristics, where subsequently a new equality is opened (“quae de aequalitate vel proportione ordinate theorematis veritas examinatur”).5 Let’s consider, by way of example, the solution of the Problem I, 1 of Ghetaldi’s De resolutione et compositione mathematica.6 We have added some further methodological 1 2 3 4 6
See F.Viète [1646] p. 7. See M. S. Mahoney [1973] pp. 28-29 and H. J. M. Bos [2001] pp. 146-147. This word derives from Greek ˙ËÙˆ, which means ‘find’ or ‘look for’. See F. Viète, ibid. 5 Ibid. Cf. M. Ghetaldi [1630] pp. 14-16.
an analysis of zeteticorum libri quinque
55
clarifications. This problem corresponds to the Viète’s Zet. I, 2 (and to the Diophantus’s Quaestio I, 4 and to the Bombelli’s Probl. III, 10). This proposition says: If the difference between two sides and their ratio are given, find the sides. Zetetics: Let B be the difference of the two sides and the ratio by the smallest and the greatest is equal to RS. Let A be the smallest side. The greatest will be A + B, hence we can write: (2. 1)
A : (A + B) = R : S
Poristics: From (2. 1), in virtue of the logistica speciosa rules, we have S · A – R · A = R · B: which leads to: (2. 2) (S – R) : R = B : A that is to Porism: «The difference between the terms of the given ratio is to the smallest term as the assigned difference between two sides is to the smallest side, that is as the given segment B is to added A». The (2. 2) represents the first degree equation: (S – R) A – RB = 0. From this one or from (2. 2) we obtain the preceptum: R·B (2. 3) A= (S – R) Numerical rhetics exegetics: In (2. 3) we replace, for instance, these numerical values: B = 12, R = 2, S = 3 and we obtain: A = 24. Geometrical rhetics exegetics: We can realize this phase if we consider the notion of side (‘latus’) as segment and we put our reasoning within Euclidean geometry. Taking into consideration the figure 2. 1, we can say: Problem: If the segment AB is given, add to it another segment BE (which we must find) so that the given AB is to added BE as R is to S (with S > R)
56
paolo freguglia
⎪
⎪
⎪
⎩
⎧
C
⎪
⎨
⎪
R
⎧
⎨
D
⎪
⎪
S
⎪ ⎪ ⎪ ⎩ A
· B
E
Fig. 2. 1.
Construction: 1. The segment AB is given 2. from A, by any acute angle · on AB, draw (on the same right line) the segment AC = S and the segment DC = R; 3. join D with B; 4. draw, from C, the parallel line to DB; 5. the point of intersection E between the aforesaid parallel line and the right line AB is determined. Compositio: Theorem: The segment BE is the fourth proportional among the segments AC, DC, AE, that is: (2. 4) AC : DC = AE : BE Proof: From Thales’ theorem we have: AD : DC = AB : BE (AD + DC) : DC = (AB + BE) : BE AC : DC = AE : BE The (2. 4) is the geometrical interpretation (geometrical rhetics exegetics) of (2. 1) when we put: AB = B, BE (which we must find) = A (and AC = S, DC = R) In this way the epistemological paradigm of Viète’s ars analytica seems exemplified.
an analysis of zeteticorum libri quinque
57
If we examine the books of the Zetetici we find several different kinds of interesting determinate problems. In this paragraph, we will present a few of them, which we think are representative. For instance, the first zetetici of 1st book concern the linear systems of two unknowns such as:
{
Zet. I, 1: X – Y = B Zet. I, 1: Zet. I, 1: X + Y = D As an example of the zetetici of book I, we shall examine: Zeteticum, I, 4: Datis duobus lateribus deficientibus à justo, una cum ratione defectuum: invenire latus justum.1 This zeteticum corresponds to Diophantus I, 7. This problem can be represented through the following system:
{
(2. 5) B + X = D + Y (2. 5) X R = (2. (2. 5) 5) Y = S where the «defecti» are X and Y; B + X = D + Y is the «latus justum» Viète puts X = A (unknown, i.e. ôÚÈÙÌÔ˜ according to Diophantus) and from the second equation of system (2. 5) we have: R:S = A: S · A R Hence, if A is the «defectus primi» (i.e. of B) then S · A will be R the «defectus secundi». Therefore D + S · A will be the «latus justum» R (like B + A). Thus we have: D + S · A = B + A, and multiplying by R we R have: R·D+S·A=R·B+R·A «Et aequlitate ordinata»:2 |R – S|: R =|D – B|: A
1 «From two (deficientibus à justo, see [2. 5]) sides, so that their ‘defecti’ have an assigned ratio, find the ‘latus justum’ [see (2. 5])». 2 In Viète the writing S == R signifies: S – R if S > R, R – S if S < R, we will write: |S – R|.
58
paolo freguglia
Similarly, let E = Y be the «defectus secundi», R · E will be the «defectus S primi» and the «latus justum», in this case, will be D + E. In conclusion we have: |R – S|: S =|D – B|: E The second book of Zeteici opens with a non linear two unknowns system: Zeteticum, II, 1: Dato rectangulo sub lateribus, & ratione laterum, invenire latera.1 X·Y=B That is: X R = Y=S
{
We find other non linear systems in this book. For instance: Zet. II, 5
{
X–Y=B and
Zet. II, 15
X2 + Y2 = D
{
X3 – Y3 = B etc X·Y=D
The Zet. II, 10 holds a certain interest (see the following remark by Vaulézard). Zeteticum, II, 10: Dato plano, quod constat tum rectangulo sub lateribus, tum quadratis singulorum laterum, datoque ex lateribus uno, invenire latur reliquum.2 This problem is equivalent to the system: (2. 6)
{
X2 + Y2 + XY = B Y=D
Solution: Let A = X + 1 D be ⇒ X = A – 1 D. Replacing the latter in the 2 2 first equation of system (2.6), we have: (A2 + 1 D2 – AD) + D2 + (A – 1 D) D = B 4 2 1 «Given the rectangle through two unknown sides and the ratio, find the sides». 2 «Given the squares of two sides and the relative rectangle. Furthermore a side is known. Find the sides».
an analysis of zeteticorum libri quinque
59
hence A2 = B – 3 D2 4 As a poristics consequence Viète presents the following ‘theorem’ (identity): (A – 1 D)D + D2 + (A2 + 1 D2 – AD) – 3 D2 = ((A – 1 D) + 1 D)2 2 4 4 2 2 The relative numerical rhetic exegetic arises if we put B = 124, D = 2 ⇒ A2 = 124 – (3 / 4) · 4 = 121 ⇒ A = √121 = 11 and X = 11 – 1 = 10 and Y = 2 Vaulézard1 gives the following interesting geometrical interpretation (geometrical rhetic exegetic) of this zeteticum. He puts (see figure 2. 2) ab2 = B, bc = D, db = (3 / 4)bc = (3/4)D and he constructs f b = ec and bm = mc = fg = (1/2)D. From the geometry of figure we have: be2 = bf2 = db · bc = (3/4)bc2 = (3/4)D2 af 2 = ab2 – bf2 = B – (3/4)D2 = A2 hence af = A and ag = af – fg = A – (1/2)D = X and bc = Y = D
⎪
⎨
⎪
⎧
⎩
D2
⎩
g
e
f
⎪
3_ D √—
⎪
⎧ ⎨
⎪
⎪
⎪
⎪
⎪
⎪
⎨ ⎪⎩ ⎩ ⎧
2
⎪
X
A
√— B
O
⎧ ⎨ ⎩
a
⎧ ⎪ ⎪ ⎨ ⎪ ⎪ ⎩
⎧ ⎪ ⎪ ⎪ ⎨ ⎪ ⎪ ⎪
O'
d
3/4 D
b
D=Y
c
Fig. 2. 2.
In effect, from the construction of figure 2. 2, it is possible to construct (by ruler and compasses) the solution A. The third book is devoted to continuous proportions and to numerical triangles. With regards to the latter we find problems like the Zet. III, 3 («Dato perpendiculo trianguli rectanguli, & differentia basis & hy1 See J. L. Vaulézard [1630] pp. 132-134.
60
paolo freguglia
potenusae, invenire basin, & hypotenusam»). We will analyse, in the third and fourth paragraphs, the study of numerical triangles according to Viète. Now we will examine some zetetici about continuous proportions. For instance Zeteticum, III, 1: Data media trium proportionalium linearum rectarum, & differentia extremarum, invenire extremas.1 That is, if: X : B = B : Y, the problem of the zeteticum lies in the following system
{
XY = B2 X–Y=D
But this system translates even the Zet. II, 3 («Dato rectangulo sub lateribus, & differentia laterum: inveniuntur latera»). Regarding this subject, we find the zetetici from the III, 10 («Dato adgregato quadratorum à singulis tribus proportionalibus, atque ea in serie extremarum una, invenitur altera extrema») to III, 16. The following zeteticum is important for understanding the Viète solution procedure of problems which concern continuous ratios. Zeteticum, III, 16: Dato adgregato extremarum & adgregato mediarum in serie quatuor continue proportionalium, invenire continue proportionales.2 Solution: We’ll start from the schema: (2. 6)
a:b = b:c = c:d
Z and G are given so that: (2. 7)
Z=a+d
and G = b + c
From (2. 6) let’s consider: (2. 8)
a:b = c:d
Viète assumes: a · d = b · c = A (unknown) 1 «Let B be the mean proportional among three sides. Given the difference of the extremes, find the extremes». 2 «Given the sum of the extremes and the sum of the (two) mean proportional magnitudes of four magnitudes in continuous proportion. Find the magnitudes».
an analysis of zeteticorum libri quinque
61
and from (2. 8) we obtain: (2. 10)
c·b=d·a From b : c = c : d (see (2.6)) it follows that b = c2. Replacing this in (2.10) d we have: c3 = d2 · a Analogously from a : b = b : c (see (2.6)) and (2.10) we obtain: b3 = a2 · d hence: (2. 11)
Z · A = (a + d)ad = a2d + ad2 = b3 + c3
At this point Viète considers the formula: (b + c)3 = b3 + c3 + 3bc(b + c) from which: (2. 12)
(b + c)3 – (b3 + c3) = 3bc(b + c)
Replacing (2. 7), (2. 11) and (2. 9) in (2. 12) we have: (2. 13)
G3 – ZA = 3GA
From which: (2. 14)
A=
G3 3G + Z
Therefore we obtain the following system:
(2. 15)
{
G3 3G + Z b+c=G [a + d = Z]
(2. 16)
{
b3 + c3 = Z (
b·c=
and also:
G3 ) 3G + Z
b+c=G
That is – as Viète says – «Et illud esse, Dato adgregato laterum & adgregato cuborum, invenire latera». A Zeteticorum libri quinque (and of Diophantus’s Arithmetica) crucial theme is constituted by the indeterminate problems, that is by the solution of indeterminate equations. This topic is studied by Viète in the zetetici of the
62
paolo freguglia
fourth book (we will be examining these zetetici in the fourth and fifth paragraphs). Now, some words about the fifth (and last) book of Zeteticorum libri. This book presents some problems which begin like this: “find three ‘plana’ or three ‘quadrata’ or three ‘latera’ so that […]” like the following: Zeteticum, V, 2: Invenire numero tria quadrata, aequo distantia intervallo1 Solution: This zeteticum consists in the following system: (2. 17)
{
X2 + M = Y2
⇒ Z2 – X2 = 2M
Y2 + M = Z2
where M is the «distantia». Viète sets X = A (unknown) ⇒ X2 = A2 and Y = A + B ⇒ (A + B)2 = A2 + 2A · B + B2 = Y2, hence M = 2A · B + B2, therefore: (2. 18)
Z2 = (A + B)2 + M = (A + B)2 + 2AB + B2 = A2 + 4AB + 2B2
Let D – A be the side of Z2, then, taking (2.18) into account, we have: Z2 = A2 + 4AB + 2B2 = (D – A)2 = D2 – 2AD + A2 ⇒ 4AB + 2B2 = D2 – 2AD ⇒ A = D2 – 2B2 4B + 2D
(side of the first square)
We also obtain: A + B = D2 – 2B2 + B = 2B2 + 2BD + D2 (side of the second square) 4B + 2D 4B + 2D D – A = D – D2 – 2B2 = 4BD + D2 + 2B2 4B + 2D 4B + 2D
(side of the third square)
The zetetici V, 9, 10, 11 concern the construction of particular numerical right-angled triangles. The last zeteticum (V, 14) says «A quadrato minus G plano adaequare uni quadrati, quod sit minus quam D in A, sed majus quam B in A», that is: (2. 19)
{
X2 – G = Y2 D · X < Y2 < B · X
where
X = A (unknow)
We could compare (2. 19) with Zet. IV, 5 (see next §. 4). 1 «Find three numerical squares which are equidistant among them».
an analysis of zeteticorum libri quinque
63
Then we will examine the indeterminate problems of second degree, but these zetetici – as we have said – are connected to the topic of the Pythagorean 3-tuples, which Viète examines in the chapter Genesis Triangularum of Notae Priores from Prop. 45 to Prop. 56. Therefore the next paragraph is devoted to this topic. 3. Viète ’ s Notae Priores : Genesis Triangulorum The theoretical structure of chapter Genesis Triangulorum is based on two interesting propositions, the 45th and the 46th. These propositions play the role of fundamental lemmas, that is they are propositions by means of which a certain number of other propositions (of the theory) can be proved. Here is the relative scheme, where the following connection, expressed by an arrow: X→Y means «the proposition X is, according to Viète’s text, necessary to solve (problem case) or for the proof (theorem case) the proposition Y». P. 46: Synaeresis and Diaeresis
P. 13
Pyth. 3-tuple
P. 47
P. 48 2·
P. 45
P. 49 3· P. 50 4·
P. 52
From two r. – a. triangles construct a triangle
P. 54: right angled
P. 55: acute angled
P. 51 5·
P. 56: obtuse angled
Scheme 3. 1.
As we will see, these propositions have an evident trigonometric meaning. We’ll start from the 13th proposition (of Notae Priores), even if it does not belong to the chapter Genesis Triangulorum.
64
paolo freguglia
Propositio 13 (Analysis phase, Problem): Quadrato aggregati duorum laterum, quadratum differentiae eorundem demere.1 That is: (A + B)2 – (A – B)2 + 4AB Viète, according to his methodus, also gives the corresponding theorem (synthesis phase): Theorema: Quadratum adgregati duorum laterum, minus quadrato differentiae eorundem; aequatur plano quadruplo lateribus.2 This proposition is employed for solving the following 45th proposition. Propositio 45 (Problem): Triangulum rectangulum à duobus radicibus, effingere.3 That is, determine numerically a right-angled triangle from two given numbers A and B. The solution of this proposition is this numerical right-angled triangle: cathetus base |A2 – B2|, cathetus altitude 2AB and hypotenuse A2 + B2. The corresponding theorem, which Viète explicitly enunciates, is: Consectarium (Theorem): Perpendiculum trianguli rectanguli medium proportionale est inter adgregatum baseos & hypotenusae, & differentiam erundem.4
2B
A2 + B2 A
A2 + B2 2A · B
|A2 – B2|
A – B2 A
Fig. 3. 1. 1 «From the square of the sum of two sides subtract the square of two same sides». 2 «The square of the sum of two sides minus the square of the difference of two same sides is equal to four times the plane determined by these sides». 3 «From two numerical sides determine a numerical right – angled triangle». This proposition is important in the history of Mathematics. It was studied by a lot of mathematicians (see i.e. Euclid’s Elem. Lemma 1 of Prop. X, 29). 4 «The perpendicular side of a numerical right – angled triangle is mean proportional between the sum of the base and hypotenuse and the difference of the same».
an analysis of zeteticorum libri quinque
65
Hence we have: Propositio 46: A duobus triangulis tertium triagulum rectangulum effingere.1 To solve this proposition Viète starts from the following given right-angled triangles: (I) [cathetus base D, cathetus altitude B and hypotenuse Z, that is Z2 = D2 + B2, and the base-hypotenuse angle ·] and (II) [cathetus base G, cathetus altitude F and hypotenuse X, therefore X2 = F2 +G2 and the base-hypotenuse angle ‚]. Then the solution will be the right-angled triangle: (III) [cathetus base |FB – DG|, cathetus altitude BG + DF and hypotenuse XZ, and the base-hypotenuse angle · + ‚] In fact, Z2 = D2 + B2 and X2 = F2 + G2, by adding and subtracting 2BGDF, we obtain: (XZ)2 = (BG + DF)2 + (FB – DG)2 that is the triangle (III).
B
X
F
Z
II
I
‚
· D
B·G+D·F
X·Z III
G
|B · G + D · F|
X·Z III'
·+‚
·–‚
|F · B + D · G| Synaeresis
B·F+D·G Diaeresis
Fig. 3. 2.
1 «From two numerical right-angled triangles make a third (numerical right-angled) triangle».
66
paolo freguglia
The determination of triangle (III) from the triangles (I) and (II) is called synaeresis by Viète. Similarly from (I) and (II) we can determine a third triangle (III') so that: [cathetus base BF + DG, cathetus altitude |BG – DF| and hypotenuse XZ and the base-hypotenuse angle · – ‚]. This second case is called diaeresis. Viète and Vaulézard point out that if we have two right-angled triangles, for instance (I) and (II), where the base-hypotenuse angles are respectively · and ‚, then the third (right-angled) triangle, obtained by means of synaeresis, has the base-hypotenuse angle equal to · + ‚ (and through diaeresis this angle is equal to · – ‚). It is plain that these results are implicit in the goniometrical formula sin(· ± ‚) = sin· cos‚ ± sin‚ cos·. Propositio 47: A duobus triangulis rectangulis similibus, tertium triangulum rectangulum ita deducere, ut hypotenusae tertii quadratum, aequale sit quadratis hypotenusae primi et hypotenusae secundi.1 As a matter of fact, if we have assigned the triangle (I) [cathetus base M, cathetus altitude N and hypotenuse B] and the similar triangle (II) (with hypotenuse D) [cathetus base: MD / B, cathetus altitude: ND / B and the hypotenuse is D]. Then, we deduce a third triangle following these steps: B2 + D2 = [N2 + M2] + [ D2 N2 + D2 M2] = B2 B2 = B2 N2 + B2 M2 + D2 N2 + D2 M2 = B2 = B2 N2 + B2 M2 + D2 N2 + D2 M2 + 2BDMN – 2BDMN = B2 = (BM + DN)2 + (BN – DM)2 B2 B2 (first case, Fig. 3. 3.) else we have: (BM – DN)2 (BN + DM)2 + B2 B2 (second case, Fig. 3. 4.) 1 «From two similar numerical right-angled triangles, determine a third triangle so that the square of its hypotenuses is equal to the sum of the square of the hypotenuse of the first and the square of hypotenuse of the second».
an analysis of zeteticorum libri quinque
BM + DN B
67
B2 + D2 兹苶苶苶 III |BN – DM| B Fig. 3. 3.
|DN – BM| B
B2 + D2 兹苶苶苶 III'
BN + DM B Fig. 3. 4.
Hence in the first case, the (III) triangle is [cathetus base: |BN – DM|, B cathetus altitude: BM + DN and hypotenuse: 兹苶苶苶 B2 + D2] B and in the second case, the (III') triangle is [cathetus base: BN + DM, B cathetus altitude: |DN – BM| and hypotenuse: 兹苶苶苶 B2 + D2] B Propositio 48: A duobus triangulis rectangulis aequalibus et equiangulis, tertium triangulum rectangulum constituere.1 In fact, we can apply to the right-angled triangles (I) [cathetus base D, cathetus altitude B and hypotenuse A and the base-hypotenuse angle ·] and (II) [cathetus base D, cathetus altitude B, hypotenuse A and the basehypotenuse angle ·] the Proposition 46th (synaeresis) and we will obtain 1 «From two congruent numerical right-angled triangles, determine a third right-angled triangle (such that the opposite angle to the cathetus altitude is double, in comparison with the respective given triangles)».
68
paolo freguglia
the triangle (III) [cathetus base | B2 – D2 |, cathetus altitude 2BD, hypotenuse A2 and the base-hypotenuse angle 2·] The 49th, 50th and 51th Propositions concern the construction, respectively of right-angled triangles with a triple, quadruple and quintuple basehypotenuse angle of the angle · of the triangle (I) [cathetus base D, cathetus altitude B and hypotenuse A and the base-hypotenuse angle ·]. The method of construction is analogous to that in the Proposition 48th. Viète presents the possibility to generalize. As a matter of fact in general we have the following recursive sequences: zn+1 = A · zn yn+1 = Bxn + Dyn xn+1 = |Byn – Dxn| ·n+1 = · + ·n with: z0 = A, y0 = B, x0 = D and ·0 = · where we consider the right-angled triangles (I) [cathetus base D, cathetus altitude B and hypotenuse A and the base-hypotenuse angle ·] and (n) [the cathetus base is xn, the cathetus altitude is yn and hypotenuse is zn and the base-hypotenuse angle ·n]. The right-angled triangles exist if the maximum value of the angle base-hypotenuse is /2 – · (if · is the value of the base-hypotenuse angle of the given triangle (I)). The reader can obtain from these Viète propositions the trigonometric formulas relating to sin2·, cos2·, …; sin3·, cos3·, …; etc. The Proposition 52th (Ex adgregato duarum radicum & differentia earundem, triangulum rectangulum componere) depend easily on Proposition 45th, because if B and D are the two ‘radices’, we have the two following new ‘radices’ (B + D) and | B – D | which generate the right-angled triangle [cathetus base 4BD, cathetus altitude | 2B2 – 2D2 | and hypotenuse 2B2 + 2D2]. As Viète notices in the respective “consectarium”, this triangle is similar to that generated by B and D which has the cathetus base equal to 2BD, the cathetus altitude to | B2 – D2 | , the hypotenuse to B2 – D2 and the basehypotenuse angle equal to /2 – ·. The Proposition 53th concerns the similitude between right-angled numerical triangles. Propositio 53: A base constitute trianguli rectanguli, et composita ex hypotenusa et perpendiculo ejusdem, triangulum rectangulum componere.1 1 «Given a right-angled triangle (I) [cathetus base B, cathetus altitude D and hypotenuse Z], if we consider B and Z + D (“composita ex hypotenusa & perpendiculo eiusdem”), generate a rightangled triangle».
an analysis of zeteticorum libri quinque
69
By means of the Proposition 45th we obtain the triangle (II) [cathetus base | B2 – (Z + D)2 |, cathetus altitude 2B(Z + D) and hypotenuse B2 + (Z + D)2]. With Viète, we can show that the triangles (I) and (II) are similar. In fact we have: B : D = (2Z + 2D)B : (2Z + 2D)D B : D = (2BZ + 2BD) : (2DZ + 2D2) because is D2 = Z2 – B2, we have: B : D = (2BZ + 2BD) : (2DZ + 2Z2 – 2B2) B : D = (2BZ + 2BD) : (Z2 + 2DZ + D2 + B2 – 2B2) B : D = 2B(Z + D) : [(Z + D)2 – B2] = 2B(Z + D) :|B2 – (Z + D)2| The last three propositions regard the construction, by means of two right-angled triangles, of a triangle which has the same altitude of the previous triangles, but which can have a right or acute or obtuse angle opposite to the base. We will examine only the first two cases. Propositio 54: A triangulo rectangulo deducere duo triangular rectangular aequealta, ex quorum coitione quod componetur triangulum aeque altum, succedentibus videlicet hypotenuses in vicem crurum, adgregato vero basium in basin, habebit angulum vertices rectum.1 From triangle (I) we can obtain two similar triangles, i.e. (II) [cathetus base BB = B2, cathetus altitude BD and hypotenuse BZ] and (III) [cathetus base BD, cathetus altitude DD = D2 and hypotenuse DZ].If we connect these two triangles by the side BD, then we obtain a triangle which is not a priori right-angled and its sides are: ZB, ZD and B2 + D2 and its altitude is DB. Now we can prove that the angle opposite to the base B2 + D2 is a right angle. Indeed, starting from the triangle (I) we have: B : D = D : D2 = Z : ZD B B multiplying by B, we have: B2 : BD = BD : D2 1 «Given a right-angled triangle (I) [cathetus base B, cathetus altitude D and hypotenuse Z], determine two right-angled triangles from which we can get a right-angled triangle with the same altitude of previous triangles (“ex quorum coitione quod componetur triangulum aeque altum”)».
70
paolo freguglia
Because the angles between the sides B2 and DB and between DB and D2 are right angles, then the angle opposite to the base B2 + D2 is right too.
BD D
(I)
BZ
Z
B
D2
DZ
(II)
(III)
B2
BD right angle
DZ
BD
BZ
(III)
(II)
D2
B2
Fig. 3. 5.
Propositio 55: A triangulo rectangulo deducere duo alia triangula aeque alta, ex quorum coïtione quod componitur triangulum aeque altum, succedentibus videlicet hypotenusis in vicem crurum, adgregato vero basium in basin, habebebit angulum verticis acutum.1 Let’s consider the triangle (I) and two ‘radices’ B and F + D with F < Z. From B and F + D, by means of the 45th Proposition we can construct the triangle (II) [cathetus base | (F + D)2 – B2 |, cathetus altitude 2(F + D)B and hypotenuse (F + D)2 + B2]. Now, let’s consider the triangle (III) [cathetus base B[2B(F + D)], cathetus altitude 2B(F + D)D and hypotenuse Z[2B(F + D)]], which is similar to triangle (I), and the triangle (IV) [cathetus base | (F + D)2 – B2 | D, 1 «Given a right-angled triangle (I) [cathetus base B, cathetus altitude D and hypotenuse Z], determine two right-angled triangles from which we can get a triangle with the same altitude of previous right-angled triangles and with an acute angle opposite to the base»
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cathetus altitude 2(F + D)BD and hypotenuse [(F + D)2 + B2)]D], which is similar to triangle (II). If we connect the triangles (III) and (IV) by the same side 2BD(F + D), then we have a triangle (V) which has as its sides: base B[2B(F + D)] + D|[(F + D)2 – B2]|, other sides Z[2B(F + D)] and D[(F + D)2 +B2], altitude 2BD(F + D). Then, we will prove that in triangle (V) the angle opposite to the base is acute. In fact, if this angle were a right angle we would have: B(F + D)2B : D(F + D)2B = D(F + D)2B : D2(F + D)2 4B2 B(F + D) 2B that is: B(F + D)2B : D(F + D)2B = D(F + D)2B : 2D2F + 2D3 but actually in place of 2D2F + 2D3 we have D | [(F + D)2 – B2]|, hence D|[(F + D)2 – B2]|=|DF2 + 2FD2 + D3 – B2D|=|2FD2 – B2D + D(F2 + D2)| because for hypothesis F < Z, that is F2 < Z2, and Z2 = D2 + B2, then we have: F2 + D2 < D2 + Z2, from which: D|[(F + D)2 – B2]|=|2FD2 – B2D + D(F2 + D2|< 2D2F + 2D3 Therefore, the angle opposite to the base of triangle (V) is acute (see Figure 3.6). The 56th Proposition presents the analogous case which concerns the obtuse angle. The Genesis Triangulorum was commentated with particular care by the Viète scholar Jaques Hume. In 1636 Hume wrote a book titled Algèbre de Viète […],1 where, in chapter II (“De la Generation des triangles rectangles”) he illustrates twelve propositions (problems)2 with a lot of corollaries regarding the construction of numerical right-angled triangles. We must observe that Hume presents, modifying slightly the original Viète’s symbolism, Viète’s propositions of Genesis Triangilorum and also some zetetici, i.e. the Zet. III, 4 which coincides with Hume’s Prop. II, 54.3 1 The complete title is Algèbre de Viète, d’une methode nouvelle, Claire et facile par laquelle toute l’obscurité de l’Inventeur est ostée, & ses termes pour la pluspart inutiles, changez és termes ordinaries des Artists, Paris, Chez Louys Boulenger, MDCXXXVI. 2 Ibid. from Prop. 47 to Prop. 58, pp. 112 -150. 3 The Zet. II, 4 says «Dato perpendiculo rectanguli trianguli, & adgregato basis & hypothenusae, discernuntur basis & hypothenusa» and the text of Hume’s Prop. II, 54 is «D’une de perpendiculaires d’un triangle rectangle, et de la somme de la subtense et de l’autre perpendiculaire, constituer un autre triangle rectangle».
72
paolo freguglia
(F + D)2 + B2 D
2(F + D)B
Z
(II)
(I)
|(F + D)2 – B2|
B (I) and (III) are similar
(II) and (IV) are similar
2B(F + D)Z 2B(F + D)D
2(F + D)BD
(III) 2B(F + D)B
[(F + D)2 + B2]D (IV) |(F + D)2 – B2|D
acute angle (V)
(III)
(IV)
[(F + D)2 + B2]D
⎧ ⎪ ⎪ ⎨ ⎪ ⎪ ⎩
⎧ ⎪ ⎪ ⎨ ⎪ ⎪ ⎩
2B(F + D)Z
2B(F + D)D
2B(F + D)B
|(F + D)2 – B2|D
Fig. 3. 6. 4. IV th book of Zeteticorum libri : indeterminate second degree problems The indeterminate problems of second degree, that is the indeterminate equations of second degree, are among those of Diophantus’s work which are of great mathematical interest. Viète presents them in the
an analysis of zeteticorum libri quinque
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fourth book and he enriches the relative theoretic features. The first zeteticum (IV, 1) translates the well known Diophantus’s Quaestio II, 8 which led Fermat to formulate the famous remark (the last Fermat’s theorem). Before, Leonardo Pisano (Liber Abaci, 1202) and Rafael Bombelli (L’Algebra, 1572) examined this problem. It is interesting the fact that Leonardo and Bombelli use the same numbers. Certainly the zetetici from the second to the fifth of this IVth book are particularly significant also for their link with some propositions N.P. of Notae Priores. The relative scheme is: N.P. 47
N.P. 46
N.P. 45
Zet. IV, 2
Zet. IV, 3 (Aliter Zet. IV, 2)
Zet. IV, 4
Zet. IV, 5
Scheme 4. 1.
We can see that the zetetici IV, 4 and IV, 5 do not correspond to Diophantus’s quaestiones. We’ll begin to examine the Viète’s solution of the important IV, 1 that is of the following problem. Zeteticum IV, 1: Invenire numero duo quadrata, aequalia dato quadrato.1 Symbolically we will write: (4. 1)
X2 + Y2 = F2
where F 僆 Q . +
Solution: Given the right-angled triangle (I) [cathetus base B, cathetus altitude D and hypotenuse Z], we must determine another right-angled triangle (II), 1 «Find numerically two squares, the sum of which is a given square».
74
paolo freguglia
similar to (I), and with given hypotenuse F. That is, we must determine cathetus altitude X and cathetus base Y. Then we will have:
{
Z : F = B : X ⇒ X = BF Z Z : F = D : Y ⇒ Y = DF Z
hence: X2 + Y2 = (BF)2 + (DF)2 = F2 (B2 + D2) = F2 Z Z Z2 The choice B and D, which belong Q+, is such that Z even results belonging to Q+, like when B = 3 and D = 4. But, as Viète says, this Quaestio can be solved by translating the Diophantus’s procedure through the logistica speciosa («Eoque recidit Analisis Diophantea»). So we will have: Solution (by Viète, according to Diophantus’s method): From (4. 1) we have: X2 = F2 – Y2 that is (F – Y) : X = X : (F + Y) |F – Y| = m = S, then we have Y = F – S X. Put X = A X R R (unknown), we will have Y = F – S A. Replacing the latter in (4.1) we R obtain: A2 + (F – S A)2 = F2 R from which: X = A 2SRF S2 + R2 If we set
Y = B|S2 – R2| S2 + R2 If the triangle (I) is determined by two given rational numbers R and S (Pythagorean 3-tuple, see Prop. 45th of Notae Priores), we obtain the same result by utilizing the first procedure.
an analysis of zeteticorum libri quinque
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The next zeteticum IV, 2 is of particular interest because it was also studied by Viète scholars, for instance by Vaulézard who proposed a geometrical interpretation for the solving procedure. From an historical point view, we should bear in mind Stevin’s solution in his L’Arithmétique (1585).1 Stevin says: Partons un numbre composé de deux nombres carrez à leurs racines commensurables, comme 13 composé de 9 et 4; en deux autres semblables quarrez.2
Symbolically, we must solve the second degree indeterminate equation: X2 + Y2 = 9 + 4 = 13 Here, we have schematically Stevin’s solving procedure. algorithm
numerical verification
1. Side of first square, x + √4:
(1)
x+2
2. Side of second square, mx – √9, if m = 2: (2) 2x – 3
8 18 +2= 5 5 1 8 2· –3= 5 5
3. Square of (1):
(3)
x2 + 4x + 4
324 25
4. Square of (2):
(4)
4x2 – 12x + 9
1 25
5. Addition (3) + (4): (5) 5x2 – 8x + 13 The (5) is equal to addition of two given squares, that is to 13. Hence: 5x2 – 8x + 13 = 13 therefore: x =
8 5
Stevin presents even a (kind of ) ‘proof’. But, according to him, proof signifies only numerical verification of the given indeterminate equation. That is: 1 See the Diophantus’s Question II, 10. The numbers which Stevin utilizes, are just as those utilized by Diophantus. We must also consider that Leonardo Pisano and Bombelli utilizes the same numbers (see Fibonacci [1857-1862] pp. 548-549 and R. Bombelli [1966] pp. 347-348. 2 «Divide a number, which is composed of two square numbers (whose the roots are rational), as 13 which is composed by 9 plus 4, into two other similar squares».
76
paolo freguglia
From X2 + Y2 = 9 + 4 = 13 we have consecutively: 324 1 + = 13 25 25 325 = 13 25 13 = 13 Let’s return to Viète, and analyse the Zeteticum IV, 2: Invenire duo numero quadrata, aequalia duobus aliis datis quadratis.1 Symbolically: (4. 2)
X2 + Y2 = B2 + D2
Viète gives two kinds of solutions. The second, which is the more traditional, is connected to Diophantus’s procedure. As a matter of fact, according to the Max Planude’s commentary,2 from the (4.2) we have: (4. 3)
X2 – B2 = D2 – Y2
from which: (4. 4) D + Y = X + B (4. 4) X – B = D + Y now we set: m=D+Y X–B
and
A=X–B
where A is the ôÚÈıÌÔ˜. Hence: (4. 5)
{
X=A+B Y = mA – D
1 «Find numerically two squares which are equal to two given squares». 2 See J. Christianidis [1998], pp. 23-24.
an analysis of zeteticorum libri quinque
77
Viète writes (4. 5) so:
{
X=A+B Y =|(S/R) – D|
where m = S with R, S 僆 Q+. If we replace the latter in (4.2), we obtain: R |2RSD – 2BR2| A= R2 + S2 Therefore: |2RSD – BR2 + BS2| X= R2 + S2 (4. 6) |S2 D – 2RSB – DR2| Y= R2 + S2
{
The (4. 6) represents the translation, using the «logistica speciosa», of the Diophantus’s solution. While, Bombelli and Stevin studied this problem (before Viète) by means of the method of «logistica numerosa». Instead the Zet. IV, 2 first solution corresponds more closely to Viète’s methods, which are based on Genesis Triangulorum propositions. Viète explicitly says: Intelligitor B basis trianguli rectanguli, D perpendiculum, atque adeo quadratum hypotenusae aequale B quadr. + D quadr.& sit illa hypotenusa Z, latus rationale, irrationaleve1
The first solution of Zet. IV, 2 utilises the 46th Prop. of Notae Priores. Indeed we have as datum B2 + D2, that is, we can consider a first rightangled triangle (I) [cathetus base B, cathetus altitude D, hypotenuse Z = 兹苶苶苶 B2 + D2 and the base-hypotenuse angle is equal to ·]. If we take two rational numbers R and S, in virtue of the preceding (Notae Pr.) Prop. |S2 – R2| 45th, we can construct the triangle (II) [cathetus base: , cathetus S2 + R2 2RS altitude: S2 + R2, the hypotenuse 1 and the base-hypotenuse angle ‚]. Then, through the synaeresis procedure, from the triangles (I) and (II) we 1 «We observe that B is the base of a right-angled triangle and D is the relative perpendicular side, hence the square of hypothenuse will be B quadr. + D quadr. and this hypotenuse Z is a rational or irrational side».
78
paolo freguglia
can derive the following triangle (III) [cathetus base: |DS2 + DR2 – 2BRS|, S2 + R2 cathetus altitude: |2RSD + BS2 – BR2|, the hypotenuse Z and the baseS2 + R2 hypotenuse angle · + ‚].Well, if we compare the triangles (I) and (III) then we have the solution of Zet. IV, 2, that is the (4.6). Vaulézard in his commentary (1630) to Zet. IV, 2 gives a geometrical construction of the synaeresis procedure according to Viète’s geometrical exegetics.1 Considering the Fig. 4. 1 we can give the following reconstruction of Vaulézard’s ideas. At first, we have: a'
2RS S2 + R2
·+‚
1
T3
T2 ‚ f'
|S2 – R2| S2 + R2 e T'1
b
·
a T'2
·+‚
d' c
T1
· T'3 ‚ d
f
Fig. 4. 1.
1 See J. L. Vaulézard [1630] pp. 180-183.
an analysis of zeteticorum libri quinque
79
Th. 4. 1: The triangles aeb and bcd are similar. If we interpret bc = B and dc = D then the triangle bcd coincides with the assigned triangle [cathetus base B, cathetus altitude D, hypotenuse: Z = 兹苶苶苶 B2 + D2 and the base-hypotenuse angle ·]. Let the triangle abd be similar to the numerical right-angled triangle T2 (see Figure 4. 1) which has been determined by any two rational numbers R and S in virtue of the previous (Notae Pr.) 45th Prop. Because the choice of R and S is arbitrary, it is possible that triangle T2 coincides with the triangle abd. From the geometrical properties of the figure we can deduce: Th. 4. 2: a'f ' = db · af =|db · dc – bc · ba|and f 'd' = db · fd = db · bc + ba · dc But, we can get the Th. 4. 2 formulas by means of a direct application of synaeresis, starting from the triangles bcd and abd. Thus we have constructed a synthetic geometrical model of the synaeresis. On the other hand, the triangle afd is similar to the triangle a'f 'd' which has been obtained from the triangles bcd and abd through synaeresis. Synthetically, the geometrical interpretation by Vaulézard of the synaeresis has the following schema (see Figure 4. 1): T1 = lT'1 that is T1 and T'1 are similar T2 = kT'2 likewise with l, k, h 僆 R+ T3 = hT'3 likewise In general, we have as Synaeresis transformation : (T1,T'2) 哫 T3 and in particular: Synaeresis transformation : (T1,T'2 ⬅ T'3) 哫 T3 Moreover, always with regards to Figure 4. 1, we again obtain the Th. 4. 2 (second expression) if we start (for the synaeresis) from the formula: sin(· + ‚) = sin· cos‚ + sin‚ cos· In fact we have: sin(· + ‚) = fd ad dc eb ab bd sin· = bc; cos· = = ; sin‚ = ; cos‚ = bd bd ad ad ad hence, by replacing in the previous goniometrical formula, we have: fd bc bd ab eb = · + · ad = bd · ad + ad · ab
80
paolo freguglia
therefore: fd = bc + eb which even we can obtain directly from the figure. From the last formula we have: db ∙ fd = db ∙ bc + db ∙ eb and because the two triangles T1 and T'1 are similar, we have: db : ba = dc : eb, that is db ∙ eb = ba ∙ dc. So finally we find: f 'd' = db ∙ fd = db ∙ bc + ba ∙ dc Another synthetical geometrical construction of synaeresis can be found in the Esercitatio tertia (Ad decimum problema lib. II Diophanti Arith., sive Zeteticum secundum lib. IV Zeteticorum Francisci Vietae) of Exercitationum mathematicarum decas secunda (1635) by Giovanni Camillo Gloriosi. Even the Zet. IV («Rursus, invenire numero duo quadrata, aequalia duobus datis quadratis»)1 concerns the solution of the (4. 2). In this case Viète utilizes as lemma the 47th Proposition of Notae Priores. That is, we have, for any N, M 僆 Q+ a first right-angled triangle (I) [cathetus base M, cathetus altitude N, hypotenuse B], a second similar to (I) triangle is (II) [cathetus base: MD, cathetus altitude: ND, hypotenuse: D]. By means of B B (Notae Pr.) Prop. 47th we obtain a right-angled triangle (III) [cathetus base: |BM – DN| , cathetus altitude: |BM + DN|, hypotenuse: 兹苶苶苶]. B2 + D2 B B Therefore (for instance, from the first case of the 47th Prop): X=
|BM – DN| B
Y=
BM + DN B
This generation of a third triangle from another two, also takes into consideration the case in which the two triangles, from which we began, are similar.
1 «Again, find numerically two squares which are equal to two given squares».
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81
The 47th Prop. enables us to solve the next Zet. IV, 4, which does not correspond to an analogous Diophantus proposition. Zeteticum IV, 4: Invenire duo triangula rectangula similia datas habentes hypotenusas, et deducti ab iis tertii trianguli basis, composita ex perpendiculo primi et base secundi, erit ea quae praefinitur. Oportebit autem basim illam praefinitam praestare hypotenusae primi.1 The base of the third must be longer than the hypotenuse of the first.
B
A+M or |A – M|
D
N – DA B
A
B2 + D2 兹苶苶苶
DA B
M
N
First case B2 + D2 兹苶苶苶 B (I)
y = (BN + DM) B B2 + D2
A = |DN – BM|B B2 + D2
D (II)
z = D|DN – BM| B2 + D2
M
t = (BN + DM) D B2 + D2
(III) N
Fig. 4. 2.
We must find: A, y, z, t.
1 «Find two numerical right-angled triangles which are similar. In such a way that we must find the relative hypotenuses and obtain a third triangle from them, in such a way that its cathetus base is made up of the sum of the cathetus altitude of the first with the cathetus base of the second. [And the cathetus altitude of the second is given by the sum of the base of the first with the altitude of the third]».
82
paolo freguglia
Solution: Firstly, if we apply the (Notae Pr.) 47th Prop, we’ll have:
(4. 7)
{
M = BA + Dy B |By – DA| B M2 + N2 = B2 + D2 N=
from (4. 7) we have:
and
{ {
y = B(M – A) D
⇒A=
B|DN + BM| B2 + D2
⇒y=
B(BN + DM) B2 + D2
y=N+DA B A=M–Dy B A = B (y – N) D
hence: D|DN – BM| z = DA = B B2 + D2 t=
yD D(BN + DM) = B B2 + D2
Vaulézard gives for this Zet. IV, 4 (which regards a first degree problem) the following geometrical interpretation:1
1 See J. L. Vaulézard [1630] pp. 192-195.
an analysis of zeteticorum libri quinque c
⎧ ⎪ ⎪ ⎨ ⎪ ⎪ ⎩
b
83
⎩e ⎪ ⎪ ⎨ y ⎪ ⎪ ⎧
t
A D
B
Z
B2 + D2 兹苶苶苶 a N
d
ef // cd ; ef = cd ec // fd ; ec = fd ec = eb + bc af = ef – ea
M
f
Fig. 4. 3.
[Th. 4. 3]: Triangle bdc is similar to triangle bea [Th. 4. 4]: The triangles (I), (II) and (III) (see Figure 4. 2) are represented respectively by the triangles bae, bdc, dfa Interpretations: B = ba; D = bd; M = df; N = af hence: 兹苶苶苶 B2 + D2 = 兹苶苶苶 M2 + N2 = da ; N > B ⇒ af > ba y = ea ; z = dc ; t = bc ; A = eb ; N = y + z ⇒ af = ea + dc A + M = eb + ec = eb + df = bc = t Now we will examine the Zeteticum IV, 5: Invenire duo quadrata, aequalia duobus datis quadratis, ut quaesitorum alterum consistat intra limites praestitutos.1
1 «Find two squares, their sum is equal to sum of two other given squares, and – for instance – the first of the two squares which we must find is bounded, so that it is greater than an assigned square and smaller than another assigned square».
84
paolo freguglia
In short, we must solve the following system: (4. 8)
{
X2 + Y2 = B2 + D2 N2 < X2 < S2
We will consider the following two numerical right-angled triangles: (4. 9)
X2 + Y2 = Z2 ; B2 + D2 = Z2
with (4. 10)
N2 < X2 < S2
and for analogy we surmise that: (4. 11)
G2 < B2 < F2
We must determine in an appropriate way G and F. However, in virtue of (4. 10), M and R exist so that: (4. 12)
Z2 = M2 + N2 ; Z2 = R2 + S2
At this point Viète applies the Zet. IV, 4 for the triangles (4. 12) (see Figure 4. 4.)
Y
S
⎨X
M
D
⎩⎩ ⎪
⎪
⎪
⎪
⎧
⎩
⎩ ⎪ ⎪ ⎨ R ⎪ ⎪ ⎧
⎪ ⎧ ⎪⎪ ⎧ ⎪⎨ ⎪ ⎨ ⎪ ⎪ ⎨ ⎪ ⎩ ⎪ ⎪ ⎪
N
⎧
Fig. 4. 4.
and we obtain: (4. 13)
G=
B|DN – BM| B2 + D2
(4. 14)
F=
B|DS – BR| B2 + D2
and
From the (4. 11) we have: |G – B|> 0;|F – B|> 0
B
an analysis of zeteticorum libri quinque
85
Therefore, for (4. 13) and (4. 14) we can consider the following proportion: (4. 15)
|G – B| |Z2 – (DN – BM)| H|Z2 – (DN – BM)| = = B2 – G2 BN + DM HBN + HDM
(4. 16)
|F – B| |Z2 – (DS – BR)| H|Z2 – (DS – BR)| = = B2 – F2 BS + DR HBS + HDR
and
where H takes arbitrary values. Then, it is possible to choose a number T so that: (4. 17)
HBN + HDM HBS – HDR
Let’s consider, in particular, H and T and we can construct, according to the 45th Prop., a numerical right-angled triangle (I), see Figure 4. 5. Moreover (II) must be similar to (I) and even (III) must be similar to (I), so we’ll have: B|H2 – T2| 2DHT w= ;b= H2 + T2 H2 + T2
X2 + T2 |X2 – T2|
B w
(I)
(II)
2XT
D
y
(III) b
Z (IV) x=w+b
Figg. 4. 5.
86
paolo freguglia
41
9
9 41
(I)
1 (II)
40
120 41
111 41
3 (III)
√— 10 (IV)
67 41
Figg. 4. 6.
We again apply the Zet. IV, 4 to the triangles (II), (III) and (IV), hence we obtain: (4. 18)
X=w+b=
B|H2 – T2|+ 2DHT H2 + T2
where H is arbitrary and T depends on H. T takes values (see (4. 17)) in an open interval which, on the left depends on N and on the right on S. Therefore X2 satisfies the (4. 18). Viète proposes the following numerical exegetics. Let B = 1, D = 3, N = √2 and S = √3. Thus, we have the indeterminate equation: X2 + Y2 = 1 + 9 = 10
and
2 < X2 < 3
we also have: Z = 兹苶苶 1 + 9 = 兹苶 10 ; M = 兹苶苶 10 – 2 = 兹苶 8 ; R = 兹苶苶 10 – 3 = 兹苶 7 If H takes the arbitrary value 1, we have: 兹苶 98 10 – 兹苶 2
兹苶 63 + 兹苶 3
10 – 兹苶 27 + 兹苶 7 5 Therefore we can choose T = , hence the solution is: 4
an analysis of zeteticorum libri quinque X = 67 that is 41
87
X2 = 4489 1681
which satisfies the: 2 < 4489 < 3 1681 The relative numerical triangles are (see Figure 4. 6): In Zet. IV, 6 («Invenire numero duo quadrata, distantia dato intervallo»)1 Viète once again utilises the properties of numerical right-angled triangles. We shall conclude this paragraph by taking a look at a very interesting lemma introduced by Viète (this lemma is placed before the Zet. IV, 11 «Invenire numero tria triangula rectangula aequalis areae»).2 The text of the lemma is: Lemma ad sequens Zeteticum: If B and D are sides: B(D2 + B · D) = B · D2 + D · B2 D(B2 + B · D) = B · D2 + D · B2 (B + D)(B · D) = B · D2 + D · B2 In the next paragraph we will examine another part of the fourth book of Zeteticorum libri quinque: the indeterminate third degree equations. 5. IV th book of Zeteticorum libri : indeterminate third degree problems The Zetetici IV, 18, 19, 20, which respectively correspond to Bachet’s Quaestiones I, II, III,3 concern indeterminate third degree problems. In Diophantus’s V book we find the Quaestio 16, where a porism concerning4 the equation X3 + Y3 = B3 – D3 is mentioned. Viète examines two other cases (Zet. IV, 19 and IV, 20). Hence, he tries to go mathematically beyond the Diophantus scheme, even if he only gives one solution for each equation, relative to these zetetici. Let’s examine the first.
1 2 3 4
«Find two numerical squares which have a given distance between them». «Find three numerical right-angled triangles which have the same area». See C. G. Bachet de Merzirac [1621]. See Diophante [1959], pp. xxxvii-xxxviii, and pp. 212-214.
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paolo freguglia
Zeteticum IV, 18 (Bachet, Quaestio I): Datis duobus cubis, invenire numero duos alios cubos, quorum summa aequalis sit differentiae datorum.1 Symbolically, we must solve the following indeterminate equation: (5. 1)
X3 + Y3 = B3 – D3
where B, D 僆 Q+ and B > D. Solution: Algebrically, given two rational numbers B and D with B > D, we must find two rational numbers X and Y so that these satisfy (5.1). Viète solves this problem by putting: X = B – A e Y = B2 A – D. From (5. 1) we have: D2 (B – A)3 +( B2 A – D)3 = B3 – D3. D2 If we develop the calculations, we’ll come to a formula which contains only A3 and A2. Therefore we’ll obtain: A=
3BD3 B3 + D3
from which: X = B(B3 – 2D3) ; Y = D(2B3 – D3).2 B3 + D3 B3 + D3 At last Viète observes that the sides of the considered cubes of (5.1) are proportional, by the factor B3 + D3, respectively to: 1 «Given two cubes (cubic numbers), find numerically two other cubes the sum of which is equal to the difference between the two given cubes». 2 According to Zet. IV, 2 procedure (see J. Christianidis [1998] p. 27) we can have the following steps. From the (5. 1) we have: Y3 + D3 = B3 – X3 that is: (Y + D) : (B – X) = (B2 + BX + X2) : (Y2 – YD + D2). If we put: Y + D = m = B2 and A = B – X then we have: Y + D = B2 B–X D2 A D2 B2 and therefore: X = B – A and Y = A – D. Replacing the latter in (5. 1) we have: D2 (B – A)3 + (B2 A – D)3 = B3 – D3 from which: D2 A = 3BD3 and: X = B(B3 – 2D3) ; Y = D(2B3 – D3). B3 + D3 B3 + D3 B3 + D3
an analysis of zeteticorum libri quinque
89
B(B3 – 2D3) D(2B3 – D3) B(B3 + D3) D(B3 + D3) Moreover, we must assume that B3 > 2D3 in order to have a positive expression of the preceding formulas. By an analogous procedure, Viète solves the Zet.IV, 19 and IV, 20. Schematically we have: Zeteticum IV, 19 (Bachet, Quaestio II) X3 – Y3 = B3 + D3 Solution: X =
D(2B3 + D3) B(B3 + 2D3) ;Y= where B3 > D3 B3 – D3 B3 – D3
and: Zeteticum IV, 20 (Bachet, Quaestio III): X3 – Y3 = B3 – D3 The solution is: X =
D(2B3 – D3) B(2D3 – B3) ;Y= where B3 < 2D3 B3 + D3 B3 + D3
While evidently Bachet takes directly from Viète, instead it is historiographically interesting to compare these Viète results with relative remarks by Fermat. 6. Some Fermat ’ s remarks We think1 the Viète’s influence on Fermat is important. Hereafter, we will analyse two interesting remarks from his Remarks on Diophantus. Let’s take a look at Fermat remarks on the previous zetetici (or Bachet’s Quaestiones). The first one we will examine, which is actually the VIII remark, is about the Zet. IV, 18 (Bachet, Quaestio I). Let’s read: Determinationem operationis iteratione facillime tollimus et generaliter tum hanc quaestionem, tum sequentes quaestiones construimus, quod nec Bachetus nec ipse Vieta expedire potuti. Sint dati cubi 64 et 125, inveniendi alii duo quorum summa aequalis sit datorum intervallo. Ex questione tertia [Zet. IV, 20] […] quaerantur duo alii cubi quorum differentia aequet differentia datorum. Illos Bachetus inventi et sunt:
1 See M. S. Mahoney [1994], p. 27 and p. 28.
90
paolo freguglia 15252992 250047
et
125 250047
Isti duo cubi ex constructione habent intervallum aequale intervallo datorum; sed isti duo cubi, inventi per quaestionis tertiae operationem, possunt jam transferri ad quaestionem primam, quum duplum minoris non superet majorem. Datis itaque his duobus cubis quaeruntur alii duo quorum summa aequetur intervallo datorum; id quid licet per determinationem hujus quaestionis primae. At intervallum datorum horum cuborum est per quaestionem tertiam aequale intervallo cuborum prius sumptorum 64 et 125; igitur construere nihil vetat duos cubos quorum summa aequalis sit intervallo datorum 64 et 125, quod sane miraretur ipse Bachetus.1
In other words, Fermat expresses the following idea: when the condition B3 > 2D3 is not satisfied we can solve the Zet. IV, 18 anyway. In fact, at first through the Zet. IV, 20 we find X1 and Y1 with X13 – Y13 = B3 – D3 and afterward if X13 > 2Y13 we can solve the Zet. IV, 18. Therefore we have: X3 + Y3 = X13 – Y13 = B3 – D3 Numerically, Fermat considers the case B = 5 and D = 4, that is: X3 + Y3 = 125 – 64, where 2D3 = 2 · 64 = 128 > 125 = B3, hence it is impossible to solve the Zet. IV, 18. Then Fermat utilizes the Zet. IV, 20, so that he solves the equation: X3 – Y3 = 125 – 64 which has as solutions (by means of the Viète method): 1 «By repeating the operation, we can easily overcome the conditions, and we can generally find the result of the first problem, then the succeeding ones, which is something that neither Bachet or Viete were able to do. If the cubes 64 and 125 are given, and another two must be found, the sum of which is equal to the difference between the data given. As per Bachet’s question 3, […] two more cubes must be found, and their difference must be equal to that of the two given cubes. Bachet found these cubes, which are: 15252992 250047
and
125 250047
The difference between these two cubes is equal, as a construction, to the difference between the given cubes; however, these two cubes, which have been found by using the question 3 procedure, can already relate to question 1, because even if the smaller one is doubled in size it will never be bigger that the other. Therefore, given these two cubes, we must find another two, the sum of which will be equal to the difference of the two given; this is in fact possible if the conditions of question 1 are met. However, for question 3, the difference between these given cubes is equal to the difference between the abovementioned cubes, 64 and 125; therefore nothing prevents us from constructing two cubes, the sum of which is equal to the difference between the given 64 and 125 ones, which is something that even Bachet would have found astonishing».
an analysis of zeteticorum libri quinque (6. 1)
X13 = 15252992 and 250047
91
Y13 = 125 250047
and 15252992 – 125 = 125 – 64 = 61 250047 250047 Because 2 · 125 < 15252992, that is X13 > 2Y13, Fermat can apply the 250047 250047 Zet. IV, 18, so: (6. 2) X3 + Y3 = 15252992 – 125 . 250047 250047 But if X1 and Y1 had not satisfied the condition X13 > 2Y13, it could be necessary to apply the Zet. IV, 20 again. In this way we find two new values X2 and Y2 which could verify the condition X23 > 2Y23 and hence solve the Zet. IV, 18. Or else, we’ll iterate the Zet. IV, 20 and sooner or later we’ll arrive at the two numbers Xm and Ym with Xm3 – Ym3 = B3 – D3 and Xm3 > 2Ym3. Therefore we will obtain the solutions of Zet. IV, 18 even if we have not the condition B3 > 2D3. Fermat does not prove that by iterating the Zet. IV, 20 it is possible to arrive sooner or later to the condition Xm3 > 2Ym3.Thus, we have established the following interesting lemma: Lemma 6. 1:1 If the Zet. IV, 20 is iterated a suitable number of times, sooner or later the condition Xm3 > 2Ym3 will be verified. Proof: we set · = B3 and let 1 < · < 2, we can write the solutions of Zet. D3 IV, 20 so: X1 = D 2B3 – D3 = D 2· – 1 and Y1 = B 2D3 – B3 = B 2 – · . B3 + D3 1+· B3 + D3 1+· from which: X3 ·1 = 1 = 1 ⎧2· – 1⎫3 = ·2 ⎧ 2· – 1 ⎫3 ⎩2· – ·2⎭ Y13 · ⎩ 2 – · ⎭ X3 If 1 < · < 2 then we have ⎧ 2· – 1 ⎫ > 1 and hence ·1 = 1 > ·2. Y13 ⎩2· – ·2⎭ If ·1 > 2 we can apply the Zet. IV, 18. Or else if it is ·1 < 2 we again apply the Zet. IV, 20 and we obtain two new values X2 and Y2 with X23 – Y23 X3 = B3 – D3 and ·2 = 2 > ·12 > ·4. Y23 1 This lemma derives from a remark by Enrico Giusti.
92
paolo freguglia
Until ·k < 2 we can iterate the Zet. IV, 20 by obtaining the values Xk and Yk with Xk3 – Yk3 = B3 – D3 and ·k > ·2k. In conclusion we have: ·1 > ·2 ·2 > ·4 ·3 > ·6 ……… ·k > ·2k ……… But because · > 1, sooner and later ·2k will be > 2. Furthermore, as ·k > ·2k we will arrive at · > 2, that is sooner or later ∃m 僆 N so that Xm3 > ·m > 2 or rather Xm3 > 2Ym3. Ym3 Corollary 6. 2: The Zet. IV, 18 (with B > D) can always be solved, independently of the condition B3 > 2D3. At this point, in virtue of the previous corollary 6. 2, Fermat studied the equation: (6. 3) X3 + Y3 = B3 + D3 which Viète and Bachet did not consider. Fermat says: Imo, si tres istae quaestiones eant in circulum et iterentur in infinitum, dabuntur duo cubi in infinitum idem praestantes; ex inventis enim ultimo duobus cubis quorum summa aequet differentiam datorum [Zet. IV, 18], per quaestionis secundae operationem quaeremus duos alios quorum diffentia aequet summam ultimorum [Zet. IV, 19], hoc est intervallum priorum, et ex hac differentia rursum quaeremus summam et sic in infinitum.1
Indeed, given two numbers B and D (with B > D), at first we can apply the Zet. IV, 19 so: Z3 – W3 = B3 + D3 and afterward we apply the Zet. IV, 18 (even through a preventive utilization of Zet. IV, 20, see Corollary 6. 1). Hence we have: 1 «Indeed, if these three questions were linked in a circle, and the operations were repeated ad infinitum, couples of cubes would be obtained ad infinitum, which all have the same properties; in fact, from the last two cubes that were produced, the sum of which would be equal to the difference between the two given [Zet. IV, 18], by using question 2 we could find another two and their difference would be equal to the sum of the last two [Zet. IV, 19], that is equal to the difference between the first two, and from the difference between these new cubes we could find their sum ad infinitum».
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X3 + Y3 = Z 1 3 – W 1 3 = B3 + D3 We can iterate these steps from the new values X and Y. So we find infinite solutions of equation (6. 3). In conclusion: […] Imo ex supradictis quaestionem, quam Bachetus ignoravit, feliciter construemus: Datum numerum ex duobus cubis compositum in duos alios cubos dividere Idque infinitis modis per operationum continuatam, ut supra monuimus, iterationem.[…]1
Hence, Fermat gives us the chance to establish a useful iterative circle through the Zet. 18, 19, 20 (and (6.3)) and so the calculus of the infinite solution of the relative indeterminate third degree equations is possible. 7. Conclusions It appears that Viète’s intention was to expand the interpretation or, if we prefer, the “translation” by presenting other typologies of problems, applying the logistica speciosa to the Diophantine problems, which form one of the fundamental chapters in algebra during the XVIth century. It is a systematic and codifying operation which finds its epistemological explanation in the mentality of the time (and, perhaps, in the author’s jurist background). The modernity of Viète’s approach, which thanks to literal calculus which naturally leads to generalisations and to structural theoretical innovations, is clearly shown here.2 Moreover, the link with tradition is also confirmed. As we have already pointed out previously,3 the Euclidean geometry is an important traditional reference for Viète.4 So, for what regards the part of exegetics geometry that Viète’s scholars developed (Vaulézard in particular, as we have seen), the fact that some zetetici were led back to Euclidean geometry interpretations, was a price to pay to tradition. Viète was more progressive than Bombelli and Stevinus, as he introduced note1 See IX (Ad eundem commentarium) Fermat’s remark, «Indeed, by following this procedure we will solve the problem-question that Bachet had not considered. Decompose a given number, made up of two cubes, into two other cubes, and this can be done in infinite ways, by repeatedly doing these operations, as we have shown above». 2 Cf. H. J. M. Bos [2001] p. 154. 3 See, for instance P. Freguglia [1994]. 4 For instance, the principle of homogeneity, that Viète states clearly in Isagoge and which is then systematically applied in the ‘geometrical’ writing of the algebraic equations, comes from the geometrical theory of ‘demonstrationes’ that the XVIth century algebraists had made common practice, and is radicated in Euclidean tradition; cf. i.e. G. Cardano [1663] and R. Bombelli [1966].
94
paolo freguglia
worthy techniques in dealing with the indeterminate second degree problems by referring, through the propositions established in the chapter Genesis Triangulorum of his book Notae Priores, to the Pythagorean 3-tuples. Hence, in the Zeteticorum libri we find that the traditional Diophantine problems have been presented, elaborated and extended. However, when Viète deals with indeterminate third degree problems, certain limits emerge, which are even clearer when compared to Fermat’s approach. Working in the same context, Fermat manages to go further ahead. It is our opinion that if we consider all of Viète’s algebraic work, the Zeteticorum libri are ranked in the same position as the third book of Algebra in Bombelli’s work: they are important but not as crucial as the algebraic equations treatment. In fact, even in Viète’s work it seems that the algebraic equation theory is the most innovative, because he proposes a downright theory. In particular, we are referring to the treatise De recognitione aequationum where we can find the introduction and the analysis of new techniques, problems and theorems which were made possible thanks to his logistica speciosa.1 References Sources Bachet de Meziriac C. G., 1621, Diophanti Arithmeticorum Libri Sex, Paris. Bombelli R. 1966, L’Algebra (first full edition by U. Forti and preface by E. Bortolotti), Milano, Feltrinelli (first edition of the first three books 1572). Cardano G., 1663, Artis Magnae, sive de regulis algebraicis, liber unus, in Opera, 10 voll., vol. IV, Lugduni (first editions 1545 and 1570). Diophanti Alex. Arith. libri sex […] Cum commentariis C. G. Bachet V. C. et Observartionibus D. P. de Fermat Senatori Tolosani. Accessit Doctrinae Analyticae inventum novum, collectum ex variis eiusdem D. de Fermat epistolis, 1670, Tolosae. Diophante d’Alexandrie, 1959, Les six livres arithmétiques et le livre des nombres polygones (tr. et int. par P. Ver Eecke), Paris, Albert Blanchard. Diophante: Les Arithmétiques, 1984 (texte établi et traduit par R. Rashed), 2 vol., Paris, Collection des Universités de France. Euler L., 1756-57, Solutio generalis quorundam problematum diophantaeorum quae vulgo nonnisi solutiones speciales admittere videntur, in Novi Commentarii Academiae Scientiarum Imperialis Petropolitanae, t. VI, pp. 155-184. Fermat de P., 1891, Œuvres (publiées par P.Tannery et Ch. Henry), vol. I, Paris, Gauthier-Villars. Fermat de P., 1999, Œuvres de Pierre Fermat, I, La théorie des nombres (textes tr. par P. Tannery, introduits et commentés par R. Rashed, Ch. Houzel, G. Christol), Paris, Albert Blanchard. 1 Cf. infra P. Freguglia [1994].
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95
Fibonacci, 1857-1862, Scritti di Leonardo Pisano, Liber Abaci (ed. by B. Boncompagni), 2 voll., Roma. Ghetaldi M., 1630, De resolutione et Compositione Mathematica, Romae. Hume J., 1636, Algèbre de Viète, d’une methode nouvelle, Claire et facile par laquelle toute l’obscurité de l’Inventeur est ostée, & ses termes pour la pluspart inutiles, changez és termes ordinaries des Artists, Paris, Chez Louis Boulenger. Stevin S., 1585, L’Arithmétique, facsimile in The Principal Works of Stevin, vol. II B, Mathem., ed. by D. J. Struik, Amsterdam, C.V. Swets & Zeitlinger, 1958. Vasset A., 1630, L’algèbre nouvelle de Mr. Viète, Paris. Vaulézard J. L., 1630 (1986), La nouvelle algèbre de M.Viète, Paris, éd. Fayard. Viète F., 1646, Opera mathematica […], Lugduni Batavorum, Elzevir. Xylander G. (Holzmann W.), 1575, [Diophantus] Rerum arithmeticarum libri sex, quorum duo adjecta habent scholia Maximi Planudis, item liber de numeris polygonalis seu multiangulis, Basel. Litterature Bos H. J. M., 2001, Redefining geometrica exactness […], N.Y., Springer Verlag. Christianidis J., 1998, Une interpretation Byzantine de Diophante, «Historia Mathematica», 25, pp. 22-28. Freguglia P., 1988, Ars Analytica. Matematica e methodus nella seconda metà del Cinquecento, Busto Arsizio, Bramante ed. Freguglia P., 1989, Algebra e geometria in Viète, «Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche», IX, pp. 49-90. Freguglia P., 1992, L’Arithmétique di Simon Stevin e gli sviluppi dell’algebra nella seconda metà del Cinquecento, in La matematizzazione dell’universo (ed. by L. Conti), Assisi, Ed. Porziuncola, pp. 131-151. Freguglia P., 1994, Sur la théorie des équations algébriques entre le XVI et le XVII siècle, «Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche», XIV, fasc. 2, pp. 259298. Giusti E., 1992, Algebra and Geometry in Bombelli and Viète, «Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche», XII, pp. 303-328 Mahoney M. S., 1994, The mathematical career of Pierre de Fermat, 1601-1665, Princeton N.J., Princeton University Press. Rashed R., 1975, L’Art de l’Algèbre de Diophante, Bibliothèque Nationale, Le Caire. Rashed R., 2007, Al-Khwa¯rizmı¯, Le commencement de l’algèbre (texte établi, traduit et commenté par R. Rashed), Paris, Albert Blanchard. Rashed R., 1988, Lagrange, lecteur de Diophante in Sciences à l’époque de la révolution français, Recherches historiques (éd. par R. Rashed), Paris, Albert Blanchard. Pervenuto in redazione il 13 maggio 2008
ISTRUZIONI PER GLI AUTORI l «Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche» pubblica manoscritti e carteggi inediti di matematici del passato, saggi bibliografici ed articoli originali riguardanti la storia della matematica e delle scienze affini. Tranne casi eccezionali, gli articoli dovranno essere scritti in italiano, inglese, francese, latino o tedesco. I lavori presentati per la pubblicazione dovranno essere inviati in duplice copia al seguente indirizzo: Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche Dipartimento di Matematica Viale Morgagni 67/A I - 50134 Firenze (Italia) I manoscritti inviati non verranno restituiti; gli Autori dovranno aver cura di conservarne almeno una copia. I lavori dovranno essere forniti su floppy disk o su altro supporto elettronico, allegando copia cartacea a spaziatura doppia. Una cura speciale dovrà essere usata per i riferimenti bibliografici che devono essere i più completi possibile in modo da permettere l’identificazione immediata della fonte. In particolare per le opere moderne si indicherà: Autore, Titolo completo, editore, Luogo e data di pubblicazione (per i libri) ovvero «Rivista», Volume, Anno e pagine (per gli articoli). Per le opere più antiche è consigliabile un’accurata trascrizione del frontespizio. Le figure nel testo vanno disegnate a parte su carta lucida, con inchiostro di china a grandezza doppia del naturale, indicando sul dattiloscritto il luogo dove devono essere inserite. Gli Autori dovranno fornire: l’indirizzo dell’istituzione a cui appartengono, il proprio indirizzo postale, quello e-mail, numero di telefono e fax. Dovranno altresì inviare un abstract in inglese di non più di 10 righe. Gli Autori riceveranno un solo giro di bozze, che dovranno essere tempestivamente corrette e restituite all’Editore; eventuali modifiche e/o correzioni straordinarie apportate in questo stadio sono molto costose e saranno loro addebitate. Nel caso di articoli in collaborazione le bozze saranno inviate al primo Autore, a meno che non sia esplicitamente richiesto altrimenti. Di ogni articolo gli Autori riceveranno gratuitamente 50 estratti.
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composto, in carattere dante monotype, impresso e rilegato in italia dalla accademia editoriale ® , pisa · roma
* Giugno 2008 (cz2/fg21)
LA MATEMATICA ANTICA IN CD-ROM
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no dei maggiori problemi nell’insegnamento e nella ricerca in Storia della matematica consiste nella difficoltà di accedere alla opere originali dei matematici dei secoli passati. Ben pochi autori, in genere solo i più importanti, hanno avuto edizioni moderne; per la maggior parte occorre rivolgersi direttamente alle edizioni antiche, presenti solo in poche biblioteche. Questa situazione è particolarmente gravosa nei centri privi di biblioteche importanti, dove anche lo svolgimento di una tesi di laurea in storia della matematica è ritardato dai tempi, a volte lunghissimi, necessari per procurarsi fotocopie o microfilms delle opere necessarie, ma sussiste anche nei centri maggiori, dove in ogni caso l’accesso ai volumi antichi è sottoposto a controlli e limitazioni. Per ovviare almeno in parte a questi inconvenienti, e permettere una maggiore diffusione della cultura storico-matematica, il Giardino di Archimede ha preso l’iniziativa di riversare su CD-rom e diffondere una serie di testi rilevanti per la storia della matematica. Ogni CD contiene circa 5000 pagine (corrispondenti circa a 15-20 volumi) in formato PDF. La qualità delle immagini è largamente sufficiente per una agevole lettura anche dei testi più complessi e non perfettamente conservati. Il prezzo di ogni CD è di 130 euro. Per acquisti o abbonamenti a dieci o più CD consecutivi viene praticato uno sconto del 20%. Per ulteriori informazioni si può consultare il sito del Giardino di Archimede: www.archimede.ms Per ordinazioni: Il Giardino di Archimede Via San Bartolo a Cintoia 19a 50143 Firenze Tel. ++39-055-7879594, Fax ++39-055-7333504 e-mail: [email protected] Indice degli ultimi cd pubblicati: GdA 49
Magini, Antonio, Tavole del primo mobile. Venezia, Zenaro, 1606. Metius, Adrian, Primum mobile. Amsterdam, Iansson, 1631. Meyer, Georg Friedrich, Stereometria. Basel, Genath, 1675. Meyer, Jacob, Geometria theoretica. Basel, Brandmyller, 1676. Montebruno, Francesco, Ephemerides novissimae. Bologna, Ferroni, 1640. Moretti, Paolo Gaetano, Tavole dell’hore planetarie perpetue. Bologna, Peri, 1681.
Moretti, Tomaso, Trattato dell’artiglieria. Brescia, Gromi, 1672. Moretti, Tomaso, Trigonometria de rettilinei. Padova, Sardi, 1664. Morin, Jean Baptiste, Nova mundi sublunaris anatomia. Paris, Du Fossé, 1619. Muler, Nicolaus, Iudeorum annus. Groningen, Sassius, 1630. Muler, Nicolaus, Tabulae frisicae lunae-solares. Alcmariae, Meester, 1611. Murcia de la Llana, Francisco, Compendio de los metheoros. Madrid, De la Cuesta, 1615. Muti, Savino, Dialogus contra prodromum Levarae. Roma, Bernabò, 1664. Nardi, Giovanni, De rore. Firenze, Massa e de Landis, 1642. Natti, Antonio, Nuovi ingegni mecanici. Città di Castello, Mulinelli, 1628. Naustifo, Urania astronomica. Venezia, Bernardoni, 1685. Neper, John, Logarithmorum descriptio et constructio. Lyon, Vincent, 1620. Nicario dal Monte d’oro, Influenza della cometa. Milano, Malatesta, 1677 (?). Niceron, Jean François, Thaumaturgus opticus. Paris, Langlois, 1646. Nieuwentijdt, Bernard, Analysis infinitorum. Amsterdam, Wolters, 1695. Noceti, G. Battista, Astrologia. Parigi [Genova], Sarà, 1663. GdA 50 Nuova raccolta d’autori che trattano del moto dell’acque. Vol. 1-7. Parma, Carmignani, 1766-1768. Controversia sulle acque. Roma, Bernabò, 1765. Osservazioni de’ bolognesi intorno ad una scrittura pubblicata da’ signori ferraresi. Bologna, Benacci, 1716. Orlandi, Clemente, Parere pro veritate sopra i progetti proposti per liberare le campagne di Ferrara, Bologna e Romagna dalle inondazioni. Roma, Salomoni, 1762. Orlandi, Pellegrino Antonio, Notizie degli scrittori bolognesi. Bologna, Pisarri, 1714. GdA 51 Lambert, Johann Heinrich, Les proprietés remarquables de la route de la lumière. La Haye, Scheurleer, 1758. Newton, Isaac, Optice, sive de reflexionibus, refrationibus, inflexionibus et coloribus lucis. London, Innys, 1719. Newton, Isaac, Principes mathématiques de la philosophie naturelle. Paris, Desaint & Saillant, 1759. Newton, Isaac, Philosophiae naturalis principia mathematica (Vol. 1-3). Génève, Barrillot, 1739-1742. Newton, Isaac, Philosophiae naturalis principia mathematica. Amsterdam, sumpt. Societatis, 1723. Newton, Isaac, Philosophiae naturalis principia mathematica. London, Innys, 1726.
Newton, Isaac, Traité d’optique sur les reflexions, refractions, inflexions et les couleurs de la lumière. Paris, Montalant, 1722. GdA 52 Danti, Egnazio, La sfera di Giovanni Sacrobosco. Firenze, Giunti, 1571. Mazzoni, Iacopo, De comparatione Platonis et Aristotelis. Venezia, Guerigli, 1597. Moleti, Giuseppe, Ephemerides ab anno 1564. Venezia, Franceschi, 1564. Moleti, Giuseppe, Tabulae gregorianae motuum octavae spherae. Venezia, Deuchino, 1580. Muhammad al Baghdadi, Libro del modo di dividere le superficie. Pesaro, Concordia, 1570. Munster, Sebastian, Organum uranicum. Basel, Petrus, 1536. Naibod, Valentin, Primarum de coelo et terra institutionum libri tres. Venezia, 1573. Nale, Niccolò, Dialogo sopra la sfera del mondo. Venezia, Ziletti, 1579. Nazari, Gio. Battista, Della tramutatione metallica sogni tre. Brescia, Marchetti, 1572. Nifo, Agostino, De verissimis temporum signis commentariolus. Venezia, Scoto, 1540. Nifo, Agostino, In libris Aristotelis meteorologicis commentaria. Venezia, Scoto, 1547. Nores, Giasone, Breve trattato del mondo et delle sue parti. Venezia, Muschio, 1571. Nores, Giasone, Sfera. Padova, Meietti, 1589. Novara, Domenico Maria, Pronosticon in annum 1501. Bologna, Ettore, 1501. Oddo, Illuminato, Disputationes de generatione et corruptione. Napoli, Colicchia, 1672. Ortelius, Abraham, Il theatro del mondo. Brescia, Compagnia bresciana, 1598. Tolomeo, Claudio, Descrizione della sfera in piano. Bologna, Benacci, 1572.
BOLLETTINO DI STORIA DELLE
SCIENZE MATEMATICHE
BOLLETTINO DI STORIA DELLE SCIENZE MATEMATICHE Il Giardino di Archimede Un Museo per la Matematica
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Per la migliore riuscita delle pubblicazioni, si invitano gli autori ad attenersi, nel predisporre i materiali da consegnare alla Redazione ed alla Casa editrice, alle norme specificate nel volume Fabrizio Serra, Regole editoriali, tipografiche & redazionali, Pisa · Roma, Istituti editoriali e poligrafici internazionali, 2004 (Euro 34,00, ordini a: [email protected])
BOLLETTINO DI STORIA DELLE
SCIENZE MATEMATICHE
Anno XXVIII · Numero 2 · Dicembre 2008
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SOMMARIO Pierre Crépel, Luigi Pepe, D’Alembert, i Lumi, l’Europa. D’Alembert, les Lumières, l’Europe 115 Paolo Casini, D’Alembert et l’Italie
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Irène Passeron, La correspondance de d’Alembert. Un réseau européen? 137 Serge S. Demidov, D’Alembert et la notion de solution des équations différentielles aux dérivées partielles 155 Guillaume Jouve, Le rôle de d’Alembert dans les débuts d’une étude programmatique des équations aux dérivées partielles (1760-1783) 167 Alexandre Guilbaud, La «loi de continuité» de Jean Bernoulli à d’Alembert 183 Yannick Fonteneau, D’Alembert et Daniel Bernoulli face au concept de travail mécanique 201 Fabrice Ferlin, Les lunettes achromatiques: un enjeu européen dans la deuxième moitié du 18e siècle 221 Pierre-Charles Pradier, Nicolas Rieucau, D’Alembert et D. Bernoulli au sujet de l’inoculation de la petite vérole 239 Olivier Ferret, Les «Réflexions Philosophiques» dans les Éloges Académiques de d’Alembert: le cas de l’éloge de Bossuet
255
Giovanni Ferraro, D’Alembert visto da Eulero
273
Christine Phili, D’Alembert et Lagrange. Deux points de vues différents concernant les fondements de l’analyse 293 Olivier Bruneau, D’Alembert et les mathématiques britanniques
309
Massimo Galuzzi, Paolo Frisi, d’Alembert et le milieu scientifique de Milan 321 Maria Teresa Borgato, D’Alembert e l’Istituto di Bologna
339
Sebastiano Canterzani, Della caduta dei corpi lanciati in alto, a cura di Maria Teresa Borgato 363 «Bollettino di storia delle scienze matematiche» · Vol. XXVIII · 2008 · Fasc. 2
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lavori pubblicati in questo numero monografico del «Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche» traggono origine dal convegno D’Alembert, i Lumi, l’Europa, organizzato dal Centro Internazionale per la Ricerca Matematica (CIRM) a Levico Terme dal 25 al 29 settembre 2006. Gli organizzatori scientifici ringraziano i direttori del CIRM, prof. Mario Miranda e prof. Fabrizio Catanese, per aver accolto il convegno tra le attività del Centro. Pierre Crépel, Luigi Pepe
D’ A LE M B E RT, I LUM I , L’E UROPA. D’ A L EM B E RT, LE S LUM I È RE S, L’E UROPE Pierre Crépel, Luigi Pepe* Abstract: The Conference entitled D’Alembert, i Lumi, l’Europa, organized by the International Centre of Mathematical Research (CIRM) in Levico Terme from 25th to 29th September 2006, offered an occasion for the meeting of some promoters of
the d’Alembert edition with European scholars of the Enlightenment, and for a comparison on the editing criteria and an evaluation of the influence that d’Alembert exerted on the European culture, scientific in particular, of his day.
’oeuvre scientifique (en premier lieu mathématique) de d’Alembert, mais aussi son activité d’encyclopédiste et de polémiste, ont été une référence pour la culture européenne, à partir du milieu du XVIIIe siècle, à l’époque de ses écrits majeurs. L’intérêt pour ses textes scientifiques (la dynamique, les équations aux dérivées partielles, etc.), ainsi que pour ceux de ses contemporains (Daniel Bernoulli, Euler, Lagrange, etc.), ne s’est pas démenti; mais on trouve aussi de nombreux échos de sa réflexion philosophique, par exemple chez Leopardi. Le d’Alembert encyclopédiste est bien connu des dizaines de milliers de lecteurs de la plus grande entreprise éditoriale du siècle des Lumières, dont le savant a rédigé le «Discours préliminaire». Les articles mathématiques de d’Alembert dans l’Encyclopédie, repris dans l’Encyclopédie méthodique, assurèrent une présence de l’auteur dans la culture scientifique jusqu’au début du XIXe siècle. Un groupe international de chercheurs prépare actuellement une édition des oeuvres complètes de d’Alembert. Le colloque d’Alembert, les Lumières, l’Europe a été une occasion de rencontre entre des acteurs de cette édition et des chercheurs européens spécialistes des Lumières: confrontation à propos des critères d’édition, bilan de l’influence de d’Alembert sur la culture européenne, en premier lieu scientifique.
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L’opera scientifica di d’Alembert, in primo luogo matematica, ma anche la sua attività di enciclopedista e di polemista sono state un punto di ri* P. Crèpel, ICJ UMR 5208, Università Lyon 1. E-mail: [email protected]; L. Pepe, Dipartimento di matematica, Università di Ferrara. E-mail: [email protected] «Bollettino di storia delle scienze matematiche» · Vol. XXVIII · 2008 · Fasc. 2
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pierre crépel · luigi pepe
ferimento per la cultura europea, a partire dai decenni centrali del secolo XVIII nei quali è fiorita la sua maggiore produzione. L’interesse per i suoi scritti scientifici (la dinamica, le equazioni alle derivate parziali ecc.) è continuato accanto a quello per i grandi matematici suoi contemporanei (Daniele Bernoulli, Euler, Lagrange ecc), ma echi della sua riflessione filosofica si trovano anche in Leopardi. d’Alembert enciclopedista è ben noto ai fruitori delle ben ventiquattromila copie che ha avuto l’Encyclopedie, la maggiore impresa editoriale dell’età dei Lumi, della quale scrisse il Discorso Preliminare. Gli articoli matematici di d’Alembert per l’Encyclopédie, confluiti nell’Encyclopédie méthodique, assicurarono all’autore una presenza rilevante nella cultura scientifica anche nei primi decenni del secolo XIX. Un gruppo internazionale di studiosi sta ora curando l’edizione completa delle opere di d’Alembert. Il convegno D’Alembert, i Lumi, l’Europa è stato un’occasione di incontro tra promotori dell’edizione d’Alembert con studiosi europei dell’età dei Lumi, per un confronto sui criteri di edizione e un bilancio dell’influenza di d’Alembert sulla cultura europea, in primo luogo scientifica, nell’età che fu sua. Sede del Convegno: Levico (Trento), Hotel Bellavista, 25-29 settembre 2006 Organizzazione: Centro Internazionale della Ricerca Matematica (CIRM) Responsabili scientifici: Pierre Crépel, Luigi Pepe
Ordine dei lavori Lunedì, 25 settembre 2006: D’Alembert oggi e i suoi editori Pierre Crépel (Lyon): D’Alembert: lo stato degli studi Paolo Casini (Roma, La Sapienza): D’Alembert in Italia Irène Passeron (Paris): La correspondance de d’Alembert: un réseau européen? Tavola rotonda: L’edizione delle opere di d’Alembert: progetti, risultati, prospettive (interventi di: P. Crépel, C. Gilain, I. Passeron) Martedì, 26 settembre: D’Alembert e la matematica Christian Gilain (Paris 6): La théorie des intégrales elliptiques: Euler, Legendre et le rôle méconnu de d’Alembert Guillaume Jouve (Lyon): Aspects cachés des débats sur les équations aux dérivées partielles Olivier Bruneau (Nantes): D’Alembert et les mathématiciens britanniques Luigi Pepe (Ferrara): D’Alembert, Lagrange e la Società Reale di Torino Massimo Galuzzi (Milano, Statale): D’Alembert, Frisi e l’ambiente scientifico di Milano
d’alembert, i lumi, l’europa
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Maria Teresa Borgato (Ferrara): D’Alembert e l’Istituto di Bologna Giovanni Ferraro (Napoli), D’Alembert visto da Eulero Mercoledì, 27 settembre: D’Alembert, l’astronomia, la meccanica, le scienze Alexandre Guilbaud (Lyon): Le concept de pression chez les Bernoulli, d’Alembert et Euler Yannick Fonteneau (Lyon): D’Alembert et Daniel Bernoulli face au concept de travail Hugues Chabot (Lyon): D’Alembert et Lesage Serge Demidov (Moscou): D’Alembert et la question des cordes vibrantes Jean-Daniel Candaux (Genève): D’Alembert et ses correspondants genevois Nicolas Rieucau (Paris 8): D’Alembert et les débats européens sur l’inoculation Angel E. Romero (Paris 7): La recherches des principes fondateurs de la mécanique: d’Alembert et Euler Giovedì, 28 settembre: D’Alembert, il letterato, l’accademico, il polemista Fabrice Ferlin (Saint-Etienne): Les lunettes achromatiques: un enjeu européen après 1750 Marie Jacob (Paris 7): D’Alembert académicien des sciences Olivier Ferret, Sur les éloges de d’Alembert à l’Académie française Ugo Baldini (Padova): D’Alembert and Boscovich Christine Phili (Athène), D’Alembert et Lagrange: Deux points de vue differents concernant les fondements de l’analyse Cesare Preti: D’Alembert e l’Encyclopédie nell’archivio delle congregazioni dell’Inquisizione e dell’Indice Venerdì 29 settembre: L’eredità dei Lumi Tavola rotonda e discussione generale
Partecipanti Ugo Baldini (Padova), Maria Teresa Borgato (Ferrara), Olivier Bruneau (Nantes), Jean Daniel Candeau (Genève), Sandro Caparrini (Torino), Franca Cattelani (Modena), Paolo Casini (Roma), Hugues Chabot (Lyon), Raffaele Corvaglia (Torino), Pierre Crépel (Lyon), Andrea Del Centina (Ferrara), Serge Demidov (Mosca), Charles Deponge (Dijon), Fabrice Ferlin (Lyon), Stefano Ferrari (Rovereto), Giovanni Ferraro (Campobasso), Olivier Ferret (Lyon), Alessandra Fiocca (Ferrara), Yannick Fonteneau (Lyon), Massimo Galuzzi (Milano), Livia Giacardi (Torino), Paola Giacomoni (Trento), Christian Gilain (Paris), Sandra Giuntini (Firenze), Bruno Gradi (Roma), Alexandre Guilbaud (Lyon), Marie Jacob (Villemomble), Guillaume Jouve (Lyon), Erika Luciano (Torino), Silvia Mazzone (Roma), Irène Passeron (Paris), Luigi Pepe (Ferrara), Christine Phili (Atene), Cesare Preti (Valenzano), François Prin (Paris), Jean Nicolas Rieucau (Bouffement), Clara Silvia Roero (Torino), Angel Romero (Paris).
D ’ A LE M B E RT E T L’ITALIE Paolo Casini* Abstract: In spite of a scanty allusion to Galileo’s contribution to ‘geography’, d’Alembert’s knowledge of Italian culture was broader than it may appear from the Discours préliminaire de l’Encyclopédie. There is evidence in his literary and historical writings that the translator of Tacitus had also a sound grasp of the Italian classical writers as well as of the language. Against the background of d’Alembert’s correspondence with his Italian friends and estimators (A. Lomellini, F. Galiani, the brothers Verri, C. Beccaria, D. Caracciolo, P. Frisi), the present paper focuses on the several attempts that were made by the French mathematician between 1758 and 1770 to accomplish his own Grand Tour in the peninsula. His reputation there had been assured first by pope Benedict XIV
thanks to his election as member of the Accademia delle Scienze in Bologna; later by the struggle for the Encyclopédie (which was reprinted in Lucca and Livorno), and particularly by the Elemens de philosophie and by the tract De la destruction des Jésuites, which were both translated into Italian. In 1769 his final renouncement to the Italian trip, notwithstanding Frederick’ s of Prussia generous support, was apparently justified by bad health. But d’Alembert frequent hints to Church of Rome as «le séjour de la superstion autrichienne et espagnole» seem to suggest additional reasons for the repeated failure. After his death, his best Italian friend and emulator in the sciences, Paolo Frisi, devoted to the man and his work the latest and warmest of his Elogi.
1. Le mirage ’Alembert renouvela et renvoya plusieurs fois ses projets de voyage en Italie, sans jamais se décider à franchir les Alpes. Il vécut le mirage italien à sa manière, au gré – dirait-on – de ces perpétuelles «oscillations» et de cette «inconstance» du sceptique qui avoue, dans la fiction psychologique d’un Entretien vraisemblable: «Je vois le matin la vraisemblance à ma droite, et l’après midi elle est à ma gauche».1 On pourrait comparer ses hésitations aux épreuves d’autres contemporains: à l’esprit d’aventure de voyageur pauvre et vagabond qui mena Jean-Jacques Rous-
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* Università degli studi Roma «La Sapienza». E-mail: [email protected] 1 Denis Diderot, Le rêve de d’Alembert, dans Oeuvres, Paris, éd. DPV, 1975 – en cours; t. XVII, p. 112. «Bollettino di storia delle scienze matematiche» · Vol. XXVIII · 2008 · Fasc. 2
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seau à Turin, à Gênes, à Venise; au goût pédagogique qui, pendant neuf ans, retint l’abbé de Condillac comme précepteur à la cour française de Parme, où vécurent aussi Alexandre Deleyre et Auguste de Kéralio; tandis que les amis les plus intimes de d’Alembert, comme André Morellet, Claude-Henri Watelet, Nicolas Desmarets, visitèrent Milan et Naples. Ces hommes de lettres parcouraient la Péninsule sous l’impulsion d’intérêts très variés, différents sans doute de l’attitude des jeunes aristocrates blasés qui faisaient leur grand tour en Italie pour compléter leur initiation à l’antiquité et perfectionner leur apprentissage mondain. Bien sûr, parmi les voyageurs nobles d’ancien régime des écrivains comme de Brosses, Duclos, Montesquieu, répresentèrent l’exception plutôt que la règle, mais les textes de leurs Voyages en Italie ne parurent que posthumes et demeurèrent donc inconnus à d’Alembert. On peut se demander si, parmi les nombreux classiques du genre, il s’intéressa aux récits ‘pittoresques’ d’artistes et antiquaires comme Nicolas Cochin ou l’abbé de Saint-Non, «qui – disait-il en 1759 le présentant à Voltaire – va en Italie pour y voir les chefs-d’oeuvre des arts, y entendre de bonne musique, et y connaître les bouffons de toute espèce que ce pays renferme».1 On sait que le Voyage d’un françois en Italie de son confrère Jérôme de Lalande (1766-1767) le laissa indifférent, malgré les renseignements que l’astronome y donnait sur la vie scientifique de la Lombardie et de la Toscane.2 On peut se demander si d’Alembert possédait une connaissance de première main de la langue et de la littérature italienne. Giacomo Leopardi, l’un de ses lecteurs les plus pénétrants, fut frappé par une remarque subtile qu’il trouva dans l’essai Sur l’art de traduire: De toutes les langues modernes cultivés par les gens de lettres l’italienne est la plus variée, la plus flexible, la plus susceptible des formes qu’on veut lui donner; aussi elle n’est pas moins riche en bonnes traductions qu’en excellente musique vocale, qui n’est elle même qu’une espèce de traduction.3
Cet aperçu prouve, malgré sa brièveté, que d’Alembert n’était pas dépourvu de bonnes lectures. Il cite parfois Traiano Boccalini, Pétrarque, Torquato Tasso, dont l’Aminta – remarque-t-il – est presque intraduisible en anglais, puisqu’il s’agit d’une «pastorale pleine de ces détails de galanterie, et de ces riens agréables que la langue italienne est si propre à 1 Lettre de d’Alembert à Voltaire du 27 septembre 1759; dans Voltaire, Oeuvres, Paris, éd. Moland, 1880, t. 40, p. 180. 2 S. Rotta, Documenti per la storia dell’illuminismo a Genova. Lettere di Agostino Lomellini a Paolo Frisi, dans «Miscellanea di storia ligure», vol. I, Genova, 1958, pp. 189-329; cf. p. 273. 3 Observations sur l’art de traduire; Jean d’Alembert, Oeuvres, Paris, 1821, 6 volumes; t. IV, 33; phrase cité par Giacomo Leopardi, Zibaldone, 4304-4305.
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rendre, et qu’il faut lui laisser».1 Aussi, en fait de traductions, faut-il rappeler que le mathématicien – malgré qu’il ait négligé le latin professionnel encore usité par Newton, Leibniz, Euler, ou Frisi – consacra ses otia d’humaniste à l’étude du style de Tacite? Son apprentissage de traducteur de l’Histoire romaine est un tour de force de «tacitisme», un véritable défi littéraire dont il faudrait analyser à fond les liens avec toute une tradition et avec sa propre concision d’historien. On peut remarquer à ce propos que d’Alembert, malgré son initiation à la langue italienne et sa fascination pour la Rome ancienne, est souvent assez laconique en ce qui concerne l’héritage littéraire et scientifique de l’Italie moderne. Dans le Discours préliminaire, après avoir tracé une esquisse sommaire de l’âge de la renaissance, il se borne à prononcer du bout des lèvres un hommage rapide: Nous serions injustes si à l’occasion du détail où nous venons d’entrer, nous ne reconnaissions point ce que nous devons à l’Italie; c’est d’elle que nous avons reçu les sciences qui, depuis, ont fructifié si abondamment en toute l’Europe; c’est à elle surtout que nous devons les beaux-arts et le bon goût, dont elle nous a fourni un grand nombre de modèles inimitables.2
Les bornes de son information ou de la perspective qu’il s’était imposée en 1750 sont évidentes dans ce texte, où la galerie qu’il trace des pères des Lumières néglige les grands écrivains de la Renaissance et du XVIIe siècle. D’Alembert ne mentionne pas des maîtres de l’humanisme et philosophes tels que Marsile Ficin, Pico della Mirandola, Leon Battista Alberti, Leonardo da Vinci, l’Arioste, le Tasse, Machiavel, Giordano Bruno, ni même Vico et Giannone, ces contemporains méconnus. Même silence à propos d’hommes de science comme Castelli, Torricelli, Borelli, Malpighi, Cassini, Vallisnieri, Maraldi, Bianchini, dont les ouvrages étaient pourtant bien connus en France. Quant aux mathématiciens, il n’y a qu’une allusion très indirecte – à Cardan ou peut-être à Tartaglia – concernant «l’algèbre, créée en quelque sorte par les italiens». Le cas le plus frappant est celui de Galilée, nommé à peine et par énigmes comme le savant «à qui la géographie doit tant pour ses découvertes astronomiques et la mécanique pour la théorie de l’accéleration».3 Pourquoi d’Alembert minimise-t-il la lutte pour l’affirmation du système copernicien, la révolution galiléenne en physique, l’affaire du procès? Est-il involontairement sous l’emprise du tabou qui rendait presque imprononçable le nom de Galilée, victime de ce tribunal de l’Inquisition 1 Observations sur l’art de traduire, cité, p. 34. 2 D’Alembert, Oeuvres, cité, t. II, p. 60.
3 Ivi, p. 71.
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contre lequel il proteste si vivement ailleurs? Pourtant deux nouvelles éditions de ses oeuvres avaient paru à Florence en 1718, et à Padoue en 1744; celle-ci reproduisait le texte condamné du Dialogo sui massimi sistemi, non sans l’approbation de la censure eccésiastique devenue très tolérante après l’éléction du pape Benoît XIV. Étienne Montucla, historien assez proche du cercle des encyclopédistes, va profiter de ces éditions et de la documentation récente sur le cas Galilée pour lui consacrer quarante pages de son Histoire des sciences mathématiques (1758). Quant à d’Alembert, felix culpa! dirait-on; puisque la profonde lacune du Discours préliminaire à l’égard de Galilée suggéra à son ami Paolo Frisi le prétexte d’écrire un éloquent Elogio di Galileo Galilei, dont la première ébauche parut en 1764 dans le périodique éclairé milanais Il Caffè et, traduite en français, fut inséréé dans le troisième Supplément de l’Encyclopédie. En fait d’Alembert, dans quelques-unes de ses allusions encyclopédiques concernant l’Italie, aimait se prononocer non sans une nuance d’ironie. Dans l’article Académies: «L’Italie seule – remarque-t-il – a plus d’Académies que tout le reste du monde ensemble. Il n’y a pas de ville considérable où il n’y ait assez de savants pour former une académie et qui en forment une en effet». Et il énumère de façon vétilleuse cent-cinquante titres «tout à fait singuliers et bizarres».1 Le continuateur de Fontenelle, le futur auteur des Éloges académiques, méprise un peu ces académies de province auxquelles les historiens modernes consacrent de très savantes études sociologiques. Quant au genre littéraire de l’éloge, à la différence de Fontenelle, d’Alembert n’était pas tenu par sa charge de secrétaire de l’Académie française à célébrer des savants étrangers. Il fit une exception consacrant une demie page très chaleureuse à un diplomate italien qui n’était ni mathématicien, ni homme de lettres, mais s’intéressait aux sciences. Domenico Caracciolo, ambassadeur du Royaume de Naples à Paris entre 1771 et 1781, futur vice-roi de la Sicile, séduisit d’Alembert au point qu’il le définit, dans un fragment difficile à dater, comme «un des esprits les plus complets que je connaisse», et loua de façon enthousiaste son savoir, sa finesse, sa gaieté, sa conversation, sa sensibilité.2 On dirait que l’exubérance et la vivacité napolitaines fissent vibrer chez d’Alembert des cordes secrètes, comme le prouvent aussi ses relations cordiales avec l’abbé Galiani. L’auteur des Dialogues sur le commerce des bleds, assidu auprès des encyclopédistes, dans une de ses lettres à Bernardo Tanucci a tracé un portrait curieux de d’Alembert: 1 Encyclopédie, Paris, 1751; t. I, p. 56a-b. Cf. note ci-dessus. 2 Portrait du Marquis de Caraccioli, Oeuvres, t. III, p. 739; voir «Caracciolo, Domenico», dans Dizionario Biografico degli Italiani,Roma, 1956 – en cours, sub voce.
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Egli è di statura piccola, di viso gioviale, di costumi dolci … è focoso, e vive nella disputa. Non rassomiglia a niun francese, ed ha i difetti e le virtù italiane piuttosto che le francesi. Per esempio non è mai vestito bene né di buon gusto: è mal pettinato, ed insomma non pare punto francese.1
Galiani tenait à rassurer son ami Tanucci, qui avait osé traiter l’auteur du Discours préliminaire en «nemico dell’Italia» à cause de sa réticence à propos de Galilée.2 En effet, si l’on revient aux années de la bataille encyclopédique, l’attitude de d’Alembert paraît assez réservée. Dans l’Eloge du Président de Montesquieu l’Italie figure pour ainsi dire en raccourci. D’Alembert, qui ignore les cahiers du voyage de Montesquieu, glisse rapidement: «D’Allemagne [Montesquieu] passa en Italie … il alla de Venise à Rome: dans cette ancienne capitale du monde, qui l’est encore à certains égards, il s’appliqua à examiner ce qui la distingue aujourd’hui le plus, les ouvrages des Raphaël, des Titien et des Michel Ange…».3 A propos du séjour de Montesquieu à Venise, d’Alembert ne parle que des rencontres que le président avait eu dans cette ville avec Law et Bonneval. Quant à Rome, le lieu commun sur «l’ancienne capitale du monde», suivi de la remarque ambiguë «qui l’est encore à certains égards», et de la mention des artistes qui sont tout ce qui reste de sa «distinction», n’est qu’une ironique atteinte au Saint Siège. d’Alembert s’exprime d’une façon beaucoup plus libre au sujet la superstition romaine dans sa correspondance, dans l’essai Sur la destruction des jésuites, dans le Mémoire sur Christine de Suède. N’est-ce pas la papauté, cette puissance hostile dont les hommes des Lumières annoncent sans cesse la chute prochaine, le véritable obstacle sur la voie de la Rome moderne, l’ombre qui obscurcit le mirage italien de d’Alembert? 2. La reputation de d’Alembert en Italie C’est surtout l’entreprise de l’Encyclopédie qui fit connaître d’Alembert en Italie, mais sa réputation de mathématicien avait commencé à circuler même avant la parution du premier volume, grace à un savant français: 1 Lettre de Ferdinando Galiani à Bernardo Tanucci, datée de Paris, 13 mars 1769; dans F. Galiani, Opere, a cura di F. Diaz e L. Guerci, Milano-Napoli, 1975, pp. 976-977. 2 Lettre de B. Tanucci à F. Galiani, datée de Portici, 19 octobre 1764; dans B. Tanucci, Lettere a Ferdinando Galiani, a cura di F. Nicolini, Bari, 1941, 2 vol.; citée par L. Guerci dans ses notes: Opere, p. 915, note 2. Dans une réponse précédente Galiani disait: «d’Alembert rassomiglia assai al fu D. Pietro di Martino; ma è più gioviale, più gaio, talvolta buffone, è buon amico degli Italiani, e grande estimatore di essi. Se non gli ha citati, ciò viene perché non è uso della nazione francese il citare, molto meno è uso de’ geometri. Non può esser ripreso chi siegue gli usi del suo paese e del suo Stato»; F. Galiani, Opere, cité, p. 915. 3 Encyclopédie, t. III, «Éloge du président de Montesquieu», p. XIII.
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le père Minime François Jacquier, bien connu comme auteur, avec Thomas Le Seur, du grand commentaire des Principia mathematica de Newton. Son essai consacré au problème de la courbe dite tautochrone, paru à Lucques en 1747, donne la solution d’un théorème déjà énoncé par les Bernoulli, concernant les trajectoires d’une pendule dans le vide et dans un milieu résistant. Le père minime François Jacquier avait étudié ce théorème, lit-on dans la présentation, «nel mentre che in Parigi teneva vari ragionamenti col celebre M. D’Alembert, già noto nel mondo erudito per le sue dotte opere».1 Même si cette remarque vient de la France par sa source, c’est néanmoins la première mention du mathématicien imprimée en italien. À la même époque, bien avant les débuts de l’Encyclopédie, d’Alembert avait eu des recontres avec le diplomate Agostino Lomellini, résident de la république de Gênes à Paris entre 1739 et 1742. Le salon de Lomellini était fréquenté alors par Clairaut, Duclos, Montesquieu, le comte de Caylus; mais il est vraisemblable que Lomellini n’ait reçu l’abbé de Condillac et d’Alembert qu’en 1748, pendant son second séjour à Paris. La correspondance entre d’Alembert et Lomellini est, semble-t-il, entièrement perdue; mais on peut lire un témoignage peu conventionnel de l’amitié et de l’estime que le jeune académicien nourrit pour le diplomate génois dans la dédicace des Recherches sur la precession des équinoxes, datée du 15 juin 1749: …Ce n’est pas à votre naissance que je rends hommage, ce seroit mettre vos ancêtres à votre place, et oublier que j’écris à un philosophe. L’accueil que vous faites aux gens de lettres ne leur laisse point apercevoir la supériorité de votre rang, parce que vous n’avez point à leur envier la supériorité des lumières. Aussi, non content de rechercher leur commerce, vous leur témoignez encore cette considération réelle sur laquelle ils ne se méprennent pas quand ils en sont dignes… Je vous présente donc ces recherches, Monsieur, comme à un géomètre profond, qui a su joindre aux agréments de l’esprit les plus sublimes connaissances, et dont je distingue le suffrage parmi le petit nombre de ceux qui peuvent véritablement me flatter.2
En tant qu’homme politique Agostino Lomellini, issu d’une famille de l’aristocratie et doge de la république de Gênes pour une courte période, est une figure assez fade dans les annales de la cité. Malgré qu’il ne soit 1 F. Jacquier, Problema mechanicum ad curvas pertinens Tautochronas, dans Memorie sopra la fisica e la storia naturale, Lucca, Benedini, 1747, III, pp. 230-266. 2 Jean d’Alembert, Recherches sur la précession des équinoxes et sur la nutation de la terre dans le système newtonien, Paris, 1749; dédicace «À Monsieur le marquis Lomellini, ci-devant Envoyé Extraordinaire de la République de Gênes à la Cour de France», p. aII.
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pas facile de préciser ses mérites de géomètre profond que d’Alembert lui reconnaît, cet éloge lui assura une certaine réputation un peu partout en Europe.1 De son côté Lomellini exprima sa gratitude à d’Alembert par la traduction qu’il donna du Discours préliminaire de l’Encyclopédie, dont le texte parut anonyme à Florence en 1753.2 L’année suivante Giovanni Claudio Fromond, professeur de physique à l’Université de Pise, publia son essai Della fluidità dei corpi (Livorno 1754), qui développe une hypothèse sur la nature physique des fluides s’inspirant surtout des Questions de l’Optique newtonienne, mais aussi des discussions des chimistes. Cet essai ne comporte aucun traitement mathématique de la dynamique des fluides. Fromond se borne à citer l’Essai d’une nouvelle théorie de la résistance des fluides de d’Alembert, tout en prenant ses distances face à l’hypotèse corpusculaire que l’auteur partageait avec beaucoup de chimistes et de physiciens adeptes de la synthèse newtonienne. D’une façon paradoxale et un peu embarrassante pour d’Alembert, l’accolade définitive qui consacra la réputation croissante du mathématicien en Italie vint de la papauté. En 1755 il fut élu académicien de l’Istituto delle Scienze di Bologna par un choix personnel du souverain pontife en personne, le bolonais Prospero Lambertini, le pape newtonien auquel Voltaire avait dédié sa tragédie Mahomet ou le fanatisme. d’Alembert ne cachera pas, malgré une petite nuance d’ironie, d’avoir été flatté par cet honneur: «A la fin de la même année – dit-il dans son autoportrait – il fut reçu, à la recommandation du Pape Benoît XIV, membre de l’Institut de Bologne. d’Alembert n’avoit pas sollicité cette place; le Pape ne le connaissait que de réputation: et quoiqu’il y eût alors dans l’Institut de Bologne une loi qui defendît de recevoir de nouveaux académiciens jusqu’à ce qu’il y en fût morts trois, Benoît XIV désira qu’on dérogeât à cette loi en faveur de d’Alembert».3 A cette époque les premiers volumes de l’Encyclopédie étaient reçus avec faveur en Italie. Tout changera avec la crise de 1758-1759, juste avant les réimpressions intégrales qu’on fit du dictionnaire en Toscane, à Lucques et à Livourne. Aux yeux de nombreux lecteurs italiens du dictionnaire la figure de d’Alembert éclipsait alors celle de Diderot. Cette visibilité presque exclusive doit être mise surtout sur le compte de 1 Cf. «Lomellini, Agostino», dans Dizionario Biografico degli Italiani, cité, sub voce. 2 Avec le titre Discorso sopra l’origine e relazione scambievole delle cognizioni umane e sopra lo stato delle medesime dopo la rinnovazione delle lettere, dans Dissertazioni e lettere sopra varie materie scritte da diversi autori viventi, t. III, Firenze, 1753, pp. 1-100. 3 Mémoire de d’Alembert par lui-même, dans Oeuvres, cité, t. I, p. 6.
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quelques textes d’envergure, tels que le Discours préliminaire, la Préface et l’Éloge de Du Marsais dans le troisème volume, l’Éloge du Président de Montesquieu au début du cinquième volume.1 Puisque ce dernier Éloge fut réimprimé comme introduction aux traductions italiennes de l’Esprit des lois, la grande autorité dont jouit en Italie le chef d’ouvre de Montesquieu contribua aussi à affermir celle de son biographe et interprète.2 En outre, l’édition lucquoise de l’Encyclopédie fut accompagnée ou suivie par les traductions de l’Essai sur les élémens de philosophie, des Mémoires sur Christine de Suède et de l’essai Sur la destruction des jésuites.3 Ce dernier surtout suscita des réactions très favorables chez deux mathématiciens amis de l’auteur, Frisi et Lagrange, et des critiques chez Agostino Lomellini, le père Paolo Maria Paciaudi et d’autres commentateurs.4 En général, vers le milieu des années Soixante, l’oeuvre mathématique de d’Alembert était comme éclipsée par la réputation de l’écrivain, du philosophe, du protagoniste des lumières, qui n’était seconde qu’à celle de Voltaire. Les traductions italiennes de ces écrits de d’Alembert parurent peu après la crise qui, en 1759, à la suite des querelles suscitées par l’article Genève, mena à la suppression de l’Encyclopédie en France. L’histoire des réimpressions italiennes de l’Encyclopédie a été reconstruite par Mario Rosa dans son excellente étude, où il a exploré aussi les liasses des échanges épistolaires des années 1758 et 1759 entre cardinaux et hommes politiques de Rome et de Paris, conservées à l’Archivio Segreto Vaticano. Ces documents contiennent les dossiers des démarches contre l’Encyclopédie faites auprès des ministres de Bernis et de Choiseul par la Congrégation du Saint Office. L’affaire de la condamnation de 1759 nous révèle l’un des paradoxes du mouvement des lumières en Italie. Le premier tome de l’Encyclopédie parut à Lucques, république autonome, quelques mois après l’Arrêt 1 Mario Rosa a remarqué à juste titre: «La traduction du Discours de d’Alembert ouvre un important chapitre dans l’histoire de la diffusion de l’Encyclopédie en Italie. Ce chapitre se rapporte non pas à la fortune en Italie de l’homme de science et du mathématicien français, mais à son rôle de philosophe. C’est, en réalité, surtout au nom de d’Alembert, et non pas à celui de Diderot, que se rattache l’entrée de l’Encyclopédie dans la civilisation italienne». Encyclopédie, “lumières” et tradition au 18e siècle en Italie, «Dix-Huitième Siècle», 4, 1972, pp. 109-168, cf. p. 119. 2 Spirito delle leggi del signor di Montesquieu, con le note dell’abate Antonio Genovesi, Napoli, 1751, 4 vol.; Amsterdam, 1773 et Napoli, 1777, toujours 4 vol. 3 Saggio sopra gli elementi della filosofia ovvero sopra i principi delle cognizioni umane attribuito al signore d’Alembert, tradotto dalla nuova edizione francese del 1759, Lucca, 1760; Memorie e reflessioni sopra Cristina di Svezia tradotte dall’originale francese di mr. d’Alembert, Lucca, 1767; Intorno la distruzione de’ gesuiti in Francia di un autore disinteressato. Traduzione dal francese, Amsterdam [Venezia], 1766; tous les traducteurs italiens de d’Alembert se protégèrent sous le couvert de l’anonymat. 4 Franco Venturi, Settecento riformatore, II; La chiesa e la repubblica dentro i loro limiti, Torino, 1976, pp. 36-40.
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royal de suppression signé à Paris le 8 mars 1759 et le bref du pape Clément XIII. Il s’agissait d’une entreprise lancée par une compagnie de librairies lucquoises, dirigée par le noble Ottaviano Diodati et par le chanoine Gian Domenico Mansi. Les aspects industriels et commerciaux de cette entreprise dépassaient sa signification idéologique. Dès 1757, grâce à l’acquiescement du cardinal Galli, les autorités de la République et l’abbé Buonamici, leur représentant à Rome, avaient obtenu l’imprimatur de la Congrégation de l’Index. Deux ans après d’autres hauts dignitaires de l’Église romaine, comme le cardinal Spinelli et le secrétaire de la Congrégation Tommaso Ricchini, tâchèrent d’arrêter l’entreprise. Malgré que la parution de celle-ci eût contribué indirectement à accélérer à la cour de Rome la promulgation du bref papal contre l’Encyclopédie, la double interdiction, royale et papale, de l’édition parisienne ne faisait heureusement aucune mention de l’édition de Lucques. Aussi, grâce à un subterfuge légal, les éditeurs lucquois obtinrent la permission de poursuivre leur entreprise, pourvu qu’ils se soumissent aveuglément au jugement et à l’approbation de la Congrégation de l’Index. Mais tout se réduisit finalement à un acte de soumission formel, consistant à insérer quelques notes critiques au début du tome IIIe, et des commentaires ici et là dans les tomes suivants, en bas des pages des articles les plus audacieux. Une étude systématique de ces commentaires pourrait en montrer toute l’ambiguïté. Il suffira de relire deux passages où d’Alembert attaque les procédés de l’Inquisition, respectivement dans le Discours préliminaire et dans l’article Géomètre. Le premier passage se réfère au «tribunal qui devint très puissant dans le midi de l’Europe» et ailleurs, et que les Français «ne sont pas parvenus à nommer sans horreur». Le «célèbre astronome» accusé d’hérésie, que d’Alembert passe une fois de plus sous silence, est encore Galilée. La note supplémentaire, ajoutée au volume IIIe de l’édition de Lucques, objecte qu’un «tribunal admis dans une si grande partie du monde» ne peut pas être «aussi affreux que celui que l’auteur vient de nous présenter … l’Inquisition n’a pour objet que le répentir et une pénitence salutaire». On ne saurait nier que «tout ce que que l’on a fait à l’égard de Galilée n’étoit pas dans les règles», mais aussi il ne faut pas oublier qu’au XVIIe siècle même le Parlement de Paris imposa le rejet de la bonne philosophie.1 La fantôme de l’Inquisition réapparait sous la plume de d’Alembert dans l’article Géomètre, où il dénonce avec vigueur la pratique persécu-
1 Encyclopédie, Lucques, 1759 sqq., t. III, pp. XVIII-XXI.
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trice du tribunal tout en citant expressement le cas de la Péninsule: «On étudie et on raisonne en Italie; et l’Inquisition a beaucoup rabattu de la tyrannie qu’elle exerce dans ces régions, où l’on faut encore prêter serment de ne point enseigner d’autre philosophie que celle d’Aristote». Cela prouve, ajoute d’Alembert, que la diffusion de la géométrie «est peut-être le seul moyen de faire secouer (…) le joug de l’oppression et l’ignorance profonde».1 Le commentateur lucquois, après avoir pris ses distances avec ce qu’il appelle «les abus de l’Inquisition», et invoqué l’exemple encore pire de l’aristotélisme sorbonnard, rétorque que c’est justement la diffusion des bonnes études mathématiques en Italie qui prouve que «l’Inquisition n’empêche pas l’étude de la géomètrie, puisque l’orthodoxie la plus délicate n’a rien à démeler avec la géométrie».2 Poursuivant cette enquête on pourrait constater que les notes ajoutées à l’édition de Lucques ne sont que le pensum d’un défenseur d’office peu convaincu. Sa réfutation partielle des articles de d’Alembert n’est au fond qu’une technique de colportage destinée à détourner des textes incriminés les foudres de l’autorité ecclésiastique, et surtout à protéger leur réimpression intégrale. 3. Chronique d ’ un voyage impossible Il est presque certain que d’Alembert n’a jamais lu ces répliques à ses articles. Mais il était sans doute au courant des manoeuvres conjointes que la cour de Rome, la Congrégation de l’Index, les jansénistes de France et d’Italie, menaient en 1758 et en 1759 contre l’Encyclopédie pour en obtenir la suppression. La crise qui le traumatisa et le décida à abandonner l’entreprise, les controverses qui suivirent l’essai sur les Jésuites, contribuèrent probablement à augmenter ses hésitations et à frustrer ses vélléités d’entreprendre le voyage en Italie. Il est possible de suivre pendant plusieurs années, au fil des correspondances, la chronique de ces échecs répétés. Agostino Lomellini fait allusion à une première occasion qui s’était présentée en 1758, mais à laquelle d’Alembert renonça.3 Dans sa lettre à Frisi, datée du 16 janvier 1760, d’Alembert lui assure: «Je n’ai pas moins d’empressement d’aller en Italie, que mes amis n’en ont de m’y voir. Dès que cette maudite guerre sera finie, j’irai passer quelque mois auprès du R. de Prusse mon bienfaiteur, et de là je compte aller tout de suite en Italie par le Tirole. Je serai charmé d’avoir 1 Encyclopédie, t. VII, pp. 552-553. 2 Ivi; VII, en note. 3 Lettre de d’Alembert à Frisi du 20 novembre 1758, citée par Pietro Verri, Memorie appartenenti alla vita e agli studi del signor Don Paolo Frisi, Milano, 1787, p. 84; cf. Salvatore Rotta, Documenti, cité, p. 246.
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l’honneur de vous y embrasser».1 Ce projet fut repris et vite ajourné trois ans après lorsque, de retour de son séjour à la cour de Frédéric à Potsdam, d’Alembert informa Voltaire le 8 octobre 1763: «Je n’ai point repassé par chez vous, parce que je comptais vous voir en allant en Italie; mais des raisons de santé et d’affaires m’obligent à différer ce voyage; en tout cas ce n’est que partie remise…».2 Trois ans s’écoulent et, dans une lettre datée du 11 mars 1767, d’Alembert présente à Voltaire «un barnabite italien nommé le Père Frisi» qui, de retour à Milan après son séjour parisien, désire faire le pélérinage de Ferney en compagnie du jeune marquis de Condorcet «avant que de rentrer dans le séjour de la superstition autrichienne et espagnole».3 Peu de jours après Agostino Lomellini recommande sans succès à Frisi d’insister auprès de l’ami commun: «Dovrebbe infine far risolvere Mr d’Alembert a vedere la nostra Italia accompagnando Lei nel ritorno e passando per Genova: altrimenti veggo che Mr d’Alembert … gli abbandona affatto il pensiero antico di questo viaggio».4 Vers la fin de 1769 la préparation du voyage semblait enfin très proche de sa réalisation, grâce à un subside apparemment décisif: «N’ayant pas assez de fortune pour faire ce voyage à ses frais – c’est d’Alembert luimême qui l’avoue – il s’adressa au roi de Prusse qui ordonna à son banquier de lui faire toucher six mille livres».5 Cette fois le philosophe se mit en route pour Ferney en compagnie de Condorcet et passa deux semaines chez Voltaire. Mais dans sa lettre datée du château le 6 octobre 1770 il annonce à Frisi sa décision ferme, et sujette pourtant à des hésitations typiques de lui, de rebrousser chemin après l’étape de Marseille: Il n’y a pas d’apparence que je pousse mon voyage plus loin, au moins cette année; c’est avec beaucoup de regret que je renonce en quelque manière au plaisir de vous embrasser, je dis en quelque manière, car il ne serait pas absolument impossible que quand je serai à Marseille, je n’allasse jusqu’à Nice et de là à Gênes, mais à vous dire le vrai il n’y a guère d’apparence, par bien des raisons qu’il serait trop long de vous dire. Cependant si je prends le parti quand je serai en Provence d’aller à Gênes, je vous le manderai, parce que vous pourriez y venir, et que de là nous irions ensemble à Milan… Car en vérité je ne renonce 1 Lettre de d’Alembert à Frisi publiée en annexe à John Pappas, Les relations entre Frisi et d’Alembert, dans Ideologia e scienza nell’opera di Paolo Frisi, a cura di Gennaro Barbarisi, Milano, 1987, 2 vol.; t. II, p. 149. 2 Lomellini confirme: «Il soggiorno protratto presso il re di Prussia … gli fa sospendere il viaggio in Italia, a cui peraltro si riserva, per quanto mi scrive» a Frisi, 18 novembre 1763, p. 197. 3 Correspondence, Definitive Edition, éd. Th. Bestermann, dans Oeuvres completes de Voltaire, Banbury, 1968-1977; vol. LXXXV-CXXXV, lettre D14030. 4 Lomellini a Frisi, aprile 1763; Rotta, Documenti, cité, p. 200. 5 D’Alembert, Oeuvres, t. I, p. 7.
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pas au voyage d’Italie, et je crois que le diable qui semble m’en repousser, m’y poussera enfin une bonne fois.1
En réalité d’Alembert dut se rendre compte que son mirage était en train de s’évanouir pour la dernière fois, quand il s’arrêta en Provence et renvoya au banquier du Roi de Prusse quatre mille livres de reste. Il fallait bien justifier sa défaillance aux yeux du bienfaiteur et ami. d’Alembert le fit sur un ton de badinage et de raillerie: Votre Majesté aurait donc mieux aimé que j’eusse été voir Notre Dame de Lorette, et les récollets du Capitole, que les pénitents blancs, noirs, bleus, gris et rouges dont le Languedoc est semé. Un de ces spectacles, Sire, vaut bien l’autre pour un philosophe; et quant à Saint Pierre à Rome et au Vésuve j’ai craint, Sire, d’après l’avis des médecins et d’après la connaissance que j’ai de mon peu de forces, que les fatigues d’un voyage de cinq cent lieues de Paris à Naples, à travers les neiges des Alpes et des Appennins, dans les plus mauvais chemins du monde, et les gîtes les plus détestables, ne fissent plus de mal que de bien à ma pauvre tête, et ne me dédommageassent pas des beautés de l’art et de la nature que l’Italie pourrait m’ offrir. Je n’ai pas osé aller jusqu’au bout de la Provence.2
Dans ses notes autobiographiques d’Alembert précise qu’il avait «résoulu d’aller en Italie pour rétablir sa santé».3 Ses hésitations de valétudinaire se mêlèrent évidemment à son idiosyncrasie à l’égard de la Rome moderne. Alessandro Verri, qui habitait Rome après avoir rencontré d’Alembert à Paris, les attribua à d’autres arrière-pensées, fondées sur ses propres conjectures et sur son expérience des différents milieux: Non so se sarebbe egualmente contento di tutte le città d’Italia. A Milano vi starebbe bene, poiché varie sono le persone che hanno dell’entusiasmo per lui. Poi a Firenze non saprei… A Roma, poi, qui lo voglio. Certo io e i pp. Minimi lo stimiamo. Sarebbe pure contento l’ambasciatore di Malta; del resto non è poi il paese dell’Enciclopedia e molto meno degli Elementi di filosofia.4
4. Frisi, Beccaria et l ’ «ecole de milan» Comme on vient de voir, c’est Paolo Frisi le confident presque exclusif de d’Alembert en ce qui concerne ses projets de voyage en Italie. Le mathématicien milanais était en contact avec son confrère depuis 1759. Malheureusement, par une énigme difficile à expliquer,5 pas une des lettres de Frisi à d’Alembert ne nous est parvenue. En revanche, les trente-cinq lettres de ce dernier qui ont survécu prouvent que leurs relations épisto1 2 4 5
Lettre publiée par John Pappas dans Les relations entre Frisi et d’Alembert, cité, p. 162. D’Alembert., Oeuvres, t. V, p. 301. 3 D’Alembert, Oeuvres, t. V, p. 7. Alessandro Verri a Pietro Verri, Carteggio, t. III, pp. 135-136. J. Pappas, Les relations…, cité, p. 123 et sqq.
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laires furent assez suivies pendant vingt-quatre ans, jusqu’en 1783, peu avant la mort de d’Alembert. L’examen minutieux de cette correspondance fait par John Pappas nous présente le témoignage fragmentaire d’une amitié personnelle et scientifique durable, qui toutefois ne fut pas sans nuages. Le barnabite avait été reçu membre correspondant de l’Académie des Sciences de Paris dès 1753, mais évidemment avant le début de leur correspondance il n’était pas très estimé par d’Alembert, qui manda à Samuel Formey un mot assez méprisant à propos de la dissertation de Frisi De motu diurno Terrae qui avait remporté le prix de l’Académie de Berlin en 1754: «Il y a plus de fautes dans cette dissertation que de pages. Cela fait tort à l’académie».1 En 1758 l’Académie de Sciences de Paris donna à son tour un prix à la dissertation De atmosphaera coelestium corporum, que d’Alembert jugea aussi froidement.2 A l’occasion des concours suivants, il envoya à Frisi ses conseils et l’encouragea à refléchir plus à fond sur les problèmes qu’il traitait. Peu à peu le barnabite fit des progrès dans l’estime de d’Alembert qui, après les rencontres personnelles de 1766, lui professa une sincère amitié. Frisi joua un rôle remarquable d’intermédiaire dans les rapports qui s’établirent en 1765 entre les Encyclopédistes et le petit cercle des jeunes intellectuels qui donnèrent naissance au périodique Il Caffè et à l’«École de Milan». Ces liaisons furent fécondes surtout vers le milieu des années Soixante, grâce aux relations épistolaires entretenues par Frisi et, par le moyen de Frisi, à la traduction du traité de Beccaria Dei delitti e delle pene, aux voyages à Paris de Frisi, Cesare Beccaria et Alessandro Verri. On dispose d’une riche documentation et d’une littérature critique récente concernant ces épisodes,3 dont il suffira ici de rappeler brièvement la chronologie et le rôle joué par d’Alembert. C’est par le moyen du père général des Barnabites, Albert Germain de Noguez – donc encore une fois par l’entremise de Frisi – qu’en juin 1765 un exemplaire du chef d’oeuvre de Beccaria parvint à d’Alembert, qui témoigne à Frisi de son admiration: On ne sauroit être plus enchanté, plus enthousiaste même que je le suis de cet ouvrage, je l’ai fait lire à plusieurs bons philosophes qui en ont porté le même 1 Ivi, p. 125. 2 Correspondance inédite de d’Alembert avec Cramer, Lesage, Clairaut, p. p. Charles Henry, Rome, 1885, p. 524. 3 Voir surtout l’édition du traité de Cesare Beccaria, Dei delitti e delle pene, con una raccolta di lettere e documenti, a cura di Franco Venturi, Torino, 1965; Franco Venturi, Settecento riformatore, I, Da Muratori a Beccaria, Torino, 1969, pp. 742 et sqq.; Verri, Viaggio a Parigi e Londra (17661767). Carteggio di Pietro e Alessandro Verri, a cura Gianmarco Gaspari, Milano, Adelphi, 1980.
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jugement que moi. Ce livre, quoique d’un petit volume, suffit pour assurer à son auteur une réputation immortelle. Que de philosophie, que de vérité que de logique, de précision et en même temps de sentiments et d’humanité dans son ouvrage! Je vous prie de faire à l’auteur mes compliments et mes remerciements très sincères…1
C’était le moment où Voltaire et les philosophes, l’édition clandestine des derniers dix tomes de l’Encyclopédie étant presque achevée, lancèrent leur grande campagne pour la réforme des codes pénaux. On doit à l’initiative de d’Alembert la réalisation de la traduction française du traité Des délits et des peines qui parut à Paris en décembre 1766 réarrangé à sa manière par l’abbé Morellet. Au début de l’année, Frisi s’étant décidé à se mettre en route pour Paris, annonça son prochain voyage à d’Alembert, qui lui répondit avec effusion: Venez donc mon révérend père, le plutôt qu’il vous sera possible, faire une connoissance plus intime avec quelqu’un qui est pénétré d’estime, de reconnoissance et d’attachement pour vous. Je désirerois beaucoup que votre ami Mr. Beccaria pût vous accompager, il trouveroit ici l’accueil qu’il mérite à tant d’égards, et je vous prie de me renouveler dans son souvenir.2
Frayant la route à ses amis, Frisi arriva à Paris le soir du 19 avril 1766. Le matin du 20 il eut sa première rencontre directe avec d’Alembert, dont il parle très brièvement dans son carnet de voyage, pour passer tout de suite au récit d’une discussion astronomique sur le calcul des masses des satellites de Jupiter, qui eut lieu entre Lalande, Bezout, Bailly, d’Arcy, d’Alembert et lui-même.3 Au mois d’octobre suivant Cesare Beccaria, invité à recueillir les fruits de son succès, se rendit à son tour à Paris en compagnie d’Alessandro Verri. Grâce à ses estimateurs parisiens l’auteur de Des délits et des peines, âgé alors de moins de trente ans, se trouva projeté d’emblée au centre d’un vaste débat européen pour ou contre l’abolition de la peine de mort, l’humanité des peines, la réforme des codes pénaux. Le 24 août 1765 il avait remercié d’Alembert, le premier de ses estimateurs, par un panégyrique qui témoigne de l’autorité dont celui-ci jouissait chez le cercle milanais de Il Caffè: «C’est vous, monsieur, qui avez été mon maître … vos ouvrages, monsieur, sont la nourriture ordinaire de mon esprit».4 1 Lettre de d’Alembert à Frisi du 9 juillet 1765; dans Cesare Beccaria, Dei delitti e delle pene, éd. citée, p. 313. 2 Lettre de d’Alembert à Frisi du 15 avril 1766, dans Ideologia e scienza…, cité, t. II, p. 154. 3 Le journal du voyage de Frisi à Paris, Biblioteca ambrosiana de Milan (Y 163 sup), a été imprimé par fragments par Franco Venturi, Illuministi italiani, t. III, Milano-Napoli, 1958, pp. 305-321 4 Lettre de Beccaria à d’Alembert du 24 août 1765, dans Cesare Beccaria, Dei delitti e delle pene, éd. citée, p. 325.
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Malgré l’accueil fraternel que les Encyclopédistes réservèrent à Beccaria à Paris en 1766, le jeune marquis ne fut pas à la hauteur de sa réputation. Après deux mois de séjour et de rencontres il reprit la route de Milan sans aucune raison apparente, sauf sa névrose, l’agoraphobie, la nostalgie de sa maison et de son épouse. Avant son départ, d’Alembert lui fit hommage de quelques exemplaires du cinquième volume de ses Mélanges de littérature, d’histoire et de philosophie, dont Beccaria donna un compte rendu minutieux dans trois numéros de l’«Estratto della letteratura europea». Ce ne fut pas un hommage formel, mais le témoignage d’une admiration sans réserves, dont je ne cite que l’incipit: «Il signor d’Alembert non è meno conosciuto nella repubblica letteraria come sublime matematico di quello che lo sia per l’estensione delle cognizioni sue in tutte le parti della letteratura…».1 Le récit très dense du séjour des réformateurs milanais à Paris est consigné dans la correspondance entre les deux frères Verri, Pietro et Alessandro. Ce dernier relate soigneusement la chronique singulière, parfois embarrassante, de rencontres de Beccaria avec les philosophes, où on peut lire ce petit portrait de d’Alembert: «d’Alembert è un uomo che non tanto sembra occupato dalla sua fama nella conversazione come di esservi uomo amabile. Egli è piccolo, magro, valetudinario, d’una fisionomia buona, finissima, brillante. Ci ha detto che uscirà presto un nuovo tomo delle Mélanges».2 Les deux visiteurs milanais fréquentaient le salon de Mlle de Lespinasse. Un soir d’Alembert conta des anecdotes curieuses et ses conversations avec le grand Frédéric, avouant à ses hôtes qu’il l’estimait surtout en tant que grand stratège et sage philosophe, pas tout à fait comme économiste.3 5. Quelques problemes de reception L’épithète de «d’Alembert italiano», dont Paolo Frisi a été a gratifié souvent, n’est à mon avis qu’une figure réthorique, un lieu commun qui révèle une lecture partielle des sources. On ne saurait donner non plus une signification précise au «parallélisme» dont parle Franco Venturi qui, tout en soulignant la supériorité de d’Alembert comme mathématicien, propose un parallèle entre les deux: «Ambedue possono essere considerati 1 L’extrait, paru anonyme dans le périodique de F. B. De Felice (1767, II, pp. 142-59; IV, pp 8397; 1768, I, 113-26), a été commenté et reimprimé par G. Gaspari, La via alle «Ricerche»: Beccaria lettore di d’Alembert, dans «Studi Settecenteschi», 2, 1981, pp. 173-217, et aussi dans C. Beccaria, Scritti filosofici e letterari, a cura di L. Firpo, G. Francioni e G. Gaspari, Milano, Mediobanca, 1984 (Edizione Nazionale delle Opere di Cesare Beccaria), t. II, pp. 313-346 et 452-456. 2 Verri, Viaggio a Parigi e Londra (1766-1767). Carteggio di Pietro e Alessandro Verri, p. p. Gianmarco Gaspari, Milano, Adelphi, 1980; lettre du 7 octobre 1766, p. 25. 3 Ivi, p, 60.
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come i rappresentanti d’una interpretazione positivistica dell’illuminismo».1 Il faudrait dire plutôt que Frisi, doué d’un sens plus solide de l’histoire que son collègue français, après avoir tracé quelques étapes de la révolution scientifique dans ses Elogi de Bonaventura Cavalieri, Galilée et Newton, jugea à propos de conclure la série avec un hommage éloquent à la mémoire de d’Alembert: son Elogio di d’Alembert est un petit chef-d’oeuvre qui mériterait un commentaire à part, puisqu’il marque le sommet de la fortune italienne de d’Alembert.2 Toutefois, malgré les sentiments d’admiration et dévouement personnel qui animèrent Frisi à l’égard de d’Alembert, on ne saurait dire qu’il ait été son disciple en mathématique. S’il est vrai qu’il se montre très bien renseigné sur toute son oeuvre scientifique, sur ses traités et ses mémoires, Frisi ne renvoie qu’assez rarement son lecteur aux travaux de d’Alembert dans ses propres manuels et traités: la Cosmographia, la Mechanica universa, l’Algebra et geometria analytica. La critique la plus avisée a reconnu que Frisi a été un mathématicien assez éclectique, bon vulgarisateur et auteur de textes didactiques. Élévé dans la tradition galiléenne de Viviani, Guido Grandi, Maria Gaetana Agnesi, formé à l’école de Newton et des mathématiciens anglais ses disciples comme Simpson, Cotes, Maclaurin, Frisi en tant que praticien des mathémathiques appliquées à l’astronomie, à la mécanique, à l’hydraulique, à la «physique générale et particulière», ne jurait sur le verbe d’aucun maître. Son oeuvre scientifique ne paraît pas plus influencée par les travaux de d’Alembert que par ceux d’Alexis Clairaut, des Bernoulli, d’Euler. À défaut d’une étude systématique, grâce à de bons sondages on a pu établir que Frisi utilise parfois les mémoires de d’Alembert dans ses commentaires sur la métaphysique du calcul des fluxions, mais qu’il s’inspire surtout des traités de Maria Gaetana Agnesi, Colin Maclaurin et Euler. Ses études de géodésie concernant les problèmes de la forme de terre et celui des trois corps présentent des solutions proches de celles de Clairaut, d’Euler et d’Alembert lui-même, qui les approuva sans réserves.3 Lorsqu’on pose la question de la réception d’un auteur au point de vue des belles-lettres, des opinions politiques ou philosophiques, le comparatiste littéraire et l’historien des idées n’ont à choisir que l’à peu près d’une bonne perspective d’ensemble. Tout change si on se place du point 1 Franco Venturi, Illuministi italiani, t. III, cité, p. 290. 2 Réimprimés avec commentaires dans Paolo Frisi, Elogi di Galileo, Newton e d’Alembert, a cura di Paolo Casini, Roma, 1985. 3 Voir surtout les essais de Simonetta di Sieno et Massimo Galuzzi, Paolo Frisi e la metafisica del calcolo; Aldo Brigaglia, I fondamenti dell’algebra e della geometria nell’opera di Paolo Frisi; Pietro Nastasi, Paolo Frisi e il problema della forma della terra, dans Ideologia e scienza, cité, pp. 35-144.
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de vue de l’histoire technique de la mathématique, de l’astronomie et de la physique. La communauté scientifique était au XVIIIe siècle – comme elle l’est aujourd’hui – le seul tribunal compétent, et l’historien doit tenir compte de toute la complexité des langages formels, des disputes sur la priorité, de la circulation des découvertes et des méthodes. En ce sens il ne faut pas oublier que l’interlocuteur le plus brillant que d’Alembert a eu en Italie fut, plutôt que Frisi, un mathématicien de génie né à Turin en 1736, Giuseppe Lagrangia. Le jeune Lagrange envoya en 1759 à d’Alembert le premier volume des Miscellanea taurinensia contenant son essai sur les cordes vibrantes: d’Alembert apprécia sans réserves ce travail, tout en prédisant à l’auteur qu’il était «destiné à occuper une haute position dans les sciences». En effet d’Alembert suivit et encouragea la carrière de Lagrange, qu’il désigna à Frédéric II comme directeur de la classe de mathématiques de l’Académie des Sciences de Berlin. Il est vrai que la correspondance entre les deux mathématiciens, commencée en 1759,1 ne concerne l’Italie que jusqu’au 26 avril 1766, date à laquelle d’Alembert envoya à Turin l’invitation officielle du roi de Prusse. Lagrange, alors âgé de trente ans, occupa ce poste, où il devint l’une des figures dominantes de la recherche mathématique européenne et ne retourna jamais à Turin. Le cas de la réception en Italie de d’Alembert, mathématicien et homme de lettres, est assez insolite et postule nécessairement, pour ainsi dire, une partie double. On peut se demander si au XVIIIe siècle sa réputation de mathématicien a été au même niveau de celle de l’encyclopédiste, du philosophe, de l’épistémologue, du maître à penser, tel qu’il se présenta dans ses écrits traduits en italien, et surtout dans le mémoire Sur la destruction des jésuites. Même dans la critique historique la division du travail est très nette. Par exemple Franco Venturi, auteur d’un excellent portrait de l’encyclopédiste, a négligé l’homme de science. Mais, faut-til ajouter, Venturi est en bonne compagnie, puisque Giacomo Leopardi dans son Zibaldone a consacré des remarques curieuses aux propos de d’Alembert sur les langues, tout en ignorant les grands travaux d’astronomie mathématique dans sa ouvrage de jeunesse Storia dell’astronomia. Nous avons tâché de présenter les relations de d’Alembert avec l’Italie sous divers points de vue. Concluons ces remarques par une de ses réflexions sur la musique italienne. À l’époque de la grande dispute pour 1 La correspondance entre Lagrange et d’Alembert a été publié dans Oeuvres de Lagrange, p. p. J. Serret et G. Darboux, Paris, 1867-1892, 14 vol.; t. XIII. Sur leurs relations voir Filippo Burzio, Lagrange, Torino, 1942, pp. 88-96 et passim; nouvelle édition avec une préface de Luigi Pepe sur Lagrange e i suoi biografi, ibid., 1993; cf. aussi Maria Teresa Borgato, Luigi Pepe, Lagrange: appunti per una biografia scientifica, Torino, 1990.
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ou contre les deux écoles italienne et française, il conclut son essai De la liberté de la musique par une boutade extrême: «Il y a une espèce de fatalité attachée dans ce siècle à ce qui nous vient d’Italie. Depuis la Bulle Unigenitus jusqu’à la musique des intermèdes, tous les présents bons ou mauvais qu’elle veut nous faire, sont pour nous un sujet de trouble. Ne serait-il pas possible d’accomoder notre différend avec les Italiens de prendre leur musique et de leur renvoyer le reste?».1 Voilà des mots qui nous obligeraient à remettre en question bon nombre des remarques qui précèdent, et qui nous rejettent en haute mer, en proie aux vagues de scepticisme et d’incertitude se succédant sans cesse dans cet esprit problématique, qui – au dire de Diderot – «voyait le matin la vraisemblance à sa droite, et l’après midi à sa gauche». 1 D’Alembert, Oeuvres, t. I, p. 519.
L A C ORRE S P O N DA N CE D E D’ALE M BE RT. UN RÉ S E AU E U ROPÉ E N ? Irène Passeron* Abstract: D’Alembert spent all his life in Paris, which he left only for four short stays, visiting both Frederick of Prussia and Voltaire two times, and for some holidays in the surrounding countryside. Quantitative study of d’Alembert’s correspondence outside France shows the intensity of his european exchanges. They are made up half of letters with Frederick of Prussia, Voltaire and Lagrange, half of exchanges with correspondents who set up a diversified network – partly pieced together, but incom-
plete. Here can be found scientific correspondences (Euler, Cramer, Frisi), correspondences linked to academic activities (Formey, various secretaries of european academies), and from 1772 on, correspondences linked to his work as permanent secretary of the French Academy. Here can also be found correspondences linked to Mlle de Lespinasse’s and d’Alembert’s circle, where travellers and ambassadors (Hume, Galiani, Caracciolo, Dutens, etc.) enthusiastically debated during their stay in Paris.
1. Une representation des relations de d’Alembert hors de france1 a correspondance est souvent présentée comme le corpus idéal d’étude des relations de médiation, de légitimation et d’information qui lient les savants du dix-huitième siècle entre eux, et permet de comprendre les interactions entre les Académies, les Universités, les pouvoirs politiques ou religieux, l’encyclopédisme et la montée en puissance des périodiques, variables selon les régions et les savoirs. Comment donner une représentation quantitative de ces données? Si l’on fait figurer sur une carte de l’Europe des Lumières les échanges épistolaires de d’Alembert hors de France par une flèche dont l’épaisseur est représentative du volume des échanges,2 on est frappé de l’importance prise par les échanges avec Berlin et Genève, puis, loin derrière, par les échanges avec les états italiens et la Russie. Puis apparaissent quelques
L
* SYRTE UMR 8630, CNRS-Observatoire de Paris. E-mail. [email protected] 1 Les diagrammes ont été réalisés avec l’aide de François Prin, que je remercie pour sa grande patience sur ce corpus sans cesse mouvant en taille et en datation. 2 Voir le site http://dalembert.univ-lyon1.fr. «Bollettino di storia delle scienze matematiche» · Vol. XXVIII · 2008 · Fasc. 2
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échanges ponctuels avec l’Angleterre et l’Ecosse, les pays du nord (Suède, Danemark, Norvège) et l’Espagne. Notons d’entrée que dans le cas de d’Alembert, «hors de France» signifie «en Europe», puisque la seule exception connue est une lettre reçue par d’Alembert de «Quâng Tcheou Fou», signée Costar.1 La comparaison avec une lettre écrite à La Condamine2 par un secrétaire de la compagnie des Indes, montre que c’est bien ce Louis Costar qui écrit à d’Alembert, non pour lui donner, comme à La Condamine, des nouvelles de la livraison d’une caisse de vin, mais pour lui demander de l’éclairer en algèbre au delà de ce contient l’Encyclopédie, «flambeau de l’univers». De Chine, il n’est nullement question. Malgré les liens épistolaires forts entre certains jésuites et l’Observatoire ou des membres de l’Académie des sciences de Paris, on ne s’étonnera pas de ne trouver presque aucune trace d’échange d’information scientifique entre des jésuites et l’auteur de la Destruction des jésuites: Frisi est barnabite, Jacquier est minime, et si d’Alembert a polémiqué avec Boscovich par publication interposée,3 puis l’a croisé lors du séjour du jésuite à Paris en 1760,4 nous n’avons pas de trace avérée de correspondance.5 Seule exception parmi les lettres connues, une petite querelle de priorité avec Vincenzo Riccati. Cette carte d’Europe, donc, est immédiatement parlante (Berlin, Genève, Pétersbourg, Milan, Turin, Rome, Naples), mais dans quelle mesure se méfier de ce qui y est dit, quand bien même la carte serait légendée? 1 Paris, Bibliothèque de l’Institut, Ms 2466, ff. 58-59. Cette lettre inédite datée du 25 juillet 1769, sera publiée dans d’Alembert, Correspondance générale, Œuvres complètes, série V, vol. 6, CNRS Editions. Toutes les lettres mentionnées ici sont décrites et résumées dans d’Alembert, Inventaire analytique de la correspondance générale, Œuvres complètes, série V, vol. 1, sous la direction d’Irène Passeron avec la collaboration d’Anne-Marie Chouillet et de Jean-Daniel Candaux, CNRS Editions, à paraître 2009. La base de données de toutes les lettres connues sera interrogeable en ligne courant 2009 sur le site http://dalembert.univ-lyon1.fr, site contenant de nombreuses informations sur d’Alembert et son temps, issues des travaux du Groupe d’Alembert (CNRSGDR 2838). 2 Archives de l’Académie des sciences, fonds ‘La Condamine’, 50 J, lettre datée du 26 septembre 1752. 3 Polémique d’abord aimable, dans l’article Figure de la Terre (1756), à propos des mesures géodésiques effectuées par Boscovich et Maire (De litteraria expeditione…, 1755), puis plus acerbe quinze ans plus tard. 4 Voir sur le site d’Olivier Courcelle sur Clairaut: http://www.clairaut.com, la lettre du 11 février 1760 de Boscovich à son frère, dans Raffaele Corvaglia, La corrispondenza di R. G. Boscovich con tre scienziati francesi et l’analisi del suo metodo di lavoro attraverso alcuni scritti matematici, Tesi di laurea magistrale, Università degli studi di Torino, 2007, p. 28. 5 Une lettre a été publiée par Gino Arrighi en 1930 dans le «Bollettino Storico Lucchese», comme étant à Boscovich (nous n’avons pas retrouvé le manuscrit qui lui a servi de source), mais il s’agit de la copie conforme d’une lettre à Frisi du 21 juin 1765 dont nous ne pensons pas que d’Alembert l’aurait copiée mot pour mot pour l’envoyer à Boscovich.
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Une lettre part d’un point pour arriver à un autre, par la poste ou par porteur. D’Alembert ayant passé presque toute sa vie à Paris (nous reviendrons sur les exceptions), il est légitime de représenter son réseau de correspondances à partir de Paris. Ses destinataires ont parfois changé de ville de résidence, voire de nationalité. Ici aussi, il est légitime pour ce corpus de considérer que le point d’aboutissement est pertinent pour décrire l’échange: d’Alembert n’écrit à Euler que pendant son séjour à Berlin, et il écrit à Lagrange à Turin dans un tout autre contexte qu’après 1766 lorsque Lagrange est devenu directeur de la classe de mathématiques de l’Académie de Berlin, sur la recommandation de d’Alembert auprès de Frédéric II. La conversation épistolaire avec Dutens, tourangeau d’origine, chargé d’affaires anglais à Turin, de retour à Londres en 1766, permet, parmi d’autres usages, d’avoir des nouvelles londoniennes. C’est donc bien la ville de destination qui importe pour mesurer les échanges hors frontières d’un auteur des Lumières, et non la nationalité du destinataire. Toutes les correspondances se font en français, à quelques cas isolés près. D’Alembert a écrit ou reçu au moins 4000 lettres, nombre estimé à partir des 2248 lettres (au sens large du mot “lettre”) parvenues jusqu’à nous. Il manque des pans entiers de la correspondance de d’Alembert avec ses proches, tels Mlle de Lespinasse, Diderot ou Condorcet, mais aussi avec des interlocuteurs plus lointains, De Catt, Maupertuis, Frisi, Dutens, Formey (les lettres de Formey, Frisi et Dutens manquent, par exemple). Il faut d’entrée noter un déficit de correspondance passive, déséquilibre qui ne se répercute pas complètement sur les chiffres globaux, puisque nous connaissons 1275 lettres (au sens large toujours) de d’Alembert contre 973 à d’Alembert. En effet, les trois échanges principaux, avec Voltaire, Frédéric II et Lagrange ne sont pas affectés par ces disparitions complètes que l’on peut attribuer, soit à ce que d’Alembert n’ait pas voulu conserver les lettres de ses autres correspondants, soit au fait qu’elles se soient perdues ultérieurement. Le prestige des correspondances avec Voltaire, Frédéric II et Lagrange a sans doute privilégié leur conservation, et partant, leurs poids numérique dans cette première analyse. Autre question, gommée par la représentation spatiale: comment l’image des échanges cumulés s’accommode-t-elle des variations chronologiques? la correspondance avec Voltaire tient pour l’essentiel entre 1756 et 1777, celle avec Frédéric II entre 1763 et 1783, celle avec Lagrange entre 1764 et 1781. C’est dans le détail des échanges isolés et non chez les correspondants privilégiés que nous pourrons lire l’intensification de ses relations européennes passant par le cercle intellectuel qu’est le salon que tiennent d’Alembert et Mlle de Lespinasse à partir de 1765 et les effets de la nomination de d’Alembert comme secrétaire perpétuel de l’Académie française en 1772.
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Nous obtiendons alors une cartographie plus fine des échanges scientifiques afin de mieux comprendre comment échanges scientifiques, institutionnels et sociaux s’agencent dans l’espace européen des Lumières. Il n’est donc pas possible, on le voit par la variété des questions soulevées, de donner des interprétations pertinentes de cette carte sans entrer dans le détail des correspondances échangées et dans leurs modalités de conservation. Qu’est-ce qu’une lettre?1 Commençons par préciser le corpus de travail. Il ne sera essentiellement question ici que de lettres ‘privées’, ‘épistolaires’ vaudrait-il peut-être mieux dire. Ce ‘privé’ élimine les épîtres dédicatoires, destinées à être lues avec l’ouvrage qu’elles ouvrent et le plus souvent même à n’être lues qu’avec cet ouvrage, le dédicataire n’en étant pas toujours informé. Le terme ‘privé’ élimine également les lettres aux auteurs de périodiques et les mémoires écrits sous forme de ‘lettre à’, destinés à la publication. Dans l’inventaire de la correspondance de d’Alembert,2 nous avons distingué entre lettres proprement épistolaires et lettres non épistolaires, ces dernières étant regroupées dans un appendice qui indique dans quelle partie des Œuvres complètes ces textes seront publiés. L’intentionnalité de l’auteur étant parfois une question d’appréciation, un certain flou peut subsister sur la nature de la lettre publiée, réelle ou ostensible. Cette dizaine de cas flous n’affecte pas notre étude. A partir de là, dans tout ce qui suit, il ne sera question que des 2146 lettres ‘épistolaires’ (1219 lettres de d’Alembert, 927 lettres à d’Alembert) qui nous sont parvenues. ‘Privé’ semble un terme plus explicite qu’‘épistolaire’ mais il ne décrit pas exactement la nature de cette correspondance, pour une partie liée aux fonctions académiques de d’Alembert. ‘Epistolaire’, terme qui fait plus explicitement référence à la lettre destinée, dans un premier temps au moins, à un correspondant privé, fut-ce sur un mode institutionnel, et non à une publication explicite, nous semble plus adapté à la correspondance de d’Alembert. 1 Cette question qui se pose à tout éditeur de correspondance ne peut être résolue qu’au cas par cas, d’une part parce qu’au siècle des Lumières la publication croissante de périodiques redéfinit le statut de la lettre, d’autre part parce que le rôle des académies modifie l’ampleur et le contenu des correspondances scientifiques. Voir Irène Passeron, Qu’est-ce qu’une lettre?: Lettres ostensibles, ouvertes ou privées dans la correspondance de d’Alembert, «Littérales», 37, Presses de l’université de Paris X-Nanterre, octobre 2006, pp. 59-86. 2 D’Alembert, Inventaire analytique de la correspondance générale, Œuvres complètes, série V, vol. 1, sous la direction d’Irène Passeron avec la collaboration d’Anne-Marie Chouillet et de JeanDaniel Candaux, CNRS Editions, à paraître 2009.
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Parmi ces lettres ‘privées’ ou ‘épistolaires’, il nous faut donc compter combien de lettres échangées par d’Alembert, parmi celles qui nous sont parvenues, traversent les frontières françaises et vers où. 2. Les ‘ poids lourds ’ de la correspondance D’Alembert a 427 correspondants identifiés dont 103 hors de France, à peine moins du quart. Mais ces 24% là produisent à eux seuls 1411 lettres, soit 66% de la correspondance totale, si l’on compte Voltaire comme hors de France, ce qui est bien sûr discutable. La position de Voltaire qui partit de Montriond, près de Lausanne où il passait l’hiver, et des Délices, près de Genève (qu’il gardera jusqu’en 1764),1 pour s’installer à Ferney en 17602 afin d’être plus libre, par rapport à Genève comme par rapport à la France, est si singulière que le plus juste est sans doute de le compter séparément. Sans Voltaire (527 lettres échangées), nous avons donc 102 correspondants hors de France, pour 884 lettres, soit 55% de la correspondance totale non voltairienne, ce qui donne sans conteste une dimension européenne aux échanges épistolaires de d’Alembert. La première raison en est qu’on y trouve Frédéric II (280 lettres), Lagrange (172 lettres), c’est-à-dire deux des trois échanges les plus importants de d’Alembert (45% à eux trois). Les motifs et les thèmes de ces correspondances, politiques, philosophiques et scientifiques ont été étudiés par ailleurs. C’est plutôt en tant que nœuds de différents réseaux de relations que cette correspondance ouvre encore bien des perspectives. Nombre de «petits correspondants» irriguent ces grands échanges de leur présence, voyageant entre expéditeur et destinataire, transportant informations et livres nouveaux, et profitant des recommandations des uns et des autres. Une caractéristique des correspondances de d’Alembert apparaît déjà dans cette moitié (en nombre de lettres conservées): l’échange épistolaire se développe dès qu’une rencontre a lieu effectivement. Le premier bond se situe après le premier voyage de d’Alembert à Lyon et Genève (Voltaire est alors aux Délices, en territoire genevois) du 20 juillet au 15 septembre 1756, voyage à l’origine du sulfureux article Genève de l’Encyclopédie. Le second bond de la courbe a lieu au moment du «voyage d’Italie manqué» avec Condorcet, «petit tour» déroulé entre le 16 septembre et le 21 novembre 1770 et qui n’ira pas plus loin que Ferney.3 1 Il écrit encore en mai 1764 à d’Alembert des Délices. 2 La première lettre écrite par Voltaire à d’Alembert de Ferney date du 13 août 1760. 3 Pour la description des préparatifs de ce voyage, censé soigner la dépression de d’Alembert, voir Anne-Marie Chouillet et Pierre Crépel, Un voyage d’Italie manqué ou trois encyclopédistes réunis, «Recherches sur Diderot et sur l’Encyclopédie», 17, octobre 1994, pp. 9-49.
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Fig. 1. 527 lettres ‘épistolaires’ entre d’Alembert et Voltaire. Diagramme.
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D’Alembert s’est rarement absenté de Paris, et surtout pour peu de temps. Sa présence assidue à l’Académie des sciences puis à l’Académie française aux trois séances quotidiennes permet une telle affirmation. Il part «à la campagne»1 pendant les vacances de l’Académie des sciences, de la deuxième semaine de septembre à la mi-novembre, jusqu’en 1754, date de son entrée à l’Académie française qui laisse moins de loisirs. Si d’Alembert et Voltaire se sont donc peu vus, ils se sont souvent rencontrés par procuration, l’«aubergiste de l’Europe» accueillant volontiers les voyageurs recommandés par d’Alembert. Nombre de relations françaises de d’Alembert font le voyage de Ferney, comme le comte et la jeune comtesse de Rochefort,2 «madame dix-huit ans», dont la maladie est l’objet de nombreux bulletins d’un médecin envoyés probablement de Ferney et conservés par d’Alembert. La correspondance est alors souvent la trace ténue de conversations denses et de nouvelles que les voyageurs font circuler. La cartographie de ces échanges nombreux serait à tracer à partir de ce que révèle le contenu des correspondances et qu’une simple localisation de la provenance et de la destination des lettres ne suffit pas à informer. On trouve ainsi dans l’Album amicorum du savant voyageur suédois Jacob Jonas Björnstahl3 une citation de Cicéron écrite par d’Alembert le 21 août 1770, trois semaines avant son propre départ pour Ferney. Voltaire inscrit sa propre mention sur cet Album le 3 octobre, comme par un clin d’oeil de connivence. D’Alembert voit Frédéric II pour la première fois en se rendant à Wesel en juin-juillet 1755, mais nous n’avons aucune lettre de ce voyage. La seconde venue en Prusse et l’avant-dernier4 voyage connu de d’Alembert l’amène à Potsdam en 1763 aux pieds du monarque prussien, à peine la guerre de sept ans achevée. C’est à partir de ces quelques mois communs que va se nouer l’amitié épistolaire avec Frédéric II, sans que d’Alembert n’ait jamais voulu réitérer, ni le voyage, ni la rencontre. On sait que 1 Ainsi, en 1749, 1751 et 1753, sa correspondance atteste de sa présence au Blanc Mesnil (près du Raincy), où la famille Lamoignon possède un château. 2 Les Rochefort d’Ally, petite noblesse peu connue: Rochefort d’Ally Jacques, chevalier de, dit comte de (1738-?) Rochefort d’Ally Jeanne-Louise Pavée de Provenchères, comtesse de (1749-fin 1778 ou début 1779), épouse le comte le 3 mai 1767, surnommée par Voltaire Mme Dix-huit-ans, puis Mme Dix-neuf ans, fort galamment quelques années plus tard. 3 Saint-Pétersbourg RNB, F 993, coll. Suchtelen 4 Le seul voyage ‘scientifique’ que nous connaissions de d’Alembert a lieu du 19 au 28 septembre 1757, où il se rend en Normandie pour observer les grandes marées d’équinoxe. Ce voyage n’est connu que par la mention qu’il en fait dans des lettres à Durival et à Morellet du 1er octobre 1757, et il n’y en a pas de compte rendu dans les procès-verbaux de l’Académie royale des sciences. Nous ne le comptons pas ici, pas plus qu’un éventuel déplacement pour effectuer des mesures de triangulation à Troyes, auquel fait allusion Ludot dans sa lettre de 1746, mais dont nous n’avons nulle confirmation.
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1770 1772 1774 1776 1778 1780 1782
Fig. 2. 280 lettres ‘épistolaires’ entre d’Alembert et Frédéric II. Diagramme.
à FII
1741 1746 1748 1750 1752 1754 1756 1758 1760 1762 1764 1766 1768
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d’Alembert a poliment mais fermement et constamment décliné l’offre de Frédéric II de venir à Berlin prendre la direction de l’Académie. Il a en revanche parrainé de nombreux scientifiques auprès du monarque. Par ailleurs, la correspondance privilégiée de d’Alembert avec Voltaire et Frédéric II, dont chacun fait publicité, contribue à établir son statut de savant-philosophe, à la croisée des compétences et des reconnaissances, à la croisée des recommandations, également. C’est bien ce qui va se jouer entre d’Alembert et Lagrange, unis par leur pratique mathématique, mais également par l’initiative que prend d’Alembert de «placer» Lagrange comme directeur de la classe mathématique de l’Académie de Frédéric II, lorsque Euler part pour Pétersbourg en 1765. Lagrange quitte Turin fin août 1766 pour Berlin (où il arrive fin octobre), passant trois semaines à Paris, prévoyant peut être qu’il ne pourra plus guère voyager ultérieurement. Il est clair que ces rencontres et ces échanges parisiens lancent la correspondance qui s’étiolera lorsque d’Alembert renoncera à débattre scientifiquement par lettre à la fin des années 1770, se concentrant sur les textes publiés dans ses Opuscules.1 3. Les autres correspondances importantes La seconde raison qui donne un tel poids aux correspondants hors de France est qu’hormis les trois ‘poids lourds’, les six ‘poids moyens’ (plus de 24 lettres) de la correspondance générale sont aussi situés hors des frontières: Euler (40 lettres connues), Formey (33 lettres), Frisi (33 lettres), Catherine II (25 lettres), le mathématicien genevois Gabriel Cramer (24 lettres), Hume (24 lettres). Il est remarquable que parmi ces six correspondances, dont nous n’avons souvent que la partie ‘active’ (les lettres de d’Alembert conservées par ses correspondants), trois (Euler, Frisi, Cramer) soient scientifiques, au moins en partie. En effet, peu d’échanges parmi ceux de plus de 5 lettres conservées contiennent des sciences; sur les 22 correspondances en France dont nous avons entre 5 et 23 lettres, seule celle avec Clairaut, Vicq d’Azyr, Roussier et Nau (ces deux derniers sur la musique) renvoie aux sciences. Sur les 11 correspondances traversant les frontières dont nous avons entre 5 et 23 lettres, la proportion est plus importante puisque l’on trouve dans ce groupe les échanges avec Castillon (Berlin), Lambert (Berlin), Lesage (Genève) et Melanderhjelm (Upsala). 1 Pour les nombreux liens entre les lettres de Lagrange et les Opuscules, voir l’édition critique annotée des Opuscules dans les Œuvres complètes de d’Alembert (série III, sous la direction de P. Crépel).
Nbrs de lettres
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de Lag.
1770 1772 1774 1776 1778 1780 1782
Fig. 3. 172 lettres ‘épistolaires’ entre d’Alembert et Lagrange. Diagramme.
à Lag.
1741 1746 1748 1750 1752 1754 1756 1758 1760 1762 1764 1766 1768
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D’Alembert n’a rencontré Euler que lors de son passage à Berlin en 1763, après leur brouille et l’interruption de leur correspondance en 1751. Cette rencontre a néanmoins permis de reprendre une relation distante. Mais Euler n’avait guère besoin de rencontrer ses correspondants pour entretenir avec eux un intense échange d’informations. Une comparaison rapide avec la cartographie du réseau épistolaire d’Euler1 montre que l’un comme l’autre ont des interlocuteurs bien au-delà du simple registre scientifique, se développant soit du côté de l’édition, soit du côté institutionnel. Siegfried Bodenmann a bien montré dans son travail sur Euler l’importance de sa relation avec Wettstein, par exemple.2 Si les correspondants scientifiques d’Euler sont en partie communs avec ceux de d’Alembert (les Bernoulli, Clairaut, Condorcet, Lagrange, Maupertuis, Cramer, Frisi), les parties non-scientifiques, et plus précisément non-mathématiques de leurs réseaux sont totalement disjointes. Sa relation avec Formey s’établit à travers deux prismes, celui de l’Encyclopédie pour laquelle d’Alembert, co-directeur, utilise l’apport de Formey légué par De Gua, celui de l’Académie de Berlin dont Formey est secrétaire, dont une des fonctions est de gérer la publication des mémoires que d’Alembert propose. La correspondance de d’Alembert avec Euler ou Formey s’intègre dans les rapports de d’Alembert avec l’Académie de Berlin et il est significatif qu’après 1763 nous n’ayons plus de lettre de d’Alembert à Formey: d’Alembert a pu nouer d’autres liens à Berlin grâce à son court séjour (Keith, Béguelin, Borelly, Castillon) et peut ensuite compter sur l’amitié fidèle de Lagrange à partir de la fin 1766. Les 33 lettres échangées (et conservées) avec Formey font piètre figure au regard des 17 000 lettres3 de la correspondance générale du secrétaire perpétuel de l’Académie de Berlin pendant 60 ans. Si elles sont significatives du rôle d’arbitre joué par le secrétaire et donnent un écho de la destinée des papiers Formey dans l’Encyclopédie, ces lettres ne croisent guère le vaste réseau des Français réfugiés à Berlin ni celui de la Bibliothèque germanique et des revues dans laquelle Formey est très impliqué et influent, encore moins ses préoccupations philosophico-théologiques et le réseau de ses correspondants 1 Siegfried Bodenmann, La République des sciences vue a travers le commerce épistolaire de Leonhard Euler, «Dix-huitième siècle. La République des sciences», 2008, pp. 129-151. La correspondance d’Euler est d’une taille comparable à celle de d’Alembert. 2 voir S. Bodenmann, Les creusets du savoir. Euler et le développement des sciences au siècle des Lumières, Leonard Euler, incomparable géomètre, Philippe Henry (éd.), Chêne-Bourg, éditions Médecine et Hygiène, 2007. 3 La Correspondance de Jean Henri Samuel Formey (1711-1797): inventaire alphabétique. Etabli sous la direction de Jens Häseler, avec la Bibliographie des écrits de Jean Henri Samuel Formey, établie par Rolf Geissler. Paris, Honoré Champion, 2003, 473 pp.
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médecins-physiciens. En particulier, Formey ne partage certainement pas l’analyse que fait d’Alembert de la place de la géométrie dans l’arbre des connaissances gouvernées par la raison, lui qui écrit: «Mais quand un certain faste Géométrique se met de la partie, et que parce qu’on prime dans cette Science on croit avoir enchaîné toutes les autres à son char, il est aisé de faire sentir à ceux qui forment de pareilles prétentions, qu’il y a beaucoup à en rabattre»1 affirmation à laquelle semble répondre la conclusion de d’Alembert dans l’article Géomètre: Bientôt l’étude de la Géométrie conduira à celle de la méchanique; celle-ci menera comme d’elle-même & sans obstacle, à l’étude de la saine Physique; & enfin la saine Physique à la vraie Philosophie, qui par la lumiere générale & prompte qu’elle répandra, sera bientôt plus puissante que tous les efforts de la superstition; car ces efforts, quelque grands qu’ils soient, deviennent inutiles dès qu’une fois la nation est éclairée.2
4. D’Alembert geometre et d’Alembert homme de lettres Pour mieux comprendre les liens entre l’activité épistolaire européenne de d’Alembert, ses activités et ses productions scientifiques, il nous faut passer par la répartition chronologique de sa correspondance générale, marquée par un certain nombre de points de repères décisifs. Si leur importance est parfois estompée par les biais que nous avons signalés, le principal étant la perte d’une partie de la correspondance passive,3 nous les retrouvons suivant toutes les formes d’analyses opérées, par correspondant, sur la correspondance active, sur la correspondance passive ou d’après le contenu. La correspondance connue de d’Alembert commence tard dans sa vie, et même dans sa carrière. Il entre à l’académie royale des sciences en 1741, et seule la minute de la lettre de Maurepas insérée dans les registres de la Maison du roi nous est parvenue. Son Traité de dynamique sort en 1743, son Traité de l’équilibre et du mouvement des fluides en 1744: aucune trace épistolaire, si ce n’est une ‘lettre non épistolaire’, l’épître dédicatoire à Maurepas, marquant le lien institutionnel. Les premières lettres privées et non institutionnelles datent de 1746, il a vingt-neuf ans… Il est certain qu’il nous manque ici tout un ensemble, au moins de billets parisiens. Des négociations préalables à l’engagement de Diderot et d’Alembert 1 «Nouvelle Bibliothèque Germanique», 7/1, 1750, pp. 190-191, cité par Jens Häseler dans Entre République des lettres et république des sciences: les correspondances ‘scientifiques’ de Formey, in «Dix-huitième siècle. La République des sciences», 2008, pp. 93-103. 2 Encyclopédie, t. VII, 1757, p. 629. 3 A titre de comparaison, pour 1000 lettres d’Euler sur 2861 lettres échangées et conservées, nous avons 1219 lettres de d’Alembert sur 2146 lettres épistolaires échangées et conservées.
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Eloges
Mort de Mlle de Lespinasse
Fig. 4. Correspondance active et passive de d’Alembert (1717-1783). Diagramme chronologique.
1741 1746 1748 1750 1752 1754
Entrée à l’Acad. sc.
Disc. prélim. Enc.
Potsdam
Secrétaire de l’Acad. fr.
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comme éditeurs en chef de l’Encyclopédie, pas de trace, si ce n’est le travail de traduction de d’Alembert en 1746, de relations avec ses confrères de l’Académie des sciences, aucune trace, de sa vie parisienne dont les échos subsistent dans d’autres sources, rien avant 1746, sauf peut-être une lettre à une mystérieuse Mademoiselle L’Emeri ou Lémery, très probablement la fille du médecin et académicien Louis Lémery, dont on apprend tout à la fois que d’Alembert lui faisait des galanteries, qu’elle tenait salon avec sa mère au Pavillon des Quatre Nations, qu’elle connaissait la grande amie de d’Alembert, la marquise de Créqui, et Madame Geoffrin. De ses amitiés collégiennes, aucune trace épistolaire sauf la belle lettre de Ludot1 qui nous apprend que d’Alembert logeait en 1739 dans la même pension que Grosley. Et, bien entendu pourrait-on dire pour un bâtard, de correspondance familiale point. L’absence officielle de famille, et donc de souvenirs, est sans doute l’explication la plus immédiate à ce vide des origines. La famille de son père Louis Destouches, l’a très certainement aidé au-delà des 1200 livres de pension paternelles, puisque d’Alembert a pu faire ses études au collège des Quatre Nations, réservé à la noblesse. Mais le logement exigu, le «galetas» que d’Alembert conserva jusqu’en 1765 chez sa nourrice, Mme Rousseau, femme de vitrier et peut-être illettrée, n’était sûrement pas propice à la conservation d’archives personnelles. Nec pater, nec res, ni mémoire pourrait-on ajouter. Tout commence donc, pour l’étranger comme pour la postérité, par ses Réflexions sur la cause générale des vents, qui remportent le prix de l’académie de Berlin et sont dédicacées au roi de Prusse. Les quinze lettres connues de cette année là se rapportent, peu ou prou, à ce début de notoriété et à ses échanges scientifiques et mondains avec Berlin (le marquis d’Adhémar, Frédéric II, Euler, Formey, Guéroult d’Herten). Après la première période dominée par les échanges scientifiques avec Euler et Cramer (jusqu’en 1751), le Discours préliminaire de l’Encyclopédie (1751), repris dans la première édition de ses Mélanges de littérature, d’histoire et de philosophie à côté de l’Essai sur les gens de lettres (1753), et l’entrée à l’Académie française (décembre 1754) correspondent à des échanges plus littéraires et mondains avec la marquise de Créqui, la marquise Du Deffand et le président Hénault qui soutiennent son entrée à l’Académie française. De cette première période de l’Encyclopédie, avant l’interdiction et la défection de d’Alembert (1747-1758), période très certainement intense 1 Troyes, Bibliothèque Municipale, Ms 2584, lettre du 15 avril 1746 que nous connaissons grâce à Elisabeth Badinter.
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en contacts, échanges épistolaires, envois d’articles, de corrections, d’informations, il ne nous reste que la correspondance voltairienne et quelques échanges très lacunaires (Le Breton, Montesquieu, Lesage, Durival, Ratte, Louis Necker). Le voyage de d’Alembert auprès de Frédéric II, même s’il n’a duré que trois mois, a été l’occasion de tout un ‘récit’ dalembertien à Julie de Lespinasse, peu de temps avant la rupture de celle-ci avec Madame Du Deffand et l’emménagement commun rue Saint-Dominique. On sait que Mlle de Lespinasse n’a voulu ni conserver les lettres de d’Alembert (celuici le déplore à sa mort), ni que ses lettres le soient. En bon exécutaire testamentaire, d’Alembert n’a pu qu’obtempérer. N’ont subsisté que les volumineux «portefeuilles» dans lesquelles Mlle de Lespinasse faisait copier des lettres (de Voltaire, de d’Alembert, de Frédéric II), mais aussi des vers et des pièces, sans doute destinées à être lus ou au moins partagés. Ce sont donc des extraits des lettres écrites par d’Alembert de Potsdam qui sont ici conservés et viennent grossir l’année 1763. Mais il clair que le refus ‘public’ que fit d’Alembert à la proposition faite par Catherine II de venir faire l’éducation de son fils à Pétersbourg contribua à sa notoriété, tout autant que sa correspondance avec Frédéric II, et partant, à l’augmentation du nombre de lettres reçues par l’académicien-encyclopédiste. Par ailleurs, à partir de 1761, les travaux physico-mathématiques de d’Alembert paraissent essentiellement sous forme d’Opuscules, stratégie éditoriale que Pierre Crépel a expliquée1 et que les responsables des premiers volumes d’Opuscules à paraître dans les Œuvres complètes de d’Alembert (Guillaume Jouve, Alexandre Guilbaud, Fabrice Ferlin) ont reliée à ses recherches en calcul intégral, en mécanique des fluides et en optique. Tous ses correspondants faisant allusion à son obligeance bien connue, on peut penser, au-delà de la flatterie, que d’Alembert répondait à ses courriers de sollicitation du type «je n’ai pas l’honneur d’être connu de vous, mais j’ose espérer que…». Peut-être dans une vague intention de publication, d’Alembert s’est mis à conserver, surtout à partir de 1768, au moins quelques uns de ces courriers (une centaine) dans ce qui est devenu, après passage par Condorcet et sa fille Elisa O’Connor, le manuscrit 2466 de la Bibliothèque de l’Institut. En 1769, d’Alembert est nommé directeur de l’académie royale des sciences (nomination annuelle et dont d’Alembert ne bénéficiera qu’une fois) et secrétaire perpétuel de l’académie française en 1772. Il s’engage alors dans la rédaction des éloges des membres de l’Académie (publiés 1 Pierre Crépel, République(s) des savants et stratégies de publication, «Dix-huitième siècle. La République des sciences», 2008, pp. 115-128.
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partiellement en 1779), fait paraître un appel à information sur ces membres, parfois mal connus. Peu de réponses semblent avoir été conservées, mais suffisent à augmenter le contingent des lettres reçues, comme les entrées de d’Alembert dans diverses académies. Après la mort de Voltaire, en 1778, l’augmentation du courrier vers Berlin ne suffit pas à compenser la perte du patriarche. Mais il est, me semble-t-il, une autre raison à l’augmentation du flux de lettres entre 1763 et 1776, augmentation qui serait encore plus nette si l’échange avec Condorcet était retrouvé et si la correspondance de Mlle de Lespinasse n’avait pas été détruite. Nous l’avons dit, à partir de l’été 1765, d’Alembert emménage avec Julie de Lespinasse qui a rompu avec Mme Du Deffand et a entraîné avec elle nombre des habitués de son salon. Ce salon et ses fréquentations sont assez bien connus, en particulier pour leur aspect cosmopolite. Nous allons voir pour terminer, que ce salon que l’on dit toujours «de Mlle de Lespinasse», mais pour lequel Bernardin de SaintPierre, dit qu’il va «chez d’Alembert»,1 a permis à d’Alembert de voyager à travers l’Europe sans sortir de chez lui et a été la source de nombre de ses correspondances. Par ailleurs, d’Alembert avait l’habitude de servir de ‘secrétaire’ à Mlle de Lespinasse malade et c’est donc parfois ‘à deux’ qu’ils écrivaient et peut-être à eux deux qu’il était répondu, sans que ces lettres n’aient été conservées, suivant le souhait de Julie de Lespinasse. Pas de parents, pas d’enfants est une configuration qui aide à la recherche sur Google, mais n’aide pas à la conservation des manuscrits… 5. Les ambassadeurs et les voyageurs De la même façon que les lettres, attestées par d’autres correspondances mais disparues, des habitués français du salon de Mlle de Lespinasse et d’Alembert, Condorcet, Turgot, Arnaud, Suard, Chastellux, Devaines, Bernardin de Saint-Pierre ont disparu, celles des assidus d’un moment parce que parisiens grâce à leur charge diplomatique, Hume, le comte de Creutz, le comte de Fuentès, les marquis de Mora et de Villahermosa, Magallon, «le petit abbé» Galiani, Domenico Caracciolo, Louis Dutens, furent d’abord des conversations animées de la rue Saint-Dominique avant d’être des echanges avec des correspondants dont on déplorait l’absence. Prenons le cas de Dutens, dont le Dictionnaire des lettres françaises dit que «Grand voyageur, il a contribué à répandre ce “cosmopolitisme” qui est un des caractères essentiels de la littérature et des mœurs dans la deuxième moitié du XVIIIe siècle» et dont nous connaissons par d’Alem1 Bibliothèque municipale Armand Salacrou, Le Havre, Fonds Bernardin de Saint-Pierre , dossiers cx, 42 et clviii, 28.
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bert et Lagrange le rôle dans l’édition des Œuvres de Leibniz (parue en 6 volumes en 1768).1 On sait par les Mémoires2 de Dutens comment il avait été introduit: «Le célèbre de la Grange m’avoit mis en relation avec lui, et je ne venois jamais à Paris sans le voir. Il m’invita au cercle qu’il tenoit chez son amie mademoiselle de Lespinasse».3 Le 26 août 1766,4 d’Alembert lui propose d’aller le chercher, et dès le 15 décembre, les négociations avec Dutens (reparti à Londres) à propos de la levrette blanche que désire Mlle de Lespinasse vont bon train. Alessandro Verri, frère cadet du milanais Pietro Verri (principal rédacteur du «Caffè») qui a fait connaissance de d’Alembert et Mlle de Lespinasse à son premier passage à Paris quelques mois plus tôt, fait même partie de cet arrangement complexe: «si votre retour devoit tarder encore de quelque temps, elle vous seroit très obligée de vouloir bien remettre cette petite levrette à M. le comte Very, gentilhomme milanais, qui est actuellement en Angleterre, d’ou il doit revenir bientôt en France». Alessandro Verri, à peine débarrassé d’un Beccaria déprimé et malade,5 ne put certainement pas faire la commission, puisque la lettre suivante du 26 février 1767, propose cette fois-ci le duc de Lauzun en convoyeur de levrette blanche. Si Alessandro «parti milanais et revenu européen» comme le dit son frère Pietro, pouvait lui écrire: «Pour voyager avec profit et trouver des correspondants utiles et honorables, il faut faire de bonnes connaissances, et quelques autres […] Celui qui négligerait de se gagner de pareils correspondants voyagerait comme une malle»; il semble bien que d’Alembert, «flambeau de l’Europe»6 et Mlle de Lespinasse aient su, en voyageant à travers leurs hôtes, devenir européens sans bouger de chez eux. 1 Dans la première lettre que nous ayons à Dutens (Bibliothèque Estense à Modène, Autografoteca Campori, du 19 mars 1765), d’Alembert signale une épître de Leibniz à Nicolas Remond et une lettre de Leibniz à Varignon qu’il a déjà envoyé à Lagrange. Puis Lagrange recommande Dutens de passage à Paris à d’Alembert par une lettre du 6 septembre. 2 Mémoires d’un voyageur qui se repose; contenant des anecdotes historiques, politiques et littéraires, relatives à plusieurs des principaux personnages du siècle, 3 vol., Paris, Bossange, Masson et Besson, 1806. 3 John Pappas, Sur une petite levrette blanche: lettres inédites de d’Alembert et de Julie de Lespinasse à Louis Dutens, «Dix-huitième siècle», nº 26, pp. 227-237. Il s’agit là des neuf lettres de d’Alembert conservées à Londres, aux Archives Coutts. 4 J. Pappas a publié cette lettre sans la dater, mais la lettre datée seulement d’un «ce mardi matin» est datable par l’allusion à la présentation d’un ouvrage de Dutens à l’académie des sciences, le «samedi suivant», «la séance du mercredi n’ayant pas lieu»: l’ouvrage ne peut être que les Recherches sur l’origine des découvertes attribuées aux modernes, 2 vol., 1766, présentés à l’académie le samedi 30 août 1766, la séance du mercredi 27 août ayant exceptionnellement été annulée. 5 Lire le passionnant Voyage à Paris et à Londres, 1766-1767, échange épistolaire entre Pietro et Alessandro Verri, trad. française, éd. Laurence Teper, Paris, 2004, Viaggio a Parigi e Londra (17661767) Carteggio di Pietro e Alessandro Verri, ed. Gianmarco Gaspari, Milan, Adelphi, 1980. 6 C’est ainsi que le baptise le chevalier de Roubin (1715-1793), dans une lettre du 21 août 1773, où il lui transmet des remarques sur le calcul des longitudes, faites alors qu’il naviguait sur la Baltique avec le régiment dont il était lieutenant.
D’ A L EMB E RT E T LA N OT I ON D E S OLUT ION DES É QUAT I O N S D I F F É RE N T IE LLE S AUX D É R I V É E S PA RT IE LLE S Serge S. Demidov* Abstract: In this paper we examine the question concerning the notion of solution of partial differential equations which arose during the famous discussion on the vibrating string especially in J. d’Alembert’s works. Also, we present J. d’Alembert’s and L. Euler’s ideas as well as J. Lagrange’s and P.-S. Laplace’s contributions and also the causes (mathe-
matical and metaphysical) on the incomprehensible by the two great mathematicians who in reality they didn’t have a subject of discussion: d’Alembert and Euler had their own notions of solution – from modern point of view «classic» in J. d’Alembert’s works and ‘weak’ (or ‘generalized’) in these of L. Euler.
l s’agira de la notion de solution des équations différentielles aux dérivées partielles, question soulevée pendant le fameux débat sur les cordes vibrantes qui se tint au milieu du XVIIIe siècle. Les meilleurs mathématiciens de l’époque furent entraînés dans cette discussion dont l’impact sur le développement des mathématiques des XVIIIe et XIXe siècles fut remarquable. Tant les historiens que les mathématiciens du XXe siècle se sont penchés sur ce débat. La tradition de l’Université de Moscou voulait d’ailleurs que les cours sur la théorie des fonctions d’une variable réelle débutent sur le récit de ce débat, comme en témoigne l’auteur de cet article, étudiant en 1960, aux cours très suivis de N. K. Bari. De nombreuses publications relatent l’influence de cette discussion sur le développement de la théorie des fonctions, entre autres celle de Timchenko I. Yu. (1899), Truesdell C. (1960). Enfin, dans l’article présent, nous nous pencherons sur un aspect1 relativement peu abordé dans la littérature historico-mathématique: la question de la notion de solution des équations différentielles aux dérivées partielles.
I
* Institute for the History of Science and Tecnology, Moscou. E-mail: [email protected] 1 La question importante soulevée par D. Bernoulli sur la présentation des fonctions par les séries trigonométriques sera de ce fait laissée de côté. «Bollettino di storia delle scienze matematiche» · Vol. XXVIII · 2008 · Fasc. 2
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serge s. demidov 1. Quelques remarques mathematiques
La discussion porte sur la solution de l’équation ∂2u = a2 ∂2u ∂t2 ∂x2
(1)
satisfaisant les conditions limites u(0, t) = u(l, t) = 0 et initiales
(2)
u(x,0) = u0(x), ∂u(x,0) = v0(x). ∂t
(3)
C’est ainsi que se formule le problème de petites vibrations transversales planes d’une corde tendue de longueur l, fixée aux extrémités. Nous allons envisager le cas où a2 – 1,v0 (x) = 0. Par la solution à ce problème, dite classique, on entend une fonction u(x,t) satisfaisant l’équation (1) et les conditions (2) et (3). Cette solution est donnée par la formule de d’Alembert u (x + t) + u0(x – t) u(x,t) = 0 . 2 Pour qu’elle existe, il faut que la fonction u0(x) donnant la forme initiale de la corde soit deux fois différentiable, condition qui restreint fortement l’applicabilité de la notion de solution classique en éliminant par exemple les cas où la courbe initiale a des points anguleux où la dérivée première est discontinue. Les solutions faibles de l’équation (1) sont introduites de deux manières: a) soit – première approche – comme limite d’une suite de solutions classiques uniformément convergente (ou convergente en moyenne) dans le domaine D{t〉0,x – t〉0,x + t〈1}(on considère u0(x) qui ne peut dans ce cas qu’être continu, comme la limite d’une suite de fonctions u0(k)(x) deux fois continument différentiables, uniformément convergente sur [0,l]; la solution faible dans D est alors définie comme la limite d’une suite de solutions classiques correspondantes, u(k)(x,t), données par la formule de d’Alembert); b) soit – seconde approche – par l’identité intégrale. Soit u(x,t), solution classique de l’équation; multiplions les deux membres de l’équations (1) par la fonction Û(x,t) deux fois différentiable dans D et s’annulant au voisinage de sa frontière; intégrons la relation obtenue sur D:
la notion de solution des équations différentielles 157
∫∫ [∂∂2ut2 – ∂∂x22u] Û(x,t)dxdt = 0. D
En intégrant par parties on obtient:
∫∫u [∂∂t22Û – ∂∂2Ûx2] dxdt = 0. D
Cette égalité, étant remplie par toute solution classique de l’équation (1), l’est également pour une plus vaste classe de fonctions appelées solutions faibles de l’équation (1). La construction d’une théorie des solutions faibles des équations aux dérivées partielles doit faire appel à l’analyse fonctionnelle. Son fondement ne fut établi qu’au XXe siècle. 2. Le debut de la discussion D’Alembert (1749) qui obtint la solution de l’équation (1) aux conditions initiales et limites (2) et (3) (l’écriture des équations chez d’Alembert diffère de la notation moderne sur la forme particulière d’écriture de ces équations et les méthodes de leur intégrations correspondantes – voir Demidov S. 1982) croyait que les opérations de l’analyse infinitésimale n’étaient valables que pour les fonctions données par une expression analytique unique, «continues» selon la terminologie de l’époque (cf. Yushkevich A. P. (éd.) 1972, pp. 250-254). Pour cette raison, il supposait que la fonction initiale u0(x) devait être «continue». Cette exigence constamment sous-entendue par d’Alembert ne fut clairement énoncée que lorsque L. Euler s’opposa à l’opinion de d’Alembert (d’Alembert 1752). L. Euler (1750) en partant de considérations d’ordre physique émettait l’hypothèse que la fonction u0(x) pouvait être une courbe mécanique quelconque. Euler précisera ultérieurement (Euler L. 1773) que ce choix arbitraire ne se limite que par l’exigence de continuité de la courbe. La solution eulérienne n’est pas classique, elle peut obtenir des discontinues non seulement des dérivées secondes mais aussi des dérivées premières. En fait, il introduisait les solutions faibles de l’équation (1) d’une façon tout à fait incorrecte: il ne donnait pas de définitions de ces solutions en disant dans certains cas qu’elles remplissaient l’équation (1) (sans préciser dans quel sens) alors que dans d’autres cas, il analysait leurs propriétés sur base de considérations physiques. Les raisonnements incorrects d’Euler (vu l’analyse de l’époque, il était impossible de les rendre corrects – cf. Lützen J. 1982) provoquèrent la réaction de d’Alembert. Dans son
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objection exposée en 1761, d’Alembert, tout en insistant sur la donnée de la courbe initiale par une expression analytique unique, se base sur certaines argumentations mathématiques dont l’essentiel se résume à ce que la seconde dérivée de la fonction initiale n’admette pas la discontinuité de première espèce. Or, comme les discontinuités de seconde espèce n’étaient pas connues des mathématiciens de l’époque, et, comme on pouvait identifier la classe de fonctions à dérivée «sans saut» aussi bien avec la classe de fonctions dérivables qu’avec celle de fonctions continûment dérivables, les objections mathématiques de d’Alembert étaient que la fonction initiale devait être deux fois différentiable (ou deux fois continûment différentiable). La position de d’Alembert – solution classique! – est parfaitement correcte à condition de renoncer à l’exigence superflue que la fonction initiale soit donnée par une expression analytique unique (ce que d’Alembert lui-même fera plus tard). Ainsi d’Alembert en 1752 écrit (p. 358): «Dans tout autre cas, le problème ne pourra se résoudre, au moins par ma méthode, et je ne sais même s’il ne dépasse les forces de l’analyse connue». Ces paroles sont réelles et prophétiques car la construction de la théorie des solutions faibles dépassait les possibilités de l’analyse de l’époque et son établissement était encore lointain. Par solution de l’équation différentielle (1) d’Alembert entendait solution classique tandis qu’Euler insinuait solution faible. Qu’est-ce qui empêchait ces deux illustres géomètres à voir que l’objet de cette discussion n’existait pas puisqu’il aurait suffit qu’ils précisent leurs points de vue? D’une part, cette incompréhension fut engendrée par le faible développement des fondements d’analyse mathématique, et particulièrement, par l’absence de certaines notions fondamentales et par l’interprétation obscure due à l’incompréhension de certaines notions telles que les fonctions «continues». D’autre part, elle est provoquée par la compréhension spécifique des entités mathématiques caractéristique de cette époque. Ainsi, tant d’Alembert que Euler pensent que la notion de la solution du problème mathématique dépend non pas de sa définition (définie d’une manière elle donne une solution classique, d’une autre elle aboutit sur une solution faible) mais d’une certaine entité munie de propriétés indépendantes de la méthode de définition de solution. Pour L. Euler et J. Le Rond d’Alembert, et tous les mathématiciens de l’époque, la formulation mathématique de la notion physique est l’expression de son entité idéale. Cette expression est unique et indéracinable de la notion. C’est pourquoi dans le débat sur la solution de l’équa-
la notion de solution des équations différentielles 159 tion de d’Alembert et de Euler, on peut utiliser les arguments du domaine de la physique. Tout comme un demi-siècle plus tard N. I. Lobachevskii pouvait chercher les arguments pour la légalité de sa géométrie dans les mesurages astronomiques.1 3. Lagrange et Laplace engagent un debat En 1759, Lagrange entra dans la discussion avec la publication des «Etudes de la nature et de la propagation du son». Dans ces écrits sur la vibration des cordes, J. L. Lagrange (1759) écrit (p. 68) qu’«… il semble indubitable que les conséquences, qui se déduisent par les règles du Calcul différentiel et intégral, seront toujours illégitimes dans tous les cas où cette loi [loi de «continuité» – S. D.] n’est pas supposée à avoir lieu. Il s’ensuit de là que, puisque la construction de M. Euler est déduite immédiatement de l’intégration de l’équation différentielle donnée [il a en vue la méthode d’Euler de solution de l’équation – S. D.] cette construction n’est pas applicable par sa propre nature qu’aux courbes continues, et qui peuvent être exprimées par une fonction quelconque des variables t et x. Je conclus donc que toutes les preuves qu’on peut apporter pour décider une telle question, en supposant d’abord que l’ordonnée y de la courbe soit une fonction de t et x, comme l’ont fait jusqu’ici M. d’Alembert et M. Euler, sont absolument insuffisantes, et que ce n’est que par un calcul, tel que celui que nous avons en vue, dans lequel on considère les mouvements des points de la corde, chacun en particulier, qu’on peut espérer de parvenir à une conclusion qui soit à l’abri de toute atteinte». Lagrange partage le point de vue de d’Alembert sur l’impossibilité d’appliquer des opérations de l’analyse aux fonctions «discontinues» arbitraires. Toutefois, Lagrange croyait que la solution de d’Alembert était applicable aussi aux fonctions «discontinues» (il se rallie en ce point à l’opinion d’Euler) et essaya de l’obtenir autrement, c’est-à-dire en formulant le problème de chaque mouvement en particulier des points de la corde. Il considère d’abord le problème d’oscillation d’un fil aux extrémités fixes chargé de (n – 1) corps égaux, divisant le fil en n parties égales. Puis, il s’attaque aux vibrations des cordes en assimilant cette dernière au cas limite du fil chargé, considéré lorsque n → ∞ et la masse de chacun des corps tend vers zéro (de telle sorte que 1 Même N. I. Lobachevskii – mathématicien qui marqua le début de la nouvelle période du développement des mathématiques marquée par le refus du point de vue sur les notions mathématiques comme étant l’expression de l’essence idéale unique des objets du monde ambiant (Kolmogorov A. N. 1991) – continuait à chercher la confirmation de ses idées dans les réalités de ce monde.
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la masse totale de tous les corps tend vers une limite définie, vers la masse de la corde). En effectuant le passage exempt de toute trace de rigueur à la limite lorsque n → ∞, Lagrange revenait à la formule de d’Alembert. Lagrange écrivait (Lagrange J. L. 1759, p. 107): «… et cette construction est évidemment la même que M. Euler a inventé sur la même hypothèse. Voilà donc la théorie de ce grand Géomètre mise hors toute atteinte et établie sur de principes directs et lumineux qui ne tiennent en aucune façon à la loi de continuité que demande M. d’Alembert». Ce passage à la limite incorrecte suscita une réaction de la part de d’Alembert et de D. Bernoulli et le contraignirent à chercher d’autres moyens pour «sauver» la construction d’Euler. Il en proposa un dans son traité Nouvelles Recherches sur la Nature et la Propagation de Son (Lagrange J. L. 1760-1761). Il multiplie les deux membres de l’équation (1) par une fonction M(x), d’abord indéterminée, et procède à l’intégration de l’égalité obtenue dans les limites de 0 à l: l
∫0
∂2u M(x)dx = ∂t2
l
∫0 ∂∂2ux2 M(x)dx.
En intégrant le second membre par parties Lagrange obtint l l l ∂2u M(x)dx = ∂u M(x) – u(x,t) dM + u d2M dx ∂x dx 0 0 dx2 0 ∂x2 La fonction M(x) est choisie telle que M(0) = M(l) = 0. Alors l l ∂2u M(x)dx = u d2M dx. 0 ∂x2 0 dx2 En imposant à M(x) encore une condition
[
∫
]
∫
∫
∫
d2M = kM dx2
(5)
où k est une constante, Lagrange obtint l
∫0
l
∂2u M(x)dx = k uM(x)dx ∂t2
et, en désignant par
∫0
(6)
(4)
la notion de solution des équations différentielles 161 l
∫
s = uM(x)dx, 0 d2s = ks. dt2 En intégrant cette équation et en déterminant M(x) de l’équation (5) compte tenu des conditions aux limites Lagrange arriva, par un raisonnement très approximatif, à la formule de d’Alembert (pour le cas v0(x) où est, généralement parlant, non nul). Le point de raisonnement qui nous paraît le plus intéressant est le suivant: en parlant de la solution du problème de la vibration des cordes, il essaye de remplacer l’équation (1) de ce problème par l’identité intégrale (6). «J’imagine d’abord, écrit-il (p. 177), qu’au lieu de la simple équation générale d2u = c d2u qui appartient à tous les dt2 dx2 points non-fixes, il y en ait une infinité dont chacune représente le mouvement de chacun des points en particulier, mouvement qui dépend d’ailleurs de tous les autres, puisque la différentielle d2u qu’on prend, en ne faisant varier que x, exprime la différence seconde des valeurs de u pour trois points consécutifs. Je multiplie donc chacune de ces équations par un coefficient indéterminé M, ou plutôt par la quantité Mdx, en regardant M comme une variable qui peut convenir à toutes les équations en générale, et j’en prends la somme par une intégration. … Maintenant, comme il s’agit de joindre ensemble les coefficients de chaque valeur de u qui répond à chaque point mobile, je transforme mon équation intégrale de sorte que les différentielles de u dépendants de x s’évanouissent».
Dans un sens le procédé de Lagrange pourrait être qualifié comme étant le remplacement de la solution classique par une solution faible. Ainsi la méthode par laquelle la généralisation est réalisée (multiplication par la fonction s’annulent aux extrémités du segment, intégration par parties et l’obtention de l’identité intégrale) ressemble étonnamment à celle par laquelle sont introduites les solutions faibles dans le cas de seconde approche. La tournure «dans un sens» sert à souligner le fait que Lagrange ne parle jamais directement de l’introduction d’une nouvelle notion de solution et seuls ses procédés se laissent interpréter comme orientés vers cette introduction. A plusieurs reprises Lagrange reprendra le problème de vibration des cordes. Insatisfait de la rigueur de ses raisonnements dans la première méthode comme dans la seconde, il se penchait longuement sur les conditions qui rendraient légitime le passage limite de la première méthode. Plus tard, il adopta un point de vue proche à celui
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de d’Alembert quoiqu’il maintint que la fonction donnant la forme initiale de la corde ne devait pas être obligatoirement donnée par une expression analytique unique; il l’admettait infiniment différentiable (Lagrange J. L. 1762-1765) [voir sa lettre à d’Alembert du 13.11.1764 (Lagrange J. L. 1882, p. 21)]. La seconde édition de la Mécanique Analytique (Lagrange J. L. 1811) marquait le retour de Lagrange vers la conception d’Euler. Son changement d’opinion découle de ses efforts constants à démontrer la légitimité de son passage limite. En considérant les vibrations d’une corde pour v0(x) = 0 dans son «Mémoire sur les Suites» P. S. Laplace (1782) remplaça l’équation (1) par l’équation a2 ∂2y(x,t) = y(x + ¢x,t) – 2y(x,t) + y(x – ¢x,t) ∂t2 ¢x2
[
]
(7)
construisit sa solution et passa, ensuite, à la limite lorsque ¢x → 0. Pour justifier ce passage [pour que (7) tende vers (1)], il supposa la première dérivée de la fonction initiale sans saut, autrement dit sans discontinuité de première espèce. Laplace écrit (p. 83): Lorsque, dans le problème des cordes vibrantes, la figure initiale de la corde est telle que deux de ses côtés contigus forment un angle fini, par exemple lorsqu’elle est formée par la réunion de deux lignes droites, il me semble que géométriquement la solution précédente ne peut être admise; mais, si l’on considère physiquement ce problème et tous les autres de ce genre, tels que celui du son, il parait que l’on peut appliquer la construction que nous avons donnée, même au cas où la corde serait formée du système de plusieurs lignes droites: car on voit, à priori, que son mouvement doit très peut différer de celui qu’elle prendrait en supposant que, aux points où ces lignes se rencontrent, il y ait des petites courbes qui permettent d’employer cette construction. [Relevé par moi, S. D.]
L’intuition de Laplace le guidait droit sur la première approche de l’introduction des solutions faibles. 4. La «surdite» d’Euler On voit donc que Lagrange comme Laplace, à l’opposé de d’Alembert, soutenaient l’hypothèse eulérienne sur la possibilité d’utiliser les fonctions «discontinues» non-données par une seule expression analytique en tant que fonctions initiales. Toutefois, ni Lagrange ni Laplace n’adoptèrent l’hypothèse d’Euler selon laquelle toute courbe continue convient pour être une courbe initiale. Ils comprenaient tous la nécessité d’exiger
la notion de solution des équations différentielles 163 de la fonction initiale qu’elle ait ses premières dérivées continues (Laplace) et même qu’elle soit infiniment différentiables (Lagrange) bien qu’exigence superflue. Euler craignait-il d’être vulnérabilisé en appliquant une construction générale à la solution qui ne supposait pas que la courbe initiale soit autrement lisse qu’être continue en définissant au même instant la solution comme fonction satisfaisante à l’équation (1)? Il paraît que non car en répondant à d’Alembert, Euler déclarait en 1773 (soit vingt ans après le début de la discussion) que la fonction 3 y = Ê(u) = b(b – u)2 où u = at + x, satisfait (sic!) à l’équation (1) bien que 3 y = b(b – u)2 ait une pointe au point u = b. Ceci montre qu’il ne voulait pas entendre l’essentiel des objections avancées par d’Alembert. Grâce à ses vastes possibilités pratiques, la construction d’Euler a été universellement reconnue dans les milieux mathématiques bien que peu d’études n’aient été réalisées sur sa justification (excepté les tentatives de Lagrange et de Laplace). Comme l’indiquait C. Truesdell (1960), le premier qui sût contourner les difficultés dans le cas où la forme initiale de la corde a des points anguleux (type de la corde pincée) fut E. B. Christoffel qui dans ses conférences publiées (voir E. B. Christoffel 1877) remplaçait l’équation différentielle (1) du problème physique par une équation intégrale correspondante. La construction de la théorie des solutions faibles était déjà l’affaire du XXe siècle. La question antérieurement posée – pourquoi ni L. Euler ni J. d’Alembert ne comprirent que l’objet de cette discussion était une chimère et qu’il s’agissait de solutions différentes – des solutions classiques et faibles selon la terminologie moderne reste une énigme: pourquoi L. Euler n’a pas pris en considération l’objection fondamentale de d’Alembert selon laquelle la fonction donnant la forme de la corde pouvait souffrir des discontinuités même de la première dérivation et, par conséquent, ne pouvait pas satisfaire l’équation (1)? Nous estimons qu’il comprenait le sens de l’objection de d’Alembert mais qu’il croyait que son intuition et son sens commun (nous pouvons aujourd’hui affirmer que la conception de la solution faible fut saisie par lui intuitivement) le conduisait vers la direction correcte. Sa foi en son sens commun était inébranlable comme le prouve par exemple sa critique de la théorie de la lumière de Newton. Consultez la 17e et 18e «lettres à une princesse allemande» (Euler L. 1768) où sa foi l’incite à faire une
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telle remarque sur Newton (p. 68): «Voilà un exemple bien triste de la sagesse humaine, qui voulant éviter un certain inconvenient, tombe souvent en de plus grandes absurdités». Le sens commun est regardé donc comme un critère plus sérieux que l’absence de inconvenient. 5. La position definitive de d’Alembert Les arguments avancés au cours du débat (et plus particulièrement, semble-t-il, l’étude géométrique de la question de G. Monge) poussèrent d’Alembert à se déduire de son exigence de «continuité» de la fonction initiale. Dans son ouvrage Sur les fonctions discontinues publié dans le VIIIe tome des Opuscules mathématiques (d’Alembert 1780), il utilisait les fonctions «discontinues» dans la construction des solutions des équations différentielles effectuées dans l’esprit de Monge. D’après la communication de A. P. Youshkevich (Youshkevich A. P. 1975), d’Alembert, dans le IXe volume inédit des Opuscules, revint à la question de l’application des fonctions discontinues, cette fois-ci en rapport direct avec le problème de vibration des cordes: «Nous pensons donc aujourd’hui qu’il pourrait ne pas être nécessaire pour la solution de ce problème que la valeur de l’ordonnée y de la courbe fux exprimée par une fonction continue et qu’elle appartienne à une courbe dont les branches fussent alternatives». Et en énumérant les restrictions à poser sur le comportement de y il souligne plus loin «que ddy ne fait de saut nulle part, c’est-à-dire qu’il n’y ait aucun dx2 point dans la courbe où ddy ait à la fois deux valeurs différentes». Les citadx2 tions extraites des œuvres de d’Alembert permettent de souligner non seulement la reconnaissance de d’Alembert en ce qui concerne la position d’Euler sur l’applicabilité des fonctions «discontinuité» mais également la mise en relief d’une notion de solution classique nette, libre de toutes les restrictions superflues, d’une notion de fonction y telle que «pour toutes les valeurs possibles de y, l’équation différentielle aura rigoureusement lieu». Soucieux de rester dans les limites admissibles de l’analyse et, par conséquent, de circonscrire les méthodes utilisées mais aussi cédant difficilement ses prises de position consolidées, d’Alembert cherchait à obtenir une notion naturelle de solution classique et l’obtint. Par souci de débarrasser l’analyse de toutes les notions et méthodes, à son avis insuffisamment justifiées, d’Alembert fut le précurseur de l’esprit rigoriste du siècle à venir, auquel nous associerons les noms de Bolzano, Cauchy, Abel et Weierstrass.
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L E RÔL E D E D ’A L E M B E RT DAN S LE S D É BUT S D’ U N E É T U D E P RO G RAM M AT IQUE DES ÉQUAT I O N S AU X D É R I VÉ E S PART IE LLE S (1760-1783) Guillaume Jouve* Abstract : In this paper we examine d’Alembert’s contribution to the study of PDE, conceived as a mathematical object, apart from any physical problems. In particular we emphasize the 26th Memoir of the Opuscules mathématiques (t. IV, 1768), which is
an important landmark in the process that gave autonomy to the mathematical theory of PDE. We show its context and its reception, in relation with the great mathematicians of that time: Fontaine, Euler, Lagrange, Condorcet, Monge, Laplace and Lacroix.
n considère souvent à juste titre que l’introduction des équations aux dérivées partielles (EDP) dans un cadre physico-mathématique constitue une des contributions majeures de d’Alembert. S. Demidov,1 S. Engelsman2 et J. Lützen3 ont exploré cet aspect de l’oeuvre du savant en s’attardant particulièrement sur ses Réflexions sur la cause générale des Vents4 et ses premières recherches sur les cordes vibrantes.5 Nous nous sommes également intéressés, avec Alexandre Guilbaud, dans un article récemment accepté par la Revue d’Histoire des Mathématiques à l’éclairage particulier qu’apportait la seconde moitié de l’oeuvre du savant sur sa manière d’envisager la résolution d’une EDP. On omet en revanche régulièrement une autre contribution du savant dans le domaine du calcul aux différences partielles. d’Alembert a en effet
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* Université de Lyon 1, Institut Camille Jordan UMR 5208 du CNRS. 69622 Villeurbanne. France. E-mail: [email protected] 1 D’Alembert et la naissance de la théorie des équations différentielles aux dérivées partielles, dans Jean d’Alembert, savant et philosophe: Portrait à plusieurs voix, Paris, Ed. des Archives contemporaines, 1989, pp. 333-350. 2 D’Alembert et les équations aux dérivées partielles, «Dix-huitième siècle», nº 16, 1984, pp. 27-37. 3 Partial differential equation, dans Companion Encyclopedia of the History and Philosophy of Mathematical Sciences, I. Grattan-Guiness éd., London, 1994, pp. 452-469. 4 Paris, David l’aîné, 1747. 5 Recherches sur la courbe que forme une corde tenduë mise en vibration, «HAB», 1747 (1749), pp. 214219. «Bollettino di storia delle scienze matematiche» · Vol. XXVIII · 2008 · Fasc. 2
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été un des premiers à entreprendre une étude théorique générale des EDP en tant qu’objet mathématique hors de tout contexte physique. Il s’attelle à cette tâche dans le Mémoire 26 de ses Opuscules (t. IV, 1768),1 qui, de par sa nature, est assez isolé au sein de son oeuvre. C. Houzel a déjà évoqué ce mémoire en en décrivant les principaux axes,2 mais il paraît utile de le contextualiser, afin de comprendre dans quelle mesure il marque une étape du point de vue de l’histoire du calcul aux différences partielles. Pour ce faire, nous commencerons donc par en décrire le contenu, puis nous regarderons en amont pour en étudier la genèse et en aval pour en déterminer l’impact. 1. Le memoire 26 des Opuscules La structure générale du Mémoire 26 se présente ainsi: Mémoire 26: Recherches de Calcul Intégral, pp. 225-253. Supplément: §. I. Démonstration d’un théorême de calcul intégral, pp. 254-258. §. II. De l’intégration de certaines différentielles proposées, par le moyen de conditions données de ces différentielles, pp. 259-270. §. III. De l’intégration de quelques équations différentielles, pp. 270275. §. IV. De l’intégration de quelques quantités différentielles à une seule variable, par la rectification des Sections coniques, pp. 275-282. Selon d’Alembert,3 la rédaction du corps du mémoire a été achevée en 1762, et le Supplément a été composé après l’été 1763. Nous allons surtout nous concentrer sur la partie du Mémoire 26 qui précède le Supplément, car elle seule concerne à proprement dit le sujet qui nous intéresse: l’étude des EDP sous un angle exclusivement mathématique. Nous aborderons occasionnellement le Supplément lorsqu’il en constitue un prolongement. Le Mémoire 26 débute par une allusion à un des traités de jeunesse de d’Alembert: ses Réflexions sur la cause des vents.4 Ce texte est le premier dans lequel le savant tente de résoudre un problème mathématique équivalent à une équation aux dérivées partielles. On ne peut cependant pas dire qu’il manipule alors des EDP, car il pose en fait un système de for1 Ce texte a été en partie annoté par Grégory Faye pour son Stage de Licence ENS Lyon (Sur les Formes Différentielles, Annotation du Mémoire 26, Lyon, Université Lyon 1, juillet 2006). 2 Les équations aux dérivées partielles: 1740-1780, Analyse et dynamique, étude sur l’oeuvre de d’Alembert, Laval, Presses de l’université de Laval, 2003, pp. 237-258. 3 Mémoire 26, p. 254. 4 Réflexions sur la cause générale des Vents, Paris, 1747.
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mes différentielles qu’il cherche à rendre exactes (ou complètes, pour reprendre ses termes). Pour être plus clair, dans l’art. 87, il s’intéresse aux systèmes de différentielles, dont les inconnues sont · et ‚:
{
·ds + ‚du Ú·du + Ó‚ds + ¢(u,s)du + °(u,s)ds
Si on se conforme aux règles de rigueur de l’époque, et si on exige que ces différentielles soient exactes, on obtient l’EDP1 Ó d2z – Ú d2z = º(u,s) du2 ds2 où º(u,s) = d¢(u,s) – d°(u,s). ds du Plus loin (art. 89), il pose un système équivalent à l’EDP: d2z – Ú d2z + º(u,s) = 0. Ó d2z + (m – p) du2 duds ds2 Le problème qui va occuper d’Alembert dans les articles 2 à 7 du Mémoire 26 est une généralisation à trois inconnues des précédents. Il va chercher à déterminer trois fonctions A, B et ˆ, de telle sorte que les trois différentielles du système:
{
Adx + Bdt ÚBdx + ˆdt + ÌAdx ÓBdx + Adt + ÛAdx + ©Bdt + ψdx + ͈dt
soient exactes (Ú, Ì, Ó, , Û, ©, Ï et Í étant des constantes fixées). En effectuant des combinaisons linéaires des 3 formes différentielles, il parvient à la conclusion que A, B et ˆ sont des combinaisons linéaires de fonctions arbitraires de x + q1t, x + q2t et x + q3t, où les qi sont issues de la résolution d’un polynôme. Il remarque également au passage qu’un système de trois formes différentielles complètes comme le sien est équivalent à une EDP d’ordre 3 (art. 7), au même titre qu’un système de deux différentielles correspond à une EDP d’ordre 2. Bien qu’il ne l’explicite pas, l‘EDP sous-jacente au système ci-dessus est par exemple: – d3y + (Û + © – ÍÌ) d3y – (Ó – ÍÚ + ÏÌ) d3y + ÏÚ d3y = 0. dx3 dx2dt dxdt2 dt3 1 Voir Serge Demidov, D’Alembert et la naissance de la théorie des équations différentielles aux dérivées partielles, dans Jean d’Alembert, savant et philosophe: Portrait à plusieurs voix, Paris, Editions des archives contemporaines, 1989, pp. 333-350; et Lionel Poujet, L’équation des ondes, Mémoire de Master 1, Lyon, Université Lyon 1, mai 2006.
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A l’article 8, d’Alembert fait le lien entre l’intégration d’une EDP d’ordre 1: dq + Í dq = 0, la recherche d’un facteur intégrant pour la forme diffédx dz rentielle,1 dz – Ídx et l’intégrabilité de l’équation différentielle dz – Ídx = 0 (thème qu’il approfondira dans le §. I du Supplément). Dans les articles 9 à 16, il revient, un peu comme dans ses Réflexions sur la cause des vents, à des systèmes de deux formes différentielles à rendre complètes, dont les inconnues sont deux fonctions inconnues A et B. A partir de l’article 17, il pose les problèmes en termes d’EDP qu’il cherche à intégrer, ce qui ne l’empêche pas de continuer à utiliser des formes différentielles pour intégrer celles-ci. Jusqu’à l’article 24, il s’intéresse aux EDP linéaires du premier ordre: dq + Í dq = 0, dq + Í dq + ˆ = 0 et dx dz dx dz dq + Í dq + ˙q = 0. Il considère d’abord les coefficients constants, avant dx dz d’être plus général. Il montre comment on peut passer de l’une à l’autre par changement de variable. Il esquisse enfin un début de résolution par séparation des variables (artt. 23, 24). Dans l’article 25, il poursuit avec ce dernier type de méthode, mais appliqué cette fois-ci l’équation linéaire du second ordre: d2q + Í dq + dx2 dx ˙ dq + Ïq + k d2q = 0. Cette EDP, et certains de ses cas particuliers, l’ocdt dt2 cupent jusqu’à l’article 46. A partir de l’article 31, il s’intéresse à Íq + ˙ dq dx + d2q + b d2q = 0 (Í et ˙ étant des fonctions de x, et b une constante queldx2 dt2 conque), et utilise une méthode inspirée de travaux de Lagrange, qui consiste à chercher des solutions sous la forme q = Xu + X' du + X'' d2u +… dx dx2 (u étant une fonction de x et t, et X, X' … de x). Il parvient ainsi à se ramener dans certains cas à l’équation d2z' + b d2z' = 0. dx2 dt2 Le mémoire s’achève par de nouvelles considérations sur les formes différentielles, et sur l’esquisse d’une méthode consistant à chercher des solutions d’EDP d’ordre 2 sous la forme q = Xıu (artt. 51, 52).2 Comme le signale d’Alembert dès les premières lignes, la rédaction du Supplément du Mémoire 26 est postérieure à l’été 1763 et à sa rencontre 1 Si un tel facteur ‚ existe, on a alors dq = ‚dz – ‚Ídx, et l’EDP est alors vérifiée. 2 X est fonction de x, ı de t, et u de x et de t.
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avec Euler à Berlin. Seuls les deux premières sections (§) ont un lien avec le calcul aux différences partielles. Dans le §. I, il s’intéresse à l’existence d’un facteur intégrant M pour des formes différentielles.1 dx + ·dy. Il construit M de manière plutôt géométrique, dans l’hypothèse où l’équation différentielle dx + ·dy = 0 est intégrable. D’un point de vue moderne, son approche revient à envisager des lignes de niveaux. Dans le §. II, il se livre à des considérations autour de l’intégration de formes différentielles exactes. Les deux dernières sections sont consacrées pour l’une à l’intégration d’équations différentielles ordinaires (§. III), et pour l’autre à des commentaires concernant les intégrales elliptiques (§. IV).2 Avant d’approfondir, nous pouvons émettre quelques premières observations générales concernant le style et la démarche du savant dans le Mémoire 26. Tout d’abord, à aucun moment, d’Alembert ne formule de conclusion décisive. Son attitude ne consiste pas à annoncer un résultat, puis à en fournir une démonstration structurée. Sa rédaction peut ainsi sembler désordonnée. En fait, il alterne tentative de généralisation et retour à des cas particuliers. Dans ce va-et-vient, il explicite rarement les solutions des EDP ou des systèmes de formes différentielles qu’il considère (sauf pour le premier système de trois formes différentielles). Toutefois, on peut dégager un double objectif dans sa démarche: – Expliquer comment un cas peut se ramener à un autre que l’on sait intégrer. En somme, il élargit pas à pas de façon à pouvoir intégrer des EDP plus générales et plus compliquées. – Donner des méthodes, et esquisser des stratégies permettant d’obtenir des solutions (séparation de variables, recherche de solutions sous des formes particulières). Ces remarques sont à nuancer pour ce qui est du Supplément, car le §. I est relativement structuré et véritablement consacré à un problème précis (la détermination du facteur intégrant d’une forme différentielle), alors que, dans le §. II, il livre plutôt un catalogue de remarques décousues. D’un point de vue plus mathématique, on peut ajouter deux remarques. Dans la systématisation de l’étude des EDP qu’il entreprend, d’Alembert n’adjoint pas à ces équations des conditions aux limites ou des conditions initiales. C’est en fait assez compréhensible car ces dernières sont liées au cadre physique du problème étudié, qui est ici absent. 1 C’est-à-dire tel que M (dx + ·dy) soit exacte. 2 Ces deux sections font donc suite aux mémoires parus dans les recueils de l’Académie de Berlin («HAB») des années 1746, 1748 et 1750.
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Par ailleurs, il faut noter que la direction suivie par d’Alembert dans sa tentative de généralisation ne l’amène pas encore à envisager un nombre de variables plus grand, ou des équations non linéaires… 2. Pourquoi etudier les edp d ’ un point de vue exclusivement mathematique? Si l’on tente de cerner les raisons qui poussent d’Alembert à entreprendre une étude systématique des EDP dans le Mémoire 26, trois hypothèses ne s’excluant pas mutuellement se présentent naturellement à nous: l’influence d’un autre savant, la complexité croissante des EDP rencontrées dans divers problèmes et/ou la visée de l’emploi de ces EDP dans un problème physico-mathématique non explicité. Concernant la première hypothèse, il faut d’abord signaler l’existence à partir des années 1740 d’un courant scientifique incarné par Fontaine puis par Condorcet prônant une étude générale, systématique et décontextualisée des objets mathématiques.1 Par ailleurs, dés les premières lignes du Mémoire 26, on remarque une allusion à un écrit de Lagrange paru dans le tome II des Mélanges de Turin de 1762. A première vue, d’Alembert ne cite le savant turinois que pour la méthode qu’il utilise ponctuellement dans l’art. 31 du Mémoire 26 et qui consiste à rechercher les solutions d’une équation différentielle sous la forme: z = Au + B du + C d2u +… dx dx2 Lagrange fait appel à cette stratégie au chapitre IV de ses Nouvelles Recherches sur la nature et la propagation du son,2 lorsqu’il tente d’intégrer l’EDP: z d2z = c d2z + mc d(x) dt2 dx2 dx Afin d’être précis sur le contexte dans lequel d’Alembert conçoit le Mémoire 26, il nous faut expliquer l’origine de cette EDP. Dans HAB année 1759, Euler consacre trois mémoires à la propagation du son.3 Il étudie d’abord la vibration de particules dans une colonne d’air et aboutit à 1 Christian Gilain, Condorcet et le calcul intégral, Les sciences à l’époque de la Révolution Française - Recherches historiques, éd. R. Rashed, Paris, Blanchard, 1988, pp. 85-147. 2 Mélanges de Turin, t. II, pp. 11-172; Oeuvres de Lagrange, t. I, pp. 151-316. Pour citer ce mémoire, nous adopterons la pagination de cette dernière édition. 3 De la propagation du son, Supplement aux recherches sur la propagation du son et Continuation des recherches sur la propagation du son, «HAB», 1759 (1766), pp. 185-264 (E305, E306, E307).
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l’équation des cordes vibrantes d2y + 2gh d2y qu’il résout.1 Il explique dt2 dx2 ensuite que si on ne suppose plus les vibrations infiniment petites (p. 208), dy 2 d2y le phénomène de propagation est régi par l’équation 1 + = dx dt2 d2y 2gh ,2 mais n’entreprend pas de résolution. Enfin, supposant à nouvedx2 au les vibrations petites, il étudie sur une cinquantaine de pages la propagation des ondes en dimension deux et trois. Dans ce dernier cas, il montre que les vibrations sont gouvernées par l’EDP:3 1 d2u = – 21u + V2 2gh dt2 2 du d2u + V dV dV2
( ( ))
Elle correspond à un cas particulier de celle envisagée par Lagrange dans le chapitre IV de ses Nouvelles Recherches sur la nature et la Propagation du son, que nous évoquions précédemment. Dans leur correspondance, Euler et Lagrange évoquent à plusieurs reprises cette équation entre 1759 et 1762.4 Euler revient d’ailleurs sur le problème, dit de la propagation des ondes sphériques, dans une Lettre de M. Euler à M. de la Grange publiée dans le tome II des Mélanges de Turin.5 Et dans le même recueil, cette question occupe une place importante dans les Nouvelles Recherches sur la nature et la Propagation du son de Lagrange. Attardons-nous désormais un moment sur ce mémoire de Lagrange, car ce texte va bien au delà de la seule étude de la propagation du son. En réalité, le savant turinois se livre, du chapitre III au chapitre V, à un véritable récapitulatif des problèmes physico-mathématiques nécessitant un recours à des EDP: – la propagation du son dans une colonne d’air, régi par l’équation d2y d2y = c2 (chap. III), dt2 dx2 – la propagation des ondes sphériques (chap. III), – les oscillations d’un fluide élastique renfermé dans un tuyau conoïdal (chap. IV), 1 y désigne l’excursion horizontale à l’instant t de la particule située à l’abscisse x. dy 2 Car n’est plus négligeable. dx 3 V correspond à la distance entre l’origine et le point où l’on cherche à déterminer l’amplitude des oscillations, et u est une fonction de V et de t liée à l’amplitude de celles-ci. 4 Leonhard Euler Correspondance Briefwechsel, Opera Omnia, série IV A, vol. 5, 1980. Voir les lettres d’Euler du 23 octobre 1759 et du 9 novembre 1762, ainsi que celles de Lagrange du 26 décembre 1759, du 1er mars 1760. 5 Pp. 1-10.
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– les cordes d’épaisseur inégale (chap. IV), – les oscillations d’une chaîne pesante (chap. IV), – la propagation du son dans le cas où les ébranlements des particules d’air ne sont pas infiniment petits (chap. V). Les phénomènes envisagés au chapitre III sont gouvernées par l’EDP que nous avons déjà évoquée qui est en fait une version généralisée de celle d(xz ) d2z d2z des ondes sphériques: . La présence du coefficient =c + mc dt2 dx2 dx m n’est toutefois pas sans poser des difficultés supplémentaires. La dernière situation étudiée au chapitre V pose quant à elle des problèmes d’une autre nature puisqu’elle fait apparaître des EDP avec second membre, ou non linéaires. Ceci étant, l’objectif de Lagrange dans ce mémoire est plutôt de montrer l’efficacité de sa méthode d’intégration des EDP. Celle-ci consiste à multiplier l’équation par une fonction M(x), à intégrer en x, puis à se ramener à des équations différentielles ordinaires après quelques intégrations par parties. Néanmoins, son mémoire constitue un état des lieux intéressant, bien que partiel, des EDP rencontrées à l’époque. Il permet de mieux saisir leur complexification progressive et fait apparaître la nécessité d’une étude systématique et purement mathématique des EDP. Bien que d’Alembert ne le cite qu’évasivement, il constitue un élément important du contexte dans lequel il compose le Mémoire 26. L’EDP liée au problème des ondes sphériques est d’ailleurs englobée dans celles qu’il étudie. On pourrait objecter que, du coup, c’est en fait Lagrange qui est à l’origine du mode d’étude des EDP dont nous parlons. Il joue certes un rôle, mais même s’il perçoit que différents phénomènes peuvent être gouvernées par une même EDP, il ne va pas aussi loin que d’Alembert. Son étude est moins ambitieuse et générale et se limite à quelques catégories restreintes d’EDP. De plus, il ne se détache pas complètement du cadre physique. Si on reconnaît un rôle à Lagrange, il faut en faire de même pour Euler, car celui-ci entreprend également l’intégration de l’équation d2z d2z b dz c = a2 + + z dans un mémoire exclusivement mathématique dt2 dx x dx x2 consacrée à ce sujet, rédigé vraisemblablement en 1765,1 et il emprunte
1 Mélanges de Turin, t. III, 1766, pp. 60-91 (E319).
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en cela la même direction que d’Alembert et Lagrange, mais il se cantonne à une catégorie précise d’équation. Les recherches commises par d’autres savants au début des années 1760 ont donc pu encourager d’Alembert à entreprendre une étude systématique des EDP, mais il faut ajouter à cela certaines de ses propres recherches. En effet, l’encyclopédiste publie dans «HAB» année 1765 un mémoire intitulé «Sur les tautochrones».1 Ce problème consiste à déterminer la courbe telle que, quel que soit le point d’où l’on lâche un corps pesant qui la descend, celui-ci met le même temps pour atteindre le point le plus bas de la courbe. Cette question avait intéressé par le passé des savants comme Jean Bernoulli ou Fontaine et connaît au milieu des années 1760 un regain d’intérêt. Lagrange y consacre d’ailleurs un mémoire dans le même recueil.2 Dans ses recherches, rédigées très probablement après l’essentiel du Mémoire 26, d’Alembert est amené à considérer l’équation:3 dp uvdp pÌ + + +Ú=0 dx du qu’il évoque d’ailleurs dans le §. II du Supplément du Mémoire 26. Par conséquent, si l’on revient aux hypothèses envisagées au début du 2., on doit reconnaître qu’il est délicat de trancher. Les travaux d’autres savants jouent un rôle dans la démarche de d’Alembert dans le Mémoire 26, au même titre que la complexité croissante des EDP. Ajoutons que, si on compare ce Mémoire 26 aux travaux d’Euler et Lagrange des mêmes années, on constate que d’Alembert y franchit un cap dans la mesure où il sort à la fois les EDP de leur contexte physique et envisage des classes larges d’équations, ce que les autres savants ne font pas simultanément. 3. Les evolutions collaterales de l ’ analyse L’étude des EDP dans un cadre général et purement mathématique est donc un fait marquant du début des années 1760. d’Alembert y joue un rôle déterminant, ainsi que Lagrange et Euler. Mais, ce mouvement entraîne ou accompagne d’autres évolutions que cela soit au sein de l’oeuvre de d’Alembert ou plus largement dans le domaine de l’Analyse. D’Alembert est parfois amené à manipuler des EDP assez semblables dans des situations différentes, comme, par exemple, dans le problème 1 «HAB», 1765 (1767), pp. 381-413. 2 Pp. 364-380. 3 x représente la distance à parcourir, u la vitesse et p la force accélératrice.
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des cordes vibrantes et dans celui de l’équilibre des fluides. Jusqu’au tome IV des Opuscules, il ne semble pas percevoir cette similarité ou, du moins, il ne l’utilise pas vraiment. Cela change à partir du tome V des Opuscules (1768). Dans les Mémoires 32 et 33, alors qu’il étudie le mouvement des fluides dans un vase, il envisage des conditions aux limites inspirées de celles des cordes vibrantes (fixité des extrémités). Physiquement, c’est assez incongru, car habituellement dans ce genre de problème les conditions aux limites portent sur la paroi du vase. Mais cela lui permet de sortir d’une impasse, et de faire appel à la périodicité et à l’imparité des fonctions arbitraires associées aux cordes vibrantes. Cette prise de conscience et de recul est une tendance importante de la fin de son oeuvre. Elle aura également des implications sur la structure de ses mémoires et entraîne une forme de hiérarchisation entre l’Analyse et ses applications en Physique. En effet, jusqu’à la fin des années 1760, dans les mémoires faisant appel à des EDP, les aspects physiques et mathématiques étaient entremêlés. Mais, dans les derniers tomes de ses Opuscules, il adopte une démarche consistant à isoler l’étude mathématique et à l’appliquer ensuite à des problèmes physiques particuliers. Par exemple, dans le mémoire 58 § VI, il livre des réflexions sur les fonctions changeant d’expression,1 qu’il décline ensuite à des problèmes physiques précis dans les Mémoires 59 § VI (son) et 59 § VII (cordes vibrantes) du tome IX, restés inédits.2 L’étude systématique et théorique des EDP pose une autre question: à partir de quand le calcul aux différences partielles est-il conçu comme une branche de l’Analyse nouvelle et relativement autonome, notamment vis-à-vis du calcul différentiel et intégral à une variable? Cette question est délicate, mais on peut faire plusieurs remarques. Tout d’abord, le Mémoire 26 des Opuscules, tout comme celui de Lagrange dans le tome II des Mélanges de Turin, mêle des considérations sur les EDP à d’autres concernant les équations différentielles ordinaires et le calcul intégral classique. Certes, d’Alembert ne peut pas ignorer qu’il n’utilise pas exactement les mêmes outils dans chacun des cas, les formes différentielles complètes/exactes sont par exemple propres au calcul aux différences partielles. Néanmoins, avant le mémoire E319 d’Euler et le Mémoire 26 des Opuscules, on ne recense pas de travaux portant que sur l’étude mathématiques des EDP sans qu’il soit relié au calcul intégral 1 Sur les Fonctions discontinues, «Opuscules», VIII, 1780, pp. 302-308. 2 Mémoire 59 § VI, «Sur la vitesse du son et à cette occasion sur l’usage des fonctions discontinues dans la solution de ce problème et de problèmes semblables», «Opuscules Mathématiques», tome inédit, Ms 1790 de la Bibliothèque de l’Institut, ff. 95-160; Mémoire 59 § VII, «Sur les cordes vibrantes», id., ff. 271-334.
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classique. De surcroît, les outils et les notions qui y sont associés spécifiquement ne bénéficient ni d’une entrée, ni d’une grande attention dans l’Encyclopédie. En réalité, il faut attendre le début des années 1770, pour que le calcul aux différences partielles acquière un véritable statut. Tout d’abord, c’est à ce moment que le terme de différences partielles fait son apparition. On le découvre notamment dans le titre de deux mémoires de Condorcet.1 L’influence de d’Alembert sur ces textes est d’ailleurs assez flagrante. Condorcet prend date et les annonce fin 1770, dès qu’il revient du voyage dans le sud de la France qu’il avait effectué en compagnie de l’encyclopédiste. De plus, l’approche du marquis est similaire à celle de d’Alembert, comme nous le verrons au 4. Il faut ajouter que c’est à cette époque que paraît le troisième tome des Institutiones calculi integralis d’Euler,2 dans lequel le savant étudie longuement le calcul différentiel à 2 ou 3 variables. Comme C. Houzel aborde déjà le contenu de ce texte, nous ne nous étendrons pas sur le sujet. On peut donc dire que le calcul aux différences partielles est conçu par les principaux analystes comme une branche autonome de l’Analyse à partir du début des années 1770. C’est à cette époque que la désignation ainsi que des mémoires consacrés vraiment à ce sujet apparaissent. Le second tome du Supplément Panckoucke, publié en 1777, comporte d’ailleurs un article Partielles, équations aux différences partielles écrit par Condorcet. A cette occasion, ce dernier ne manque d’ailleurs pas de rendre hommage à son aîné: M. d’Alembert est l’inventeur de cette branche de l’analyse, sans laquelle on ne pouvoit résoudre d’une manière rigoureuse & générale, les problèmes où il s’agit de corps fluides ou flexibles. Cette découverte, aussi importante & peutêtre plus difficile que celle du calcul intégral, n’a été moins éclatante que parce que son auteur a exprimé une chose nouvelle par des mots & des signes déjà connus.
4. Repercussions et posterite du memoire 26 Dans la continuité du Mémoire 26 et des autres travaux de même nature que nous avons évoqués, débute donc un mouvement d’étude des EDP en tant qu’objet mathématique, hors de tout contexte physique. Nous allons désormais tenter d’en cerner l’ampleur, ce qui nous donne1 Mémoire sur les équations aux différences partielles, «MARS», 1770 (1773), pp. 151-178; Sur la détermination des fonctions arbitraires qui entrent dans les intégrales des Equations aux différences partielles, «MARS», 1771 (1774), pp. 49-74. 2 Institutiones calculi integralis, vol. 3, St. Pétersbourg, E385.
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ra également une idée de la postérité du Mémoire 26. Nous nous attarderons surtout sur les années 1770, mais nous proposons à la fin de ce chapitre un inventaire des mémoires traitant ce sujet sur une période un peu plus large. Dans les mémoires que nous avons évoqués, Condorcet va se montrer encore plus ambitieux que d’Alembert dans le Mémoire 26, en cherchant à intégrer des EDP encore plus générales. Dans son mémoire des MARS année 1770, il amorce l’étude de l’EDP linéaire d’ordre n, d’inconnue Z, qu’il écrit:1 dnZ + A1‰dn-1Z + A2‰2dn-2Z + …An‰nZ + Bdn-1Z + B1‰dn-2Z + … + Bn-1‰n-1Z + … + PZ = 0 Il tente de l’intégrer en en réduisant progressivement l’ordre, sous certaines hypothèses. Comme son approche reste très abstraite et qu’il n’obtient pas de résultats décisifs, il envisage l’EDP linéaire particulière d’ordre n et applique sa méthode: dnz adnz bdnz dnz + + +…+ +Q=0 dyn dxn dxn-1dy dxn-2dy2 Il se ramène à une succession d’EDP d’ordre 1 à intégrer.2 La même résolution de ce problème avait d’ailleurs été proposée par Monge dans un mémoire intitulé Sur l’intégration des équations aux différences partielles, présenté le 27 novembre 1771 à l’Académie Royale des Sciences.3 Les questions du dénombrement et de la nature des fonctions arbitraires intervenant dans l’intégration d’une équation d’ordre n occupent également une place importante dans les travaux de Condorcet sur les EDP des «MARS» année 1770 et 1771. L’influence de d’Alembert sur Condorcet est claire, mais ce dernier a également été inspiré par des mémoires de Lagrange et par les Institutiones d’Euler, qu’il cite. Et comme l’a montré Christian Gilain, par son inclinaison pour une approche générale et programmatique en Analyse pure, Condorcet est assez proche de Fontaine. Revenons maintenant un moment à Monge. Ses travaux concernant les EDP débutent avec la recherche de fonctions minimisant des expressions intégrales. Il réduit ce problème à un système d’EDP.4 Dans son 1 Les coefficients des EDP sont constants. 2 Il emploie le terme d’équations de condition. 3 Ce mémoire ne sera pas publié en tant que tel, mais Condorcet mentionne les travaux de Monge dans les «MARS», année 1770 (p. 173). 4 Lettre à d’Alembert du 3 janvier 1771. R. Taton, Une correspondance mathématique inédite de Monge, «Revue Scientifique», 85, 1947, pp. 963-989.
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mémoire soumis à l’Académie le 27 novembre 1781, il s’intéresse certes à l’intégration des EDP linéaires d’ordre n, mais étudie surtout l’injection de conditions aux limites dans une expression issue de l’intégration d’une EDP et faisant intervenir des fonctions arbitraires. En fait, son approche est géométrique, et il cherche à déterminer au sein d’une famille de surfaces celle qui contient une courbe donnée de l’espace. Seule cette seconde partie de son mémoire donnera lieu à une publication dans le tome VII des Savants Etrangers. Dans «HAB», année 1772 (1774), Lagrange livre quant à lui un mémoire intitulé «Sur l’intégration des équations à différences partielles du premier ordre». Il étudie les EDP d’ordre 1, linéaires ou non, dont l’inconnue est une fonction u à deux ou trois variables. L’originalité de ses travaux tient au fait qu’il recherche ses solutions u données implicitement, c’est-à-dire de la forme N(u,x,y) = 0 ou N(u,x,y,z) = 0. Dans ses Recherches sur le calcul intégral aux différences partielles publiées dans les «MARS», année 1773 (1777), Laplace aborde la question un peu à la manière de d’Alembert dans le Mémoire 26, qu’il cite d’ailleurs comme référence. Il se concentre essentiellement sur les EDP linéaires du 1er et 2nd ordre, à coefficients non constants, dont l’inconnue est une fonction à deux variables. Il fait appel à des changements de variable successifs (substitution) permettant de ramener une EDP à une autre plus simple. La démarche qu’il décrit n’est rien d’autre que ce qu’on qualifiera de «méthode de Laplace» pour les EDP linéaires, elle est, selon Darboux, la première méthode vraiment générale pour traiter ce type de problème. Lacroix mentionne également le Mémoire 26 de d’Alembert comme une de ses sources dans le tome II de son Traité du calcul différentiel et du calcul intégral pour le chapitre intitulé De l’intégration des équations différentielles partielles des ordres supérieurs au premier. On peut donc conclure que le Mémoire 26 a été lu et étudié par d’éminents savants de la génération postérieure à celle de d’Alembert, ce qui fait de ce texte un des plus importants du tome IV des Opuscules. Ceci étant, comme nous l’avons déjà signalé, d’Alembert n’est pas le seul inspirateur de ce mouvement d’étude des EDP en tant qu’objet mathématique. Euler et Lagrange jouent aussi un rôle déterminant. Cette dynamique se poursuivra dans les années 1780 avec des savants comme Cousin, Charles, Monge…
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guillame jouve Bibliographie
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L A « LO I D E CO N T IN UIT É » DE J E A N B E R N O U LLI À D ’ALE M BE RT Alexandre Guilbaud* Abstract: We sketch a comparison between hydrodynamical theories as expressed by John Bernoulli in his Hydraulica (1742) and d’Alembert in his Traité des fluides (1744). To this end, we use in particular Abraham Gotthelf Kaestner’s memoir, Johan Bernoulli hydraulica contra Dom. d’Alembert objectiones (1769). Here we are especially concerned in the status of Leibniz’s law of continuity. This law
is famous as a touchstone in the debate about theories of collisions during the first half of the 18th century; but its influence on fluid dynamics, starting from Daniel Bernoulli’s Hydrodynamica (1738) was neglected by historians of science. In our paper, we show how the use of the law of continuity in John Bernoulli’s Hydraulica appears to be basic and influential for d’Alembert’s treatise.
1. Introduction vec l’Hydraulique (1742)1 et le Traité des Fluides (1744),2 Jean Bernoulli et d’Alembert proposent leurs propres alternatives à l’Hydrodynamique (1738)3 de Daniel Bernoulli, première théorie générale visant à la mise en équation du mouvement des fluides dans les vases et les canaux. Si, à l’instar de leur prédécesseur, les deux géomètres se placent l’un comme l’autre dans le cadre de l’hypothèse du parallélisme des tranches, une approximation permettant de ramener l’étude des écoulements à une seule dimension d’espace, leurs méthodes n’en reposent pas moins sur des fondements mécaniques différents. Au principe de conservation des forces vives adopté par son fils, Jean Bernoulli oppose en effet une méthode de mise en équation plus directe,
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* Institut Camille Jordan UMR CNRS 5208, Université Lyon 1. E-mail: [email protected] 1 Jean Bernoulli, Hydraulica nunc primum detecta ac demonstrata directe ex fundamentia pure mechanicis. Anno 1732, Opera Omnia, vol. 4, Lausanne et Genève, 1742, pp. 387-493. Tous les passages de l’ouvrage cités dans cet article sont extraits d’une traduction française réalisée par Bernard Bru et Alexandre Guilbaud. 2 D’Alembert, Traité de l’équilibre et du mouvement des Fluides, pour servir de suite au Traité de Dynamique, Paris, 1744. 3 Daniel Bernoulli, Hydrodynamica, sive De Viribus et Motibus Fluidorum Commentative, Strasbourg, 1738. «Bollettino di storia delle scienze matematiche» · Vol. XXVIII · 2008 · Fasc. 2
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reposant sur l’emploi du principe de l’hydrostatique, sur l’application de ce que nous appellerions aujourd’hui la seconde loi de Newton, ainsi que sur le constat d’un phénomène «négligé et considéré jusqu’alors comme de nulle importance», la «formation d’une gorge»1 dans le cas d’une variation brusque ou continue de la section de l’écoulement. Dans son Traité des Fluides, d’Alembert cherche quant à lui à «réduire les loix de l’équilibre & du mouvement des fluides au plus petit nombre & [à] déterminer par un seul principe général, fort simple, tout ce qui concerne le mouvement des corps fluides».2 Dans la droite ligne de son célèbre Traité de Dynamique, paru l’année précédente (1743), l’Encyclopédiste propose, autrement dit, d’appliquer son principe de la dynamique à la question des écoulements. Quoique l’Hydraulique renferme de remarquables progrès en la matière, notamment pour ce qui concerne la formalisation du concept de pression, et quoique le Traité des Fluides marque durablement le développement de l’hydrodynamique française, ces deux ouvrages restent cependant encore mal connus des historiens de la discipline. Les études de référence dans ce domaine, celles de Clifford Truesdell, d’Istvan Szabò ou de René Dugas,3 pour ne citer que les principales, accordent effectivement la plus large place à l’Hydrodynamique de Daniel Bernoulli, à l’Essai sur la Résistance des Fluides (1752) de d’Alembert, dans lequel ce dernier introduit les équations aux dérivées partielles en hydrodynamique, ainsi qu’aux nombreuses recherches d’Euler, dont le mémoire lu à l’Académie des sciences et belles-lettres de Berlin au cours de l’année 1755,4 point culminant de ses travaux, contient les célèbres équations d’Euler relatives à ce que nous appelons aujourd’hui un fluide idéal. Nous n’affirmons pas ici que ces historiens ne se sont pas penchés sur l’Hydraulique et le Traité des Fluides, mais il nous semble toutefois que les travaux qui leur sont consacrés témoignent d’une connaissance partielle de ces deux théories, négligeant trop souvent des subtilités pourtant essentielles à la bonne appréhension des méthodes proposées. 1 Jean Bernoulli, Hydraulica, Préface, p. 392. Le mot «gorge», dans la présente citation, correspond à la traduction du terme latin d’origine «gurges». 2 Encyclopédie ou Dictionnaire Raisonné des Sciences des Arts et des Métiers, article Hydrodynamique, signé (O), vol. 8, Neufchastel, 1765, p. 371. 3 Clifford Truesdell, Editor’s Introduction: Rational fluid mechanics, 1687-1765, Leonhardi Euleri Opera Omnia, Zürich, 1954, Série II, vol. 12, pp. VII-CXXV; Idem, Essays in the History of Mechanics, New-York, Springer Verlag, 1968; Istvan Szabò, Geschichte der mechanischen Prinzipien und ihrer wichtigsten Anwendungen, Basel, Birkhäuser, 1977; René Dugas, Histoire de la mécanique, Neuchatel, 1950. 4 Leonhard Euler, Principes généraux du mouvement des fluides, dans Histoire de l’Académie des sciences et belles-lettres de Berlin pour l’année 1755, Berlin, 1757, pp. 274-315.
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L’étude de la gestation de la discipline entre 1738 et 1755 passe pourtant par un examen précis des interactions entre ces quatre grands géomètres. La mise en regard des progrès apportés par les uns aussi bien que des erreurs commises par les autres permettra en effet de mieux comprendre leurs recherches respectives, et de dégager, dans le même temps, les principaux enjeux du développement de l’hydrodynamique dans la seconde moitié du XVIIIe siècle. En portant une attention accrue aux recherches de d’Alembert et de Jean Bernoulli, les récentes études de Julian Simon Calero et d’Olivier Darrigol1 offrent quelques nouveaux éléments de réponse. Il reste cependant encore beaucoup à faire. C’est dans cette perspective que nous proposons ici un examen comparatif des deux écrits sur la question de la loi leibnizienne de continuité, à la lumière d’un mémoire latin peu connu d’Abraham Gotthelf Kaestner (1719-1800). Cette loi de continuité, comme nous le verrons, constitue tout autant une subtilité qu’un élément crucial des théories proposées dans l’Hydraulique et le Traité des Fluides, un élément dont les historiens des sciences n’ont pourtant jamais fait mention jusqu’alors. Ainsi que nous avons déjà eu l’occasion de le montrer,2 son adoption par d’Alembert est pourtant synonyme d’une certaine conception physique d’un fluide en mouvement: une conception que nous avons qualifiée de continue, par opposition à une représentation d’un écoulement calquée sur le choc de corps solides, telle qu’elle se trouve par exemple défendue par Jean-Charles Borda (1733-1799) dans son Mémoire sur l’écoulement des fluides par les orifices des vases (1769).3 En démontrant ici l’importance de la loi de continuité dans le cadre de la théorie bernoullienne, puis en constatant l’indéniable similitude du traité de d’Alembert sur cette même question, nous dévoilerons ainsi une étonnante convergence entre les conceptions physiques défendues par chacun de ces deux grands géomètres. Sachant que cette loi correspond à un héritage des anciennes querelles mécaniciennes, qu’elle forme l’essentiel des critiques de d’Alembert à l’encontre de la théorie de D. Bernoulli, et qu’elle constituera l’un des principaux sujets de friction dans le cadre de la crise que traversera l’hydrodynamique dans le courant 1 Julian Simon Calero, La genesis de la mecanica de fluidos, Madrid, UNED, 1996; Olivier Darrigol, Worlds of Flow: a History of Hydrodynamics from the Bernoullis to Prandtl, New-York, Oxford University Press, 2005. 2 Alexandre Guilbaud, Marc Massot, Le loi de continuité et le principe de conservation des forces vives dans l’œuvre de D’Alembert en hydrodynamique, à paraître dans la «Revue d’histoire des sciences». 3 Jean-Charles Borda, Mémoires de l’Académie Royale des Sciences de Paris pour l’année 1766, Paris, 1769, pp. 579-607.
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des années 1770, cette conclusion offrira donc, à qui s’y ralliera, un nouvel angle d’approche pour aborder l’histoire du développement de la discipline à cette époque. Cette étude repose en outre sur des travaux préparatoires consistant essentiellement en la traduction du latin vers le français, en collaboration avec Bernard Bru, de l’Hydraulique de Jean Bernoulli et du mémoire de Kaestner intitulé Pour l’Hydraulique de Jean Bernoulli contre les objections de Monsieur d’Alembert.1 Savant et littérateur allemand dont le nom se trouve notamment associé à son Histoire des mathématiques depuis le renouvellement des sciences jusqu’à la fin du XVIIIe siècle, publiée en quatre volumes entre 1796 et 1800,2 Kaestner est également l’auteur d’un traité d’hydrodynamique,3 rédigé dans sa langue natale et contenant un état des lieux des recherches expérimentales et théoriques menées jusqu’alors. Le mémoire auquel nous aurons bientôt recours est directement issu de ce dernier ouvrage. Traduit en latin par les propres soins du savant, qui cherche probablement par ce moyen à le faire parvenir jusqu’en France, il paraît en 1769 dans le premier volume des Nouveaux mémoires de la Société royale des sciences de Göttingue. En voici l’objectif:4 Comme dans les éléments d’Hydrodynamique que j’ai publiés récemment, j’ai présenté la théorie de Jean Bernoulli, je n’ai pas pu faire autrement que d’examiner avec soin les objections de d’Alembert. J’en ai conclu, après un examen attentif, que certaines choses de la doctrine de Bernoulli n’ont pas tant besoin d’être modifiées que d’être expliquées. Un adversaire de Bernoulli moins important que d’Alembert pouvait être dédaigné. Aussi grand qu’apparaisse ce dernier, la piété ordonne de défendre Bernoulli.
Dans son Traité des Fluides, d’Alembert consacre en effet une dizaine de pages au résumé et au commentaire du traité de Jean Bernoulli. Si le parti pris de Kaestner pour l’Hydraulique ne fait aucun doute, si, à l’instar de ce premier extrait du mémoire, les formules de l’auteur, réputé pour son esprit caustique et mordant, paraissent souvent bien sarcastiques à l’égard de d’Alembert, le mémoire n’en renferme pas moins un remar1 Abraham Gotthelf Kaestner, Johan Bernoulli hydraulica contra Dom. d’Alembert objectiones, Novi commentarii Societatis Regiae Scientiarum Gottingensis, t. I, Göttingen, 1769, pp. 45-89. Tous les passages du mémoire cités dans cet article sont extraits d’une traduction française réalisée par Bernard Bru et Alexandre Guilbaud. 2 Idem, Geschichte der Mathematik seit der Wiederherstellung der Wissenschaften bis an das Ende des achtzehnten Jahrhunderts, 4 vol., Göttingen, 1796-1800. Le quatrième volume, paru après sa mort, n’est pas achevé. 3 Idem, Anfangsgründe der Hydrodynamik welche von der Bewegung des Wassers besonders die praktischen Lehren enthalten, Göttingen, 1769. 4 Idem, Johan Bernoulli hydraulica contra d’Alembert objectiones, cité, p. 47.
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quable exposé des travaux de Jean Bernoulli, ainsi que des réponses aussi précises que pertinentes aux critiques émises par l’encyclopédiste français. Il s’agit en cela d’une pièce fort précieuse. L’Hydraulique et le Traité des Fluides étant des ouvrages difficiles, nous profiterons de surcroît de la clarté des explications de Kaestner, qui dut également sa réputation à la qualité de l’enseignement qu’il prodigua en tant que titulaire de la chaire de mathématiques de Göttingue. 2. La loi continuite dans l’ Hydraulique de Jean Bernoulli La loi leibnizienne de continuité, en vertu de laquelle «tout ce qui s’exécute, s’exécute par des degrés infiniment petits»,1 joua, comme l’on sait, un rôle crucial dans le cadre du développement de la mécanique des corps solides. Dans son célèbre Discours sur les loix de la communication du mouvement (1724), Jean Bernoulli justifiait, grâce à elle, une certaine conception de la matière solide, naturellement élastique selon lui, contre les défenseurs d’une matière infiniment «dure» – c’est-à-dire parfaitement indéformable et sans restitution d’énergie, pour employer des termes actuels. Dans le cadre du problème, emblématique s’il en est, du choc de deux corps, il défendit ainsi l’emploi de la conservation des forces vives, contre les adeptes de la conservation de la quantité de mouvement persuadés que la dureté naturelle des corps se traduit par une inévitable perte de forces vives lors de la rencontre de deux masses solides. Soient deux corps lancés l’un contre l’autre, les partisans des forces vives, ralliés au point de vue de Leibniz et Jean Bernoulli, considèrent en effet que le choc s’opère sur un intervalle de temps non négligeable, durant lequel l’échange de forces vives – ce que nous appellerions aujourd’hui l’énergie cinétique – et donc l’évolution des vitesses de chacune des deux masses, s’accomplit par degrés insensibles. Ce phénomène allant nécessairement de pair avec la déformation des corps durant cet intervalle de temps, il sous-entend donc l’élasticité naturelle de la matière solide. Les détracteurs de cette théorie y voient quant à eux une rencontre instantanée entre deux masses infiniment dures. En somme, le principe de conservation des forces vives s’applique donc chez les leibniziens comme une loi constante de la communication du mouvement. La loi de continuité, telle qu’énoncée par Leibniz dans ses Demonstratio de 1686, correspondait à un axiome, un «ordre immuable et perpetuel, établi depuis la création
1 Jean Bernoulli, Discours sur les loix de la communication du mouvement. Qui a mérité les Eloges de l’Académie Royale des Sciences aux années 1724. & 1726. & qui a concouru à l’occasion des Prix distribuez dans les dites années, Paris, 1727, Chap. I, art. 5, p. 6.
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de l’Univers». «Mécanisée» par Jean Bernoulli pour la question du choc des corps, elle devient une condition inhérente à l’application du principe de conservation des forces vives. A l’issue de la première moitié du XVIIIe siècle, le débat n’embrase plus la communauté scientifique comme ce fut le cas à l’occasion du prix proposé par l’Académie des sciences de Paris en 1724. Elle n’a cependant toujours pas fini de diviser les géomètres. Aussi, lorsque dans son Hydrodynamique Daniel Bernoulli porte son choix sur la conservation des forces vives, c’est en prenant soin de ménager «certain Philosophes, qui ont tendance à devenir nerveux lorsqu’il est fait mention du terme de force vive».1 Dans l’Hydraulique, Jean Bernoulli reproche à son fils «de s’être appuyé sur un fondement indirect, la conservation des forces vives, sans doute très vraisemblable et démontrée par moi, mais qui n’est cependant pas acceptée par tous les philosophes».2 Compte tenu des inévitables interférences susceptibles d’apparaître entre l’héritage d’une mécanique des corps solides en cours de formalisation, et le développement d’une science du mouvement des fluides tout juste émergente, il y a donc fort à penser que la loi de continuité ait de nouveau un rôle à jouer. C’est, comme nous allons le voir, ce qui ressort de l’examen de la théorie de la «gorge» dans l’Hydraulique de Jean Bernoulli. Nous l’avons dit: s’il adopte d’un côté l’approximation du parallélisme des tranches utilisée par son fils, Jean Bernoulli renonce, de l’autre, à l’emploi du principe de conservation des forces vives fondant l’Hydrodynamique, le but étant de proposer une «méthode directe, qui soit appuyée uniquement sur des principes dynamiques niés par personne».3 Il n’en a cependant pas moins recours à la loi de continuité. Dans le cadre du premier problème de l’ouvrage, l’écoulement d’un fluide dans un canal ABCDEF, représenté sur la Fig. 1 et composé de deux tubes cylindriques de sections différentes accolés l’un à l’autre, celle-ci se trouve énoncée en ces termes:4 Lorsque le liquide passe d’un tube à l’autre, sa vitesse varie évidemment en raison inverse de leur section; mais nul changement n’est subit, il est au contraire successif et graduel, passant par tous les états possibles intermédiaires du plus petit au plus grand, ou du plus grand au plus petit.
1 2 3 4
Daniel Bernoulli, Hydrodynamica, Section I, § 18, p. 10. Jean Bernoulli, Hydraulica, Préface, p. 392. Ibidem, Première Partie, art. VIII, p. 399. Ibidem, Première Partie, art. III, p. 398.
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D M
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Fig. 1. Ecoulement d’un fluide dans un canal ABCFDE, avec apparition d’une gorge IFGH.
Compte tenu du nécessaire respect de cette loi, il faudra donc, assure-til, qu’à une petite distance HG du brusque rétrécissement de la section de la conduite ayant lieu en GF, les parties du fluide:1 commencent à accélérer, et poursuivent leur chemin en accélérant, jusqu’à ce qu’à l’entrée GF, elles aient acquis la vitesse du liquide qui s’écoule dans le tube BF (…). Il se forme ainsi, sur la petite largeur HG, une sorte de gorge IFGH, se resserrant du tube large au tube étroit, par lequel le liquide, accéléré de façon continue mais cependant graduelle, doit passer, une petite portion très minime du liquide (qui remplit l’espace IFD) restant perpétuellement en repos.
La prise en compte de cette gorge lui permet, autrement dit, de s’assurer de l’évolution par degrés insensibles de la vitesse entre sa valeur v en EA, ou IH, et sa valeur m v en GF ou BC, m et h désignant respectivement les h sections des tubes cylindriques EDGA et FCBG. D’après l’hypothèse du parallélisme des tranches, les vitesses v et u des tranches de fluide situées en EA et GF répondent effectivement à la relation v × m = u × h, de telle sorte que u = m v. La tranche quelconque MmlL possède de même une h vitesse homogène inversement proportionnelle à sa propre surface y: la vitesse croît donc théoriquement aussi vite que la section de la conduite décline. Afin que l’écoulement respecte la loi de continuité au moment de franchir le brusque rétrécissement de la section, tout doit ainsi se passer comme si le mouvement s’opérait au sein d’une conduite virtuelle EIMFCBA. La partie stagnante de fluide IDF garantit une diminution progressive de la section de l’écoulement entre IH et GF, et par là même, une augmentation progressive de la vitesse dans l’espace IFGH. Pour ne pas 1 Jean Bernoulli, Hydraulica, Première Partie, art. V, p. 398.
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laisser de zones d’ombres sur le raisonnement de l’auteur, on pourra également se référer au mémoire de Kaestner, dont la clarté de l’exposé demande que nous en citions un passage:1 Que la vitesse de l’eau dans le vase puisse passer subitement à celle beaucoup plus grande qu’elle a en s’écoulant par l’orifice, Bernoulli le nie, puisque cela violerait la loi de continuité. Et il conçoit la chose ainsi: dans la partie plus étroite du fond du vase, l’eau se meut de plus en plus vite, et donc la vitesse qu’elle avait dans le vase, croît jusqu’à celle avec laquelle elle doit sortir. La partie de cette eau se contracte de plus en plus depuis la section du vase à celle plus étroite de l’orifice, au voisinage de celle-ci, aux angles du vase, l’eau apparaît comme immobile. On trouvera difficilement quelqu’un qui n’ait pas vu quelque part ce phénomène dans un cours d’eau, où le lit se resserre, et l’eau entre les rives plus proches, se meut d’autant plus rapidement que les rives sont plus proches. On appelle cela une gorge dans le cas d’un cours d’eau, et Bernoulli utilise le même terme.
L’existence de cette gorge constitue, selon Jean Bernoulli, le «pivot de toute la chose»,2 c’est-à-dire le fondement de sa théorie du mouvement des fluides dans les canaux de section variable. Cependant, le savant se garde bien d’insister sur le rôle de la loi de continuité. Après l’avoir énoncée, sans la nommer, dans ce premier cas de figure, il n’en fera plus mention dans la suite de l’ouvrage. Le constat qu’une gorge se forme dans le cas d’une conduite de section non uniforme disparaîtra également de l’exposé, au profit de la force motrice immatérielle p que le savant introduit afin d’expliquer sa formation et sa persistance au sein de l’écoulement. C’est sur l’évaluation de cette force, «requise pour uniquement produire dans la gorge l’accélération nécessaire au changement de vitesse de la plus petite à la plus grande»,3 que repose effectivement sa méthode de mise en équation, qu’il s’agisse du mouvement d’un fluide dans la conduite de la Fig. 1, dans un vase vertical auquel un tuyau horizontal se trouve adapté, ou dans un canal vertical dont la section varie de façon continue, pour ne citer que les principaux problèmes abordés. Car pour parvenir à l’équation du mouvement, il lui suffira simplement d’exprimer la résultante des différentes forces motrices s’exerçant sur chacune des tranches du fluide, que l’écoulement soit ou non supposé uniforme, puis d’égaler cette expression à la force p. La loi de continuité apparaît donc, de prime abord, comme un élément de second plan, relégué derrière la détermination de la force p, dont «l’oubli (…) est la raison pour laquelle personne, à ce jour, n’a pu don1 Abraham Gotthelf Kaestner, Johan Bernoulli hydraulica contra d’Alembert objectiones, pp. 48-49. 2 Jean Bernoulli, Hydraulica, Première Partie, art. IX, p. 400. 3 Ibidem.
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ner, à partir des principes statiques et purement mécaniques, les lois des liquides s’écoulant à travers des canaux non uniformes».1 Le mémoire de Kaestner, comme nous allons le voir, nous engage cependant à une nouvelle interprétation de cette théorie de la gorge. Il nous faut, pour ce faire, nous reporter à la question de l’écoulement d’un fluide dans le canal quelconque ECce représenté sur la Fig. 2. Dans ce problème, Jean Bernoulli se contente, comme nous l’avancions à l’instant, d’exprimer l’équivalence entre la force motrice immatérielle et «la somme des forces absolues dans toutes les tranches»,2 ce qui le conduira à l’équation du mouvement. Il ne fait néanmoins aucune mention de l’existence d’une gorge dans ce cas de figure, comme nous avions vu qu’il le faisait dans le cadre du problème représenté sur la Fig. 1. De plus, comme le souligne Kaestner, nous sommes ici dans un cas «où aucune gorge ne se forme du fait de la courbure continue du canal». La force p, ajoute-t-il, ne peut donc:3 être utilisée que pour changer la vitesse de l’eau en un lieu donné du canal en la vitesse d’écoulement. Même si Bernoulli ne le dit pas explicitement, il est cependant clair que, là où aucune gorge ne se forme, il donne les raisons de cette force lorsqu’il la calcule. A P R
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c C Fig. 2. Ecoulement d’un fluide dans un canal incliné de section variable EecC. 1 Jean Bernoulli, Hydraulica, Première Partie, art. VIII, p. 399. 2 Ibidem, note 1, Seconde Partie, art. III, p. 434. 3 Abraham Gotthelf Kaestner, Johan Bernoulli hydraulica contra d’Alembert objectiones, art. 70, pp. 48-49.
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Difficile, en effet, de concevoir l’apparition d’une partie de fluide immobile au sein d’une telle conduite. L’évolution continue de la section, combinée à l’hypothèse du parallélisme des tranches, garantit le respect de la loi de continuité. Elle garantit, autrement dit, le passage par degrés insensibles de la vitesse du fluide au niveau de la surface supérieure Ee à «la vitesse d’écoulement», c’est-à-dire la vitesse de sortie par l’orifice inférieur Cc. Qu’est-il donc advenu, dans ce nouveau cas de figure, du «pivot de toute la chose», à savoir «la considération de la gorge, remarquée de personne auparavant»?1 Comment Jean Bernoulli justifie-t-il l’existence physique de la force immatérielle p prétendumment dédiée à la formation et la persistance de cette gorge au cours de l’écoulement? Référons-nous de nouveau, pour y voir plus clair, aux explications de Kaestner:2 Cette force, capable de faire passer l’eau de sa vitesse d’entrée à sa vitesse de sortie, la gorge est capable de la faire voir de façon imagée, de même que le mouvement diurne des corps célestes fait voir par l’imagination la révolution des sphères. Et nous calculons les phénomènes à partir de cette révolution, même si personne ne croit qu’elle ait lieu véritablement. De même la force peut être calculée exactement à partir de la gorge, même par celui qui ne croira jamais qu’une gorge se forme vraiment, ou qui comprend très difficilement comment elle se forme en supposant donnée la forme du vase et de l’orifice.
La gorge ne serait donc qu’une façon abstraite de se représenter le passage du fluide d’une vitesse à une autre au sein d’une conduite de section variable. La force immatérielle, autrement dit, correspondrait tantôt à la force nécessaire à la formation de la gorge, lorsque celle-ci se forme réellement, tantôt à la force nécessaire à l’évolution de la vitesse d’une valeur à une autre, lorsque la géométrie de la conduite exclut l’existence d’une partie stagnante de fluide. Mais ce n’est pas tout. Il apparaît en effet, selon Kaestner, que la gorge3 présente surtout l’avantage de permettre un calcul plus facile de la force grâce à laquelle la vitesse de l’eau dans le vase se change en sa vitesse d’écoulement. Une gorge se forme, si la vitesse dans le vase est constamment mv et ne peut se h changer instantanément en v. Si quelqu’un admet que cette vitesse peut se modifier instantanément, il peut se passer de la gorge, mais il ne peut pas négliger pour autant la considération de la force que j’ai appelée force de gorge. 1 Jean Bernoulli, Hydraulica, Première Partie, art. VIII, p. 399. 2 Abraham Gotthelf Kaestner, Johan Bernoulli hydraulica contra d’Alembert objectiones, art. 43, p. 62. 3 Ibidem, art. 43, p. 62.
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Les explications de Kaestner sont suffisamment claires, et nous n’avons rien à y redire. Contentons-nous juste de résumer: le débat éventuel entre partisans et détracteurs de ce phénomène ne concerne donc pas l’existence de cette force motrice, mais bien la façon de se représenter le comportement d’un fluide s’écoulant à travers une conduite de section variable. Dans le cas d’un brusque rétrécissement de cette section, situation correspondant au problème représenté sur la Fig. 1, les opposants à la théorie de la gorge considéreront que la vitesse pourra violer la loi de continuité, et de ce fait, passer instantanément de la vitesse mv du fluide h dans le tube EDGA à la vitesse v dans le tube FCBG. Partant de là, la théorie de la gorge ne laisse désormais plus aucun doute sur sa véritable signification. Il ne s’agit pas d’un phénomène constamment observé dont Jean Bernoulli propose ici de tenir compte, mais d’un présupposé, ou d’une abstraction de l’esprit, par laquelle le savant garantit le respect de la loi de continuité. En d’autres termes, le «pivot de toute la chose» renvoie donc plus à cette hypothèse physique implicite reflétant sa conception de la matière fluide en mouvement, qu’elle ne tient au constat qu’une gorge se forme dans certaines situations. Jean Bernoulli reste ainsi cohérent avec sa position dans le débat des forces vives. Il n’en a pas moins recours à une loi plus métaphysique que physique, héritée de cette même polémique, preuve que le processus de formalisation de la mécanique des solides au début du XVIIIe n’est pas sans laisser de trace sur le développement de sa toute jeune cadette, la science du mouvement des fluides. 3. La theorie des ecoulements dans le Traite des fluides Passons à présent au Traité des Fluides de d’Alembert et à l’argumentaire qu’il renferme contre certains aspects de la théorie de son prédécesseur. Parmi les critiques exprimées contre la définition et le calcul de la pression dans l’Hydraulique, ainsi que la méthode de mise en équation de Jean Bernoulli, peu lumineuse selon l’encyclopédiste, ce dernier fait également l’observation suivante:1 Lorsque M. Bernoulli donne l’Equation générale des vitesses d’un Fluide qui sort d’un vase Cylindrique (…), il semble donner cette Equation pour exactement vraye, cependant il est aisé de voir par ce que nous avons dit art. 112 que cette Equation n’est qu’une Equation approchée, dans laquelle on néglige une partie de la force qui accélére dans la cataracte [comprendre gorge], qu’on regarde comme nulle par rapport au reste. 1 D’Alembert, Traité des Fluides, 1744, art. 189, p. 161.
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D’Alembert évoque ici le problème d’un écoulement dans un vase vertical GHSK percé d’un orifice en son fond, semblable à celui représenté sur la Fig. 3. Dans l’Hydraulique, Jean Bernoulli conçoit ce cas de figure comme un corollaire du problème représenté sur la Fig. 1, la seule distinction tenant à la prise en compte de la pesanteur du fluide. Sa théorie prévoit donc l’existence d’une gorge OQLP, ou, ce qui est la même chose, l’existence de parties stagnantes kKP et sSL, par lesquelles le savant s’assure de l’évolution progressive de la vitesse entre la section ks et la section PL de l’ouverture inférieure du vase. Dans ce problème, comme dans les autres situations abordées dans l’ouvrage, il parvient ainsi à des résultats qui, de l’aveu même de d’Alembert, «s’accordent d’ailleurs parfaitement avec ceux qui se tirent de [ses] principes».1 La critique de l’Encyclopédiste ne porte donc pas sur l’équation obtenue par Jean Bernoulli, identique à la sienne, mais, comme l’explique Kaestner, sur:2 la force par laquelle les particules d’eau venant des tranches précédentes d’un mouvement parallèle, s’incurvent en ces trajectoires courbes, par lesquelles elles doivent sortir. E
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C
H
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A
k
K
O
Q
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L
s
S
Fig. 3 – Ecoulement dans un vase vertical GHSK percé d’un orifice PL en son fond.
L’examen de l’art. 112 du Traité des Fluides montre en effet que d’Alembert, à l’instar de Jean Bernoulli, considère également l’existence de parties stagnantes au niveau de l’ouverture. Voici comme il s’en justifie:3 1 D’Alembert, Traité des Fluides, 1744, art. 187, p. 159. 2 Abraham Gotthelf Kaestner, Johan Bernoulli hydraulica contra d’Alembert objectiones, art. 128, pp. 82-83. 3 D’Alembert, Traité des Fluides, 1744, art. 111, pp. 96-97.
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On a supposé (…) que la vitesse de chaque tranche étoit en raison inverse de sa largeur. Mais comment peut-on supposer ici que la vitesse de ks infiniment proche de PL soit à celle de PL, comme PL est à ks, & que la vitesse de la tranche ksSK se change en un instant, en une autre vitesse qui diffère de la premiére d’une quantité finie? On ne peut sauver cette espèce d’absurdité, qu’en imaginant que les particules du Fluide qui sont proches du fond, s’approchent de ce fond par des mouvemens fort obliques suivant les lignes Courbes kOP, sQL, tandis que les parties du Fluide contenues dans les espaces kKP, sSL sont regardées comme stagnantes.
Compte tenu de l’hypothèse du parallélisme des tranches, selon laquelle la vitesse de chaque tranche est en raison inverse de sa section, il faut, selon d’Alembert, que les trajectoires des particules de fluide s’incurvent au voisinage de l’orifice, sans quoi la vitesse passerait instantanément de sa valeur v en ks à sa valeur ks v en PL. Comme dans l’Hydraulique, la prise PL en compte de parties stagnantes repose donc ici sur le respect de la loi de continuité, au point de nous inciter à penser que la théorie de Jean Bernoulli ait pu influencer la conception dalembertienne d’un fluide en mouvement. L’argumentation de d’Alembert est effectivement parfaitement identique à celle de son prédécesseur. Kaestner, du même avis que nous, affirmera donc qu’«il est visible qu’en réalité cela soit semblable à ce que fait Jean Bernoulli».1 Pour ce qui est de la critique de d’Alembert concernant la force nécessaire à la courbure des trajectoires du fluide, il explique que «ces Courbes kOP, sQL sont très-petites l’une & l’autre», et que le résultat, dans ces circonstances, «diffère très-peu de ce qu’elle seroit, si on n’avoit aucun égard à ces Courbes».2 C’est pourtant ce qui lui fait reprocher à Jean Bernoulli de n’avoir pas précisé que son résultat ne constitue qu’une «Equation approchée». L’argument de d’Alembert est donc ici pour le moins abusif, d’autant plus que l’auteur de l’Hydraulique a, dès la Préface, préalablement pris soin de préciser que «la formation d’une gorge s’effectue sans dépense sensible de forces vives, relativement à la quantité qui se trouve dans la masse totale de l’eau».3 Il ne s’agit donc que d’un détail sans importance, voire d’un prétexte de l’encyclopédiste, les deux savants s’entendant par ailleurs sur l’essentiel: la vérification de la loi de continuité, et par conséquent, l’existence de parties stagnantes, quelle 1 Abraham Gotthelf Kaestner, Johan Bernoulli hydraulica contra d’Alembert objectiones, art. 128, p. 82. 2 D’Alembert, Traité des Fluides, 1744, art. 112, p. 97. 3 Jean Bernoulli, Hydraulica, Préface, p. 393.
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que soit leur taille, à proximité de l’orifice. Prenant la défense de Jean Bernoulli, Kaestner conclura ainsi que:1 D’Alembert lui-même ne détermine pas cette force, et il n’y a pas d’autres différences dans son équation qui est commune à celle de Bernoulli: par conséquent si on doit imputer une faute à Bernoulli, il faut également en faire grief à d’Alembert lui-même.
Nous ne le contredirons pas, bien au contraire. Cet exemple illustre en effet un aspect crucial de la théorie de d’Alembert: ainsi que nous le montrons dans un récent article,2 la loi de continuité révèle, chez le savant, une conception continue de l’écoulement. Il apparaît donc à présent que cette conception se retrouve à l’identique dans l’Hydraulique, un ouvrage dont l’auteur du Traité des Fluides a déjà pris connaissance, comme en témoigne son commentaire critique. Aussi, quoique nous ne disposions pas d’argument direct en faveur d’une influence de Jean Bernoulli sur d’Alembert concernant cette question, la filiation des deux théories ne fait aucun doute. 4. Un sujet de querelles au xviii e siecle De façon plus générale, la question de la conception physique d’un fluide en mouvement constituera un sujet récurrent de polémiques au cours du XVIIIe siècle. Si, comme nous venons de le voir, l’Hydraulique et le Traité des Fluides convergent nettement sur ce point, certains aspects de la théorie des écoulements de Daniel Bernoulli dans l’Hydrodynamique feront en effet l’objet de vives critiques de d’Alembert. Ces divergences, dont nous proposons à présent de donner un bref aperçu, constitueront également l’un des principaux sujets de la polémique opposant d’Alembert et Borda dans le courant des années 1770.
1 Abraham Gotthelf Kaestner, Johan Bernoulli hydraulica contra d’Alembert objectiones, art. 128, p. 83. 2 Alexandre Guilbaud, Marc Massot, Le loi de continuité et le principe de conservation des forces vives dans l’œuvre de D’Alembert en hydrodynamique, à paraître dans la «Revue d’histoire des sciences».
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H
C
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V
Z
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L M
Fig. 4. Ecoulement d’un fluide dans un vase GHLP de section variable immergé dans un vase VZMR de plus grande contenance.
Dans la VIIe Section de son Hydrodynamique, Daniel Bernoulli fait remarquer que les cas où le fluide s’écoule à travers une ouverture PL avec une vitesse notablement plus grande que celle qu’il avait avant de la franchir (voir la Fig. 4) posent problème. «Il est (…) évident», explique-t-il,1 «que lorsque l’eau s’écoule à travers une ouverture avec une vitesse plus grande que celle qui se trouve dans l’eau intérieure ascendante, l’excès produit de nouveau un certain mouvement intérieur dans la même eau intérieure». La variation brusque de section va autrement dit de pair, selon lui, avec l’existence d’un mouvement intestin au sein de l’écoulement, ce qu’il appelle ici le «mouvement intérieur». Il propose, pour expliquer ce dernier, de raisonner à la manière des mécaniciens, pour lesquels une collision entre corps mous se traduit nécessairement par une perte de forces vives. De même, poursuit-il sans pousser plus avant la comparaison avec la question des lois de la communication du mouvement, sera-t-il donc probablement nécessaire de calculer, dans le cadre d’un écoulement:2 combien de force vive est employée à produire dans le fluide le mouvement intestin et est perdue par conséquent sans retour pour le mouvement progressif.
En précisant dans l’Hydraulique que «la formation d’une gorge s’effectue sans dépense sensible de forces vives»,3 Jean Bernoulli s’oppose implici1 Daniel Bernoulli, Hydrodynamica, Section VII, § II, p. 124. 2 Ibidem. 3 Jean Bernoulli, Hydraulica, Préface, p. 393.
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tement à cette idée. Si d’Alembert, quant à lui, ne réagit pas à cette hypothèse dans le Traité des Fluides – ce qu’il ne manquera pas de faire dans son quatrième et dernier traité d’hydrodynamique, le Mémoire 57 du tome VIII de ses Opuscules Mathématiques (1780)1 –, il relève néanmoins certaines divergences avec la théorie de D. Bernoulli, directement liées au respect de la loi de continuité. Dans l’art. 143 du Traité des Fluides, consacré à l’étude du même problème, l’écoulement d’un fluide dans un vase immergé dans un autre, il note ainsi que:2 les équations qu’a données ce savant Géomètre, sont fondées sur le principe de conservation des forces vives, dans la supposition, que la vitesse du Fluide qui entre ou qui sort par l’ouverture [inférieure], varie brusquement en un instant d’une quantité finie, supposition qui paroît avoir quelque chose de choquant, & dans laquelle outre cela on ne sauroit faire usage du Principe des forces vives.
Ce désaccord ne se borne d’ailleurs aucunement à ce cas de figure. Si, dans le cœur de sa préface à l’ouvrage, d’Alembert affirme que «les résultats de [s]es solutions s’accordent presque toujours avec les siens», il précise en effet qu’«il en faut néanmoins excepter un petit nombre de Problêmes». «Ce sont ceux», ajoute-t-il,3 «où cet habile Géomètre a employé le Principe de la conservation des forces vives, pour déterminer le mouvement d’un Fluide dans lequel il y a quelque partie dont la vitesse diminue ou augmente en un instant d’une quantité finie». Comme nous l’annoncions plus avant, ce sujet de divergence, dénoncé de manière récurrente dans le Traité des Fluides, reviendra sur le devant de la scène à l’occasion de la publication, par Jean-Charles Borda, de son Mémoire sur l’écoulement des fluides par les orifices des vases (1769).4 Dans cet écrit constituant l’élément déclencheur de la crise de l’hydrodynamique des années 1770,5 Borda affirme en effet que «le principe de conservation 1 Cf. d’Alembert, Opuscules Mathématiques, t. VIII, Paris, 1780, Mémoire 57: Nouvelles recherches sur le mouvement des Fluides dans des Vases, § XI, art. 27, pp. 180-181. 2 D’Alembert, Traité des Fluides, 1744, art. 143, p. 121. 3 Ibidem, Préface, pp. xvij-xviij. 4 Jean-Charles Borda, Mémoire sur l’écoulement des fluides par les orifices des vases, Mémoires de l’Académie Royale des Sciences de Paris pour l’année 1766, Paris, 1769, pp. 579-607. 5 La crise des années 1770 procède d’une volonté, chez les hydrodynamiciens français, de combler l’écart existant, à l’issue de la période 1738-1755, entre les versants théoriques et expérimentaux de la science des écoulements. Pour plus de détails sur le sujet, voir Roger Hahn, L’hydrodynamique au XVIIIe. Aspects scientifiques et sociologiques, Conférence donnée au Palais de la Découverte le 7 novembre 1964, pp. 2-27; Pierre Crépel, Une curieuse lettre de Borda à Condorcet et un non moins curieux article du Journal encyclopédique, dans E. Brian, C. DemeulenaereDouyère (dir.), Histoire et Mémoire de l’Académie des sciences. Guide de recherches, Paris, Tec et Doc, 1996, pp. 325-337; Alexandre Guilbaud, La République des Hydrodynamiciens de 1738 jusqu’à la fin du 18e siècle, «Revue Dix-Huitième Siècle», nº 40, 2008, pp. 173-191.
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des forces vives n’a pas lieu sans restriction»1 dans un certain nombre de problèmes. Il reprend ainsi l’idée d’une perte de forces vives à son compte, perte dont il justifie l’existence en considérant que «le mouvement de l’eau dans les vases, peut être regardé comme celui d’un système de corps durs qui agissent les uns sur les autres d’une manière quelconque».2 D’Alembert, dont la conception des écoulements se trouve, ce faisant, directement mise en cause, ne manque naturellement pas de riposter.3 Dans la seconde édition de son Traité des Fluides, parue en 1770, le, Mémoire 51 § IV et le Mémoire 57 des tomes VI (1773) et VIII (1780) de ses Opuscules Mathématiques, il reviendra donc longuement sur la question, soutenant, comme nous pouvions nous y attendre, l’opinion selon laquelle:4 il ne faut pas confondre l’effet d’un changement rapide, mais qui se fait par degrés infiniment petits, avec celui d’un changement brusque, subit & sans gradation, ce qui est fort différent.
5. Conclusion A travers la loi de continuité, dont nous espérons avoir démontré l’importance dans le cadre du développement de la science des écoulements au XVIIIe, les discussions portent ainsi sur la conception d’un fluide en mouvement selon des critères hérités des querelles mécaniciennes du début de ce siècle. L’étude de l’Hydraulique, du Traité des Fluides et de leur positionnement mutuel sur le sujet devait être abordée en ce sens. C’est ce à quoi nous nous sommes ici consacrés, à la lumière des explications données par Kaestner dans son mémoire de 1769. Nous avons, ce faisant, pu mettre le doigt sur l’importance de la loi de continuité dans la théorie de Jean Bernoulli, dont l’idée de la «gorge» ne constitue finalement qu’une sorte de corollaire physique. Cette conception continue d’un écoulement à l’intérieur d’une conduite de section variable se retrouvant à l’identique dans le Traité des Fluides, nous montrions enfin l’évidente filiation existant, de ce point de vue, entre les deux théories. Cette influence de la théorie de Jean Bernoulli sur celle de d’Alembert est assurément un nouvel élément dont les futures études sur l’œuvre de l’Encyclopédiste en hydrodynamique devront tenir compte. 1 Jean-Charles Borda, Mémoire sur l’écoulement des fluides par les orifices des vases, art. 11, p. 590. 2 Ibidem. 3 Pour une étude de l’œuvre tardive de d’Alembert en hydrodynamique et des différents aspects de sa polémique avec Borda, voir Alexandre Guilbaud, L’hydrodynamique dans l’œuvre de D’Alembert 1766-1783: histoire et analyse détaillée des concepts pour l’édition critique et commentée de ses Œuvres Complètes et leur édition électronique, Thèse de Doctorat, Lyon, Université Lyon 1, 2007. 4 D’Alembert, Opuscules Mathématiques, t. VIII, 1780, Mémoire 57, § XI, art. 32, p. 183.
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Notre dernier mot concernera, pour finir, le mémoire de Kaestner, dont d’Alembert apprend l’existence par l’intermédiaire de Lagrange. Dans sa lettre à l’Encyclopédiste du 16 décembre 1771, ce dernier indique lui avoir fait parvenir le premier volume des Mémoires de l’Académie de Göttingue pour une raison bien particulière:1 c’est qu’il renferme un Mémoire qui vous intéresse particulièrement et qui est une espèce de défense de l’Hydraulique de Jean Bernoulli contre vos objections insérées dans le Traité des Fluides. L’auteur de ce Mémoire est un M. Kästner, qui a une grande réputation en Allemagne comme géomètre et comme littérateur: vous jugerez combien cette double réputation est fondée par la simple lecture du Mémoire dont je vous parle; vous verrez que l’auteur y prétend aussi briller du côté de l’esprit et de la plaisanterie, et vous vous tiendrez les côtes de rire.
L’esprit caustique de Kaestner mis à part, nous avons eu l’occasion d’apprécier la clarté de ses explications, ainsi que la pertinence de l’objection adressée contre le Traité des Fluides. Son mémoire renferme par ailleurs de nombreuses autres réponses aux critiques de d’Alembert contre l’Hydraulique de Jean Bernoulli, dont la teneur aurait également mérité que nous nous y arrêtions. Le même d’Alembert, à qui il semble que les objections du littérateur allemand «ne valent pas trop la peine»,2 finira par y faire explicitement référence dans le Mémoire 51 § IV de ses Opuscules Mathématiques (t. VI, 1773). Le travail de Kaestner, qui «passe surtout», selon Lagrange, «pour un des meilleurs écrivains allemands»,3 n’a donc pas fini de nous éclairer sur les théories hydrodynamiques des plus grands savants de son époque. 1 Joseph-Louis Lagrange, Œuvres Complètes, t. XIII, Paris, 1882, Correspondance inédite de Lagrange et D’Alembert, Lettre 99 du 16 décembre 1771, Lagrange à d’Alembert, p. 222. 2 Ibidem, Lettre 100 du 6 février 1772, d’Alembert à Lagrange, p. 224. 3 Ibidem, Lettre 109 du 15 octobre 1772, Lagrange à d’Alembert, p. 247.
D’ A L E M B E RT E T DA N I E L BE RN OULLI FAC E AU CO N CE P T D E T RAVAIL M É C AN IQUE Yannick Fonteneau* Abstract: Daniel Bernoulli and Jean le Rond d’Alembert are the autors of two major works of their century, i.e. Hydrodynamica in 1738, and the Traité de Dynamique in 1743, respectively. Despite their temporal closeness, their approaches are substantially different. We can exemplify that, by studying the concept of mechanical ‘work’ in their works. It is surprising to notice that it only appears in Bernoulli’s trea-
tise, and never in d’Alembert’s. We suggest here that the differences in focus of the two savants, as well as their epistemological choices, are responsible for their different ways. This study will be revealing of the conditions of emergence of this concept, showing that it only appears in practical applications, in a science that we could call engineering, and that it is totally absent of the theoretical science.
aniel Bernoulli et Jean Le Rond D’Alembert sont les auteurs de deux œuvres majeures de leur siècle, à savoir l’Hydrodynamica en 1738, et le Traité de Dynamique de 1743, respectivement.1 Malgré leur proximité temporelle, les démarches que chacun met en œuvre sont substantiellement différentes. Il est frappant de le constater à propos du concept de travail mécanique, que nous allons prendre ici comme exemple, qui apparait chez Bernoulli, mais pas sous la plume de D’Alembert. Nous suggèrerons que la différence des objets d’études des deux savants, ainsi que leurs choix épistémologiques, sont responsables de ce traitement différencié. De la sorte, cette étude sera révélatrice des conditions d’émergence de ce concept, en montrant qu’il fait jour à l’époque uniquement dans le cadre d’applications pratiques, dans une science qu’on pourrait qualifier de science d’ingénieurs, et qu’il est tout à fait absent de la mécanique théorique de l’époque.
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* Université Lyon 1, EA 4148, LEPS. E-mail: [email protected] 1 Un grand merci à Jérôme Viard pour ses remarques très pertinentes et son aide précieuse. Merci à Pierre Crepel et Christophe Schmit pour leur relecture attentive. «Bollettino di storia delle scienze matematiche» · Vol. XXVIII · 2008 · Fasc. 2
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1. Emergence officielle et definition du travail mecanique Rappelons brièvement de quoi il est question. N’importe quel livre de mécanique nous informe que le travail se calcule par l’intégrale suivante: ∫ F→ · d → x , où F repréP sente la force appliquée en un point, et dx H l’élément infinitésimal de chemin parcouru par le point d’application de cette force. Ainsi si on a une balle tombant en chute libre, la force étant le poids P et la distance parcourue étant la hauteur H, le travail proFig. 1. Objet de poids P duit est tout simplement P. H (Figure 1). Retombant d’une hauteur H. tenons simplement cela. Gustave-Gaspard Coriolis, est le premier a avoir dénommé la quantité dont nous venons de parler «travail», en 1829, quantité qu’avant lui on avait nommé effet dynamique, puissance mécanique ou quantité d’action. Preuve en est cette citation: Nous proposons la dénomination de travail dynamique, ou simplement travail, pour la quantité ∫ P · ds1
Coriolis achève ainsi le travail d’un petit groupe d’ingénieurs du début du 19e s. qui planchaient sur les mêmes questions. Pourtant, ce concept, ou du moins des antécédents de ce concept, existent déjà bien avant Coriolis, et même bien avant les efforts de ses collègues ingénieurs, tels que Navier, Poncelet, etc. Si on considère habituellement que c’est bien Coriolis qui en est l’inventeur, c’est par référence à la théorie physique. En effet jusqu’à lui le concept est certes déjà disponible, mais uniquement utilisé dans le champ de la science pragmatique, la science des machines. Tout le mérite de Coriolis est en fait d’avoir fait entrer ce concept d’ingénieur dans la théorie physique, en créant une équivalence entre le travail (PH) et la force vive (mv2), qui deviendra avec lui égale à ½ mv2, justement pour rendre ces deux concepts parfaitement égaux. Grâce à ce nouvel outil, Coriolis sera à même de réinterpréter toute la mécanique de l’époque. 1 Gustave-Gaspard Coriolis, Du calcul de l’effet des machines, ou considérations sur l’emploi des moteurs et sur leurs évaluation, pour servir d’introduction à l’étude spéciale des machines, Paris, CarilianGolury, 1829, art. 16. Il faut noter que, bien qu’il n’ait pas de notation pour mentionner qu’il s’agit d’un produit scalaire, il prend cependant bien en compte la direction de la force et du chemin considérés.
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Voici qui nous suggère que si, comme nous l’avons dit, Daniel Bernoulli est l’auteur d’une notion de travail, celle-ci reste circonscrite à la science des machines, sans venir interférer avec la science que l’on pourrait qualifier de théorique. L’opposition que nous allons mener entre les démarches de nos deux scientifiques va beaucoup nous aider à éclaircir cette opposition théorie/pratique. Voyons comment Daniel Bernoulli s’y prend. 2. Daniel Bernoulli: l ’ approche schizophrenique Vous allez bientôt comprendre pourquoi nous accusons ainsi ce grand personnage d’une si regrettable affection mentale. L’Hydrodynamica1 est comme chacun sait, l’une des œuvres majeures de la physique du 18e s. Elle relate les travaux les plus importants de la période que l’auteur a passée à Saint-Pétersbourg. Il en écrivit la première version dans cette ville au début des années 1730, alors qu’il a à peine 30 ans, et il n’aura de cesse de tenter de publier son manuscrit à partir de 1733. Ce n’est qu’en 1738 qu’il y parvient enfin. Cependant son père, Jean Bernoulli, véritablement jaloux des découvertes de son fils, publia peu après un ouvrage sur le même sujet, intitulé Hydraulica, et il affirma que les idées contenues dans cet ouvrage lui étaient venues dès 1732. Malgré cette grave querelle, il semble que la réception de son œuvre n’en subit pas de néfastes conséquences,2 même si certains aspects restèrent ignorés pendant longtemps (tels que les prémices d’une théorie cinétique du gaz), et sa postérité fut indiscutable. Un siècle après, en effet, les hommes de science reconnaissent encore en Daniel Bernoulli un précurseur et un avant-gardiste: ainsi Poncelet, impliqué dans la formation du concept de travail, qualifiera son œuvre d’«immortelle».3 Après ce petit rappel historique, passons au cœur du sujet, ici la section IX de son ouvrage. En voici le titre, déjà en quelque sorte, révélateur: «Du mouvement des fluides jaillissant sous l’effet non de leur propre poids, 1 Daniel Bernoulli, Hydrodynamica, sive De Viribus et Motibus Fluidorum Commentarii, dans Gleb K. Mikhailov, Die Werke von Daniel Bernoulli-Band 5- Hydrodynamik II, Basel-BostonBerlin, Birkhäuser Verlag, 2002, pp. 91-424. 2 D’Alembert le cite, par exemple, dès les premières pages de son Traité des Fluides (Jean Le Rond D’Alembert, Traité de l’équilibre et du mouvement des fluides…, Paris, David, 1744); Euler présente l’ouvrage de Daniel Bernoulli comme le premier du genre, en termes très élogieux (cf par ex. Leonhard Euler, Sur le mouvement de l’eau par des tuyaux de conduite dans Histoire de l’Académie des Sciences et Belles Lettres de Berlin (1752), Berlin, Haude & Spener, 1754, pp. 111-148; § IX, p. 115. 3 Victor Ponccelet dans «Compte Rendu de l’Académie des Sciences de Paris», 21 (1845), p. 192, cité par Gleb K. Mikhaïlov, Introduction to Daniel Bernoulli’s Hydrodynamica, dans Die Werke von Daniel Bernoulli, Band 5, Hydrodynamik II, Basel-Boston-Berlin, Birkhäuser Verlag, 2002, pp. 17-78, p. 36
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mais d’une puissance extérieure, et plus particulièrement des machines hydrauliques et du degré ultime de perfection qu’elles peuvent atteindre, ainsi que du moyen de parfaire cela à l’avenir grâce à la mécanique des solides aussi bien que des fluides.1 Notons que jusqu’ici Bernoulli n’avait traité que du mouvement de fluides mus par leur propre poids, et c’est cette condition qui lui permettait d’appliquer l’énoncé de Huygens de l’égalité de la descente réelle et de la remontée potentielle. Nous faisons référence ici à l’expérience paradigmatique d’un pendule, qui remonte, s’il n’y a pas de pertes, à la même hauteur d’où il est parti. On procède alors d’un saut qualitatif en traitant de la sorte toujours le mouvement, mais provoqué par un agent étranger à la machine elle-même. Bernoulli va-t-il alors utiliser les mêmes outils que dans les précédentes sections? Justement pas. Dans son esprit, la nature des sujets étant trop différente pour donner lieu à un traitement similaire, il lui faut donc inventer de nouveaux outils. Les «définitions» du début de la section sont l’occasion de les exposer: J’entends par puissance mouvante ce principe actif consistant en un poids, une pression en action, ou une autre force morte de ce genre.2
C’est donc cette puissance mouvante, inspirée de la force morte leibnizienne, et dimensionnellement exprimable par un poids, qui constitue cet agent externe forçant notre fluide à se mouvoir. Bref elle est la cause du mouvement. Le concept ne semble guère original mais Bernoulli se devait de le nommer. La suite est bien plus attrayante, lorsque Bernoulli présente l’effet de cette cause agissante: De plus, le produit qui vient de la multiplication de cette puissance mouvante par sa vitesse et également par le temps pendant lequel elle exerce sa pression, je le désigne par puissance absolue [Potentia absoluta]. Ou, puisque le produit de la vitesse et du temps est simplement proportionnel à la distance couverte, il sera également permis de comprendre la puissance absolue comme la puissance mouvante multipliée par la distance dont celle-ci se meut.3 1 Daniel Bernoulli, Hydrodynamica, section IX, p. 274. «De motu fluidorum, quae non proprio pondere, sed potentia aliena ejiciuntur, ubi praesertim de Machinis Hydraulicis earundemque ultimo qui dari potest perfectionis gradu, & quomodo mechanica tam solidorum quam fluidorum ulterius perfici possit».Nous soulignons. 2 Ibid., §2, p. 275: «Per potentiam moventem deinceps intelligam principium illud agens, quod consistit in pondere, pressione animata aliisve hujuscemodi viribus, uti dicuntur, mortuis». Traduction personnelle. 3 Ibid. «Productum autem quod oritur a multiplicatione potentiae istius moventis per ejusdem velocotatem aeque ac tempus durante quo pressionem suam exerit, designabo per potentiam absolutam. Vel quia productum ex velocitate & tempore proportionale est simplificiter spatio percurso, licebit etiam potentiam absolutam colligere ex potential movente multiplicata per spatium, quod eadem percurrit».
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Potentia absoluta = P.v.t = P.H. Mais quelle signification physique ce concept possède-t-il? La réponse est immédiate: J’appelle ce produit puissance absolue car c’est à partir de lui que doit être estimé le labeur enduré par les hommes de peine pour l’élévation des eaux, ce qui, je le montrerai bientôt, sera éprouvé par les règles que je donnerai en cette matière.1
Pour la première fois, un terme dont les dimensions sont identiques à celles du travail, pris en son sens moderne, acquiert le statut de concept autonome, et, qui plus est, explicitement relié au labeur, au travail, des hommes. C’est par ce concept que doit être mesuré l’effet appliqué à la machine, quand des hommes sont au travail pour faire agir la puissance mouvante. Bernoulli se justifie de ce choix dans la preuve de la règle 1 par 3 critères: 1. Le labeur des hommes est directement proportionnel au nombre de travailleurs appliqués à l’ouvrage, et donc, proportionnel à la puissance mouvante appliquée, si on raisonne à vitesse constante et sur la même durée. 2. Concernant le temps, si on l’augmente alors on augmente le labeur dans la même proportion. 3. Enfin, que l’on double la puissance mouvante ou qu’on en double la vitesse, il se produit le même effet. Le poids, la vitesse et le temps, multipliés entre eux, sont donc trois paramètres pertinents pour l’évaluation du labeur des hommes, car ces critères se rapportent à l’effet produit. On pourrait croire aussi que le produit qui en résulte se rapporte également à la fatigue endurée par les hommes de peine, puisque ces critères correspondent aux paramètres phénoménaux de la fatigue humaine. Mais Bernoulli précise immédiatement: La précédente proposition ne doit pas être interprétée dans un sens physiologique mais dans un sens moral.2
Qu’est-ce à dire? Ce qualificatif de «moral» fait explicitement référence à Descartes, pour qui la «certitude morale» est la certitude en pratique, celle qui suffit pour le quotidien.3 Ce que veut dire Bernoulli, c’est que ce pro1 Ibid. «Id vero productum ideo voco potentiam absolutam, quia ex illo demum aestimandi sunt labores hominum operariorum in elevandis aquis exantlati, quod mox demonstratum dabo in regulis, quae mihi in hanc rem observatae fuerunt». 2 Ibid., §4, p. 276, «Proposito praecedens non sensu physiologico sed morali est interpretanda». 3 René Descartes, Les principes de la philosophie, IV, 205, in Œuvres de Descartes (publiées par Victor Cousin), Tome III, Paris, Levrault, 1824 (d’après l’édition de 1681, elle-même traduite de la première édition latine de 1644), p. 522: «[…] je distinguerai ici deux sortes de certitude. La pre-
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duit mesure l’effet appliqué à la machine, qui est certes directement équivalent au travail des hommes, mais non à leur fatigue. Par exemple, si un homme se met à soulever un poids deux fois plus important que ce qu’il soulève d’habitude, il produit deux fois plus de labeur, de travail, d’effet donc; de même s’il va deux fois plus vite que la normale en accomplissant son effort, il produira également un effet double. Mais dans le second cas, notre homme se sera bien plus fatigué. Ainsi, les manières d’obtenir le même produit P.v.t sont «moralement» égales mais produisent des fatigues physiologiques différentes. Une nuance importante que notre homme, ayant étudié la médecine et la physiologie, était naturellement porté à remarquer. Il convient donc, nous dit Bernoulli par la suite, de se demander comment doit être constituée la machine de sorte que l’on obtienne une puissance absolue maximale pour une fatigue minimale. Mais Bernoulli ne propose pas de mesure quantitative précise de la fatigue, et se réfère seulement à la sensation de fatigue éprouvée par les opérateurs. Cette mention est néanmoins extrêmement intéressante, puisqu’on retrouvera la même démarche, mot à mot, chez Charles Augustin Coulomb, à partir de 1778, dans un mémoire où la potentia absoluta sera devenue la quantité d’action et qui peut également légitimement être regardé comme un antécédent du travail mécanique: en supposant que nous ayons une formule qui représente l’effet, et une autre qui représente la fatigue, il faut, pour tirer le plus grand parti des forces animales, que l’effet divisé par la fatigue soit un maximum.1
Le texte de Coulomb a été entièrement étudié par François Vatin.2 En 1753, Bernoulli reprendra la même mesure de l’effort exercé sur les machines dans un mémoire ayant remporté le prix de l’académie des sciences de ladite année.3 mière est appelée morale, c’est-à-dire suffisante pour régler nos mœurs; ou aussi grande que celle des choses dont nous n’avons point coutume de douter touchant la conduite de la vie, bien que nous sachions qu’il se peut faire, absolument parlant, qu’elles soient fausses. Ainsi ceux qui n’ont jamais été à Rome ne doutent point que ce ne soit une ville en Italie, bien qu’il se pourroit faire que tous ceux desquels ils l’ont appris les eussent trompés». 1 Charles-Augustin Coulomb, Résultat de plusieurs expériences Destinées à déterminer la quantité d’action que les hommes peuvent fournir par leur travail journalier, suivant les différentes manières dont ils emploient leurs forces, dans Théorie des Machines Simples en ayant égard au frottement de leurs parties et à la roideur des cordages, Paris, Bachelier Quai des Augustins, 1821, p. 256. Ce texte est identique à celui figurant dans les mémoires de l’académie des sciences de 1799. Des versions antérieures avaient été présentées en 1778, 1780 et 1798. 2 François Vatin, Le travail - Economie et physique - 1780-1830, Paris, PUF, 1993. 3 Daniel Bernoulli, Recherches sur la manière la plus avantageuse de suppléer à l’action du vent sur les grands vaisseaux […] Prix de 1753, dans Recueil des pièces qui ont remportés les prix de l’académie royale des sciences, tome VII, Paris, Panckoucke, 1769. Toutefois on observera de sensibles diffé-
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Retenons donc ceci: le labeur d’un homme, son travail, est donc ce qu’il produit et non sa fatigue. Quelle que soit la manière dont l’homme emploie ses forces, ce qui compte au final est l’effet exercé sur la machine, et cet effet est ce qui est défini par Bernoulli comme le labeur, le travail d’un homme, différent de la fatigue éprouvée par lui. En effet, si jamais cette dernière peut être évaluée quantitativement (ce sur quoi il ne se prononce pas), elle n’est pas proportionnelle au traFig. 2. Fig. de l’Hydrodynamica, vail. On verra nettement toute la représentant une pompe. distance qu’il y a entre Bernoulli qui n’hésite pas à prendre un référent anthropomorphique, et son cadet D’Alembert pour qui une telle idée relève de la métaphysique la plus délirante. En même temps que cette référence anthropomorphique, Bernoulli se rattache aux machines, en différenciant l’effet exercé sur la machine, la potentia absoluta donc, de l’effet produit par la machine. A moins bien sûr que nous faisions en sorte qu’il n’y ait nulle friction et nul effet inutile. C’est l’essence de la règle 2: Avec la même puissance absolue donnée, je dis que toutes les machines qui ne souffrent d’aucune friction et qui ne génèrent aucun mouvement inutile pour la fin proposée maintiennent le même effet, et qu’on ne doit donc pas en préférer une à une autre.1
Mais cette idéalité, cette machine sans friction et sans mouvement inutile, est une chimère, une fiction, mais une fiction rationnelle, qui permet au phénomène général et au comportement réel de coïncider. C’est par différence vis-à-vis de cette chimère théorique atteinte par pure et arbitraire annulation des contraintes réelles signant l’impossibilité du mouvement perpétuel, sur cette représentation industrielle de l’idée de rences dans la manière de concevoir la fatigue, ainsi que dans le lien existant entre travail et force vive. Ces considérations feront l’objet d’un prochain article. 1 Daniel Bernoulli, Hydrodynamica, section IX, § 5, p. 277. «Existente eadem potentia absoluta dico omnes machinas, quae nullas patiuntur frictiones & quae nullos motus ad propositum finem inutiles generant, eundem effectum praestare neque adeo unam alteri praeferendam esse».
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conservation, que va se penser le mouvement des machines réelles. La machine réelle devient donc compréhensible par différence avec l’idéalité choisie, cette dernière devenant ainsi une hypothèse de travail. La potentia absoluta et la force vive ne se recouvrent pas On voit l’application de cette méthode dans le calcul des pertes de potentia absoluta.1 C’est l’objet de la règle 5. Nous allons exposer cette règle, parce qu’elle est un exemple de la schizophrénie dont j’ai parlé tout à l’heure. Considérons la figure 2, nous dit Bernoulli. Voici le genre de choses sur lesquelles il raisonne. Remarquez le poids P. Il remplace le poids de la colonne d’eau, qui, si il était absent, serait présente entre le plateau AB et le point G. AB est le niveau du plateau de départ. G marque donc la hauteur à laquelle monterait le fluide animé par la puissance mouvante P, si le tuyau ne s’incurvait pas au niveau du point F. Bien entendu, comme il existe toujours des frictions dans la réalité, le fluide ne montera jamais jusqu’au niveau du point G, même si le tuyau ne s’incurve pas. Mais nous sommes précisément dans le cas idéal, la fiction rationnelle dont nous venons de parler. Mais ici le constructeur de la machine a voulu incurver le tuyau en F, donc le fluide va sortir avec une certaine vélocité. Si le tuyau s’était poursuivi jusqu’en G, la vitesse du fluide en ce point aurait été nulle par définition. Finalement le poids P est trop important pour la tâche demandée, il s’ensuit consécutivement une perte de potentia absoluta (¢ (PA) ci dessous). D’après Bernoulli elle s’exprime ainsi: ¢(PA) = FG.
(PA)
AG
Pourquoi? C’est très simple. Dans le cas idéal, quand le fluide monte jusqu’en G, la puissance mouvante à l’œuvre (PG), est le poids P. Soit VP la vitesse du point P dans ces conditions,2 et un temps t pendant lequel on considère l’action. La puissance absolue sera égale alors à (PA)G = P.VP.t. Et il est évident, si le diamètre du réservoir d’eau de gauche reste constant, que le poids P, le poids de la colonne d’eau, donc, sera proportionnel à la hauteur d’eau, donc AG. Maintenant prenons le cas où le tuyau s’incurve au niveau de F. Bernoulli propose d’élargir démesurément l’ouverture, mais en gardant le même débit. Dans ce cas, il est clair qu’à partir d’un certain diamètre 1 Ibid., § 10 p. 280. «Dispendium potentiae absolutae […]». 2 Il s’agit ici d’une vitesse moyenne, puisque la vitesse varie pendant l’action du poids.
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l’eau qui sort de notre tuyau aura une vitesse quasiment nulle. De la sorte, c’est comme si on avait juste le poids de la colonne d’eau de hauteur AF qui était à l’œuvre en tant que puissance mouvante. Appelons ce poids, cette puissance mouvante, PF. PF est donc proportionnelle à cette hauteur d’eau AF, en considérant toujours le diamètre du réservoir de gauche comme constant. Puisque le débit reste le même que dans le premier cas, nous avons donc que la vitesse V de cette nouvelle puissance mouvante est égale à la vitesse précédente VP. Et on considère toujours le même temps. On a donc: (PA)F = PF.VP.t
Donc la différence de potentia absoluta est: ¢(PA)G – (PA)F = (P – PF).VP.t
Qui est donc, comme nous l’avons dit, proportionnelle à la différence des hauteurs d’eau: (AG – AF).VP.t = FG.VP.t
On a donc bien: ¢(PA) = FG et ¢(PA) = (PA) · FG
(PA)
AG
AG
Des pertes de puissance absolue peuvent donc avoir lieu. Mais on ne peut pas s’empêcher de penser comme lecteurs modernes que cette puissance absolue est dimensionnellement identique à la force vive, qui se calcule par la masse d’un corps par sa vitesse au carré, mais également par le poids de ce corps par sa hauteur de chute PH. L’équivalence des deux mesures, force vive PH, et puissance absolue P.v.t est si évidente pour nous que nous nous demandons pourquoi au lieu de puissance absolue Bernoulli ne parle pas directement de force vive, et dans cet exemple, de perte de force vive, notion si commune dans le reste de son Hydrodynamica. Mais cela n’arrive jamais dans l’Hydrodynamica. Lorsqu’il est dans un cadre théorique, il utilise la force vive, et dans des cadres pratiques, il utilise de nouveaux outils. La schizophrénie dont il fait preuve est spectaculaire. En voici un autre exemple. Dans le scolie général de la règle 10,1 Bernoulli démontre que la valeur absolue ne dépend pas du chemin parcouru, mais seulement de la différence de hauteur entre le point le plus haut de la trajectoire et son point le plus bas. Et voici ce que nous dit Bernoulli: 1 Ibid., § 26, p. 292.
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La puissance absolue a ceci en commun avec la force vive ou avec la descente ou remontée réelle.1
On voit toute la distance qui sépare ces deux concepts dans l’esprit de Bernoulli! Ils ont un point en commun, le fait de ne dépendre que de la hauteur, et non de la distance, parcourue. Et c’est tout ce qui les rapproche. Ce caractère commun, énoncé au détour d’un paragraphe, noyé au milieu de cette section, ne fonde en aucun cas une identité, de l’aveu même de Bernoulli. Une équivalence alors, c’est-à-dire que nous pourrions remplacer un des concepts par l’autre et obtenir la même chose, même en donnant des significations distinctes à ces deux concepts? Non plus. Bernoulli ne dit rien de tel: un caractère commun, c’est bien tout, de deux entités conceptuellement très différentes, que Bernoulli n’essaye pas de substituer l’une à l’autre. C’est finalement presque par accident qu’on en vient à trouver un caractère commun, énoncé plus comme une curiosité que comme une propriété fondamentale. On observe donc que l’approche de Bernoulli se caractérise par plusieurs points. D’une part, il ne craint pas d’inventer de nouveaux concepts lorsqu’une situation nouvelle se présente à lui. D’autre part il n’éprouve aucune réticence à rattacher ses concepts à un référent anthropomorphique. Troisièmement, il ne craint pas de s’attaquer à la science des machines. Enfin, last but not least, son approche est différenciée suivant le caractère pratique ou théorique de ce qu’il étudie, les domaines ne se recouvrent pas, et les concepts restent cloisonnés. Nous allons observer, en contrepoint, la grande différence d’approche qu’il entretient avec D’Alembert. 3. D’Alembert, confus? D’Alembert est, comme chacun sait, l’auteur du Traité de dynamique, œuvre majeure du 18e siècle publiée pour la première fois en 1743,2 puis rééditée en 1758. Nous allons en examiner la préface, dans sa première édition. C’est l’occasion pour lui d’introduire son propos, d’une part en présentant le plan de l’ouvrage et en explicitant ses intentions, mais également en exposant et justifiant les choix épistémologiques à l’œuvre dans son ouvrage. 1 «Habet hoc commune potential absoluta cum vi viva seu cum asensu descensuve actuali». Nous soulignons dans la version française. 2 Jean Le Rond D’Alembert, Traité de dynamique, Paris, David, 1743. Nous utilisons ici cette première édition.
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D’Alembert, tout d’abord, expose quelques considérations sur la différence entre Géométrie, Algèbre, et Mécanique, constatant pour cette dernière qu’on avait jusque là particulièrement négligé de réduire ses principes au plus petit nombre et aux plus simples possibles. De sorte qu’il se propose un double objet: reculer les limites de cette science en simplifiant ses principes (p. iv). A la suite de cela, il se concentre sur le mouvement, disant que la géométrie ne considère dans celui-ci que l’espace parcouru, tandis que la mécanique y ajoute le temps, et que, si par la seule application de la Géométrie et du calcul, on peut trouver les propriétés générales du mouvement, on ne peut cependant pas par cette méthode, déterminer comment il arrive que le mouvement d’un corps suive telle ou telle loi, ce qui est la première question appartenant à la mécanique (p. viii). Pour résoudre tous les problèmes où l’on considère le mouvement d’un corps, nous dit-il, il faut et il suffit de faire appel à trois principes: le principe de l’équilibre, celui de la force d’inertie, et celui du mouvement composé. C’est sur ceux-ci qu’il se propose de se baser dans son Traité pour expliquer toutes les lois du mouvement des corps, en toutes circonstances (pp. ix-xv). Ainsi il se refuse à utiliser le principe que la force accélératrice soit proportionnelle à l’élément de vitesse, et il ne prête aucune attention aux causes motrices. S’il procède ainsi, c’est que les trois principes dont il se sert ne lui semblent pas être sujets aux mêmes critiques que les précédents, en ce qu’ils ne font pas appel à des considérations métaphysiques. En effet, en ce qui concerne la proportionnalité de la force accélératrice à l’élément de vitesse, il la discrédite, affirmant qu’elle repose sur l’axiome «vague et obscur, que l’effet est proportionnel à la cause» (p. xi). De même, il nie tout caractère ontologique à la notion de force, qui ne doit surtout pas être comprise comme inhérente au corps mais doit être restreinte à désigner un effet (p. xvi, par exemple).1 On retrouve la même conviction dans l’article Force de l’Encyclopédie, dont il est l’auteur. Au sens premier, qui renvoie à l’expérience psychologique de l’effort, cette notion désigne «la sensation que nous éprouvons et que nous ne pouvons pas supposer dans une matière inanimée».2 D’Alembert attribue à une sorte d’illusion anthropomorphique notre croyance en l’existence dans un être inanimé d’une puissance motrice: 1 Cf. à ce sujet Jérôme Viard, D’Alembert et le langage scientifique: l’exemple de la force, un malentendu qui perdure, dans Sciences, musiques, Lumières, Mélanges offerts à Anne-Marie Chouillet, Ulla Kölving et Irène Passeron eds., Centre International d’étude du XVIIIème siècle Ferney-Voltaire, 2002, pp. 93 à 106. Particulièrement p. 95. 2 Encyclopédie, tome 7, p. 111
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Nous sommes fort enclins à croire qu’il y a dans un corps en mouvement un effort ou énergie, qui n’est point dans un corps en repos. La raison pour laquelle nous avons tant de peine à nous détacher de cette idée, c’est que nous sommes toujours portés à transférer aux corps inanimés les choses que nous observons dans notre propre corps.1
Ainsi, poursuit il, une fois transposée à des corps inanimés, la force désigne: un être métaphysique, différent de la sensation, mais qu’il nous est impossible de concevoir, et par conséquent de définir.2
Il n’est donc pas surprenant qu’il se refuse à prendre parti pour l’un ou l’autre camp dans la question des forces vives (pp. xvi-xxii), à savoir si la force d’un corps en mouvement doit être mesurée par le produit de la masse par la vitesse au carré (mv2), ou bien par la masse par la vitesse seulement (m.v). En effet, une force ne désigne pour lui qu’un effet. Cet effet peut se comprendre soit comme mouvement retardé (comme dans le cas d’un mobile jeté en l’air ralenti progressivement par la pesanteur), soit comme l’équilibre (dans le cas d’une balance, ou bien lorsque deux corps de même masse et de même vitesse se choque frontalement, restant sans mouvement après le choc). Dans le premier cas, on constate que la hauteur atteinte est proportionnelle au carré de la vitesse avec laquelle on a initialement lancé le mobile. De même le nombre de ressorts qu’un solide tombant en chute libre pourra enfoncer, sera proportionnel au produit de sa masse par sa vitesse au carré au moment de l’impact. L’effet, quand il s’agit du mouvement retardé, se mesure donc par mv2. Au contraire, quand deux corps se choquent et restent sans mouvement, on constate que le produit de leur masse par leur vitesse, est égal pour chacun. Ainsi dans ce cas où l’effet est l’équilibre, m.v est une mesure pertinente des choses. Pour D’Alembert, il n’y a donc pas de problème. On a affaire à deux effets de nature différente, l’équilibre et le mouvement retardé, et il n’y a donc aucune contradiction à ce qu’on ait deux mesures différentes pour ces deux types d’effet: Au fond, quel inconvénient pourroit-il y avoir, à ce que la mesure des forces fût différente dans l’équilibre et le Mouvement retardé, puisque, si on veut ne raisonner que d’après des idées claires, on doit n’entendre par le mot de force, que l’effet produit en surmontant l’obstacle ou en lui résistant? (p. xx)
1 Ibid.
2 Ibid.
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Opinion très acceptable et tout à fait cohérente dans la vision des choses qu’il propose. Mais, avant de refermer la parenthèse qu’il a ouverte sur le sujet des forces vives, il conclut par une phrase dont on peut légitimement être surpris: Il faut avouer cependant, que l’opinion de ceux qui regardent la force comme le produit de la masse par la vitesse, peut avoir lieu non seulement dans le cas de l’équilibre, mais aussi dans celui du mouvement retardé, si dans ce dernier cas on mesure la force, non par la quantité absolue des obstacles, mais par la somme des résistances de ces mêmes obstacles. […] d’ailleurs en estimant ainsi la force, on a l’avantage d’avoir pour l’équilibre et pour le mouvement retardé une mesure commune […] (pp. xx, xxi)
Cependant, sans laisser le temps au lecteur de penser plus avant la question, il se reprend: […] néanmoins comme nous n’avons d’idée précise et distincte du mot de force, qu’en restreignant ce terme à exprimer un effet, je crois qu’on doit laisser chacun le maître de se décider comme il voudra là-dessus […] (p. xxi)
Voilà qui est bien surprenant en effet, de discourir tout d’abord sur le fait que la force se mesure différemment suivant l’effet auquel elle est associée, puis d’affirmer que ces deux effets, finalement, pourraient bien avoir la même mesure, avant de revenir à son idée première. D’Alembert s’exprime souvent de manière peu claire, pour nous autres contemporains, car il est connu qu’il écrit «au fil de la plume», sans forcément revenir sur ses formulations. Pourtant, il est rarement incohérent. Comment donc comprendre ce qu’il cherche à faire ici? Tout d’abord, il s’agit de comprendre dans les citations précédentes, ce qu’il appelle «quantité absolue des obstacles» et «somme des résistances». Ces expressions désignent des choses très précises, associées respectivement au mouvement retardé, et à l’équilibre. Revenons là-dessus. Pour ce faire, il nous faut bien comprendre la notion de force telle que l’envisage D’Alembert. Nous avons déjà dit qu’il considérait la force non comme inhérente au corps mais simplement comme un effet, à travers le mouvement de ces corps. Mais il se montre plus précis: Quand on parle de la force des Corps en Mouvement, ou l’on n’attache point d’idée nette au mot qu’on prononce, ou l’on ne peut entendre par-là en général, que la propriété qu’ont les Corps qui se meuvent, de vaincre les obstacles qu’ils rencontrent, ou de leur résister. (pp. xvii-xviii)
Cette dichotomie entre obstacles que l’on vainc ou auxquels on résiste est essentielle:
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Ce n’est donc ni par l’espace qu’un Corps parcourt uniformément, ni par le tems qu’il employe à le parcourir, ni enfin par la considération simple, unique & abstraite de sa masse & de sa vitesse qu’on doit estimer immédiatement la force, c’est uniquement par les obstacles qu’un Corps rencontre, & par la résistance que lui font ces obstacles. (p. xviii)
Ces obstacles peuvent être de trois sortes pour un corps en mouvement. Soit un obstacle insurmontable, qu’il ne pourra pas vaincre: on ne peut rien déduire de la force initiale de la pierre dans ce cas. Soit un obstacle qui anéantisse le mouvement du corps ‘en un instant’, c’est-à-dire le cas de l’équilibre: ici on peut envisager de pouvoir mesurer la force des corps. Soit enfin un obstacle qui retarde peu à peu le corps, c’est ce qu’il appelle le mouvement retardé, permettant lui aussi de mesurer la force des corps. Alors comment envisage t-il exactement ces notions de mouvement retardé et d’équilibre? En ce qui concerne d’abord le mouvement retardé, on en connaît bien que trois à l’époque: – Soit un objet lancé dans le champ de pesanteur, et qui verra donc sa vitesse diminuée petit à petit jusqu’à atteindre sa hauteur maximale. On sait que la hauteur atteinte est proportionnelle au carré de la vitesse avec laquelle on lance l’objet, et ce depuis au moins Huygens. – Soit un objet tombant sur des ressorts. Ici le retardement intervient pendant le contact de l’objet avec le ressort: la vitesse de l’objet diminue jusqu’à atteindre 0. Jean Bernoulli, dans son discours sur les loix de la communication du mouvement en 1724, a démontré que le nombre de ressorts fermés ou successivement ou en même temps par un corps était proportionnel à m.v2. Donc si un corps de masse 1 et de vitesse 1 ferme un seul ressort, un corps de masse 2 et de vitesse 2 en fermera 8. – Soit enfin des objets tombant dans de la terre glaise, suivant les expériences réalisées quelques années auparavant par Gravesande.1 Ici aussi les profondeurs auxquelles les objets parviennent à s’enfoncer sont proportionnelles à m.v2. Dans ces trois cas les obstacles désignent la pesanteur, des ressorts, et de la terre glaise. Ils ne sont pas mesurables en l’état. La quantité absolue des obstacles, elle, est une notion plus précise puisqu’elle désignera alors respectivement: 1 Willem Jacob’s Gravesande, Eléments de Physique ou introduction à la philosophie de Newton, Paris, Jombert, 1747 (traduit du latin par C. F. Roland de Virloys). On a pris pour l’auteur la forme orthographique internationale.
d’alembert et bernoulli face au travail mécanique – soit la distance à laquelle le corps s’élève (en quelque sorte le ‘nombre d’unités de longueur’), qui est, comme on vient de le dire, proportionnel à v2; – soit le nombre de ressorts identiques enfoncés; – soit enfin la profondeur à laquelle s’enfoncent des objets dans de la terre glaise; La quantité absolue des obstacles sera donc proportionnelle à la quantité mv2.
H1
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H2
M1
M2
Fig. 3. Une simple balance en équilibre.
M V
V
M
Fig. 4. Deux corps de même masse, et de même vitesse arrivant Le cas de l’équilibre, quant à lui, l’un sur l’autre. peut avoir lieu dans deux conditions: – La première correspond par exemple à une balance équilibrée comme sur la figure 3. On peut certes définir l’équilibre par la relation bien connue M1/M2= H1/H2, mais on peut aussi recourir aux vitesses virtuelles, c’est-à-dire les vitesses qu’auraient les objets si soudainement les corps étaient libérés de leurs contraintes. Le produit de la masse par la vitesse virtuelle, mv, est dans ces conditions une mesure pertinente de l’équilibre. Il convient de concevoir ici que cette définition correspond bien à ce qu’a dit D’Alembert auparavant de l’équilibre conçu comme mouvement «anéantit dans un instant»: à chaque instant les tendances au mouvement de M1 et M2 s’anéantissent, empêchant d’acquérir la vitesse virtuelle correspondante. – Mais D’Alembert utilise aussi la notion d’équilibre pour désigner un deuxième cas: celui de deux corps qui se choquent et qui restent sans mouvement après ce choc. Le cas le plus simple consiste en deux mobiles de même masse qui arrivent l’un sur l’autre dans le même axe et avec la même vitesse (Voir Figure 4). Donc si chacun des produits des masses par les vitesses (réelles ici) est identique pour les deux corps, on se trouvera dans une situation d’équilibre.
Dans ces deux cas, les corps «résistent» à l’obstacle mais ne le vainquent pas. La force des corps va se mesurer ici par leur résistance aux obstacles, à savoir la quantité de mouvement, mv. Jusqu’ici l’effet, équilibre ou mouvement retardé, est associé aux si-
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tuations physiques d’un corps résistant à un obstacle ou surmontant l’obstacle, et détermine la manière dont on doit mesurer la force du corps, mv ou mv2. Puis à la suite de cela, comme nous l’avons déjà cité, D’Alembert affirme: Il faut avouer cependant, que l’opinion de ceux qui regardent la force comme le produit de la masse par la vitesse, peut avoir lieu non seulement dans le cas de l’équilibre, mais aussi dans celui du mouvement retardé, si dans ce dernier cas on mesure la force, non par la quantité absolue des obstacles, mais par la somme des résistances de ces mêmes obstacles. (p. xx)
Il précise qu’en effet la quantité de mouvement est proportionnelle à la «somme des résistances», si par cette dernière expression on entend ∫ F.dt, avec F la force en jeu, et dt l’élément infinitésimal de temps puisque: […] de l’aveu de tout le monde, la quantité de Mouvement que le Corps perd à chaque instant, est proportionnelle au produit de la résistance par la durée infiniment petite de l’instant, & […] la somme de ces produits, est évidemment la résistance totale. (pp. xx, xxj)
Autrement dit ∫ F.dt = ¢ mV. Il poursuit: Toute la difficulté se réduit donc à savoir si on doit mesurer la force par la quantité absolue des obstacles, ou par la somme de leurs résistances. Il me paroîtroit plus naturel de mesurer la force de cette dernière manière; car un obstacle n’est tel qu’en tant qu’il résiste, & c’est, à proprement parler, la somme des résistances qui est l’obstacle vaincu: d’ailleurs, en estimant ainsi la force, on a l’avantage d’avoir pour l’équilibre & pour le Mouvement retardé une mesure commune. (p. xxi)
Ce que D’Alembert fait ici, c’est qu’il propose de remplacer la mesure de la force dans le cas du mouvement retardé, jusqu’ici donnée par la quantité absolue des obstacles mv2, par la somme des résistances, ∫ F.dt, soit ¢ mV. Mais c’est là où apparaît une confusion temporaire. Car il nous dit qu’un obstacle n’est tel qu’en tant qu’il résiste, et que c’est la somme des résistances qui est l’obstacle vaincu. De la sorte il désolidarise l’obstacle vaincu de sa mesure en terme de quantité absolue d’obstacles, ce qui était sa méthode jusque là, et propose que cet obstacle vaincu, au final, puisse se mesurer par la somme des résistances. Or une résistance est typiquement ce que subit un corps en équilibre, comme il nous l’a exposé précédemment. Il s’agit donc ici de considérer que le corps, dans le cas du mouvement retardé, vainc successivement chacune des résistances opposées à son mouvement, et qu’en en faisant la somme, nous aurons une mesure de l’obstacle vaincu. Mais l’obstacle vaincu suppose au contraire que sa résistance ait été surmontée, donc que l’équilibre ait été rompu. L’équilibre n’est plus tel si on le rompt.
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La mesure de la force est à ce moment-ci de son discours, disjointe de l’effet envisagé, équilibre ou mouvement retardé, et cette manière d’envisager ce dernier comme le fait de surmonter une série d’équilibres, lui fait proposer une mesure unique pour les deux effets. Mais, comme hésitant, il referme cette ébauche et ne cherche pas à imposer cette tentative unificatrice, en énonçant immédiatement après: néanmoins comme nous n’avons d’idée précise & distincte du mot de force, qu’en restraignant ce terme à exprimer un effet, je crois qu’on doit laisser chacun le maître de se décider comme il voudra là-dessus; & toute la question ne peut plus consister, que dans une discussion Métaphysique très-futile, ou dans une dispute de mots plus indigne encore d’occuper des Philosophes. (p. xxi)
Il nous semble pouvoir expliquer cette confusion temporaire par ce qu’on pourrait appeler une lacune théorique, cependant non propre à D’Alembert seul. En effet, ce qui est en cause ici semble bien être une lacune concernant le statut de l’obstacle vaincu. D’Alembert, dans le cas du mouvement retardé, associe cet obstacle vaincu à la quantité absolue des obstacles, soit mv2, puis tente de le caractériser par la somme des résistances, soit ∫ F.dt. S’il avait caractérisé cet obstacle vaincu par ∫ F.dx, autrement dit par un travail mécanique, alors évidemment il n’aurait pas proposé de l’associer avec la somme des résistances ∫ F.dt. Mais de fait, cette définition-là de l’obstacle vaincu se serait accordée avec celle qu’il propose de la quantité absolue des obstacles, mv2. Ce vide théorique concernant le statut de ∫ F.dx, et son absence de signification physique, laisse libre champ à des interprétations telles qu’il le propose, et ne lui permet pas de se rendre compte de l’importance de la notion de distance dans ce cas précis: il propose qu’un obstacle vaincu soit une somme de résistances; or une résistance, dans la définition qu’il en fait, suppose précisément que l’obstacle ne soit pas vaincu, et qu’aucune distance ne soit parcourue. Il semble donc clair que ∫F.dx ne recouvre rien dans l’esprit de D’Alembert et qu’aucun concept de travail mécanique n’est associé à une telle expression. Cependant, si tel est le cas, c’est que la notion n’est pas disponible dans la science théorique d’alors, pas plus chez D’Alembert que chez Bernoulli, puisque précisément ce dernier n’envisage l’utilisation de son concept de potentia absoluta qu’à des problèmes pratiques, et il est parfaitement impensable pour lui que la pesanteur ou tout autre entité naturelle puisse exercer un travail. D’Alembert n’est donc pas amené à utiliser un concept de travail mécanique, pour différentes raisons, liées à son épistémologie propre, et à une indisponibilité dans le monde théorique d’alors. D’une part, le travail étant lié, comme on l’a vu chez Bernoulli, à une représentation de l’effort physique, et D’Alembert refusant tout anthro-
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pomorphisme, comme on l’a vu au sujet de la force, il est logique qu’il ne fasse pas appel à une notion qui contredise ses présupposés. Deuxièmement, D’Alembert cherche à construire une mécanique a minima, pourvue du plus petit nombre de principes possibles, car les principes en sont d’autant plus féconds qu’ils sont en plus petit nombre (p. iii). Dans ces conditions, créer de nouveaux concepts, surcharger encore l’édifice ne va pas dans le sens, d’après D’Alembert, d’un éclaircissement. Troisièmement, l’importance de la notion d’équilibre, et sa tendance à se représenter son sujet comme une succession d’états d’équilibre,1 l’empêche de concevoir les choses par le biais du parcours spatial d’une force. Mais surtout, c’est que cette notion de travail, si elle existe dans la science des machines, est tout à fait extérieure à une représentation théorique de la nature, à l’époque. Ne s’appliquant pour l’heure qu’à la description d’ouvrages mettant en œuvre l’effort des hommes, ou à la rigueur la force des fluides mais par la médiation d’une machine productive, elle n’a fait aucune percée dans le monde théorique. 4. Conclusion: le travail, concept d ’ ingenieur Les cas de Bernoulli et de D’Alembert prennent à présent, chacun en contrepoint de l’autre, tout leur sens. Car la différence essentielle entre les démarches, s’il ne fallait les réduire qu’à ça, consiste dans le fait, que d’un côté nous avons une œuvre théorique, une volonté d’axiomatiser la mécanique: Mais on n’a pas été si attentif, ni à réduire les Principes de ces Sciences au plus petit nombre, ni à leur donner toute la clarté qu’on pouvoit désirer. La méchanique surtout, est celle qu’il paroît qu’on a négligé le plus à cet égard […] En général, on a été plus occupé jusqu’à présent à augmenter l’édifice; & on a pensé principalement à l’élever, sans donner à ses fondemens toute la solidité convenable.2
Tandis que l’œuvre de Daniel Bernoulli se veut une application, au moins dans ses derniers chapitres dont fait partie l’extrait que nous avons exposé. On a affaire ici à de la mécanique appliquée, à une science des machines. Bernoulli, d’ailleurs, se veut très clair dès la préface de l’Hydrodynamica: L’unique fin de cet écrit, est que je serve à l’Académie, dont tous les travaux visent à ce qu’elle fasse avancer les accroissements des bonnes lettres et les utilités publiques. 1 Cf. Alain Firode, La dynamique de D’Alembert, Montréal-Paris, Bellarmin-Vrin, 2001. 2 Traité de dynamique, pp. iii, iv.
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Voilà bien ce qui est tout à fait remarquable et dont nous avons l’illustration dans les œuvres de ces deux auteurs: le concept de travail mécanique ne prend pas naissance dans la science théorique de l’époque. C’est dans la science des machines, par des considérations pragmatiques, et économiques d’ingénieurs, que le concept prend forme. Et ce qui est vraiment remarquable, c’est que les domaines sont sur ce point complètement imperméables. Même Bernoulli ne fait pas entrer son concept dans le cadre de ses réflexions théoriques relatives à l’Hydrodynamica. Jamais son concept de travail la potentia absoluta n’est unifié à la force vive mv2 dans cette œuvre. Il les laisse côte à côte, chacun dans ses chapitres respectifs, et même à une occasion dans la même phrase, sans jamais relier clairement les deux concepts. Le concept de travail pourtant n’a pas attendu Bernoulli pour apparaître dans la science des machines. Il y est présent, sous une forme différente, depuis les travaux de Guillaume Amontons en 1699,1 ainsi que de Antoine Parent en 1704,2 dans la même collection de mémoires. Pourtant ce n’est qu’en 1829 que le concept de travail mécanique entre officiellement dans la théorie physique, grâce aux travaux d’un petit groupe d’ingénieurs, et dont le dépositaire est Gustave Gaspard Coriolis, dans son ouvrage Du calcul de l’effet des Machines. Coriolis, en fait, ne crééra mathématiquement rien. Mais il réinterprétera la mécanique théorique grâce au concept de travail, en le rattachant enfin clairement à la force vive. Désormais l’œil des scientifiques sur la physique ne sera plus le même, et pour paraphraser Thomas Kuhn, ils ne vivent plus dans le même monde. Et alors qu’il aura fallu 130 ans pour que le concept de travail passe de la science des machines à la science théorique, il ne faudra plus attendre qu’une vingtaine d’années pour que simultanément apparaisse le concept d’énergie chez plusieurs auteurs, qui l’auront inventé non pas à partir de la force vive, mais bien à partir du concept de travail, grâce notamment à l’équivalence entre travail et quantité de chaleur. Nous avons ici un très bel exemple de la contribution de la science pragmatique, liée à des préoccupations économiques, à la constitution de la science théorique. 1 Guillaume Amontons, Moyen de substituer commodément l’action du feu à la force des hommes et des chevaux Pour mouvoir les Machines, dans Histoire de l’Académie Royale des Sciences (1699), Paris, Martin, Coignard, & Guerin, 1732 (Mémoires), pp. 112 à 126. 2 Antoine Parent, Sur la plus grande perfection possible des machines, dans Histoire de l’académie royale des sciences (1704), Paris, Martin, Coignard, & Guerin, 1745 (Mémoires), pp. 323-338.
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Guillaume Amontons, Moyen de substituer commodément l’action du feu à la force des hommes et des chevaux Pour mouvoir les Machines, dans Histoire de l’Académie Royale des Sciences (1699), Paris, Martin, Coignard, & Guerin, 1732 (Mémoires), pp. 112-126. Daniel Bernoulli, Hydrodynamica, sive De Viribus et Motibus Fluidorum Commentarii, dans Gleb K. Mikhailov, Die Werke von Daniel Bernoulli-Band 5Hydrodynamik II, Basel-Boston-Berlin, Birkhäuser Verlag, 2002, pp. 91-424. —, Recherches sur la manière la plus avantageuse de suppléer à l’action du vent sur les grands vaisseaux […] Prix de 1753, dans Recueil des pièces qui ont remportés les prix de l’académie royale des sciences, tome VII, Paris, Panckoucke, 1769. Gustave-Gaspard Coriolis, Du calcul de l’effet des machines, ou considérations sur l’emploi des moteurs et sur leurs évaluation, pour servir d’introduction à l’étude spéciale des machines, Paris, Carilian-Golury, 1829. Charles-Augustin Coulomb, Résultat de plusieurs expériences Destinées à déterminer la quantité d’action que les hommes peuvent fournir par leur travail journalier, suivant les différentes manières dont ils emploient leurs forces, dans Théorie des Machines Simples en ayant égard au frottement de leurs parties et à la roideur des cordages, Paris, Bachelier, Quai des Augustins, 1821. Jean Le Rond D’alembert, Traité de dynamique, Paris, David, 1743. —, Traité de l’équilibre et du mouvement des fluides…, Paris, David, 1744. Jean Le Rond D’alembert, Denis Diderot, Encyclopédie, ou Dictionnaire Raisonné des Sciences, des Arts et des Métiers, 1751-1772. Rene Descartes, Les principes de la philosophie, dans Œuvres de Descartes (publiées par Victor Cousin), Tome III, Paris, Levrault, 1824 (d’après l’édition de 1681, elle-même traduite de la première édition latine de 1644). Leonhard Euler, Sur le mouvement de l’eau par des tuyaux de conduite, dans Histoire de l’Académie des Sciences et Belles Lettres de Berlin (1752), Berlin, Haude & Spener, 1754, pp. 111-148. Alain Firode, La dynamique de D’Alembert, Montréal-Paris, Bellarmin-Vrin, 2001. Willem Jacob’s Gravesande, W. J., Eléments de Physique ou introduction à la philosophie de Newton, Paris, Jombert, 1747 (traduit du latin par C. F. Roland de Virloys). Antoine Parent, Sur la plus grande perfection possible des machines, dans Histoire de l’académie royale des sciences (1704), Paris, Martin, & Guerin, 1745 (Mémoires) pp. 323-338. François Vatin, Le travail - Economie et physique - 1780-1830, Paris, puf, 1993. Jerome Viard, D’Alembert et le langage scientifique: l’exemple de la force, un malentendu qui perdure, dans Sciences, musiques, Lumières, Mélanges offerts à Anne-Marie Chouillet, Centre International d’étude du XVIIIème siècle Ferney-Voltaire, Ulla Kölving et Irène Passeron eds., 2002, pp. 93 à 106.
L ES LUN E T T E S ACH RO M AT IQUE S : U N ENJ E U E U RO P É E N DA NS LA D E UX IÈ M E M O I T I É D U 1 8 e S IÈ C LE Fabrice Ferlin* Abstract: This paper is concerned with the history of optical aberrations, from Galileo to the 1770s. since the first telescopes were without corrections, they had restricted powers. Newton asserted that it was impossible to solve this problem; but in 1747 Euler proposed a solution. during the 1750s, polemics arose between Euler (Prussia), Klingenstierna (Sweden) and Dollond (Great-Britain) who produced for sale the first achromatic lens. accurate theories, in order to correct chromatic and spherical aberrations, were derived only later, in
the next decade, especially by Klingenstierna, Clairaut, d’Alembert and Euler. Unfortunately, in Continental Europe, practical results did not follow as expected, not only for scientific reasons (lack of spectroscopic notions) but also because of the poor quality of glass (good flintglass was produced exclusively in England till the beginning of the 19th century). our paper gives a survey of d‘Alembert’s main memoirs, that cover more than 1000 pages, sometimes very original and unjustly forgotten in the history of optics.
ans cette intervention, je vais m’attacher à présenter la question des lunettes achromatiques, qui a été un domaine important de la recherche scientifique, et même de l’activité économique sur le continent européen dans les années 1760-1780. On verra au cours de cet exposé, où les travaux de d’Alembert tiendront certes une place prépondérante, que des savants et fabricants de divers pays, de la Suède à l’Italie, de la France à la Russie, sans oublier l’Allemagne et l’Angleterre se sont impliqués, parfois assez considérablement dans ces recherches, qui ont été généralement profondément oubliées par la suite. Je vais d’abord faire un historique général de la question, avec une parenthèse sur le problème du flint-glass, puis dans un deuxième temps je présenterai les principales publications de d’Alembert sur le sujet.
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* CNRS: UMR 5208 Université Lyon 1. Institut Camille Jordan. E-mail. [email protected] «Bollettino di storia delle scienze matematiche» · Vol. XXVIII · 2008 · Fasc. 2
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fabrice ferlin 1. Historique et etat des lieux au milieu des annees 1760
Les premières lunettes astronomiques, depuis Galilée, étaient affectées systématiquement d’un défaut dû à la présence d’aberrations chromatiques aboutissant à une irisation (coloration) des images des astres observés, irisation qui empêchait de les utiliser au maximum de leur puissance théorique et a très vite constitué un blocage pour le perfectionnement des observations astronomiques. Ce défaut avait pour cause la différente réfrangibilité de la lumière, découverte par Newton: les rayons lumineux de différentes couleurs ne sont pas en effet réfractés de la même manière lors du passage d’un milieu à un autre; il en résulte que pour un objectif simple de lunette astronomique (constitué d’une seule lentille convergente) on a des foyers différents pour chaque couleur et par conséquent se forment différentes images différemment colorées du même objet à différentes distances (voisines) de la lentille d’où l’impossibilité pour l’astronome d’obtenir une image nette, surtout à fort grossissement. Newton croyait ce défaut impossible à corriger, car il pensait que la dispersion des rayons différemment colorés était la même pour tous les milieux optiques, pour une réfraction identique; c’est d’ailleurs pourquoi il a suggéré l’utilisation de télescopes à miroirs qui eux ne sont pas affectés par ce problème; toutefois les miroirs de l’époque restaient d’une qualité médiocre et n’ont pas permis (jusqu’à Herschell à la fin du 18e siècle) des observations de meilleure qualité que les lunettes. Bien que David Gregory, dans son ouvrage Elements of catoptricks and dioptricks (1695) ait défendu l’idée que l’on pourrait construire une lentille corrigée des aberrations en combinant plusieurs milieux optiques différents, se fondant sur la structure de l’œil qu’il considérait (à tort) comme un système achromatique, les idées de Newton allaient bloquer tout progrès dans ce secteur pendant des décennies, jusqu’au milieu du 18e siècle au moins. Aussi les progrès de l’astronomie d’observation ont été pratiquement inexistants pendant un siècle. La découverte, vers le milieu du 18e siècle, de procédés permettant de remédier à ce problème constituera donc un enjeu considérable, en particulier pour le progrès de l’astronomie, mais aussi pour les sciences naturelles, puisque les microscopes étaient eux aussi victimes des problèmes d’aberration. Avant le milieu du siècle, il faut toutefois mentionner les réalisations du magistrat anglais Chester Moor Hall qui a fait construire, de manière confidentielle, les premières lunettes achromatiques dès 1733. cependant, et bien qu’il ait utilisé les services de plusieurs opticiens, il ne com-
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mercialisa pas sa découverte et ne fit aucune publication à son sujet, si bien que la communauté scientifique n’en entendit jamais parler. La situation en est restée au même point jusqu’à l’année 1747 où le mathématicien bâlois Euler présente un Mémoire dans l’Histoire de l’Académie Royale des Sciences et des Belles-Lettres de Berlin1 dans lequel il affirme que l’on peut corriger ce problème d’aberrations chromatiques en utilisant des objectifs constitués de verre et d’eau renfermée à l’intérieur, de manière à obtenir quatre réfractions successives: Euler observe en effet que l’œil où la lumière est réfractée quatre fois ne semble pas affecté par les défauts de coloration caractéristiques des aberrations chromatiques. Pour arriver à ce résultat Euler rejette la loi d’égale dispersion des rayons lumineux différemment colorés qu’avait proposé Newton, et la remplace par une autre relation, qui se révélera rapidement inexacte. Il s’ensuit bientôt une controverse entre Euler et l’opticien Anglais John Dollond, célèbre constructeur d’instruments astronomiques; celuici en effet dans un Mémoire paru en 1753 dans les «Philosophical Transactions of the Royal Society» conteste la loi de dispersion fournie par Euler, dont il montre le caractère hypothétique tout en défendant le résultat de Newton qu’il estime conforme à l’expérience. Ceci entraîne une rapide réaction d’Euler dans un article qui paraît la même année dans les «Philosophical Transactions» et dans lequel il s’efforce de montrer que la loi admise par Dollond aboutit à des résultats aberrants; il développe cette idée dans les Mémoires de Berlin pour l’année 1753. Dans les mêmes Mémoires pour l’année 1754 il essaie de démontrer sa loi de dispersion à partir de suppositions sur le caractère vibratoire selon lui de la lumière (Euler sera en effet un des rares chercheurs de cette époque à refuser la conception corpusculaire de la lumière alors généralement admise). Il estimait que sa loi de dispersion, tout en différant de celle de Newton, donnait en fait des résultats assez proches, ce qui selon lui pouvait expliquer l’erreur de ce dernier. Il maintenait, malgré les résultats négatifs des expériences, de Dollond en particulier, que sa théorie était à même de corriger les aberrations chromatiques, tout en étant moins efficace pour les aberrations sphériques.2 Mais, au début de l’année 1755 paraissent dans les Actes de l’Académie Royale des Sciences de Suède (numéro d’Octobre, Novembre, Décembre 1754) un Mémoire du Suédois Samuel Klingenstierna, Professeur de mathématiques à l’Université 1 En abrégé «HAB» suivi de l’année («HAB», 1747 ici). Ce volume est en fait paru en 1749: L. Euler, Sur la perfection des verres objectifs des lunettes, «HAB», 1749 (année 1747), pp. 274-296. 2 La théorie d’Euler conduisait effet à l’utilisation de lentilles à forte courbure, générant d’importantes aberrations sphériques.
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d’Uppsala, dans lequel est démontré, à l’aide d’un raisonnement géométrique imparable, l’inconsistance des idées de Newton sur la dispersion des rayons colorés. Il y montrait en particulier qu’il y avait incompatibilité entre le résultat de l’expérience de Newton et la loi de dispersion que le physicien britannique prétendait en déduire (loi de dispersion qui était, on l’a dit, incompatible avec la suppression des aberrations chromatiques); il convenait toutefois que cette loi pouvait donner des résultats proches de ceux de l’expérience, si les angles de réfraction étaient faibles. Enfin il présentait des doutes concernant les résultats de l’expérience newtonienne. Klingenstierna rédigea très vite une traduction condensée de son mémoire en Latin, qu’il fait parvenir cette même année 1755 à Dollond, par l’intermédiaire de son étudiant Fredrik Mallet en voyage à Londres. L’Opticien Anglais qui s’était fermement opposé aux arguments (il est vrai contestables) d’Euler est cette fois entièrement convaincu de l’erreur de Newton. A la suite de quoi il se lance dans des expérimentations, utilisant plusieurs types de verres; il utilise en particulier le crown-glass et le flint-glass, dont l’intérêt est d’avoir des pouvoirs dispersifs très différents pour des angles de réfraction similaires. Faisant des expérimentations avec un double prisme il arrive à compenser les deux dispersions pour obtenir une image sans aberration chromatique: la voie est ouverte pour la réalisation de nouvelles lunettes astronomiques que Newton avait crues irréalisables. 2. Les premieres lunettes et les premieres theories (1758-1780) Ainsi donc, en 1758 apparaissent sur le marché les premières lunettes achromatiques de Dollond; la même année il publie dans les «Philosophical Transactions» un article1 d’une dizaine de pages dans lequel, après avoir montré l’erreur de Newton sur la dispersion, il expose ses expériences sur la correction des aberrations chromatiques, d’abord à l’aide de prismes, avant d’utiliser des lentilles. Il importe de noter que Dollond ne fait aucune référence à Euler ni à Klingenstierna. L’étape suivante est la publication d’un nouveau Mémoire de Klingenstierna par l’Académie Royale des Sciences de Suède dans lequel il présente pour la première fois une théorie complète des aberrations chromatiques et sphériques (Dollond avait en effet rencontré un problème d’aberrations sphériques accrues avec ses lunettes achromatiques). Une version latine en sera communiquée à Dollond en avril 1760 par l’intermédiaire de l’Astronome 1 «Philosophical Transactions», 1757-1758, pp. 733-743.
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Suédois Bengt Ferner, puis bientôt à la Royal Society; il allait s’ensuivre une polémique entre Dollond et Klingenstierna, le premier ne voulant pas reconnaître la priorité du Suédois quant à la mise au jour de l’erreur newtonienne et à la découverte des méthodes de correction des aberrations; la Royal Society penchera partialement du coté de Dollond, qui avait récemment intégré cette célèbre institution. Il faut bien voir que cette découverte des lunettes achromatiques et leur commercialisation par Dollond, avec tous les espoirs qu’elle entraînait pour l’astronomie (puisqu’il était désormais possible d’avoir des instruments bien plus performants, et pour des dimensions très inférieures), cette découverte, donc, allait avoir un retentissement très important dans toute l’Europe. Par exemple, c’est cette même année 1760 que Bengt Ferner allait alors, au cours d’un voyage en France mettre les chercheurs Français, et en particulier Alexis Clairaut et Jean Le Rond d’Alembert au courant des travaux de Klingenstierna, et leur en montrer toute l’importance; ceci allait entraîner Clairaut, d’abord, à travailler cette question, et aboutir à la publication de trois importants Mémoires où la théorie initiée par l’Universitaire d’Uppsala est largement développée et enrichie (voir plus loin). Le voyage de Ferner allait en fait permettre aux Français de prendre connaissance de tous les progrès accomplis en matière de lunettes achromatiques; en effet, à cause de la guerre de sept ans entre la France et l’Angleterre, les communications scientifiques entre les deux pays sont alors interrompues et l’existence des nouvelles lunettes de Dollond n’est pas connue à Paris; Ferner allait en particulier avoir des contacts avec le l’opticien Claude-Siméon Passemant, lui permettant de réaliser peu après les premières lunettes achromatiques d’Europe continentale. Un autre exemple important du retentissement de la découverte de Dollond, est que dès l’année 1762 l’Académie de St-Petersbourg allait créer un prix pour le perfectionnement des lunettes achromatiques; il s’agissait «d’examiner jusqu’à quel point les imperfections des lunettes et des microscopes provenant de la différente réfrangibilité et de la sphéricité des verres, pouvaient être corrigées ou diminuées par des combinaisons de différentes lentilles…». Le prix sera remporté par Klingenstierna, avec une version étoffée et complétée de son mémoire de 1760 dont nous avons déjà parlé. L’année 1761 voit la mort de John Dollond dont la succession est assurée par son fils Peter, qui était déjà son associé depuis de nombreuses années. La même année 1761 voit la présentation par Clairaut de son premier Mémoire sur les lunettes achromatiques dont l’intitulé exact est Mémoire sur les Moyens de perfectionner les lunettes d’approche par l’usage
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d’objectifs composés de plusieurs matières différemment réfringentes, le 8 avril devant l’Académie Royale des Sciences. Dans ce texte où se trouve une traduction en français du condensé de la publication de Klingenstierna de 1755 ayant convaincu Dollond de son erreur, Clairaut, après avoir donné les moyens de déterminer l’indice et le pouvoir dispersif des matériaux transparents, calcule les caractéristiques d’objectifs à deux lentilles corrigés des aberrations chromatiques et sphériques. C’est la première fois qu’est publiée une théorie des objectifs achromatiques permettant la détermination de leurs caractéristiques. Vu sa grande importance théorique et pratique ce Mémoire sera publié dans le recueil des «MARS» de 1756.1 Un autre Mémoire, qui en est le prolongement est lu par Clairaut devant l’Académie en juin 1762 et sera publié dans le recueil des «MARS» pour l’année 1757.2 Dans ce travail Clairaut s’attache à déterminer expérimentalement avec exactitude les caractéristiques optiques (indices et pouvoirs dispersifs) des milieux transparents et à voir les conséquences de l’imprécision de ces données sur la qualité des objectifs calculés. Enfin dans un troisième Mémoire (lu en mars-avril 1764) paru dans les «MARS» de 17623 Clairaut généralise sa théorie par l’étude de tous les rayons lumineux émis par la source alors que jusque-là il avait réduit son étude aux seuls rayons situés dans le plan contenant l’axe optique et la source. On peut penser que les travaux de Clairaut sur une matière jusque-là non défrichée, ayant un intérêt important, aussi bien économique que scientifique (progrès de l’astronomie) et le fait que tout n’avait pas été abordé par cet Académicien, qui a clairement la priorité dans le temps sur cette question, incitèrent d’Alembert à travailler le sujet, ce qui allait aboutir à la parution en 1764 du troisième tome des Opuscules mathématiques entièrement consacré à ce sujet. D’Alembert allait ensuite compléter ses recherches par des Mémoires publiés dans les volumes des «MARS» de 1764 (lu en janvier 1766), 1765 (lu en juin 1766) et 1767 (lu en mai et juin 1767).4 Nous parlerons tout à l’heure plus en détail des travaux de ce dernier. Il faut noter qu’au début des années 1760, en dépit des travaux de Dollond, Klingenstierna et Clairaut, Euler continue obstinément à défendre sa propre théorie, avec sa loi de dispersion hypothétique; il croit toujours que seuls des objectifs constitués de verre et d’eau peuvent corriger efficacement les aberrations et refuse d’admettre les qualités du flint-glass pour les objectifs composés. 1 Pages 380-437. Les «MARS» sont les Mémoires de l’Académie Royale des Sciences de Paris. 2 Pages 524-550. 3 Pages 578-631. 4 Ces trois volumes sont parus en fait respectivement en 1767, 1768 et 1770.
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C’est seulement en 1764,1 à la suite des travaux de Zeiher à Saint-Petersbourg, travaux ayant permis l’obtention d’un nouveau verre extrêmement dispersif qu’Euler renonce à ses conceptions, et reconnaît la valeur des travaux de Dollond et de Clairaut.2 Malgré cette erreur il faut observer que Euler n’était pas resté inactif sur cette question, puisque dans ces années-là il a rédigé et lu un grand nombre de Mémoires sur ce sujet même si ces textes ont souvent été publiés relativement tardivement dans les recueils académiques (voir en particulier «HAB», 1768 et «HAB», 1769). Ses nombreux travaux allaient lui permettre de publier, entre 1769 et 1771 son grand traité de dioptrique,3 dans lequel la théorie des objectifs corrigés des aberrations chromatiques et sphériques sera présentée de manière très complète (bien qu’il ait négligé les aberrations hors axe). Nicolas de Béguelin, originaire de la région de Neufchatel en Suisse, mais installé à Berlin allait lui aussi publier des travaux sur les lunettes achromatiques, essentiellement (et même je crois exclusivement) dans les Mémoires de l’Académie de Berlin. On a de lui un Mémoire sur les prismes achromatiques, paru dans les Mémoires de 1762,4 mais lu en en octobre 1767 devant l’académie; des Nouvelles recherches sur les aberrations des raïons réfractés et sur la perfection des lunettes en deux mémoires, l’un paru dans les Mémoires de Berlin pour l’année 1762 et lu en fait en novembre 1768,5 le second paru dans le volume de l’année suivante6 et lu en janvier 1769. Enfin il a publié Remarques détachées sur la perfection réelle des lunettes dioptriques dans le volume de 17697 (mémoire lu en novembre 1770). Le mémoire lu en 1768 allait entraîner un certain nombre de remarques de d’Alembert, d’ailleurs très courtoises et même parfois élogieuses, parues dans les Mémoires de Berlin de l’année 1769 («HAB», 1769) sous la forme d’«Extraits» de lettres de d’Alembert à Lagrange.8 Nous pouvons aussi mentionner les travaux de Roger Boscovich, qui a en particulier publié en 1767 cinq «dissertations» sur la dioptrique (Dissertationes quinque ad dioptricam pertinentes) qui sont consacrées aux lentilles achromatiques ainsi qu’à la détermination très minutieuse des indices de réfraction et des pouvoirs de dispersion des matériaux transparents (avec l’utilisation de son «vitromètre») – notons que Boscovich a 1 «HAB», 1768 (année 1766), pp. 119-170. 2 Sur l’attitude surprenante d’Euler voir Keith Hutchison, Indiosyncrazy, Achromatic Lenses and Early Romanticism, «Centaurus», 17, 1991, pp. 125-171. 3 Leonhard Euler, Dioptrica, Petersbourg, 1769-1771. 4 Pp. 66-89. 5 Pp. 343-419. 6 Pp. 1-76. 7 Pp. 3-56. 8 Pp. 254-284.
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accompli lui-même beaucoup d’expériences d’optique, en collaboration avec Stéphane Conti, qui lui fabriquait des lentilles selon ses directives –. Il étudie aussi le rôle des oculaires pour corriger le rôle des aberrations. Notons enfin que Peter Dollond entreprend à partir de 1764 de poursuivre en justice les nombreux opticiens londoniens fabricant et commercialisant des lunettes achromatiques; celles-ci sont en effet protégées par un brevet et tout vendeur doit normalement verser une redevance à Dollond. Aussi de nombreux opticiens s’associent pour envoyer une pétition au «Private Council» (Conseil privé) afin de demander la révocation du brevet: ils arguent que Dollond (le père) s’est attribué faussement l’invention des lunettes achromatiques, dont le véritable créateur est C. M. Hall. ils affirment que Dollond a en fait été mis au courant par J. Rew, en 1752 à propos de ce nouveau type de lentilles et de leur construction. Le brevet ne sera pas révoqué et, en 1766 Dollond fait condamner James Champneys, l’un des signataires de la pétition, qui sera réduit à la faillite par la forte amende qui lui sera infligée. Dans son jugement, la cour, reconnaissant en Hall l’inventeur des objectifs achromatiques, estimera normal que Dollond continue à jouir de son brevet, car, «it was not the person who locked his invention in his scritoire that ought to profit by a patent for such invention, but he who brought it forth for the benefit of the public» («ce n’est pas la personne qui a gardé son invention dans son tiroir qui mérite de la voir protéger par un brevet, mais celle qui en a fait bénéficier le public»), ce qui fera jurisprudence dans le droit anglais. Enfin, concernant l’aspect «enjeu européen» des lunettes achromatiques, puisque c’est comme cela que j’avais intitulé, un peu présomptueusement, mon exposé, je voudrai parler de certains problèmes concernant le verre optique, et surtout le flint-glass, dont on peut dire que son obtention et sa fabrication constituaient un sujet de concurrence pour les différent Etats européens. 3. Le probleme du flint-glass Pendant un demi-siècle (jusqu’au début du dix-neuvième siècle) la construction des objectifs achromatiques resta pratiquement le monopole des Anglais; en effet les opticiens du continent avaient le plus grand mal à se procurer du flint-glass de qualité. A l’origine le flint-glass était exclusivement anglais, et doit son origine à l’essor de la production de houille en Angleterre, et à la raréfaction du charbon de bois, due à un important déboisement du pays.
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Les creusets dans lesquels on effectuait la fusion du sable (avec de l’alcali), qui étaient découverts avec le charbon de bois, devaient être fermés lorsque l’on utilisait de la houille, la température n’étant pas assez élevée: pour faciliter la fusion les verriers y ajoutaient du minium (oxyde de plomb Pb3O4). Ceci permettait d’obtenir un beau cristal, commercialement intéressant (pour les services en cristal, par exemple): cette fabrication se développa et de nombreuses cristalleries apparurent en Angleterre, tandis qu’en France, par exemple, il n’y en eut pas avant 1785. Ce cristal épais et contenant du plomb était ce que les Anglais ont appelé le flint-glass; il allait être promu à un grand avenir en optique à partir du moment où Dollond l’a utilisé pour construire des objectifs achromatiques. Ceci dit, les exigences de qualité du verre pour la fabrication d’objectifs de lunettes astronomiques étaient très élevées, et pendant toute la fin du dix-huitième siècle la production d’un bon flint, propre à cet usage était le fruit d’un hasard heureux. En Angleterre même, Dollond se servait le premier, et achetait le contenu entier qui sortait du creuset, retirait les parties du verre ayant la meilleure qualité, et revendait le reste; ainsi il se procurait la plus grande partie du flint propre à l’optique, les autres opticiens anglais devant généralement se contenter de verre d’assez mauvaise qualité. Les fabricants du continent quant à eux ne pouvaient obtenir que les «plus bas morceaux» si l’on peut dire, d’autant plus que les Anglais pour des raisons de concurrence économique veillaient bien à ce que aucun flint de bonne qualité ne soit fourni à des producteurs d’autres pays. Ainsi il y avait un monopole anglais sur le flint-glass qui a duré jusqu’à la première décennie du dix-neuvième siècle. Les pays continentaux, qui n’avaient pas de cristalleries essayèrent de réagir. La consommation de verre optique était trop faible sur le continent pour que les fabricants français, par exemple, puissent engager les énormes frais nécessaires aux recherches sur la fabrication du flint. Aussi l’Académie Royale des sciences de Paris mit la question au concours pour l’année 1766, mais, faute de réponse convenable, dut reporter cette question d’année en année et finit par remettre le prix (1200 Livres) en 1773 à un maître-verrier de Picardie nommé Lebaude, et dont les résultats étaient en fait fort médiocres, et très insuffisants pour des optiques astronomiques. Des chercheurs français, tels Rochon entreprirent eux aussi des recherches les années suivantes, mais sans résultats tangibles non plus. Des recherches furent menées avec la manufacture de Saint-Gobain, sans plus de succès; aussi en 1786 l’Académie des Sciences remit la même question au concours, avec cette fois un prix de 12000 Livres, et des exigences plus
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strictes que pour le prix précédent; le prix, reporté jusqu’en 1791 ne fut finalement jamais attribué. Il faudra attendre le début du dix-neuvième siècle pour produire en France du flint de qualité, avec le développement des cristalleries; c’est Artigues, industriel propriétaire d’une de ces entreprises qui allait par ses recherches mettre au point des méthodes bien déterminées pour produire un verre de qualité; surtout il allait rendre publiques ces méthodes (Dissertation sur l’art de fabriquer du flint-glass bon pour l’optique, 1811). A la même époque, grâce aux recherches de Fraunhofer à Munich, l’Allemagne obtint aussi la capacité de produire du très bon flint-glass; l’atelier de Fraunhofer et du Suisse Guinand jouera un rôle fondamental pour toute l’industrie allemande du verre optique qui allait se développer au cours du dix-neuvième siècle.1 4. les travaux de d’Alembert Les recherches de d’Alembert sur les lunettes achromatiques, qui représentent la majorité de ses contributions à l’optique sont essentiellement contenues dans deux ensembles de textes: d’une part le troisième tome des Opuscules mathématiques, paru à la fin de l’année 1764, mais qui pour l’essentiel était rédigé un an auparavant, et d’autre part un ensemble de trois mémoires parus dans les «MARS», 1764, 1765 et 1767, lus devant l’Académie en 1766 et 1767. Le troisième tome des Opuscules est un ensemble de 5 mémoires (mémoires 16 à 20) consacrés aux aberrations chromatiques et sphériques et à leur élimination dans les instruments d’optique, essentiellement les lunettes astronomiques. Ces cinq mémoires représentent en fait un seul texte suivi, si bien que l’on peut considérer, selon moi, le tome trois, comme un traité sur ce sujet, ce qui est un cas particulier pour les Opuscules dont le contenu est généralement assez dispersé. Les trois mémoires lus à l’Académie constituent à la fois un prolongement et une amélioration de la théorie du tome 3. Quelque autres textes traitent aussi de cette question, comme le mémoire 24 (tome 4 des Opuscules) qui corrige essentiellement quelques erreurs de calcul, ou des Lettres de d’Alembert à Lagrange que j’ai évoquées en parlant de Béguelin. Les textes parus plus tardivement dans les Opuscules mathématiques (mémoire 43, tome 5 (1768); mémoire 49, tome 6 (1773); mémoire 54, tome 7 paru en 1780) ne concernent, pour l’essentiel, que plus indirectement (je dirais en amont) la théorie des lunettes achromatiques, 1 Concernant l’historique de la question du flint-glass, voir par exemple l’ouvrage de Maurice Daumas, Les instruments scientifiques aux XVIIe et XVIIIe siècles, Paris, 1953.
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puisqu’ils traitent de l’étude théorique de la réfraction et de la dispersion, de la recherche de leurs causes et critiquent les théories de Newton, Euler et Klingenstierna en cette matière. Je vais faire une présentation rapide des mémoires les plus importants de d’Alembert sur le sujet;1 je vais commencer par présenter les textes du tome 3 des Opuscules mathématiques:2 Le mémoire 16 des Opuscules mathématiques est consacré aux aberrations chromatiques. Dans la première partie d’Alembert établit les équations qui donnent l’aberration de réfrangibilité pour un système de plusieurs dioptres (surfaces) successifs, ce qui correspond en particulier au cas d’un objectif constitué de plusieurs lentilles. Il montre, à partir de ces équations, comment on peut supprimer les aberrations chromatiques, ou les réduire dans une proportion donnée, par rapport aux aberrations d’une lentille simple de même focale, ceci pour des ensembles à trois surfaces (= objectifs à 2 lentilles accolées) puis à quatre surfaces (objectifs à 3 lentilles). D’Alembert procède ici à quelques critiques des travaux d’Euler, critiques qui allaient entraîner une controverse avec celui-ci, controverse dont je parlerai un peu plus tout à l’heure. Ensuite, dans une deuxième partie d’Alembert étudie les modifications qu’apporte le fait de tenir compte de l’épaisseur des lentilles dans la théorie précédente; il utilise enfin, dans une troisième partie, ces derniers résultats pour l’étude du parcours des rayons lumineux dans l’œil humain. Le mémoire 17: dans ce mémoire d’Alembert aborde l’étude des aberrations géométriques; il commence par l’étude des aberrations dans l’axe (i.e. le cas où le point-source est sur l’axe optique). Utilisant les formules de l’optique géométrique (lois dites de Descartes) pour des dioptres sphériques, il calcule le point où se forme l’image, ce point étant à une distance différente selon la distance à l’axe où les rayons issus de la source ont «percuté» les lentilles; il obtient, après des calculs longs la formule qui donne l’aberration géométrique, sphérique le cas échéant, c’est-à-dire l’étalement de l’image sur l’axe optique. 1 Je précise que je procède à l’étude mathématique détaillée des mémoires d’optique de d’Alembert, dans le cadre de l’édition critique et commentée des oeuvres complètes, vol. III/3. 2 Cet ouvrage (xxij + 420 pp.) se décompose formellement en cinq mémoires (16-20), euxmêmes découpés éventuellement en chapitres numérotés en continu, de la façon suivante: Mémoire 16: Chapitres I-III; Mémoire 17: Chapitres IV-V: Mémoire 18: Chapitres VI; Mémoire 19: Chapitre VII: Mémoire 20: Chapitre VIII.
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Il étudie ici aussi le cas où l’on a deux milieux et trois surfaces (2 lentilles accolées) puis celui où l’on a trois milieux et quatre surfaces (objectif à 3 lentilles accolées). A partir des équations obtenues, il examine les conditions nécessaires pour supprimer l’aberration sphérique, mais aussi l’aberration chromatique (en rentrant les équations du mémoire 16 dans celles du mémoire 17). Il étudie aussi comment on peut réduire dans une quantité donnée la somme des deux aberrations (pour les cas où l’on ne peut pas les supprimer). Dans la deuxième partie de ce mémoire il aborde ce que l’on appelle les aberrations hors-axe, i.e. si le point lumineux est hors de l’axe optique. Il étudie d’abord la situation simplifiée où l’on ne prend en compte que les rayons qui sont dans le plan contenant la source et l’axe optique, puis il passe au cas général, tridimensionnel, avec tous les rayons. Ce cas est très important, car il apparaît alors, pour les opticiens modernes, de nouveaux types d’aberrations, généralement appelées aberrations de Seidel (car souvent considérées comme découvertes par Seidel en 1857): aberrations de coma, d’astigmatisme, de courbure de champ et de distorsion. D’Alembert montre qu’il existe des termes qui ne peuvent jamais être supprimés: ce sont pour nous les termes de l’aberration d’astigmatisme. Il trouve également d’autres termes qui correspondent à la coma; l’expression en est malheureusement erronée par suite d’une erreur de calcul … ce n’est que plus tard (mémoire publié dans les «MARS», 1764 et lu en février 1766) qu’il corrigera cette erreur et donnera une expression correcte. Il y a ici un problème de priorité avec Clairaut, en ce sens que celui-ci, dans son dernier mémoire sur les lunettes achromatiques (paru dans les «MARS», 1762 et lu au printemps 1764), a lui aussi trouvé ces deux types d’aberration (et avec une expression correcte pour la coma). Dans son avertissement, au début du tome 3 des Opuscules, d’Alembert affirme en substance que, bien que son volume soit sorti assez tard (fin 1764), son travail sur les aberrations hors-axe était prêt depuis longtemps: par suite il revendique la priorité, son ouvrage ayant été remis aux commissaires (Lemonnier et Bézout) devant l’examiner en janvier 1764, et le troisième mémoire de Clairaut n’ayant été lu devant l’Académie qu’en mars et avril de la même année. Le mémoire 18: Ce mémoire, constitué du chapitre VI, intitulé Théorie de l’aberration des lentilles, considérée par rapport à l’Oeil étudie, par des considérations d’optique géométrique, les effets des aberrations des lunettes dans l’œil de l’observateur, et les conséquences qui en résultent
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pour le calcul des objectifs et des oculaires. D’Alembert cherche en particulier à établir l’aberration finale du système (oculaire + objectif ) et son effet sur la rétine, à savoir une tache d’aberration, dont il établit la formule donnant son diamètre, celui-ci devant être suffisamment petit pour ne pas affecter la qualité de l’image. Il cherche à établir les rapports optimaux entre l’ouverture et les distances focales de l’oculaire et de l’objectif. Il montre en particulier le rôle secondaire des aberrations de l’oculaire par rapport à celles de l’objectif ainsi que les contradictions entre les théories alors existantes et les tables établies expérimentalement qu’il tente de réconcilier. Il termine par des considérations sur les aberrations hors-axe dont il estime l’effet pratiquement négligeable au niveau de la rétine. Le mémoire 19: ce mémoire est essentiellement constitué d’applications (en particulier numériques) de la théorie présentée dans les trois mémoires précédents. Après avoir indiqué les valeurs des indices et pouvoirs dispersifs du crown-glass et du flint-glass, d’Alembert s’intéresse au calcul concret des dimensions à donner à différents types d’objectifs à plusieurs lentilles: il commence par le cas de l’objectif constitué de deux lentilles accolées, en s’intéressant également au cas où l’on ne cherche pas à supprimer entièrement les aberrations (ce qui n’est généralement pas possible avec les objectifs doubles) mais à les réduire dans une certaine raison; il compare concrètement les résultats obtenus avec ceux des miroirs de télescopes, qui eux ne sont pas affectés par les aberrations chromatiques (le critère étant de faire mieux que les télescopes); il étudie ensuite similairement les objectifs à 3 lentilles. Il examine aussi les conséquences de l’épaisseur des verres qui avait été jusque-là négligée. Dans ce mémoire, afin d’améliorer le traitement des aberrations il propose en particulier de supprimer l’aberration sphérique pour deux couleurs différentes, ce qui doit pratiquement l’éliminer pour toutes les couleurs.1 Cette méthode sous le nom de condition de d’Alembert ou condition de d’Alembert-Gauss. Ce procédé a en effet longtemps été attribué à Gauss, jusqu’à un article allemand de 1887.2 Il est juste de préciser toutefois que c’est Clairaut qui, le premier, a proposé cette méthode dans son mémoire des «MARS», 1756 et qu’il en a fait une étude assez complète dans son mémoire des «MARS», 1762. 1 D’Alembert montrera un peu plus loin qu’il reste toutefois une aberration résiduelle pour les autres couleurs et s’attachera à la calculer. 2 Moser C., Uber Fernrohrobjektive, «Zeitschrift für Instrumententenkunde», 7, 1887, pp. 225238 et pp. 308-323.
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Le mémoire 20: ce mémoire est essentiellement consacré à la recherche des indices optiques et des pouvoirs de dispersion des verres; d’Alembert se pose en particulier la question de savoir si la connaissance de deux indices et d’un pouvoir de dispersion permet de connaître la pouvoir dispersif du second matériau (ce qui est le cas chez Newton et Euler); à cette fin il examine en détail les deux théories de la dispersion de Newton et Euler (en particulier le mémoire de 1753); il arrive à la conclusion que les deux théories sont erronées. D’autre part il présente deux méthodes pour déterminer les indices et pouvoirs dispersifs: l’une est fondée sur les équations du mémoire 16 qui donnent la position de l’image par rapport à la lentille; l’autre est la méthode utilisée par Newton et Dollond, avec usage de prismes; il procède à des développements théoriques sur cette dernière méthode. Notons au passage que d’Alembert ne cherche pas à mettre lui-même en pratique ces procédés. 5. Les trois memoires des «mars» (1764, 1765, 1767) Dans le premier de ces mémoires, paru dans le recueil des «MARS» pour l’année 1764,1 d’Alembert commence par recalculer les formules des aberrations, y compris hors-axe, pour un nombre quelconque de surfaces réfractantes. Ces formules sont corrigées par rapport à celles du tome 3 des opuscules et donnent en particulier une expression correcte pour les aberrations de coma et d’astigmatisme. D’Alembert présente ensuite particulièrement deux objectifs constitués de trois lentilles: deux de crown-glass et une de flint-glass au milieu. Il montre que l’on peut corriger efficacement et les aberrations chromatiques et les aberrations géométriques avec ces lentilles, alors que l’on ne peut, et de loin, arriver à de bons résultats avec un objectif à deux lentilles. En particulier il montre que ses objectifs à trois lentilles sont relativement peu sensibles, dans la qualité de leur correction, aux erreurs que les fabricants peuvent faire dans les rayons de courbure, ce qui n’est pas du tout le cas avec des objectifs à deux lentilles. Le deuxième de ces mémoires, lu en juin 1766 (et paru dans les «MARS», 1765)2 est consacré en grande partie au problème des erreurs dans la mesure du pouvoir de dispersion des verres utilisés pour constituer un objectif multiple: d’Alembert montre qu’une erreur même faible entraîne des conséquences considérables dans la correction des aber1 Pp. 75-144.
2 Pp. 53-105.
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rations, le problème étant qu’à son époque les pouvoirs de dispersion étaient très difficiles à mesurer précisément… Il montre ensuite qu’on peut corriger ce grave problème, en particulier en jouant sur l’écartement des trois lentilles qui constituent l’objectif. D’autre part il est aussi possible de corriger ces inconvénients à l’aide des oculaires: il calcule les rayons de courbure à donner à un oculaire simple à cette fin, en vue de compenser les aberrations résiduelles de l’objectif. D’autre part l’utilisation pour l’oculaire d’un verre très dispersif, comme ceux étudiés en Russie par Zeiher, permet d’améliorer sensiblement la qualité des images. Il montre enfin qu’en combinant objectifs et oculaires ayant un grand nombre de lentilles, on obtient des résultats encore meilleurs. Dans le troisième de ces mémoires, publié dans les «MARS» de 1767,1 et lu à l’Académie en mai et juin 1767, d’Alembert continue ses investigations en étudiant divers types d’objectifs à trois lentilles, d’abord des objectifs à lentilles accolées, puis à lentilles séparées par des lames d’air. Il montre que certaines constructions sont totalement inopérantes pour corriger les aberrations et certaines autres irréalisables en pratique (rayons de courbure trop petits). Il prouve que les objectifs à trois lentilles sont globalement préférables à ceux à deux lentilles. Il calcule ensuite les propriétés d’un grand nombre d’objectifs à deux lentilles (une quinzaine). Ensuite il établit l’importance de la bonne détermination des indices des matériaux utilisés (pour les pouvoirs de dispersion cette étude on vient de le voir avait été faite dans les «MARS», 1765). D’autre part, dans ce mémoire d’Alembert répond à un certain nombre d’objections qui lui avaient été faites par Euler; il faut en effet savoir qu’une violente controverse s’était élevée entre les deux chercheurs suite à la publication en 1764 du tome 3 des Opuscules de d’Alembert, dans lequel, j’ai brièvement évoqué la chose tout à l’heure, d’Alembert critiquait Euler et ses théories sur les lunettes achromatiques (édifiées, rappelonsle depuis 1747) sur plusieurs points (achromatisme de l’œil, nombre de dioptres). A ces critiques Euler avait vivement répondu par un mémoire paru dans le Journal encyclopédique de mars 1765 (mémoire intitulé: Remarques de M. Euler sur quelques passages qui se trouvent qui se trouvent dans les trois volumes des Opuscules Mathématiques de M. d’Alembert.) Rappelons brièvement les points les plus importants de la querelle, auxquels d’Alembert répond ici:
1 Pp. 43-108.
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Euler avait affirmé que toute aberration chromatique dans l’œil serait très sensible, et par conséquent qu’il s’ensuit que l’œil est un système optique complètement corrigé des aberrations chromatiques, dans lequel peuvent toutefois subsister des aberrations sphériques.
A quoi d’Alembert rétorque d’une part qu’on ne voit pas pourquoi si une petite aberration sphérique est insensible, ce ne serait pas le cas pour une petite aberration chromatique. Ensuite, prenant l’exemple des yeux de poissons, il montre que ceux-ci ne peuvent pas être achromatiques (rappelons que l’on sait aujourd’hui que l’œil humain n’est pas achromatique). D’autre part d’Alembert critique Euler pour avoir supposé nécessaires quatre dioptres afin de pouvoir supprimer l’aberration chromatique, alors que lui, d’Alembert, a montré qu’il en suffisait de trois, et qu’avec un quatrième dioptre Euler aurait pu de plus corriger l’aberration sphérique, ce qu’il n’a pas fait. Un autre point important est le fait qu’Euler jugeait inutile de corriger les aberrations hors axe, point sur lequel il est ici également attaqué par d’Alembert (Rappelons que d’Alembert et Clairaut ont montré l’importance de ces aberrations, et ont découvert les aberrations d’astigmatisme et de coma).1 6. Conclusion En guise de conclusion, hormis l’implication d’un nombre non négligeable de chercheurs et de fabricants sur une grande partie du continent, dont on a pu se rendre compte au cours de cet exposé, je voudrais souligner que l’un des aspects qui me frappe le plus dans ce sujet (les lunettes achromatiques au 18e siècle) c’est le relatif oubli dans lequel il est tombé, manifestement dès le 19e siècle (on pourrait entre autres citer un mémoire d’optique de John Herschell, en, 1820, où il traite avec mépris les chercheurs du siècle précédent et en particulier d’Alembert). Il est vrai qu’il faut nuancer, les premiers pas vers l’achromatisme, du mémoire d’Euler de 1747 aux premières lunettes de Dollond restant un sujet assez connu avec d’assez nombreuses publications, tandis que les travaux théoriques de d’Alembert mais aussi de Clairaut et des autres savants sont tombés dans un oubli assez profond, certes explicable par les progrès 1 Concernant la querelle entre d’Alembert et Euler, voir le mémoire de DEA de Sébastien Matte, Autour d’une polémique entre d’Alembert et Euler sur les aberrations optiques dans les années 1760, Lyon, Université Lyon 1, 2002.
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théoriques du 19e siècle,1 mais à mon sens assez injuste, au regard des découvertes théoriques réelles de l’époque des lumières. Je voudrais citer en particulier le nom du mathématicien et opticien allemand Hans Boegehold qui dans une série d’articles2 très bien documentés et d’un haut niveau théorique (parus entre les deux guerres mondiales) a pour ainsi dire redécouvert et réévalué les travaux sur l’achromatisme au 18e siècle. Malheureusement ses écrits semblent eux-mêmes assez oubliés de nos jours, bien que cités, pour certains, dans l’édition des œuvres d’Euler. 1 Un aspect important est aussi l’insuffisance des connaissances spectroscopiques jusqu’à Fraunhofer (vers 1820) qui rendait très difficile une application pratique des théories essentiellement correctes de Clairaut ou d’Alembert. 2 En particulier Die Leistungen von Clairaut und d’Alembert für die Theorie des Fernrohrobjektivs und die französischen Wettbewerbsversuche gegen England in den letzten Jahrzehnten des 18. Jahrhunderts., «Zeitschrift für Instrumentenkunde», 55 (1935), pp 97-110; également Zur Vorgeschichte der Monochromate, «Zeitschrift für Instrumentenkunde», 59 (1939), pp. 200-241.
D’ A LE M B E RT E T D. BE RN OULLI AU S UJ E T D E L’I N O C ULAT ION D E LA P E T I T E VÉ ROLE Pierre-Charles Pradier* · Nicolas Rieucau** Abstract: The discussion between d’Alembert and Daniel Bernoulli about the mathematical theory of smallpox was related by many historians of science. Nevertheless, these scholars used an incomplete corpus of texts, neglecting 1) the latest memoirs of the Opuscules mathématiques, 2)
some manuscript letters and documents related to the incident which happened at the Académie des sciences de Paris on December 1762. We insist on this second set of documents. The whole dossier will be included in the vol. III/2, III/4 and III/9 of the Oeuvres complètes de d’Alembert.
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a littérature secondaire a accordé une assez large place à la contestation opposant d’Alembert à D. Bernoulli au sujet de l’inoculation de la petite vérole. Mais elle a eu cependant tendance à se focaliser sur un nombre assez restreint de documents:1 – L’Essai d’une nouvelle analyse de la mortalité causée par la petite vérole, & des avantages de l’inoculation pour la prévenir de D. Bernoulli, dont la lecture à l’Académie des Sciences débute le 30 avril 1760; – Le texte Sur l’application du Calcul des Probabilités à l’inoculation de la petite Vérole, constituant le «Onzième Mémoire» des Opuscules mathématiques de d’Alembert, publiés l’année suivante; – L’Introduction apologétique de D. Bernoulli, en date du 16 avril 1765; – Les Réflexions philosophiques et mathématiques sur l’application du calcul des probabilités à l’inoculation de la petite vérole de d’Alembert, se présentant comme une version étendue mais non formalisée de son «Onzième Mémoire», parue en 1767 dans le volume V des Mélanges de littérature, d’histoire et de philosophie.
* MATISSE – Université Paris I ** PHARE – Université PARIS I, LED – Université Paris VIII. E-mail: [email protected] 1 Pour un compte rendu de l’ensemble de la littérature consacrée à cette querelle, voir P. C. Pradier et N. Rieucau [2009]. Nous citons certaines références infra, n. 3. «Bollettino di storia delle scienze matematiche» · Vol. XXVIII · 2008 · Fasc. 2
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Ce premier ensemble marque le début – qui sera aussi le foyer – de la querelle entre d’Alembert et D. Bernoulli. Par la suite, le mathématicien bâlois choisira en effet d’ignorer son adversaire, ainsi qu’il l’affirmera dans un extrait de la lettre adressée à Euler: «Comme je me trouve, trop souvent, injustement traité [par d’Alembert] dans ses ouvrages, j’ai pris la résolution depuis assez longtemps de ne rien lire qui sorte de sa plume; j’ai pris cette résolution à l’occasion d’un mémoire sur l’inoculation, que j’ai envoyé à l’Académie de Paris il y a 8 ans».1 Les commentateurs se sont par ailleurs intéressés, mais dans une moindre mesure,2 à plusieurs textes que d’Alembert publiera en 1768 au sein des volumes IV et V de ses Opuscules mathématiques: – Sur la durée de la vie (23e mémoire, § VII); – Sur un Mémoire de M. Bernoulli concernant l’Inoculation (23e mémoire, § VIII); – Sur les calculs relatifs à l’Inoculation (27e mémoire, § II); – Sur les Tables de mortalité (36e mémoire, § III); – Sur les calculs relatifs à l’Inoculation; addition au 27e Mémoire (44e mémoire, § VI). Ces deux groupes de textes représentent l’essentiel de la discussion scientifique entre D. Bernoulli et d’Alembert. Néanmoins, on risque d’effectuer quelques contresens ou mésinterprétations s’ils ne sont pas accompagnés par deux autres ensembles, en revanche négligés par la littérature secondaire.3 Un premier ensemble est composé par des écrits qui viennent éclairer le début de la querelle opposant d’Alembert à D. Bernoulli: – L es Réflexions sur les avantages de l’inoculation de D. Bernoulli, lues à l’Académie des sciences le 16 avril 1760; – Une Lettre de D. Bernoulli, lue à l’Académie des sciences le 4 décembre 1762; 1 D. Bernoulli [avr. 1768]. Cette «résolution» remonte en vérité à trois ans, comme le révèle la présence de l’Introduction apologétique dans la liste ci-dessus. Dans cette lettre, D. Bernoulli ajoute même: «Que dites-vous des énormes platitudes du grand d’Alembert sur les probabilités? […] Il semble que le succès de [ma] nouvelle analyse lui fit mal ai cœur; il la critique de mille façon également ridicules et, après l’avoir bien critiquée, il se donne pour premier auteur d’une théorie qu’il n’avait pas seulement entendu nommer». 2 Nous pensons en particulier à I. Todhunter [1865, pp. 277-278, 282-285], K. Pearson [19211933, pp. 565], E. Yamazaki [1971, pp. 67-69], L. E. Maistrov [1974, pp. 127-128], L. Daston [1979, p. 271; 1988, pp. 85-88], M. Paty [1988, p. 225], P. C. Pradier [2004]. Pour plus de détails, nous renvoyons là encore à P. C. Pradier et N. Rieucau [2009]. 3 A notre connaissance, seuls L. J. Daston [1988, pp. 82, 84-85], J. N. Rieucau [1997, chap. I4, p. 54] et P. Crépel [2006, pp. 77-78] se sont intéressés, mais brièvement, à certains des textes composant ces deux ensembles.
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– Une Lettre de Clairaut à D. Bernoulli, datée du 5 décembre 1762; – La Réponse de D’Alembert à D. Bernoulli, datée du 7 décembre 1762 et lue à l’Académie des sciences le même jour. Un second ensemble est constitué par les réflexions ultimes de d’Alembert sur l’inoculation de la petite vérole. Rédigées en 1783 ou légèrement avant, ces réflexions étaient destinées au volume IX de ses Opuscules mathématiques, demeuré inédit.1 Il s’agit principalement: – d’un passage du § XXXI de Sur l’application du calcul des probabilités à certaines questions (59e mémoire);2 – des Réflexions sur la théorie mathématique de l’inoculation, constituant l’intégralité du § XXXV de ce même mémoire.3 Nous allons ici nous attarder sur les écrits relevant du premier de ces deux ensembles; plus particulièrement sur ses deux lettres et sur la Réponse que d’Alembert offre à la première d’entre elles.4 A notre connaissance inédits, ces trois documents révèlent l’incident académique qui va opposer d’Alembert à Bernoulli à la fin de l’année 1762. Le premier de ces documents n’a pas été retrouvé.5 Mais son contenu peut être en grande partie déduit – comme on essaie de le faire dans un premier temps – grâce à l’examen de la Lettre de Clairaut à D. Bernoulli et de la Réponse de D’Alembert à D. Bernoulli – dont la publication compose la seconde partie de notre contribution. 1. Tentative de reconstitution de la lettre de D. Bernoulli De la main de Grandjean de Fouchy, le Plumitif de la séance du 4 décembre 1762 mentionne: «J’ai lu à l’Académie la lettre suivante de M. Bernoulli, par laquelle il […] se plaint de quelques endroits du 11e mémoire des opuscules mathématiques de M. d’Alembert; il a été décidé que […] sa lettre seroit communiquée à M. d’Alembert avant que l’acad. [ne] statuât rien sur la plainte de M. Bernoulli». 1 Ce volume est conservé à la Bibliothèque de l’Institut de France, sous la cote MS 1790-1793. Il sera publié dans le volume III/9, ainsi que tous les autres volumes des Opuscules III/1 à 8, au sein des Œuvres complètes de d’Alembert. 2 Ce passage est situé aux ff. 369-375 du volume MS 1793, la totalité du texte du paragraphe occupant les ff. 369-387. 3 Ce paragraphe occupe les ff. 460-485 du volume MS 1793. 4 Pastichant Hume [1766], nous aurions pu intituler cette contribution: Exposé succinct de la contestation qui s’est élevée entre M. d’Alembert & M. Bernoulli. 5 Fritz Nagel, qui travaille actuellement sur la correspondance de D. Bernoulli, nous l’a confirmé.
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Le premier reproche que fait D. Bernoulli à d’Alembert est de lui avoir en quelque sorte coupé l’herbe sous les pieds en refusant de se soumettre aux contraintes éditoriales de l’Académie. D’Alembert a en effet publié ses propres réflexions au sein de ses Opuscules mathématiques en 1761, sans attendre que le texte de Bernoulli, pourtant antérieur car du début de l’année 1760, ne paraisse dans les volumes de l’Académie – il ne le sera qu’en 1766. Dans l’extrait du plumitif cité ci-dessus, Fouchy ne fait pas allusion à ce premier reproche, puisqu’il déclare seulement que D. Bernoulli «se plaint de quelques endroits du 11e mémoire des opuscules mathématiques de M. D’Alembert». La querelle de priorité entre les deux hommes est pourtant bel et bien réelle. D’Alembert entame d’ailleurs sa Réponse de la manière suivante: «M. Bernoulli se plaint dans une lettre qu’il a écrite à l’académie, de ce que j’ai attaqué son mémoire sur l’inoculation avant que ce mémoire fût imprimé».1 Clairaut reprendra le reproche de D. Bernoulli: «J’ai surtout insisté sur l’injure qu’il y avoit de faire paroître une réfutation d’un mémoire avant le mémoire même».2 La défense de d’Alembert et de ses partisans, également rapportée par Clairaut, consiste à invoquer la lenteur de l’impression des volumes académiques.3 Mais, en dépit du fait que d’Alembert précise à l’occasion d’une addition que ses Opuscules ont été «imprimés avec l’approbation & sous le Privilège de l’Académie», il n’en reste pas moins que le fait de répondre de la sorte à D. Bernoulli, publiquement et hors de l’enceinte de cette institution, est apparu comme déplacé. C’est ce que Clairaut fait justement valoir: «tout mémoire lu dans l’Académie [est] bien de droit public pour les Académiciens mais non pour les étrangers […] il [faut] répondre dans l’Académie et non ailleurs. A moins que le mémoire n’y fut imprimé aussi et du consentement de l’auteur». Le deuxième grief de D. Bernoulli consiste à reprocher à d’Alembert de l’avoir imité en choisissant de soumettre au calcul la question de l’inoculation. D’Alembert écrit ainsi: «Mr Bernoulli prétend que sans lui je n’aurois pas pensé à assujettir l’inoculation au calcul». L’auteur des Opuscules s’en offusque assez maladroitement. L’un des états antérieurs de son manuscrit rate en effet sa cible; d’Alembert expliquant que l’accusa1 Infra, section 2. 2. Toutes les citations de d’Alembert non référencées dans la suite proviennent de cette section. 2 Infra, section 2. 1. De la même façon, les citations de Clairaut dorénavant non référencées sont issues de cette section. 3 Le délai moyen de publication est d’environ 4 ans durant la première moitié des années 1750. A partir du milieu des années 1750, ce délai tend toutefois à s’allonger d’environ deux années supplémentaires, pour des raisons financières dues à la Guerre de Sept Ans (1756-1763).
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tion de Bernoulli est formulée par ce dernier «comme s’il étoit le premier qui eût écrit là-dessus». Or ce que Bernoulli reproche à d’Alembert, contrairement à ce que ce dernier affirme implicitement dans cette version de son texte, est de l’avoir copié non pas en traitant de la question de l’inoculation de la petite vérole – laquelle a déjà, à cette époque, été envisagée par plusieurs centaines d’auteurs en Europe – mais en songeant à la soumettre au calcul. D. Bernoulli avait d’ailleurs souligné l’originalité de sa démarche en l’intitulant Nouvelle analyse.1 D’Alembert corrige l’extrait précédent de la façon suivante: «comme si j’avois envisagé cette question sous le même point de vue que lui, ou même sous un point de vue approchant». D’Alembert laisse ici entendre que selon lui, la façon correcte de soumettre la question de l’inoculation au calcul consisterait à partir du fait qu’il s’agit d’évaluer deux risques de durées différentes: l’un à court terme, qui est le risque de mourir de la petite vérole artificielle; l’autre à long terme, qui est celui de mourir de la petite vérole naturelle. Tel est, affirme d’Alembert, «le véritable état de la question», lequel est formulé à plusieurs reprises dans son «Onzième Mémoire» sur l’inoculation.2 Il demeure que, là encore, d’Alembert ne fait pas mouche: il ne parvient pas à dissimuler le fait qu’il soumet, comme Bernoulli, la question de l’inoculation au calcul, quelle que soit par ailleurs la façon particulière dont il se propose d’effectuer un tel calcul et les difficultés qu’il estime alors nécessaire de mettre à jour. D’Alembert ajoute enfin: «au reste plusieurs de mes confrères peuvent me rendre ce témoignage, que j’étois occupé de l’inoculation longtemps avant que d’en écrire». A notre connaissance, ce témoignage n’a jamais été rendu.3 En tout état de cause, l’argument de d’Alembert, qui évoque plus la cour de récréation que l’enceinte de la plus grande institution scientifique d’Europe, est similaire et aussi peu dirimant que celui qu’il avait initialement formulé: le reproche – que l’on peut certes aussi considérer comme quelque peu puéril – de Bernoulli porte sur le fait que d’Alembert l’aurait plagié non pas pour 1 Voir D. Bernoulli [30 avr. 1760]. 2 D’Alembert [1761, p. 26-27, 29, 55-56]. 3 Bossut [15 janv. 1761] et Vandermonde – dont on a tout lieu de penser qu’il est l’auteur de la recension anonyme du Mémoire 11 des Opuscules de d’Alembert parue dans le «Journal de médecine» en janvier 1761 – n’ont en particulier pas fait allusion à une quelconque antériorité des réflexions de leur ami sur celles de Bernoulli. Rappelons que dans son Mémoire 27-I [1768 d, p. 284] des Opuscules, consacré au calcul des probabilités, d’Alembert déclarera également avoir «formé» ses premiers doutes sur la théorie du hasard depuis «près de trente ans», sans qu’il ne subsiste aucune référence écrite venant confirmer une telle affirmation. Au sujet de l’inoculation de la petite vérole, si l’on excepte la poignée de lignes que d’Alembert lui consacre à l’occasion de son article Genève [1757, p. 581] de l’Encyclopédie, la première trace de ses réflexions en la matière est, pour autant que nous le sachions, le «Onzième Mémoire» [1761] des Opuscules.
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avoir traité du même objet d’étude que lui, mais pour avoir pensé à l’appréhender mathématiquement. D. Bernoulli «ajoute dans sa lettre», déclare d’Alembert, «que ma théorie est prise de la sienne; ce reproche est d’autant plus surprenant», précise-t-il, «que ma théorie tend au contraire à prouver que toute celle de Mr Bernoulli porte à faux». L’analyse comparée des textes des deux mathématiciens révèle que cette seconde accusation de plagiat formulée par Bernoulli ne peut dériver, dans l’esprit de ce dernier, que de la similarité des conclusions auxquelles ils aboutissent. De ce point de vue, Bernoulli entendrait ici par «théorie» le versant prescriptif d’une analyse, c’est-àdire en somme les conclusions pour l’action que l’on peut en déduire. En l’occurrence, et pour le dire brièvement, il s’agirait pour le mathématicien bâlois de répandre l’inoculation, d’inférer alors de l’expérience la probabilité de décès causée par cette diffusion de la petite vérole artificielle, et de décider en conséquence de la suite à lui donner, tant chez les enfants que chez les adultes: tout son Essai d’une nouvelle analyse de la mortalité causée par la petite vérole converge vers cette conclusion,1 tandis que ses Réflexions sur les avantages de l’inoculation invoquaient aussi la nécessité de s’en remettre à l’expérience.2 Ce recours à l’expérience est aussi mis en avant par d’Alembert dans son «Onzième Mémoire» sur l’inoculation,3 à ceci près qu’il ne prend pas parti sur la question de rendre l’inoculation obligatoire pour les enfants trouvés. Feinte ou supposée, la «surprise» de d’Alembert serait due au fait qu’il cantonnerait, en revanche, la signification du terme de théorie à un domaine spéculatif. Dans les annotations manuscrites qu’il fait de la quatrième édition [1762] du Dictionnaire de l’Académie française,4 d’Alembert n’apporte d’ailleurs aucune modification à la définition d’un tel terme: «spéculation, connaissance qui s’arrête à la simple spéculation sans passer à la pratique».5 Sous cet angle, son analyse, entendue par conséquent comme l’ensemble de l’argumentation précédent les conclusions pratiques, se distingue effectivement de celle de Bernoulli. Le dernier grief de D. Bernoulli rapporté par d’Alembert consiste dans le fait que le géomètre bâlois se serait «renfermé dans une analyse abstraite». D’Alembert s’en effarouche: «je n’ai pas cru, comme lui [Bernoulli], devoir établir de grands calculs sur de simples hypothèses», écritil dans un premier temps, parce que «la vie des hommes» est en jeu. On 1 Voir D. Bernoulli [30 avr. 1760, p. 34-35]. 2 Idem [16 avr. 1760, p. 174-178]. 3 D’Alembert [1761, p. 39-40, 45, 67-69, 93]. 4 Rappelons que cette édition annotée est déposée à la Bibliothèque de l’Institut de France [MS 1952]. 5 Tome 6, p. 831.
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devine la faiblesse de cet argument excluant le recours au raisonnement hypothétique sous prétexte que le sujet traité est vital, pour ne pas dire sacré. C’est sans doute la raison pour laquelle d’Alembert corrige sa déclaration précédente en affirmant que D. Bernoulli s’est appuyé non plus «sur de simples hypothèses» mais «sur des hypothèses vagues». Force est de constater que la crédibilité n’est pas, une nouvelle fois, du côté du mathématicien français. Il est vrai que le travail de D. Bernoulli repose sur des hypothèses, à savoir la constance des taux auquel on contracte et on meurt de la petite vérole. Mais ce dernier précise bien que c’est faute de données.1 Il cherche justement à construire une fonction de décision telle que le choix dépende de la seule mortalité liée à l’inoculation, laquelle est censée être révélée par l’expérience. On peut certes reprocher à Bernoulli de ne pas justifier son choix de l’espérance de vie comme critère de décision, mais d’Alembert ne propose pas de critère moins hypothétique. Au lieu de cela, il lance une série d’hypothèses, tant sur la valeur des paramètres – comme les taux de mortalité – que sur la modélisation des tables de mortalité ou les fonctions de décision, sans mener à bien aucun calcul. Ainsi dans son Onzième Mémoire, d’Alembert écrit-il lui-même que toute «hypothèse seroit arbitraire».2 2. La lettre de Clairaut et la reponse de d’Alembert a D. Bernoulli La Lettre de Clairaut à D. Bernoulli, datée du 5 décembre 1762, est conservée à la Bibliothèque Universitaire de Bâle, sous la cote Ms L I a 684, pp. 789-792. La Réponse de D’Alembert est conservée aux Archives de l’Académie des sciences de Paris dans la Pochette de séance du 7 décembre 1762. Elle est datée du même jour par d’Alembert. Ce document est cité dans le Plumitif, toujours en date du 7 décembre, de la main de Grandjean de Fouchy: «M. d’Alembert a leu la réponse suivante à M. Bernoulli que l’acad. m’a chargé de communiquer à ce dernier et de luy demander s’il juge à propos que son mémoire paroisse en 1758».3 On trouve une copie de cette Réponse dans le Procès-verbal de la séance du 7 décembre 1762. Les graphies de ces deux manuscrits ont été respectées, y compris l’accentuation et la ponctuation. Les conventions de transcriptions que nous avons adoptées sont les suivantes: 1 Voir D. Bernoulli [30 avr. 1760, p. 8]. Voir aussi Idem [16 avr. 1760, pp. 184 [bis]-185 [bis]] 2 D’Alembert [1761, page 53, note (a)]. 3 C’est-à-dire dans le volume de l’Histoire de l’Académie Royale des Sciences de 1763 pour 1758. La «demande» de Fouchy n’est pas parvenue jusqu’à nous. Rappelons que le mémoire de D. Bernoulli ne sera finalement publié que dans le volume de l’Histoire de l’Académie Royale des Sciences de 1766 pour 1760.
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pierre-charles pradier · nicolas rieucau <mot barré>; mot [?]: doute sur la transcription; […?]: mot ou série de mots non déchiffrés; |addition d’un ou de plusieurs mots|. Lettre de Clairaut à D. Bernoulli [5 décembre 1762]
[789]1 C’est hier Mon cher Ami que votre lettre à Mr de Fouchy a eté lue dans l’Academie, elle n’a pas fait d’abord beaucoup de sensation parce que Mr D’Alembert n’y etoit pas non plus que Mr de Mairan et de la Condamine2 et que quelques autres encore|et que d’ailleurs la moitié de l’Academie causoit comme à l’ordinaire|.3 Mais lors qu’il est arrivé ensuite et qu’on lui a communiqué Votre lettre, il a jetté feu et flamme, a pretendu que votre style etoit des plus offensans,4 a soutenu qu’il n’avoit tort dans le fond ni dans la forme. C’est alors que l’Academie qui ordinairement n’ecoute que quand les choses ont une certaine vivacité, a fait attention à la question. Il paroit que le plus grand Nombre a trouvé le procedé de D. très ridicule. J’ai surtout insisté sur l’injustice qu’il y avoit de faire paroitre une refutation d’un memoire avant le memoire même. Ses partisans qui sont en fort petit nombre5 ont voulu rejetter la faute sur la len1 En haut à droite, on lit, de la main de Clairaut: «5 Xbre 1762». 2 Dortous de Mairan et La Condamine sont arrivés un peu plus tard puisque leur nom se trouve parmi la liste des membres présents du plumitif, citée infra, n. 28. 3 Cette critique du comportement des académiciens lors des séances semble partagée par bien des contemporains. Voir par exemple la lettre, rédigée quelques années plus tard par Alessandro Verri à l’intention de son frère, P. & A. Verri [1766-1767, p. 93]. 4 Même si on ne dispose pas de la lettre de D. Bernoulli, il est possible de déduire ce qui a principalement heurté d’Alembert à la lecture d’un passage de la Réponse qu’il fera à son adversaire quelques jours plus tard. D’Alembert écrira en effet: «Quant à présent, M. Bernouilly, se borne pour toute réponse, a déclarer poliment: que je suis très peu au fait de la matiere et des phénomênes aussi bien que de la théorie des probabilités que j’y mêle, je pourrois lui faire le même compliment […] mais […] j’ai mieux aimé me contenter de le prouver avec politesse que de me borner comme lui, à le dire d’une maniere injurieuse». Malgré la mise en garde de Clairaut, exhortant son ami d’y mettre les formes, Bernoulli écrira dans son Introduction apologétique [16 avr. 1765, p. 2]: «Il serait à souhaiter que les critiques […] se donassent la peine de se mettre au fait des choses qu’ils se proposent d’avance de critiquer», ce qui mettra évidemment d’Alembert hors de lui. A l’occasion de l’«Avertissement» de ses Réflexions sur l’inoculation [1767, p. 308, 312], ce dernier attribuera de nouveau à son adversaire un ton outrageant, puis dans l’«Avertissement» [1768 a, p. ix] et le Mémoire 23-VIII [1768 c, pp. 99-100] de ses Opuscules, il rappellera amèrement, et à trois reprises, que Bernoulli lui a demandé de «se mettre au fait» (en italiques dans le texte) de la question de l’inoculation. 5 Qui sont-ils? Le Plumitif de Fouchy ainsi que le Procès-verbal de la séance du 4 décembre 1762 relève les noms suivants (outre celui de Clairaut, d’Alembert et Fouchy): Adanson, Bézout, Bourdelin, Brancas, Buache, Camus, Chappe d’Auteroche, D’Arcy, Delisle, Deparcieux, Dortous de Mairan, Duhamel du Monceau, Ferrein, Fougeroux de Bondaroy, Guettard, Hellot, Herissant, B. de Jussieu, La Condamine, Lalande, P. C. Le Monnier, Maraldi, Mignot de Montigny, Montmirail, J. F. C. et S. Morand, Nollet, Pingré, Tenon, Tillet, Tournière, Vaucanson. Les proches de d’Alembert ne sont pas légion dans cette liste: à notre connaissance, seuls Bézout, Le Monnier et Pingré en feraient partie. Les adversaires de d’Alembert ou ceux qui ne l’apprécient guère sont en revanche plus nombreux: outre Clairaut, nous pensons à Dortous de Mairan, La Condamine, Lalande, Lacaille, Nollet et Vaucanson.
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teur de <nos [?]> l’impression de nos memoires,1 Mais cette reponse n’a pas pris[.] On a dit et c’est sûr [sic] tout sur quoy j’ai insisté que tout memoire lu dans l’Acad etoit bien de droit public pour les Academiciens; mais non pour les etrangers. Qu’il falloit repondre dans l’Academie, mais non ailleurs. À moins que le memoire [790] n’y fut imprimé aussi et du consentement de l’Auteur. D’Alembert promet une reponse qui surement sera vive et où il mettra tout son art pour faire valoir sa cause. C’est là où il ne faudra pas mollir de votre coté2 puisque vous avés tant fait de commencer à vous plaindre. Mais ce que je vous recommande c’est de prendre fort garde à vos expressions. On ne juge gueres ici que de la forme et on la veut polie. Il faut donc si vous en venés à un espece de manifeste comme cela paroit difficile à eviter maintenant que vous exposiés ce que <[…?]> les mathematiques et surtout les mixtes vous doivent et en quoy votre adversaire a pu profiter de vos lumieres et l’usage qu’il en a fait. Vous pourrés aisement mettre son envie et son injustice à decouvert sans employer aucun terme impoli; <[…?]> mais sans lui accorder aussi comme vous faites quelques fois dans votre lettre à Mr de la Condamine et a <[…?]> moi le titre de grand homme suivi de celui d’imbecile. Il n’est ni l’un ni l’autre. C’est un homme d’Esprit, qui a une grande activité et beaucoup d’aquis, point d’invention, peu [791] de finesse dans les choses de pur raisonement et où l’on n’est pas conduit par les ouvrages des autres ou par la force de l’analyse même. Pour de certains esprits il semble que la rectitude des mathematiques pures suffit pour ne pas broncher. Il est de ceux la ainsi que quelques autres geometres que nous avons mis quelques fois dans nos entretiens3 qui lors qu’ils passent ensuite à des matieres de physique et de metaphysique <de [?]> s’eloignent infiniment du but. Je voudrois bien que vos ouvrages fussent aussi connus dans ce Pays cy que [déchirure du papier: ceux] de votre antagoniste. Mais votre hydrodynamique4 et vos memoires de Petersbourg5 sont latins et peu lus ici. Est-ce que quelqu’un de vos Disciples ne pourroit pas traduire ces ouvrages? ou comme cela seroit un trop gros livre et trop au dessus de la portée ordinaire pour se bien vendre, n’en pourries vous pas faire un precis de l’etendue d’un petit in 4º? où tout l’essentiel seroit avec une introduction assés claire pour le general des Lecteurs:6 <Si [?] un [?]> Comme un ouvrage de ce genre n’est pas l’affaire de peu de tems, il faut ce me semble faire en attendant une brochure de quelques feuilles où vous puissiés bien faire comprendre au grand 1 D’Alembert reprendra le même argument dans sa lettre du 7 décembre 1762. 2 Nous n’avons pas trouvé de traces de la contre-attaque que Clairaut suggère à D. Bernoulli de mener. Peut-être n’a-t-elle jamais été rédigée. 3 On pense évidemment à Fontaine. Peut-être que Lagrange et Euler sont également visés. 4 Hydrodynamica, sive De viribus et motibus fluidorum commentarii. Opus academicum ab auctore, dum Petropoli ageret, congestum, Argentorati [à Strasbourg]: sumptibus J. R. Dulseckeri, 1738. 5 Il s’agit des textes publiés par D. Bernoulli dans les six premiers volumes des Mémoires de l’Académie de Saint-Petersbourg. Ces textes envisagent des domaines divers, s’étendant des mathématiques à la médecine. Voir Verzeichnis der Werke Daniel Bernoullis [1996]. 6 Nous ne connaissons pas de texte de D. Bernoulli correspondant à ce signalement.
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nombre quelle est la nature des torts de votre adversaire.1 Si je puis vous y servir soit pour l’impression ou autrement, vous ne trouverés aucune indolence en moy, et je vous puis protester que ce sera bien plus amitié pour vous que haine pour notre commun antagoniste. J’en puis citer pour preuve l’abandon que j’ai fait de ma cause.2 Il est vray aussi que le public ne me paroissoit plus s’interesser à notre querelle. [sans signature] [dos de la lettre avec cachet] [792] Suisse À Monsieur Monsieur Daniel Bernoulli des Academies des Sciences de France d’Angleterre de Russie &c. À Basle.
Réponse de D’Alembert à Daniel Bernoulli [7 déc. 1762] [1er feuillet recto]3 7 Decembre 1762 M. Bernoulli se plaint dans une lettre qu’il a ecrite à l’academie, de ce que j’ai attaqué son mémoire sur l’inoculation avant que ce memoire fut imprimé. Ma reponse à ce reproche est bien simple; mon memoire sur l’inoculation a eté lu à l’academie le 12 nov. 1760, j’y ai cité |& même avec éloges,| celui de Mr Bernoulli, comme anterieur au mien, & ces deux memoires auroient du etre imprimés, chacun avec sa datte, dans le volume de 1760. Mais l’impression de nos memoires etant prodigieusement retardée, et n’ayant pas jugé a propos d’attendre que le mien parût au bout de six ans de lecture, je me suis determiné à l’imprimer avec sa datte dans mes Opuscules |imprimés avec l’approbation & sous le Privilege de l’academie|. Ce n’est pas ma faute si l’Ecrit de Mr Bernoulli n’a pas paru plutôt. au reste il importe fort peu à l’inoculation (qui est ici la seule chose vraiment interessante pour le public) que j’aie combattu les idées de Mr Bernoulli avant ou après l’impression de son mémoire; il [1er feuillet verso] importe seulement de savoir si j’ai tort ou raison. Si j’ai tort, Mr Bernoulli 1 Nous n’avons pas non plus identifié cet éventuel écrit. 2 On sait qu’il existe alors de très nombreuses polémiques entre Clairaut et d’Alembert, notamment sur l’astronomie et l’optique. On en trouvera l’exposé dans les introductions générales, rédigées par M. Chapront-Touzé et F. Ferlin, des volumes III/2 et III/3 des Œuvres complètes de d’Alembert, correspondant aux tomes II et III des Opuscules mathématiques. 3 En marge de ce premier feuillet, dont un cliché figure ci-dessous, la mention au crayon – «Inoculation de la pte vérole. M. d’Alembert.» – est d’une main que nous n’avons pas identifiée. L’autre inscription, toujours au crayon – «M. d’Alemb. 12 Nov. 1760 H 1761 p. 89» est de Mme Gallot, qui a inventorié les pochettes de séance. La date du 12 novembre 1760 est celle de la lecture, par d’Alembert, de son «Onzième mémoire» à la Séance publique de l’Académie des sciences. Les initiales «M», «H» et la mention «1761 p. 89» font référence au «Onzième Mémoire» de d’Alembert, auquel il est fait allusion pages 89-90 de la partie Histoire du volume de l’Académie Royale des Sciences de 1763 pour 1761.
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est très en état de se defendre, & son memoire n’y perdra rien; si j’ai raison, il est à portée de faire usage de mes remarques, & son memoire pourra y gagner. Quant à present, Mr Bernoulli se borne pour toute reponse à declarer poliment que <je […?]> je suis très peu au fait de la matiere et des Phenomenes, aussi bien que de la théorie des probabilités que j’y mêle: je pourrois lui faire le même compliment, car je ne vois pas pour quoi il en auroit le droit exclusif; mais persuadé, comme je le suis, que dans tous ses calculs sur l’inoculation <[…?]> de la petite verole il n’a point en effet saisi le véritable etat de la question, j’ai mieux aimé me contenter de le prouver avec politesse, que de me borner comme lui, à le dire d’une maniere injurieuse. Ce ton, qu’il me soit permis de le remarquer, est d’autant plus déplacé de la part de Mr Bernoulli, que toutes les fois que j’ai pris la liberté de ne pas etre [2nd feuillet recto] de son opinion, |& en particulier dans l’Ecrit dont il se plaint|, je l’ai toujours combattu avec les égards que je lui devois jusqu’a sa lettre, & que je me dois encore à moi même depuis qu’il m’en a manqué.1 Mr Bernoulli pretend que sans lui je n’aurois pas pensé à l’inoculation à assujettir l’inoculation au calcul [pâté] comme si j’avois envisagé cette question sous le même point de vue que lui, ou même sous un point de vue <[…?]> approchant. Au reste plusieurs de mes confreres peuvent me rendre ce témoignage, que j’etois occupé de l’inoculation longtemps avant que d’en écrire, et avant que Mr Bernoulli eut rien envoyé à l’academie sur ce sujet. Il <[…?]> ajoûte dans sa lettre, que ma théorie est prise de la sienne; ce reproche <[…?]> <seroit> est d’autant plus surprenant que ma théorie tend au contraire a prouver que toute celle de Mr Bernoulli porte à faux. Il me reproche de m’etre renfermé dans une analyse abstraite; c’est que je n’ai pas cru, comme lui, devoir établir de grands calculs sur <de simples hypotheses> des hypotheses vagues dans une matiere ou il s’agit de la vie des hommes. Quand nous aurons les faits qui nous manquent, & quand on aura trouvé [2nd feuillet verso] une methode pour appliquer la théorie des probabilités à l’inoculation, methode qui nous manque <encore [?]> aussi, comme je crois l’avoir très clairement prouvé,2 alors <je [?] pourrois [?] […?]> on pourra dresser des tables arithmétiques |vraiment utiles| sur les avantages |ou les inconveniens| de l’insertion de la petite verole; jusques là, je crois que des calculs prématurés repandroient peu de jour sur cette matiere. 1 Sans préjuger de la véracité du reproche de d’Alembert, on notera que ce n’est effectivement pas la première fois que les deux savants entrent en conflit. Ils ont déjà eu maille à partir dans les années 1740 en matière d’hydrodynamique et sur la cause des vents puis, dans les années 1750, à propos des cordes vibrantes et sur le jeu de croix ou pile. On trouve quelques éléments sur ce point dans T. L. Hankins [1970, pp. 3, 44-50] et E. Badinter [1999, pp. 269-271]. On se reportera aussi aux introductions de divers volumes à paraître des Œuvres complètes de d’Alembert, notamment celles du volume I/4b, I/5, III/2. 2 L’absence de cette méthode est l’un des deux objets que d’Alembert tente de démontrer dans son «Onzième Mémoire» [1761]; le premier étant le fait que la question de l’inoculation n’a pas été envisagée sous son véritable point de vue, comme nous l’avons indiqué supra, p. 5.
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Fig. 1. Premier feuillet (recto) de la Réponse de D’Alembert à D. Bernoulli [7 déc. 1762], Archives de l’Académie des Sciences de Paris, Pochette de séance du 7 décembre 1762.
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Mr Bernoulli se plaint que je l’ai attaqué en plusieurs autres occasions, & et il assure que j’ai toujours eu tort, quoiqu’il n’ait pas daigné me repondre. Cela est bientôt dit; mais si mes objections meritoient quelque reponse, Mr Bernoulli auroit mieux fait de les refuter; si elles ne lui en ont pas paru dignes, pourquoi s’en plaint-il si amèrement, d’autant plus que ces objections, je ne saurois trop le repeter, ont toujours eté proposées de ma part avec tous les égards possibles? A l’Academie le 7 Decembre 1762. D’Alembert
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pierre-charles pradier · nicolas rieucau
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d’alembert et bernoulli au sujet de la petit vérole
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L ES « R ÉF L E X I O N S P H I LO S OPHIQUE S » DAN S L ES ÉLOG E S ACA D É M I QU E S D E D ’ALE M BE RT: L E CA S D E L’É LOG E DE B O S S UET Olivier Ferret* Abstract: In keeping with the expectations of the genre, d’Alembert’s academic eulogies describe the life of French Academicians. But since they also include philosophical comments, they can be read too as a piece of Enlightenment propaganda, which can be problematic given the official status of these texts. The example of the eulogy of Bossuet is highly significant in this respect. Its evolution can be studied, from two successive manuscript versions to the published version, in two stages: the text itself, in a collection published by d’Alembert in 1779; and the notes relating to the text, which only appear in the Histoire des membres de l’Académie française, published by Condorcet in 1787, after d’Alembert’s death. Given the values d’Alembert intends to promote, the ideological positions of the Bishop of Meaux are obviously an issue, as can be seen when d’Alembert deals
with theological quarrels or the question of ecclesiastical and even civil toleration. D’Alembert’s solution consists in transferring his most polemical remarks into the notes, which remained unpublished during his lifetime. But it is notable that some of the developments in the final manuscript version of the notes (on toleration, or on the obstacles raised against the spreading of Enlightenment) were never published. It is difficult to say whether this decision was d’Alembert’s or Condorcet’s, but we can be certain that these considerations, still polemical in the 1770s, sounded somewhat obsolete by the 1780s. This phenomenon helps therefore to show the ambiguities of d’Alembert’s publishing strategy: by leaving the most polemical parts of his eulogy in manuscript, he makes time bombs that could be regarded, ten years later, as wet bangers.
omme tout exercice normé, les éloges, et a fortiori les éloges académiques, peuvent apparaître rébarbatifs. Ce préjugé ne résiste pas longtemps à la lecture des éloges que d’Alembert rédige lorsqu’il devient, en 1772, secrétaire perpétuel de l’Académie française. Du moins
C
* Université Lyon 2, membre de l’Institut universitaire de France. E-mail: Olivier.Ferret@ univ-lyon2.fr «Bollettino di storia delle scienze matematiche» · Vol. XXVIII · 2008 · Fasc. 2
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convient-il, pour en apprécier la saveur mais aussi la portée, d’envisager ces textes comme des ouvrages qui, s’ils doivent transmettre à la postérité la mémoire des membres de l’Académie française, loin de prétendre à une hypothétique objectivité, en construisent une représentation délibérément orientée dans une perspective «philosophique» – au sens où elle entretient d’étroites relations avec les ambitions assignées à la philosophie des Lumières. Les éloges académiques de d’Alembert sont donc, d’abord et avant tout, des ouvrages situés,1 et la réception dont ils ont fait l’objet prouve aussi que les lecteurs n’ont pas manqué d’y voir à l’œuvre un «esprit malin».2 Au-delà des éloges lus en séance, dont le texte est d’ailleurs revu pour la publication, le projet, défini par le secrétaire perpétuel lors de la séance publique du 25 août 1772, est d’envergure: il consiste en effet dans la continuation de l’Histoire de l’Académie française en deux volumes, rédigée par Pellisson et par l’abbé d’Olivet,3 qui amène d’Alembert à retracer l’histoire des académiciens morts entre 1700 et 1771. Alors que les éloges lus relèvent d’un choix, l’entreprise présente en effet un caractère systématique qui n’est pas sans écueils: si elle exige que tous les académiciens se voient consacrer un article, comment, par exemple, faire l’éloge de ceux qui n’ont pas eu un «mérite éminent»? «L’Historien de la Compagnie, obligé de parler de quelques Membres, qu’elle a plutôt reçus qu’adoptés, se trouve pressé, pour ainsi dire, entre les Manes de son Confrere, dont il doit ménager la cendre, & la vérité, plus respectable que toutes les Académies», déclare d’Alembert dans ce qui va devenir la «Préface» de son Histoire des membres de l’Académie française.4 Difficulté affrontée, au prix de stratégies de contournement et de déplacement de l’intérêt qui constituent l’une des manifestations de l’«esprit malin» de l’auteur. Les indéniables talents de Bossuet, dont il sera ici question, dispensent le secrétaire perpétuel de cet exercice périlleux: son nom est d’ailleurs cité peu après parmi les «Académiciens célebres, que ce siecle a vus disparoître» (p. x). Il doit en revanche faire face à un autre pro1 L’expression s’entend dans l’acception que lui confère Sartre dans Qu’est-ce que la littérature?, Situations, II, Paris, Gallimard, 1948. Voir ma communication sur L’écrivain “en situation” dans les éloges de d’Alembert, effectuée lors de la journée d’études organisée par P. Crépel et C. VolpilhacAuger à l’ENS-LSH, Lyon, 13 décembre 2003. Ce texte devrait paraître, avec d’autres contributions, dans un numéro spécial des «Recherches sur Diderot et l’Encyclopédie» consacré aux éloges académiques de d’Alembert. 2 Voir, au cours de la même journée d’études, la communication de C. Volpilhac-Auger sur «L’esprit malin» de d’Alembert. 3 Histoire de l’Académie française, depuis son établissement jusqu’à 1652 [par P. Pellisson-Fontanier, t. 1], depuis 1652 jusqu’à 1700 [par P.-J. Thoulier d’Olivet, t. 2], Paris, J.-B. Coignard fils, 1730. 4 Histoire des membres de l’Académie française, morts depuis 1700 jusqu’en 1771, Paris, Moutard, 1787, 6 vol. [désormais HAF], t. 1, p. viii.
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blème:1 celui de la possible conciliation entre les options idéologiques de l’évêque de Meaux et «l’esprit philosophique» qui cherche à rendre compte du «progrès des lumieres» (p. xxi) et qui, au sein d’une compagnie «dont les productions, faites pour être plus répandues, doivent être plus propres à fléchir & à diriger les opinions vers le bien général de la Nation & du Souverain», travaille à la «destruction lente & paisible» des erreurs et des préjugés (p. xix). Non seulement l’Éloge de Jacques-Bénigne Bossuet, évêque de Meaux, présente l’intérêt de soulever la question de l’ancrage idéologique de l’ouvrage, mais l’histoire éditoriale du texte ainsi que les documents dont on dispose permettent de reconstituer certaines étapes de sa genèse. Le texte, lu en séance le 15 mai 1775, fait partie du recueil que d’Alembert fait paraître en 17792 et qui forme le tome 1 de l’Histoire des membres de l’Académie française publiée de manière posthume par Condorcet en 1787. On signalera cependant que si le texte de l’Éloge de Bossuet est publié du vivant de l’auteur, ce n’est pas le cas des notes qui s’y rapportent et qui sont plus longues (73 pp. in-8º) que le texte (41 pp. in-8º): dans l’Avertissement du recueil de 1779, d’Alembert fait état de «beaucoup de notes, qu’il nous a paru à propos de supprimer quant à présent» (Éloges lus, p. ii), et ces notes ne paraissent qu’en 1787, dans le tome 2 de l’Histoire des membres de l’Académie française.3 À cette version imprimée en deux temps4 s’ajoutent deux versions manuscrites conservées à la Bibliothèque de l’Institut, chacune de la main d’un copiste mais avec des corrections autographes.5 L’examen des évolutions du texte de l’Éloge de Bossuet, depuis les versions manuscrites successives jusqu’à la version imprimée, permet ainsi de voir comment se fabrique un discours militant, intimement lié à la propagande des Lumières, discours proféré de l’intérieur même de l’institution acadé1 Le cas de Bossuet n’est pas isolé: il suffit, par exemple, de lire l’Éloge d’Odet-Joseph de Vaux, de Giry de Saint-Cyr (HAF, t. 5, pp. 641-648) pour observer la mise en œuvre d’une autre forme de malignité, qui s’explique par des raisons idéologiques. 2 Éloges lus dans les séances publiques de l’Académie française, Paris, Panckoucke, 1779 [désormais Éloges lus]. 3 Éloges lus et HAF, t. 1, pp. 133-174 (pour le texte); HAF, t. 2, pp. 221-294 (pour les notes). 4 C’est le cas de l’ensemble des éloges rassemblés dans le recueil de 1779, réimprimé en tant que tome 1 de l’Histoire des membres de l’Académie française: dans les tomes 2 à 6, les éloges (textes et notes) sont classés dans l’ordre chronologique de la date de la mort des académiciens; lorsque le texte figure dans le tome 1, les notes se trouvent dans l’un des tomes suivants selon l’ordre adopté. 5 Ms 2473, ff. 154r-202v; ff. 203r-243r. Ici encore, le cas de l’Éloge de Bossuet n’est pas unique: on dispose, pour plusieurs autres éloges, de deux versions manuscrites successives; au sein de cet ensemble, le texte de l’Éloge de Bossuet est toutefois le seul à avoir été publié par d’Alembert dans le recueil de 1779, dans l’état actuel des connaissances de l’inventaire des manuscrits de la Bibliothèque de l’Institut.
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mique, ce qui ne laisse pas d’engendrer un ensemble de contraintes qui expliquent la mise en œuvre d’une stratégie spécifique.1 1. Des «réflexions philosophiques» D’après l’article «Éloge» de l’Encyclopédie, l’objet premier d’un «éloge académique» consiste à détailler «toute la vie d’un académicien, depuis sa naissance jusqu’à sa mort». Toutefois ce genre, tel que le théorise puis le pratique d’Alembert, ne se réduit pas à cette seule composante narrative. La définition fait apparaître une hésitation entre deux désignations concurrentes: dire que ces «éloges historiques»2 sont aussi des «éloges philosophiques», c’est dire que le récit est sous-tendu par un discours que font notamment entendre des «réflexions philosophiques» qui, explique d’Alembert, «seront tantôt mêlées au récit avec art & briéveté, tantôt rassemblées & développées dans des morceaux particuliers, où elles formeront comme des masses de lumiere qui serviront à éclairer le reste». De telles réflexions sont cependant censées porter sur certains «objets»: «le caractere d’esprit de l’auteur, l’espece & le degré de ses talens, de ses lumieres & de ses connoissances, le contraste ou l’accord de ses écrits & de ses mœurs, de son cœur & de son esprit», surtout «l’analyse raisonnée» de ses «écrits» (p. 527). On devine que, dans les éloges en général et dans celui de Bossuet en particulier, l’insertion de telles «réflexions philosophiques» soulève des problèmes de deux ordres, rhétorique et idéologique. D’une part, l’ajout répété de développements plus ou moins étroitement rattachés à l’évocation de la vie et des ouvrages de l’auteur risque, par la prolifération de telles digressions, sinon de mettre en péril la cohérence du texte de l’éloge, considéré dans sa définition générique, du moins de compromettre la lisibilité de ses lignes directrices. D’autre part, par leur orientation «philosophique», ces réflexions sont le lieu où s’expriment en priorité les contradictions qui se font jour entre les choix idéologiques de l’évêque de Meaux et l’«esprit philosophique» dont se réclame d’Alembert. L’examen de la genèse de l’Éloge de Bossuet conduit à observer la mise en place, à la suite des remaniements successifs, d’une distribution du texte entre le texte proprement dit et les notes, gouver1 Pour le détail de l’analyse des évolutions que connaît le texte de l’Éloge de Bossuet, voir Fabrique d’un éloge: Bossuet, évêque de Meaux, à paraître dans le numéro spécial des «Recherches sur Diderot et l’Encyclopédie», mentionné plus haut. 2 D’Alembert évoque aussi les éloges «oratoires» prononcés en séance dans les discours de réception, et qui obéissent à des codes rhétoriques différents: il ne s’agit que de «loüer en général les talents, l’esprit», voire «les qualités du cœur» de l’académicien auquel on succède, «sans entrer dans aucun détail sur les circonstances de sa vie» et sans «rien dire de ses défauts». Une telle «matiere», remarque d’Alembert, n’est «que trop donnée» (Encyclopédie, t. 5, p. 527).
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née par une économie particulière susceptible de concilier les exigences rhétoriques et les enjeux d’un discours de combat. Une semblable répartition apporte certes une solution au problème rhétorique: le texte de l’éloge, tel qu’il est publié dans le recueil de 1779, se trouve resserré autour de l’évocation de la carrière de l’auteur; sont déplacés dans les notes, qui restent «quant à présent» consignées dans le manuscrit, les développements dont le caractère digressif est plus ou moins évident. Mais s’il est vrai que nombre de «réflexions philosophiques», parmi lesquelles les passages les plus ouvertement militants, se retrouvent dans les notes, on doit en outre émettre l’hypothèse que la distribution du texte est soustendue par une stratégie de publication différée qui amène la constitution de notes laissées manuscrites qui pourraient bien faire office de bombes à retardement.1 On s’intéressera donc aux étapes de la carrière de l’évêque de Meaux car, tout en fournissant le thème général du texte, elles fournissent aussi les points d’accroche sur lesquels s’articulent des «réflexions philosophiques» qui, reliées les unes aux autres, font entendre un discours second qui entretient d’étroites relations avec les problématiques des Lumières. L’opération ne laisse cependant pas d’être délicate. Comment, en effet, faire conjointement l’éloge de l’un des chefs de l’Église de France, incarnation même de l’orthodoxie catholique, et tenir un discours militant assurant la promotion de valeurs des Lumières qui s’édifient précisément contre cette tradition dont Bossuet est un illustre représentant? On verra que d’Alembert en est parfois réduit à des contorsions et que c’est à la faveur des tensions qui travaillent le récit que se révèlent les enjeux idéologiques du discours. Si, comme l’écrit d’Alembert dans la Préface du recueil de 1779, l’Académie française doit être composée en priorité d’«Orateurs», de «Poëtes» et de «bons Ecrivains dans tous les genres», l’évocation de l’orateur Bossuet ne fait guère problème, et c’est tout naturellement que son éloge détaille ces qualités qui légitiment sa présence dans la «Compagnie». Là ne se limite cependant pas la carrière de l’évêque de Meaux, que l’éloge se doit de retracer dans son intégralité: «Destiné par son goût & par son caractere, à l’Eloquence & à la Controverse, Bossuet mena, pour ainsi dire, de front les talens de l’Orateur & du Théologien» (Éloges lus, p. 142). On devine que c’est lorsqu’il s’agit d’évoquer le théologien que surgissent les difficultés, ce que marque l’embarras du locuteur: «les triomphes Théologiques de Bossuet, quelque prix qu’on y doive attacher,2 sont la partie 1 Telles sont les conclusions de l’article sur la Fabrique d’un éloge, mentionné plus haut. 2 Les manuscrits donnent: «quelque prix qu’on y veuille attacher» (f. 177r; f. 221r).
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de son Eloge à laquelle nous devons toucher avec le plus de réserve; ses victoires en ce genre appartiennent à l’Histoire de l’Eglise, & non à celle de l’Académie, & méritent d’être appréciées par de meilleurs Juges que nous» (p. 155). Quoique se déclarant incompétent, d’Alembert ne peut – et ne souhaite probablement pas – éviter d’évoquer l’action du théologien, qui fournit la matière de quelques «réflexions» sur les questions religieuses, dans le texte mais surtout dans les notes. 2. Querelles théologiques Considérons la note V, «sur quelques opinions théologiques de Bossuet», qui, tout en présentant, dans la version imprimée, des atténuations1 par rapport au deuxième manuscrit, n’en fait pas moins entendre un jugement distancié: Parmi les différentes Ecoles théologiques, Bossuet goûtoit sur-tout celle de Saint Thomas; il embrassa de cette Ecole jusqu’au systême de la prémotion physique, parce qu’il le jugeoit très-propre à résoudre les principales difficultés de la matiere de la grace, qu’il eût peut-être mieux valu ne pas chercher à résoudre. Ceux qui ont lu le Livre d’un Janséniste moderne, intitulé: De l’action de Dieu sur les Créatures, où cette prémotion, si chere à Bossuet, est développée dans toute son étendue, & prouvée avec toute la force dont l’Auteur Théologien pouvoit être capable, sont en état d’apprécier le jugement trop favorable que Bossuet a porté d’un tel système, & concluront qu’il auroit fait sagement de ne pas montrer, pour l’étude de la Géométrie, l’indifférence que nous lui avons reprochée. Eclairé par ce flambeau sur les vrais caracteres de la certitude philosophique, il auroit placé sur la même ligne la prémotion physique & la science moyenne, non quant aux égards que méritent les Auteurs des deux opinions (car il n’eût pas mis l’Ange de l’Ecole à côté de Molina ou de Suarez), mais quant à l’idée qu’on doit se faire de l’un & de l’autre systême, & au degré de lumiere qu’ils peuvent porter dans les têtes oisives & creuses qui s’en occupent (HAF, t. 2, pp. 230-231).
On retiendra qu’«il eût peut-être mieux valu ne pas chercher à résoudre» les «difficultés de la matiere de la grace», que les «systèmes» jésuite et janséniste n’apportent de «lumiere» que «dans les têtes oisives & creuses qui s’en occupent», que cette prétendue «lumiere» n’est rien à côté du «flambeau» qui «éclaire» celui qui ne néglige pas la géométrie «sur les vrais ca1 Cf. Ms 2473, ff. 208r-v: l’ironie, qui porte sur l’ensemble des théologiens, ne s’abat plus que sur le seul «Auteur Théologien» dont le livre est cité; le «nous» impliquant le locuteur s’efface derrière un «il» renvoyant au seul Bossuet; les critiques concernant le «jugement un peu étrange» de Bossuet (devenu «jugement trop favorable») ou sa position par rapport à la géométrie («négliger si fort» est corrigé en «montrer» de «l’indifférence») sont également atténuées par des euphémismes.
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racteres de la certitude philosophique». Alors qu’est posée l’opposition entre la géométrie et les systèmes théologiques, sur laquelle on reviendra, le passage fait explicitement référence à l’évocation, au début du texte de l’éloge, du désintérêt de Bossuet pour les mathématiques. Il est vrai que d’Alembert précise aussitôt qu’«En se montrant peu favorable aux Mathématiques, Bossuet ne témoigna pas la même indifférence à la Philosophie» qui, ajoute-t-il dans le premier manuscrit, «par malheur pour elle ignoroit encore combien les Mathématiques lui étoient nécessaires» (Éloges lus, p. 138). Mais c’est pour faire état du «zele» de Bossuet pour la philosophie cartésienne, tombée depuis en désuétude. Dans la note iii, «sur le courage avec lequel Bossuet osa défendre la Philosophie Cartésienne», d’Alembert revient sur cette philosophie «aujourd’hui» «surannée» pour en tirer une observation et une leçon: alors que Bossuet la «défendit si vivement, parce qu’il n’y en avoit pas alors de meilleure», on peut s’interroger sur les «lumieres» ou le «discernement» des «hommes accrédités, et qui se croyoient sages», qui «entreprirent, il y a trente ans, de la réhabiliter sur quelques articles», notamment sur celui des idées innées: On a vu, dans des lieux qui ne devroient être que le séjour de la vérité, de graves Orateurs prononcer de longs discours pour établir cette chimere comme la base de notre croyance. On ne sait pas si ces Orateurs avoient des idees innées; mais on peut assurer qu’ils n’en avoient guere d’acquises. Ce qu’il y avoit de plus étrange dans ce nouveau Catéchisme, c’est qu’avant Descartes on auroit presque regardé comme hérétique un Philosophe qui auroit admis ces fatales idées innées; de nos jours on a taxé de matérialisme ceux qui les rejettent.
Après une première leçon, déjà entendue, sur les «efforts si inutiles & si fréquens de l’autorité contre le progrès des lumières» en arrive une seconde, teintée d’ironie: Les ennemis de la raison, qui soutiennent si indifféremment le pour & le contre suivant les circonstances, pourraient, à chaque mutation, dire comme Sganarelle qui met le foie du côté gauche & le cœur du côté droit: Nous avons changé tout cela (HAF, t. 2, pp. 226-227).
L’opposition entre la géométrie et la théologie resurgit lorsque d’Alembert évoque d’autres «chimères». Dans un passage extrait du deuxième manuscrit pour constituer une partie de la longue note xii, c’est à Bossuet qu’il revient de faire entendre le discours orthodoxe: Bossuet étoit persuadé qu’on défendoit très-mal-adroitement la Religion Catholique, en entreprenant de dépouiller les dogmes de la Foi de leur enveloppe mystérieuse, & en se permettant de vaines tentatives pour éclairer des foibles lumieres de la raison cette sainte obscurité.
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C’est le cas, par exemple, d’une «prétendue explication physique» de la «présence réelle» qu’un «dévot Mathématicien avoit pris la malheureuse peine de rédiger en forme géométrique». Et d’Alembert de livrer, en note, les «étranges théorèmes» du géomètre Varignon, «dût-on gémir, après les avoir lus, sur la sottise de l’esprit humain». C’est encore le cas du «savant Caramuel de Lobkovitz», «Géometre intrépide & Théologien lumineux» qui «résout, par le secours seul de la regle & du compas, toutes les questions théologiques, principalement celles qui concernent le libre arbitre & la grace» (pp. 262-264). Le verdict tombe: «chimeres physico-théologiques», ainsi qu’une leçon d’une orthodoxie qui siérait au Bossuet de d’Alembert: «il est tout à la fois absurde & mal-sonnant de vouloir rendre intelligible ce que la foi nous déclare être ineffable» (p. 265). Entendons qu’il convient d’accuser l’opposition entre géométrie et théologie: à un bon usage du raisonnement géométrique, si «nécessaire», de nous éclairer «sur les vrais caracteres de la certitude philosophique»; aux spéculations théologiques d’occuper «les têtes oisives & creuses». D’Alembert ne passe pas non plus sous silence la carrière du controversiste: on mentionnera pour mémoire la querelle qui oppose Bossuet à Fénelon à propos du quiétisme, et l’on s’en tiendra à sa querelle avec Jurieu, qui soulève une autre question délicate, celle du «zèle» de Bossuet dans la controverse contre les protestants. D’Alembert entreprend de défendre Bossuet d’être l’instigateur de la «persécution violente, si contraire au Christianisme, à l’humanité, à la politique même, que Louis XIV eut le malheur d’ordonner ou de permettre contre les Réformés» (Éloges lus, p. 163). Dans cette affaire, politique et religion sont étroitement liées, et le texte accentue la charge contre les jésuites, d’ailleurs ennemis de Bossuet.1 La note XII, «sur les dragonnades, et sur la maniere de penser de Bossuet au sujet des erreurs du Calvinisme», prolonge le réquisitoire contre les membres de la Société de Jésus: «appuyés par Louvois», lit-on dans un passage extrait du deuxième manuscrit, ils «furent les détestables auteurs de cette persécution odieuse» (HAF, t. 2, p. 258). Quant à Louis XIV, il importe de le mettre hors de cause. C’est chose faite dans la dernière partie de la note XII, qui ne figure dans aucun des manuscrits consultés: «Quoique les cruautés exercées contre les Protestans, le fussent au nom de Louis XIV, il paroît que ce Prince, naturellement 1 La charge est reprise plus loin, à propos de la «prétendue indulgence» de Bossuet «pour les Sectateurs de Jansénius»: «l’adroit Pere de la Chaise lui rendoit sourdement auprès du Roi tous les services charitables que le patelinage insidieux peut rendre à la bonne foi sans intrigue, & qui néglige de se tenir sur ses gardes» (p. 169).
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juste & droit, ne les approuvoit pas». D’Alembert cite alors un discours «pour l’instruction du Dauphin», dont «l’original, dicté par le Monarque à Pelisson, est déposé à la Bibliotheque du Roi»: discours imprimé en 1767, conclut d’Alembert, auquel «on a eu grand soin» de «retrancher» le passage cité: «suppression bien punissable par l’injure qu’elle a faite à la mémoire d’un Prince si rempli de bonnes intentions, & si indignement trompé par ses Directeurs & par ses Ministres» (pp. 268-269). La justification de Bossuet est plus laborieuse encore. Au début de la note, d’Alembert postule que Bossuet est hostile aux persécutions. «Il connoissoit trop bien les principes et les vrais intérêts de la Religion pour ignorer que la violence, est plus propre à rendre la vérité odieuse qu’à la persuader», lit-on dans le deuxième manuscrit, corrigé ainsi: «Il avait trop de lumieres, pour ignorer que la violence, bien loin de faire naitre la foi, peut revolter contre l’evidence même des ames irritées par leurs tyrans» (f. 229v). D’Alembert entend-il faire de Bossuet un homme gagné à l’esprit des Lumières? On pourrait le croire s’il ne revenait pas, à la fin de la note, sur cette idée (HAF, t. 2, pp. 266-267): «Nous avons parlé au commencement de cette note, de la douceur dont Bossuet vouloit qu’on usât à l’égard des Protestans». La suite fait entendre (complaisamment?) deux objections, ainsi que les réponses qu’on peut leur faire, mais qui se développent d’une manière (délibérément?) peu convaincante. D’abord, «On a objecté plus d’une fois contre cet esprit de charité qu’il professe en plusieurs endroits de ses Ouvrages, ce qu’on lit dans sa politique tirée de l’Ecriture-Sainte; que le Roi doit employer son autorité pour détruire dans ses Etats les fausses Religions». Réponse: «C’étoit alors la maxime terrible, mais générale, des Théologiens de France». Faut-il comprendre, autrement dit, que Bossuet était un homme de son temps qu’il faut juger en prenant en compte le contexte d’«alors»? Cependant d’Alembert insiste: «maxime en effet bien contraire aux protestations de Bossuet contre la violence employée à l’égard des Hérétiques», insistance qui loin d’étayer la réponse à l’objection ne fait qu’accentuer la contradiction. «Mais comme il est juste d’expliquer un Auteur par lui-même, nous emploierons ces protestations même de Bossuet, à expliquer dans quel sens il croyoit que l’autorité dût agir pour la conversion des Protestans». D’Alembert nous invite donc à une bien étrange herméneutique: expliquer par les «protestations même» qu’on suppose à l’auteur (parce que l’homme était éclairé) un texte dont il souligne la contradiction avec cette supposée «douceur»… En fait de supposition, l’alternative est clairement posée: «il faut, ou supposer à la fois ce grand Prélat inconséquent & peu sincere, ou croire qu’il ne permettoit à l’autorité que les moyens aussi doux qu’efficaces dont elle peut user pour la propagation de la Foi […]». Et face à cette alterna-
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tive, c’est l’hypothèse la plus honorable à Bossuet qu’il faut choisir, ou plutôt postuler: «Nous devons à la mémoire de l’Evêque de Meaux, de croire que tel a été le fond de ses sentimens». L’enjeu semble donc ici de l’ordre de la «mémoire», celle due à un grand homme certes, mais aussi celle qu’il s’agit de transmettre, et de construire. La deuxième objection vient encore fragiliser l’argumentation: On peut demander, il est vrai, pourquoi ce Prélat, accrédité comme il l’étoit à la Cour & dans l’Eglise, n’a pas inspiré une maniere de penser si religieuse aux Evêques ses confreres, au Prince & à ses Ministres? Pourquoi, s’il avait en horreur la persécution, il ne s’est pas élevé contre elle avec la vigueur & l’autorité que lui donnoient ses talens & son éloquence?
Autre réponse qui est de l’ordre de la supposition: «Il est à présumer que Bossuet a fait sur ce point les représentations que l’humanité, la justice & la religion exigeoient de lui; mais que la détestable politique des persécuteurs a empêché l’effet de ses sages remontrances». La lecture du deuxième manuscrit accentue la perplexité. D’Alembert avait initialement formulé sa «réponse» d’une manière beaucoup plus nette: cette présomption doit avoir lieu «au moins tant qu’on n’apportera pas de preuves du contraire» (f. 259r), soulignant ainsi qu’il s’agit d’une pétition de principe. Les répercussions d’un tel développement sur la «mémoire» de Bossuet que construit le texte ne laissent pas d’être ambiguës: que doit-on penser des «lumières» d’un tel homme? À moins qu’il ne faille retenir que la douceur dont on crédite Bossuet vaut en tant que manifestation (réelle ou supposée, peu importe) d’un esprit éclairé. 3. Pour une tolérance ecclésiastique et civile C’est ce que permet d’interpréter la suite de la note manuscrite, non reprise dans l’Histoire des membres de l’Académie française: «La moderation dont Bossuet se faisoit honneur à l’égard des hérétiques, est d’autant plus louable, qu’il étoit peut être difficile de la concilier avec son zèle pour les convertir». Suit alors un développement explicitement présenté comme une digression: Qu’on nous permette à ce sujet quelques reflexions. Si elles ne paroissent pas trop bien placées dans un ouvrage litteraire, elles pourront du moins etre tolérées dans l’Eloge de l’Evêque de Meaux. Au reste ceux que les discussions politico-Theologiques n’interessent pas, peuvent se dispenser de lire le reste de cette note et passer à la note suivante.
Ces réflexions, d’Alembert en donne la teneur: «Les philosophes crient tolérance, les fanatiques persécution, les chrétiens moderés se contentent
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de dire que la religion n’ordonne pas de persécuter, mais seulement de convaincre; je ferai la dessus un petit nombre de reflexions» (ff. 259v260r). Le développement, qui s’étend sur une vingtaine de pages manuscrites, est conçu comme une démonstration qui prend pour point de départ un raisonnement par l’absurde. L’argumentation se fonde en effet sur trois «principes» dans l’énoncé desquels d’Alembert exhibe les marqueurs logiques du raisonnement («Si… donc»), et débouche sur la formulation de conclusions («Concluons de ces trois principes […] que…»). Sont alors avancées une série d’objections («Mais…») dont d’Alembert tire toutes les «conséquences». L’argument général est le suivant: si la religion catholique vise, par essence, à contribuer au bonheur de ses semblables, on doit arracher leurs enfants aux hérétiques. Conséquences qualifiées d’«abominables» qui amènent à remettre en question les «principes» initiaux: l’évocation, par d’Alembert, du «cruel enchainement des syllogismes spécieux qu’on vient d’exposer» (f. 263v) confirme qu’il s’agit bien d’une démonstration par l’absurde qui entretient certaines parentés, par exemple, avec le discours de Montesquieu, dans L’Esprit des lois, sur l’esclavage des nègres ou encore, par le ton adopté, avec les écrits de Swift sur la manière de réduire la famine en Irlande. Là ne s’arrête toutefois pas l’argumentation qui, sur un mode autrement plus sérieux, tire alors les implications religieuses et politiques de cette réflexion sur la tolérance. Les conséquences «abominables» auxquelles mène la logique de l’intolérance conduisent à privilégier, pour opérer de souhaitables conversions, les seuls «moyens qui joignent l’efficacité à la douceur» (f. 265r). Bien plus, il faut considérer comme «un mystere de plus dans la vraie religion (qui en a déja de si grands) que d’être en même temps exclusive et tolerante» (ff. 265v-266r). Dépassant l’effet de distanciation créé par l’ironie qui s’attache à l’évocation de tels «mystères» et par le dialogisme qui caractérise la mention de la «vraie religion», d’Alembert s’implique alors, à la première personne – phénomène rarissime dans le texte – lorsqu’il énonce le point d’aboutissement le plus audacieux de son discours: une telle «tolérance» pour les autres religions est à entendre au sens d’«indifférence» pour toutes les religions. «Je n’ai vu jusqu’ici», ajoute-t-il, «presque aucun partisan sincère et zélé de la Tolérance, qui ne fut ou indifférent à toutes les espèces de culte, ou du moins persuadé, ce qui revient à peu près au même, qu’on peut se sauver dans quelque religion que ce soit, pourvu qu’on la pratique de bonne foi, et qu’on soit vertueux» (ff. 266v-267r). D’Alembert revient alors à l’opposition entre les «théologiens» et les «philosophes»: «en attendant que les theologiens s’accordent entr’eux sur la tolerance, c’est aux phi-
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losophes d’en persuader la nécessité aux hommes» (f. 268r). Les implications d’un tel discours ne sont pas seulement religieuses: elles sont aussi politiques en ce qu’elles engagent l’action des «souverains» et la prospérité de l’État qui serait effective «si l’esprit de tolerance une fois bien établi» était «devenu l’esprit du gouvernement» (f. 269v-270r). L’enjeu n’est rien moins qu’une forme de séparation de l’Église et de l’État, comme l’indique la fin de la note inédite qui évoque les conséquences de l’intolérance, qu’il s’agisse des «querelles» théologiques ou des troubles politiques engendrés par les guerres de religion: Que l’autorité publique cesse de prendre part à leurs querelles, dès ce moment elles vivront en bonne intelligence, comme font les scotistes et les thomistes dans nos Ecoles de théologie, en argumentant les uns contre les autres. si la france avoit suivi ces sages maximes, tant de citoyens n’eussent pas eté égorgés par les mains de leurs compatriotes, tant de troubles et de Guerres civiles n’eussent pas déchiré et avili cette nation, tant de familles n’eussent pas été forcées de sortir du royaume en emportant avec elles leurs richesses et leur industrie (ff. 270r-270v).
Les raisons avancées, on le voit, entretiennent une évidente proximité avec l’argumentation voltairienne telle qu’elle se fait entendre, par exemple, dans le Traité sur la tolérance. La manière, quant à elle, est caractéristique de la démarche de d’Alembert. À la suite de cette note se trouvent placés, dans le manuscrit, les «étranges théorèmes», déjà évoqués, du géomètre Varignon sur la présence réelle. Il en résulte un effet de contrepoint, ménagé dans le manuscrit, entre un bon usage et un usage dévoyé du raisonnement, effet qui n’est plus perceptible dès lors que la succession des notes est brisée par la redistribution du texte et que les «réflexions» sur la tolérance disparaissent du texte imprimé. 4. «Sur les traverses que le progrès des lumieres a essuyées dans tous les siècles» La seule lecture de l’imprimé ne permet pas non plus de percevoir un autre effet: une seconde note non reprise dans l’imprimé, où d’Alembert développe des «reflexions sur les traverses que le progrès des lumieres a essuyées dans tous les siècles» (f. 246r), contribue à formuler la distinction entre religion et philosophie en termes de concurrence. Si, comme l’exprime le troisième «principe» sur lequel s’amorce le développement précédemment étudié, «la religion chrétienne nous oblige de procurer autant qu’il est en nous le bonheur de nos semblables, non seulement dans ce monde, mais dans l’autre» (f. 260v), il en va de même de la «philosophie» d’après un passage inédit où d’Alembert évoque l’ambition qui
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lui est assignée: «Mais de quoi vous melez vous, dit on quelquefois aux philosophes? Pourquoi vouloir détruire les erreurs du genre humain? Permettez aux hommes d’être sots & mechans, & gardez vos lumieres pour vous […]». D’Alembert répond en ces termes: si Descartes, Galilée et tant d’autres avoient pensé de la sorte, si on les avoit fait taire en leur disant de quoi vous melez vous, nous serions actuellement aussi éclairés et par conséquent aussi heureux que nous étions du temps de Louis le gros|le Begue ou de Louis le jeune|nous irions nous faire égorger dans des croisades absurdes, nous enrichirions des Moines imbécilles & faineans,|nous irions nous faire égorger dans des croisades absurdes,|, nous verrions des Prêtres audacieux ébranler le trône des Rois (ff. 250v-251r).
En même temps que d’Alembert associe la religion avec le fanatisme (religieux) et la sédition (politique), se trouve établi un lien causal entre les Lumières et le bonheur des peuples («aussi éclairés et par conséquent aussi heureux»), ce qui tend à placer la «philosophie» non seulement en situation de concurrence avec ce que recherche la «religion chrétienne», mais aussi et surtout à poser la «philosophie» comme une alternative inoffensive. De là un discours militant qui s’organise en plaidoyer en faveur de la diffusion des Lumières, et un discours polémique stigmatisant l’action récurrente des «persécuteurs de la raison» qui contrecarrent l’action bénéfique de la «philosophie». Dans le même passage, d’Alembert demande: «Que penseroit on d’un homme qui diroit à un autre; je|ne|veux pas vous empêcher d’écrire, je veux seulement vous couper deux des doigts qui tiennent la plume, vous n’en écrirez que mieux». Et il ajoute: «Tel est le compliment que font à la Philosophie ses hypocrites ou imbécilles adversaires» (ff. 246r-246v). Ainsi, par exemple, des démêlés entre Montesquieu et le «gazetier ecclésiastique» (janséniste), évoqué peu après ou, plus loin, de la querelle que «les jésuites, ces hommes si clairvoyans», ont faite à l’auteur de l’Histoire des oracles (f. 251v). On retrouve certes certains des traits décochés à l’encontre des jésuites ou, plus généralement, de ceux qui usent «vainement leurs forces pour prescrire à la raison ce qu’elle doit penser» (Éloges lus, p. 140). On observera cependant que, dans ce passage inédit, d’Alembert élargit la perspective aux persécutions dont souffre la «philosophie» «chez d’autres Nations où elle est bien autrement garottée». Ainsi des «Philosophes Italiens»: «Qu’y a t-il, par exemple, de plus humiliant|pour la raison humaine|que les protestations des Philosophes Italiens à la tête de leurs livres d’astronomie, et la déclaration qu’ils font de n’adopter le systême de Copernic que comme une hypothese, et d’être parfaitement soumis aux décisions des souverains Pontifes sur ce sujet?» «On ne peut s’empêcher d’en pleurer ou d’en rire» (f. 252r), conclut d’Alembert. À l’échelle européenne, l’exem-
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ple de l’Italie1 entre dans une opposition avec la situation dont bénéficient les savants dans d’autres pays: en Prusse, où un «Roi Philosophe» désigne les détracteurs de Galilée comme des «midas en soutane»; en Angleterre aussi, où un Anglais a répondu à ceux qui lui objectaient «que Josué avoit dit, soleil arrête toi» que «c’est en effet depuis ce moment […] que le soleil s’est arrêté, et que la terre a tourné à sa place» (f. 252v)… L’évocation de ces persécutions permet alors d’esquisser à grands traits une géographie de l’Europe éclairée: chez d’Alembert, comme chez Voltaire d’ailleurs, cité peu avant, les lumières viennent du Nord. Ces quelques exemples confirment que, dans les notes sur l’Éloge de Bossuet, d’Alembert construit, de manière discontinue mais cohérente, un discours qui relève de la propagande des Lumières, qu’il s’agisse de la dénonciation de la faillite de la pensée systématique, qui rappelle, entre autres, le «Discours préliminaire» de l’Encyclopédie, de la futilité des querelles théologiques (et de leurs conséquences funestes), ou encore de la nécessaire instauration d’une tolérance religieuse et civile, ces derniers aspects entrant en résonance avec le discours voltairien. S’en trouvent ainsi légitimés non seulement les ambitions de la «philosophie», antithèse de la religion dans ses dérives sectaires et antidote des maux qu’elle engendre, mais encore les moyens dont elle dispose pour faire entendre raison. Telle est la conclusion du dernier texte inédit: «la philosophie ne veut bruler personne, pas même les inquisiteurs, elle aime mieux les rendre raisonnables ridicules, si elle ne peut les rendre raisonnables» (f. 252v). On peut toutefois s’étonner de ce qu’apparaisse un hiatus entre un tel discours légitimant une démarche militante et une pratique éditoriale, évoquée plus haut, caractérisée par une stratégie de publication différée. 5. Légitimation d ’ une démarche militante L’un des enjeux de la note inédite évoquée plus haut consiste bien à légitimer une démarche militante. Partant d’une réflexion de moraliste, d’Alembert en vient à envisager les différents «moyens» de «dominer» les hommes: La grande passion des hommes est de dominer leurs semblables. Or on les domine par trois moyens, par le despotisme, par la superstition, et par les lumieres. Cette derniere autorité est la plus sure et la plus durable, par ce que le joug en est doux et volontaire. Aussi finit-elle par l’emporter sur les deux autres. Faut1 Voir aussi les développements consacrés au Concile de Trente et, plus généralement, à la position gallicane défendue par Bossuet – et qui lui coûte le chapeau de cardinal.
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il donc être surpris que le despotisme et la superstition, qui ne s’accordent pas toujours ensemble, se soient accordés si bien dans tous les siécles pour opprimer la philosophie? (f. 249r)
On voit comment le développement sur les persécutions subies «dans tous les siécles» par la «philosophie» trouve son origine dans ce qu’il faut bien définir comme des enjeux de pouvoir, décrits en termes de «domination» intellectuelle. La position ici défendue est illustrée dans une autre note – celle-ci présente dans le deuxième manuscrit et reprise dans l’Histoire des membres de l’Académie française – où il est question du pouvoir de l’imprimé: «Il ne faut […] pas croire», écrit d’Alembert dans la note xiii, «qu’on ne vienne jamais à bout de nuire par des Livres à des hommes ou même à des corps puissans»: «Ecrivez, mais sachez attendre, peut-on dire aux hommes dont la plume dispose de l’opinion; ce que vous avez semé fructifiera tôt ou tard» (HAF, t. 2, p. 276). Il est question, en contexte, de rendre compte de l’apparent «paradoxe» qui fait écrire à l’auteur de l’Éloge de Bossuet que «les Lettres Provinciales, publiées en 1656, ont tué les Jésuites cent ans après, en 1760» (p. 275). C’est que, explique d’Alembert, les Provinciales ont été «constamment lues & relues jusqu’à nos jours», qu’elles ont forgé l’«opinion» de la «Nation», que «cette opinion a mis un poids terrible» contre les jésuites «dans la balance où les Magistrats les ont pesés, & qu’elle a disposé le Public à croire, même sans examen, toutes les horreurs dont on a chargé la Société». Bref, «la voix des tribunaux qui a proscrit cette société avoit été précédée de la voix publique, dont l’appui en cette occasion étoit peut être nécessaire à l’autorité; et la voix publique avoit reçu le ton des Provinciales» (pp. 275-276). Cette influence, postulée entre 1656 et les années 1760, est-elle cependant appelée à perdurer? On peut en douter, remarque d’Alembert, depuis la destruction des jésuites: Les Provinciales seroient peut-être plus assurées de l’immortalité qu’elles méritent à tant d’égards, si leur illustre Auteur, cet esprit si élevé, si universel, & si peu fait pour prendre intérêt à des billevesées scholastiques, eût tourné également les deux partis en ridicule. La doctrine révoltante de Jansenius & de SaintCyran y prêtoit pour le moins autant que la doctrine accommodante de Molina, de Tambourin & de Vasquès.
Il conclut par une leçon formulée à la manière d’une maxime: «Tout Ouvrage où l’on immole avec succès à la risée publique des Fanatiques qui se déchirent, subsiste même encore quand les Fanatiques ne sont plus» (pp. 279-280). Quoique de semblables réflexions aient pour objet l’ouvrage de Pascal, dont Bossuet «faisoit […] grand cas» (p. 276), quoique d’Alembert il-
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lustre sa leçon par l’exemple du «Chapitre sur le Jansénisme, qu’on lit avec tant de plaisir dans l’excellent Essai sur l’Histoire Générale» (p. 280) de Voltaire, il est assez tentant d’opérer ici un rapprochement avec la propre entreprise «philosophique» que poursuit d’Alembert en rédigeant les éloges: «Ecrivez, mais sachez attendre», conseille-t-il aux «hommes dont la plume dispose de l’opinion» – et l’on ne peut pas douter que le secrétaire perpétuel de l’Académie française n’en soit pas. Certes, mais il y a une grande différence entre «attendre» l’effet produit par un ouvrage publié – celui de Pascal, ou celui de Voltaire – et laisser «attendre» des «réflexions philosophiques» pour l’instant consignées dans un manuscrit, comme c’est le cas des notes sur l’Éloge de Bossuet qui ne seront imprimées que par les soins de Condorcet, après la mort de d’Alembert, dans l’Histoire des membres de l’Académie française. 6. De d’Alembert à Condorcet S’il est plus que probable que la part des interventions de Condorcet dans le texte des notes est minime, reste qu’il est difficile de décider qui prend l’initiative de la suppression des deux notes «philosophiques» évoquées plus haut. Dans l’«Épître dédicatoire» qui ouvre le tome 2 de l’Histoire des membres de l’Académie française, Condorcet évoque en ces termes le «dépôt précieux» que lui a laissé d’Alembert: Toute Histoire presque contemporaine, n’eût-elle pour objet que la Littérature & la Philosophie, peut troubler le repos de quiconque veut l’écrire avec vérité; & M. d’Alembert étoit parvenu à cet âge & à ce degré de réputation où le repos est plus cher qu’une gloire nouvelle, & où le besoin de parler avec franchise est plus impérieux que celui d’occuper les autres du fruit de ses veilles (p. ii).
De tels propos nous ramènent à la stratégie de publication différée qui rend compte de la répartition entre le texte de l’éloge et les notes qui s’y rapportent. À lire Condorcet, un lien est explicitement établi entre, d’une part, l’exigence de «vérité», le «besoin de parler avec franchise» et, d’autre part, l’aspiration au «repos» qui pousserait un auteur « parvenu à cet âge & à ce degré de réputation» à ne pas s’exposer aux querelles. Cette motivation, d’ordre psychologique, n’est ainsi pas contradictoire avec l’hypothèse selon laquelle d’Alembert aurait remis à plus tard la publication de notes comportant des «vérités» (philosophiques) qu’il n’était sans doute pas prudent de rendre publiques en 1779 – et l’examen des notes que comporte l’Histoire des membres de l’Académie française confirme que c’est là que se fait entendre, en priorité et massivement, le discours des Lumières dont on a identifié quelques jalons. Comment cependant expliquer l’absence des deux notes «philosophiques» qui nous occupent?
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C’est poser la question des raisons qui auraient pu pousser d’Alembert, éventuellement dans la (ou les) version(s) ultérieure(s) du manuscrit qui nous manque(nt), dans tous les cas avant sa mort en 1783, ou Condorcet son éditeur en 1787, à supprimer ces deux notes. Sans se prononcer sur l’identité de celui qui effectue le choix, on peut émettre à ce sujet une dernière hypothèse, formulée à partir des remarques que livre d’Alembert à propos des Provinciales dans la note xiii: «depuis sur-tout que la dangereuse Société, objet de cette ingénieuse satire, a disparu du milieu de nous», écrit-il, «l’intérêt qu’on a pris si long-temps à la lecture des Provinciales s’affoiblit de jour en jour, & semble annoncer l’oubli total de l’Ouvrage». Il cite alors un extrait de son propre ouvrage Sur la destruction des jésuites dans lequel il déclare que «cet oubli […] est le sort auquel doit s’attendre l’Auteur le plus éloquent, s’il n’écrit pas des choses utiles à toutes les Nations & à tous les Siecles» et conclut une nouvelle fois par une leçon de portée générale: «la durée d’un Livre, quelque mérite qu’il ait d’ailleurs, est presque nécessairement liée à celle de son objet» (HAF, t. 2, pp. 278-279). Certains développements des notes sur l’Éloge de Bossuet – à commencer par les deux notes non reprises dans l’imprimé – ne sontils pas justiciables d’une semblable analyse? Certes, la charge contre les jésuites, même répétée plus vingt ans après la destruction de la Société, peut se justifier, si l’on se souvient de la teneur même du discours tenu par d’Alembert sur les Provinciales, par le souci de faire s’abattre les coups sur les deux «partis» qui amène l’auteur des notes à brocarder également les «inepties janséniennes». Cela dit, en va-t-il de même du discours sur la raison persécutée dont l’actualité est de plus en plus problématique sous le règne de Louis XVI? En va-t-il de même pour le discours sur la tolérance qui relaie, comme on l’a vu, les propos que Voltaire faisait entendre dans les années 1760? Ce plaidoyer, orienté dans une perspective déiste, semble de moins en moins pertinent dès lors que – Voltaire s’en était avisé dès le début des années 1770 – c’est bien plutôt le discours athée qu’il s’agit de combattre? Face à l’offensive que marque, entre autres, la publication du Système de la nature du baron d’Holbach, le discours déiste apparaît alors comme un discours d’arrière-garde, dont l’audace devient très limitée. Quant à la nécessité de l’instauration d’une tolérance – ecclésiastique et civile –, est-il bien nécessaire de lui consacrer tout un plaidoyer lorsque, pour reprendre les termes de d’Alembert, «l’esprit de tolerance» est «bien établi», lorsque même il est déjà «devenu l’esprit du gouvernement» comme en témoigne la promulgation par Louis XVI, le 19 novembre 1787 – l’année même de la publication de l’Histoire des membres de l’Académie française – d’un édit de tolérance qui restitue aux protestants leurs droits civils? La suppression des deux notes
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pourrait ainsi s’expliquer par le fait que l’«utilité» des «vérités» qu’elles s’efforcent de répandre ne se fait plus sentir. Là pourraient résider les limites de la stratégie de publication différée, et peut-être aussi, à l’instar des Provinciales qu’évoque d’Alembert, celles de «l’intérêt» que le lecteur peut prendre à l’ouvrage. Malgré leur caractère lacunaire, les différentes versions, manuscrites et imprimées, de l’Éloge de Bossuet permettent d’identifier le souci qu’à d’Alembert de conférer une orientation «philosophique» à l’évocation de la carrière de l’académicien, ce qui n’est pas sans engendrer un certain nombre de tensions dès lors qu’il s’agit en particulier d’évoquer les activités théologiques de l’évêque de Meaux. On a ainsi pu révéler l’existence d’un discours sous-jacent, en rapport avec les problématiques des Lumières, qui porte notamment sur les questions religieuses mais qui, dans une monarchie de droit divin dans laquelle le catholicisme est religion d’État, présentent aussi des implications politiques évidentes. La hardiesse des «vérités» à répandre – et l’aspiration de d’Alembert au «repos» qu’évoque Condorcet – pourraient expliquer la mise en œuvre, confirmée par les remaniements du texte, d’une stratégie de publication différée, l’essentiel du contenu «philosophique» étant transporté dans des notes qui restent provisoirement à l’état manuscrit. Mais cela n’est pas sans soulever le problème d’un texte de combat, qui comporte une inévitable dimension circonstancielle et qui s’inscrit par là même dans une histoire en mouvement: problème du vieillissement du discours qui ne laisse pas de rendre ambivalente la stratégie de publication élaborée par d’Alembert. En laissant «attendre» les notes dans des manuscrits, d’Alembert fabrique bel et bien des bombes à retardement mais qui risquent d’apparaître, une dizaine d’années plus tard, comme des pétards mouillés. Ce n’est pas l’un des moindres paradoxes d’un discours militant.
D’ A L E M B E RT V I S TO DA E ULE RO Giovanni Ferraro* Abstract: In 1746, an interesting correspondence began between d’Alembert and Euler which remained amicable until 1750. Euler displayed great admiration for d’Alembert’s scientific work and his capacities of ‘penetration’. However, there were profound differences between the two mathematicians and their relationship did not manage to turn into friendship, remaining rather formal. After 1751, a period of bitter hostility broke out between them which seems to have
originated from Euler’s ambiguous behaviour during the Berlin prize competition of 1750. The years that followed were characterised by personal and scientific disputes which were exacerbated by the stance of Frederick II of Prussia who showed a clear preference for the illuminist d’Alembert over Euler. The hostility between the two mathematicians only ended in 1763 when d’Alembert finally rejected the appointment as President of the Berlin Academy.
ella corrispondenza di Eulero il nome di d’Alembert appare per la prima volta in una lettera di Daniel Bernoulli datata 25 dicembre 1743:
N
Man macht mir aus Paris überaus viel Rühmens von einem ganz jungen vortrefflichen Mathematico, absonderlich in mechanicis; ich glaube, dass er Dalamber heisse.1
L’allora ventiseienne d’Alembert aveva appena pubblicato il Traité de dynamique,2 un’opera che giustamente aveva attratto l’attenzione del mondo scientifico. Tuttavia, quando scrisse a Eulero, Bernoulli non aveva ancora letto il Traité e semplicemente riferiva l’opinione di qualche intel* Dipartimento STAT. Università del Molise, C. Fonte Lappone, 86090 Pesche (Isernia). Email. [email protected] 1 «Mi giungono da Parigi straordinarie lodi di un matematico giovanissimo ma splendido, specialmente in meccanica; credo che il suo nome sia Dalember» (cf. P. H. Fuss, Correspondance mathématique et physique de quelque célèbres géomètres du XVIIIème siècle, St. Pétersbourg, Académie impériale des sciences, 1843, vol. 2, p. 541). Probabilmente, in quei mesi, Eulero stava valutando la possibilità di associare all’Accademia di Berlino qualche studioso di valore. Nella sua lettera Bernoulli fece presente che d’Alembert non aveva alcuna posizione accademica per cui, a suo parere, avrebbe accettato una chiamata a Berlino; consigliò, quindi, Eulero di fare un’offerta a d’Alembert o di chiedere ulteriori informazioni a Clairaut (Ibidem). 2 Paris, David, 1743. «Bollettino di storia delle scienze matematiche» · Vol. XXVIII · 2008 · Fasc. 2
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lettuale parigino, probabilmente di Maupertius, estimatore e protettore di d’Alembert.1 Dopo qualche tempo, Bernoulli ebbe modo di consultare un altro trattato del giovane matematico francese, il Traité de l’équilibre et du mouvement des fluides, pubblicato nel 1744,2 in cui questi criticava l’Hydrodynamica,3 l’opera che Daniel aveva dato alle stampe nel 1738. Il 7 luglio 1745, modificando il suo precedente giudizio, Bernoulli scrisse a Eulero che d’Alembert non era quella persona eccezionale che pretendeva Maupertius e che il Traité de l’équilibre et du mouvement des fluides, a parte qualche eccezione, conteneva puerili considerazioni e un’impertinente presunzione.4 Un paio di mesi dopo, il 7 settembre 1745, Bernoulli, dopo aver finalmente letto il Traité de dynamique, affermò che tale opera è «piuttosto buona» ma confermò il giudizio negativo sul Traité de l’équilibre et du mouvement des fluides.5 In particolare, Bernoulli rimproverò a d’Alembert di aver trascurato nella sua ricerca gli aspetti sperimentali e di porre al centro dell’attenzione l’analisi matematica dell’idrodinamica: d’Alembert era molto bravo nella matematica pura ma non nella matematica applicata.6 L’opinione negativa di Daniel Bernoulli non ebbe alcun effetto su Eulero – anche se questi se ne ricorderà molto anni dopo, nel 1763, nel momento peggiore della sua relazione con d’Alembert (vedi infra) –. Eulero invero apprezzava molto il lavoro di d’Alembert e ne condivideva lo spirito di fondo, ossia il tentativo di fare della meccanica una scienza puramente matematica e razionale fondata su pochi ed evidenti principi; una concezione che il titolo completo del trattato del 1743 esprimeva con chiarezza: Traité de dynamique, dans lequel les loix de l’équilibre & du mouvement des Corps sont réduites au plus petit nombre possible, & démontrées d’une manière nouvelle, & où l’on donne un Principe général pour trouver le Mouvement de plusieurs Corps qui agissent les uns sur les autres d’une manière quelconque. La stima di Eulero per d’Alembert emerse chiaramente nella vicenda del concorso dell’Accademia di Berlino per l’anno 1746, cui parteciparono sia il matematico francese che Daniel Bernoulli. Questi sembrava desiderare fortemente il premio e, perfino, comunicò a Eulero, in una lettera del 19 marzo 1746, il motto (Non ego ventosae plebis suffragia venor) che individuava il suo scritto.7 L’accortezza si rivelò inutile; il 14 marzo 1743 1 Cf. la lettera del 7 luglio 1745 in Fuss, Correspondance, cit., vol. 2, p. 577. 2 Paris, David. 3 D. Bernoulli, Hydrodynamica, sive de viribus et motibus fluidorum commentarii, Strasbourg, Johann Reinhold Dulsseker, 1738. 4 Fuss, Correspondance, cit., vol. 2, p. 577. 5 Ivi, p. 584. 6 Cf. le lettere del 4 gennaio 1746 e 26 gennaio 1750 (ivi, vol. 2, pp. 594 e 649-650). 7 Ivi, p. 598. I lavori per il concorso doveva essere trasmessi in forma anonima, individuati da un motto.
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Eulero aveva già scritto a Maupertius in termini altamente positivi della memoria di d’Alembert: si trattava di un lavoro molto profondo ed egli era «incantato» di come d’Alembert trattava la materia.1 Il 5 aprile 1746, comunicando a Goldbach che l’Accademia aveva ricevuto una decina di lavori per il premio, Eulero affermò che uno di essi era sufficientemente al di sopra degli altri per l’importanza delle considerazioni contenute ed era degno del premio.2 Il 2 giugno 1746, nella prima riunione della rinnovata Accademia di Berlino, il premio fu effettivamente assegnato alle Réflexions sur la cause générale des vents3 di d’Alembert.4 Bernoulli si sentì umiliato da tale decisione, anche perché il tono delle sue lettere a Eulero lascia intendere che questi lo avesse praticamente assicurato dell’esito del concorso; egli attribuì la vittoria di d’Alembert principalmente all’influenza di Maupertius, dal 1 febbraio 1746 presidente dell’Accademia di Berlino.5 Quale sia stato il ruolo di Maupertuis, appare tuttavia chiaro che Eulero valutava positivamente l’attività scientifica di d’Alembert ed era, all’epoca, ben disposto nei suoi confronti.6 Così, ad esempio, alcuni mesi dopo, quando Grigorij Nikolajevich Teplov chiese un parere per possibili nuovi membri dell’Accademia di S. Pietroburgo, Eulero suggerì i nomi di Clairaut, d’Alembert e Fontaine. Non si trattenne, tuttavia, dal dare una frecciata ai matematici francesi, che si sentivano troppo «preziosi» e che preferivano una piccola pensione a Parigi a una grossa pensione a San Pietroburgo.7 Dopo la vittoria al concorso di Berlino, il 3 agosto 1746, d’Alembert scrisse a Eulero per esprimergli la sua riconoscenza e per inviargli copia 1 Cf. Leonhardi Euleri Opera Omnia, Berlin-Basel, Birkhäuser, 1911- (in seguito: Opera) serie IVA, vol. 6, p. 60. 2 Ivi, p. 372. 3 J. le R. d’Alembert, Réflexions sur la cause générale des vents, Berlin e Paris, David, 1747. 4 Il rapporto che Eulero presentò a nome della commissione composta da J. Kies, A. Humbert, A. N. Grischow, J. Th. Eller, J. N. Lieberkühn fu pubblicato nel 1862 con il titolo Recensio dissertationis de ventis nell’Opera Postuma (a c. di P. H. Fuss e N. Fuss, 2 voll., Petropoli, Typis Academiae Imperialis Scientiarum Petropolitanae, 1862, vol. 2, pp. 793-797; ristampato in Opera, serie II, vol. 31, pp. 365-372). Lo stesso giorno, 2 giugno 1746, d’Alembert fu anche nominato membro straniero dell’Accademia (cf. Opera, serie IVA, vol. 5, p. 250). 5 In una lettera del 29 giugno 1746, Bernoulli anche accusò Maupertius di doppiezza (cf. Fuss, Correspondance, cit., vol. 2, pp. 603-604). Bernoulli si lamentò con Eulero del trattamento avuto in vari occasioni (Ivi, pp. 608-609, 612, 615, 646-647). Come si deduce dalle lettere di Bernoulli del 9 luglio 1746 (Ivi, p. 609) e 16 agosto 1749 (Ivi, p. 646), Eulero, forse per calmare un po’ il suo amico, gli fece sapere che il suo lavoro avrebbe ricevuto un accessit, il che tuttavia non accadde. L’esito del concorso lasciò un segno profondo sulle relazioni tra Eulero e D. Bernoulli, e la loro corrispondenza si interruppe praticamente dopo il 1750. 6 Cf. T. L. Hankins, Jean d’Alembert: Science and the Enlightenment, Oxford, Clarendon, 1970, p. 46. 7 Cf. la lettera del 29 ottobre 1746 in L. Euler, Die Berliner und die Petersburger Akademie der Wissenschaften im Briefwechsel Leonhard Eulers, 3 voll., Berlin, Akademie-Verlag, 1959-1976, vol. 2, p. 71.
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del Traitè de dynamique e del Traité de d’équilibre et du mouvement des fluides. Nella lettera d’Alembert accennò alle sue divergenze con D. Bernoulli su questioni di idrodinamica e chiese il parere di Eulero.1 È evidente il desiderio dello scienziato francese di instaurare un rapporto epistolare con Eulero, desiderio prontamente accolto. Si sviluppò così una corrispondenza che durò cordiale fino al 1750, sopravvisse con difficoltà tra il 1750 e 1751, si interruppe negli anni successivi per riprendere di nuovo nel 1763 ed esaurirsi nel 1764. Tra il 1746 e il 1750, d’Alembert inviò parecchie memorie all’Accademia di Berlino. Invero, i suoi rapporti con l’Accademia di Parigi si andavano facendo piuttosto difficili ed egli scelse come luogo privilegiato per la pubblicazione dei suoi scritti il giornale dell’Accademia prussiana, dove poteva contare sulla protezione del presidente Maupertius e sull’appoggio scientifico di Eulero. Questi mostrava un grande interesse il lavoro di d’Alembert e, come osservato in precedenza, ne condivideva l’impostazione di fondo, anche se, a volte, emergevano differenti punti di vista. Eulero, ad esempio, avanzò riserve sulla dimostrazione del teorema fondamentale dell’algebra data da d’Alembert2 ed era in disaccordo con questi sul significato da attribuire ai logaritmi dei numeri negativi. Di tale questione i due scienziati discussero a lungo, lealmente, rimanendo ognuno sulle sue posizioni.3 Nonostante le divergenze, un clima di grande correttezza dominò il rapporto tra i due matematici fino al 1750; nella corrispondenza Eulero diede attestazione della stima per l’attività scientifica d’Alembert e ne lodò la capacità di comprendere e di penetrare la matematica.4 Va, tuttavia, notato che la relazione scientifica tra Eulero e d’Alembert non riuscì a tramutarsi in amicizia e rimase alquanto formale. Le loro lettere trattano esclusivamente di matematica, pura o applicata; non vi è in esse traccia delle altre questioni cui i due matematici stavano dedicando parte notevole del loro tempo, ad esempio, l’affare König e la polemica anti-wolffiana (per quanto riguarda Eulero) e l’attività preparatoria per l’Encyclopédie (per quanto concerne d’Alembert). Ciò si spiega, almeno in parte, osservando che Eulero non era ben disposto verso i philosophes 1 Opera, serie IVA, vol. 5, p. 249. 2 J. le Rond d’Alembert, Recherches sur le calcul intégral, «Mémoires de l’Académie Royale des Sciences et Belles-Lettres», 5, Berlino, 1746, pp. 182-224. Per la dimostrazione euleriana del teorema fondamentale dell’algebra, cf. L. Euler, Recherches sur les racines imaginaires des équations, «Mémoires de l’Académie Royale des Sciences et Belles-Lettres» 5, Berlino, 1749, pp. 222288 (in Euler, Opera, serie I, vol. 6, pp. 78-150). 3 Euler, Opera, serie IVA, vol. 5, pp. 252-257, 270-272 e 293-295. 4 Opera, serie IVA, 5, p. 252.
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francesi e che le sue opinioni su molte questioni filosofiche e sulle tematiche religiose erano radicalmente differenti da quella di d’Alembert. In particolare, Eulero era credente e proprio in quegli anni pubblicò il Rettung der göttlichen Offenbarung gegen die Einwürfe der Freigeister,1 dove difese la religione cristiana dagli attacchi dei deisti, molto vivaci negli anni quaranta del secolo diciottesimo. A Berlino la polemica contro la religione cristiana era condotta dai liberi pensatori wolffiani sostenitori di una religione di ragione. Eulero, che già nel 1738 aveva criticato la dottrina monadica di Wolff in quanto poteva condurre all’ateismo, mantenne un atteggiamento di costante polemica nei loro confronti.2 L’unico campo dove esisteva una possibilità di dialogo tra Eulero e d’Alembert era la matematica. I due scienziati erano in larga misura partecipi di una stessa concezione della matematica come disciplina basata su idee semplici e generali formatesi mediante un processo di astrazione, anche se le modalità con cui Eulero e d’Alembert mettevano in atto tale comune concezione erano, almeno in parte, differenti. In quegli anni Eulero sviluppò un progetto volto a una netta separazione dell’analisi dalla geometria, progetto che lo condusse verso un sempre più accentuato formalismo; dal canto suo, d’Alembert fu restio ad accettare le conseguenze estreme del formalismo euleriano.3 Tali differenze aiutano a capire le motivazioni scientifiche di alcune loro controversie ma non spiegano certamente l’animosità che caratterizzò i loro rapporti a partire dal 1751. * A partire dal 1746 d’Alembert incomincia a lavorare sulla meccanica celeste e scrive varie memorie che presenta all’Accademia di Berlino. Eulero, in generale, mostra di apprezzare i lavori di d’Alembert e, in una lettera del 15 Aprile 1747, ne loda l’abilità nei calcoli anche se critica il metodo impiegato nella costruzione delle tavole astronomiche giudicandolo non idoneo al calcolo numerico.4 Dopo qualche tempo, però, d’Alembert ritira quattro delle cinque memorie inviate in Prussia, probabilmente per le discordanze che riscontra tra le previsione teoriche basate sulla legge di gravitazione di Newton e le osservazioni astronomiche concernenti il moto lunare. Simili discordanze vengono notate, nello 1 Berlin, Haude und Spener, 1747. 2 Cf. R. Calinger, Leonhard Euler: The First St. Petersburg Years (1727–1741), «Historia Mathematica», 23 (1996), pp. 121-166; in particolare pp. 153-154. 3 Cf. G. Ferraro, Analytical symbols and geometrical figures in Eighteenth Century Calculus, «Studies in History and Philosophy of Science Part A», 32, 2001, pp. 535-555 e G. Ferraro, The rise and development of the theory of series up to the early 1820s, New York, Springer, 2008. 4 Opera, serie IVA, vol. 5, p. 264.
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stesso lasso di tempo, anche da Eulero e Clairaut. Si tratta di una questione della massima importanza scientifica in quanto getta ombre sulla validità della legge di gravitazione universale. Immediatamente d’Alembert, Eulero e Clairaut incominciano a lavorare su di essa in clima di competizione reciproca, competizione che è particolarmente forte tra i due scienziati francesi.1 Il 15 novembre 1747, in una seduta dell’Accademia di Parigi, Clairaut annuncia che la legge dell’inverso del quadrato è falsa e che il moto dell’apogeo della Luna non la rispetta.2 Eulero discute della questione con d’Alembert; mentre questi sostiene che la discrepanza non necessariamente implica la falsità della legge di gravitazione in quanto potrebbe dipendere da irregolarità nella figura e nella densità della Luna o dall’attrazione magnetica della Terra, Eulero è d’accordo con Clairaut nel ritenere che la legge di gravitazione vada modificata.3 Nel giro di qualche mese d’Alembert si accorge che le discrepanze sono in realtà dovute a errori nei calcoli e si rammarica di aver dubitato della legge di Newton.4 Alle stesse conclusioni giunge anche Clairaut che, il 17 maggio 1749, ritratta il precedente annuncio. Eulero invece mantiene, per il momento, una posizione critica sulla legge di gravitazione. Così, il 20 luglio 1749 d’Alembert gli scrive riaffermando la sua fiducia nella teoria di Newton che, a suo parere, non può essere considerata falsa anche nel caso in cui non fornisca un’adeguata spiegazione del moto dell’apogeo della Luna in quanto essa rende ragione di tutti gli altri fenomeni celesti.5 Nel gennaio 1750, su iniziativa di Eulero, l’Accademia di San Pietroburgo sceglie il moto lunare come oggetto per il premio del 1752. D’Alembert è intenzionato a concorrere e lavora alacremente. In un clima di notevole fiducia scrive varie volte a Eulero della memoria in preparazione. Il 22 febbraio 1750 afferma che il lavoro fatto permette di constatare l’accordo della teoria con i dati, nei limiti dell’errore sperimentale e delle approssimazioni dei calcoli.6 Anche nella successiva lettera del 30 marzo 1750 d’Alembert si mostra molto soddisfatto delle sue ricerche:7 è ancora intenzionato a partecipare al concorso e il tono della lettera è molto cordiale. Non ci sono altre lettere fino al dicembre 1750. Nel frattempo, però, si verifica un evento destinato a rovinare i rapporti tra d’Alembert ed Eulero. Il 21 maggio viene annunciato che il pre1 Si veda a tal proposito, le pp. 21-22 dell’Introduction di A. Juškevicˇ e R. Taton (in seguito: Introduction) alla Correpondance d’Euler avec J. D’Alembert in Euler, Opera, serie IVA, vol. 5, pp. 1-63. 2 Cf. A. Clairaut, Du système du monde dans les principes de la gravitation universelle, «Mémoires de l’Académie Royale des Sciences», Parigi, 1745, pp. 329-364. 3 Opera, serie IVA, vol. 5, pp. 276-286. 4 Cf. Juškevicˇ-Taton, Introduction, cit., pp. 22-23. 5 Opera, serie IVA, vol. 5, p. 302. 6 Opera, serie IVA, vol. 5, pp. 303-304. 7 Opera, serie IVA, vol. 5, pp. 307-308.
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mio di Berlino relativo all’anno 1750 non sarebbe stato assegnato; tale fatto è interpretato da d’Alembert come un immotivato giudizio negativo da parte di Eulero sulla memoria con cui egli partecipa al concorso (si veda infra); offeso e temendo probabilmente l’influenza di Eulero sull’Accademia russa, decide, oltre a ritirarsi dal premio di Berlino, di non concorrere nemmeno a quello di San Pietroburgo. Eulero non sa ancora nulla di tale decisione quando, nel dicembre 1750, gli scrive che spera di vedere presto il suo lavoro sulla teoria lunare. La risposta d’Alembert, datata 4 gennaio 1751, è secca e pungente: Il ne me convient pas de vous dire si je l’ay envoyée à Petersbourg, mais quand je ne l’aurois pas fait, j’aurois eu pour cela de très bonnes raisons, que vous devés sçavoir mieux que personne.1
L’allusione è a un possibile ripetersi in Russia, per colpa di Eulero, del trattamento ricevuto a Berlino. D’Alembert pubblicherà le sue ricerche sul moto lunare solo nel 1754 nel primo volume delle Recherches sur différens points importans du système du monde.2 Nel discorso preliminare a tale lavoro, accennerà a ragioni particolari che gli avevano impedito di concorrere a San Pietroburgo.3 Nell’appendice, dove discute le tavole della luna pubblicate da Mayer, contesta l’affermazione di questi secondo cui Eulero era stato il primo a ridurre il movimento della Luna a forma analitica. D’Alembert, che forse non conosce la Teoria motus Lunae di Eulero, stampata a San Pietroburgo nel 1753, rivendica a se stesso e Clairaut il merito di aver per primi calcolato e pubblicato la teoria del moto lunare. Eulero sarà molto colpito dalle critiche di d’Alembert che considererà ingiuriose nei confronti di Mayer.4 In seguito, però, negli Opuscules mathématiques,5 d’Alembert riconoscerà i meriti di Eulero e di Mayer. * Come accennato, i rapporti tra d’Alembert e Eulero si guastarono a seguito della vicenda del premio di Berlino del 1750, nella quale Eulero tenne un comportamento discutibile. Il 16 maggio 1748 l’Accademia di Berlino aveva scelto come argomento del concorso per l’anno 1750 la re1 «Non mi conviene affatto dirle se l’ho inviato a Pietroburgo, ma qualora non lo avessi fatto, sarebbe stato per molte buone ragioni, che Lei dovrebbe conoscere meglio di altri» (Opera, serie IVA, vol. 5, p. 310). 2 J le R. d’Alembert, Recherches sur différent points importants du système du monde, vol. I, Paris, David, 1754. Su tale questione, si veda anche Juškevicˇ-Taton, Introduction, cit., pp. 24-25. 3 d’Alembert, Recherches sur différent points importants, cit., pp. XLII-XLIII. 4 Cf. Juškevicˇ-Taton, Introduction, cit., p. 25. 5 J. le R. d’Alembert, Opuscules mathématiques, vol. I, Paris, David, 1761.
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sistenza dei fluidi.1 Al premio parteciparono cinque concorrenti tra cui d’Alembert, che inviò una memoria, Theoria resistentiae quam patitur corpus in fluido motum, protocollata a Berlino l’11 dicembre 1749. Nel gennaio del 1750 fu nominata una commissione composta da Eulero, J. Kies, e A. N. Grischow. Il 7 maggio, Eulero, a nome della commissione, chiese a Maupertius se i regolamenti dell’Accademia permettessero di rinviare il premio di due anni, in caso contrario la commissione avrebbe proceduto alla nomina del vincitore. La risposta di Maupertius non è nota ma deve essere stata positiva in quanto, il 21 maggio, l’Accademia di Berlino rinviava il premio all’anno 1752 raccomandando che i concorrenti prestassero una maggiore attenzione alla corrispondenza delle descrizioni teoriche con i dati d’esperienza.2 D’Alembert fu molto amareggiato da tale decisione che attribuì interamente a Eulero, il membro più prestigioso e, forse, il solo realmente competente della commissione. Decise di ritirarsi dal concorso e inviò una lettera di protesta che fu letta all’Accademia l’8 luglio 1751.3 Nel 1752 fece pubblicare, in francese e con lievi modifiche, la sua memoria sulla resistenza dei fluidi4 con il titolo Essai d’une nouvelle théorie de la résistance des fluides.5 Durante il 1751 il malumore di d’Alembert per lo smacco subito andò crescendo a seguito delle notizie che uno dei membri della commissione, Grischow, incominciò a diffondere. Grischow era stato espulso dall’Accademia di Berlino per avere contrattato di nascosto un impiego a San Pietroburgo. Giunto nella città russa, diede informazioni dettagliate sulle discussioni avvenute all’interno della commissione attribuendo la sconfitta di d’Alembert alle pressioni di Eulero. Il 10 settembre 1751, d’Alembert si rivolse a Eulero con una lettera che era un duro atto di accusa nei suoi confronti, e dove, tra l’altro, si affermava che, essendosi egli ritirato, Eulero non aveva più problemi nel favorire chiunque avesse voluto.6 Dal canto suo, scrivendo a Maupertius, il 21 settembre 1751, Eulero negò pressioni sugli altri giudici e confermò il suo giudizio negativo: il lavoro di d’Alembert non rispondeva adeguatamente al tema proposto dell’Accademia.7 Nel 1752 il premio fu vinto da tale Jacob Adami, un appassionato di questioni scientifiche con cui Eulero era in corrispondenza epistolare dal 1746. Eulero aveva incoraggiato i suoi studi di idrodinamica, ma i risul1 E. Winter, Die Registers der Berliner Akademie der Wissenschaften 1746-1766, Berlino, Akademie-Verlag, 1957, p. 126. 2 Opera, serie IVA, vol. 5, p. 313. 3 Juškevicˇ-Taton, Introduction, cit., pp. 27-28. 4 Ivi, p. 27. 5 Paris, David, 1752. 6 Opera, serie IVA, vol. 5, p. 312. 7 Opera, serie IVA, vol. 6, pp. 187-188.
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tati non erano degni di nota e il lavoro con cui Adami vinse il premio non ha lasciato alcuna traccia nella storia della scienza.1 Al contrario, la memoria di d’Alembert, negativamente valutata da Eulero, è uno scritto di grande importanza al punto che Truesdell vede in essa un punto di svolta nella storia della fisica matematica.2 In Essai d’une nouvelle théorie de la résistance des fluides d’Alembert per la prima volta, sia pure in modo confuso, esprime la teoria del moto di un fluido in termini di un campo che soddisfa equazioni alle derivate parziali differenziali e ottiene vari risultati particolari. Inoltre, nel tentativo di determinare il moto di un fluido ideale, omogeneo e senza peso, per primo, deriva quelle che poi saranno chiamate le equazioni di Cauchy-Riemann: g g f ∂f =–∂ , ∂ =∂ . ∂x ∂y ∂x ∂y
Nella memoria d’Alembert usa l’artificio di considerare certe quantità come funzioni della variabile complessa x + – 1 y. Proprio tale artificio sarà lodato come ‘molto ingegnoso’ da Eulero nella sua Continuation des recherches sur la theorie du mouvement des fluides,3 alla p. 356, un tardivo e forse troppo limitato omaggio al lavoro di d’Alembert. La Continuation è l’ultima di una serie di tre memorie,4 tutte pubblicate nel 1757, in cui Eulero continua e sviluppa il lavoro iniziato da d’Alembert nell’Essai. Nei suoi articoli Eulero offre una teoria più generale e più chiara di quelle precedenti. Egli inizia la memoria affermando: Quelque sublimes que soient les recherches sur les fluides, dont nous sommes redevables à Mrs. Bernoullis, Clairaut, et d’Alembert, elles découlent si naturellement de mes deux formules générales: qu’on ne scauroit assés admirer cet accord de leurs profondes méditations, d’où j’ai tiré mes deux équations, et auxquels j’ai été conduit immédiatement par les premiers axiomes de la Mécanique.5 1 Juškevicˇ-Taton, Introduction, cit., p. 28. 2 Cf. C. A. Truesdell, The rational mechanics of flexible or elastic bodies 1638-1788, in Euler, Opera, serie II, vol. 11 (parte 2), pp. VII-CXXV, in particolare p. LVII. 3 «Mémoires de l’Académie Royale des Sciences et Belles-Lettres», 11, Berlino, 1757, pp. 316-361. 4 Le prime due sono: Principes generaux de l’etat d’equilibre des fluides, «Mémoires de l’Académie Royale des Sciences et Belles-Lettres», 11, Berlino, 1757, pp. 217-273; Principes généraux du mouvement des fluides, «Mémoires de l’Académie Royale des Sciences et Belles-Lettres», 11, Berlino, 1757, pp. 274-315. 5 «Per sottili fossero, le ricerche sui fluidi dei signori Bernoulli, Clairaut e d’Alembert scaturiscono così naturalmente dalle mie due formule che è impossibile non ammirare quest’accordo tra le loro profonde meditazioni e la semplicità dei principi da cui ho tratto le mie due equazioni, e alle quali sono stato immediatamente condotto dai primi principi della Meccanica» (Euler, Continuation des recherches sur la theorie du mouvement des fluides, cit., p. 316).
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Tale frase è stata a volte giudicate ironica1 ma in realtà è solo la rivendicazione da parte di Eulero della generalità e della superiorità dei propri risultati. Come ci si può attendere, sia per il periodo in cui sono scritti, quando l’animosità domina i loro rapporti, sia per l’orgogliosa e giustificata affermazione di superiorità dei propri metodi, il matematico svizzero è parco di riconoscimenti nei confronti d’Alembert (anche se questi è, a volte, citato e perfino lodato). Di tale atteggiamento d’Alembert si lamenterà poi nella voce Hydrodynamique dell’Encyclopédie, dove rivendicherà i meriti delle sue ricerche e la loro influenza sul matematico svizzero; un’influenza che è indubitabile e che rende il comportamento di Eulero nella vicenda del premio difficile da comprendere. Sicuramente il lavoro di d’Alembert ha difetti ed è alquanto oscuro, ma non più oscuro di altre memorie che Eulero aveva apprezzato. Per cercare di comprendere le ragioni dell’atteggiamento di Eulero, Taton ha ricordato che alcune memorie di Eulero erano state criticate dai commissari dei concorsi dell’Accademia di Parigi.2 Può anche darsi che Eulero sia stato mosso anche da un desiderio di rivalsa contro l’Accademia di Parigi o dall’amicizia con Adami, come insinuato da d’Alembert nella lettera del 10 settembre 1751, ma senza dubbio determinante nel preparare il clima in cui si verificò la rottura furono i difficili rapporti tra Eulero e Federico II e l’amicizia di questi con d’Alembert. Eulero era giunto a Berlino nel 1741 preceduto dalla fama di grande matematico. A Berlino continuò con successo la sua attività scientifica, tuttavia non entrò mai in sintonia con Federico II. L’opinione che alla corte di Federico si aveva su Eulero fu ben espressa dell’ambasciatore prussiano a San Pietroburgo, secondo cui le sue maniere spiacevoli non deponevano a suo favore, tuttavia, era il più grande algebrista d’Europa.3 Federico non aveva particolare interesse per la matematica e non apprezzò mai realmente Eulero. Amava invece i philosophes e, sotto il suo impulso, l’Accademia di Berlino si aprì in modo crescente all’influenza della cultura francese. Dopo la nomina a presidente di Maupertius, divennero membri dell’Accademia d’Alembert, Voltaire, LaCondamine, La Mettrie. Allo stesso tempo gli interessi dell’Accademia sembravano allontanarsi dalla matematica. Almeno questo era il parere di Eulero che ne era amareggiato e che, già nel 1744, si era lamentato che i letterati stessero prendendo il controllo dell’Accademia.4 1 2 3 4
Cf., ad esempio, Hankins, Jean d’Alembert, cit., p. 50. Opera, serie IVA, vol. 5, p. 314 (nota n. 1). Winter, Die Registers der Berliner Akademie, cit., p. 18. Hankins, Jean d’Alembert, cit., p. 44.
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Mentre nessuna simpatia intellettuale e umana vi era tra Eulero e Federico, una forte intesa si stabilì tra quest’ultimo e d’Alembert e ciò non aiutò certamente il mantenimento di buoni rapporti tra i due scienziati. È chiaro che, almeno da un certo momento in poi, Eulero sentì come dannosa per se stesso l’amicizia tra il re e il matematico francese divenuto un philosophe. In quegli anni, infatti, d’Alembert aveva ampliato i suoi interessi e nel 1749 aveva iniziato il lavoro preparatorio per l’Encyclopédie. Anche i nuovi interessi di d’Alembert non favorirono il suo rapporto con Eulero. A parte la matematica, ben poco univa il devoto Eulero all’anticlericale e deista d’Alembert. Molti anni più tardi, in una lettera a Lagrange del 16 giugno 1769, d’Alembert diede un lapidario giudizio su Eulero filosofo: «Notre ami Euler est un grand analyste, mais un assez mauvais philosophe».1 * La rottura dei rapporti tra Eulero e d’Alembert portò con sé molte recriminazioni. Infatti proprio nel 1751, nelle Mémoires di Berlino relative al 1749, apparvero quattro articoli di Eulero che trattavano il teorema fondamentale dell’algebra, i logaritmi dei numeri negativi, le cuspidi di seconda specie, le precessioni e le nutazioni. Secondo d’Alembert, in tali scritti Eulero non dava il dovuto riconoscimento ai suoi contributi. Egli reagì scrivendo una memoria dal titolo Observations sur quelque mémoires imprimés dans le volume de l’Académie 1749,2 che inviò a Berlino e dove, con un tono molto polemico, avanzò una serie di rivendicazioni di priorità. D’Alembert citava anche la corrispondenza privata con Eulero per mostrare che tra di loro vi era stata una discussione scientifica su vari degli argomenti che erano poi stato oggetto di pubblicazione da parte del matematico svizzero. L’immediata reazione di Eulero alle accuse non è nota. È tuttavia abbastanza evidente che cercò di attutire i toni della polemica e, per quanto possibile, di limitare uno scontro pubblico. Era già impelagato nell’affare König e, probabilmente, non voleva avventurarsi in altre diatribe; forse temeva anche l’amicizia tra d’Alembert e il re. Nel 1752 apparve su Mémoires di Berlino un brevissimo Avertissement au sujet des recherches sur la precession des equinoxe3 in cui Eulero cedeva nella sostanza la priorità a d’Alembert per quanto riguarda i punti cuspidali di seconda specie e la 1 «Il nostro amico Eulero è un grande analista, ma un pessimo filosofo» (Œuvres de Lagrange, a c. di M. J.-A. Serret e M. Gaston Darboux, Paris, Gauthier-Villars, 1867-1892, vol. 13, p. 135). 2 Opera, serie IVA, vol. 5, pp. 337-346. 3 «Mémoires de l’Académie Royale des Sciences et Belles-Lettres», 6, Berlino, 1750, p. 412; ristampato in Euler, Opera, serie II, vol. 29, p. 124.
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questione delle precessioni e delle nutazioni. Ignorava, invece, le rivendicazioni riguardanti il teorema fondamentale dell’algebra e i logaritmi dei numeri negativi. Ciò si può facilmente spiegare. Nell’articolo sul teorema fondamentale dell’algebra, al paragrafo 64, Eulero, sia pure in modo critico, aveva citato d’Alembert.1 Evidentemente Eulero, a differenza di d’Alembert, riteneva sufficiente tale riferimento. Per quanto concerne i logaritmi, i punti di vista erano così diversi che la questione della priorità semplicemente non si poneva. Eulero sentiva che la sua posizione era più delicata per quanto riguardava le altre due rivendicazioni, in particolare per quella concernente la precessione e la nutazione, sulla quale ora mi soffermo brevemente. Mentre il fenomeno della precessione degli equinozi era noto dall’antichità, la nutazione era stata scoperta solo nel 1747 da James Bradley che l’aveva annunciata in una lettera datata 31 dicembre 1747 e pubblicata sui Philosophical Transactions of the Royal Society of London del gennaio 1748. Venuto a conoscenza della scoperta d’Alembert cercò di dare una spiegazione teorica dei due fenomeni e, nel luglio del 1749, pubblicò le Recherches sur la précession des équinoxes et sur la nutation de l’axe de la Terre.2 Secondo d’Alembert, la nutazione dell’asse terrestre, confermata sia dalle osservazioni che dalla teoria, forniva la più completa dimostrazione della gravitazione della Terra verso il Sole.3 Il 20 luglio d’Alembert inviò una copia della sua memoria a Eulero che, alcuni mesi dopo, il 18 dicembre 1749, la presentò all’Accademia di Berlino. Il 3 gennaio 1750, Eulero, comunicando a d’Alembert di aver ricevuto e letto la sua memoria, affermò che anch’egli in precedenza aveva lavorato su tale argomento ma senza successo; lo aveva, pertanto, abbandonato. Aggiunse poi di non essere stato in grado di seguire i ragionamenti di d’Alembert; tuttavia, dopo aver visto a grandi linee come questi aveva superato gli ostacoli, aveva ripreso le sue ricerche e le aveva condotte a termine.4 Prima di ricevere la risposta di Eulero a d’Alembert erano pervenute notizie secondo cui il suo lavoro non piaceva al matematico svizzero.5 Molto probabilmente Eulero non riusciva a cogliere i dettagli degli argomenti di d’Alembert, notoriamente non un campione di chiarezza; tuttavia fu proprio la lettura delle Recherches sur la précession des équinoxes a far ripartire le sue ricerche e a fornirgli qualche idea essenziale. È ve1 Cf. Euler, Recherches sur les racines imaginaires des équations, cit. 2 J. le R. d’Alembert, Recherches sur la précession des équinoxes et sur la nutation de l’axe de la terre dans le système newtonien, Paris, David, 1749. 3 Ivi, p. xxviii. 4 Opera, serie IVA, vol. 5, p. 301. 5 Ivi, p. 303.
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rosimile che solo dopo aver ritrovato i risultati di d’Alembert Eulero si sia convinto della loro correttezza. Il 5 marzo Eulero presentò all’Accademia di Berlino la sua memoria sulla precessione, memoria che porta esattamente lo stesso titolo di quella di d’Alembert.1 Due giorni dopo, il 7 marzo, scrisse al matematico francese in questi termini: Depuis longtems je me suis appliqué à diverses reprises à ce Problême, mais j’en ai toujours été rebuté, tant par le grand nombre de circonstances auxquelles il faut avoir egard, que principalement par ce Problême: un corps tournant sur un axe quelconque libre, et etant sollicité par une force oblique, trouver le changement causé tant dans l’axe de rotation même que dans le mouvement, dont la solution est absolument requise à ce sujet que vous avez si heureusement developpé. Or par rapport à ce probleme toutes mes mes recherches ont été inutiles jusqu’ici, et je ne m’y serois plus appliqué, si je n’avois pas vû que la solution devoit être necessairement renfermée dans votre traité, quoique je ne l’y aye pas pu decouvrir, ce qui a augmenté d’abord d’autant plus le desir de developper toute votre methode; mais il faut que j’avoüe aussi que je n’ai pu vous suivre dans le prepositions preliminares dont vous vous servez, votre methode de conduire le calcul ne m’etant pas encore assez familière … mais depuis que j’ay reussi mieux dans la recherche de ce même sujet, ayant été soutenu par quelques lumières de votre ouvrage dont je me suis èclairci peu à peu, j’ai été en etat de mieux juger de vos excellentes conclusions.2
La memoria di Eulero apparve nel 1751, quando i rapporti tra Eulero e d’Alembert erano già deteriorati, e contribuì in modo notevole ad esacerbare l’animo di quest’ultimo. Nell’Avertissement Eulero riconobbe la priorità del francese affermando che qualsiasi lettore avrebbe riconosciuto da solo quanto era dovuto a d’Alembert. Le parole usate da Eulero nel1 Euler, Recherches sur la précession des équinoxes et sur la nutation de l’axe de la Terre, «Mémoires de l’Académie Royale des Sciences et Belles-Lettres», 5, Berlino, 1751, pp. 289-325; ristampato in Opera, serie II, vol. 29, pp. 92–123. 2 «Mi sono dedicato ripetutamente e, per un lungo periodo, a tale questione, ma ho sempre incontrato ostacoli sia per il gran numero di circostanze di cui bisogna tenere conto, sia principalmente per questo problema: un corpo che girante su asse qualunque libero e sollecitato da una forza obliqua, trovare il cambiamento causato sia nell’asse di rotazione che nel movimento, la cui soluzione è assolutamente richiesta da quel soggetto che lei ha così felicemente sviluppato: un corpo gira intorno a un asse liberamente ed è sollecitato da una forza obliqua, trovare i cambiamenti causati sia nell’asse di rotazione che nel movimento. In rapporto a questo problema tutte le mie ricerche erano state inutili fin qui e io non mi sarei più dedicato ad esse se non avessi visto che la soluzione doveva essere necessariamente racchiusa nel vostro trattato, quantunque non fossi stato in grado di trovarla. Ciò aumentò dapprima il desiderio di sviluppare interamente il suo metodo, ma confesso che non potei seguire le proposizioni preliminari da lei impiegate. Il suo modo di condurre i calcoli non mi era ancora molto familiare … ma dopo che sono riuscito meglio nelle ricerche su questo soggetto, essendo stato sostenuto da qualche luce nella sua opera dalla quali io fui poco a poco illuminato, divenni capace di giudicare le sue eccellenti conclusioni» (Opera, serie IVA, vol. 5, p. 306).
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l’Avertissement implicavano, tuttavia, che egli aveva seguito un strada diversa da quella di d’Alembert per derivare i risultati. D’Alembert invece sostenne che anche il metodo era lo stesso. In effetti, nella sua memoria d’Alembert aveva fornito due differenti derivazioni dei fenomeni della precessione e nutazione. Eulero affrontava la questione con una strategia simile a quella della seconda derivazione di d’Alembert: gli spostamenti infinitesimali dovuti al moto di rotazione della Terra intorno al proprio asse e alla forza di attrazione del Sole e della Luna erano combinati vettorialmente.1 Eulero però sviluppava la ricerca in maniera differente da d’Alembert, secondo tecniche che sembrano basarsi sulla metodologia elaborata nella Scientia navalis.2 Nella sua memoria, inoltre, Eulero usò principi che avrebbe spiegato più tardi in un fondamentale articolo sulla meccanica dei corpi solidi, il Découverte d’un nouveau principe de Mécanique,3 presentato all’Accademia di Berlino il 3 settembre 1750, ma probabilmente già scritto nell’essenziale sul finire del 1749. Nelle Recherches sur différent points importants du système du monde4 e negli Opuscules mathématiques, d’Alembert rivendicò anche una priorità su tale principio. In effetti, in uno scritto successivo,5 Eulero mostrò un’alta considerazione del lavoro di d’Alembert; invero, dopo aver ricordato l’estrema difficoltà dello studio del moto di un corpo qualora non si riducesse a un semplice moto traslatorio o una mera rotazione intorno ad un asse, scrisse: Ante Celeb. Dalembertum quidam nemo, quantum constet, hujusmodi motus evolutionem suscepit, isque adeo primus hoc argomentum attigisse est censendus in excellenti opere, quod de nutazione axis terrae conscripsit, in quo subtilissimam hujus generis quaestionem tam feliciter enodavit, ut ab eo istius profundissimae partis Mechanicae enucleatio potissimum sit expectanda. Cum enim terra, in aethere libere fluctuans et a viribus solis ac lunae sollecitata, non ita circa axem suum gyretur, ut is sibi perpetuo parallelus maneat, verus terrae motus per eas regulas, quae pro simplicioribus motus speciebus sunt erutae, minime expedire potest. Unde vir acutissimus multo sublimiores regulas in subsidium vocare est cactus, quae ita sunt comparatae, ut earum beneficio alii qui-
1 C. Wilson, D’Alembert versus Euler on the precession of the equinoxes and the mechanics of rigid bodies, «Archive for History of Exact Sciences», 37, 1987, pp. 233-273, in particolare p. 253. 2 Scientia navalis seu tractatus de construendis ac dirigendis navibus, 2 voll., Petropoli, Academiae Imperialis Scientiarum Petropolitanae, 1749; ristampato in Opera, Serie II, voll. 18 and 19. 3 «Mémoires de l’Académie Royale des Sciences et Belles-Lettres», 6, Berlino, 1752, pp. 185-217; ristampato in Opera, Serie II, Vol. 5, pp. 81-108. 4 J. le Rond d’Alembert, Recherches sur différent points importants du système du monde, vol. 1, Paris, David, 1754. 5 L. Euler, De motu corporum circa punctum fixum mobilium, in L. Euler, Opera Postuma, a c. di P. H. Fuss e N. Fuss, 2 voll., Petropoli, Typis Academiae Imperialis Scientiarum Petropolitanae, 1862, vol. 2, pp. 43-62; ristampato in Opera, serie II, vol. 9, pp. 413-441.
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cumque huius generis motus, utcunque fuerint complicati, eodem successu definiri posse videantur.1
Le «sublimi regole» di cui d’Alembert avrebbe fatto uso sono le stesse che Eulero adottò in Découverte d’un nouveau principe de Mécanique per ottenere le equazioni del moto dei corpi rigidi.2 * Nel 1752 Maupertius si ammala ed Eulero incomincia a svolgere di fatto il ruolo di presidente dell’Accademia con la speranza che la sua posizione diventi permanente. Ma per Federico II il candidato ideale alla presidenza è un philosophe francese. Così, il 2 settembre 1752 il marchese d’Argens, a nome del re di Prussia, offre a d’Alembert la presidenza dell’Accademia di Berlino. D’Alembert gentilmente rifiuta; il re tuttavia continuerà per molto tempo a premere affinché accetti l’incarico. In quegli anni la posizione di Eulero non è facile; se da una parte l’affare Köning lo libera di Voltaire, dall’altra, dopo la partenza di Maupertius da Berlino, le ingerenze del sovrano nella gestione dell’Accademia diventano più forti e sicuramente Federico tiene in gran conto il consiglio di d’Alembert. In tale contesto, l’ostilità di Eulero verso d’Alembert va crescendo e così, ad esempio, sostiene che d’Alembert è l’uomo più polemico al mondo, odiato da tutti a Parigi.3 Ciò nonostante Eulero continua a tenere in alta considerazione le capacità matematiche di d’Alembert, come risulta da una lettera a Joseph-Jérôme Lefrançais de Lalande del 1752: Plus que j’approfondis les difficultés dont cette recherche est enveloppé et plus je suit convaincu que personne n’est capable de les surmonter que M. d’Alembert, dont la pénétration excite en moi autant d’admiration que d’estime et je suis bien fâché que ce grand homme a conçu une idée si désavantageuse et injurieuse de ma conduite.4 1 «Prima del celebre d’Alembert, nessuno, per quanto è noto, intraprese la ricerca di questo genere di moto e, così, egli è considerato il primo ad avere affrontato tale soggetto in un eccellente lavoro sulla nutazione dell’asse della Terra. In tale lavoro egli risolse la più sottile questione di tal natura così felicemente che da essa principalmente si attende una piena spiegazione di queste più profonde parti della meccanica. Poiché la Terra, che si muove liberamente qua e là nell’etere subendo le forze del Sole e della Luna, non ruota in modo tale che il suo asse rimane sempre parallelo a se stesso, il suo vero moto non può essere descritto dalle leggi sviluppate per i più semplici tipi di moto. Per tale motivo, questo acutissimo uomo fu costretto a chiamare in suo aiuto molte sublimi regole le quali sono di tal natura che grazie a loro appare possibile descrivere con lo stesso successo qualsiasi altro moto di qualunque genere per quanto complicato» (Ivi, p. 413). 2 Cf. Wilson, D’Alembert versus Euler, cit. 3 Cf. Euler, Die Berliner und die Petersburger Akademie, cit., vol. 1, p. 71. 4 «Più approfondisco le difficoltà da cui certe ricerche sono avvolte e più sono convinto che nessuna persona è capace di superarle come d’Alembert, la cui capacità di penetrazione suscita in me tanta ammirazione e stima e sono molto contrariato che questo grande uomo ha concepito un’idea così negativa della mia condotta» (cf. Opera, serie IVA, vol. 5, p. 315)
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Nel 1755 d’Alembert scrive, nell’ambito della polemica sulle corde vibranti,1 una memoria recante il titolo Observations sur deux mémoires de Mrs Euler et Daniel Bernoulli, inserées dans les Mémoires de 1753 che invia a Berlino. Eulero però si oppone alla sua pubblicazione e, il 26 novembre 1756, d’Alembert chiede a Formey, segretario dell’Accademia di Berlino, che gli sia restituito il manoscritto affermando che farà una pubblica ritrattazione qualora Eulero dimostri di aver ragione.2 In una nuova lettera a Formey del gennaio 1757, d’Alembert si lamenta del tono amaro e sprezzante del matematico svizzero.3 In effetti Eulero vuole impedire che d’Alembert pubblichi a Berlino e piuttosto ironicamente scrive a Maupertius, nel febbraio 1757, che d’Alembert ha sufficiente materiale per la redazione del lemma ‘Rivendicazioni’ nell’Encyclopédie.4 Il 4 febbraio d’Alembert invia a Formey un Extrait da pubblicarsi sulle Mémoires, in cui scrive che, volendo Eulero porre fine alla controversia sul giornale dell’Accademia, egli ritira volentieri il suo articolo. Il 17 febbraio 1757 l’Accademia vota per la pubblicazione l’Extrait aggiungendovi una clausola in cui si sostiene che la mancata pubblicazione del lavoro di d’Alembert non è dovuta a Eulero ma al desiderio di tutta l’Accademia di porre fine alla controversia.5 Eulero si trova in una situazione difficile. È irritato dal comportamento di d’Alembert, ma l’amicizia di questi con Federico, che sicuramente aumenta l’animosità dello svizzero e, forse, ne è la causa principale, richiede una certa cautela. Il 3 settembre 1757 Eulero scrive a Maupertius che d’Alembert non lo infastidisce più e che, comunque, egli ha preso la ferma decisione di non polemizzare ulteriormente con lui qualsiasi cosa pubblichi.6 D’Alembert, dal canto suo, decide di non inviare più scritti a Berlino. Tuttavia, secondo la testimonianza di Formey, d’Alembert partecipa al premio di Berlino del 1758 e, di nuovo, è ostacolato da Eulero.7 Tra il finire degli anni cinquanta e l’inizio del decennio successivo l’animosità – o forse il livore – di Eulero verso d’Alembert è molto forte. Così, il 2 ottobre 1759, scrive a Lagrange: 1 Su tale polemica, si veda Truesdell, The rational mechanics, cit. Per alcuni aspetti della polemica connessi al concetto di funzione, cf. anche G. Ferraro, Functions, Functional Relations and the Laws of Continuity in Euler, «Historia matematica», 27, 2000, pp. 107-132. 2 Opera, serie IVA, vol. 5, pp. 350-351. 3 Ivi, pp. 315-316. 4 Opera, serie II, vol. 11 (parte 2), pp. 273-274. 5 Cf. J. le R. d’Alembert, Extrait d’une lettre à Mr. Formey, du 4 Février 1757, «Mémoires de l’Académie Royale des Sciences et Belles-Lettres», 9, Berlino, 1755, pp. 401-402. È da notare che le Observations non furono mai pubblicate, tuttavia numerosi passaggi di esse furono incluse in Recherches sur les vibrations des cordes sonores pubblicate da d’Alembert negli Opuscules mathématiques (cf. Juškevicˇ-Taton, Introduction, cit., pp. 30). 6 Opera, serie IVA, vol. 6, p. 194. 7 Cf. J. H. S. Formey, Souvenirs d’un citoyen, Berlin, de La Garde, 1789.
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Fama est locum praesidis Alembertio cum maximis emolumentis destinari … Lubens cognovi tibi meam solutionem chordae vibrantis probari, quam Alembertus variis cavillationibus infirmare est conatus, idque ob eam solam rationem quad non ad ipso esset profecta. Minatus est se gravem refutationem esse publicaturum; quod an fecerit, nescio. Putat se per eloquentiam semidoctis fucum esse facturum. Dubito an serio rem gerat, nisi forte amore proprio sit penitus occaecatus. Voluit nostris Commentariis, non demonstrationem, sed nudam declarationem inseri: meam solutionem maxime esse vitiosam; ego vero opposui novam demonstrationem omni rigore adornatam. Sed praeses noster, beatae memoriae, noluit ipsi nostram Academiam tanquam palaestram concedere; unde etiam meam confirmationem lubens soppressi; ex quo judicabus quantas turbas, si presidio decoratus, sit acturus. Equidem omina tranquillus expecto, nihil negotii cum illo mixturus.1
Nel 1761 d’Alembert pubblica il primo volume dei sui opuscoli matematici che include ampi stralci delle Observations e rinnova le sue rivendicazioni di priorità.2 Ciò naturalmente rinfocola la tensione, mentre le voci sull’arrivo a Berlino di d’Alembert si fanno sempre più forti. Così nel 1762 Eulero scrive a Gerhardt Friedrich Müller (1705-1783), geografo e etnologo, membro dell’Accademia di San Pietroburgo, che andrà via da Berlino nel caso che d’Alembert fosse nominato presidente dell’Accademia.3 In effetti, inizia trattative per tornare in Russia. È chiaro però che l’eventuale nomina di d’Alembert è solo una parte del problema, o forse, è solo il sintomo del vero problema: Eulero è scontento della sua situazione a Berlino e del rapporto con Federico. Nell’estate 1763 d’Alembert si reca in Prussia su invito del re. Eulero teme che tale viaggio sia il preludio alla nomina di d’Alembert a presidente dell’Accademia e la sua animosità raggiunge probabilmente l’acme. Il 7 giugno, in una dura lettera a Müller, il matematico svizzero afferma il rifiuto da parte di d’Alembert di un’importante e lucrosa posi1 «Ci sono voci che il posto di presidente è destinato a d’Alembert con una pensione molto grande … Sono deliziato di apprendere che tu approvi la mia soluzione del problema delle corde vibranti che d’Alembert ha cercato di indebolire con vari cavilli, e per la sola ragione che non la trovato lui stesso. Ha minacciato di pubblicare una pesante confutazione: non so se lo farà. Penso che egli può ingannare con la sua eloquenza le persone semi-istruite. Dubito che egli sia serio a meno che non sia interamente accecato dalla boria. Voleva pubblicare sul nostro giornale non una prova ma una secca affermazione che la mia soluzione è del tutto manchevole. Contro ciò io ho prodotto una nuova prova provvista di completo rigore; il nostro presidente di benedetta memoria non desiderava consegnare a lui la nostra accademia come un terreno per la sua retorica e così io mi sono volentieri trattenuto dal pubblicare la mia nuova prova. Da ciò puoi giudicare a quale chiasso sarebbe dato libero sfogo se egli diventasse presidente. Ma attenderò tutto con tranquillità senza prendere parte alle negoziazioni» (Œuvres de Lagrange, cit., vol. 14, p. 162-163). 2 Cf. d’Alembert, Opuscules mathématiques, cit. 3 Cf. Euler, Die Berliner und die Petersburger Akademie, cit., vol. 1, pp. 83 e 213.
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zione accademica in Russia era dovuta al timore che tale impiego si rivelasse nocivo per lui: l’arroganza di d’Alembert era sì insopportabile ma non lo accecava al punto di non fargli capire di non essere adatto per quel posto. Eulero ricorda a Müller l’opinione di Daniel Bernoulli secondo cui la filosofia di d’Alembert consisteva in un’impertinente sufficienza che lo rendeva del tutto privo di pudore nel difendere tutti i suoi errori, errori che si ripetevano così spesso da spingerlo a non toccare la matematica ormai da molti anni. Nella sua idrodinamica, d’Alembert aveva contraddetto in modo altezzoso la maggior parte dei teoremi di Bernoulli, che invece erano abbondantemente confermati dall’esperienza. Era solo a Berlino che d’Alembert era considerato una mente creativa, un uomo che comprendeva tutto.1 Contrariamente alle previsioni di Eulero, il viaggio in Germania di d’Alembert segna un improvviso miglioramento nelle relazioni tra i due matematici. Durante il suo soggiorno in Prussia, d’Alembert non solo rifiuta la presidenza dell’Accademia ma addirittura propone che ad essere nominato presidente sia Eulero. Si reca poi a fare visita al matematico svizzero e gli mostra un grande rispetto. L’omaggio reso da d’Alembert fa cadere di colpo l’animosità di Eulero. Con qualche imbarazzo, questi scrive a Goldbach che d’Alembert lo ha lodato davanti al re e che la loro amicizia è perfettamente ristabilita. D’Alembert cercherà anche di mediare tra Eulero e il re; riuscirà ad ottenere un aumento della pensione di Eulero ma non un atteggiamento più amichevole da parte di Federico.2 Eulero è ormai determinato ad andare via da Berlino e, ironia della sorte, le lodi di d’Alembert rendono più difficile ottenere dal re l’autorizzazione a lasciare la Germania; solo nel 1766 riuscirà a tornare a San Pietroburgo. Finita la rivalità personale, tra d’Alembert e Eulero rimane ancora qualche contrasto scientifico, ma si tratta della stanca continuazione delle vecchie dispute. D’altra parte, d’Alembert non si occupa più di matematica in modo attivo e quindi non vi sono ulteriori motivi per polemiche matematiche. Anche la loro corrispondenza, ripresa nel 1763, si esaurisce già l’anno successivo. Tra i due continuano sporadici rapporti soprattutto per interposta persona: sembra che Eulero e d’Alembert non abbiano più nulla da dirsi. Il grande rispetto che domina i loro rapporti dal 1763 in poi, non si trasforma mai in amicizia, come non c’era mai stata amicizia, ma solo cordialità, prima del 1750. * 1 Ivi, p. 221.
2 Hankins, Jean d’Alembert, cit., p. 61.
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In conclusione, Eulero ebbe sempre un’altissima considerazione di d’Alembert in quanto matematico. Come scrive nella citata lettera a Lalande del 23 dicembre 1752, egli pensa che nessuno sia capace di superare le difficoltà di certe ricerche matematiche meglio di d’Alembert. Non si tratta solo un’affermazione retorica: intorno alla metà del secolo, la matematica di Eulero deve molto alla capacità di ‘penetrazione’ di d’Alembert. In varie occasioni gli scritti di d’Alembert sembrano essere stati lo stimolo o il punto di partenza per nuove importanti ricerche euleriane. Certo Eulero interviene da par suo, andando molto oltre i risultati di d’Alembert, che ritrova con differente metodologia, li re-interpreta, li riformula, li sviluppa potentemente, li inserisce in un contesto più generale e chiaro.1 Se non vi sono dubbi della stima che Eulero nutre nei confronti di d’Alembert in quanto matematico, è evidente che non altrettanto positivo è il giudizio sull’uomo. Sul piano poi strettamente personale, sfiducia reciproca, rivalità, animosità sono le caratteristiche principali del loro rapporto almeno durante gli anni cinquanta del secolo diciottesimo. Eulero sembra vedere in d’Alembert il prototipo di quel mondo francese o francesizzante che domina alla corte di Federico e a cui si sente estraneo; sembra anche pensare che l’amicizia tra il re e il filosofo lo danneggi e, per anni, considera d’Alembert come il suo antagonista principale per la presidenza dell’Accademia di Berlino. Poi tutto si chiarisce; d’Alembert perfino rende omaggio a Eulero e lo loda davanti a quella corte che non lo apprezza adeguatamente. Il risentimento e l’ostilità del matematico svizzero cessano allora di colpa e rimane solo la stima e il rispetto per l’abilità matematica di d’Alembert.2 Non abbiamo giudizi di Eulero su d’Alembert philosophe, è tuttavia chiaro che le loro visioni della società, della cultura, della religione sono troppo diverse. I due neanche tentano il colloquio su qualcosa che non sia matematica. 1 Per un’analisi dell’influenza di d’Alembert su Eulero, si vedano, ad esempio, S. B. Engelsman, Families of curves and origins of partial differentiation, Amsterdam, North-Holland, 1984 e Wilson, D’Alembert versus Euler, cit. 2 Ivi, p. 62. Diderot attribuisce ad Eulero la seguente affermazione: «Ah! Si M. D’Alembert n’avait voulu être qu’un analyste, quel analyste il eût été!» («se d’Alembert avesse voluto essere solo un’analista, quale grande analista sarebbe stato»). Cf. Œuvres compléte de Diderot, a c. di J. Assézat, Paris, Garnier frères, 1875-1877; vol 2, p. 341.
D ’ A LE M B E RT E T LAG RAN G E . DEU X P O I N T S D E V UE D IF F É RE N T S C ON CE RNA N T LE S F ON D E M E N T S D E L’A NA LYS E Christine Phili* Abstract: During the eighteenth century the rigorous foundation of analysis remains an open problem for the mathematicians. J. d’Alembert adopted the theory of limits. Lagrange avoid the use of infinitesimal or limits and reduced the calculus to algebraic operations. We regard these two approaches in J. d’Alembert’s articles in Encyclopédie as well as in the texts of J. Lagrange from his
first ideas on the foundation of analysis in his very early publications in the beginning of the years 60-s in the «Miscellenea Taurinensia» until his treatise of 1797 fruit of his lectures in the Ecole Polytechnique, and finally in their correspondence. We analyse their ideas in the context of the development of the calculus in the 18-th century.
1. Introduction u début du XVIIIe siècle1, les concepts principaux du calcul, ceux de Newton et de Leibniz, restent peu clarifiés. L’esprit formaliste de Leonhard Euler va délivrer le nouveau calcul du despotisme de la géométrie.2 Les infiniment petits n’étaient pour lui qu’égaux à zéro. Il acceptait toutefois que deux quantités dont chacune était égale à zéro pouvaient avoir un rapport bien déterminé, ce qui en réalité constitue la clé de voûte dans l’édifice du calcul différentiel.3 Evi-
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* Université Technique d’Athènes. E-mail: [email protected] 1 N. Guicciardini, Newton’s Method and Leibniz’s Calculus, dans H. N. Jahnke (editor), A History of Analysis, Providence, American Mathematical Society-London Mathematical Society (transl. from the German, Geschichte der Analysis, Spektrum Akademischer Verlag, 1999), 2003, pp. 73-103. 2 C. B. Boyer, The History of the Calculus and its conceptual development, New York, Dover, 1949, p. 243. 3 «… methodus determinandi rationem incrementorum evanescentium, quae functiones quaecunque accipiunt, dum quantitati variabili, cuius sunt functiones, incrementum evanescens tribuitur» L. Euler, Opera (I), 1913, X, p. 5. «Bollettino di storia delle scienze matematiche» · Vol. XXVIII · 2008 · Fasc. 2
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demment, de cette considération de rapport des zéros, Euler n’avait qu’un pas à franchir pour fonder le calcul sur la notion des limites.1 D’Alembert,2 un des premiers parmi la brillante pléiade de savants français du XVIIIe siècle, a voulu travailler sur les fondements de l’analyse en se basant sur la notion de la limite. J. L. Lagrange dès ses premières publications donna les preuves de son génie. Ses nouvelles idées sur les rejets différents renforcent l’opinion des savants sur l’originalité et le grand talent du jeune débutant. Après un court voyage à Paris, en 1764, il fait la connaissance de d’Alembert et une profonde amitié s’installe entre les deux hommes. Une riche et importante correspondance en résultera. Ces lettres dévoileront la ferme croyance de d’Alembert pour la théorie des limites ainsi que l’opposition de Lagrange à la méthode leibnizienne. Il ira à tâtons jusqu’à l’introduction de sa propre méthode qu’il ne révèlera pas à son mentor. 2. La correspondance de deux representants du siecle des lumieres Les relations épistolaires3 entre d’Alembert et Lagrange ont duré vingt quatre ans au cours desquels le jeune savant isolé à Turin mais de réputation grandissante succèdera à Euler à l’Académie de Berlin après que ce dernier quitte pour St. Pétersbourg. Leur correspondance reflète leur personnalité intellectuelle et leur intérêt pour la recherche. Leurs travaux et l’estime réciproque constitueront le canevas d’une amitié sincère et solide. Cependant, tant que l’Analyse ne sera pas rigoureusement fondée, ils garderont leurs propres opinions distinctes. Sur un ton chaleureux, ces deux grands rationalistes échangeront leurs ouvrages, des lettres polies, intéressantes, pleines de renseignements de divers importances mais se garderont bien d’entamer aux débats philosophiques. La lettre en date du 30 mai 1764 est révélatrice. Lagrange relate à d’Alembert sa visite à Génève où il a eu l’occasion de rendre visite à 1 Ses réflexions sont restées pratiquement sans écho, malgré qu’il signale «la dernière raison de ces accroissements, constitue l’objet véritable du calcul différentiel». L. Euler, ivi, p. 7. 2 Pour plus de détails, consultez Th. L. Hankins, Jean d’Alembert - Science and The Enlightenment, Oxford, Clarendon Press, 1970; R. Grimsley, Jean d’Alembert 1717-1783, Oxford, Oxford University Press, 1963. 3 V. R. Taton, Rôle et Importance des Correspondances Scientifiques, «Revue de Synthèse», 97, 1976, pp. 7-22; Etudes d’Histoire des Sciences recueillies pour son 85e anniversaire par D. Fauque, M. Ilic et R. Halleux, Turnhout, Brepols, 2000, pp. 57-68.
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Voltaire1 «qui m’a fait un très gracieux accueil. Il était ce jour-là en humeur de rire et ses plaisanteries tombaient toujours, comme de coutume, sur la religion, ce qui amusa beaucoup toute la compagnie. C’est, en vérité, un original qui mérite d’être vu».2 En revanche, d’Alembert ne fera de commentaire ni sur Voltaire ni sur la visite de son protégé. Dans une lettre datant du 16 juin 1769, d’Alembert partagera l’opinion de Lagrange qui dans Les Lettres à une Princesse d’Allemagne disait «c’est son commentaire sur l’Apocalypse.3 Notre ami Euler est un grand analyste mais un assez mauvais philosophe».4 La mentalité du protestant austère qu’est Euler, divergeait de celle des d’Alembert et Lagrange. Quand d’Alembert en vient à commenter l’œuvre d’Euler, il est nettement plus cruel: «Il est incroyable qu’un aussi grand génie que lui sur la Géométrie et l’Analyse soit en Métaphysique si inférieur au plus petit écolier, pour ne pas dire si plat et si absurde, et c’est bien le cas de dire: Non omnia eidem Dii dedere».5 Ni Lagrange ni d’Alembert n’entameront de discussion sur le problème majeur de l’analyse (soit sa fondation rigoureuse) ne voulant démordre de leur opinion et faire le moindre effort pour convaincre son interlocuteur. Pour ce qui est de Lagrange, il se penche continûment sur ce sujet, avec une panacée douteuse sur le concept de limite et sans le dévoiler à d’Alembert désire exorciser l’infini du calcul sous un ‘camouflage’ algébrique. Les relations épistolaires de ces deux grands génies auraient révélé leurs idées sur les fondements du calcul infinitésimal s’ils avaient explicitement exposé leurs opinions. 3. La methode des limites chez d’Alembert Jean le Rond d’Alembert6 (1717-1783) fut le premier à déclarer «la guerre aux concepts d’infini et d’infiniment petit, en soutenant que ce ne sont vraiment que des manières abrégées de s’exprimer, et que le calcul infinitésimal n’a à faire en réalité qu’à des grandeurs finies»7 1 Selon L. Lalanne qui annote cette correspondance, Voltaire n’aurait rien mentionné sur cette visite. 2 J. L. Lagrange, Œuvres, Paris, Gauthier-Villars, XI, 1882, p. 10. 3 Lalande explique qu’il se réfère à l’ouvrage de Newton sur l’Apocalypse. 4 J. L. Lagrange, Œuvres, cit., p. 135. 5 Ivi, p. 148. 6 V. aussi Correspondance mathématique et physique de quelques célèbres géomètres du XVIII siècle, publiée par P. H. Fuss, St. Pétersbourg, 1843, 2 Vols. V. aussi G. Maheu, La Vie et l’œuvre de Jean d’Alembert. Etude biobibliographique, Thèse 3e cycle, Paris, EPHE, 1967. 7 G. Vivanti, Note sur l’Histoire de l’Infiniment Petit, «Bibli. Math. Nouv.», Série 8, 1894, p. 3. Cf. aussi: «une quantité est quelque chose ou rien; si elle est quelque chose elle n’est pas encore évanouie si elle n’est rien elle est évanouie tout à fait. C’est une chimère la supposition d’un état moyen entre ces deux là». D’Alembert, Sur les Principes Métaphysiques du Calcul Infinitésimal, «Mélanges de Littérature, d’Histoire et de Philosophie», V, Amsterdam, 1767, p. 249.
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Il préssentit que la théorie des limites était est une bonne méthode pour fonder rigoureusement l’Analyse. Ses articles dans l’Encyclopédie de Diderot,1 dont il fut le corédacteur, reflètent ses efforts. Cependant, cette nouvelle approche du calcul découle – comme F. Cajori le suggère2 – de l’étude de deux livres que d’Alembert mentionne dans son article Différentiel. Il s’agit de celui de Newton Quadratura Curvarum (1704) et celui de l’abbé de la Chapelle3 Institutions de Géométrie, qui fut publié avec l’approbation de l’Académie des Sciences de Paris, de Le Monnier et de d’Alembert le 15 janvier 1746. Sous l’influence du livre de Newton, d’Alembert interprète «les premières et dernières raisons» comme des limites tandis que le livre, assez répandu à l’époque, de l’Abbé de la Chapelle l’incitera à devenir le maillon de la chaîne composée par les théories précédentes des limites, telles celles de Stevin, Grégoire St. Vincent et d’autres.4 Selon d’Alembert, tout le calcul différentiel peut se réduire à trois règles: les formules pour la somme des différentielles, pour leur produit et pour l’exposant;5 néanmoins la substantifique moelle du calcul réside ailleurs: «Ce qu’il nous importe le plus de traiter ici, c’est la métaphysique du calcul différentiel».6 D’Alembert estime que la métaphysique ou bien l’essence même du calcul était difficile à développer, tandis que les règles du calcul étaient beaucoup plus commodes à manipuler.7 1 Encyclopédie ou Dictionnaire Raisonné des Sciences, des Arts, et des Métiers, Paris, Briasson-David-Le Breton, 1754; cf. surtout ses articles Différentiel, Fluxion, Infiniment petit et Limite publiés en 1754-1765. 2 F. Cajori, Grafiting of the theory of limits on the calculus of Leibniz, «Am. Math. Monthly», XXX, 1923, p. 224. 3 Abbé de la Chapelle (ca 1770-1792) v. Poggendorff I, 1338. 4 F. Cajori, op. cit., p. 224. D’après le livre de l’abbé Chapelle, d’Alembert retrace les théorèmes suivants: 1) si deux grandeurs sont la limite d’une même quantité, ces deux grandeurs seraient égales entre’elles et 2) Soit A x B le produit des deux grandeurs A, B. Supposons que C soit la limite de la grandeur A et D la limite de la quantité B; je dis que C x D, produit des limites sera nécessairement la limite de A x B, produit des deux grandeurs A, B. Pour ces deux propositions (i.e. l’unicité de la limite et la limite du produit de deux ou de plusieurs quantités) que l’on trouvera démontrées exactement dans les Institutions de Géométrie; cf. article Limite, cit., p. 310. cf. également F. Cajori, op. cit., p. 224. 5 «… on peut réduire toutes les règles du calcul différentiel à celles-ci: 1) La différence de la somme de plusieurs quantités est égale à la somme de leurs différences. Ainsi, d(x + y + z) = dx + dy + dz; 2) La différentielle de xy est ydx + xdy; 3) La différence de xm, m étant un nombre positif et entier, est mxm-1 dx». Calcul différentiel, cit., p. 520. 6 Ibidem. 7 «… cette métaphysique, dont on a tant écrit, est encore plus importante et peut être plus difficile à développer que les règles mêmes de ce calcul», ibidem.
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Les problèmes, que soulevait l’acceptation ou le rejet des différentielles d’ordre supérieure1 ont conduit d’Alembert à admettre la métaphysique de Newton sur le calcul des fluxions comme «très – exacte et très lumineuse … Il (Newton) n’a jamais regardé le calcul différentiel comme le calcul des quantités infiniment petites mais comme la méthode de trouver des limites des rapports … la différentiation des équations ne consiste qu’à trouver les limites du rapport entre les différences finies de deux variables que l’équation renferm».2 Quelques années après, d’Alembert se mit à édifier l’analyse sur la théorie des limites,3 en évitant de se disperser sa pensée en considérations superflues: la méthode des premières et dernières raisons et l’expression 0 appartiennent au passé. 0 On dit qu’une grandeur est la limite d’une autre grandeur, quand la seconde peut approcher la première plus près que d’une grandeur donnée, si petite qu’on puisse la supposer, sans pourtant que la grand qui apprcohe puisse jamais surpasser la grandeur dont elle approche, en sorte que la différence d’une pareille quantité à sa limitie est absolument inassignable.4 La théorie des limites est la base de la vraie Métaphysique5 du calcul différentiel… A proprement parler, la limite ne coïncide jamais on ne devient jamais égale à la quantité dont elle est la limite, mais celle-ci s’en approche toujours de plus en plus, et en différer aussi peu qu’on voudra … cette notion peut servir à éclaircir plusieurs propositions mathématiques. Par exemple, on dit que la somme d’une progression géométrique, dont le premier terme est a et le second 1 Ivi, p. 521. V. aussi «… ainsi la métaphysique de l’infini et des quantités infiniment petites, plus grandes ou plus petites les unes que les autres, est totalement inutile au calcul différentiel», ivi, p. 523. 2 Ivi, p. 521. Quelques années plus tard, d’Alembert considère que le calcul différentiel consiste «à trouver la limite du rapport entre la différence finie de deux quantités et la différence finie de deux autres quantités, qui ont avec les deux premières une analogie dont la loi est connue» «Mélanges de littérature, d’histoire et de philosophie», V, Amsterdam, 1767, p. 247. 3 Certains ouvrages comme par exemple le Traité du Calcul intégral de Bougainville (Paris, 1754) ou le Traité de Calcul différentiel et de Calgul intégral de Lacroix (Paris, 1ère édition 1797) utilisant la théorie des limites comme base de l’analyse. 4 Dans une note en bas de page, La Chapelle a donné cette même définition: cf. A. P. Youshkevitch, D’Alembert et l’Analyse mathématique. Colloque Jean d’Alembert portrait à plusieurs voix (Paris, 1983), Paris, éd. Archives Contemporaines, 1988, p. 293. Jean le Rond d’Alembert, Limite, dans Encyclopédie ou Dictionnaire raisonné des Sciences, des Arts et des Métiers, Neufchastel, Samuel Faulche, 1765, IX, p. 309. Cet article a été écrit en commun avec la Chapelle. La définition de d’Alembert se traduirait actuellement comme suit: nous disons que A est la limite de Av où les Av < A quand A-Av < Â où Â est une quantité inassignable, la suite des Av ne coïncide jamais à Av, c’est-à-dire la différence est «inassignable». 5 Par le mot métaphysique, il entend «les principes généraux sur lequels, une science est appuyée». J. d’Alembert, Eclaircissement sur l’usage et sur l’abus de la métaphysique en géométrie, et en général dans les sciences mathématiques. Essai sur les éléments de la philosophie, «Mélanges de littérature, d’histoire et de philosophie», Vol. V, 1767, p. 294.
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b, est a2 ; cette valeur n’est point proprement la somme de la progression; a–b c’est la limite de cette somme … car, si e est le dernier terme de la progression, la valeur exacte de la somme est aa – be, qui est toujours moindre que a2 .1 a–b a–b
Cependant, à l’époque de d’Alembert, le calcul – qui n’était que «La haute Géométrie»2 – était soumis aux notions géométriques …3 «ce calcul ne consiste qu’à déterminer algébriquement la limite d’un rapport de laquelle on a déjà l’expression en lignes et à égaler ces deux limites, ce qui fait trouver une des lignes que l’on cherche. Cette définition est peut-être la plus précise et la plus nette qu’on puisse donner du Calcul différentiel».4 D’Alembert a tenté de présenter une définition presque correcte sur la limite en termes de quantités variables qui approchent une quantité fixe, plus près que toute autre quantité donnée. Enfermé dans l’image géométrique de la limite, d’Alembert n’a pu élaborer une interprétation claire et précise. Sa considération selon laquelle «la sécante AB, tirée par A et B (dont l’un approchera de plus en plus l’autre) approcha continuellement de la tangente et deviendra enfin une tangente même lorsque les deux points coïncident … la tangente est la limite des sécantes»,5 provoquera des critiques.6 D’Alembert «ennemi de toute mystique en mathématiques comme ailleurs avait défini avec la plus grande clarté les notions de limite et de dérivée et soutenu avec force qu’au fond c’est là toute la “métaphysique” du calcul infinitésimal».7 Influencé par l’image géométrique de la limite, d’Alembert affirme que «l’infini tel que l’analyse le considère est à proprement parler la limite du fini, c’est-à-dire le terme auquel le fini tend toujours sans jamais y arriver, mais dont on peut supposer qu’il approche toujours de plus en plus quoiqu’il n’y atteigne jamais».8 1 Ivi, p. 310. 2 «D’Alembert fait appel à l’image géométrique de la limite; mais outre la difficulté d’appliquer exactement dans tous les cas le langage de la géométrie…» L. Brunschvicg, Les Etapes de la Philosophie mathématique, Paris, Blanchard, 1972, p. 246. 3 Une autre discipline qui pourrait offrir des fondements solides pour le calcul était l’algèbre. C’est la voie choisie par Lagrange afin de fonder l’Analyse. Ivi, p. 522. 4 Ibidem. 5 D’Alembert, Sur les principes métaphysiques du Calcul Infinitésimal, «Mélanges de Littérature, d’histoire et de philosophie», V, Amsterdam, 1767, pp. 245-246. 6 Lagrange p. ex. remarque que: «La sous-tangente, n’est pas à la rigueur la limite des sous sécantes, parce que rien n’empêche la sous-sécante de croître encore lorsqu’elle est devenue soustangente». Œuvres, T. VII, 1877, p. 324. 7 N. Bourbaki, Eléments d’Histoire des Mathématiques, Paris, Hermann, 1974, p. 246. 8 Eclaircissements sur les éléments de philosophie XIV, «Mélanges de littérature, d’histoire et de philosophie», V, 1767, p. 240.
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4. Lagrange et Gerdil a turin En 1755, jeune professeur1 à l’Ecole d’Artillerie de Turin, Lagrange (17361813) a composé deux traités à l’usage de ses étudiants: «J’ai aussi composé moi-même des éléments de Mécanique et de Calcul différentiel et intégral à l’usage de mes écoliers…».2 Le jeune enseignant estime qu’il a développé dans ses cours3 «la vraie métaphysique de leurs principes, autant qu’il est possible».4 Cependant, à cette époque Lagrange témoigne sa préférence pour la méthode des premières et derniers raisons qu’il trouve très nettement plus efficace. Cette tendance se confirme dans sa note au mémoire de Gerdil. En 1760-61, Hyacinth Sigismund Gerdil5 (1718-1802) adopte les idées de d’Alembert. Gerdil riche d’une culture classique influencée par les idées d’Aristote6 s’oppose à l’infini actuel. En outre, l’article Différentiel de d’Alembert l’a ‘convaincu’ que l’infini et les infiniment petits doivent être bannis du calcul. Son article De l’infini absolu considéré dans la grandeur7 reflète ses réflexions globales sur le sujet. 1 Par un décret royale du 26 septembre 1755 «… l’anno 1755 cioé il dicianovemisimo dell’età sua, fu dal suo Re creato Professore d’artigliera». Elogio di Luigi Lagrange, Padova, MDCCCXIII, fatto dall’Abate Pietro Cossali (Prof. di Calcolo sublime e membro pensionario del reale Istituto Italiano) p. 6. Lagrange a obtenu un poste d’assistant (sostituito) des mathématiques qui était vacant par la promotion de Carlo Andrea Rana: M. T. Borgato, L. Pepe, Lagrange, appunti per una biografia scientifica, Torino, La Rosa, 1990, p. 10. 2 Lettre de Lagrange à Euler, 24 novembre, 1759: Œuvres, cit., XIV, 1892, p. 173. 3 Pour plus de détails v. L. Pepe, Sulla trattatistica del Calcolo infinitesimale in Italia nel secolo XVIII, Atti del Convegno La Storia delle matematiche in Italia, Cagliari, 29 settembre-1 ottobre 1982, Cagliari, Università degli Studi, 1984, pp. 145-227; Lagrange e la trattatistica dell’analisi matematica, «Symposia Mathematica», XXVII, London, Academic Press, 1986, pp. 65-69. Antoni qui était en faveur des applications et l’éducation militaire «se méfiait» des civiles. Il a même censuré les cours de Lagrange car ils sont «troppo elevati, metafisici difusi in materiale estrane, e mancanti di applicazione». Borgato, Pepe, Lagrange, cit., p. 22. 4 Lettre de Lagrange à Euler 24 novembre 1759: Œuvres, cit., XIV, 1892, p. 173. 5 Entré chez les Barnabites à Annecy, il devient en 1749 professeur de philosophie et de théologie à l’Université de Turin et précepteur du Prince de Piémont. Cardinal en 1777, préfet des congrégations de la Propagande et de l’Index. Parmi ses ouvrages nous citons l’Immatérialité de l’âme (1747); L’Anti-Emile, réfutation de Rousseau (1763); Dissertation philosophique sur l’homme, la religion et ses ennemis (1782); Eclaircissements sur la notion et la divisibilité de l’étendu géométrique, en réponse à la lettre de M. Dupuis, Turin, 1741; Dissertazione sopra l’incompatiblita dell’attrazione e delle sue differenti leggi coi fenomeni, e sopra i tubi capillaré, Paris, 1754; Essai d’une démonstration mathématique contre l’existence éternelle de la matière et du mouvement déduite de l’impossibilité démontrée d’une suite actuellement infinie de termes, soit permanents, soit successifs, Rome, 1806. 6 V. surtout «J. Phys.», III, 206 b. 7 «Misc. Taurinensia», III, 1760-1761, pp. 1-45.
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M. d’Alembert (art. Différentiel) a expliqué – remarque P. Gerdil – la métaphysique de ce calcul avec autant de clarté, que de solidité, il fait voir que la supposition qu’on y fait des quantités infiniment petits n’est que pour abréger et simplifier les raisonnements, qu’il ne s’agit point de quantités infiniment petits dans le calcul différentiel, mais uniquement de limites de quantités finies, qu’ainsi la métaphysique de l’infini et des quantités infiniment petites, plus grandes de plus petites les unes que les autres, est totalement inutile au calcul différentiel où l’on se sert du terme d’infiniment petit, que pour abréger les expressions.1
Lagrange a répondu au mémoire de Gerdil2 avec une note courte mais intéressante,3 concernant la métaphysique du calcul infinitésimal.4 Sa note se rapporte à la quatrième démonstration de Gerdil, tirée des asymptotes de l’hyperbole. Dans cette note, Lagrange présente ses réserves sur la méthode leibnizienne tandis qu’il se révèle ardent partisan de la méthode des fluxions: La méthode de M. Newton est au contraire tout à fait rigoureuse, soit dans les suppositions, soit dans les procédés du calcul; car il ne conçoit qu’une sécante devienne tangente que lorsque les deux points d’intersection viennent tomber l’un sur l’autre, et alors il rejette de ses formules toutes les quantités que cette condition rend entièrement nulles.5
L’écho de l’article Différentiel résonne dans les dernières lignes de cette note: «la supposition des infiniment petits sert à abréger et à faciliter ces démonstrations».6 Finalement, «après avoir prouver en général que l’erreur qu’elle fait naître est toujours corrigée par la manière dont on manie le calcul qu’il est permis de regarder les infiniment petits comme des réalités et de les employer comme tels dans la solution des problèmes».7 Avec cette note, Lagrange se manifeste implicitement sur la question capitale des fondements du calcul qui résident dans une ‘certitude’ discutable. L’étude des livres classiques de l’époque,8 n’a probablement pas pu 1 P. Gerdilt, op. cit., p. 3. 2 La note de Lagrange se trouve en bas des pages 17-18 du mémoire de Gerdil. 3 M. Cantor, Vorlesungen ueber Geschichte der Mathematik, Band IV, Leipzig, 1908, p. 644. 4 J. L. Lagrange, Note sur la métaphysique du Calcul infinitésimal, «Misc. Taur.», II, 1760-1761, pp. 17-18; v. aussi Œuvres, cit., VII, 1877, pp. 597-599. 5 J. L. Lagrange, op. cit. V. surtout I. Newton, Philosophiae Naturalis Principia Mathematica, Book I, Sect. I, Leume XT scholicum. 6 J. L. Lagrange, op. cit., p. 599. Cf «on sentira que la supposition que l’on y fait de quantités infiniment petits, n’est que pour abréger et simplifier les raisonnements» d’Alembert, op. cit., p. 522. 7 J. L. Lagrange, op. cit., p. 599. 8 Cf. Le Catalogue de sa bibliothèque et v. également le «Moniteur» no 57, 26 février 1814, Suppléments à l’éloge de Lagrange signé par L.B.M.D.C.
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convaincre Lagrange de la solidité et de la rigueur, sans point épineux, du fondement du calcul. 5. La preface aux oeuvres mathematiques de Leibniz En ce temps, le problème de cordes vibrantes1 occupe bien les esprits de d’Alembert et de Lagrange. Cependant, d’Alembert était convaincu que Lagrange allait «jouer un grand rôle dans les Sciences»2 et il tâche de le faire inviter à l’Académie des Sciences de Berlin. En 1763, après sa rencontre avec le jeune turinois Euler, qu’il estime «destiné à reculer très loin les limites de la haute Géométrie»,3 l’occasion pour Lagrange paraît évidente. Il gardera néanmoins des réserves4 quant «au reste, je m’en remets entièrement à vous»5 signale-t-il. Dans ce climat d’euphorie scientifique Lagrange veut éviter un calice d’amertume. Lagrange6 annonce dans sa lettre à d’Alembert datée du 26 janvier 1765, la proposition de la maison d’édition pour préfacer les œuvres mathématiques de Leibniz. Mais comme il n’adopta jamais la méthode leibnizienne, il refusa cette proposition tout en désirant charger d’Alembert de cette tâche: Je ne sais si vous savez qu’on doit donner ici une édition de tous les Ouvrages du célèbre Leibniz; on m’a chargé de la partie mathématique, soit pour l’arrangement des pièces, soit pour les éclaircissements qui paraîtront nécessaires. On voudrait aussi que j’y ajoutasse deux mots en forme de préface sur la nature et l’invention des nouveaux calculs.7
Il considère qu’il n’a «ni le talent ni l’exercice nécessaire pour ces sortes de choses».8 En voulant éviter ce devoir, il fait un pas assez intrépide en proposant à son mentor de s’en charger: Si je ne craignais de faire une indiscrétion, je vous prierais de vouloir bien vous en charger; il est certain que personne au monde n’y réussirait mieux que vous, et la mémoire du célèbre Leibniz mériterait bien un pareil témoignage de reconnaissance de la part de l’un des premiers géomètres de notre siècle.9 1 S. S. Demidov, Création et développement de la théorie des équations différentielles aux dérivées partielles dans les travaux de d’Alembert, «Revue d’Histoire des Sciences», 35. 1, 1982, pp. 3-42. L. Pepe, Leibniz et l’analyse infinitesimale en Italie dans The Leibniz’ Renaissance, International workshop, Firenze, 2-5 Giugno 1986, Firenze, Olschki, 1989, pp. 223-233. 2 Lettre de d’Alembert à Lagrange du 27 septembre 1759. J. L. Lagrange, Œuvres, cit., XI, 1882, p. 4. 3 Lettre de d’Alembert à Lagrange du 1er octobre 1763, cit., p. 9. 4 «Mais il me semble que Berlin ne me convient point tandis qu’il y a M. Euler», Lettre de Lagrange à d’Alembert du 13 novembre 1764, cit., p. 23. 5 Ivi. 6 J. L. Lagrange, Œuvres, cit., XIII, 1882, pp. 29-32. 7 Ivi, pp. 31-32. 8 Ivi, p. 32. 9 Ibidem.
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Quelques semaines plus tard, d’Alembert comme il est facile de prévoir, refuse lui aussi cette invitation tout en considérant que ces concepts sur le nouveau calcul sont déjà annoncés et diffusés dans les articles de l’Encyclopédie: Je voudrais fort pouvoir faire ce que vous désirez par rapport à la Préface des Oeuvres de Leibniz; mais sur l’invention et la nature du calcul différentiel, je ne pourrais que répéter ce que j’ai dit au mot Différentiel de l’Encyclopédie.1
Cependant, cette lettre d’Alembert dévoile l’intérêt constant de Lagrange sur les fondements de l’analyse: «vous m’avez dit, ce me semble, avoir sur cela des vues dont vous aurez occasion de faire part au public dans cette préface».2 La réponse de d’Alembert ne satisfait guère Lagrange qui revient plus souplement sur sa demande dans sa lettre du 20 mars, 1765: Je souhaitais fort que vous voulussiez vous charger d’y faire une préface, car il risque de n’en avoir aucune, ou bien, ce qui serait encore pis, de n’en avoir qu’une mauvaise, mais les excuses que vous alléguez sont très bonnes et je n’ai gardé de m’y opposer.3
Trois années plus tard, cette édition, tant discutée, parut à Genève. L’éditeur L. Dutens (1730-1812) dans la préface du 3e volume, consacrée aux œuvres mathématiques de Leibniz, s’excuse de ne pas pouvoir offrir au public une préface rédigée par Lagrange, «comme il l’avait promis aux lecteurs; mais les occupations de celui-ci l’ont empêché de se livrer à ce travail».4 Il nous semble que malgré leurs obligations diverses, d’Alembert et Lagrange auraient pu remplir cette tâche. La question du temps était un prétexte pour dissimiler le véritable motif. Ni l’un ni l’autre ne voulaient lier leurs noms à la méthode leibnizienne bien qu’à l’époque elle était bien côtée.5 Pour ce qui est de d’Alembert tout est clair. Il a voulu fonder le nouveau calcul sur la notion de limite, bien qu’il n’ait pu fournir l’interprétation tant recherchée. Il ne pu dégager le calcul du mythe de la métaphysique. Il est évident qu’il ne voulait rien écrire sur la méthode leibnizienne.
1 Lettre de d’Alembert à Lagrange du 2 mars, 1765. J. L. Lagrange, op. cit., p. 34. 2 Ibidem. 3 Ivi, p. 37. 4 Ivi, p. 32. 5 Entre les années 1754 et 1784, plusieurs livres sur le calcul ont été publiés, dont la plus grande partie suit fidèlement l’interprétation leibnizienne du calcul. En ce qui concerne la théorie de d’Alembert, quelques auteurs l’ont suivie. Cf. M. Cantor, Vorlesungen ueber Geschichte der Mathematik, Bd. IV, Leipzig, 1908, Abshnitt XXVI.
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Quant à Lagrange après l’échec de sa première publication,1 ses lettres à Euler2 et à Fagnano,3 où apparaît pour la première fois son idée directrice, de combiner l’Analyse à l’Algèbre avec l’outil de la série des puissances, il flirte, comme nous avons vu, avec la méthode des premières et dernières raisons, sans jamais abandonner sa première idée. 6. Le memoire fondamental de Lagrange de 1772 Le mémoire fondamental de Lagrange ne dissimule pas l’aspect pessimiste du cadre de sa théorie realtif à l’avenir de l’analyse bien qu’elle ait pour piliers Euler et d’Alembert: «Ne vous semble-t-il pas que la haute Géométrie va un peu en décadence? Elle n’a d’autre soutien que vous et M. Euler».4 Quant à lui malgré sa grande réputation, il considère que la distance entre ses deux mentors est assez imposante: «car pour moi je ne puis vous suivre que de loin».5 La réponse de d’Alembert quelques semaines plus tard va mettre les choses à jour: Ne vous plaignez pas de la décadence de la Géométrie tant que vous la soutiendrez comme vous faites. Il est vrai qu’excepté vous je ne lui vois de grands soutiens. Nous avons pourtant ici quelques jeunes gens qui annoncent du talent, mais il faut voir ce que cela deviendra. Quant à M. Euler et moi, et surtout moi, je regarde notre carrière comme à peu près finie.6
Néanmoins, malgré toutes ces échanges de lettres durant cette période critique, Lagrange qui préparait son mémoire n’a rien dévoilé à son mentor et passa sous silence sa publication en 1772. Peut-être d’Alembert était trop limité à ses idées et ne distingua pas les possibilités d’un tel mémoire. Après une grande pause durant laquelle Lagrange ne publie rien relatif à l’Analyse7 (1760-1772), le savant présente à l’Académie de Berlin son 1 L’analogie qui règne entre les puissances de tous les ordres du binôme et les différentielles de même ordre du produit fut l’objet de sa première publication. Sa satisfaction se transforme en déception amère quand il découvre par hasard que sa découverte appartient à Leibniz. 2 Comme la date de cette lettre est incomplète, c’est-à-dire ne porte pas la mention de l’année, le post scriptum de Lagrange qui se réfère au mort de Wolff a conduit l’éditeur L. Lalanne à l’année 1754. v. J. L. Lagrange, Œuvres, cit., XIV, 1892, pp. 135-138. 3 Lettera di Luigi de la Grange Tournier, Torinese, all’illustrissimo Signor Conte Giulio Carlo da Fagnano, contenente una nuova serie per i differenziali et integrali di qualsivoglia grado, corrispondente alla newtoniana per le potesta e le radici. J. L. Lagrange, Œuvres, cit., VIII, 1886, pp. 583-588. 4 Lettre de Lagrange à d’Alembert du 24 février 1772. J. L. Lagrange, Œuvres, cit., XIII, 1882, p. 229. 5 Ivi. 6 Lettre de d’Alembert à Lagrange du 25 mars 1772. J. L. Lagrange, op. cit., p. 332. 7 Pendant cette période, il présente un travail important sur l’algèbre: Sur la résolution des équations numériques et Additions au Mémoire sur la résolution des équations numériques, «Mémoires de
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mémoire Sur une nouvelle espèce de calcul relatif à la différentiation et à l’intégration des quantités variables.1 Dans ce mémoire,2 le point le plus caractéristique est l’utilisation des séries de Taylor. La démonstration du théorème de Taylor n’est pas nette mais Lagrange emploie les séries des puissances pour présenter une démonstration «une des plus simples»3 du théorème de Taylor.4 Cependant, nous ne devons pas passer sous silence que lorsque son mentor énonce sa critique sur l’utilisation d’une série de Taylor dans un calcul intermédiaire concernant le problèmes des cordes vibrantes, Lagrange lui répond: «Je conviens que le développement de la fonction Ê (1 + ·)5 peut donner de séries divergentes mais cet inconvénient n’influe point ce me semble sur le résultat de mon calcul qui ne dépend nullement de la somme de la série dont il s’agit».6 Conformément à la conception de l’époque, Lagrange considérait que chaque fonction peutl’Académie Royale des Sciences et Belles Lettres de Berlin», 1767, pp. 311-352; 1768, pp. 111-180; v. aussi Œuvres, cit., II, 1868, pp. 539-580: 581-654. V. également Réflexions sur la résolution algébrique des équations, «Nouveaux Mémoires de l’Académie Royale des Sciences et de Belles Lettres de Berlin», 1770, pp. 134-215; 1771, pp. 138-253; Œuvres, cit., III, 1897, pp. 205-422. 1 «Nouveaux Mémoires de l’Académie Royale des Sciences et Belles Lettres de Berlin. Classe mathématique», 1772, pp. 185-221; Œuvres, cit., III, 1897, pp. 439-476. 2 Nous devons souligner que dans ce mémoire Lagrange présente un espèce de calcul opérad tionnel tout en «manipulant» avec l’opérateur d et en reliant les opérateurs . Ainsi «la dérivée» dx comme il la nomme, devient l’outil fondamental de cette manipulation algébrique. 3 J. L. Lagrange, op. cit., p. 447. 4 Il utilise le même exemple dm (xy) qui se trouvait auparavant dans ses lettres à Fagnano et à Euler. Lagrange se réfère au mémoire de Leibniz mais passe sous silence sa première ‘découverte’. 5 J. L. Lagrange, lettre du 15 août, Œuvres, cit., 1768, p. 116. Nous devons souligner que la filiation qui unit le développement de Taylor et la Théorie des fonctions analytiques n’est pas le seul lien entre Brook Taylor et Joseph Louis Lagrange. L’application de la trigonométrie au mx mat problème apparaît en 1713 sous la forme de l’équation y (x,t) = sin cos résonne dans les l l premières recherches de Lagrange sur le problème des cordes vibrantes. J. L. Lagrange, Recherches sur la Nature et la Propagation du Son, «Misc. Taur.», I, Turin, 1759, 2ème édition p. 112; Œuvres, cit., I, 1867, pp. 39-148. 6 «On voit, signale Lagrange, la nécessité d’admettre dans ce calcul d’autres courbes que celles que les géomètres ont considéré jusqu’à présent, et d’employer un nouveau genre de donctions variables indépendantes de la loi de continuité et qu’on peut très bien appeler fonctions irrégulières et discontinues. Mais ce n’est pas ici le seul usage qu’on doit faire de ces sortes de fonctions et les sont nécessaires pour un grand nombre de questions importantes de Dynamique et d’Hydrodynamique. Car lorsque on a un système de corps ou des points mobiles dont le nombre est infini et qu’on en cherche les mouvements après les avoir, comme que ce soit, dérange de leur état d’équilibre, il est facile de comprendre qze tous les mouvements ne pourront être contenus dans une même formule, à moins qu’elle ne soit aussi apllicable au premier état du système, qui est tout-àfaitarbitraire et dans lequel la loi de continuité est plus souvent vidée: M. Euler est, je crois, le premier qui ait introduit dans l’analyse ce nouveau genre de fonctions». J. L. Lagrange, Nouvelles Recherches sur la Nature et la Propagation du Son, «Misc. Tour.», II, 1760-1761, Turin, s.d. [1762], p. 18.
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être représentée par la série de Taylor. Donc, les doutes de son mentor n’ont pu dérouter Lagrange sur l’emploi des séries.1 A cette époque, la notion de la fonction variait. Dans leurs travaux Euler, Bernoulli et d’Alembert ont pu constater que chacun d’eux considérait la notion de la fonction d’une manière différente. Lagrange dans ses premiers pas a concouru à l’élaboration d’une conception de la fonction beaucoup plus large. Dès l’introduction du mémoire de 1772, Lagrange ne cache pas son objectif: je crois devoir commencer par établir quelques notions générales et préliminaires sur la nature des fonctions d’une ou de plusieurs variables, lesquelles pourraient servir d’introduction à une théorie générale des fonctions.2
Cependant, nous devons souligner que le développement de la série u(x + Í) = u + pÍ + p2Í2 + … est totalement arbitraire et il considère qu’elle est valable pour chaque x et Í sans aucune restriction. La nouvelle définition de u qui devrait être la source de toutes les hypothèses lagrangiennes ne fournit pas les règles du calcul différentiel. Lagrange revient à ses idées premières – qu’on trouve dans la lettre à Fagnano et à Euler – sur les séries infinies. Il était convaincu que les séries infinies fournissaient l’outil nécessaire pour élaborer une théorie «dégagée de toute espèce de métaphysique» et purement algébrique qui fondera l’Analyse. Avec la série de Taylor, Lagrange pense que désormais: Le calcul différentiel, considéré dans toute sa généralité, consiste à trouver directement, et par des procédés simples et faciles, les fonctions p, p', p'', … q, q', q'' etc. r, r', r'' etc., dérivées de la fonction u et le calcul intégral consiste à retrouver la fonction u par le moyen de ces dernières fonctions. Cette notion des calculs différentiel et intégral me paraît la plus claire et la plus simple qu’on ait encore donnée; elle est, comme on voit, indépendante de toute métaphysique et de toute théorie des quantités infiniment petites ou évanouissantes.3
Son enseignement à l’Ecole Polytechnique4 le conduit à recourir à ses idées de jeunesse selon lesquelles l’unique base du Calcul est l’algèbre.5 1 C’est seulement à partir du XIXe siècle que les mathématiciens vont étudier la représentation des fonctions. 2 J. L. Lagrange, Œuvres, cit., III, 1897, p. 442. Avec un retard considérable, il a pu finalement réalisé son rêve avec sa Théorie des fonctions analytiques … et ses Leçons sur le Calcul des fonctions. 3 J. L. Lagrange, Œuvres, cit., III, 1897, p. 443. 4 Chr. Phili, Sur l’enseignement de Lagrange à l’Ecole Polytechnique, Actes du 93e Congrès de l’AFAS, Limoges, Université de Limoges, 1974, pp. 1-5. 5 «La théorie des fonctions que je me propose d’exposer cette année … a pour objet de faire disparaître les difficultés qui se remontrent dans les principes du calcul différentiel et qui arrêtent
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christine phili 7. Conclusion
A plusieurs reprises, les chemins de ces hommes illustres, qui parfois avaient des objets de recherches communs, se sont croisés. Leur correspondance témoigne d’un lien d’estime profond et dévoile des opinions intéressantes tant sur des questions scientifiques qu’administratives. Les fondements de l’analyse problème épineux de l’époque ont occupé plusieurs savants qui ont tenté de le résoudre. D’Alembert a opté sans hésitation pour la méthode des limites bien qu’il ne pas pu donner à ce concept «un formalisme clair et précis qui pourrait le faire logiquement défini».1 A. P. Youshkevitch remarque: Ce qui est le plus curieux, c’est l’influence exercée par d’Alembert sur le jeune Carnot qui a le premier compris que la théorie des limites est bien compatible avec le calcul différentiel ordinaire si l’on définit la quantité infiniment petite comme une variable dont la limite est zéro. Cette idée est exprimée dans un manuscrit présenté par Carnot à l’Académie de Berlin pour son concours de 1786 où le prix fut décerné à l’Huilier, manuscrit publié seulement de nos jours.2 Et dans le même manuscrit Carnot s’efforce de placer la théorie des limites à la base du calcul différentiel et par cela même de conférer à cette belle théorie tous les avantages algorithmiques du calcul traditionnel. Il n’a pas réussi à le faire d’une manière satisfaisante et il abandonna ensuite ce problème qui fut résolu en 1821 par Cauchy, dans ses célèbres leçons données à l’Ecole Polytechnique.3
Lagrange au début de sa carrière montre sa préférence pour la méthode des premières et dernières raisons. Cependant, il était convaincu que les séries infinies pouvaient fournir l’outil nécessaire pour élaborer une théorie purement algébrique. A la fin, à sa troisième étape en 1797, il a présenté sa théorie «dégagée de toute considération d’infiniment petits ou d’évanouissans, de limites ou de fluxions et réduits à l’Analyse algébrique des quantités finies».4 Tous les deux n’ont pas adopté la méthode leibnizienne mais ils ont pu offrir à leurs héritiers la base solide pour fonder le calcul. la plupart de ceux qui entreprennent de l’étudier en liant immédiatement ce calcul à l’algèbre dont il a fait jusqu’ici une Science séparée…». J. L. Lagrange, Discours sur l’Objet de la Théorie des Fonctions Analytiques, Pluviôse an VII, «Journal de l’Ecole Polytechnique», Cahier VIe, 1797, p. 232. 1 C. Boyer, op. cit., p. 253. 2 Ch. Gillispie et A. P. Youshkevitch, Lazare Carnot et sa contribution à la théorie de l’infini mathématique, Paris, Vrin, 1979. 3 A. P. Youschkevitch, D’Alembert et l’Analyse Mathématique. Colloque Jean d’Alembert portrait à plusieurs voix (Paris, 1983), Paris, éd. Archives Contemporaines, 1988, p. 308. 4 Cf. le titre de sa Théorie des fonctions analytiques …, Paris, Imprimerie de la Republique, 1797.
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Chacun a cependant gardé fermenent sa propre conception. D’Alembert optera pour la limite tandis que Lagrange, en voulant dégager le calcul de cette notion et le debarasser de l’infini considerera qu’avec le profil algébrique du calcul infinitésimal, il pourra se libérer des notions obscures et nuisibles. Cauchy a repris le langage algébrique lancé par Lagrange mais a de surcroît ordonné comme notion centrale dans le calcul celle de la limite. La définition de Cauchy1 est, comme celle de d’Alembert, verbale. Toutefois, pour ce qui est de l’approchement, on verra apparaître pour la première fois la notion sous-latente de l’interdiction de surpassement. 1 Cauchy ne se réfère point à d’Alembert.
D ’A L E M B E RT ET L ES M AT H É M AT I QU E S BRITAN N IQUE S Olivier Bruneau* Abstract: When we read d’Alembert’s books, it is clear that he knows well the intellectual British world and its writings. Actually, he quotes, he leans on or he contradicts some British works. The aim of this paper is to study his different positions about these works in his own scien-
tific production and in his articles in the Encyclopédie. The main 18th-century British author quoted by d’Alembert is Colin Maclaurin. One of his works is principally used: the Treatise of Fluxions. We study d’Alembert’s standpoints on this book.
1. Introduction
A
la lecture de plusieurs de ses articles ou de ses ouvrages, il apparaît que d’Alembert connaît ou semble connaître un certain nombre d’ouvrages dont l’origine est britannique. Même si certains savants français de l’époque qualifient les savants écossais tels Colin Maclaurin ou Robert Simson d’«anglois», nous leur rendons justice et nous les désignerons ici sous les noms de «britanniques» ou d’«écossais». De plus, il est important de souligner que la science mathématique britannique au début du XVIIIe siècle s’écrit plutôt en Écosse avec outre les savants cités plus haut, James Stirling, Simpson… Cet essor est dû en partie à la bonne tenue des universités écossaises.1 Comment se situe d’Alembert par rapport à ces mathématiciens d’outre-Manche? A-t-il des relations épistolaires avec eux? Dans l’inventaire de sa correspondance,2 il se trouve quelques Britanniques, Topham Beauclerck (1739-1780), Jeremy Bentham (1748-1832), Thomas Birch (1705-1766), David Hume (17111776) ou son frère John. La correspondance la plus importante est celle avec David Hume (24 lettres échangées). Mais, ce sont surtout des «let* Centre François Viète, Université de Nantes. E-mail: [email protected] 1 Paul Wood, Science, the Universities and le the public sphere in eighteenth-century Scotland, «History of Universities», 13, 1994, pp. 99-135. 2 Inventaire raisonné de la correspondance active et passive de D’Alembert, dans Oeuvres complètes, vol. V/1, CNRS-Editions, parution prévue en 2008, sous la direction d’Anne-Marie Chouillet, Irène Passeron et Jean-Daniel Candaux. «Bollettino di storia delle scienze matematiche» · Vol. XXVIII · 2008 · Fasc. 2
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tres-gazettes»,1 elles concernent principalement le rappel du voyage de Hume à Paris. Ainsi, on n’a encore repéré à ce jour aucune correspondance entre d’Alembert et les mathématiciens britanniques. La connaissance des œuvres mathématiques passe donc par d’autres canaux. Les bibliothèques parisiennes utilisées par d’Alembert, celle du Roi, ou encore celle de l’Académie Royale des Sciences de Paris sont des lieux possibles. De plus, d’autres savants ont pu lui prêter des livres d’outreManche par exemple Clairaut (à qui Maclaurin a envoyé son Treatise of Fluxions en 1742) et Dortous de Mairan. En outre, les traductions des textes de langue anglaise au cours du XVIIIe siècle permettent leur diffusion. Une autre source est la Cyclopaedia de Chambers qui sert de base au projet de l’Encyclopédie. Ce dictionnaire est anglais et les références sont, certes non exclusivement mais principalement, britanniques. Ainsi lorsqu’il écrit des articles de l’Encyclopédie, d’Alembert a eu vent des ouvrages cités. Mais une question se pose: les a-t-il lu? En effet, une simple traduction d’un article de la Cyclopedia ne garantit en aucune façon la lecture effective par d’Alembert de ces textes. De plus, il y a plusieurs degrés de lecture, du superficiel au détaillé. Il ne suffit pas de lire, il faut aussi retenir et comprendre. Enfin, il n’est pas obligatoire de réutiliser effectivement les textes réellement lus. D’autres questions et problèmes méthodologiques s’ensuivent. Nous n’allons pas répondre à toutes ces questions, mais nous les aurons toujours dans ce qui suit. Il apparaît que d’Alembert n’exploite pas de la même façon les citations d’ouvrages britanniques dans les articles de l’Encyclopédie et dans sa propre production scientifique. Même si les sources sont parfois identiques, leurs utilisations diffèrent sensiblement. Ainsi, on se penchera sur les articles de l’Encyclopédie, puis on cherchera dans sa production les références à la science mathématique britannique, enfin on déterminera le statut particulier du Treatise of Fluxions de Colin Maclaurin dans l’œuvre de d’Alembert. 2. Dans l’ Encyclopedie Dans cette volonté de faire connaître au public français des ouvrages de langue anglaise, un projet de traduction du grand dictionnaire à visée encyclopédique qu’est la Cyclopaedia, or, An universal dictionary of arts and sciences d’Ephraïm Chambers (dont la première édition est de 1728)2 voit 1 Krsysztof Pomian, De la lettre au périodique: la circulation des informations dans les milieux des historiens au XVIIe siècle, «Organon», 10, 1974, pp. 25-43, cité par Jeanne Peiffer, Faire des mathématiques par lettres, «Revue d’Histoire des mathématiques», 4, 1998, pp. 143-157: p. 147. 2 Il existe une version numérisée de cet ouvrage produite par l’université du Wisconsin http://digital.library.wisc.edu/1711.dl/HistSciTech.Cyclopaedia.
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le jour à la fin des années 1740. Très vite, le projet change de nature et même s’il prend encore comme point de départ la Cyclopaedia pour bon nombre d’articles, il le dépasse largement. Dès la première édition de la Cyclopaedia, les mathématiques sont bien représentées, les articles les concernant n’évoluent sensiblement pas entre les différentes versions. Néanmoins, dans les suppléments qui paraissent en 1753, il y a des ajouts non négligeables. Dans le chapitre 10 de son ouvrage Ecrire l’Encyclopédie,1 Marie Leca-Tsiomis compare le dictionnaire de Trévoux, la Cyclopaedia de Chambers et l’Encyclopédie. Elle montre les similitudes et les différences notables entre les trois projets éditoriaux. Dans son article,2 Paolo Quintili s’intéresse au rôle de «traducteur» de d’Alembert en prenant appui sur les articles de mécanique. Il étudie les différences notables entre les articles de la Cyclopaedia et ceux de l’Encyclopédie. Dans notre propos, on ne s’intéresse pas au rôle de d’Alembert dans ce projet encyclopédique, mais on examine comment les citations d’ouvrages ou de savants britanniques s’opèrent. Il nous paraît intéressant de regarder non pas les textes déjà cités par Chambers, mais les ajouts ou les retraits de d’Alembert par rapport à l’article initial. Pour cela, nous prendrons quelques exemples, en particulier algèbre et fluxion. D’après ce que nous venons de signaler, il n’est pas étonnant d’y retrouver des auteurs britanniques cités par d’Alembert. De plus comme il est dit dans l’avertissement du deuxième tome de l’Encyclopédie,3 de nombreux articles mathématiques de Chambers proviennent du Lexicon Technicum de John Harris publié en 1704 et 1710. Chambers n’opère pas beaucoup de changements entre les articles du Lexicon et ses propres articles. Il faut aussi signaler que les deux volumes des Supplements de la Cyclopaedia de Chambers paraissent en 1753, par conséquent ils n’ont pas pu être utilisés par d’Alembert au moins pour les trois premiers tomes de l’Encyclopédie (donc jusqu’à l’article conoïde). Tout d’abord, quels sont les auteurs britanniques du XVIIIe siècle cités par d’Alembert dans ses articles?4 Newton prend la première place, puis viennent Maclaurin, Stirling, De Moivre, Simpson, Simson, Bayes, … Il convient de remarquer que, dans la Cyclopaedia, Maclaurin n’apparaît pas lors des premières éditions. En revanche, dans les Supplements de 1 M. Leca-Tsiomis, Ecrire l’Encycloplédie, Oxford, Voltaire Foundation, 1999, p. 184 et suiv. 2 P. Quintili, D’Alembert ‘traduit’ Chambers. Les articles de mécanique, de la Cyclopaedia à l’Encyclopédie, «Recherches sur Diderot et sur l’Encyclopédie», 21, oct. 1996, pp. 75-90. 3 Encyclopédie, t. 2 (1752), p. iv. 4 Un certain nombre de savants britanniques des siècles précédents sont aussi cités comme Barrow (dans 13 articles), Wallis (25), Neper (6), David Gregory (8), James Gregory (4), Christopher Wren (8), Hooke (34), Brouncker (2), Raphson (2), Craig (2).
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1753, il devient le mathématicien britannique le plus cité après Newton. Ce type de remarque est importante car elle permet de trier les choix de D’Alembert lors des citations d’origine britannique comme nous le verrons plus bas. Il ressort de la comparaison entre les articles issus de Chambers et ceux de l’Encyclopédie que d’Alembert ajoute lorsqu’il est nécessaire des ouvrages de langue anglaise ou d’auteurs britanniques même s’ils ne sont pas présents dans le texte anglais initial. Par exemple, dans l’article algèbre, Chambers cite quelques auteurs anglais, Oughtred, Harriot, Barrow, De Moivre et Newton, d’autres auteurs apparaissent mais ils ne sont pas britanniques. L’ouvrage cité le plus récent paraît en 1707. L’article de l’Encyclopédie est, selon les termes des éditeurs, une traduction de celui de Chambers largement augmentée, en particulier par une citation d’un texte de De Gua sur l’histoire de l’algèbre dans laquelle d’autres auteurs britanniques du 17ème siècle apparaissent. Aux auteurs précédemment cités s’ajoutent Saunderson «professeur en Mathématique à Cambridge, et membre de la société royale de Londres, [qui] a publié un excellent traité sur cette matiere, en anglois, & en deux volumes in-4º, intitulé Elemens d’Algebre».1 C’est pour la qualité de l’ouvrage que ce dernier est cité ici par D’Alembert. Ces Elemens d’Algèbre sont les notes des cours du professeur Lucasien Saunderson et sont considérés comme un manuel de premier plan traitant d’algèbre. En plus de l’article algèbre, cet ouvrage est cité dans les articles arithmétique, diophante et racine en des termes élogieux: «la Science du calcul du P. Reyneau, l’analyse démontrée du même auteur, & l’Algebre de Saunderson publiée en anglois, sont en ce genre les ouvrages dont les jeunes gens peuvent le plus profiter».2 De plus, d’après le ton de l’article racine, d’Alembert a effectivement parcouru cet ouvrage. Il en justifie la mention par son intérêt d’ordre pédagogique et non pour l’originalité de ses résultats. Dans les articles Analyse et Courbe les citations sont d’un autre ordre. En effet, l’article analyse de d’Alembert est la compilation de deux articles de Chambers, Analysis et une partie de Analytics. Les références se trouvant dans l’article du Français proviennent du second article de Chambers, à une différence près, il remplace le livre de Hayes, A Treatise of Fluxions, par l’Analyse Démontrée de Reyneau qu’il considère comme «le plus complet que nous ayons sur l’Analyse», mais comportant des erreurs et qui peut être complété par les différents écrits de divers auteurs dont Maclaurin.
1 Encyclopédie, t. 1 (1751), p. 262.
2 Encyclopédie, t. 1 (1751), p. 678a.
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L’article Courbe s’éloigne largement de l’article de Chambers. Même si la mouture semble la même, les développements et les commentaires de d’Alembert indiquent que celui-ci s’écarte de la démarche de l’auteur anglais. Dans Chambers, seul l’Enumeratio linearum tertii ordinis de Newton apparaît. En revanche, dans l’Encyclopédie, en plus de l’ouvrage de Newton, d’Alembert fait référence à deux autres auteurs écossais, Stirling1 et Maclaurin.2 Il considère les ouvrages des deux Ecossais comme des extensions de celui de Newton. Néanmoins, il les apprécie car: Les meilleurs ouvrages dans lesquels on puisse s’instruire de la théorie des courbes, sont, 1º l’Enumeratio linearum tertii ordinis de M. Newton, d’où une partie de cet article courbe est tirée: 2º l’ouvrage de M. Stirling sur le même sujet, & Geometria organica de M. Maclaurin, dont nous avons parlé: 3º les usages de l’analyse de Descartes par M. l’abbé de Gua, déjà cités; ouvrage original & plein d’excellentes choses, mais qu’il faut lire avec précaution (Voyez Branche et Rebroussement): 4º l’introduction à l’analyse des lignes courbes, par M. Cramer; ouvrage très-complet, très-clair & très-instructif, & dans lequel on trouve d’ailleurs plusieurs méthodes nouvelles: 5º l’ouvrage de M. Euler, qui a pour titre, introductio in analys. infinitorum, Lausan. 1748.3
Les ouvrages de Maclaurin et de Stirling qui sont aussi cités dans d’autres contributions signées par d’Alembert4 ne figurent pas dans l’édition initiale de Chambers. Et, dans les Supplements, les articles dans lesquels sont cités les Ecossais ne correspondent pas aux textes de d’Alembert. D’Alembert ajoute des références à des œuvres britanniques, par rapport aux originaux de Chambers, dans un souci de donner aux lecteurs soit des textes qui poursuivent son propos soit des indications de manuels dans lesquels le lecteur curieux peut trouver les bases pour bien aborder une notion. Cette attitude de d’Alembert se retrouve largement dans ses articles, et l’on retrouve bien le but et le projet d’un dictionnaire encyclopédique, c’est-à-dire de fournir au lecteur une première approche qui lui donne envie soit de survoler soit d’approfondir le sujet. Néanmoins, à divers endroits, d’Alembert attaque fermement des notions venant de Newton et très présentes dans des textes britanniques. Regardons pour cela l’article fluxion. Celui de Chambers s’intéresse avant tout à la polémique autour de la primauté de la découverte entre les défenseurs de Newton et ceux de Leibniz. Les règles de calcul sont aussi énoncées. Dans les Supplements de 1 James Stirling, Lineae Tertii Ordinis Neutonianae, Oxford, 1717. 2 Colin Maclaurin, Geometria Organica: sive Descriptio Linearum Curvarum Universalis, Londres, for William and John Innys, 1720. 3 Encyclopédie, t. 4 (1754), 387b-388a. 4 La Geometria Organica est citée dans description et dans organique (ce dernier n’est pas écrit pas D’Alembert) et le traité de Stirling est cité dans les articles asymptote et racine.
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1753, un nouvel article fluxion où l’on parle de la polémique avec Berkeley et où le calcul des fluxions est largement développé. Il prend appui sur le Treatise of Fluxions de Maclaurin. En revanche, dans celui de d’Alembert, aucune référence aux deux polémiques ni aucun développement sur le calcul des fluxions n’apparaissent. En ce qui concerne le calcul, l’auteur renvoie à l’article Différentiel et Berkeley ne semble pas avoir la préférence du Français. Le choix d’écriture de Newton (le point sur la variable) et l’utilisation du mouvement pour justifier les fluxions provoquent, chez d’Alembert, un rejet catégorique. En effet: Les géometres anglois, du moins pour la plûpart, ont adopté cette idée de M. Newton, et sa caractéristique: cependant la caractéristique de M. Leibnitz qui consiste à mettre un d au devant, paroît plus commode, & moins sujette à erreur. Un d se voit mieux, & s’oublie moins dans l’impression qu’un simple point. (…) Introduire ici le mouvement, c’est y introduire une idée étrangere, & qui n’est point nécessaire à la démonstration: d’ailleurs on n’a pas d’idée bien nette de ce que c’est que la vîtesse d’un corps à chaque instant, lorsque cette vîtesse est variable. La vîtesse n’est rien de réel, voyez vitesse; c’est le rapport de l’espace au tems, lorsque la vîtesse est uniforme: sur quoi voyez l’article équation, à la fin. Mais lorsque le mouvement est variable, ce n’est plus le rapport de l’espace au tems, c’est le rapport de la différentielle de l’espace à celle du tems; rapport dont on ne peut donner d’idée nette, que par celle des limites. Ainsi il faut nécessairement en revenir à cette derniere idée, pour donner une idée nette des fluxions.1
De plus, il considère que les résultats sont les mêmes, il n’est pas nécessaire d’étendre plus le discours dans cet article: Au reste, le calcul des fluxions est absolument le même que le calcul différentiel; voyez donc le mot Differentiel, où les opérations & la métaphysique de ce calcul sont expliquées de la maniere la plus simple & la plus claire.2
Ainsi, son attitude vis-à-vis d’une notion «angloise» est battue en brèche et il se place clairement dans le camp des Leibniziens dans le choix de l’écriture et de la «métaphysique de ce calcul». Néanmoins, d’Alembert ne rechigne pas à utiliser des résultats trouvés par des savants britanniques dans sa propre recherche et il les cite dans sa propre production scientifique. 3. Dans les œuvres mathematiques Il est relativement aisé procéder à un sondage parmi les traités scientifiques (1743-1758) et dans les Opuscules mathématiques (1761-1780) de d’Alembert pour trouver des références à des textes d’origine britan1 Encyclopédie, t. 6 (1756), p. 923a.
2 Ibidem.
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nique. Par rapport à celles données dans l’Encyclopédie, les références présentes dans ces textes ont plus de valeurs dans notre recherche car c’est bien le Français qui est l’auteur. Elles sont alors relativement peu nombreuses et paraissent «naturelles». L’auteur qui semblait être le plus cité n’est pas celui que l’on pense en premier: ce n’est pas sur Newton que d’Alembert prend le plus appui. Il faut distinguer les traités des Opuscules, qui n’ont pas forcément le même statut. Dans le premier genre, l’auteur «préféré» de d’Alembert est Maclaurin. Dans l’Encyclopédie, les œuvres de Maclaurin citées sont la Geometria Organica, le De Causa physica fluxus et refluxus Marix…, le Treatise of Fluxions, son Account of Sir Isaac Newton’s Philosophical Discoveries et son Treatise of Algebra. Cela représente l’ensemble de ses écrits publiés en dehors des Philosophical Transactions. Dans sa production scientifique, d’Alembert prend en compte quasiment uniquement le Treatise of Fluxions et son prix sur le flux et le reflux de la mer. Concernant ce dernier traité, il est inséré avec de légères modifications dans le Traité des Fluxions. Comme cet ouvrage est souvent cité, on l’abordera plus bas. Dans les Opuscules, Maclaurin est cité à trois reprises (dans des mémoires traitant de mouvement des fluides et de sphéroïdes d’équilibre), mais il n’est pas le plus cité. D’autres savants le sont plus comme Newton, Smith ou encore Halley. Une partie importante des Opuscules étant consacrée à l’optique et plus particulièrement aux lunettes achromatiques, d’Alembert cite donc les travaux de Newton et James Jurin sur cette matière et ceux des opticiens Smith et Dollond. Dans les mémoires qui ne traitent pas d’optique, on note les savants tels Halley (pour «sa» comète, et pour ses tables de mortalité), Brook Taylor (pour son travail sur les cordes vibrantes et pas pour le développement qui porte son nom), Cotes, Stirling (pour le problème des trois corps), Simpson (sur la précession des équinoxes), puis tardivement Bayes et Price (pour le calcul des probabilités). Dans ses articles «Nouvelles recherches sur les verres optiques…»1 et «suite des recherches sur les verres optiques»2 qui paraît dans les Mémoires de l’Académie Royale des Sciences de Paris, d’Alembert reprend les références qu’il avait déjà données dans le troisième volume des Opuscules qui traite aussi de l’optique. Dans ses écrits scientifiques tardifs, d’Alembert n’évoque guère d’autres auteurs que lui. Les savants cités sont, la plupart du temps, Euler et Lagrange. On ne retrouve aucun Bri1 D’Alembert, Nouvelles recherches sur les verres optiques pour servir de suite à la théorie qui en a été donnée dans le volume 3e des opuscules mathématiques, «HARS», 1765, pp. 53-105. 2 D’Alembert, Suite des recherches sur les verres optiques. Troisième mémoire, «MARS», 1767, pp. 43-108.
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tannique. Cette absence peut s’expliquer par la crise que les mathématiques subissent en Grande-Bretagne à la suite de la mort de Maclaurin en 1746.1 Cela se remarque dans les écrits de d’Alembert, en effet, les dernières citations d’auteurs britanniques dans sa production scientifique (en dehors des Opuscules) se trouvent dans son Essai d’une nouvelle théorie de la résistance des fluides en 1752. De plus dans les Opuscules, il ne cite que des auteurs dont les écrits paraissent au plus tard dans la première moitié du XVIIIe siècle. Parmi les auteurs cités, nous pouvons considérer Dollond et Simpson comme ayant produit dans la seconde moitié du siècle, mais par la nature même de leurs productions, ils sont encore comme des fidèles de Newton et par conséquent ce sont des hommes de la première moitié de ce siècle. Parmi les références à la science anglaise, une bonne partie est pour d’Alembert le moyen de la critiquer. En effet, soit c’est la méthode employée soit ce sont les concepts qui ne lui conviennent pas. Par exemple, dans ses travaux sur les cordes vibrantes, d’Alembert fait souvent référence aux travaux de Brook Taylor. En effet, dans ses deux articles sur «la courbe que forme une corde tendue mise en vibration»,2 c’est bien le Methodus Incrementorum de l’anglais qui est le point de départ de ces articles. Ceux-ci sont des mises au point à ce qu’a écrit Taylor et ceux qui ont développé les résultats de l’Anglais, tel Daniel Bernoulli. Dans le premier mémoire des Opuscules de 1761, d’Alembert revient sur ce problème et répond aux attaques de Daniel Bernoulli et d’Euler qui semblent défendre la position de Taylor sur certains points. Ainsi, d’Alembert pour leur répondre prend encore appui sur les travaux de Taylor pour leur montrer leur fausseté: De toutes ces réflexions, je crois être en droit de conclure (…) que la solution que j’ai donnée le premier du Problème des cordes vibrantes, n’est nullement renfermée dans la solution de M. Taylor.3
Parmi tous les ouvrages déjà cités, à part ceux de Newton, le Treatise of Fuxions de Colin Maclaurin a une place privilégiée chez D’Alembert. En effet, on le retrouve cité à la fois dans les articles de l’Encyclopédie et dans la production scientifique du Français. Le statut ou plutôt les statuts de cet ouvrage résument à eux seuls la position de D’Alembert sur la science 1 On peut lire avec intérêt Judith Grabiner, Was Newton’s calculus a dead end? The continental influence of Maclaurin’s Treatise of Fluxions, «American Mathematical Monthly», 104 (5), (1997), pp. 393-410, ou la fin de Niccoló Guicciardini, Reading The Principia: The Debate on Newton’s Mathematical Methods for Natural Philosophy from 1687 to 1736, Cambridge, Cambridge University Press, 1999. 2 D’Alembert, Recherches sur la courbe que forme une corde tendue mise en vibrations, «HAB», 1747, pp. 214-219 et Suite des Recherches sur la courbe …, «HAB», 1747, pp. 220-249. 3 D’Alembert, Opuscules mathématiques…, 1761, tome 1, pp. 63-64.
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mathématique britannique du XVIIIe siècle. L’attitude de ce dernier va de l’intérêt à un mépris manifeste. Regardons deux parties de l’ouvrage de l’Ecossais. Le premier concerne l’intégration, le second l’hydrodynamique. Dans un de ses articles,1 Christian Gilain a montré comment d’Alembert prend appui sur les travaux de Maclaurin pour développer sa propre recherche sur les méthodes d’intégrations des différentielles à une variable. Dans la première partie qui aborde l’intégration des fractions rationnelles, d’Alembert considère que les travaux antérieurs de De Moivre, de Cotes et ceux de Bernoulli sont repris et très bien exposés dans l’ouvrage de Maclaurin: Quand le denominateur de la fraction est reduit en diviseurs simples ou trinomes, il n’y a plus de difficulté à determiner les coefficiens des numerateurs des fractions partielles, dans lesquelles on suppose suivant la methode de M. Bernoulli, que la proposée est partagée. M. Maclaurin a donné pour cela des methodes fort élegantes dans son Traité des Fluxions art. 778 & suiv. Il y examine tous les cas, ceux même qui pourroient souffrir quelque difficulté.2
Mais c’est dans la seconde partie qui s’intitule «Des différentielles qui se rapportent à la rectification de l’ellipse ou de l’hyperbole» que d’Alembert annonce qu’il s’est inspiré du texte de l’Ecossais et que c’est le point de départ de sa propre recherche: M. Maclaurin est le premier, que je sache, qui dans son Traité des fluxions ait donné quelques recherches sur les différentielles reductibles à la rectification de l’Ellipse ou de l’Hyperbole, je me propose de continuer icy ces mêmes recherches, & de les pousser plus loin.3
Mais, d’Alembert s’est éloigné de Maclaurin de deux façons, la première en privilégiant une méthode algébrique contrairement à Maclaurin qui lui a donné une méthode essentiellement géométrique,4 l’autre en s’attachant à présenter sa méthode de façon analytique et non synthétique qui est le mode d’exposition tout au long du Traité des fluxions.5 De plus, d’Alembert pointe les limites de l’exposition de Maclaurin et insiste sur le fait que lui-même aborde ce problème de façon systématique: 1 Christian Gilain, D’Alembert et l’intégration des expressions différentielles à une variable, dans Paty Michel, Michel Alain (Dir.), Analyse et Dynamique: Etudes sur l’œuvre de D’Alembert, Saint-Nicolas, Presses de l’université de Laval, 2002, pp. 207-235. 2 D’Alembert, Recherches sur le calcul intégral, «HAB», 1746, p. 198. 3 D’Alembert, Recherches sur le calcul intégral, «HAB», 1746, p. 200. 4 Olivier Bruneau, Pour une Biographie Intellectuelle de Colin Maclaurin (1698-1746): ou l’obstination mathématicienne d’un newtonien, Thèse de Doctorat, Université de Nantes, 2005, pp. 327-332. 5 Gilain, op. cit., 2002, p. 221. Voir aussi le vol. I/4a des Oeuvres complètes de D’Alembert, 2007.
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Les differentielles dont on a parlé dans les art. precedens, sont, de toutes celles qui contiennent un radical de trois termes, les seules que M. Maclaurin ait reduites à la rectification de l’Ellipse ou de l’Hyperbole. Encore n’a-t-il employé pour cette réduction qu’une espèce de synthèse, comme nous l’avons déjà dit, sans montrer la route qu’il a suivie pour y parvenir.1
En outre, d’Alembert développe et élargit un type d’intégrales que Maclaurin ne fait qu’aborder sans donner une étude systématique et exhaustive. Le Traité des Fluxions de Maclaurin peut être cité et même une des parties résumée. Ainsi, dans le Traité de l’équilibre et du mouvement des fluides, d’Alembert rejette fermement les idées de Maclaurin. L’encyclopédiste présente brièvement la théorie de l’Ecossais en respectant l’exposition faite dans le chapitre XII du livre I du Traité des Fluxions.2 d’Alembert fait un effort pour donner avec minutie la pensée de Maclaurin. Ainsi, la typographie et les figures sont les mêmes. Les seuls changements entre l’œuvre originale et le résumé de d’Alembert portent surtout sur le passage du vocabulaire mathématique newtonien (fluxion, fluente, …) à celui leibnizien (différentielle, …) et le fait que les développements mathématiques soient réduits au strict minimum chez le Français. Ensuite, ce dernier donne sa critique en cinq étapes. Elle porte sur des questions d’ordre conceptuel. La théorie énoncée par Maclaurin est celle de Newton améliorée, affinée et surtout éclaircie. Par conséquent, Maclaurin utilise la notion de cataracte qui est niée par notre auteur: «l’existence de cette cataracte n’a jamais été bien prouvée, & M. Jean Bernoulli en fait même voir assez bien l’impossibilité dans son Hydraulique»,3 ou encore d’Alembert doute de la valeur de la force accélératrice de l’eau à la sortie du vase et plus généralement de la pertinence de la notion de force. De plus, d’après d’Alembert, la théorie de Maclaurin est confrontée à des problèmes de vitesse non continue: «il y a quelque inconvénient à supposer (comme l’Auteur le reconnoît lui-même) que l’eau qui sort par EF acquiert tout à la fois la vitesse X-V, c’est-à-dire qu’elle passe subitement de la vitesse V à la vitesse X».4 d’Alembert conclut: «ces remarques, auxquelles on pourroit encore en ajouter d’autres, suffiront, je crois, aux Geométres, pour douter que la Théorie de M. Maclaurin soit revêtue de toute l’évidence & de la clarté nécessaire, quoique cette Théorie s’accorde pour les résultats qu’elle donne, avec ceux que nous avons trouvés 1 2 3 4
D’Alembert, «HAB», 1748, pp. 203-204. Colin Maclaurin, Traité des Fluxions, trad. P. Pézénas, Paris, Jombert, 1749, livre 2, pp. 42-56. D’Alembert, Traité de l’équilibre et du mouvement des fluides, Paris, David, 1744, pp. 153-154. D’Alembert, Traité, cit., pp. 152-153.
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par la nôtre».1 Ici, ce ne sont pas les résultats qui sont mis en cause par D’Alembert, mais la mise en œuvre théorique et mathématique qu’il rejette. Cette attitude est cohérente avec ce qu’il écrit dans les articles de l’Encyclopédie comme celui de fluxion. A l’image de ces deux exemples, d’Alembert connaît l’œuvre de Maclaurin et plus particulièrement le Treatise of Fluxions ainsi que le prix de l’Académie royale des Sciences de Paris de 1740 sur le flux et le reflux de la mer que l’Ecossais a remporté avec Euler et Bernoulli. Cette «excellente pièce»2 (dit d’Alembert) a été reprise par Maclaurin pour l’insérer dans le Traité des fluxions.3 Même si d’Alembert connaît la science newtonienne dès son plus jeune âge,4 il semble que l’ouvrage de Maclaurin soit, dans une certaine mesure, une sorte de référence de la science «angloise». Elle est à certains moments simplement bibliographique comme dans certains articles de l’Encyclopédie, à d’autres moments, elle est source d’inspiration et de base à sa propre production scientifique qui mérite d’être regardée et étudiée comme c’est le cas dans l’article figure de la Terre de l’Encyclopédie et dans ses Recherches sur le calcul intégral, enfin sur des sujets qui font débat, elle est citée pour être critiquée comme dans son Traité de l’équilibre et du mouvement des fluides. 4. Conclusion D’Alembert connaît donc les écrits des mathématiciens britanniques. Même s’il est difficile de savoir avec certitude quels livres il a réellement lus, on peut avancer quelques titres qui ont été dans les mains de d’Alembert et que ce dernier a plus ou moins étudiés avec intérêt voire minutie. Bien sûr l’encyclopédiste a considéré de près les ouvrages de Newton, il a aussi examiné et critiqué le Methodus Incrementorum de Brook Taylor (même s’il ne retient pas le corollaire 2 de la proposition 7 qui est la fameuse «formule de Taylor»).5 Mais le livre qui semble être le plus étudié 1 D’Alembert, Traité, cit., p. 154. 2 Encyclopédie, article figure, t. 6, p. 757b. D’ailleurs D’Alembert ne manquera jamais une occasion de louer la pièce de Maclaurin pour dévaloriser ou du moins relativiser le travail de Clairaut, notamment dans le t. 6 des Opuscules (1773). 3 C’est le chapitre 14 du premier livre. 4 François De Gandt, Les études newtoniennes du jeune D’Alembert, «Recherches sur Diderot et sur l’Encyclopédie», 38, 2005, pp. 177-190. 5 D’Alembert réénonce cette formule, visiblement sans connaître l’antécédent de Taylor, dans Recherches sur le systême du monde, t. I (1754), p. 50. Condorcet appellera d’ailleurs encore cela «le théorême de M. d’Alembert» dans divers articles du Supplément de l’Encyclopédie, en 17761777, notamment Série, t. 4, p. 783a; il ne remplacera (partiellement) cette appellation par le nom de Taylor qu’ultérieurement dans certains articles de «l’Encyclopédie méthodique-mathématiques», par exemple Approximation, t. 1 (1784), p. 104b.
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et le plus apprécié, même s’il n’a pas été le plus cité, est le Treatise of Fluxions de Maclaurin. Contrairement à ce qui a été écrit par certains historiens des sciences, l’œuvre majeure de l’Ecossais a eu plus qu’un accueil d’estime par ses contemporains et des savants tels que d’Alembert, même s’ils étaient en désaccord avec une plus ou moins grande partie de l’ouvrage, l’ont lue et étudiée. Ainsi, dans les années 1740, cet ouvrage est considéré par certains savants français comme la référence de la science newtonienne avec ses qualités et ses faiblesses, ce qui incite, dans le projet de traduction en français de la science anglaise, le père Pezenas à traduire cet ouvrage en 1749. C’est pour cela que l’on peut considérer que cette œuvre mériterait d’être à nouveau éditée.
PAO LO F R I S I , D ’ A LE M BE RT ET L E M I LI E U S CI E N T I F IQUE D E M ILAN Massimo Galuzzi* Abstract: A modern historian of mathematics, who considers the large mathematical production of Paolo Frisi is unlikely to share the wide appreciation it had at his times. In the writings here examined, a huge display of erudition hardly seems to match the modest contents that Frisi proposes. However, if we take care of the context in which he operated, so different from the one of Paris or Berlin, our judgement has to be more cautious. The compari-
son of Frisi with d’Alembert, that cannot be proposed from the point of view of their respective mathematical contributions, becomes less striking by considering the hazier field of cultural commitment. The real concerns of Frisi, at least from our point of view, were in the field of cultural policy and his unquestionable mathematical learning was more a mean to gain authoritativeness in the «combats des Lumières» than an aim in itself.
1. Introduction
L
’éloge de d’Alembert est le dernier écrit (publié après sa mort par ses frères) de Paolo Frisi. On y voit une profonde admiration pour l’homme et le mathématicien1 et une description rapide mais plutôt détaillé des œuvres du savant français. Cela est vrai en particulier pour les mathématiques de d’Alembert, pour lesquelles Frisi montre une admiration sincère. Toutefois, pour la partie de l’œuvre de Frisi que j’ai examiné, que l’on pourrait définir l’algèbre au sens large (dans le sens de ce que la mathématique cartésienne devient dans une postérité qui va jusqu’à l’Arithmetica Universalis de Newton à peu près) et la «métaphysique du calcul», les liens avec l’œuvre de l’Alembert sont faibles. Pour la mécanique, et la mécanique céleste, j’émettrais un avis différent et, au moins sur le plan des objectifs communs de recherche, on
* Dipartimento di matematica, Università degli studi di Milano. E-mail: massimo.galuzzi@ mat.unimi.it 1 Sur les rapports entre d’Alembert et Frisi on peut voir (Pappas 1987). Frisi avait 11 ans de moins que d’Alembert et le considérait comme son maître, comme Pappas (1988, p. 130) observe. «Bollettino di storia delle scienze matematiche» · Vol. XXVIII · 2008 · Fasc. 2
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pourrait comparer de façon déteillée les résultats de d’Alembert et de Frisi. Mais cette étude ne pourrait être effectuée qu’en lisant avec beaucoup d’attention la vaste production (aussi bien publiée que manuscrite) de Frisi2 et celle de d’Alembert, naturellement. Il y à des indications, dans les essais contenus dans (Barbarisi 1987b), qui induisent à penser que l’on peut réperer une différence qualitative notable entre le résultats des deux savants. Les liens entre d’Alembert et Frisi son forts, importants, et comparables sur le plan de la commune bataille pour les idéaux de la philosophie des lumières.2 Si nous cherchons aujourd’hui des références au nom et à l’œvre de Frisi dans les textes d’histoire des sciences on trouvera que ses contributions sout peu mentionneés. Il est cité dans Lalande (1764) et Todhunter (1873), bien que dans ce dernier texte il soit surtout présenté comme un habile divulgateur.3 Il y a certainement un peu de méchanceté à la fin du chapitre de Todhunter (1873): All the three works by Frisi which we have noticed are printed on stout durable paper. Either the general public must have received them with a favour not usually bestowed on mathematical treatises, or they must have obtained the private patronage of wealthy persons; for the expenses of producing them could scarcely have been otherwise sustained.
Une mention à son contribution à l’histoire de la mécanique se trouve dans (Marcolongo 1906).4 Mais dans l’histoire de Loria (1950), où, sans chauvinisme, il y a toutefois une certaine attention aux contributions italiennes, nous ne trouvons pas le nom de Frisi.5 De façon plus générale dans l’histoire culturelle la situation est plus variée, comme le note Casini (1987). Il y à des omissions, mais dans le livre de Venturi (1969) c’est un personnage importante: il est appelé le d’Alembert italien. La valeur et l’importance de ses éloges apparaissent incontestables.6 1 Rosi Candiani, dans le second volume de (Barbarisi 1987b) a donné un Catalogue des manuscrits de Frisi. Ce catalogue occupe 301 pages. 2 C’est un sujet très importante mais je dois renvoyer à d’autres études d’histoire de science. Car je ne peux aborder ici ce thème qu’au passage. 3 Voir le chapitre XVII de Todhunter 1873. Todhunter déclare qu’il n’a pas eu la possibilité de voir la première œuvre de Frisi (1751). Cette œuvre a été examiné remarquablement dans Nastasi 1987, mais les conclusions aux quelles il arrive ne sont pas trop différentes de celles de Todhunter. 4 Voir aussi Caparrini 2002. 5 Dans un autre occasion, Loria a défini la réputation de Frisi passagère et incapable de résister «à l’examen impartial de la postérité». Voir Di Sieno et Galuzzi 1987a, p. 73, note 46. 6 Voir dans Frisi 1985, l’introduction de Paolo Casini.
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Si nous considérons les volumineux Actes d’un important Colloque entièrement consacré à Frisi en 19841 il en émerge une figure de savant qui est difficile à interpréter. Les essais qui examinent en détail sa production scientifique ne sont pas sans réserves et bien souvent ils remarquent des erreurs ou des âpretés polémiques souvent motivées par des questions étrangères à la science.2 Pour ce qui se réfère plus particulièrement à la mathématique, on peut noter le recours par Brigaglia (1987) et par moi, dans l’essai que j’écrivit en collaboration avec Simonetta Di Sieno3 à la catégorie des «fondements». En relisant mon essai, je ne suis pas trop convaincu de la pertinence de cette catégorie. Dans les mêmes Actes, là où l’évaluation porte sur son engagement dans la bataille des lumières, ou sur son énergique effort pour aligner la culture italienne à celle de l’Europe, le jugement change, et souvent de façon radicale.4 Tout cela est vrai en particulier, comme j’ai déjà remarqué, pour les éloges dont le mérite n’est jamais mis en question. Il me semble que tout cela montre la nécessité de consacrer à Frisi une biographie ample et détaillée dans laquelle la valeur de son activité scientifique, de son engagement, de son œvre littéraire soient considérés avec le plus grand soin, parce que ce qui me semble définitivement hors de question est l’importance de sa figure. Si l’on pense à une évaluation globale de son œuvre mathématique dans ce cadre plus générale, il me semble qu’elle peut aboutir à deux points de vue en contraste (partiel) entre eux: a) On peut conclure que ses découvertes mathématiques, en tant que telles, étaient moins considérables que ne le pensaient ses contemporains; b) On peut conclure, par une comparaison entre son œuvre et celle de ses contemporains (surtout italiens), que sa production mathématique était une étape préliminaire, mais essentielle, pour le développement des études en Italie. Ce que je me propose de faire est à priori compatible avec a) et b), bien que j’aie un certain penchant à croire que l’indéniable importance de Frisi philosophe des lumières rejaillit sur son œuvre mathématique. Dans ce que suit, je considère les contributions algébriques5 de Frisi, en tenant compte naturellement aussi de Brigaglia (1987). 1 Voir Barbarisi 1987b. Les Actes forment deux volumes de 473 et 706 pages respectivement. 2 Voir, par exemple, Benvenuto and Corradi 1987, Citrini 1987, Cova 1987, Kannès 1987, Tagliaferri and Tucci 1987. 3 Di Sieno et Galuzzi 1987a. 4 Voir, par exemple, Barbarisi 1987a, Casini 1987, Consoli 1987, Gaspari 1987. 5 Avec l’adjectif «algébrique» je n’entend pas seulement la théorie des équations, mais en sens plus ample cette partie des mathématiques où l’on ne fait pas usage des instruments différentiels.
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L’œuvre mathématique de Frisi est toujours parsemée des références aux auteurs qui lui sont contemporains aussi bien qu’aux classiques. À première vue cette érudition peut paraître gênante, surtout quand elle est associée à des sujets très élémentaires. En considérant attentivement sa production, on voit qu’elle s’attache à donner à son lecteur, ou à ses élèves, l’idée d’une auteur qui ne soit pas restreint dans les limites d’une science attardée et provinciale. Toutefois, à coté de noms des auteurs et de leurs œuvres, nous ne trouvons un rôle remarquable des résultats suivants dans les écrits de Frisi. – Le théorème fondamental de l’algèbre.1 – Le théorème sur les fonctions symétriques qui ouvre le texte de Waring (1770).2 – Le grand mémoire de Lagrange (1770) sur la solution algébrique des équations; – Le théorème de Bézout (1764, 1779) et la théorie de l’élimination. Cette liste n’est pas exhaustive, mais elle est suffisante pour montrer que certainement l’algèbre n’était pas une discipline où Frisi se soit proposé de donner des contributions originales. Donc, en considérant ses écrits sur ce sujet, nous devons simplement nous demander dans quelle mesure il a été capable d’introduire ces thématiques comme préalables à des développements qu’il n’assignait pas a soi même. 2. Frisi, l ’ algèbre e la géométrie analytique Dans la lettre du 10.5.1753, publiée par Masotti (1942-43), qui suppose que le destinataire soit Vincenzo Riccati, l’on trouve: La preggiatissima sua de’ 16 Apr. dopo esser stata a Casale, ove più io non mi trovo, mi è giunta agli otto del corrente Maggio, in tempo appunto che avendo già consegnata allo Stampatore una picciola dissertazione sopra il metodo delle Flussioni, che mi ha tenuto occupato ambedue gli scorsi mesi, incominciava ad essere in positura di dare una scorsa all’Opera del valoroso Signor Conte Suardi.3 1 Voir D’Alembert 1746. Parmi les essais très importants sur ce théorème citons Gilain 1991 et le chapitre sur la question dans le volume de Houzel 2002. Dans le récent Baltus 2004 on donne aussi une analyse considérable de cette démonstration et de son rôle historique. Frisi pouvait voir des références dans Bougainville 1754, un texte qu’il connaissait très bien. D’Alembert lui même suggère la lecture du texte de Bougainville dans l’article Imaginaire de l’Encyclopédie pour saisir le rôle de ce théorème. 2 Frisi se limite à donner des exemple sur les sommes des puissances des racines. 3 Voir Masotti 1942-1943, p. 310. «Votre lettre du 16 d’Avril, après avoir été à Casale, où je ne suis plus, est arrivé le huit de ce mois de mai, quand, avant donné à l’imprimeur une petite dissertation sur la méthode des fluxions, qui m’à pris l’un et l’autre des deux mois passés, je com-
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La petite dissertation est, probablement,1 la De methodo fluxionum geometricarum […] qui correspond à la seconde partie du Manuscript M 29 de la Biblioteca Centrale della Facoltà di Ingegneria del Politecnico di Milano,2 où l’on trouve un mémoire du title semblable De Newtoniano [sic] methodo fluxionum, et fluentium geometrica tractatio. Introductionis loco ad analysin clarissimi Bouganvilli [sic] conscripta.3 Il est un peu difficile de comprendre la liaison entre ce mémoire et Bougainville (1754). Frisi semble y manifester le désire de donner une rapide introduction générale (avec peu de questions sur les fondements) aux thèmes du calcul différentiel. La chose est encore plus vraie pour le mémoire Elementa algebrae cartesianae introductionis loco ad analysin clarissimi Bouganvillii [sic] conscripta, qui constitue la première partie du Manuscrit M 29 et qui encore une fois veut être une introduction à la lecture de Bougainville. En fait Frisi donne une introduction rapide et générale aux thèmes d’une mathématique que l’on pourrait définir comme cartésienne. Les contenus sont le suivants: – Nombres – L’Algèbre et les problèmes arithmétiques, pp. 18r-23r – L’Algèbre et les problèmes géométriques, pp. 23r-29v – Équations, racines, approximation, pp. 29v-41r – Courbes, pp. 41r-67v. On voit bien, seulement à parcourir les titres, que, si ce texte a été utilisé pour donner des leçons, Frisi devait à peu près partir de zéro. Le seconde des problèmes géométriques présentés par Frisi est celui célèbre du carré, qui, à l’epoque moderne, a été étudié dans le troisième livre de la Géométrie de Descartes. J’ai considéré en détail, en collaboration avec Daniela Rovelli, la solution de Frisi en la comparant à celle de Maria Gaetana Agnesi dans (Galuzzi and Rovelli n.d., Sect. 4.10). Je me limite ici à observer que bien qu’il y ait une sorte de décalage entre la solution de Descartes et celle que propose l’Agnesi, le problème du carré maintient sa physionomie d’exemple paradigmatique pour illustrer la nature des racines des équations de demençais à avoir le temps de jeter un coup d’œil sur l’œuvre de Monsieur le comte Suardi». L’œuvre en question est Suardi 1752. 1 Voir la Note 2, à la page 66 de Di Sieno et Galuzzi 1987a. Voir aussi Torrini 1987, p. 284. 2 Fondo Frisi. Codice 29. Signature 1.17.10.2 dans la classification de Rosi Candiani dans Barbarisi 1987b, vol. 2, p. 483. 3 Ce manuscrit a été étudié par Pepe 1984. Voir aussi Di Sieno et Galuzzi 1987a, Note 1, p. 66.
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gré quatre solubles par radicaux quadratiques.1 Avec Frisi le problème est simplement réduit à un tour de force pour montrer qu’un truc bien choisi peut aboutir à une solution très facile du problème. L’habileté de manipulation des équations est la seule chose qui reste du problème qui a perdu son sens profond.2 Ce qui semble évidente, c’est que la nature du problème s’est réduite dans le texte de Frisi à un simple exercice où un expédient conduit à une solution facile. Certainement plus intéressant, bien qu’il soit très facile, c’est le problème suivante que Frisi propose. Problema tertium In rectangulo MNRP punctum A invenire ex quo ad quatuor angulos ductis rectis AM, AN, AR, AP quadrata oppositorum AN, AP aequantur quadratis aliarum AM, AR.3 M
K
A
H
P
F
N
G
R
1 Cf. Agnesi 1748, pp. 253-261, p. 276. 2 Mais on doit ajouter que la première partie du manuscrit n’a pas été publiée par Frisi et peutêtre qu’il fournît des explications ultérieures dans ses leçons. 3 Voir Frisi n.d., p. 26r. «Dans le rectangle MNPR il faut trouver un point A tel que en conduisant le lignes AM, AN, AR, AP au sommets du rectangles la somme des carrés opposés AN, AP égale la somme de deux autres AM, AR».
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Frisi pose PR = a, PM = b, PF = z, FA = x. On a immédiatement: AP2 = x2 + z2, AN2 = (a – z)2 + (b – x)2, AM2 = z2 + (b – x)2, AR2 = x2 + (a – z)2, ce qui donne: x2 + z2 + (a –z)2 + (b – x)2 = z2 + (b – x)2 + x2 + (a – z)2
(1)
La (1) est bien une identité, ce qui monstre que le problème donne lieu à un théorème. Cette idée d’utiliser l’algèbre cartésienne avec une valeur démonstrative, pour donner des théorèmes, que Frisi souligne, est certainement déjà présente dans les Commentaires que van Schooten a réunis dans sa seconde édition latine de la Géométrie.1 Mais, à mon avis, beaucoup d’auteurs suivants partagent, au contraire, l’idée qu’il y a d’une part une géométrie euclidienne où l’on prouve les théorèmes de la géométrie élémentaire, et d’autre part une géométrie cartésienne où surtout on résout des problèmes.2 La manière de traiter l’approximation des racines n’est pas particulièrement originale,3 bien que le citations soient nombreuses: la première lettre de Newton à Oldenburg, les Methodi Incrementorum, de Taylor (Prop. 9), Stirling, …et la Introductio ad curvarum Analysin de Cramer où Frisi déclare qu’il «regulam nitide exposuit». Le polygone de Newton est mentionné,4 mais Frisi se borne à donner des exemples sans aucune démonstration. La partie sur les courbes, où Frisi moutre son érudition habituelle, est considérable. Suivant Descartes il déclare que: les courbes peuvent être algébriques, …et «ceteras vero curvas appellavit transcendentes». Il écrit avec un certain manque de précision que, suivant Descartes, le genre correspond au degré moins un. Après avoir donné les équations des coniques et de la conchoïde et de la cissoïde, on a «De generali æquatione Sectionum Conicarum».5 Craig 1 Voir Schooten 1659. Le texte de De concinnandis demonstrationibus qui est contenu dans ce volume est remarquable, mais l’algèbre y est identifiée à l’analyse des anciens et n’est pas une théorie en soi. 2 L’attitude de Salmon (1855) qui est très énergique dans la revendication du rôle démonstratif de la géométrie analytique, jusqu’aux théorèmes les plus élémentaires de la géométrie euclidienne, montre bien que ce rôle n’était pas tenu pur sûr jusqu’à la moitié du siècle dix-neuvième. Dans l’article Application de l’Algèbre ou de l’Analyse à la Géométrie de d’Alembert on trouve, toutefois, une ferme position en faveur de la valeur démonstrative de l’algèbre appliquée aux problèmes géométriques. 3 Frisi n.d., 37v-41r: De generali radicum approximatione. 4 p. 38v. 5 p. 45v.
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et L’Hôpital sont cités avec respect, mais Frisi préfère pour les coniques la manière de traiter de Suzzi: Ipsum faciliore via docuit Cl. Suzzius æquationes propositas secundi gradus ad simplicissimas expressionem reducendo. Suzzi methodum nitide exposuit de more suo to. 2 Instit Analyt. num. 126 et seq. Aequtiones scilicet secundi gradus in tres classe distribuit.1
La distinction est différente du partage des coniques par type. Elle est faite en examinant la possibilité de se ramener par une simple substitution de variables aux équations canoniques. – Première classe: ax + ab = y2, xy + ax = a2 – ay – Seconde classe: x2 + ax = ay + by, x2 – 2bx = y2 + ay – ax, – Troisième classe: x2 + 2xy + y2 = a2 – x2 + bx Frisi mentionne aussi la construction des équations: un thème d’origine cartésienne.2 Il considère l’exemple d’une équation de degré 4: z4 – 5a2z2 + 2a3z + 3a4 = 0 Il pose z2 = ax et obtient: a2x2 – 5a2z2 + 2a3z + 3a4 = 0 En divisant par a2, on a x2 – 5z2 + 2az + 3a4 = 0 qui est l’équation d’une hyperbole. Frisi n’a donné qu’un exemple; il ne s’agit plus de la solution générale de l’équation de degré quatre et il ne retient plus le critère de Descartes qui veut que les deux courbes soient «les plus simples possibles». En particulier Descartes, dans les cas des équations de degré trois ou quatre associe, à la parabole d’équation z2 = x l’équation d’un cercle choisi d’une manière opportune. Frisi, en se limitant à la simple substitution des variables, et en ne considérant que le résultat obtenu, perd tout contact avec le problème originel. Le manuscrit contient aussi3 une description de la méthode des tangentes de Descartes. 1 Frisi n.d., p. 46r. Frisi cite un texte de Giuseppe Suzzi (1701-1764), élève de Jacopo Riccati, professeur à Padova. «Suzzi a montré, en manière plus facile, comme l’on peut réduire toutes les équations proposées de degré deux à leur expression la plus simple. Il a partagé ces équations en trois classes …». 2 Voir p. 47r. Sur l’histoire de ce sujet voir Bos 1984. 3 p. 52v.
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Une critique détaillée d’une partie d’un manuscrit, duquel nous ne savons exactement l’usage peut passer pour du pédantisme.1Mais on peut observer que le style de Frisi ne montre pas des variations sensibles y compris jusqu’au moment de l’édition du premier volume des ses Œuvres (1782). 3. Dans les œuvres Le contenu de Frisi (1782) est le suivant: 01. 02. 03. 04. 05. 06. 07. 08. 09. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17. 18. 19. 20. 21. 22. 23.
Praefatio. p. 1 Caput primum. De Arithmetica Universali. p. 13 Appendix. De Morali arithmetica. p. 52 Cap. II. De Analysi geometricæ Rectilineæ. 58 Cap. III. De Analysi Sectionum Conicarum. 79 Cap. IV. De Locis Geometricis. p. 108 Cap. V. De Involutione, & Evolutione Algebrica. p.136 Cap. VI. De Formulis Trigonometricis. p. 161 Cap. VII. De Formulis Logarithmicis. p. 181 Appendix. De problematis Census Compositi. p. 201 Cap. VIII. De Formulis Cyclometricis. p. 203 Appendix. De Quantitatibus imaginariis. p. 232 Cap. IX. De Analysi Isoperimetrica. p. 236 Cap. X. De Algebræ Cardanicæ Limitibus. p. 255 Cap. XI. De Algebra Infinitorum. p. 286 Appendix. De Newtoniana Integralium Tabula. p. 317 Cap. XII. De Seriebus Infinitis. p. 320 Appendix. De Aliis Serierum Problematis. p. 351 Cap. XIII. De Geometria Curvilinea. p. 355 Appendix. De Curvis duplicis curvaturæ. p. 393 Cap. XIV. De Formulis Isoperimetricis. p. 395 Cap. XV. De Formulis Integralibus. p. 426 Appendix. De Reductione Æquationum Differentialium. p. 463.
Ce contenu est naturellement bien plus large que celui de (Frisi n.d.), mais la simple comparaison des titres montre une homogénéité substantielle. Je choisis deux problèmes qui me semblent paradigmatiques. Problema XXXVIII Dato Angulo BAP, actisque rectis BD, PD ea semper lege ut sit BD parallela datæ alicui rectæ AP, & PD per datum punctum P transeat, ac sit semper BD ad PD in ratione data; invenire locum puncti D.2 1 Je pense que ce texte fût utilisé pour son enseignement quand Frisi était professeur aux Écoles de Sant’Alessandro. La deuxième partie de ce manuscrit correspond, en fait à Frisi 1753. 2 Voir Frisi 1782, p. 112: «L’angle BAP est donné et les lignes BD, PD sont tracées en façon que BD soit parallèle à AP et PD passe par le point P et le rapporte de BD à PD est donné. Trouver le lieu des points D».
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D
B
A
C
E
P
Soit DE ⊥ AP, DC||BA. CD : CE est donné parce que l’angle DCE est donné. Soit CD : CE = d : b. Le rapport BD : PD est donné par hypothèse: soit BP : PD = d : e. Posons AP = a, AC = x, CD = y. On arrive facilement à l’équation:
y2 + 2b xy + b2 x2 = e2 + b2 – d2 x2 + 2ax + 2ab y – a2. d d2 d2 d
(2)
Frisi conduit une étude de la conique obtenue à partir de l’équation qui rappelle le style de la Géométrie de Descartes. (Frisi 1782, p. 114): Naturellement les cas de l’angle droit correspond à la description usuelle d’une section conique en termes de foyer/directrice. Frisi rappelle que cette description est donnée par l’Hôpital.1 Les cas plus général est considéré aussi par Newton.2 Frisi cite encore Maria Gaetana Agnesi et Riccati. C’est une marque d’érudition pour un problème que correspond à une description des sections coniques qui, au moment où il écrit, est bien connue. Problema XLVIII Datis coefficientibus æquationum invenire summas potestatum omnium similium, qu æex singulis radicibus similiter possunt accipi.3 1 In poxtremo exemplo libri octavi. 2 Probl. XXXVII, Arithmeticæ. 3 Voir Frisi 1782, p. 150. «Étant donnés les coefficients des équations trouver la somme des puissances du même degré des racines».
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Si l’équation a la forme xn – pxn-1 + qxn-2 – …
(3)
et le racines sont a,b,c,d,…, Frisi donne les premières valeurs1 a + b + c + d + &c. = p, a2 + b2 + c2 + d2 + &c. = p2 – 2q, a3 + b3 + c3 + d3 + &c. = p3 – 3pq + 3r, a4 + b4 + c4 + d4 + &c. = p4 – 4p2q + 4pr – 4s + 2q2, a5 + b5 + c5 + d5 + &c. = p5 – 5p3q + 5p2 – 4ps + 〈st〉 – 5qr. Il ne donne pas de démonstrations, laissant au lecteur le soin de comprendre le mécanisme récurrent. Après il donne la formule générale, en la faisant précéder de la déclaration que: generalis formula habebitur, quam amicus Waring lemmate primo Miscellaneorum Analyticorum, & Meditationum Algebraicarum tradiderat.2
Encore une fois il ne donne aucune démonstration. 4. D’Alembert, frisi et le calcul differentiel Dans Di Sieno et Galuzzi (1987a) une analyse de l’attitude de Frisi envers la «métaphysique du calcul» est proposé. Il me semble que les considérations qui s’y trouvent restent valables. Frisi, comme d’Alembert, considère l’approche au calcul de Newton plus rigoureux que celui de Leibniz. Mais la où d’Alembert considère le mouvement «une idée étrangère … qui n’est point nécessaire à la démonstration»,3 Frisi n’hésite pas à maintenir la position de Maclaurin qu’il a accepté au début de sa carrière, en la mêlant, cependant, avec l’approche leibnizien et avec celles de quelques autres auteurs sur ce même sujet. Un comparaison entre l’article Différentiel et les nombreux textes que Frisi a consacré à ce sujet montre une commune attitude à l’égard de la possibilité d’identifier différentielles et fluxions («M. Newton appelle le calcul différentiel, méthode des fluxions, parce qu’il prend, comme on l’a dit le quantités infiniment petites pour des fluxions ou des accroissements momentanés»). Mais la clairvoyance que l’on voit dans l’article Limite, et dans les autres articles sur le calcul différentiel, vont au delà des intérêts de Frisi, qui 1 La cinquième formule contient une faute d’imprimerie. L’on doit lire 5t à la place de st. 2 Frisi 1782, p. 151: «On a une formule générale que mon ami Waring a donné dans le premier lemme des Miscellaneorum Analyticorum & Meditationum Algebraicarum». 3 Ivi, p. 63
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présente le fondements du calcul avec une sorte d’impatience, en laissant à son lecteur le soin d’approfondir les relations entre fluxion différentielle, vitesse, tangente, etc. De plus, il faut dire que les importants contributions de d’Alembert à l’évolution de l’analyse mathématique1 ne donnent pas la possibilité d’une comparaison féconde entre Frisi et d’Alembert, pour l’évidente disproportion entre leurs accomplissements. En considérant de nouveau l’algèbre et la géométrie analytique objet du premier volume des Œuvres (1782) on pourrait poser une question un peu grossière: est-ce que ce volume avait une nécessité réelle? Un simple coup d’œil aux articles de l’Encyclopédie méthodique traitants de sujets analogues montre que du point de vue de l’avancement des sciences mathématiques Frisi n’a pas beaucoup de choses à proposer. Sa science algébrique est certainement dépassée. Mais je pense que la question ne s’arrête pas ici. Par exemple, au plan des idées générales, je pense avec Truesdell qu’on ne doit pas forcément exiger que l’œuvre d’un auteur contienne des résultats remarquables. La seconde partie de la vie de Maria Gaetana Agnesi, complètement dédiée aux œuvres de charité constitue, à elle seule, un monument confié à la postérité, et on n’a pas besoin, pour agrandir sa figure, d’inventer une «courbe de la sorcière». La même chose pourrait se dire pour Frisi. Son engagement, à lui seul, lui donne une place remarquable dans l’histoire du dix-huitième siècle. Le rôle d’un texte ne doit pas simplement être évalué en termes strictes de «contributions» à l’avancement de la science. Un volume s’insère dans un certain contexte et les Instituzioni de Maria Gaetana Agnesi – qui certainement ne sont pas comparables aux textes d’Euler pour la valeur intrinsèque de son contenu – toutefois ont eu un rôle important dans le contexte du milieu scientifique de Milan. On sait que Frisi ne s’est pas enrichi avec son œuvre et donc l’insinuation un peu malicieuse de Todhunter pourrait se transformer dans une indication du fait que les écrits de Frisi avaient leur nécessité précise dans un contexte qui n’était pas celui de la Paris des lumières. 5. Les polemiques scientifiques de Frisi Il est certain que Frisi avait à juste titre une haute considération de soi et, comme beaucoup des autres savants, il fut touché par plusieurs polé1 À la théorie des équation différentielles aux dérivées partielles, à la naissance du concept moderne de fonction, etc. Voir, par exemple, Demidov 1982 sur le premier sujet.
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miques. Deux de ces débats son considérés avec soin dans (Barbarisi 1987b). Kannès (1987) a examiné la polémique sur la construction de la flèche du Dôme de Milan et avance cette hypothèse: Nel corso del 1764 Frisi, che era rientrato in Lombardia solo due mesi prima come professore di matematica presso le Scuole Palatine […] era presumibilmente alla ricerca di uno spazio più ampio all’interno dell’ambiente milanese.1
La rivalité avec Boscovich, professeur à Pavia, et qui recevait un traitement bien plus considérable, devait aussi avoir une certaine importance. En tout cas, bien que Kannès n’en vienne pas à dire que l’intervention de Frisi fût déplacée, il penche à croire que c’étaient plutôt ses adversaires qui avaient raison. Tagliaferri and Tucci (1987) ont considéré la discussion avec les astronomes de Brera et encore une fois il sont arrivés à une conclusion en partie négative. Ils observent que d’Alembert lui même: diede atto al Frisi dell’importanza di quel teorema [le théorème de la composition des mouvements rotatoires] per la soluzione del problema della precessione degli equinozi e della nutazione.2
Frisi avait donc bien raison de se réjouir de ce résultat. Mais sa prétention de le voir cité dans les Effemeridi di Milano per l’anno 1783 semble excessive à Tagliaferri et Tucci. Ils citent, en l’approuvent, la réponse d’Oriani: Se invece di dirmi delle ingiurie il Sig. Abate Frisi m’avesse dimandato per qual ragione non feci rilevare il merito, e la qualità della sua soluzione, avrei risposto, che avanti avrei dovuto far rilevare il merito, e la qualità di tutte le soluzioni pubblicate prima della sua […] e se mai un giorno da qualche matematico si farà una tale storia ardisco dire che il merito della soluzione del Sig. Abate Frisi occuperà ben poche linee.3
Leur conclusion manifeste, toutefois, un certain moralisme qui me semble un peu anachronique: 1 Ivi, p. 296 «Au cours de l’année 1764, Frisi, qui était revenu en Lombardia seulement deux mois avant comme professeur des mathématiques à les Scuole Palatine […] était probablement à la recherche d’un espace plus grand à l’intérieur du milieu milanais». On peut voir aussi Benvenuto et Corradi 1987 et la correspondance entre Frisi et Bonati dans Bonati 1992. 2 Voir Tagliaferri and Tucci 1987: «…reconnut que le théorème de Frisi [le théorème de la composition des mouvements rotatoires] était important pour la résolution du problème de la précession des équinoxes et de la nutation». 3 Tagliaferri and Tucci 1987, p. 153. «Si au lieu de me dire des injures monsieur l’abbé Frisi m’avait demandé la raison pour laquelle je ne eût pas relevé le mérite et la qualité de sa solution, j’aurais répondu que précédemment j’aurais dû faire noter le mérite et la qualité de toutes les solutions publiées avant de la sienne […] et si jamais un jour quelque mathématicien écrira une telle histoire j’ose dire que le mérite de la solution de monsieur l’abbé Frisi prendra bien peu de lignes».
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Ora concludiamo dichiarandoci persuasi del torto di Frisi – nel complesso, se non su tutti i singoli punti […] commise l’errore più reprensibile per uno scienziato: si comportò da presuntuoso. […] Ma può dispiacere che un “letterato” di merito, quale fu nel complesso Frisi, non abbia saputo, nella disputa con gli astronomi di Brera, elevarsi al di sopra di tali umane debolezze.1
Le prestige scientifique de Frisi était solidaire à son combat culturel, mais on ne peut nier qu’il fût grevé d’un peu de vanité.2 6. Frisi et l ’ histoire des sciences La lecture des éloges de Frisi donne une image différente. Paolo Casini donne cette description de la figure de Frisi. Autore di manuali, educatore, riformatore, viveva giorno per giorno l’esperienza del profondo iato esistente, in questo genere di studî, tra gli studiosi operanti in Italia e gli epicentri della ricerca scientifica europea. I suoi interlocutori erano a Parigi, a Londra, a Pietroburgo, a Berlino.3
Si dans l’œuvre mathématique (au moins dans la partie que j’ai considéreé) on voit un Frisi aux marges de la recherche scientifique, qui dans l’effort de combler des lacunes culturelles4 enveloppe des modestes résultats mathématiques dans un réseau de citations, dans les éloges on trouve un personnage tout à fait différent et d’une étonnante modernité. Dans l’éloge de Newton, par exemple, nous trouvons brièvement indiqué un programme pédagogique, partageable «toto corde», qu’on pourrair même proposer aujourd’hui: i principî della geometria devono unirsi a quelli del disegno, e devono nello stesso tempo servire per una istituzione di logica: nello studio delle lingue non hanno da dimenticarsi i caratteri, i segni, i primi dialetti dell’algebra: e negli altri studî dell’erudizione, delle antichità, e della storia si devono comprendere ancora le scoperte più grandi, e i progressi dello spirito umano. Le scoperte del 1 Ivi, p. 155: «Maintenant nous concluons en déclarant que nous sommes convaincus du tort de Frisi – dans son ensemble si non dans les questions particulières […] Il commit l’erreur plus répréhensible pour un savant: il se conduit comme un présomptueux. […] Mais il est désagréable qu’un digne homme de lettre, comme Frisi fût dans son ensemble, n’ait su, dans la querelle avec les astronomes de Brera, s’élever au-dessus de ces faiblesses humaines». 2 Comme son ami Pietro Verri était forcé d’admettre: voir Barbarisi 1987a. 3 Frisi 1985, Introduzione, p. 10: «Auteur de manuels, éducateur, réformateur, il vivait jour après jour l’expérience du profonde hiatus qui existait, dans ce genre d’études, entre les hommes d’étude qui opéraient dans l’Italie et le foyers de la recherche scientifique d’Europe. Ses interlocuteurs étaient à Paris, à Londres, à Pétersbourg, à Berlin». 4 Mais cette «catégorisation» exprimé par «combler des lacunes culturelles» devrai donner lieu à des études bien plus profonde que la simple lecture des textes.
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Newton tengono un luogo principale tra tutte le altre: i risultati si devono sapere anche senza seguitare il dettaglio delle dimostrazioni e dei calcoli.1
Peut-être qu’il soit impropre de parler d’histoire des sciences pour les éloges, mais certainement il y a une connexion solide et profonde entre engagement, mémoire du passe, développement de la science. La figure de Frisi n’était pas dépourvue des contradictions, à commencer par sa carrière religieuse qui correspondait plus au désire de faire partie du monde des lettres qu’à une vocation effective.2 Il me semble que son intérêts réelles étaient la politique culturelle et l’«histoire des sciences», fortement liées entre elles. Mais, puisqu’il n’existait pas encore d’espace institutionnel lui permettant de développer de telles positions, il a utilisé ses capacités scientifiques indubitables comme une sorte de base pour pouvoir parler avec autorité en faveur de la théorie newtonienne, pour réhabiliter Galilée,3 pour combattre les préjugés, pour faire de la Lombardie une région qui puisse être parcourue par le moyen d’un réseau dense des canaux, de véhicules de commerce, mais surtout d’égalité et d’échanges culturels. En ce sens je pense qu’il ne serait pas impropre de définir Frisi comme le «d’Alembert italien». References Agnesi M. 1748, Instituzioni analitiche ad uso della gioventù, Milano, Richini. Baldini U. 1982, L’insegnamento fisico-matematico a Pavia alle soglie dell’età teresiana, dans De Maddalena, Rotelli and Barbarisi 1982, pp. 863-886. Baltus C. 2004, D’Alembert’s proof of the fundamental theorem of algebra, «Historia Mathematica», 31, pp. 414-428. Barbarisi G. 1987a, Frisi e Verri: storia di un’amicizia illuministica, dans Barbarisi 1987b, Vol. 2, pp. 353-441. Barbarisi G. (ed.) 1987b, Ideologia e scienza nell’opera di Paolo Frisi (1728-1784), Milano, Franco Angeli. Benvenuto E. et Corradi M. 1987, Paolo Frisi e la statica degli archi e delle volte, dans Barbarisi 1987b, pp. 210-229. 1 Frisi 1985, p. 112: «…les principes de la géométrie doivent être joints a ceux du dessin, et ils doivent dans le même temps servir pour une institution de logique: dans l’étude des langues on ne doit pas oublier les caractères, les signes les premiers dialectes de l’algèbre: et dans les autres études de l’érudition, des antiquités, et de l’histoire on doit comprendre encore les découvertes les plus grandes et les progrès de l’esprit humain. Les découvertes de Newton ont la première place entre toutes les autres: les résultats doivent être connus aussi sans se charger des détailles des démonstrations et de calculs». Je renvoie à Frisi 1985 et à ce que Casini y écrit pour une appréciation de la valeur des éloges de Galilée et, naturellement, de celui de d’Alembert. 2 Voir Gentili 1987. 3 En outre de l’Introduction de Frisi 1985 par Casini, on peut voir Giustini 1984.
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D’A L EM B E RT E L’I S T I T U TO D I BOLOG NA Maria Teresa Borgato* Abstract: D’Alembert was associated with the Academy of Sciences of the Institute of Bologna on the 4th of September 1755. His work appears, in general, to have had a limited influence on the memoirs published in the Commentarii, even if almost all of d’Alembert’s works were available to the Bolognese academicians in the second half of the eighteenth century. An unpublished memoir by Sebastiano Canterzani on the vertical projectile motion takes up the theme of
one of the Opuscules mathématiques, which also marked the beginning of an important research work in Bologna on the deviation of falling bodies. Inspired by the works of d’Alembert, which had brought back to light the experiments of Mersenne and Petit, the pupil of Canterzani, Giambattista Guglielmini, with the collaboration of Bolognese academicians, carried out a celebrated experiment in the Asinelli tower to prove the rotation of the Earth.
1. L’istituto marsiliano a metà del settecento metà del Settecento sedeva sul soglio pontificio con il nome di Benedetto XIV Prospero Lambertini, giurista e studioso di nobile famiglia bolognese. Come arcivescovo di Bologna, egli aveva protetto in particolare l’Istituto delle Scienze che, sorto a fianco dell’antica Università, proprio grazie al Lambertini aveva potuto pubblicare il primo volume dei Commentarii (1731). Nel 1751 Giuseppe Gaetano Bolletti (1709-1769), un ecclesiastico addetto al servizio della cattedrale di San Pietro, amico della famiglia Zanotti (Francesco Maria era segretario dell’Istituto) pubblicò il fortunato volumetto: Dell’origine e de’ progressi dell’Instituto delle Scienze di Bologna nella stamperia di Lelio dalla Volpe, cui si può fare riferimento per fotografare la situazione a metà del secolo. La guida ebbe la fortuna di altre tre edizioni nel 1763, 1767 e 1769. L’opera è divisa in 21 capitoli e corredata da tavole.1
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* Dipartimento di matematica. Università di Ferrara. E-mail: [email protected] 1 Un’edizione anastatica della prima edizione con un’interessante nota introduttiva di M. Bortolotti è stata stampata a Bologna: Dell’origine e de’ progressi dell’Instituto delle Scienze di Bologna e di tutte le accademie ad esso unite, con la descrizione di tutte le più notabili cose, che ad uso del Mondo letterario nello stesso Instituto si conservano (Clueb, 1987). «Bollettino di storia delle scienze matematiche» · Vol. XXVIII · 2008 · Fasc. 2
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Luigi Ferdinando Marsili, fondatore dell’Istituto, aveva a lungo militato nelle guerre balcaniche dell’Impero asburgico contro i Turchi. Negli anni delle campagne militari aveva coltivato oltre all’arte delle guerra le scienze matematiche e naturali, mettendo insieme una ricchissima collezione di oggetti e di modelli di navi e di città fortificate che destinò inizialmente all’Università di Bologna per rinnovare gli insegnamenti in senso sperimentale. Fallito questo tentativo per la resistenza corporativa dei docenti e delle oligarchie locali che governavano l’antico ateneo, decise di fondare una nuova istituzione dedicata agli studi matematici, astronomici e naturalistici. Nacque così l’Istituto delle Scienze che fu ospitato nell’antico palazzo del card. Poggi (1711) e che comprese due accademie bolognesi: quella degli Inquieti fondata nel 1690 da Eustachio Manfredi, che divenne l’Accademia delle Scienze dell’Istituto, e l’Accademia Clementina destinata ai cultori delle arti e del disegno, fondata nel 1706 da un gruppo di pittori capeggiati da Giampietro Zanotti. Ma l’Istituto marsiliano comprendeva principalmente degli ambienti (‘camere’) destinati agli insegnamenti sperimentali sotto la guida di professori. Al piano terra si trovavano: la cappella, dedicata alla Vergine, la sala per le adunanze dei Presidenti, le sale destinate all’Accademia Clementina (con la famosa sala di Ulisse affrescata da Pellegrino Tipaldi), la stanza per la Chimica, quella per le Antichità, quella per la Diottrica. Al primo piano vi erano poi le stanze per la Fisica (tra le quali quella con i fregi di Niccolò dell’Abate), l’Anatomia, l’Arte militare, la Storia Naturale, la Geografia e la Nautica. Vi era poi la biblioteca, che fu ristrutturata e notevolmente ampliata dalle donazioni di Benedetto XIV. Una torre, ultimata nel 1726, era stata eretta per accogliere l’Osservatorio astronomico, che fu diretto da studiosi di prestigio: Eustachio Manfredi dal 1725 al 1739 e Eustachio Zanotti dal 1740 al 1782. La strumentazione dell’osservatorio fu rinnovata nel 1741 con l’acquisto degli apparecchi costruiti dall’inglese Jonathan Sisson: un quadrante murale, un quadrante mobile e lo «strumento dei passaggi» ossia un cannocchiale imperniato a ruotare lungo un meridiano. Nel 1744 le camere di fisica si arricchirono di nuove macchine per l’insegnamento della fisica newtoniana, commissionate da Benedetto XIV a costruttori olandesi, e nel 1747 fu acquistata la strumentazione ottica del celebre artigiano-scienziato Giuseppe Campani, con le macchine per la costruzione di lenti per microscopi e telescopi.1 Il vano dedicato alla biblioteca era stato ampliato 1 L’Istituto e l’Accademia delle Scienze sono stati oggetto di approfonditi studi: I materiali dell’Istituto delle Scienze di Bologna, Bologna, Clueb, 1979; Anatomie accademiche, a cura di W. Tega, 3 voll, Bologna, Il Mulino, 1986; M. Cavazza, Settecento inquieto. Alle origini dell’Istituto delle Scienze di Bologna, Bologna, Il Mulino, 1990.
d’alembert e l ’istituto di bologna 341 per accogliere le ricche donazioni di volumi, tra cui quella dello stesso Benedetto XIV, e nel 1756 era stata aperta al pubblico. Nel 1751 i professori, i sostituti e gli assistenti erano: Iacopo Bartolomeo Beccari, Presidente e Professore di Chimica, con Eraclito Manfredi, Sostituto, e Jacopo Zanoni, Aiutante; Gregorio Casali, Professore di Architettura Militare; Gusmano Galeazzi, Professore di Fisica, con Paolo Balbi, Sostituto; Giuseppe Monti, Professore di Storia naturale, con Gaetano Monti, Sostituto; Abbondio Collina, professore di Geografia e Nautica; Eustachio Zanotti, Professore di Astronomia, con Petronio Matteucci, Sostituto. Responsabile della Libreria era Lodovico Montefani Caprara, mentre Segretario dell’Istituto era Francesco Maria Zanotti, con il sostituto Ignazio Maria Scandellari.1 L’Istituto delle Scienze di Bologna rispondeva alla esigenza di sperimentazione insoddisfatta dagli insegnamenti essenzialmente teorici trasmessi dalla Università di Bologna, svolgendo propri cicli di lezioni ed esercitazioni pratiche; l’Accademia delle Scienze, che ne faceva parte ma aveva una sua propria indipendenza, assolveva alla funzione di organizzare e comunicare i risultati raggiunti, attraverso le riunioni periodiche in cui venivano esposte letture accademiche su nuovi risultati, relativi alla propria attività o ricavate dalla recensione delle pubblicazioni scientifiche. Queste avvenivano con cadenza regolare (in certi periodi settimanale) in forma privata, ossia riservata agli accademici, mentre alcune sedute pubbliche erano aperte anche alle autorità cittadine. Il corpo accademico, composto di ordinari, numerari (in numero chiuso, inizialmente di 12 + 24) e onorari, era andato aumentando nel tempo per adeguarsi alle nuove discipline (24 + 24). Ogni ordinario poteva avere un alunno o aggiunto, destinato a subentrare su un posto via via divenuto vacante. Gli ordinari includevano i professori dell’Istituto, il Presidente e il Segretario dell’Accademia. A partire dal 1731 uscirono i volumi degli atti: De Bononiensi Scientiarum et Artium Instituto atque Academia Commentarii, sette in tutto tra il 1731 e il 1791. Essi comprendevano una parte introduttiva, in cui era dato conto della vita dell’Istituto, le relazioni ufficiali con le istituzioni cittadine, l’avvicendamento dei professori e l’accrescimento della strumentazione scientifica e del patrimonio librario. Seguivano i Commentarii in cui il Segretario redigeva il diario dell’attività scientifica, illustrando i temi af1 Non si tratta in generale di studiosi di grande fama. L’Encyclopédie nell’articolo Institut si limitò a riprendere quanto scritto nel dizionario di Moreri, di cui uscì una edizione anche nel 1759: L. Moréri, Le grand dictionnaire historique, ou le Mélange curieux de l’histoire sacrée et profane… Nouvelle édition, dans laquelle on a refondu les Supplémens de M. l’abbé Goujet. Le tout revu, corrigé et augmenté par M. Drouet, Paris, Libraires Associés, 1759.
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frontati nelle dissertazioni accademiche e le diverse tesi che intorno ad esse venivano dibattute dalla comunità scientifica. Infine gli Opuscula raccoglievano in forma estesa le memorie più rilevanti, per consistenza e novità, presentate dagli accademici durante le sedute. La pubblicazione fu fortemente a-periodica: il tomo II, in tre parti, uscì negli anni 1745-17461747, il tomo III dopo altri dieci anni nel 1755, il tomo IV nel 1757, il tomo V, in due parti, nel 1767, il tomo VI nel 1783 e il tomo VII nel 1791. 2. D’Alembert accademico di bologna Il giorno 4 settembre 1755 d’Alembert fu aggregato alla Accademia delle Scienze di Bologna per intervento diretto di Benedetto XIV. Una disposizione dal 1750 fissava il numero degli accademici, esclusi i benedettini che ricevevano un compenso, in 50 bolognesi e 75 forestieri, e vietava perciò l’aggregazione di nuovi membri, a meno che non fossero nominati in sostituzione di altri accademici. La deroga fu possibile per volontà di Benedetto XIV che esercitava una forte influenza sulla Accademia. Poco dopo, nello stesso mese di settembre, si ebbe l’aggregazione ‘straordinaria’ di due altri scienziati stranieri, l’olandese Pieter van Musschenbroek, e il francese François Boissier de Sauvages. In dicembre fu aggregato l’esploratore Charles Marie de La Condamine. Nel maggio precedente, su posti resisi disponibili, erano stati nominati membri il celebre naturalista Georges-Louis Leclerc, Comte de Buffon (a Parigi), il filosofo enciclopedista Jean Henri Samuel Formey (a Berlino) e il fisico Giambattista Beccaria (a Torino).1 Negli Archivi dell’Accademia delle Scienze è riportata la lettera, particolarmente calorosa, inviata a d’Alembert dal segretario Francesco Maria Zanotti:2 Al Signor d’Alembert a Parigi li 7 Sett. 1755 Giovedì scorso, che fu li 4 Sett. 1755, fu per ordine di N.S. Papa Bendetto XIV proposta a questa nostra Accad.a dell’Instituto la Persona Rinomatissima di V.S. Ill.ma, a insediarsi e aggregare. Io ho l’onore di dargliene parola, e lo fo con tanto maggior piacere, che posso così, attestandole la stima comune, che ha di Lei questa nostra Accad.a, attestarle anche la mia particolare, la quale è tanto grande, che ardisco di paragonarla a quella di tutti gli altri. Non mi farà poco onore V.S. Ill.ma, se nella folla di tanti suoi ammiratori, che riempiono l’Europa tutta, si degnerà di riguardar me e con qualche vanto io sono con tutto l’ossequio 1 De Bononiensi Scientiarum et Artium Instituto atque Academia Commentarii (d’ora in poi semplicemente: Commentarii), tomo IV, Bologna, Dalla Volpe, 1757, Cap. VII, pp. 26-28: De duabus Academicis ad Institutum adjunctis. Ricordiamo che d’Alembert entrò nel 1741 all’Académie des Sciences di Parigi, e nel 1747 all’Académie des Sciences di Berlino. 2 Accademia delle Scienze di Bologna, Archivio (AASB), Antica Accademia, Titolo III, n 274.
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Il ringraziamento di d’Alembert a Benedetto XIV fu pubblicato nel «Bullettino Boncompagni»:1 X.bre 1755 Très St. Père, La bonté singulière dont Votre Sainteté vient de m’honorer en faisant témoigner à l’Académie de l’Institut de Boulogne qu’elle désirait que cette illustre Académie me choisit contre les lois ordinaires pour un des son membres me pénètre de la reconaissance la plus profonde; mais ce qui me rend surtout cette faveur précieuse, c’est l’occasion qu’elle me procure de mettre aux pieds de Votre Sainteté mon tendre et respecteux attachement pour elle. Son amour pour les lettres et la gloire avec laquelle elle les a cultivée montre à ceux qui par un zèle barbare voudraient appuyer la foi sur l’ignorance, que le savoir, bien loin d’être incompatible avec la Religion, doit être au contraire, un des ses plus fermes appuis; après avoir eclairé par ses ouvrages le monde chretien, qu’elle gouverne, elle honore par ses vertus le siège auguste sur lequel nos vœux le plaçaient longtemps avant qu’elle ne l’occupât; pénétré surtout de cet esprit de douceur et de paix qui fait le caractère le plus essentiel et le plus précieux du Christianisme, elle apprend par conduite à ceux qui sont chargés de nous instruire que le moyen le plus efficace pour faire pratiquer la religion est de la faire aimer; puisse, très St. Père, celui qui éleva Votre Sainteté à la place la plus respecteuse de l’Univers, y conserver longtemps pour la consolation et pour l’honneur de l’Eglise le chef et le modèle qu’il a bien voulu nous donner en Votre personne. Je me prosterne aux pieds de Votre Sainteté et la supplie d’être persuadée du très profond respect et de l’attachement filial avec lequel je serai toute ma vie etc.
3. Nei commentarii dell ’ accademia delle scienze di bologna Nei Commentarii troviamo indirettamente entrare il pensiero di d’Alembert a proposito della polemica sulle forze vive. Nell’ambiente bolognese intervennero nel dibattito Francesco Maria Zanotti, sostenitore della tesi cartesiana, Giovanni Rizzetti e i matematici veneti Jacopo e Vincenzo Riccati, che propendevano per le tesi leibniziane. La discussione bolognese si svolge in gran parte attorno alla memoria di Johann Bernoulli (De vera notione virium vivarum, «Acta Eruditorum», 1735, pp. 210-230) e soprattutto nell’anno 1747, quando apparvero nel vol. II parte III dei Commentarii una memoria di Jacopo Riccati, tre scritti di F. M. Zanotti sugli elastici, un opuscolo di Eraclito Manfredi, e la nota memoria di Ruggero Giuseppe Boscovich sulle forze vive, in cui l’autore, partendo da una ras1 C. Henry, Correspondance inédite de d’Alembert, «Bullettino di bilbliografia e storia delle scienze matematiche e fisiche», t. XVIII, 1885, pp. 507-649, cfr. p. 516-517.
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segna storica della controversia, arriva ad una conclusione simile a quella presentata da d’Alembert nel Traité de dynamique, senza tuttavia citarlo esplicitamente.1 Tale soluzione, con le parole di Boscovich, affermava che: «Vires vivas in corporibus nullas esse», bastando l’inerzia e le forze morte a rendere conto di tutti i fenomeni meccanici. (Discostandosi da d’Alembert, Boscovich tuttavia affermava che le leggi meccaniche non sono strettamente necessarie…). Due anni dopo, sempre a Bologna, Vincenzo Riccati, figlio secondogenito di Jacopo, pubblicava il trattato in forma dialogica: Dialogo, dove ne’ congressi di più giornate delle forze vive e dell’azioni delle forze morte si tien discorso, a cui Francesco Maria Zanotti replicava con l’opera: Della forza de’ Corpi, che chiamano viva.2 Scarsi echi si trovano, nei Commentarii dell’Accademia, del dibattito scientifico sulle corde vibranti, che pure a partire dal 1747 aveva coinvolto d’Alembert, Daniel Bernoulli, Lagrange, come più generalmente pochi sono gli scritti sulle applicazioni del calcolo alla meccanica che costituivano uno dei filoni più fecondi della ricerca matematica settecentesca. La questione della forma delle corde vibranti è collegata in musica alla serie degli armonici, ma notiamo ancora l’assenza di d’Alembert a proposito della teoria musicale, rappresentata nei Commentarii dalle memorie di Giovanni Battista Martini e Domenico Giovenale Sacchi,3 entrambe legate alla tradizione e chiuse ai nuovi orientamenti. Mentre Martini rivalutava la teoria musicale antica e riponeva la base della definizione degli intervalli musicali su regole aritmetiche, Sacchi muoveva critiche ai presupposti fisici e alle applicazioni delle teorie di Rameau e Tartini, e dunque indirettamente anche a d’Alembert che proprio la teoria dell’armonia di Rameau, fondata sul principio dell’inversione della triade, aveva reso celebre negli Elemens de musique (1752) fornendone una base fisicosperimentale.
1 J. Riccati, De motuum communicationibus ex attractione, in Commentarii, II, 3, 1747, pp. 143158. R. G. Boscovich, De viribus vivis, ivi, pp. 289-332. E. Manfredi, De viribus ex elastrorum pulsu ortis, ivi, pp. 383-396. F. M. Zanotti, De elastris. Sermo primus, ivi, pp. 413-433. Idem, Sermo alter, ivi, pp. 435-462. Idem, Sermo tertius, ivi, pp. 463-473. Si veda: L. Neri, «Mechanica», in: Anatomie accademiche, cit., II, pp. 155-183. 2 Dialogo di Vincenzo Riccati della compagnia di Gesu dove ne’ congressi di piu giornate delle forze vive e dell’azioni delle forze morte si tien discorso, Bologna, Lelio Dalla Volpe, 1749. Della forza de’ corpi che chiamano viva libri tre del signor Francesco Maria Zanotti al signore Giambattista Morgagni. Ne’ quali libri ha proccurato l’Autore, quanto ha potuto, di promovere la quistione col solo discorso metafisico, senza assumere dalla geometria, nè dalla meccanica altro, che le proposizioni piu note, e piu comuni, Bologna, Eredi di Constantino Pisarri, e Giacomo Filippo Primodi, 1752. 3 G. B. Martini, De usu progressionis geometricae in musica, in Commentarii, V, 2, 1767, pp. 372394. D. G. Sacchi, Specimen Theoriae Musicae, in Commentarii, VII, 1791, pp. 139-197. Entrambe riassunte da P. Gozza in Anatomie Accademiche, cit., I, pp. 360, 436-437.
d’alembert e l ’istituto di bologna 345 Con esplicito riferimento all’opera di d’Alembert, ma per contraddirla, troviamo trattata nei Commentarii la teoria della visione, in una memoria di Giambattista Scarella (1711-1779) che fu pubblicata in due parti: i primi tre capitoli nel tomo V parte 2 pp. 446-499, e l’ultimo nel tomo VI pp. 344-372. Il sunto è riferito nel tomo V, nella sezione Physica pp. 110121. Sebbene questa memoria sia stata inviata nel 1765, la lentezza di pubblicazione dei Commentarii interpose tra le due parti ben sedici anni (1767, 1783).1 Nel nono saggio del primo volume degli Opuscules Mathématiques (1761), d’Alembert sollevava diverse obiezioni alle leggi comunemente accettate della teoria della visione, sottolineando più volte come essa fosse ancora troppo rudimentale e imperfetta, e precisamente sul luogo apparente e sulla grandezza apparente degli oggetti, sia nella visione diretta che in quella riflessa o rifratta.2 Innanzi tutto d’Alembert contestava il principio che ogni punto visibile sia percepito lungo il raggio che va da questo punto all’occhio, poiché quando il raggio visivo non è nell’asse ottico, e dunque non attraversa l’occhio in linea retta, subisce una rifrazione attraversando gli umori dell’occhio. Dunque un punto visibile è percepito nella corretta posizione in cui si trova solo quando è nella direzione dell’asse ottico. Esaminava allora il problema di determinare la posizione reale di un oggetto, in base alla sua immagine vista in uno specchio o attraverso una lente, analizzando gli autori che se ne erano occupati. Controbatteva il principio degli ‘Antichi’ in base al quale un oggetto per riflessione o rifrazione è visto sulla perpendicolare condotta dall’oggetto alla superficie riflettente o rifrangente, e tratta in particolare anche del cosiddetto «barrovian case» sugli specchi concavi che contraddice la legge precedente. Nel caso di specchi non piani d’Alembert ipotizzava che la posizione apparente dell’oggetto si trovi nel punto d’incontro del raggio riflesso o rifratto con la perpendicolare condotta dall’oggetto alla tangente di questa superficie nel punto di riflessione (o rifrazione). Una critica dettagliata è portata anche al principio seguito da Barrow, Gregory e Newton (Isaac Barrow, Lectiones opticae et geometricae, 1674), basato sul fatto che diversi sono i raggi trasmessi da un punto visibile e riflessi attraverso la pupilla, e l’intersezione di questi determina la posizione apparente che dunque, potendo i raggi considerarsi infinitamente vicini, deve trovarsi nel pun1 G. B. Scarella, De Principiis Visionis Directae, Reflexae, et Refractae, in Commentarii, V, 2, 1767, pp. 446-499 (e 1 tav.); Idem, De Principiis visionis directae, reflexae, et refractae. Caput quartum, in Commentarii, VI, 1783, pp. 344-372. 2 J. d’Alembert, Doutes sur différentes questions d’Optique, in: Opuscules Mathématiques, I, Paris, David, 1761, pp. 265-298.
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to in cui essi incontrano la caustica. Altri autori citati sono Andreas Tacquet (Opticae libri tres, in Opera matematica, 1669) e Christian Wolff. Discuteva poi la questione della grandezza apparente di un oggetto, nella visione diretta, contrastando il principio di Robert Smith (A Compleat System of Opticks, 1738), secondo il quale la grandezza dell’immagine è proporzionale all’angolo visuale. Suggeriva una serie di esperienze per misurare la grandezza apparente, adattabile a diverse circostanze. Si occupava poi del problema di trovare secondo quali linee dei filari d’alberi dovessero essere piantati, per apparire paralleli e concludeva che dovevano essere disposti secondo due linee rette divergenti, analizzando anche una memoria contemporanea di Pierre Bouguer (Recherches sur la grandeur apparente des objets, in Histoires de l’Académie des Sciences avec le Mémoires de Mathématiques et de Physique, Paris, 1761 [1755] pp. 99-112), e citando i risultati degli «anciens opticiens» Honoré Fabri, Andreas Tacquet e Pierre Varignon. Infine estendeva la sua critica al caso di visione riflessa o rifratta, e in particolare al metodo di Smith. Scarella contestava da subito la possibilità ammessa da d’Alembert di vedere un oggetto qualunque sia la direzione dei raggi che colpiscono l’occhio, ossia indipendentemente dall’asse ottico. Presentava una sua propria teoria della visione diretta, distinguendo la imaginatio, che attiene al cervello, dalla visio che colpisce i sensi esterni. Citando Condillac (Traité des sensations, 1745), Haller, Boerhaave e Newton, sosteneva che le sensazioni permangano per un breve tempo, dopo che la causa che le ha provocate è cessata. Circa la visione riflessa, cui sono dedicati i capitoli II e III, Scarella esponeva esperimenti con specchi piani, concavi e convessi, deducendo che i raggi riflessi, dirigendosi all’occhio da luoghi tra loro distinti, possono produrre due immagini di un medesimo oggetto e difendeva l’opinione di Barrow contro l’opinione di d’Alembert che riteneva questa legge universalmente falsa. Nel capitolo quarto, Scarella rispondeva all’articolo 16 dei Doutes di d’Alembert, dove sono criticati i principi esposti da Bouguer a proposito della grandezza apparente degli oggetti ottenuti con specchi concavi e convessi, appoggiandosi all’opera di Bonaventure Abat (Amusemens Philosophiques, Amsterdam, 1763) e di Jean Trabaud (Le mouvement de la lumière ou premières principes d’optique, Paris, 1753).1 Sempre nei Commentarii, l’unico riferimento esplicito alla dinamica di d’Alembert sembra essere nel tomo VI, dove il primo degli Opuscules Mathématiques e le Recherches sur la précession des équinoxes sono citati in una 1 La teoria di Scarella è riassunta da N. Urbinati in Anatomie Accademiche, cit., I, pp. 364-365, 408.
d’alembert e l ’istituto di bologna 347 memoria di Paolo Frisi, inviata nel 1771, che si occupa dell’asse di rotazione di un corpo, soggetto all’impulso di una forza applicata in un punto diverso dal centro di gravità: «a clarissimo Authore inventa motus principia ad generalem solutionem problematis traducta sunt, et sex occurrunt generales aequationes, ex quibus solutio eadem pendet».1 Oltre a quelli di d’Alembert, sono citati anche i lavori di Eulero, Paolo Segneri, Lagrange mentre vengono esposti i metodi di Giulio Mozzi, di Ignazio Radicati e dello stesso Frisi.2 L’influenza dell’opera di d’Alembert nei lavori pubblicati sui Commentarii appare dunque in generale piuttosto limitata, tuttavia se esaminiamo le dissertazioni accademiche non pubblicate, e altri documenti e lettere, appare una influenza ben più sostanziale di d’Alembert, soprattutto nella questione del lancio zenitale dei proiettili e nella questione collegata delle deviazioni subite per effetto della rotazione terrestre dai gravi in caduta libera. Gli scritti di d’Alembert furono, in questo caso, il punto di partenza di una ricerca importante, in cui si impegnarono diversi scienziati dell’Istituto di Bologna: Sebastiano Canterzani, Giambattista Guglielmini, Girolamo Saladini, Petronio Matteucci, Petronio Colliva, Alamannno Isolani, Alfonso Bonfioli Malvezzi, Francesco Sacchetti, Luigi Zanotti, Luigi Tagliavini. 4. Opere di d’Alembert in biblioteche bolognesi Per avere una idea della influenza dell’opera di d’Alembert nell’ambiente bolognese, abbiamo esaminato i cataloghi delle biblioteche più importanti che a Bologna raccolgono i fondi antichi: la Biblioteca Universitaria (BUB) e la Biblioteca dell’Archiginnasio (BAB). Non si tratta di un esame esaustivo, poiché bisognerebbe indicare l’anno di acquisizione, tuttavia dal panorama generale si possono dedurre ragionevolmente alcune conclusioni. Qui di seguito diamo l’elenco delle opere di d’Alembert possedute, tra quelle stampate prima del 1805. – Traité de dynamique, in quattro esemplari: la 1º edizione del 1743 (BUB), due della seconda edizione riveduta del 1758 (BUB, BAB), e uno del 1796 (BAB). 1 P. Frisi, De rotatione corporum, in Commentarii, VI, 1783, pp. 45-70 (p. 51). La memoria di Frisi è riassunta da L. Neri in Anatomie Accademiche, cit., I, pp. 388-389. 2 Giulio Mozzi aveva stampato a Napoli nel 1763 un libro sulla rotazione dei corpi: Discorso matematico sopra il rotamento momentaneo dei corpi del cavaliere Giulio Mozzi, In Napoli, nella stamperia di Donato Campo, 1763. Il conte Ignazio Radicati di Cocconato raccolse le sue memorie in Memoires analytiques, Milano, Giuseppe Galeazzi, 1776.
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Vi è contenuto il famoso principio di riduzione della dinamica alla statica, che stabilisce l’equilibrio ad ogni istante tra le forze che sollecitano ogni punto di un sistema materiale e le forze d’inerzia. – Traité de l’équilibre et du mouvement des fluides, la prima edizione del 1744 (BUB) e la seconda del 1770, riveduta da d’Alembert (BAB).
Il principio di d’Alembert è applicato alla teoria dell’equilibrio e del movimento dei fluidi, sono ricavate le equazioni alle derivate parziali che ne stanno alla base. – Réflexions sur la cause générale des vents, la prima edizione del 1746 (BUB).
Il calcolo differenziale e la teoria precedente sono applicati alla teoria generale dei venti; fu premiata dalla Accademia di Berlino. – Recherches sur la précession des équinoxes, del 1749, due esemplari (BAB, BUB).
Il problema della precessione degli equinozi è risolto tramite una nuova applicazione del principio della dinamica di d’Alembert. Newton aveva correttamente attribuito il fenomeno alla attrazione del sole e della luna sullo sferoide eterogeneo e appiattito della Terra, senza poterlo calcolare esattamente. D’Alembert dimostra la teoria della precessione degli equinozi e contemporaneamente quella della nutazione la cui scoperta era stata resa pubblica da Bradley nel 1748. – Encyclopédie, vari esemplari, nelle edizioni di Lucca (1758-1776) e di Livorno (1770-1778). Doppia pubblicazione italiana della enciclopedia (caso unico in Europa). – Essai d’une nouvelle théorie de la résistance des fluides, due esemplari della prima edizione del 1752 (BUB, BAB).
Il trattato è basato sul principio che ogni elemento della massa fluida, pur cambiando di forma, ad ogni istante conserva lo stesso volume. – Elémens de musique théorique et pratique suivant les principes de M. Rameau, tre esemplari: la 1a edizione del 1752 (BUB) e altri del 1759 e 1766 (BAB). – Mélanges de littérature, d’histoire et de philosophie, vari esemplari in edizioni del 1764, 1767, 1773 (BAB) e 1814 (BUB). – Recherches sur différents points importants du système du monde, due esemplari della questa prima edizione del 1754-1756 (BUB, BAB) (tre tomi, i primi due del 1754, il terzo del 1756).
Viene qui data una soluzione perfezionata del problema delle perturbazioni dei pianeti; contemporaneamente a Clairaut e ad Eulero, ma con metodi differenti, dopo aver trovato che il movimento dell’apogeo della Luna è metà più lento di quanto stabilito dagli astronomi, calcolando un termine in più viene riconosciuta la conformità approssimativa dei risultati del calcolo con le osservazioni.
d’alembert e l ’istituto di bologna 349 Questo è l’ultimo grande trattato matematico; d’Alembert pubblicò poi un gran numero di memorie, che vanno dalla applicazione dei suoi principi al problema della librazione della luna, a quello della precessione degli equinozi e della nutazione dell’asse terrestre (nell’ipotesi della diversità dei meridiani), alle leggi generali del movimento di rotazione, alle oscillazioni di un corpo immerso in un fluido; vi si trovano le sue discussioni con Eulero sui logaritmi dei numeri negativi, di cui sosteneva a torto la realtà, le sue discussioni con Eulero e Lagrange sulla discontinuità delle funzioni arbitrarie, i suoi lavori sulle lenti acromatiche, sulle curve tautocrone, sul calcolo delle probabilità e l’applicazione di questo alla vaccinazione, le sue obiezioni non corrette al problema di San Pietroburgo proposto da Lagrange, i suoi tentativi infruttuosi di risolvere il problema dell’attrazione degli ellissoidi. Le riviste principali su cui d’Alembert pubblicò le sue memorie sono pure presenti nelle biblioteche bolognesi: – «Histoire (et mémoires) de l’Académie des Sciences de Berlin», BUB, BAB. – «Histoire de l’Académie des Science de Paris», BUB. – «Mémoires de l’Académie des Sciences de Paris», BUB. – «Mémoires de l’Académie des Sciences de Turin», BUB, BAB.
Si trovano anche alcune annate della «Correspondance littéraire» (dove d’Alembert pubblicava note letterarie), e del «Journal des savants». Inoltre d’Alembert pubblicò a varie riprese raccolte di opuscoli su temi diversi: – Opuscules mathématiques ou Mémoires sur différents sujets de géometrie, de mécanique, d’optique, d’astronomie etc., 1761: voll. I-II, 1764: vol. III, 1768: voll. IV-V, 1773: vol. VI, 1780: voll. VII-VII (il vol. IX del 1781-1783 restò manoscritto). I sette volumi degli Opuscules Mathématique si trovano in due copie: alla BUB (con acquisizione in data 1812) e alla BAB.
Segnaliamo infine anche la presenza delle sue opere polemiche, storiche e letterarie: – Sur la destruction des Jesuites en France, par un auteur désintéressé, 1765, due esemplari (BAB). – Histoire des membres de l’Académie française depuis 1700 jusqu’en 1771, 1787, due esemplari (BAB). – Oeuvres posthumes, 1799 (BUB). – Oeuvres philosophiques, historiques et littéraires, 1805, 18 voll., 2 esemplari (BUB, BAB).
Possiamo concludere che la stragrande maggioranza delle opere di d’Alembert era disponibile nella seconda metà del Settecento agli studiosi e agli accademici bolognesi.
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maria teresa borgato 5. Notizia di Sebastiano Canterzani (1734-1819)
Sebastiano Canterzani è personaggio ben noto nel panorama scientifico del Settecento bolognese: matematico ed astronomo, allievo di Francesco Maria Zanotti, e poi collaboratore di Eustachio Zanotti alla Specola, gli succedette nel 1760 sulla lettura di astronomia dell’Università. Nel 1766 passò sulla lettura di ottica e nel 1786 su quella di matematica universale che tenne fino al 1800. Fu vice segretario dell’Istituto dal 1760 e quindi dal 1766 segretario perpetuo, succedendo a Francesco Maria Zanotti quando quest’ultimo divenne presidente. Da questa carica, che tenne per oltre trent’anni, gli derivava anche l’obbligo di tenersi al corrente degli avanzamenti della ricerca scientifica mantenendo un rapporto epistolare con i segretari e gli scienziati membri delle altre accademie, come l’Académie des Sciences, l’Académie des Sciences et Belles Lettres de Berlin, la Società dei XL; tra i suoi corrispondenti ricordiamo Antonio Maria Lorgna, Vincenzo e Giordano Riccati, Gianfrancesco Malfatti.1 Per il passato di astronomo conservava alcuni collegamenti della rete che nel Settecento si estendeva tra gli osservatori europei per la trasmissione delle informazioni: in particolare con Lalande e l’Observatoire di Parigi. Alcuni carteggi di Canterzani con Gianfrancesco Malfatti (BUB, Ms 2096 V b. 2), Teodoro Bonati, Giambattista Guglielmini sono stati pubblicati.2 Altri, pure rilevanti, sono inediti (come quelli con A. M. Lorgna, con Paolo Frisi o con l’astronomo Giuseppe Calandrelli). Nel 1802 divenne presidente dell’Istituto Nazionale Italiano, la nuova istituzione con sede a Bologna in cui si era evoluto l’istituto marsiliano, 1 I manoscritti e le carte Canterzani sono in massima parte alla Biblioteca Universitaria di Bologna, dove ben 55 capsule comprendono non solo le sue memorie accademiche, i testi delle lezioni, parte della sua corrispondenza scientifica, ma anche i documenti relativi all’Istituto di Bologna, memorie di altri accademici, sonetti, carte appartenute al suo predecessore Francesco Maria Zanottti, carte relative all’Istituto Nazionale, all’Istituto pontificio, all’Enciclopedia Italiana… Il Fondo Canterzani della BUB è descritto in: Inventari dei manoscritti delle biblioteche d’Italia. Vol. 27. Bologna, a cura di A. Sorbelli, Firenze, Olschki, 1923 (ristampa 1967), pp. 124-167. Sempre alla BUB, il Ms 2096 (buste I-VII) contiene altre centinaia di lettere di vari corrispondenti a Canterzani, e minute di risposta. 2 Il Carteggio Gianfrancesco Malfatti Sebastiano Canterzani, a cura di L. Miani e I. Ventura, con la collaborazione di S. Giuntini, «Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche», 3, 1983, n. 2, pp. 3198. L. Miani, I. Ventura, Lettere inedite di Gianfrancesco Malfatti conservate presso la Biblioteca Universitaria di Bologna, in Gianfrancesco Malfatti nella cultura del suo tempo, Università degli Studi di Ferrara, Bologna, Monograf, 1982, pp. 265-299. T. Bonati, Carteggio scientifico. Lorgna, Canterzani, Frisi, Saladini, Calandrelli, Venturi, a cura di M. T. Borgato, A. Fiocca, L. Pepe, Firenze, Olschki, 1992. G. B. Guglielmini, Carteggio De diurno Terrae motu: Canterzani, Isolani, Matteucci, Bonfioli Malvezzi, Caldani, Calandrelli, Bonati, a cura di M. T. Borgato e A. Fiocca, Firenze, Olschki, 1994.
d’alembert e l ’istituto di bologna 351 finalizzata alla guida della ricerca e della istruzione della Repubblica Italiana. Dopo la Restaurazione, e il ritorno di Bologna allo stato della Chiesa, lo ritroviamo nel 1817 presidente dell’Istituto Pontificio. La cultura matematica di Canterzani fu molto più estesa di quello che appare dalle sue opere a stampa: queste hanno portato spesso ad un giudizio riduttivo sulla sua attività scientifica.1 Scorrendo ad esempio l’epistolario con Gianfrancesco Malfatti (1737-1807), allora professore all’Università di Ferrara, apprendiamo che Canterzani aveva studiato il calcolo delle variazioni sulle memorie di Eulero sui Commentarii dell’Accademia di S. Pietroburgo e di Lagrange sul II volume dei Mémoires di Torino (13 agosto 1799), inoltre conosceva il trattato di Eulero: Methodus inveniendi lineas curvas maximi minimive proprietate gaudentes (Losanna e Ginevra, 1744). Dalla medesima corrispondenza appare che Canterzani si interessava del ‘paradosso’: ei = – 1, e di questioni complesse di calcolo delle probabilità legate all’opera di Daniel Barnoulli. Malfatti non possedeva le Institutiones calculi integralis di Eulero (S. Pietroburgo, 3 voll., 1768-1770) e Canterzani gliene compendiava parti riguardanti l’integrazione di particolari espressioni irrazionali (11 dicembre 1784). Canterzani metteva Malfatti al corrente (27 settembre 1775) di una nuova pubblicazione annunciata del marchese di Condorcet (Du calcul integral, Parigi, 1765) e di altri lavori a stampa di Dionis de Séjour e Jacques Cousin. Altri argomenti di discussione sono gli sviluppi in serie e i numeri di Bernoulli (12 febbraio 1788). Diverse lettere riguardano d’Alembert: – sui logaritmi dei numeri negativi (9 marzo 1778, 22 febbraio 1779, 2 settembre 1783); – sui principi della meccanica (29 giugno 1779, 12 settembre 1799); – sulle radici dei numeri complessi (6 ottobre 1787); – su critiche immotivate di Gregorio Fontana a d’Alembert (10 ottobre 1790); Tra i manoscritti di Canterzani alla Biblioteca Universitaria di Bologna (BUB, ms 4140) si trovano numerose annotazioni alla Dynamiquedi d’Alembert, con analisi, calcoli, complementi, il tutto per un centinaio di fogli, non rilegati, di vario formato (sul centro di gravità, il centro di attrazione, la catenaria, il moto di un corpo soggetto ad una forza centrale ecc.). Altre testimonianze della vasta cultura scientifica di Canterzani ci vengono dalle memorie lette all’Accademia delle Scienze di Bologna e poi all’Istituto Nazionale. Citiamo solo quelle del periodo napoleonico:2 1 Si veda M. Chiassi, Canterzani Sebastiano, in Dizionario Scientifico degli Italiani, ad vocem. 2 L. Pepe, Istituti nazionali, accademie e società scientifiche nell’Europa di Napoleone, Firenze, Olschki, 2005, pp. 137-144, 222-224.
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1 dicembre 1796: Sopra il centro di gravità del triangolo sferico; 1 dicembre 1796: Sopra un problema proposto dal Sig. Krauss; 9 novembre 1797: Intorno ai principi della meccanica; 29 novembre 1798: Sopra le equazioni lineari; 30 giugno 1800: Problema delle pressioni; 29 gennaio 1801: Sopra una formula che può aver uso nella navigazione; 18 febbraio 1802: Sopra il moto de’ corpi lanciati in alto; 29 aprile 1802: Sopra alcuni teoremi geometrici; 9 dicembre 1802: De’ numeri bernulliani; 14 febbraio 1804: Di alcuni accidenti del calcolo creduti paradossi; 10 dicembre 1812: Sopra i reciproci delle formule irrazionali; 28 aprile 1813: Della risoluzione delle equazioni.
Tra le dissertazioni accademiche tuttora conservate all’Archivio dell’Accademia delle Scienze, si trova il manoscritto della memoria letta da Canterzani il 18 febbraio 1802 intitolata: Sopra il Moto de’ corpi lanciati in alto.1 Un’altra copia della stessa memoria, si trova tra le carte Canterzani della Biblioteca Universitaria di Bologna, con un titolo leggermente diverso: Della Caduta dei corpi lanciati in lato considerata in riguardo al movimento della Terra.2 Entrambe le copie sono autografe, la seconda è completa di figure. La seconda copia, sicuramente posteriore, è provvista di due figure ben disegnate e doveva essere stampata nella raccolta degli Opuscoli Scientifici, pubblicazione periodica di saggi accademici che dopo la Restaurazione svolse, rispetto alla Pontificia Università di Bologna, il ruolo che avevano avuto i Commentarii e poi le Memorie dell’Istituto Italiano per lo Studio e l’Istituto di Bologna.3 Nel retro dell’ultima carta infatti si legge: «Questa dissertazione fu scelta per inserirla nei nuovi Opuscoli Scientifici di Bologna, ma non ebbe affatto la pubblicazione.» Da segnalare che anche Petronio Matteucci, astronomo dell’Istituto delle scienze dal 1782, lesse in Accademia una dissertazione sul medesi-
1 Accademia delle Scienze di Bologna, Archivio Antica Accademia (d’ora in poi AASB), Tit. IV, Sez. I, Man.-Mem. Acc. Anni 1794-1804, 8 cc. nn. 2 BUB, Ms 2006 (4137) n. 9, VI (Manoscritti Canterzani, caps. II). Comprende: cc. 9 non numerate, un foglio di guardia con il titolo e una pagina con due figure. 3 Lo stampatore era Annesio Nobili, il comitato editoriale era formato da accademici bolognesi (Atti, Bertoloni, Catturegli, Coli, Contri, Gandolfi, Medici, Mondini, Orioli, Ranzani, Rodati, Salvigni, Termanini, Tommasini, Venturoli). Il primo volume della raccolta vide la luce nel 1817, seguito da altri tre nel 1818, 1819 e 1823, e quindi nel 1824-1825 dalla Nuova collezione d’opuscoli scientifici (editi da Giambattista Bruni, Francesco Cardinali, Francesco Orioli, Francesco Tognetti, Raffaele Tognetti, per la tipografia Marsigli).
d’alembert e l ’istituto di bologna 353 mo argomento il 7 gennaio 1773: Sopra il moto dei gravi cacciati all’insù, di cui però non abbiamo ritrovato il testo.1 6. Della caduta dei corpi lanciati in alto La memoria inedita di Canterzani prende lo spunto da una dissertazione presentata da d’Alembert all’Académie des Sciences di Parigi, e inserita nell’Histoire de l’Académie per l’anno 1771.2 D’Alembert riprendeva polemicamente l’antico argomento degli oppositori del sistema copernicano contro il moto della Terra, per cui nell’ipotesi della rotazione verso est, un proiettile lanciato verticalmente sarebbe dovuto ricadere con uno spostamento occidentale, uguale al tratto percorso verso est dal punto di lancio sulla superficie terrestre nel medesimo tempo. Interpretava anche i risultati degli esperimenti che Mersenne e Petit avevano condotto più di un secolo prima (1734-1736), sparando verticalmente proiettili con un archibugio. I proiettili non erano stati ritrovati, e questo aveva dato origine a delle ipotesi sulla natura della gravità, per cui da alcuni si riteneva possibile che i proiettili non fossero ricaduti affatto. La curiosa esperienza era ripresa in una operetta di Varignon,3 pure disponibile a Bologna. D’Alembert trovava che il corpo lanciato verticalmente sarebbe ricaduto sensibilmente più ad occidente del cannone, ma non quanto pretendevano gli anticopernicani. Poiché infatti la gravità che attira il corpo agisce in ragione inversa del quadrato della distanza, il corpo deve descrivere una conica ed in particolare una ellisse, dato il rapporto tra la velocità di lancio e l’intensità della forza che lo attrae. Inoltre d’Alembert affermava che l’area ellittica descritta dal corpo durante il lancio (all’equatore) era equivalente al settore circolare descritto dal punto di lancio nel medesimo tempo. Confrontando queste aree, ne deduceva che il corpo sarebbe caduto ad occidente, e per una velocità di lancio all’equatore di 900 piedi al secondo, d’Alembert prevedeva una deviazione occidentale di 71 piedi (23 metri circa). Concludeva che Mersenne non aveva ben cercato i proiettili, verosimilmente conficcati e nascosti nel terreno, o che li aveva cercati troppo vicino al punto di lancio. D’Alembert non dimostrava le sue affermazioni ma successivamente sviluppava in dettaglio i suoi calcoli nel tomo VII degli Opuscules mathé1 Cfr. D. Piani, Catalogo dei Lavori dell’Antica Accademia, raccolto sotto i singoli autori, 1852, ms (AASB). 2 J. d’Alembert, Réflexions sur le mouvement des corps pesans, en ayant égard à la rotation de la Terre autour de son axe, in Histoire de l’Académie Royale des Sciences, an. 1771 (1774), pp. 10-20. 3 P. Varignon, Nouvelles conjectures sur la pesanteur, Paris, Boudot, 1690.
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matiques (1780).1 Il primo problema affrontato riguarda i tiri verticali all’equatore e si basa sulle seguenti considerazioni. Sia AaE l’equatore, C il centro della Terra, G la velocità di rotazione della Terra, supposta sferica. Sia lanciato un grave perpendicolarmente da A verso F, con una velocità Á nel piano dell’equatore. Allora: 1. il corpo riceve orizzontalmente una velocità uguale a G dalla mano o dallo strumento che lo lancia; 2. la risultante di queste due velocità è tangente alla traiettoria del moto, che è una ellisse con il fuoco in C; 3. il tempo impiegato dal corpo per descrivere l’arco ellittico ABa, sta al tempo impiegato dal punto A della terra a descrivere l’arco circolare Aa, come il settore ellittico ABaC al settore circolare ACa; H F
B D a
d
A
·
C
h
E
Ora è evidente che ABaC > ACa e dunque quando il grave sarà ricaduto in a, il punto A della Terra si troverà in ·, in modo che risulti ABaC = AC·, pertanto il grave ricadrà in un punto a più occidentale del punto di lancio, che è arrivato in ·. Si tratta di trovare la differenza tra gli archi Aa e A·, che fornisce la deviazione occidentale o deviazione in longitudine. 1 J. d’Alembert, Opuscules mathématiques, Paris, Jombert, 1780, vol. VII, pp. 314-371.
d’alembert e l ’istituto di bologna 355 D’Alembert passa poi ad occuparsi di lanci obliqui e determina l’angolo secondo il quale dovrebbe essere orientato il tiro, affinché il proiettile ricadesse nello stesso punto da cui era partito, e l’intensità della velocità che, nel caso di tiri zenitali, produrrebbe il definitivo abbandono della Terra. Passa poi al problema di tiri verticali ad una latitudine qualunque: in questo caso si ha anche una deviazione in latitudine, oltre che in longitudine, dovuta al fatto che il moto avviene nel piano del cerchio massimo, che tocca il parallelo nel punto di lancio o di partenza, e che l’ellisse descritta dalla traiettoria si trova nel piano di questo cerchio massimo. Anche in questo caso, d’Alembert determina l’angolo, che la direzione di tiro deve fare con la tangente al parallelo, affinché il proiettile ritorni al punto di partenza. Dopo aver determinato le formule generali, nel caso di piccole velocità e spostamenti trascurabili rispetto al raggio terrestre, d’Alembert ricava il valore della deviazione approssimando l’arco di deviazione con un segmento e la traiettoria ellittica con una parabola, trova così che all’equatore un lancio verticale con velocità 900 pied/sec avrebbe prodotto una deviazione di 71 pieds verso ovest. Le misure trovate da d’Alembert concordano con quelle ricavabili dalla formula della deviazione occidentale data da Laplace nella Mécanique céleste.1 D’Alembert suppone Terra sferica, la resistenza dell’aria non è presa in considerazione. Il calcolo nel caso di tiri verticali nell’atmosfera è molto complesso e la deviazione occidentale potrebbe ridursi in certi casi, secondo i calcoli di Poisson, fino ad oltre un centesimo del suo valore nel vuoto.2 Come sosteneva Canterzani, nessun esemplare degli Opuscules Mathématique era presente a Bologna, e dunque Canterzani intendeva dimostrare a sua volta i risultati enunciati da d’Alembert nell’Histoire de l’Académie des Sciences, basandosi sul trattato delle forze centrali del suo maestro, e predecessore, Francesco Maria Zanotti,3 giacché: «assai giova 1 P. S. Laplace, Traité de mécanique céleste, t. IV, Paris, Courcier, 1805, pp. 304-305. 2 S. D. Poisson, Extrait de la première partie d’une mémoire sur les mouvements des projectiles dans l’air, en ayant égard à leur rotation et à l’influence du mouvement diurne de la Terre, «Comptes-rendus de l’Académie des Sciences», 5, 1837, pp. 660-667; Mémoire sur le mouvement des projectiles dans l’air, en ayant égard à la rotation de la Terre, «Journ. Ecole Polytechnique», 16, 1638, cah. 26, pp. 1-68 (cfr. pp. 41-44). B. Charbonnier, Etude de l’influence de la rotation de la Terre sur le mouvement des projectiles dans l’air, «Journ. Ecole Polytechnique», 2e série, cah. 26, 1908, pp. 87-197. 3 F. M. Zanotti, De viribus centralibus quibus corpora per sectiones conicas volvuntur, centro virium in foco manente, brevis ac facilis expositio in capita sex distributa. Opusculum eorum gratia, qui ad neutonianorum physicam introduci volunt, Bologna, Lelio Dalla Volpe, 1762. Si veda anche: De viribus centralibus, in Commentarii, V (1), 1767, pp. 184-208.
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che le stesse verità ci vengano non da un solo sotto una sola forma rappresentate, ma da diversi sotto forme diverse». La memoria di Canterzani fu presentata all’Accademia delle Scienze di Bologna nel 1802, ma era stata elaborata nelle sue linee essenziali da Canterzani undici anni prima, e comunicata a Teodoro Bonati in alcune lettere.1 Riportiamo la figura tracciata nella lettera, che conserva nella memoria gli stessi simboli.
Canterzani deduce che all’equatore l’area ellittica descritta dal proiettile è uguale all’area circolare descritta dal punto di lancio nel tempo della caduta, come caso particolare di una proposizione più generale, valida per una latitudine qualunque, ossia che: Sieno due corpi, l’uno che si muova per l’ellisse AIGQA attratto dal foco C nella ragion inversa duplicata delle distanze, l’altro che si muova per la periferia del circolo AG con quella parte di velocità competente al primo corpo nel punto A dell’ellisse, la qual parte è secondo la direzione della linea AD tangente del circolo nel punto stesso A. Dico che l’area ellittica descritta intorno al punto C dal primo corpo in un tempo qualsivoglia è eguale all’area circolare descritta intorno al medesimo punto C dal secondo corpo nello stesso tempo.2
Canterzani dimostra quindi che per un lancio verticale ad una latitudine Ê, l’area circolare descritta dal punto di lancio nel piano del parallelo sta all’area ellittica descritta dal corpo lanciato, nel piano diametrale, come il raggio del parallelo al raggio dell’equatore (uguale al raggio della Terra, che è supposta sferica), ossia che tale rapporto è uguale al coseno del1 T. Bonati, Carteggio, cit., pp. 142-145, 149-157.
2 T. Bonati, Carteggio, cit., p. 144.
d’alembert e l ’istituto di bologna 357 la latitudine. Ricava poi la formula della distanza, tra il punto di caduta e il punto di lancio, da cui si possono ricavare le due deviazioni, in longitudine e in latitudine. La memoria non contiene il calcolo dell’angolo di tiro, per far ritornare i proiettili al punto di partenza, né qualche esemplificazione del calcolo della deviazione. Troviamo però questi ultimi calcoli nelle lettere scritte a Bonati: per una velocità di 900 piedi al secondo all’equatore, Canterzani trovava allora un valore maggiore di quello fornito da d’Alembert: 78 piedi e 10 pollici. Ipotizzando poi che d’Alembert avesse approssimato la traiettoria ellittica con una parabola, rifaceva il calcolo trovando una deviazione ancora maggiore: 79 piedi: «Ma forse d’Alembert suppone il raggio della Terra più piccolo di quello che ho preso io».1 Una curiosità: a distanza di undici anni, Canterzani corregge il valore dello spazio percorso da un grave in caduta libera nel primo secondo, 15 piedi, a piedi 15,1. Questo valore rappresenta la metà della accelerazione di gravità, che dunque aveva nel frattempo raggiunto una determinazione più precisa (1 piede parigino = 32,484 cm, 15 piedi = 487,26; 15,1 piedi = 15 piedi e 1 pollice = (32,484) × 15 + 2,707 = 487,26 + 2,707 = 489,967 cm).
1 Ibidem, p. 156.
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7. La teoria della deviazione e l ’ esperimento di bologna La memoria di d’Alembert ispirò un giovane allievo (aggiunto) di Canterzani alla Accademia delle Scienze, Giovanni Battista Guglielmini,1 a proporre un esperimento per dimostrare il moto della Terra, basato sulla misura della deviazione, rispetto alla verticale, di un grave lasciato cadere da una certa altezza. La deviazione di un grave in caduta, e quella di un grave lanciato dalla superficie terrestre, sono due aspetti del medesimo fenomeno. Mentre però il proiettile subisce una deviazione a ovest del punto di lancio, il grave lasciato cadere manifesta una deviazione a est, per effetto della rotazione terreste. L’esperimento di Guglielmini è molto noto: si trattò del primo esperimento per dimostrare la rotazione della terra condotto con metodi moderni.2 La memoria di d’Alembert fu il punto di partenza di questa importante ricerca che proprio nell’Istituto di Bologna ebbe il suo centro. Leggendo la memoria di d’Alembert sull’Histoire de l’Académie e l’opuscolo di Varignon che vi era richiamato, il giovane accademico Giambattista Guglielmini, che dell’astronomia fisica aveva fatto il suo principale campo di interesse (sulla nutazione, da poco scoperta da Bradley, e sulla precessione degli equinozi aveva presentato due dissertazioni accademiche), propose un esperimento per misurare la deviazione orientale dei gravi e quindi dimostrare il moto diurno della Terra. D’Alembert nell’Encyclopédie, alla voce Terre, aveva discusso le prove a favore e contro il moto della Terra, anche se definiva quest’ultime debo1 Su G. B. Guglielmini si rimanda al volume di recente pubblicazione: M. T. Borgato, Giambattista Guglielmini. Una biografia scientifica, Bologna, Clueb, 2007, ed inoltre: M. T. Borgato, L. Pepe, Giambattista Guglielmini, la biblioteca di uno scienziato nell’Italia napoleonica, Ferrara, Corbo, 1999. 2 La bibliografia sugli esperimenti di deviazione dei gravi è molto estesa. Ci limitiamo a citare i seguenti: A. Koyré, A Documentary History of the Problem of Fall from Kepler to Newton, «Transactions of the American Mathematical Society», 45, p. 4, 1955, pp. 329-395. D. T. Whiteside, Newton’s Early Thoughts on Planetary Motion: a Fresh Look, «The British Journal for the History of Science», 2, p. 2, n. 6, 1964, pp. 117-137. J. C. Hagen, La rotation de la Terre. Ses preuves mécaniques anciennes et nouvelles, Città del Vaticano, Tipografia Poliglotta Vaticana, 1911-1912. P. Gilbert, Les preuves mécanique de la rotation de la terre, «Bulletin des Sciences Mathématiques et astronomiques», II, 6, 1882, pp. 189-223. P. Acloque, Histoire des expériences pour la mise en évidence du mouvement de la Terre, «Cahiers d’Histoire et de Philosophie des Sciences», 4, 1982, pp, 18-22, G. Tabarroni, Giovanni Battista Guglielmini e la prima verifica sperimentale della rotazione terrestre (1790), «Angelicum», 60, 1983, pp. 462-486, A. Braccesi, Un dimenticato experimentum crucis: la prova fisica della rotazione terrestre ottenuta nel 1791 da G. B. Guglielmini, «Giornale di astronomia», 9, n. 4, 1983, pp. 319-332. J. Gapaillard, Le mouvement de la Terre. La détection de sa rotation par la chute des corps, «Cahiers d’Histoire et de Philosophie des Sciences», 25, 1988.
d’alembert e l ’istituto di bologna 359 li e inconsistenti. La questione copernicana non era ancora chiusa, nella generale opinione (per la Chiesa la controversia si sarebbe chiusa nel 1838), e si ricercava dunque una dimostrazione fisica del moto di rotazione, attraverso un esperimento comprensibile anche ai profani. Questo poteva essere realizzato solo attraverso gli effetti del moto sui corpi terrestri. Probabilmente proprio la stesura dell’articolo Terre suggerì a d’Alembert di riprendere l’esperimento di Mersenne con l’intento di chiarirne le basi teoriche. Guglielmini propose di misurare la deviazione subita da un corpo in caduta, rispetto alla verticale: aumentando infatti la distanza dall’asse di rotazione, aumenta la velocità e dunque un corpo che cada da una certa altezza, come quella di una torre, un campanile o la cupola di una chiesa, arriva al suolo in anticipo rispetto al piede della verticale del punto di partenza. Si manifesta dunque una deviazione a est, variabile con la latitudine e che risulta massima all’equatore, nulla ai poli (in prima approssimazione la Terra venne supposta sferica). Guglielmini era stato allievo di Sebastiano Canterzani, a sua volta allievo di Francesco Maria Zanotti, e dunque dobbiamo riconoscere in questa genealogia scientifica il trasmettersi di temi, come il moto di un corpo soggetto ad una forza centrale, generalmente legati alla astronomia fisica. Ma fu la memoria di d’Alembert ad ispirare la ricerca di Guglielmini e il punto di partenza del grande progetto che fu realizzato nella Torre degli Asinelli di Bologna, come risulta evidente dalla corrispondenza di Guglielmini, Canterzani e Bonati su questo argomento. È vero che questo stesso esperimento era stato proposta da Newton a Hooke, alcuni anni prima della redazione dei Principia, e che Hooke aveva fatto alcuni tentativi infruttuosi (per ottenere una deviazione sensibile occorrono centinaia di metri di caduta, e molte precauzioni sul metodo di sgancio per evitare alterazioni prodotte da cause esterne) ma questa corrispondenza era del tutto ignota a Guglielmini, e anche a Lalande, che nell’Histoire dell’Astronomie riferisce notizie errate su Newton. Il carteggio tra Newton e Hooke sarà pubblicato solo alla fine dell’Ottocento. Guglielmini, invece, si ispirò agli esperimenti con tiri verticali suggeriti da Descartes e realizzati da Mersenne e Petit negli anni 1634-1636: la corrispondenza di Descartes e Mersenne era stata più volte pubblicata nel secolo XVII, e d’Alembert faceva riferimento proprio a questa curiosa esperienza, che aveva varcato i limiti dell’ambiente scientifico entrando a far parte della cultura popolare. L’operetta di Varignon, citata da d’Alembert, riprendeva polemicamente la questione, per introdurre una propria teoria della gravità. In ef-
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fetti l’esperienza di Mersenne non sarebbe dovuta servire a misurare una deviazione o dimostrare il moto diurno della Terra, ma ad indagare la natura della gravità, in quanto in alcuni casi di tiri verticali si era verificata la sparizione dei proiettili. Si ipotizzava dunque che i proiettili si fossero liquefatti, o che vincendo la gravità si fossero allontanati definitivamente dalla superficie terrestre, oppure rimasti sospesi ad una distanza da essa. Quest’ultima possibilità aveva colpito particolarmente l’immaginazione popolare, come si vede nell’opera burlesca di Samuel Butler, che descrive gli scienziati guardare all’insù per scorgere quei proiettili sospesi a tempo indeterminato sopra la testa come il corpo del Profeta.1 L’esperimento di Guglielmini, inizialmente proposto a Roma dove Guglielmini si era trasferito a seguito del cardinale bolognese Ignazio Boncompagni, divenuto Segretario di stato, doveva svolgersi sotto la cupola di S. Pietro;2 per difficoltà politiche, ma probabilmente anche tecniche, fu realizzato a Bologna negli anni 1790-1792. A Bologna c’era una consolidata tradizione nella realizzazione di pendoli lunghissimi per la costruzione delle grandi meridiane, come quella di S. Petronio, inoltre Guglielmini poteva contare sull’appoggio dell’Accademia delle Scienze ed in particolare dei suoi membri politicamente più influenti, come Alamanno Isolani. L’esperimento fu finanziato dall’Assunteria di Studio di Bologna. La Torre degli Asinelli fu il luogo scelto per la sua grande altezza e alcuni lavori di adattamento furono eseguiti dall’Assunteria di Munitione. Alcuni esperimenti preparatori furono condotti nella torre della Specola, più bassa ma chiusa e protetta dalle influenze esterne e dai movimenti d’aria. All’esperimento collaborarono diversi accademici, astronomi e universitari di Bologna: Petronio Colliva, Petronio Matteucci, Alamannno Isolani, Alfonso Bonfioli Malvezzi, Francesco Sacchetti, Luigi Zanotti, Luigi Tagliavini. Sulla teoria della deviazione intervennero Sebastiano Canterzani e Girolamo Saladini, che scrisse sulla deviazione meridionale tre memorie. Alla deviazione orientale, e alla considerazione della resistenza dell’aria, si affiancò infatti il problema della determinazione della deviazione meridionale e quindi della deviazione del filo a piombo che rende quest’ultima inosservabile. La sperimentazione, come pure la discussione teorica, si allargò ad altre città, coinvolgendo l’astronomo romano Giuseppe Calandrelli, il matematico ferrarese Teodoro Bonati, il matematico di Bergamo Giovanni 1 S. Butler, Hudibras (1a ed. 1663-78), canto III della parte II. 2 G. B. Guglielmini, Riflessioni sopra un nuovo esperimento in prova del diurno moto della Terra, Roma, 1789. Idem, De diurno Terrae motu, Bologna, 1792.
d’alembert e l ’istituto di bologna 361 Antonio Tadini; altre sperimentazioni furono condotte a Torino e Novara da Felix Saint Martin e Ignazio Michelotti dell’Accademia delle Scienze di Torino, a Bergamo da Lorenzo Mascheroni e Tadini. Lalande, corrispondente dell’Accademia delle Scienze di Bologna, ne diede notizia a Laplace; tramite le note di Lalande ne ebbero notizia anche Lichtenberg, e quindi Benzenberg, che a sua volta coinvolse Olbers e Gauss. Benzenberg sperimentò nella chiesa di S. Michele ad Amburgo, con una tecnica simile a quella di Guglielmini.1 Laplace e Gauss diedero quasi contemporaneamente attorno al 180305 le rispettive teorie della deviazione dei gravi.2 Esperimenti sulla deviazione dei gravi sarebbero continuati prima della ideazione dell’esperienza del pendolo di Foucault e anche dopo, fino a quelli ben noti di Hall del 1902, e raffinamenti della teoria della deviazione ancora negli anni 1905-13.3 1 J. F. Benzenberg, Versüche über das Gesetz des Falls, über den Widerstand der Luft und über die Umdrehung der Erde, nebst der Geschichte aller früheren Versüche von Galiläi bis auf Guglielmini, Dortmund, Mallinckrodt, 1804. 2 P. S. Laplace, Sur le mouvement d’un corps qui tombe d’une grande hauteur, «Bulletin de la Societé Philomatique», vol. III, 1803, pp. 109-115 (anche in: Traité de Mécanique céleste, Paris, Courcier, 1805, tomo IV, pp. 294-305). La teoria di Gauss fu inserita nel libro di Benzenberg, op. cit., pp. 363-371, e postuma in C. Gauss, Werke, Göttingen, 1863-1929, vol V, pp. 495-503: Fundamentalgleichungen für die Bewegung schwerer Körper auf der rotirenden Erde. 3 Sui dettagli dell’epica impresa compiuta da Guglielmini, e sugli esprimenti analoghi condotti nello stesso periodo, si rimanda a: M. T. Borgato, La prova fisica della rotazione della Terra e l’esperimento di Guglielmini, in Copernico e la questione copernicana in Italia, a cura di L. Pepe, Firenze, Olschki, 1996, pp. 201-261. Sulla deviazione dei gravi tra Settecento e Ottocento si veda: M. T. Borgato, Tra teoria ed esperimenti: la deviazione dei gravi e la rotazione della Terra (1789-1805), «Bollettino della Unione Matematica Italiana», Sezione A, Serie VIII, 10/A (2007), pp. 497-536.
DELLA CADUTA DEI CORPI LANCIATI IN ALTO Sebastiano Canterzani A cura di Maria Teresa Borgato The Author presents an unedited memoir by Sebastiano Canterzani concerning vertical projectile motion. Taking his cue from a dissertation presented by d’Alembert at the Académie des Sciences in Paris, which had been inserted into the Histoire de l’Académie for the year 1771, Canterzani demonstrates that the ratio between the circular area described by the launch point in the plane of the parallel and the elliptic area described by the projectile in the
diametrical plane, is equal to the cosine of the latitude. The memoir came down to us in two copies, one of which is to be found in the Historical Archives of the Academy of Sciences in Bologna, and the other one is part of the Canterzani papers of the Bologna University Library, and is the second in order of time completed with figures since it was to be published in the collection of Opuscoli scientifici of Bologna.
<Sopra il Moto de’ corpi lanciati in alto / Ai 18 Febbraio 1802 / del Professore Sebastiano Canterzani> [Della caduta dei corpi lanciati in alto / considerata in riguardo al movimento / diurno della Terra/ Memoria / del Cav. Sebastano Canterzani]1 ’ingegnosissimo geometra Giovanni d’Alembert in un suo Discorso inserito nell’Istoria della Reale Accademia di Parigi per l’anno 1771 rileva varj paradossi nella teoria del moto de’ corpi lanciati in alto da qualsivoglia punto della superficie della terra. Li propone egli, come suol dirsi, accademicamente, cioè senza apparato di figure, e di calcoli, indicandone soltanto le ragioni generali, e sopprimendo tutto ciò, che potesse aver sentore di rigorosa dimostrazione, per non recar noja ai Per-
L
1 La memoria è pervenuta in due copie autografe: una si trova alla Accademia delle Scienze di Bologna, Tit. IV, Sez. I, Man.-Mem. Acc. Anni 1794-1804, e l’altra alla Biblioteca Universitaria di Bologna, Ms 2006 (4137) n. 9 (Manoscritti Canterzani caps. II). Quest’ultima è sicuramente la seconda in ordine di tempo, per l’inserimento nel testo di aggiunte che si trovano a margine nella prima e per l’inserimento di due note d’altra mano non presenti nella prima. Abbiamo evidenziato le parti tolte nella seconda versione in parentesi acute e le aggiunte in parentesi quadre. Qualche piccola differenza di punteggiatura non è stata evidenziata. Le figure sono presenti solo nella seconda versione. «Bollettino di storia delle scienze matematiche» · Vol. XXVIII · 2008 · Fasc. 2
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sonaggi, che per avventura furon presenti a quella sessione della Reale Accademia, in cui avea egli l’incarico di ragionare. Non è quindi da meravigliarsi, se qualche anche insigne Matematico credesse almeno a prima vista di ravvisare in alcuno di que’ paradossi contraddizione [alle] dottrine meccaniche, e si avvisasse di poter dimostrarne la falsità. Fu pertanto all’occasione di voler venire in chiaro della verità intorno alle controverse proposizioni, che mi accinsi a cercare la rigorosa dimostrazione del principale di que’ paradossi, sopra del quale precisamente cadeva allora il dubbio. La mancanza di tempo a poter comunque ultimare qualche ricerca, che fin dall’anno passato io avea per le mani, ha fatto che mi appigli al partito di trattenere questa sera l’Accademia colla sposizione di quelle cose, che mi venne fatto di trovare in conferma delle proposizioni del Matematico Francese. [Il ch. Autore recitò la presente Memoria in una adunanza dell’Accademia Benedettina ai 18 Febbrajo dell’anno 1802.] Non ignoro, che il Secretario dell’Accademia in quella medesima Storia dell’anno 1771 annunzia, che il d’Alembert si riservava a dare le dimostrazioni di que’ paradossi nel settimo volume de’ suoi Opuscoli Matematici. Ma questa notizia non saprebbe distogliermi dal mio divisamento di comunicarvi i miei, qualunque essi si sieno, risultati su di un tal particolare: perché [assai giova] che le stesse verità ci vengano non da un solo sotto una sola forma rappresentate, ma da diversi sotto forme diverse. E già sappiamo, che si acquistò lode il nostro Francesco M.a Zanotti, lume chiarissimo di quest’Accademia, per aver data alla velocità dei pianeti una forma da quella diversa, sotto cui conoscevasi. Sebbene io, da Voi, Colleghi Ornatissimi, non lode ardisco aspettare, ma solo compatimento. Dice dunque il Matematico Francese, che se da un punto della superficie della terra sarà lanciato un corpo verticalmente, e con una velocità, che abbia qualche sensibile proporzione alla velocità, con cui quel punto della superficie della terra gira intorno all’asse della medesima, il corpo non potrà ricadere nel punto stesso, donde è stato lanciato, ma cadrà in un altro, che sarà all’occidente di quello. Poiché, soggiunge egli, facil cosa è il dimostrare in primo luogo, che la gravità, la quale dirige il corpo verso la terra, agendo nella ragion inversa del quadrato della distanza, dee far descrivere al corpo un settore ellittico terminato dai due raggi della terra, che vanno l’uno al punto, donde il corpo parte, l’altro al punto, in cui egli ricade; e in secondo luogo, che il primo di questi due punti nel tempo, che il corpo spende a salire, e discendere, dee descrivere un settore circolare eguale a quel settore ellittico. Finge poscia che il corpo
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sia lanciato sotto l’equatore, già verticalmente, e con la velocità di 900 piedi per seconda, e asserisce che il corpo ricadrà lontano dal punto, da cui è stato lanciato, incirca 71 piedi all’occidente. Quindi conchiude colla proposizione, che egli chiama un paradosso, cioè che per fare che il corpo ricada precisamente nel punto, donde è partito, convien necessariamente lanciarlo non secondo la verticale, ma alquanto obliquamente con una velocità orizzontale diretta secondo la direzione del moto della terra. [Sur le mouvement des corps pesans, en ayant égard à la rotation de la Terre autour de son axe. D’Alembert, Opuscules mathématiques. Tom. VII. Mém. LV.] Or quanto alla prima delle due cose, che l’Autore ha detto esser facili da dimostrarsi, io anzi dico, che si trova già dimostrata in tutti gli autori, che han trattato delle forze centrali. Poiché insegnan essi, che se la velocità impressa trasversalmente a un corpo attratto da un centro di forze agenti nella ragion inversa duplicata delle distanze non sia tanta, che un corpo per acquisirla cadendo dalla quiete, e attratto da quel centro secondo la medesima legge di attrazione dovesse venire da un’altezza infinita, la trajettoria del corpo sarà sempre un ellisse. Per la qual cosa supponendo che sia AG (Fig. 1) la superficie della terra, C il suo centro, A il punto dove si lancia verticalmente il corpo, e la direzione del moto della terra intorno al proprio asse da A verso G, se condotta in A la tangente AD del parallelo, che passa per A, la quale sarà anche tangente del circolo massimo, che tocca in A il parallelo, la velocità impressa verticalmente al corpo, e che suppongo espressa per AV, sia tale, che composta colla velocità del punto A, la quale suppongo espressa per AD, somministri una velocità AB, ad acquistar la quale sia assignabile nella verticale CA prolungata l’altezza, da cui dovrebbe un corpo cadere fino in A attratto sempre dal centro C nella ragion inversa duplicata delle distanze, egli è certo, che un ellisse sarà la curva, che il corpo lanciato descriverà nel piano del circolo massimo, che tocca il parallelo in A, nel qual piano si trovano e la verticale AV, e le direzioni della gravità.
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E qui di passaggio giova notare, come il corpo verticalmente lanciato da A, qualora A non sia un punto dell’equatore, o un polo della terra, non dee né pur ricadere in un punto del parallelo, [sotto il quale] fu lanciato, ma dovrà ricaduto trovarsi in un parallelo più vicino all’equatore. Quindi è, che ove A non sia un polo, o un punto dell’equatore, a far sì che il corpo lanciato da esso in esso ricada, converrà lanciarlo non verticalmente, ma secondo una direzione, che non giaccia né pure nel piano del circolo massimo, che tocca il parallelo in A; cosa che l’Autore riguarda come un nuovo paradosso. Egli poi non accenna in qual piano debba essere questa direzione; e pare che non si possa dir altro, se non [se] che essendo le direzioni della gravità verticali, e perciò dovendo il corpo lanciato muoversi nel piano del circolo massimo, non potrà egli ricadere né meno in un punto del parallelo, che passa per A, se non gli si dia nel lanciarlo quella direzione, e quella velocità, che composta colla direzione, e colla velocità del punto A intorno all’asse della terra, porti il corpo nel piano di quel circolo massimo, che passando per A taglia nel parallelo di questo punto verso oriente un arco, la cui corda sia il doppio dell’ordinata condotta dal punto A all’asse dell’ellisse, che il corpo descriverà. Ma veniamo all’altra delle due cose, che nel [Discorso Alembertiano] sono messe nel numero delle facili a dimostrarsi, della quale per altro non ho veduta mai dimostrazione in verun autore, così che dovetti rintracciarmela io da me stesso. Si asserisce dunque, che scagliando verticalmente da un punto della superficie della terra un corpo con velocità, che abbia una sensibile proporzione alla velocità della terra intorno al proprio asse, all’area ellittica, che il corpo descrive salendo, e scendendo, dee sempre esser eguale il settore circolare, che intanto da quel punto della superficie terrestre si vien descrivendo. Qui veramente potrebbe restar dubbio, se l’autore intenda di parlare d’un corpo verticalmente lanciato da un punto qualsivoglia della superficie terrestre, o se voglia che intendasi d’un corpo lanciato verticalmente sotto l’equatore. Comunque sia, io dimostrerò una proposizione anche più generale, e che parmi che contener possa in se quella del Francese. Dimostrerò cioè, che essendo AIGQA (Fig. 2) un ellisse, un foco della quale sia C, ed AG un circolo, che abbia il centro in C, e tagli l’ellisse ne’ due punti A, G, se sieno due corpi, l’uno de’ quali si muova per l’ellisse attratto dal foco C nella ragion inversa duplicata delle distanze, l’altro si muova pel circolo AG con quella parte di velocità competente al primo corpo nel punto A dell’ellisse, la qual parte è secondo la direzione della tangente AD del circolo nel punto A, l’area ellittica descritta intorno al punto C dal primo corpo in un tempo qualsivoglia è eguale all’area circolare descritta intorno al medesimo punto C dal secondo corpo nello stesso tempo.
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A dimostrare questo teorema convienmi premettere il seguente lemma. Posta l’ellisse, e posto il circolo, come ho or ora indicato, conducansi i due raggi vettori CA, CG, e la tangente AT dell’ellisse nel punto A. Cada su di questa tangente dal foco C la perpendicolare CT. Finalmente denoti W la velocità, che ha nel punto A il corpo, che attratto dal foco C nella raigion inversa duplicata delle distanze descrive l’ellisse. Dico che il tempo impiegato dal corpo a descriver l’area ellittica CAIGC è = 2·areaCAIGC. Imperocché sia K il centro dell’ellisse, KH il semiasse W·CT minore. Essendo KH eguale alla perpendicolare condotta da C su la tangente dell’ellisse nel vertice H dell’asse minore, si sa che come la KH sta alla CT, così sta la velocità W del corpo in A alla velocità del medesimo in H. Quindi la velocità del corpo in H sarà W·CT. Si sa ancora, che se con KH questa velocità un corpo si movesse equabilmente su la periferia del circolo, che ha per raggio il semiasse maggiore KI dell’ellisse, sarebbe il tempo periodico di questo corpo eguale al tempo periodico del corpo, che si rivolge per l’ellisse. Donde siegue, che se si denoti per c la ragione r della circonferenza del circolo al raggio, e quindi c KI esprima la periferia r c di quel circolo, esprimerà r KI·KH il tempo periodico pel circolo, e insieme W·CT
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per l’ellisse, giacché nei moti equabili lo spazio diviso per la velocità somministra il tempo. Dovendo dunque, come è noto, esser le aree proporzionali ai tempi, sarà tutta l’area ellittica AIGQA all’area CAIGC, come il tempo periodico trovato al tempo per l’area stessa CAIGC. Sapendosi pertanto dalla Geometria, che tutta l’area ellittica AIGQA si esprime per c r KI·KH è chiaro che il tempo impiegato a descriver l’area CAIGC verrà 2 espresso per 2 · area CAIGC. W·CT Dopo questo lemma la dimostrazione del teorema di sopra enunziato riesce e facile, e breve. Perciocché essendo proporzionali ai tempi le aree descritte intorno al punto C tanto pel corpo, che si muove nell’ellisse AIGQA, quanto per l’altro, che si muove nel circolo AG, è evidente, che resta dimostrato il teorema, subito che il settore circolare descritto dal secondo corpo nel tempo, in cui dal primo si descrive una data area ellittica, si mostri essere a quest’area ellittica eguale. Ora il tempo, in cui dal primo corpo si descrive l’area ellittica CAIGC, si è trovato nel precedente lemma = 2 · area CAIGC. Il che posto essendo come AC a CT, così la W·CT velocità W del primo corpo nel punto A dell’ellisse, per cui egli si muove, a quella parte di essa, che è secondo la tangente AD del circolo AG, colla qual parte si vuole che il secondo corpo si muova per questo circolo, si avrà per espressione di questa parte di velocità W·CT: e però dividendo AC per questa velocità la periferia c AC del circolo medesimo AG si otterrà il r c tempo periodico dello stesso secondo corpo, che sarà r AC2 . Se dunque W·CT c in questo tempo si fa dal secondo corpo tutta l’area circolare r AC2 , è 2 2 · area CAIGC forza che nel tempo si faccia il settore espresso per area W·CT CAIGC. Dunque il settore circolare descritto dal secondo corpo è eguale all’area ellittica descritta nel medesimo tempo dal primo. Stabilito questo teorema resta chiaro, che quando il d’Alembert ha detto generalmente, che il punto della superficie terrestre, donde il corpo verticalmente lanciato è partito, dee descrivere nel medesimo tempo un settore circolare eguale all’area ellittica descritta dal corpo, non può aver inteso di parlare se non se del caso, in cui quel punto di superficie terrestre è precisamente sotto l’equatore. Imperciocché se il punto A si supponga essere il punto di un parallelo, a buon conto il circolo AG, che come quello che ha da avere per raggio il semidiametro CA della terra, ha
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da essere un circolo massimo, non può più esser[e] quello, che il punto A descrive intorno all’asse della terra, il quale è il parallelo stesso, in cui si suppon[e] preso il punto A. Di più non è difficile il dimostrare, che se A è il punto di un parallelo, il settore circolare, che questo punto descrive nel mentre che il corpo verticalmente lanciato da A sale, e scende descrivendo l’arco ellittico AIG, sta all’area ellittica CAIGC, come il raggio del parallelo a quello dell’equatore, o vogliam dire della terra, giacché quì possiamo supporre la terra perfettamente sferica. In fatti si denoti per · la latitudine del parallelo, onde il suo raggio sia c AC cos ·. Sarà l’area di lui r AC2 (cos ·)2, la quale verrà descritta dal punto 2 c A nel tempo r AC , che è il tempo stesso, che impiegano a far l’intera V rivoluzione i punti dell’equatore supposto che V denoti la loro velocità. La velocità pertanto del punto A sarà V cos ·, la quale è secondo la tangente AD comune al parallelo, e al circolo massimo AG, che tocca il parallelo in A, e giace nel piano verticale AIGHA dell’ellisse descritta dal corpo verticalmente lanciato. Denoti U la velocità verticalmente impressa al corpo, e sarà U : V cos · :: AT : CT, onde V cos · = U · CT. Per lo AT che dovendo la velocità del corpo secondo la tangente dell’ellisse in A esprimersi per U2 + V2 (cos ·)2, se in questa formola in vece di V cos · si porrà il suo valore, si avrà questa medesima velocità espressa per U · AC. Or questa è quella velocità, che nel lemma di sopra dimoAT strato veniva indicata per W. Ponendo dunque questa nuova espressione in luogo di W nella formola del tempo impiegato dal corpo verticalmente lanciato a descriver l’area ellittica CAIGC, si avrà questo tempo nel presente caso espresso per 2 · AT · area CAIGC. Il che posto è chiaro, U · CT · AC c AC che se il punto A nel tempo r descrive tutta l’area del parallelo, V c r AC2 (cos ·)2, nel tempo 2 · AT · area CAIGC descriverà il settore 2 U · CT · AC V · (cos ·)2 · AT · area CAIGC, cioè cos · × area CAIGC, giacché abbiam U · CT trovato V cos · = U · CT. Dunque il settore circolare descritto dal punto AT A nel tempo, in cui il corpo verticalmente lanciato descrive l’area ellittica CAIGC, sta a quest’area, come cos · all’unità, cioè come il raggio del
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parallelo stesso AC cos · al raggio della terra AC, ciò appunto che dovea dimostrarsi. Come non può dirsi generalmente, che l’area ellittica descritta dal corpo verticalmente lanciato sia eguale al settore circolare, che nel mentre che il corpo sale, e discende descrive il punto di superficie terrestre, donde egli è lanciato, ma bisogna limitare la proposizione al caso, che quel punto di superficie terrestre sia nell’equatore, così non può asserirsi assolutamente, che il corpo, ricaduto che sia, si troverà all’occidente di quel punto, e convien ristrignere la proposizione a que’ casi, ne’ quali la velocità, che si suppone impressa al corpo nel lanciarlo verticalmente, non oltrepassi certi limiti. E di ciò ne avverte espressamente l’autore in quel suo discorso, per illustrar il quale anche in questa parte, mi fo a stabilire gli elementi della curva, che il corpo verticalmente lanciato dee descrivere nello spazio assoluto sul piano del circolo massimo, che nel momento che il corpo fu lanciato toccava il parallelo terrestre nel punto, donde il corpo partì, la qual curva ognun sa dover essere una delle tre sezioni coniche. E primieramente osservo, come dovendo questa sezion conica avere per foco il punto C centro della terra, impossibil cosa è, che incontrando la superficie della terra in un punto A, non abbia da incontrarla ancora in qualch’[e] altro G, il quale si trovi lontano dal suo vertice Q egualmente che A, sia ella un ellisse, o una parabola, o un iperbola. Osservo in secondo luogo, che esprimendo h l’altezza di piedi 15,1, per cui un grave cade in un minuto secondo di tempo, sarà 2 h · AC la velocità, che acquisterebbe un grave in vigor della gravità costante cadendo per l’altezza AC. Queste cose premesse, nella CA prolungata sia VA quell’altezza, da cui discendendo un corpo in vigor della gravità non più costante, ma agente nella ragion inversa duplicata delle distanze da C, acquisterebbe arrivato in A la velocità U · CT, colla quale abbiam detto, che il corpo verticalmente AT U2 · CA2 . Ma lanciato entra in A nella sua trajettoria. Sarà VA = 4h · AT2 – U2 · CA VA è la distanza dell’altro foco della sezion conica, che il corpo dee U2 · CA2 = CA, cioè descrivere, dal punto A. Dunque se sarà 4h · AT2 – U2 · CA U · CA = , 2h · CA che è lo stesso che dire, se la velocità U sarà tale, che il AT corpoentri in Anella sua trajettoria con velocità eguale a quella, che un grave acquisterebbe cadendo per la metà dell’altezza AC, l’altro foco dell’ellisse sarà distante da A, quanto lo è C, e quindi sarà A il vertice dell’asse minore dell’ellisse.
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Se pertanto si supporrà, che la velocità U si faccia anche maggiore, e si seguiti a fingerla sempre più grande, l’altro foco dell’ellisse, e insieme con lui anche il vertice I, a cui giunto che sia il corpo finisce di ascendere, e comincia a discendere, s’allontanerà sempre più da A, e quindi dalla superficie della terra, a segno tale che [giungendo] la velocità U ad esser tanta, che si abbia U · CA = 2 2h · CA, o vogliam dire AT che la velocità, con cui si mette in cammino il corpo verticalmente lanciato, sia eguale a quella, che un grave acquisterebbe cadendo per l’altezza AC, la AV riuscirà infinita, e così resterà l’altro foco, e il vertice I infinitamente lontano dalla terra, e per conseguenza sarà convertita l’ellisse in una parabola, onde il corpo non arriverà mai a finir di salire, e indarno s’aspetterà il suo ritorno in terra. E molto più ciò succederà, se si finge U · CA anche maggiore di 2 2h · CA ; poiché in tal caso riuscirà la AT sublimità AV negativa, e così l’altro foco, e l’altro vertice della trajettoria del corpo varcati per così dire gl’immensi spazj dell’infinito si vedrà ricomparire al di sotto di A, e C, e il corpo descriverà un’ iperbola. Ma lasciando da parte questi casi, e tornando alla supposizione che il corpo verticalmente lanciato descriva un ellisse, è cosa assai nota, che ques4h · AT2 · CA , t’ellisse avrà il suo asse maggiore eguale alla linea CV = 4h · AT2 – U2 · CA che facilmente si troverà, perché è dato il semidiametro della terra CA, ed è parimente data la velocità U; e quanto alla linea AT, questa pure si trova essendo data la velocità V de’ punti dell’equatore, e la latitudine · AC2 – AT2. del punto A, perché dev’essere U : V · cos · : : AT : CT : : AT : Trovata poi AT si ha anche CT, e la perpendicolare VL dal punto sublime V sopra la tangente dell’ellisse AT, giacché si ha CA : CT : : AV : VL, e quindi anche il semiasse minore KH, che è medio proporzionale fra CT, e VL. Il parametro, che è terzo proporzionale dopo l’asse maggiore, e il minore, U · CA U2 · CT2 V2 · (cos ·)2 , cioè (per essere si troverà = = V cos ·) = , dove h · AT2 AT h apparisce, che a una medesima latitudine ·, qualunque sia la velocità U verticalmente impressa al corpo, l’ellisse, che egli descriverà, avrà sempre lo stesso parametro. Donde siegue, che dovendo per la teoria delle forze centrali essere le aree descritte in un medesimo tempo nelle diverse ellissi intorno a un comune foco proporzionali alle radici de’ parametri, saranno nel nostro caso queste aree eguali, e quindi saran proporzionali ai tempi non solo le aree descritte da un medesimo corpo nella sua ellisse, ma le aree ancora descritte da diversi corpi nelle diverse loro ellissi.
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La distanza CK del foco dal centro è già la radice della differenza de’ quadrati dei due semiassi; la sottangente poi presa dal centro K, e appartenente al punto A è la quarta proporzionale dopo la differenza delle due rette CT, VL, e la loro somma, o sia dopo la differenza delle due CA, AV, e la loro somma, e dopo la distanza CK del foco dal centro; e trovata questa sottangente, se per essa si divida il quadrato del semiasse maggiore si ottiene l’ascissa KP presa dal centro, e corrispondente al punto A. Che se si faccia come l’asse maggiore al parametro, così la differenza tra il quadrato del semiasse maggiore e quello dell’ascissa KP al quarto, risulta il quadrato dell’ordinata PA, noto il quale è nota l’ordinata stessa. Finalmente facendo come CA a PA, così il raggio 10000000000 al quarto risulta il seno dell’angolo ACB, o sia dell’arco AB circolare posto il raggio diviso in diecimilamillioni di parti, il qual numero di parti non potrà sembrare soverchiamente grande, se si rifletta, che l’angolo ACB può essere assai piccolo, onde anzi che cercarne il numero de’ gradi nel canone trigonometrico, credo che per avere più esattamente il valor dell’arco AB giovi valersi della serie, che ne somministra l’arco dato pel suo seno, giacché si vedrà che pochi termini di essa bastano all’intento. Trovato poi quest’arco, se si farà come il supposto raggio 10000000000 al detto arco, così CA al quarto, si avrà in questo quarto il valor assoluto del medesimo arco AB, il quale moltiplicato per CA darà il valore del settor<e> circolare CABGC. Quanto al valore dell’area ellittica CAIGC, dico che s’esprime per questa KH · KI CA · AP formola (arco di raggio CA, e seno ) + CK · AP. Imperocché CA KH prodotta l’ordinata PA finché diventi PS ordinata del circolo descritto sopra l’asse maggiore dell’ellisse, e tirata SK, il settore circolare IKS è arco IS × KI arco IS × KI KP × PS = , e però il segmento circolare PSI è = – 2 2 2 . Ma il segmento circolare PSI sta all’ellittico corrispondente PAI, come PS arco IS × KH – KP × PA ; onde a PA, o sia come KI a KH. Dunque l’ellittico è = 2 CP × PA aggiungendo il triangolo CPA = risulta l’area ellittica ACIA = 2 arco IS × KH – CK × AP KI , il cui doppio è tutta l’area CAIGC. Ma arco IS = 2 CA, CA · SP SP PA KI (arco di raggio CA, e seno ), cioè (per essere = ) = (arco di KI KI KH CA CA · AP raggio CA, e seno ). Dunque l’espressione dell’area ellittica CAIGC KH è appunto quella, che ho assegnata. Sottratto dal valore di quest’area quello del settore circolare CABGC resta il valore dello spazio AIGBA compreso tra l’ellisse, e il circolo. Dalle
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cose dette apparisce, che dividendo questo spazio per la metà del raggio della terra CA, si ottiene la distanza del punto, in cui il corpo ricade, da quello, in cui fu verticalmente lanciato, qualora ciò si sia fatto sotto l’equatore. Che se il corpo si voglia supporre lanciato verticalmente da un punto di qualche parallelo, già dal valor dell’arco circolare ABG ridotto in gradi, essendo nota la latitudine del parallelo del punto A, sarà facile il rinvenire il moto, che avrà fatto il corpo sì in longitudine come in latitudine nel tempo, che ha impiegato a salire, e discendere, Divisa poi per la metà del semidiametro CA della terra l’area ellittica CAIGC, si otterrà l’arco, che nel mentre il corpo si è mosso avrebbe scorso il punto A nel circolo massimo AG, se in esso si fosse mosso. Ridotto il valor di quest’arco in gradi, se si faccia come il raggio del parallelo al raggio della terra, così questo numero di gradi al quarto, si otterrà il moto, che in quel medesimo mentre avrà fatto in longitudine il punto, donde il corpo fu scagliato, perché quell’arco di circolo massimo, e questo di parallelo essendo stati scorsi equabilmente, e colla medesima velocità, e nel medesimo tempo, debbon esser[e] eguali, e i numeri di gradi di archi eguali sono reciprocamente proporzionali ai raggi. Così si conoscerà la differenza tanto in longitudine, quanto in latitudine tra il punto, in cui il corpo ricade, e quello donde partì. È evidente che quando il corpo si lanci verticalmente sotto un parallelo, è assolutamente impossibile, che egli ricada nel punto preciso A, donde fu lanciato; poiché movendosi egli nel piano del circolo massimo, che toccava il parallelo nel punto, da cui partì, al momento stesso che partì, la curva, che egli descrive, non può aver nel parallelo altro punto se non quello, in cui cominciò il corpo a muoversi in essa, e il punto G della medesima, in cui si trova ricadendo, sarà necessariamente fuori del parallelo del punto A. Ma quando A sia in un punto dell’equatore, giacendo allora l’ellisse nel piano stesso dell’equatore, anche G sarà un punto dell’equatore, e non sarà più assolutamente impossibile, che il corpo ricada nel punto stesso A, donde partì. In fatti se lo spazio AIGBA compreso tra l’arco ellittico, che il corpo descrive, e l’arco di equatore corrispondente, si supporrà eguale all’area d’un circolo massimo della terra, il punto A dell’equatore, donde il corpo fu lanciato, si troverà in G al momento che egli ricaduto arriva in terra: poiché aggiungendo tanto a quello spazio AIGBA, quanto al circolo massimo della terra il settore circolare ACG, si ottiene appunto l’area ellittica descritta dal corpo eguale al settore circolare descritto dal punto d’equatore A; e però il tempo impiegato dal corpo a giunger in G per l’arco ellittico AIG sarà lo stesso che quello, che avrà im-
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piegato il punto A a fare un’intera rivoluzione, e in oltre l’arco AG. Lo stesso succederebbe, se lo spazio AIGBA fosse un multiplo del circolo massimo della terra. E qui ben si vede, che se lo spazio AIGBA fosse eguale alla metà d’un circolo massimo della terra, dovrebbe succedere, che all’arrivare del corpo al punto G della sua ellisse, il punto A dell’equatore, donde fu scagliato, si trovasse venuto diametralmente opposto al punto G stesso, e così il corpo tornato in terra fosse negli antipodi del luogo A, dove fu verticalmente lanciato. Lo stesso avverrebbe, se quello spazio fosse eguale a tre semicircoli massimi della terra, o a cinque, o a sette, etc. Dalle quali cose si può conchiudere, che qualora lo spazio AIGBA sia minore di un semicircolo massimo della terra, il corpo ricadrà all’occidente di A; come pure qualora sia minore di tre, ma maggiore di due; o minore di cinque, ma maggiore di quattro, e così via discorrendo: qualora poi sia maggiore di uno, ma minore di due; o maggiore di tre, ma minore di quattro; o maggiore di cinque, ma minore di sei, e così di seguito, il corpo ricadrà all’oriente di A. Ma se non è assolutamente impossibile, che il corpo lanciato verticalmente sotto l’equatore ricada nel punto, donde è partito, o negli antipodi, o non già all’occidente, ma bensì all’oriente di esso, non si può però negare che non sia impossibile relativamente a quei mezzi, di cui posson gli uomini valersi per imprimere al corpo nel lanciarlo quella velocità, con cui dee cominciar[e] a salire: questi non potranno mai produrre una velocità così grande, come richiederebbe a quell’uopo. Gli agenti, de’ quali può servirsi l’uomo, arriveranno a produrre una velocità, che porti il corpo a ricadere all’occidente del punto, donde è lanciato, solamente qualche centinajo di piedi: ma la natura, che ha in mano agenti tanto più efficaci, potrà anche produrre effetti tanto più grandiosi. E chi sa che le pioggie di sassi, che sappiamo essersi talvolta avute in luoghi, ove niun previo fenomeno era accaduto, da cui ripeter si potessero, non sieno state la conseguenza d’un[a] eruttazione di qualche anche lontanissimo vulcano? Ma è ormai tempo che io finisca di darvi, o Colleghi dottissimi, quella noja, che agl[i]’illustri suoi uditori volle il matematico Francese risparmiata.
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composto, in carattere dante monotype, impresso e rilegato in italia dalla accademia editoriale ® , pisa · roma
* Dicembre 2008 (cz2/fg21)
BOLLETTINO DI STORIA DELLE
SCIENZE MATEMATICHE
BOLLETTINO DI STORIA DELLE SCIENZE MATEMATICHE Il Giardino di Archimede Un Museo per la Matematica * Con il contributo della Società Italiana di Storia delle Matematiche
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Per la migliore riuscita delle pubblicazioni, si invitano gli autori ad attenersi, nel predisporre i materiali da consegnare alla Redazione ed alla Casa editrice, alle norme specificate nel volume Fabrizio Serra, Regole editoriali, tipografiche & redazionali, Pisa · Roma, Serra, 20092 (Euro 34,00, ordini a: [email protected])
BOLLETTINO DI STORIA DELLE
SCIENZE MATEMATICHE
Anno XXIX · Numero 1 · Giugno 2009
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SOMMARIO Editorial. Journals under threat: a joint response from HSTM editors · Editoriale. Le riviste scientifiche minacciate: una risposta comune dagli editori di riviste di storia della scienza e della tecnica.
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Elisabetta Ulivi, Documenti inediti su Luca Pacioli, Piero della Francesca e Leonardo da Vinci, con alcuni autografi. 15
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E D I TO RI A L · E D I TORIALE JO U R NAL S U ND ER THRE AT: A J OI N T R ESP O N SE FRO M HS TM E DITORS L E R IV I STE SCI EN TI FI CHE M INACCIATE : U NA R IS P O STA CO MU N E DAGL I E DITORI DI RIVIS TE D I S TOR I A D EL L A SCI ENZA E DE LLA TE CNICA
We live in an age of metrics. All
Viviamo in un’età metrica. Tutto
around us, things are being standardized, quantified, measured. Scholars concerned with the work of science and technology must regard this as a fascinating and crucial practical, cultural and intellectual phenomenon. Analysis of the roots and meaning of metrics and metrology has been a preoccupation of much of the best work in our field for the past quarter century at least. As practitioners of the interconnected disciplines that make up the field of science studies we understand how significant, contingent and uncertain can be the process of rendering nature and society in grades, classes and numbers. We now confront a situation in which our own research work is being subjected to putatively precise accountancy by arbitrary and unaccountable agencies. Some may already be aware of the proposed European Reference Index for the Humanities (ERIH), an initiative originating with the European
intorno a noi, ogni cosa viene standardizzata, quantificata, misurata. Gli studiosi che si interessano al mondo della scienza e della tecnologia dovranno considerarlo un affascinante e cruciale fenomeno pratico, culturale e intellettuale. L’analisi delle origini e dei metodi della metrica e della metrologia è stato il tema di molti dei migliori lavori nel nostro campo, almeno da un quarto di secolo a questa parte. Come studiosi delle discipline che formano il campo degli studi sulla scienza, noi comprendiamo quanto possa essere significante, contingente e incerto il processo di classificare la natura e la società in livelli, classi e numeri. Oggi, siamo di fronte a una situazione in cui il nostro stesso lavoro di ricerca è oggetto di una sedicente precisa valutazione da parte di organismi arbitrari e inaffidabili. Qualcuno saprà già della proposta di un European Reference Index for the Humanities (ERIH, Indice Europeo di Riferi-
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Science Foundation. The ERIH is an attempt to grade journals in the humanities – including «history and philosophy of science». The initiative proposes a league table of academic journals, with premier, second and third divisions. According to the European Science Foundation, ERIH «aims initially to identify, and gain more visibility for, top-quality European Humanities research published in academic journals in, potentially, all European languages». It is hoped «that ERIH will form the backbone of a fully-fledged research information system for the Humanities». What is meant, however, is that ERIH will provide funding bodies and other agencies in Europe and elsewhere with an allegedly exact measure of research quality. In short, if research is published in a premier league journal it will be recognized as first rate; if it appears somewhere in the lower divisions, it will be rated (and not funded) accordingly. This initiative is entirely defective in conception and execution. Consider the major issues of accountability and transparency. The process of producing the graded list of journals in science studies was overseen by a committee of four (the membership is currently listed at http://www. esf.org/research-areas/humanities/research-infrastructuresincluding-erih/erih-governance-
mento per le Scienze umane), un’iniziativa promossa dalla European Science Foundation. L’ERIH è un tentativo di classificare le riviste scientifiche nel campo delle Scienze umane – inclusa la «storia e filosofia della scienza». L’iniziativa propone un campionato da tavolo di riviste scientifiche, con le corrispondenti serie A, B e C. Secondo la European Science Foundation, ERIH «ha inizialmente lo scopo di identificare e rendere più visibile la ricerca scientifica di alta qualità pubblicata in riviste accademiche, in linea di principio in tutte le lingue europee». Si spera «che l’ERIH formi la spina dorsale di un completo sistema informativo per le Scienze umane». Quello che si intende, comunque, è che l’ERIH fornirà a Enti finanziatori e simili agenzie in Europa una pretesa misura esatta della qualità della ricerca. In breve, se la ricerca è pubblicata in riviste di serie A sarà riconosciuta come di prima qualità; se invece comparirà da qualche parte nelle serie inferiori, sarà giudicata (e non finanziata) corrispondentemente. Questa iniziativa è totalmente erronea nella sua concezione e nella sua esecuzione. Prendiamo ad esempio l’affidabilità e la trasparenza. Il processo di produrre un elenco ordinato di riviste di studi scientifici è stato coordinato da un comitato di quattro persone (la lista dei membri si può trovare nel sito http://www.esf.org/rese-
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and-panels/erih-expert-panels. html). This committee cannot be considered representative. It was not selected in consultation with any of the various disciplinary organizations that currently represent our field such as BSHS, HSS, PSA, SHoT or SSSS. Only in June 2008 were journal editors belatedly informed of the process and its relevant criteria or asked to provide any information regarding their publications. No indication has been given of the means through which the list was compiled; nor how it might be maintained in the future. The ERIH depends on a fundamental misunderstanding of conduct and publication of research in our field, and in the humanities in general. Journals’ quality cannot be separated from their contents and their review processes. Great research may be published anywhere and in any language. Truly ground-breaking work may be more likely to appear from marginal, dissident or unexpected sources, rather than from a wellestablished and entrenched mainstream. Our journals are various, heterogeneous and distinct. Some are aimed at a broad, general and international readership, others are more specialized in their content and implied audience. Their scope and readership say nothing about the quality of their intellectual content. The ERIH, on the other hand, confuses internation-
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arch-areas/humanities/researchinfrastructures-including-erih/ erih-governance-and-panels/erihexpert-panels.html). Questo comitato non può essere in nessun modo considerato rappresentativo, non essendo stata consultata nessuna delle Società e organizzazioni che rappresentano oggi il nostro settore, come BSHS, HSS, PSA, SHoT o SSSS. Solo nel giugno 2008 alcuni editori delle riviste sono stati informati di quanto stava accadendo e dei criteri di valutazione, o richiesti di fornire informazioni sulla loro rivista. Nessuna indicazione è stata data sui criteri con i quali l’elenco era stato compilato, né su come verrà rivisto nel futuro. La ERIH si basa su una fondamentale incomprensione su come viene condotta e pubblicata la ricerca nel nostro campo, e in generale nelle Scienze umane. La qualità di una rivista non può essere separata dal suo contenuto e dai criteri di recensione. La ricerca importante può essere pubblicata dovunque e in qualsiasi lingua. È più probabile che lavori veramente innovativi provengano da fonti marginali, controverse o inattese che non nella corrente principale ben collaudata e sfruttata. Le nostre riviste sono variegate, eterogenee e differenziate. Alcune hanno di mira una diffusione larga, generale e internazionale, altre sono più specializzate nei contenuti e guardano a un pubblico più ri-
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ality with quality in a way that is particularly prejudicial to specialist and non-English language journals. In a recent report, the British Academy, with judicious understatement, concludes that «the European Reference Index for the Humanities as presently conceived does not represent a reliable way in which metrics of peerreviewed publications can be constructed». Such exercises as ERIH can become self-fulfilling prophecies. If such measures as ERIH are adopted as metrics by funding and other agencies, then many in our field will conclude that they have little choice other than to limit their publications to journals in the premier division. We will sustain fewer journals, much less diversity and impoverish our discipline. Along with many others in our field, this Journal has concluded that we want no part of this illegitimate and misguided exercise. This joint Editorial is being published in journals across the fields of history of science and science studies as an expression of our collective dissent and our refusal to allow our field to be managed and appraised in this fashion. We have asked the compilers of the ERIH to remove our journals’ titles from their lists.
stretto. La loro diffusione e il loro pubblico non dicono nulla della qualità dei loro contenuti intellettuali. L’ERIH al contrario confonde internazionalità con qualità in una misura che è largamente pregiudizievole per gli specialisti in un campo e per le riviste non in lingua inglese. In un recente rapporto la British Academy, con un giudizioso understatement, conclude che «come è attualmente concepito, l’ERIH non rappresenta un modo affidabile di costruire una graduatoria di pubblicazioni con un sistema di revisori». Classificazioni come l’ERIH possono facilmente diventare profezie che si autoverificano. Se criteri come quelli promossi dall’ERIH venissero adottati da Enti finanziatori e simili, molti studiosi concluderanno di non aver altra scelta che pubblicare in riviste di serie A. Avremo così meno riviste, una molto minor varietà, col risultato di impoverire la nostra disciplina. Insieme a molte altre nel nostro settore, questa rivista ha deciso di non voler partecipare in nessun modo a questo processo illegittimo ed erroneo. Questo editoriale viene pubblicato su varie riviste nel campo degli studi di Storia della scienza come espressione del nostro comune dissenso e del nostro rifiuto di permettere che il nostro settore sia trattato e valutato in questo modo. Abbiamo chiesto ai compilatori dell’ERIH di togliere le nostre riviste dai loro elenchi.
editorial · editoriale
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Hanne Andersen (Centaurus), Roger Ariew & Moti Feingold (Perspectives on Science); A. K. Bag (Indian Journal of History of Science), June Barrow-Green & Benno van Dalen (Historia Mathematica); Keith Benson (History and Philosophy of the Life Sciences), Marco Beretta (Nuncius. Journal of the History of Science), Michel Blay (Revue d’Histoire des Sciences), Johanna Bleker (Medizinhistorisches Journal), Cornelius Borck (Berichte zur Wissenschaftsgeschichte), Geof Bowker & Susan Leigh Star (Science, Technology and Human Values), William R. Brice (Oil-Industry History), Jed Buchwald & Jeremy Gray (Archive for History of Exact Sciences), Vincenzo Cappelletti & Guido Cimino (Physis), Cathryn Carson (Historical Studies in the Natural Sciences), Annamaria Ciarallo & Giovanni Di Pasquale (Automata. Journal of Nature, Science and Technics in the Ancient World), Mark Clark & Alex Keller (ICON), Roger Cline (International Journal for the History of Engineering &Technology), Stephen Clucas & Stephen Gaukroger (Intellectual History Review), Hal Cook & Anne Hardy (Medical History), Leo Corry, Alexandre Métraux & Jürgen Renn (Science in Context), Brian Dolan & Bill Luckin (Social History of Medicine), Hilmar Duerbeck & Wayne Orchiston (Journal of Astronomical History & Heritage), Moritz Epple, Mikael Hård, Hans-Jörg Rheinberger & Volker Roelcke (NTM: Zeitschrift für Geschichte der Wissenschaften, Technik und Medizin), Paul Farber (Journal of the History of Biology), Mary Fissell & Randall Packard (Bulletin of the History of Medicine), Robert Fox (Notes & Records of the Royal Society), Marina Frasca Spada (Studies in History and Philosophy of Science), Steven French (Metascience), Enrico Giusti (Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche), Jim Good (History of the Human Sciences), Willem Hackmann (Bullettin of the Scientific Instrument Society); Robert Halleux (Archives Internationales d’Histoire des Sciences), Bosse Holmqvist (Lychnos), Rod Home (Historical Records of Australian Science), Michael Hoskin (Journal for the History of Astronomy), Ian Inkster (History of Technology), Nick Jardine (Studies in History and Philosophy of Biological and Biomedical Sciences), Trevor Levere (Annals of Science), Bernard Lightman (Isis), Christoph Lüthy (Early Science and Medicine), Michael Lynch (Social Studies of Science); Stephen McCluskey & Clive Ruggles (Archaeostronomy: The Journal of Astronomy in Culture); Peter Morris (Ambix); Iwan Rhys Morus (History of Science), E. Charles Nelson (Archives of Natural History); Ian Nicholson (Journal of the History of the Behavioural Sciences); Efthymios Nicolaidis (Kritiki: Critical Science and Education); Kachy Olesko (Osiris); Liliane Pérez (Documents pour l’Histoire des Techniques); John Rigden & Roger H. Stuewer (Physics in Perspective); Julio Samsó (Suhayl: Journal for the History of the Exact and Natural Sciences in Islamic Civilisation); Simon Schaffer (British Journal for the History of Science); Norbert Schappacher (Revue d’Histoire des Mathématiques); John Staudenmaier SJ (Technology and Culture), Claire Strom (Agricultural History), Paul Unschuld (Sudhoffs Archiv), Peter Weingart (Minerva), Michio Yano & Ken Saito (SCIAMVS: Sources and Commentaries in Exact Sciences), Stefan Zamecki (Kwartalnik Historii Nauki ì Techniki), Huib Zuidervaart (Studium: Tijdschrift voor Wetenschaps-en Universiteitgeschiedenis/Revue de l’Histoire des Sciences et des Universités).
DOC U M E N T I I N E D I T I S U LUC A PAC IOLI, P I E RO D E LLA F RAN C E S C A E L E O NA RD O DA VIN C I, CO N A LCU N I AU TOG RAF I Elisabetta Ulivi* Abstract: The work brings together numerous previously unpublished documents on Luca Pacioli, Leonardo da Vinci, Piero della Francesca and their families. The documents are first explained and commented on in detail, and then transcribed in the respective Appendices. The first, and more substantial, part contains information on Pacioli, the periods he
spent in the town of his birth, Sansepolcro, and his relations with Piero and Leonardo; the second, along with documents concerning Leonardo directly, chiefly provides unpublished information on his relatives, updating one of our earlier publications on the Da Vinci family. The documents include three autographs by Luca Pacioli and one by Piero della Francesca.
lavoro si compone di due parti. La prima è incentrata su Luca Q uesto Pacioli, con riferimenti ai suoi rapporti con Piero della Francesca e
Leonardo da Vinci, la seconda riguarda lo stesso Leonardo ed i suoi familiari. In ciascuna vengono prima illustrati e commentati i relativi documenti. I più significativi sono trascritti integralmente o parzialmente nelle due corrispondenti Appendici, altri sono solo segnalati in nota. I documenti provengono dall’Archivio di Stato, dalla Biblioteca Nazionale e dell’Archivio dell’Opera di Santa Maria del Fiore di Firenze, dall’Archivio Comunale di Sansepolcro, dalla Biblioteca Comunale di Forlì e dalla Biblioteca Nazionale di Parigi. Un testamento e due lettere sono tre autografi di Pacioli. Un atto notarile riportato a conclusione della prima Appendice contiene un autografo di Piero della Francesca.1
* Elisabetta Ulivi, Dipartimento di Matematica, Università di Firenze. E-mail: ulivi@math. unifi.it. Lavoro eseguito nell’ambito del progetto ‘Edizioni Critiche di Storia delle Matematiche’ del MIUR. 1 Nella trascrizione dei documenti abbiamo sciolto le abbreviazioni, staccato le parole, introdotto accenti ed apostrofi, ricostruito la punteggiatura e l’uso delle maiuscole; in parentesi quadre abbiamo aggiunto le date talvolta mancanti, e lettere o parole utili alla comprensione del testo. Nei documenti riportati parzialmente i tre puntini di sospensione stanno ad indicare brani da noi omessi nella trascrizione. Tre puntini in parentesi quadre indicano un passo illeggibile. Tre spazi vuoti tra parentesi quadre corrispondono ad una lacuna presente nel documento. «Bollettino di storia delle scienze matematiche» · Vol. XXIX · 2009 · Fasc. 1
PARTE PRIMA LUCA PACIOLI E LA SUA FAMIGLIA Dopo la nascita e la prima giovinezza a Borgo Sansepolcro, quella del francescano Luca Pacioli fu una vita di continui pellegrinaggi, sia per insegnare le matematiche nelle università e nelle scuole pubbliche sia per ragioni legate alla sua attività all’interno dell’Ordine. Tappe fondamentali furono Venezia, Roma, Perugia, Zara, Napoli, Milano, Firenze, e tra le altre Padova, Assisi, probabilmente Urbino e Mantova, intervallate da frequenti ritorni nel luogo dove il frate vide i natali e dove prese i voti nel Convento minoritico di San Francesco.1 I documenti di cui parleremo in questo lavoro riguardano i periodi trascorsi dal Pacioli a Borgo e alcuni degli anni in cui il matematico visse a Firenze; forniscono inoltre informazioni e precisazioni in merito alla sua famiglia, alla sua nascita ed alla sua morte, colmando non poche lacune nella cronologia del Pacioli.2 Ricordiamo che a Sansepolcro, pur essendo la città sotto il dominio fiorentino dal 1441, l’anno iniziava il 25 dicembre, «a nativitate», mentre a Firenze aveva inizio dal 25 marzo, «ab incarnatione». Nel fare riferimento a ciascun documento, abbiamo sempre seguito la datazione moderna, mantenendo quella originale solo all’interno del documento stesso. 1 Sulla vita e la produzione scientifica di Luca Pacioli cfr. Elisabetta Ulivi, Luca Pacioli, una biografia scientifica, in Luca Pacioli e la Matematica del Rinascimento, a cura di Enrico Giusti, Carlo Maccagni, Firenze, Giunti, 1994. Salvo diversa indicazione, rimandiamo a questo saggio per i riferimenti biografici, bibliografici ed archivistici. Tra le precedenti e fondamentali biografie di Luca Pacioli cfr. in particolare: Baldassarre Boncompagni, Intorno alle vite inedite di tre matematici (Giovanni Danck di Sassonia, Giovanni de Lineriis e fra Luca Pacioli da Borgo San Sepolcro) scritte da Bernardino Baldi, «Bullettino di Bibliografia e di Storia delle Scienze Matematiche e Fisiche pubblicato da B. Boncompagni», XII, 1879, pp. 352-438, 863-872; Vincenzo Vianello, Luca Paciolo nella storia della ragioneria, con documenti inediti, Messina, Libreria Internazionale Ant. Trimarchi, 1896; Girolamo Mancini, L’opera “De corporibus regularibus” di Pietro Franceschi detto Della Francesca, usurpata da fra Luca Pacioli. Segue il Trattato di Pietro Franceschi secondo il codice urbinate vaticano, «Atti della Reale Accademia dei Lincei. Memorie della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche», XIV, 1915, pp. 446-580; D. Ivano Ricci, Fra Luca Pacioli, l’uomo e lo scienziato (con documenti inediti), Sansepolcro, Stab. Tip. ‘Boncompagni’, 1940; R. Emmett Taylor, No Royal Road: Luca Pacioli and his times, Chapel Hill, N.C., The University of North Carolina Press, 1942. Per cenni biografici e soprattutto sull’opera del matematico borghigiano si vedano i saggi contenuti in Luca Pacioli e la Matematica del Rinascimento. Atti del convegno internazionale di studi. Sansepolcro, 13-16 aprile 1994, a cura di Enrico Giusti, Città di Castello, Petruzzi, 1998. Per lavori più recenti cfr. Argante Ciocci, Luca Pacioli e la matematizzazione del sapere nel Rinascimento, Bari, Cacucci Editore, 2003; Mario Pancrazi, Fra Luca Pacioli e il fascino delle “matematiche”, a cura di Francesca Buttazzo, Selci Lama, L’Artistica, 2005 (Supplemento al Periodico «Bibliomedia» del Liceo «Città di Piero», Quaderno n. 16 della Serie «I Quaderni della Valtiberina toscana»); A. Ciocci, Luca Pacioli tra Piero della Francesca e Leonardo, Sansepolcro, Aboca Museum Edizioni, 2009. 2 La documentazione relativa a Borgo dà ampi e nuovi contributi agli studi sulla cultura e la società di Sansepolcro in epoca medievale e rinascimentale. In proposito si vedano: James R. Banker, The Culture of San Sepolcro during the Youth of Piero della Francesca, Ann Arbor, MI, The
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La maggior parte delle notizie derivano da ben oltre centosessanta atti contenuti nel Notarile Antecosimiano dell’Archivio di Stato di Firenze, per lo più rogati a Sansepolcro, in due casi a Firenze. Come indicheremo volta per volta, nove di questi atti ed il terzo testamento del frate furono pubblicati dal Boncompagni, dieci rogiti ed il secondo testamento furono solo resi noti dal Mancini, uno nella nostra biografia di Pacioli. I rimanenti documenti sono del tutto nuovi. I notai di Sansepolcro di cui riportiamo i rogiti sono: Ser Matteo di Angelo Fedeli, Ser Francesco di Cristoforo Sisti, Ser Mario di Matteo Fedeli, Ser Michelangelo di Giuliano di Niccolò, Ser Giovanni di Manno di Matteo, Ser Leonardo di Mario Fedeli, Ser Francesco di Andrea Pichi, Ser Ranieri di Battista Boddi, Ser Ranieri di Pietropaolo Lucarini, Ser Bartolomeo di Pietropaolo Lucarini, Ser Bartolomeo di Manfredo Manfredini, Ser Iacopo di Tommaso Guelfi, Ser Cristoforo di Piero Sisti, Ser Niccolò di Bartolomeo Fedeli, Ser Angelo di Bartolomeo Fedeli, Ser Guasparri di Francesco Righi, Ser Uguccione di Lodovico Dolci, Ser Bernardino di Francesco Matteucci, Ser Bernardino di Francesco Renovati, Ser Bartolomeo di Niccolò Fedeli, Ser Alessandro di Bartolomeo Fedeli, Ser Michelangelo di Giovanbattista Palamedi, Ser Girolamo di Luca Lucherini, Ser Pompeo di Iacopo Guelfi, Ser Francesco di Antonio Aggiunti; i notai che rogarono a Firenze sono Ser Piero di Antonio da Vinci e Ser Andrea di Romolo Filiromoli.1 Oltre all’Archivio notarile fiorentino, altre fonti sono le Corporazioni religiose soppresse dal governo francese sempre dell’Archivio di Stato di Firenze, i ‘Libri dei Morti’ dell’Archivio Comunale di Sansepolcro, le Raccolte Piancastelli della Biblioteca Comunale di Forlì e il fondo Nouvelles acquisitions latines della Biblioteca Nazionale di Parigi. I. 1. La famiglia Pacioli Le molto scarse e talvolta imprecise notizie sui parenti di Luca Pacioli sono state fino ad oggi dedotte dai suddetti documenti reperiti dal Boncompagni e dal Mancini, dal primo testamento del frate, rintracciato dal Vianello, e da quanto lo stesso matematico riferisce nelle sue opere. Sono ora svariati i documenti, qui riportati in regesto o indicati in nota, che danno importanti informazioni sulla famiglia di origine del borghiUniversity of Michigan Press, 2003; Gian Paolo G. Scharf, Borgo San Sepolcro a metà del Quattrocento: istituzioni e società (1440-1460), Firenze, Olschki, 2003; G. G. Scharf, Fiscalità pubblica e finanza privata: il potere economico in un comune soggetto (Borgo San Sepolcro 1415-1465), pubblicazione on line, 2008. 1 Altri notai consultati e dei quali riferiamo solo in nota alcuni documenti sono: Ser Francesco di Piero Acerbi, Ser Galeotto di Francesco Aliotti e Ser Uguccione di Noferi di Francesco.
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giano, su diversi suoi parenti, alcuni già noti, altri sconosciuti, permettendo una prima costruzione dell’albero genealogico dei Pacioli, nell’arco di oltre un secolo. Il nonno di Luca era Paciolo di Bartolo che compare in un documento del 14 maggio 1412, come confinante e proprietario di beni situati nella Contrada di Sustiano. Lo ritroveremo, ormai già scomparso, citato in due documenti del 25 febbraio e 13 marzo 1430.1 Paciolo fu padre di almeno quattro maschi ed una femmina: Antonio, Simone, Ciolo e Francesca, gli zii di Luca, e Bartolomeo, il padre del Nostro. Due interessanti rogiti di Ser Francesco Sisti, entrambi del 25 luglio 1414, attestano che, in quel periodo, i fratelli Antonio, Bartolomeo e Ciolo avevano licenza di praticare la coltivazione e la pastorizia nelle terre di Cristoforo di Francesco di Ser Feo, al quale erano legati da un contratto di soccida.2 Dal suddetto documento del febbraio 1430, si evince che la famiglia Pacioli aveva la propria abitazione in Via dei Cipolli già dal primo trentennio del Quattrocento. Antonio, probabilmente il primogenito di Paciolo, era soprannominato Barbaglia. Ne abbiamo notizia dal gennaio 1413. Antonio sposò una non meglio identificata Piera; entrambi i coniugi morirono nel 1460, rispettivamente il 27 giugno ed il 22 marzo, e furono sepolti nella Chiesa di San Giovanni d’Afra.3 Da Antonio nacquero Apollonio, Masso ed un figlio che morì prima di essere battezzato. Su Simone di Paciolo, detto Savoretto, conosciamo diversi documenti datati tra il marzo 1413 ed il maggio 1453. Ne risulta che Simone, da un primo matrimonio, ebbe tre figli: Niccolò, Ulivo e Giacoma; in tarda età sembra si sia risposato con Lucia di Niccolò da Penestrina, ricevendone la dote il 14 novembre 1452. Simone fu prima affittuario di terreni nelle Contrade di Sagnone, del Trebbio e Camberna, di Tubbiolo e Afra Vecchia, e di Farneto, poi, come vedremo, divenne proprietario di altri beni assieme al figlio Ulivo.4 Oltre alla licenza del 25 luglio 1414, su Ciolo possediamo solo un altro documento del 17 gennaio 1426, dove viene nominato con i fratelli An-
1 Appendice 1, documenti 1, 8 e 9. 2 Appendice 1, documenti 5 e 6. 3 Appendice 1, documenti 2, 13, 18, 157, 158. Cfr. anche ASF, Notarile Antecosimiano 7047, 28 ottobre 1439; 19281, c. 104v. Qui ed in seguito i documenti di cui indichiamo in nota la data sono generalmente quelli che nel corrispondente protocollo si trovano in carte non numerate. 4 Appendice 1, documenti 3, 4, 7, 12, 13, 16, 23, 28, 29, 31, 35, 155. Inoltre ASF, Notarile Antecosimiano 6951, 9 giugno 1450; 7022, c. 101r; 7025, c. 30v; 7048, 4 febbraio 1450; 7052, n. 96; 7053 (anni 1440-1448), n. 34; 7136, c. 15r; 7137, 29 settembre 1415; 7139, 16 marzo 1420; 7142, 12 agosto 1418; 14042, c. 24v; 14052, c. 68r; 19303, 8 novembre 1437; 19305, cc. 33v-34r.
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tonio, Simone e Bartolomeo in relazione alla restituzione della dote della sorella Francesca, dopo la scomparsa del suo primo marito.1 Francesca fu sposata tre volte: anteriormente al 1426 con Angelo di Paolo di Stefano da Valle Bona, poi con un Nanni detto Ghibellino, e almeno tra il 1453 ed 1456 con Piero di Vico da Caprese. Era proprietaria di terreni e di un casolare situati a Villa Sant’Anastasio e San Giustino, in località Querceto.2 Del padre di Luca Pacioli era fino ad ora noto solo il nome di battesimo, Bartolomeo. Nato presumibilmente nell’ultimo decennio del XIV secolo, Bartolomeo si unì in matrimonio il 16 marzo 1427 con Maddalena, figlia di Francesco di Matteo Nuti da Villa Fariccio del Distretto di Borgo; la ragazza portò una dote di venti fiorini d’oro, più quattro fiorini di ‘condote’. La ‘confessio dotis’ fu rogata nella Chiesa della Badia di Borgo, alla presenza, tra gli altri, di Folco di Giovanni di Canti dei Bofolci, mentre il successivo contratto matrimoniale fu concluso nell’abitazione di famiglia della sposa situata nella Parrocchia di San Niccolò, entrambi davanti al notaio Ser Mario Fedeli.3 Francesco Nuti, soprannominato Martello, aveva possedimenti nel luogo di origine e, a Sansepolcro, era stato proprietario anche di una casa nella Contrada del Rio della Parrocchia di San Giovanni.4 Dopo avere probabilmente trascorso i primi tempi di matrimonio nella casa paterna in Via dei Cipolli, ereditata dal fratello maggiore Antonio a seguito della morte di Paciolo, il 25 aprile 1427 presso il suddetto Ser Mario Fedeli, Bartolomeo stipulò un atto per l’acquisto di un’abitazione confinante, del costo di ventuno fiorini, che apparteneva a Giovanni Venturucci da Villa San Giustino;5 tuttavia, il 13 marzo 1430, Bartolomeo liberò Monna Biagia di Feo Gori, sorella del Venturucci, dall’impegno contrattuale, dopo che la stessa, divenuta nel frattempo proprietaria della casa, aveva venduto il sito ad un altro acquirente.6 Finalmente, il 30 ottobre 1430, con un atto notarile di Ser Michelangelo di Giuliano, Bartolomeo divenne proprietario di un’altra casa sempre in Via dei Cipolli, che comprò da Teo di Antonio Vagnoli da Gragnano al prezzo di diciassette fiorini, parte della dote della moglie Maddalena. Il sito era
1 Appendice 1, documento 13. 2 Appendice 1, documenti 12, 32, 36. 3 Appendice 1, documenti 14. 4 Francesco ebbe due fratelli, Guasparre e Giovanna. Cfr. Appendice 1, documento 12; ASF, Notarile Antecosimiano 6951, 24 ottobre 1445 e 23 ottobre 1447; 7010, c. 7r; 7122, c. 4065v; 7139, 5 agosto 1415. 5 Appendice 1, documento 15. 6 Appendice 1, documenti 9 e 10.
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in dicto Burgo, in Asgio de Cipollis, iuxta rem Bardelle de Montanea et rem filiorum Angeli Rossi fabris, mediante cavina, et rem Mathei Grenetani, viam comunis et alios confines etc.1
Bartolomeo morirà ventotto anni dopo; fu sepolto il 14 gennaio 1459 nella Chiesa di San Giovanni d’Afra.2 Dei non pochi documenti rintracciati che vedono la presenza del padre di Luca Pacioli a Sansepolcro tra il 25 luglio 1414 ed il 12 maggio 1453, nelle vesti di rogante, testimone o confinante, nessuno fa esplicito riferimento ad una sua attività lavorativa; forse per tutta la vita fu un modesto allevatore di bestiame ed un piccolo coltivatore, come sembra dedursi dal documento del 1414.3 Oltre a Luca, Bartolomeo ebbe altri tre figli maschi: Antonio, Ginepro e Ambrogio.4 Su Antonio di Bartolomeo ci è nota solo una testimonianza prestata a Borgo il 19 dicembre 1448 nello studio del notaio Ser Mario Fedeli.5 Quasi con certezza, Antonio fu il primogenito di Bartolomeo e morì in giovane età, poco dopo la nascita di Luca, che nei suoi scritti non ne farà mai menzione. Nella Divina proportione e nell’edizione degli Elementi di Euclide del 1509,6 poi nel secondo e nel terzo testamento del 1510 e 1511, il matematico ricorderà invece esplicitamente gli altri due fratelli, Maestro Ginepro e Frate Ambrogio, anche loro dell’Ordine dei Minori Francescani. Maggiore di Luca, Ginepro compare per la prima volta, e già nelle vesti di frate, come testimone di un testamento stilato nello studio di Ser Francesco Pichi il 9 maggio 1463. Tra il 20 ottobre 1466 e il 27 agosto 1470 ottenne il titolo di Maestro e professore di teologia, ed almeno tra il 20 agosto 1472 e l’11 agosto 1473 fu guardiano del Convento borghigiano di 1 Appendice 1, documento 46. 2 Appendice 1, documento 156. 3 Assieme ai già citati documenti 9, 10, 14, 46, 156, cfr. Appendice 1, documenti 5, 11, 13, 17, 20, 27, 30, 33, 34, 45, 47-49. 4 Assolutamente inesistenti sono un figlio di Bartolomeo di nome Piero ed un nipote di Bartolomeo, Dionisio di Piero, segnalati in R. E. Taylor, No Royal Road: Luca Pacioli and his times, cit., pp. 292, 374, 432-433. L’errore è dovuto a quanto si legge nella trascrizione di un documento riguardante Luca Pacioli del 14 dicembre 1497, pubblicata dal Boncompagni: nell’elenco dei testimoni lo storico italiano trascrisse «Dionisio Pieri Bartolomei Pacioli de Meglioratis», mentre il documento originale riporta «Dionisio Pieri Bartolomei de Meglioratis». Dunque tale Dionisio ed il padre Piero non erano della famiglia Pacioli. Cfr. ASF, Notarile Antecosimiano 19273, c. 132r; B. Boncompagni, Intorno alle vite inedite di tre matematici, cit., p. 869. 5 Appendice 1, documento 23. 6 Divina proportione. Opera a tutti glingegni perspicaci e curiosi necessaria …, Venezia, Paganino de’ Paganini, 1509 (Riproduzione in facsimile dell’Istituto Statale d’Arte di Urbino, 1969), Parte prima, c. 23v; Euclidis megarensis philosophi acutissimi mathematicorumque omnium sine controversia principis Opera a Campano interprete fidissimo translata …, Venezia, Paganino de’ Paganini, 1509, c. 1r.
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San Francesco. Gli ultimi documenti del 1º febbraio e 6 agosto 1476 lo vedono presente al Capitolo dello stesso convento assieme al fratello Ambrogio.1 Più giovane di Ginepro ma forse anche lui maggiore di Luca, Ambrogio rimase sempre un semplice frate. Lo attestano numerosi rogiti del 7 febbraio e 22 ottobre 1466, 26 febbraio 1471, 3 e 11 agosto 1473, 1º febbraio e 6 agosto 1476, 2 aprile 1481, 28 febbraio 1483 e 21 febbraio 1488: il frate vi è spesso presente con i due fratelli per documenti familiari, per atti di procura, per lo più come testimone o partecipante al Capitolo. Su alcuni di questi rogiti ritorneremo più in dettaglio a proposito del Nostro.2 Ginepro ed Ambrogio – lo racconterà Maestro Luca nella Divina proportione, introducendo il Tractato del’architectura – ebbero il compito di assistere nelle sue ultime ore di vita il nobile condottiero Antonello Sanseverino, principe di Salerno e genero del Duca Federico da Montefeltro, colto da febbre mortale al rientro in Urbino dopo le sue imprese militari in Romagna al fianco dello stesso Duca Federico e del Conte Carlo Fortebracci da Montone. Prima di morire, Antonello ordinò la costruzione di una cappella che fu intitolata a San Francesco, nel Convento di appartenenza dei due frati. Come abbiamo visto, Luca Pacioli ebbe almeno sei cugini. Erano i figli di Antonio Pacioli, ossia Masso, Apollonio e quello scomparso nel settembre 14303 prima della nascita di Luca, ed i figli di Simone Pacioli, cioè Niccolò, Ulivo e Giacoma che morì nel maggio 1451,4 quando Luca era ancora bambino. Su Apollonio o Polonio di Antonio Pacioli, citato anche come Apollonio o Polonio di Barbaglia, dal soprannome paterno, abbiamo rintracciato documenti compresi tra il 28 maggio 1448 ed il 1464. Alcuni, degli anni 1459-1462, c’informano che Apollonio era un sarto e che, a Borgo, svolgeva la sua attività in una bottega della Badia.5 Sono particolarmente numerosi gli atti notarili che vedono il nome di Masso di Antonio Pacioli: come attore di rogiti anche assieme al fratello Apollonio ed al cugino Ulivo, quale procuratore della zia Francesca, in buona parte nel ruolo di testimone a partire dal 5 aprile 1449. In particolare, un documento del 16 aprile 1456 riferisce di una controversia tra Ge1 Appendice 1, documenti 40, 42, 56, 63, 64, 70, 80, 82, 83. 2 Appendice 1, documenti 42, 54, 62, 66, 70, 73, 82, 83, 92, 103. 3 Fu sepolto nella Badia: ACS, Serie XXXII, 144, c. 62v. 4 Appendice 1, documento 155. 5 Appendice 1, documenti 22, 37, 50-53, 81. Inoltre ASF, Notarile Antecosimiano 6955, 10 marzo 1459; 6957, 16 novembre 1462; 7029, c. 30r; 7040, cc. 10r, 17r, 26v, 44v, 113v, 130r; 7054, 17 novembre 1460; 12217, 21 gennaio e 2 febbraio 1461; 16741, c. 50v; 19250, fasc. 1, anno 1464.
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ronimo di Niccolò Mirabucci, da una parte, e Apollonio e Masso dall’altra, sorta a seguito di una precedente società che fecero Masso e Niccolò Mirabucci «in arte calzolarie». Il 3 luglio 1469 fece parte, con Ulivo, di una lista di abitanti di Borgo riuniti per eleggere il sindaco della cittadinanza. Masso compare per l’ultima volta il 13 gennaio 1477 nelle vesti di venditore di un terreno nella Contrada di Bocca d’Afra.1 Morì prima del 24 maggio 1502, quando leggiamo del figlio «Antonius quondam Massi Antonii Barbaglie».2 Oltre ad Antonio, Masso ebbe Bartolomeo ed una figlia che morì poco dopo la nascita. Nei protocolli notarili di Sansepolcro un altro nome ricorrente della famiglia Pacioli è quello di Niccolò di Simone. Anche lui religioso, a differenza dei suoi cugini e nipoti che vestirono l’abito francescano, Niccolò prese invece i voti nel Monastero Camaldolese di San Giovanni Evangelista, annesso all’omonima chiesa, la Badia del Comune di Borgo. Qui, nella Contrada di Santa Maria della Misericordia, fu testimone di un testamento già il 26 luglio 1429 col nome di «Fratre Magalao alias Nicolao Simonis Pacioli».3 In seguito lo troveremo sempre come Don Niccolò, negli anni Trenta-Cinquanta priore della Chiesa di Santo Stefano di Farneto, negli anni Settanta-Ottanta priore della Chiesa di Santa Lucia di Ancona, generalmente in rogiti stilati nella stessa Badia. Il 1º marzo 1447 fu Don Niccolò a concedere in affitto al padre Simone un terreno situato proprio nella Contrada di Farneto e proprietà dell’omonima chiesa. L’ultima presenza del sacerdote come testimone risale al 23 giugno 1490.4 Da segnalare la sua partecipazione assieme al camaldolese Don Francesco di Benedetto, fratello di Piero della Francesca, al Capitolo che si riunì il 15 febbraio 1436 in San Giovanni Evangelista.5 1 Appendice 1, documenti 25, 32, 36, 50, 51, 71. Su Masso cfr. anche ASF, Notarile Antecosimiano 6953, 27 luglio 1456; 6955, 10 marzo 1459; 6981, 30 novembre 1472; 6999, n. 9, 5 aprile 1472; 7001, c. 40r; 7049, 17 novembre 1455; 7052, cc. 117v, 162v, 178v; 7053 (anni 1449-1459), n. 4; 7054 (anni 1450-1459), carta sciolta, 17 novembre 1460; 12218, cc. 79v, 80r; 12220, c. 34v; 16728, c. 57v; 16730, cc. 85r, 92v-93v (3 luglio 1469), 97r-98r, 99r-99v; 16732, cc. 8v, 42v, 51v, 63r; 16733, cc. 74r, 106r, 115r, 207r, 212r, 236v; 16734, cc. 10v, 27v, 28v, 38r, 55r, 59r, 60r, 63v-64v, 81r, 82r, 91r, 94v-95r, 96v, 98v, 116v, 162v, 163v, 169v, 172r; 16735, cc. 54r, 120v; 16736, cc. 33v, 41r; 16741, n. 54, c. 260r. 2 Appendice 1, documento 102. 3 Appendice 1, documento 19. 4 Appendice 1, documenti 21, 57, 58, 67, 93. Inoltre ASF, Notarile Antecosimiano 6951, 27 giugno 1447; 6955, 2 settembre 1459; 6963, 11 gennaio, 18 agosto e 11 dicembre 1468; 6980, 8 marzo 1472; 7001, cc. 84r, 156v; 7020, 26 settembre 1435 e 4 marzo 1436; 7021, c. 1r; 7022, c. 101r; 7025, cc. 8r, 41v; 7029, cc. 38v, 78r; 7030, c. 110v; 7031, 14 gennaio e 27 luglio 1450; 7040, c. 20r; 7049, 20 giugno 1453, 5 giugno 1456; 7051, cc. 47r, 48r, 106r; 7052, c. 295v; 10663 (anni 1482-1484); 14050, cc. 29r, 31r; 14052, c. 67v; 16734, cc. 119r, 136v; 16737, c. 123v; 16741, n. 51, c. 117v; 19266, c. 43r. Per un riferimento a Don Niccolò Pacioli cfr. anche J. R. Banker, The Culture of San Sepolcro during the Youth of Piero della Francesca, cit., p. 149. 5 ASF, Notarile Antecosimiano 7020, c.n.n. Su Don Francesco dei Franceschi cfr. J. R. Banker, The Culture of San Sepolcro during the Youth of Piero della Francesca, cit., pp. 135-136, 145-149.
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I rogiti relativi ad Ulivo o Olivo di Simone Pacioli, iniziano il 17 maggio 1444 con una sua testimonianza a Borgo e proseguono fino alla morte. Il 5 febbraio 1450 Ulivo sposò una benestante ragazza di nome Bartolomea, detta Angelesca, figlia di Pietro Simonucci, ricevendo in dote dallo zio della sposa, Cristoforo, tutto ciò che la ragazza aveva ereditato sia dal padre sia dal fratello Bartolomeo, entrambi già scomparsi. Come era avvenuto oltre vent’anni prima per il padre di Luca Pacioli, gli atti relativi furono anche in questo caso conclusi davanti a Ser Mario Fedeli, e nella casa di Cristoforo in Via Sant’Antonio. Nel quindicennio che seguì il loro matrimonio, Ulivo, il padre Simone ed Angelesca, probabilmente sempre o in gran parte col denaro della Simonucci, acquistarono diversi possedimenti: dei terreni nella Contrada delle Croci e del Rio, una vigna nella Contrada del Ponte da Bosso nei pressi del fiume Afra, una casa nella Contrada di Sant’Antonio; vendettero a loro volta un’altra casa in Via Borgo d’Afra, e delle terre nella Contrada delle Murelle e a Villa San Giustino che dovevano far parte dei beni di famiglia di Angelesca; ebbero delle proprietà anche a Gragnano. Sull’attività di Ulivo non abbiamo informazioni, sappiamo solo che, tra il 1465 ed 1469, fu consocio di Emilio di Cristoforo Pichi. Ulivo venne sepolto nella Badia il 19 settembre 1476. Dalla consorte aveva avuto un figlio di nome Pietro ed un altro morto in tenera età.1 La successiva generazione dei Pacioli è quella dei biscugini di Maestro Luca: Antonio e Bartolomeo di Masso, con la sorellina sepolta nel novembre 1453 in San Giovanni d’Afra,2 Pietro di Ulivo ed il fratellino scomparso nel giugno del 1468.3 Antonio, la sua seconda moglie, Pietro ed alcuni loro figli sono i parenti che Luca nominerà nei propri testamenti, assieme ai suoi due fratelli. Non vi farà invece alcun cenno a Bartolomeo col quale sembra che il minorita non avesse buoni rapporti, in base a quanto si legge in un documento del 2 giugno 1512,4 l’unico che abbiamo individuato su Bartolomeo. Antonio di Masso Pacioli, o più frequentemente Antonio di Masso di Barbaglia, comincia a comparire nel Notarile a partire dal 20 novembre 1497.5 A quel tempo, da un primo matrimonio, aveva già avuto una figlia 1 Appendice 1, documenti 24, 26, 28, 29, 35, 38, 39, 50, 60, 61, 68, 158. Su Ulivo e Angelesca cfr. anche ASF, Notarile Antecosimiano 298, c. 239r; 6955, 10 marzo 1459; 6959, 9 gennaio 1464; 6961, 6 agosto 1466; 6978, 11 settembre 1471; 7025, c. 68v (17 maggio 1444); 7042, c. 113v; 7054, carta sciolta, 17 novembre 1460; 12212, 1º giugno 1463 e 3 maggio 1469; 12218, cc. 17r, 22r; 16731, cc. 127v, 175v; 16726, cc. 2r, 11v-12r; 16729, c. 132r; 20709, cc. 16r, 223v, 235v e una carta sciolta tra le cc. 154 e 155. 2 ACS, Serie XXXII, 144, c. 152r. 3 Fu sepolto nella Badia: ACS, Serie XXXII, 145, c. 28v. 4 Appendice 1, documento 134. 5 Appendice 1, documento 113.
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di nome Maddalena ed un maschio di nome Masso. Due anni dopo Antonio sposerà Caterina, la figlia di Andrea di Salvestro o Vestro da Rasina. Questi, il 19 settembre 1499, nella camera di Maestro Luca del Convento francescano di Borgo, promise al futuro genero una dote di 25 fiorini ed un conveniente abito per la figlia, che il Vicario vescovile Lucantonio di Anghiari si impegnò a consegnare allo sposo entro un anno.1 Dal secondo matrimonio sembra che non siano nati figli. Antonio abitava con la famiglia in Via dei Cipolli, probabilmente nella vecchia casa che era stata dell’avo Paciolo, poi del nonno Antonio e del padre Masso. Come si legge in un rogito del 2 febbraio 1510, fu da Maestro Luca che Antonio di Masso ebbe in prestito 70 fiorini per la ristrutturazione della casa, oltre ad 80 fiorini per avviare un esercizio di pizzicagnolo e per l’acquisto della mercanzia.2 Con questo documento e con i testamenti di Luca del 1508, 1510 e 1511, un altro rogito del 7 ottobre 1503,3 su cui torneremo, vede Antonio assieme al frate minorita. Antonio morì prima del 28 aprile 1517.4 Pietro di Ulivo Pacioli, o Pietro di Ulivo Savoretti, dall’appellativo del nonno Simone, nacque tra il 1459 ed il 1464. All’inizio del 1484 sposò Caterina figlia di Giuliano Loli, residente a Borgo ma originario di Firenze, della zona di Boboli; il 31 gennaio di quell’anno, nella Chiesa della Badia, il Loli consegnò a Pietro la dote della promessa sposa. Già proprietario dei beni ereditati dal padre e dalla madre, tra cui la vigna che Angelesca aveva acquistato nella Contrada del Ponte da Bosso, nel 1490 e nel 1512 Pietro comprò altre terre nelle Contrade di Bocca di Cauli o Giardini e di Bocca d’Afra e un orto nella Contrada di Sant’Antonio. Proprio in relazione alla vigna ed ad un suo debito di 50 fiorini, lo incontriamo in più rogiti con Maestro Luca, oltre che nelle sue disposizioni testamentarie.5 Pietro fu padre di Angiola, Ambrogio, Ginepro e Olivo. Con i due figli di Antonio di Masso e con i quattro figli di Pietro di Ulivo arriviamo alla generazione dei cugini in terzo grado del Nostro. Di questi sei, solo Masso, sepolto nell’agosto 1495 in San Giovanni,6 ed Olivo non vengono nominati nei testamenti del borghigiano. 1 Cfr. ASF, Notarile Antecosimiano 19275, c. 78r. Cfr. B. Boncompagni, Intorno alle vite inedite di tre matematici, cit., p. 870; E. Ulivi, Luca Pacioli, cit., p. 26. 2 Appendice 1, documento 130. Cfr. G. Mancini, L’opera “De corporibus regularibus” di Pietro Franceschi, cit., p. 471; E. Ulivi, Luca Pacioli, cit., p. 31. 3 Appendice 1, documento 112. 4 Appendice 1, documento 151. Per altri documenti relativi ad Antonio di Masso cfr. ASF, Notarile Antecosimiano 13436, c. 123r; 13439, cc. 25v-26r; 19272, c. 58v. 5 Appendice 1, documenti 59, 91, 131, 132, 135, 145, 146. Inoltre ASF, Notarile Antecosimiano 6190, c. 102v. 6 ACS, Serie XXXII, 145, c. 118r.
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Su Maddalena di Antonio di Masso abbiamo informazioni fino al 28 aprile 1517, quando, orfana del padre e già coniugata, elesse un procuratore che si occupasse in particolare della sua dote.1 Angiola di Pietro di Olivo compare solo nel primo e nel secondo testamento di Maestro Luca. Ambrogio e Ginepro di Pietro furono anche loro frati minori nel Convento di Borgo, come gli omonimi fratelli di Maestro Luca. Più volte ricordati nelle disposizioni testamentarie del matematico, figurano entrambi in un già noto documento del 20 ottobre 1517 posteriore alla sua morte; si tratta della lettera che la Comunità di Sansepolcro scrisse a Maestro Mariotto, ministro della Provincia di San Francesco, affinché perdonasse i due giovani «fraticelli» per un’offesa da loro arrecata ad un confratello.2 Su Ginepro rimane un altro atto notarile del 6 luglio 1517,3 molto importante, come preciseremo, in relazione a Maestro Luca. Il 19 agosto 1522 un «Frater Zineprus Olivi Paccioli» fece parte del Capitolo che elesse come procuratore per il Convento di San Francesco il notaio Ser Pompeo Guelfi;4 è da ritenere che il frate in questione fosse quasi sicuramente lo stesso Ginepro di Pietro di Olivo, del quale il notaio avrebbe omesse il nome del padre, dal momento che non abbiamo alcuna notizia dell’esistenza di un terzo Ginepro, figlio di Olivo. Accanto a quello di Frate Ginepro, il documento del 6 luglio 1517 vede anche i nomi di suo fratello Olivo e del figlio di questi, Luca. Olivo di Pietro Pacioli, o Olivo di Pietro Savoretti, era già comparso col padre nel 1512, negli atti di vendita e di acquisto rispettivamente di terreni a Bocca d’Afra e in Sant’Antonio.5 Lo ritroveremo per l’ultima volta, arbitro di un compromesso, il 30 ottobre e 1º novembre del 1519.6 Con l’unico figlio di Olivo che abbiamo incontrato nei documenti, e dunque proprio col nome Luca, si conclude la nostra costruzione dell’albero genealogico della famiglia Pacioli. Non essendo stato possibile stabilirne l’esatta collocazione genealogica, dallo schema abbiamo escluso alcuni nomi di altri parenti del Nostro, per dichiarazione dello stesso matematico che ne parla nell’introduzione al Tractato del’architectura. Erano questi il capitano di ventura «Benedetto detto Baiardo mio stretto affine» ed il «suo e mio nipote Francesco Paciuolo», entrambi morti combattendo a Ragusa, dopo la battaglia di Scutari del 1478. Benedetto era stato addestrato all’uso delle armi dal 1 2 3 5
Appendice 1, documento 151. ACS, Serie V, 1, p. 272. D. I. Ricci, Fra Luca Pacioli, cit., p. 24; E. Ulivi, Luca Pacioli, cit., p. 31. Appendice 1, documento 129. 4 Appendice 1, documento 125. Appendice 1, documenti 145, 146. 6 Appendice 1, documenti 152, 153.
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condottiero Baldaccio di Anghiari ed ebbe a sua volta molti allievi e seguaci; prestò servizio al soldo di Alfonso II re di Napoli, del Pontefice Niccolò V che fu papa tra il 1447 ed il 1455, dei fiorentini e dei veneziani. Alla sua morte, aggiunge Pacioli, il Baiardo lasciò la vedova Elisabetta ed il figlio «Baldanzonio dato al viver civile», che dunque non seguì, come il padre, la carriera militare.1 Su Francesco non possediamo altre informazioni; probabilmente, era un biscugino di Maestro Luca. Di Benedetto il Boncompagni scrisse che si trattava di uno zio del Nostro,2 ma l’affermazione non è suffragata da alcun documento. Il Taylor, sulle orme del Boncompagni, aggiunse arbitrariamente che il Baiardo doveva essere uno zio materno di Luca.3 Diversi atti notarili da noi rintracciati confermano parte di quanto riferisce su di lui il Pacioli, aggiungendo ulteriori notizie. Benedetto, di fatto soprannominato Baiardo, era figlio di Antonio Baiardi4 o di Baiardo. Il 15 gennaio 1469 il valoroso e già noto condottiero si unì in matrimonio con Isabetta o Elisabetta, figlia di un Maestro Iacopo da Padova: il notaio era il solito Ser Mario Fedeli che rogò anche gli atti matrimoniali di Bartolomeo Pacioli e di suo nipote Olivo di Simone. Poco dopo lo sposalizio, nell’ottobre dello stesso anno, il Baiardo, già capitano al servizio della Signoria di Firenze, comprò un orto nella Contrada dell’Ospedale di Santa Maria del Fondaccio, mentre nel 1474 permutò una casa situata in Via degli Abbarbagliati con un’altra casa ed un casalino nella zona ad est del Quartiere di San Giovanni. L’an1 Divina proportione, cit., Parte prima, cc. 23v-24r. Incerta risulta l’appartenenza alla famiglia di Maestro Luca di altri Pacioli che incontriamo nei registri notarili di Sansepolcro dell’ASF. Un Checco «olim Pacioli» da Villa Pocaria figura il 27 luglio 1412 nel Notarile Antecosimiano 14053. Un Andrea di Giovanni Pacioli si trova come testimone di un atto del 25 gennaio 1425 riportato nel Notarile Antecosimiano 19282, c. 58r. Probabilmente lo stesso Andrea Pacioli da Borgo, già presente per una testimonianza il 25 marzo 1417 nel Notarile Antecosimiano 7141, compare l’8 febbraio 1432 nelle disposizioni testamentarie di Lorenzo di Niccolò Bercordati, come lavoratore delle sue terre di Villa Pocaria: Notarile Antecosimiano 7053 (anni 1414-1439), n. 25, cc. 12v-13r; 14047, cc. 11v, 47v; 19282, c. 96v. Iacopo o Iacopuccio Pacioli, i suoi fratelli Matteo e Biagio Pacioli, tutti da Rocca Cinghiata, la moglie di Iacopo, Angela di Santi da Roncalone e Nesa di Biagio Pacioli, sono presenti in diversi atti rogati tra il 1389 ed il 1416: Notarile Antecosimiano 7112, cc. 2698r-2698v, 2772r; 7122, c. 4098v; 7127, c. 4293r; 7136, 5 febbraio 1413; 7137, 21 luglio 1414; 7140, 6 agosto 1416. Iacopo Pacioli, Fabrizio e Iacopo di Marco Pacioli da Sigliano, figurano negli anni 1409 e 1497 nel Notarile Antecosimiano 7149 (anni 1405-1409), n. 30 e nel 19273, cc. 52r-52v. 2 B. Boncompagni, Intorno alle vite inedite di tre matematici, cit., p. 415. 3 R. E. Taylor, No Royal Road: Luca Pacioli and his times, cit., pp. 11, 77, 155, 270-271. 4 Potrebbe trattarsi di Antonio di Paolo Baiardi, un mugnaio citato in un documento del 12 agosto 1415: ASF, Notarile Antecosimiano 19282, c. 57r. Paolo ed il fratello Bartolo di Baiardo sono presenti in rogiti del 1399, 1401, 1406 e 1410: ASF, Notarile Antecosimiano 6875, 29 ottobre 1399; 7122, c. 4078v; 7128, cc. 4786v, 4816r; 7132, 26 marzo 1410. Un rogito del 13 marzo 1477 riguarda altri Baiardi di Borgo, Niccolò e Mattea figli dello scomparso Arcano Baiardi e di una Monna Marchigiana: ASF, Notarile Antecosimiano 19254, c. 17v.
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no prima sua moglie Elisabetta aveva acquistato anche un terreno probabilmente nella Villa di Gricignano del Distretto di Borgo.1 Il figlio che Benedetto ebbe da Elisabetta si chiamava Baldantonio. Lo troviamo a Borgo come testimone di tre atti notarili riguardanti Maestro Luca, il 21 ottobre 1490, il 17 febbraio 1503 e l’11 dicembre 1506, e per una testimonianza prestata il 30 giugno 1500 ad una ‘Tregua’ tra Pierfrancesco di Giuliano Ciaci ed i figli di Conte di Folco dei Bofolci.2 La famiglia Bofolci o Bofulci fu evidentemente in relazione con i Baiardi ed ebbe come ben noto uno stretto legame con i Pacioli, anche se non sembra che fosse unita a questi da vincoli di parentela. Il padre di Conte, Folco di Giovanni di Canti, fu infatti presente all’atto del 14 marzo 1427 nel quale Bartolomeo Pacioli dichiarò di aver ricevuto la dote dal padre della promessa sposa Maddalena di Francesco Nuti. Maestro Luca, nel suo primo testamento del 1508, ricorderà con affetto la casa dei Bofolci come quella che «in pueritia me nutrì e alevò», nominando il Reverendo Messer Folco dei Bofolci, sia in quello che nei due successivi, suo esecutore testamentario. Della famiglia Bofolci, una delle più illustri e benestanti di Sansepolcro, rimangono innumerevoli documenti nel Notarile Antecosimiano, individuati a partire da un rogito del 13943 relativo a Giovanni di Canti, la cui scomparsa si colloca prima del 1421. Giovanni ebbe un maschio di nome Folco ed una figlia di nome Bianca che sposò Don Andronico dei Malatesti da Rimini e che morì verso 1458.4 Come si deduce da un documento del 1401, Folco nacque verso il 1387/89; fece testamento il 10 febbraio 1456 lasciando eredi i figli Piergentile e Conte, e la moglie Nicolosa di Lorenza di Nanni; morì tra la primavera del 1458 e la primavera del 1460, mentre la sua vedova era ancora in vita nel 1469.5 Folco di Giovanni di Canti ed il padre di Luca Pacioli, dunque, forse pressoché coetanei, morirono a poco tempo di distanza l’uno dall’altro. Folco di Giovanni, Piergentile e Conte di Folco rivestirono a Borgo importanti uffici pubblici. Folco fece parte del gruppo dirigente della città e ne fu anche ambasciatore tra il 1440 ed il 1444.6 Piergentile fu tra i Conservatori di Borgo nel marzo del 1469.7 Conte, che morì tra il febbraio ed il maggio del 1 Appendice 1, documenti 44, 55, 65, 69. 2 Appendice 1, documenti 89, 101, 122, 124. 3 ASF, Notarile Antecosimiano 11187, 19 dicembre 1394. 4 ASF, Notarile Antecosimiano 75, c. 19r. 5 ASF, Notarile Antecosimiano 75, cc. 19r-19v, 21r, 26r, 39v, 43r; 6875, 17 marzo 1401; 7038, c. 119r; 7039, 30 maggio e 9 giugno 1460; 7052, n. 71 (testamento di Folco di Giovanni Canti); 7054 (anni 1450-1459), n. 13; 16731, cc. 95v, 131r. 6 G. G. Scharf, Borgo San Sepolcro a metà del Quattrocento, cit., pp. 182, 218, 235, 246-247, 264, 271, 275, 291. 7 ASF, Notarile Antecosimiano 7050, 1º marzo 1469.
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1499, almeno nell’ultimo periodo della sua vita ebbe l’incarico di Priore della Confraternita di San Bartolomeo;1 fu anche tra i Gonfalonieri di Giustizia di Sansepolcro, come sarà durante la prima metà del Cinquecento per i suoi figli Camillo, Bernardo o Bernardino, Piergentile e Giovannicanti.2 Oltre a questi, Conte ebbe altri tre figli: Alessandro, Geronimo e Folco. Don Folco di Conte, il Bofolci citato da Maestro Luca nei suoi testamenti e presente in diversi atti notarili del francescano, seguì la carriera religiosa come «presbiter secularis et sacrorum canonum professor».3 Tra il 1479 ed il 1516 lo incontriamo più volte in rogiti familiari assieme al padre ed ai fratelli, spesso nelle vesti di priore e rettore delle Chiese di Santa Lucia di Celle, Sant’Angelo a Latignano, San Biagio a Gricignano e Santa Trinita di Bulciano, tutte nel Distretto di Città di Castello; fu inoltre priore della Compagnia di Santa Caterina di Borgo. Di Folco, che sopravvisse a Luca Pacioli, abbiamo notizia fino all’ottobre del 1518.4 I. 2. Luca Pacioli a Sansepolcro I. 2. 1. La nascita e la prima giovinezza (1446/48-1466) La data di nascita di Luca Pacioli a Sansepolcro è stata fino ad oggi collocata attorno al 1445/50 sulla base di alcune informazioni biografiche in gran parte riferite dallo stesso frate e legate agli anni della sua giovinezza. La mancanza dei relativi Registri battesimali di Borgo non permette la precisa individuazione di quella data, ma due atti notarili ora reperiti ne forniscono l’approssimativa conoscenza con un margine di due anni, ossia tra l’ottobre del 1446 e l’ottobre del 1448. Tali documenti, i primi at1 ASF, Notarile Antecosimiano 12236, c. 36r. 2 Filippo Villani, Le vite d’uomini illustri fiorentini, Firenze, Sansoni Coen, 1847: «Appendice alla Cronaca di Alessandro Goracci», pp. 256, 260, 262-266. 3 ASF, Notarile Antecosimiano 6847, 9 maggio 1507, 29 ottobre 1513. 4 Cfr. in particolare ASF, Notarile Antecosimiano 6191, cc. 12r, 13r, 21r, 28v, 32v, 35r-38r, 46r46v, 117r, 137v-138v, 161r-163r; 7157, cc. 74v-75r, 76v-77r; 12724, c. 160r; 16738, c. 88r; 16740, 26 gennaio 1488; 17900, n. 69; 19255, c. 20v. Per altri documenti riguardanti la famiglia Bofolci si vedano: ASF, Notarile Antecosimiano 75, c. 14v; 6190, cc. 106r, 112v; 6951, 6 giugno 1442, 9 ottobre 1450; 7005, c. 11v; 7010, cc. 96r, 100r; 7044, c. 56r; 7048, 21 marzo 1446; 7138, 3 settembre 1415; 7156, c. 35v; 12222, c. 53v; 12225, c. 87r; 12227, n. 105; 12233, c. 249r; 12243, c. 215r; 12248, cc. 155r-155v; 12251, c. 233r; 12724, cc. 18r-18v, 87r-87v, 100v, 124v-125r, 194v, 259v; 12731, n. 68; 12736, c. 28r; 13436, c. 137r; 13439, cc. 52v-53v, 97v, 105v-106r; 13440, cc. 52v-53v; 14049, 18 ottobre 1437; 16724, cc. 10r-10v, 18v, 100r, 115v-117v; 16736, cc. 127v-128r; 16737, c. 110v; 16738, c. 33r, 38v, 69v, 70v-71r, 73r, 161v-162r; 17896, 2 gennaio 1501, 12 dicembre 1513; 19262, cc. 17r-17v; 19267, c. 56v; 19272, c. 64v; 19276, c. 40v; 19277, c. 104r; 19281, cc. 64r-65r; 19290, 24 maggio 1422; 19294, 22 novembre 1424; 19296, 11 maggio 1426; 19298, 10 gennaio e 16 giugno 1428; 19299, 31 maggio 1429; 19303, 5 dicembre 1436; 19307, cc. 36r-36v; 19312, 10 ottobre 1441.
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tualmente noti su Luca, risalgono al 20 e 22 ottobre 1466 e furono rogati nella cancelleria del Palazzo comunale di Borgo da un notaio di famiglia dei Pacioli, Ser Mario Fedeli. Il 20 ottobre, il giovane Luca «adultus maior annorum XVIII minor tamen XX annorum», alla presenza e con il consenso del fratello maggiore Frate Ginepro, trasferì al conterraneo Barfuccio di Iacopo Cecchi «omnia iura et actiones … in domo dicti Luce», a suo tempo appigionata al defunto Maestro Antonio di Piero di Bartolo di Pace;1 il Barfuccio si dichiarò successivamente debitore di Luca in ragione di sei lire cortonesi.2 Due giorni dopo, questa volta col consenso e la presenza anche dell’altro fratello Frate Ambrogio, al prezzo di trentadue fiorini e mezzo, Luca vendette a Francesco di Meo Rossi unam domum sitam in Burgo, in Asgio de Cipollis, iuxta rem dicti emptoris et rem Gori Mei de Cipollis et rem Antonii Laurentii Mathei Marci et viam publicam, vel alio fines … . 3
Era forse la stessa casa che il padre di Luca, Bartolomeo Pacioli, aveva acquistato nel 1430, dopo tre anni di matrimonio, con 17 fiorini della dote della moglie Maddalena di Francesco Nuti, oppure era una vicina e più ampia abitazione comprata in tempi successivi. Fu in ogni caso in Via dei Cipolli che avvenne la nascita del futuro matematico e dei suoi fratelli, e fu lì che Luca trascorse la sua infanzia.4 Rimane invece un dubbio sul fatto che Maddalena sia stata la madre del Nostro, che le sarebbe nato dopo circa vent’anni di unione con Bartolomeo. Non siamo peraltro a conoscenza di un secondo matrimonio del padre di Luca. Bartolomeo morì nel gennaio del 1459, quando Luca aveva attorno agli undici-tredici anni. Fu così che il ragazzo, probabilmente orfano di entrambi i genitori, dovette essere affidato alla tutela dei ricchi Bofolci, Folco di Giovanni di Canti e i suoi figli Piergentile e Conte. Non è improbabile che Bartolomeo avesse lavorato alle loro dipendenze. A Sansepolcro rimane ancora una strada intitolata ai Bofolci, proprio nei pressi di Via dei Cipolli; la casa di Conte e dei suoi eredi, che «nutrì e alevò» il Pacioli, da due atti notarili, risultava alla fine del Quattrocento e nel primo Cinquecento nella Contrada della Palazzetta e nella Strada del Rio.5 1 Appendice 1, documento 40. 2 Appendice 1, documento 41. 3 Appendice 1, documento 42; cfr. anche il documento 43. 4 In accordo con quanto si è spesso scritto e tramandato senza tuttavia nessun riferimento documentario cfr. ad esempio Mario Pancrazi, Luca Pacioli, la “Summa” e la matematica del ’400, Sansepolcro, Arti Grafiche, 1992, ripubblicato in Mario Pancrazi, Fra Luca Pacioli e il fascino delle “matematiche”, cit., p. 31. All’inizio di Via dei Cipolli è stata apposta una lapide che ricorda l’illustre concittadino. 5 ASF, Notarile Antecosimiano 7156, c. 132v; 12730, cc. 132r-132v.
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L’atto di vendita della casa di famiglia nell’ottobre del 1466, quando i fratelli erano già frati nel convento di Borgo, è posteriore ad una presenza di Luca a Ferrara il 23 aprile 1466 durante la festa di San Giorgio, e si colloca o precedentemente al primo soggiorno del Pacioli a Venezia o con maggiore probabilità in una parentesi di quegli anni giovanili in cui il borghigiano fu presso la Serenissima ospite e al servizio del facoltoso mercante Antonio Rompiasi. A Venezia, Luca ebbe modo di viaggiare su navi mercantili, per conto del Rompiasi, forse già dal 1464 e con la funzione di contabile; allo stesso tempo approfondì i propri studi matematici alla Scuola di Rialto, sotto la guida di Domenico Bragadin, occupandosi anche dell’educazione dei figli del mercante, Bartolomeo, Francesco e Paolo. A questi dedicò nel 1470 la sua prima opera di aritmetica ed algebra, un trattato a noi sconosciuto. I. 2. 2. Frate e maestro di teologia (1471-1490) Lasciata la città lagunare, prima o dopo alcuni mesi trascorsi a Roma al tempo del pontificato di Paolo II, e in casa di Leon Battista Alberti, il Pacioli ritornò a Borgo per prendere i voti nel Convento di San Francesco. Qui, il 26 febbraio 1471, incontriamo infatti Frate Luca assieme al fratello Frate Ambrogio testimone nell’elezione dei Consoli dell’Arte della Lana, che si svolse nel refettorio.1 Si tratta del più antico documento a tutt’oggi noto che vede il Pacioli già in abito francescano davanti al notaio Ser Francesco Pichi. Nei primi anni Settanta, ritroveremo Luca a Borgo altre due volte: nella camera del fratello Ginepro, allora guardiano del convento minoritico, come testimone di un atto di donazione fatto dalla Società delle Laudi e rogato il 20 agosto 1472 da Ser Leonardo Fedeli;2 in una cella del convento, presente, ancora con Maestro Ginepro e Frate Ambrogio, alla redazione del testamento di un Salvo di Santi di Giovanni, che fu stilato dal Pichi l’11 agosto 1473.3 I successivi rogiti si riferiscono ai periodi trascorsi dal Pacioli a Sansepolcro negli anni Ottanta. L’11 luglio 1480 Frate Luca fu testimone di un rogito stilato nel chiostro del convento di Borgo.4 Il matematico aveva appena concluso il suo primo incarico presso lo Studio di Perugia come insegnante pubblico di abaco, ossia di aritmetica e geometria, che svolse dal novembre 1477 al giugno 1480. Risale a quel periodo la stesura del Tractatus mathematicus ad discipulos perusinos, compilato tra il 12 dicembre 1477 e il 29 aprile 1478 1 Appendice 1, documento 62. 3 Appendice 1, documento 82.
2 Appendice 1, documento 56. 4 Appendice 1, documento 72.
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e conservato manoscritto presso la Biblioteca Apostolica Vaticana.1 La testimonianza del luglio 1480 precede il viaggio di Pacioli a Zara, in Dalmazia, dove nel 1481 il frate compose una terza opera di aritmetica ed algebra, anche questa non pervenutaci, e che sembra fosse più ampia e completa delle due precedenti. Tra l’estate del 1480 e l’estate del 1484 Luca conseguì il titolo di professore di teologia. Risalgono infatti al 1484 e 1485 due rogiti di Ser Ranieri Boddi e quattro rogiti del Pichi dove il matematico e teologo francescano è ormai citato come «Magister sacre pagine professor». Il 20 settembre e 19 dicembre 1484 Maestro Luca compare col ruolo di guardiano del suo convento, nei testamenti di due vedove, Nera di Pietro di Veltre e Checca di Vieri Giontini, entrambe terziarie francescane laiche.2 L’8 gennaio 1485, Maestro Luca e gli operai del convento si occuparono dell’affitto a Francesco di Paolo Savelli di alcuni terreni appartenente ai frati di San Francesco.3 Il 7 febbraio, assieme ai confratelli e ancora nelle vesti di loro guardiano, Pacioli concesse a Bartolomeo di Iacopo dei Rossi il patronato dell’Altare di San Bonaventura, già intitolato a San Cristoforo, ed il suolo antistante per il suo sepolcro, annullando poi un atto di donazione fatto agli stessi frati da tale Leonarda di Piero Bencivenni, un’altra pinzochera del terzo ordine.4 Il 15 maggio 1485 il frate partecipò, con voto contrario, all’elezione di due sindaci del convento, Ser Iacopo di Tommaso Guelfi e Bernardo di Niccolò Mercati.5 I documenti del 1485 si collocano prima di un soggiorno del Pacioli a Firenze, che precede a sua volta la seconda condotta del matematico nello Studio perugino, dove Maestro Luca insegnò dal maggio 1487 all’aprile 1488. Il 16 febbraio 1488, il Nostro si trovava tuttavia di nuovo nella vicina Sansepolcro davanti al notaio Ser Ranieri Lucarini, con la testimonianza di Conte di Folco dei Bofolci, per effettuare un deposito di 44 fiorini e sei ducati veneti presso i Priori della Società delle Laudi di Santa Maria della Notte, che Maestro Luca nominò poi suoi procuratori.6 Un successivo atto rogato da Ser Bartolomeo Manfredini il 5 luglio 1489 parlerà ancora di quel deposito, precisando che una parte di esso, 30 fiorini, dopo la scomparsa del Pacioli, avrebbe dovuto essere consegnato ai frati di San Francesco per l’acquisto di paramenti, calici ed altre masserizie utili al convento.7 1 Nel codice Vat. lat. 3129. Cfr. Luca Pacioli , Tractatus mathematicus ad discipulos perusinos, a cura di Giuseppe Calzoni, Gianfranco Cavazzoni, Perugia, Delta Grafica, 2007. 2 Appendice 1, documenti 84 e 85. 3 Appendice 1, documento 74. 4 Appendice 1, documenti 75 e 76. 5 Appendice 1, documento 77. 6 Appendice 1, documenti 86 e 87. 7 Appendice 1, documento 90.
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Nel 1489 il borghigiano ricoprì un incarico come pubblico lettore di matematica a Roma, dove nell’aprile di quell’anno, durante una visita al palazzo del Cardinale Giuliano della Rovere, Luca ebbe occasione di mostrare alcuni modelli di solidi da lui costruiti a Guidobaldo I, duca di Urbino, giunto nella città eterna per rendere omaggio al nuovo pontefice Innocenzo VIII. Cinque anni dopo sarà lo stesso Pacioli a raccontare questi episodi nella Summa de arithmetica, geometria, proportioni et proportionalità, la cui lettera dedicatoria a Guidobaldo riferisce anche di un altro suo incarico didattico nel Ginnasio di Napoli, pur senza indicarne il relativo periodo.1 Considerando le presenze di Maestro Luca a Borgo, Perugia e Roma, le sue frequentazioni ed il suo insegnamento a Napoli «per più mesi», è verosimile che il matematico abbia occupato la cattedra partenopea quanto meno in un periodo compreso tra l’aprile 1488 e l’aprile 1489, oppure dopo la stesura del rogito del 5 luglio 1489 e prima di un successivo documento del 21 ottobre 1490, quando il frate, ancora nelle vesti di guardiano del Convento di San Francesco, fu convocato da Ser Bartolomeo Lucarini per concedere una licenza alla pinzochera del Terzo Ordine Margherita di Giovanni Rondoli.2 I. 2. 3. «Numptium spetialem» (1491-1500) Sono diversi i documenti su Pacioli a Sansepolcro relativi agli anni 14911493 e 1497-1500. Per il primo triennio, alcuni documenti conservati presso l’Archivio generale dei Minori francescani attestano una controversia tra il frate ed il ministro generale del suo ordine.3 Gli altri sono atti notarili. In due rogiti del 23 giugno e 30 settembre 1491, fatti da Ser Niccolò Fedeli nel Convento di San Francesco, Luca figura prima come testimone poi tra i partecipanti al Capitolo dei frati che elessero loro procuratore il confratello Frate Roberto di Matteo da Borgo.4 L’anno successivo 1492 lo troviamo davanti ai notai Ser Cristoforo Sisti e Ser Francesco Pichi, il 29 maggio sempre nel Capitolo francescano per la nomina del notaio Iacopo di Tommaso Guelfi come nuovo amministratore del Convento,5 il 22 settembre e l’8 dicembre per due testimonianze rese nel1 Cfr. Summa de arithmetica, geometria, proportioni et proportionalità, Venezia, Paganino de’ Paganini, 1494 (Edizione promossa dalla ‘Fondazione Piero della Francesca’. A cura di Enrico Giusti, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma, 1994): Epistola dedicatoria, c. 2v; Parte seconda, cc. 68v, 74v. 2 Appendice 1, documento 89. 3 Cfr. B. Boncompagni, Intorno alle vite inedite di tre matematici, cit., p. 406; E. Ulivi, Luca Pacioli, cit., pp. 24-25. 4 Appendice 1, documenti 104 e 105. 5 Appendice 1, documento 94. Cfr. G. Mancini, L’opera “De corporibus regularibus” di Pietro Franceschi, cit., p. 472; E. Ulivi, Luca Pacioli, cit., p. 24.
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la sede dei Maestri Conservatori e nel Palazzo comunale di Sansepolcro.1 Il 18 aprile 1493, con un rogito di Ser Ranieri Lucarini, i frati del Convento di Borgo nominarono procuratorem, actorem, factorem, negotiatorem … et certum numptium spetialem Reverendum et sacre pagine professorem Magistrum Lucam Bartolomei de dicto Burgo … fratrem dicti conventus, presentem et acceptantem, ad comparendum coram eorum Generali et protectore et Ministro quocunque cuiuscunque provincie Sancti Francisci et quocunque Capitulo generali et provintiali et Summo Pontifice et quocunque domino et dominio temporali et spirituali … et ad videndum … rationem administrationis dicti Conventus Sancti Francisci de dicto Burgo et omnium rerum et bonorum dicti conventus … .2
Quattro giorni dopo, il 22 aprile, Frate Luca comparirà assieme al Padre Simone Graziani, abate del Monastero camaldolese di San Giovanni Evangelista di Borgo, in un atto pervenutoci in forma incompleta e rogato dal Sisti nella stessa Badia.3 Infine il 27 maggio 1493 i Priori della Società delle Laudi, alla presenza di Ser Niccolò Fedeli, restituirono al Pacioli oltre 550 lire di un suo precedente deposito; l’atto fu stilato nel Convento di San Francesco «in camera de puteo suprascripti Magistri Luce, posita in dicto convenctu et iuxta viridarium et alias fines».4 Gli atti notarili degli anni 1491-1493 precedono alcuni viaggi del Pacioli a Padova, Assisi, forse nuovamente ad Urbino, ed il secondo soggiorno di Maestro Luca a Venezia, al tempo della pubblicazione della Summa, edita nella città lagunare da Paganino de’ Paganini il 10 novembre 1494. Uno dei periodi più importanti nella vita del Pacioli fu quello trascorso a Milano tra il 1496 ed il 1499, «ali stipendi» di Ludovico Maria Sforza, detto il Moro, in qualità di pubblico lettore di matematica presso le Scuole palatine. Risale a quegli anni la stesura del Compendio de la divina proportione, pubblicato nel 1509. Il trasferimento di Maestro Luca a Milano è da ritenere immediatamente successivo ad una sua testimonianza prestata l’8 settembre 1496 nella residenza del Capitano di Borgo ad un atto del notaio Ser Cristoforo Sisti.5 Durante e dopo gli anni vissuti a Milano, Frate Luca lasciò diverse testimonianze di suoi rientri a Borgo, come risulta da rogiti del medesimo Sisti, di Ser Girolamo Lucherini e di Ser Niccolò Fedeli. Nel 1497 il matematico assegnò due procure, il 12 luglio e 14 dicembre, a Don Ambrogio di Giovanni Menci e a Luchino di Meo Luchini de Du1 Appendice 1, documenti 78 e 79. 2 Appendice 1, documento 88. 3 Appendice 1, documento 95. Cfr. G. Mancini, L’opera “De corporibus regularibus” di Pietro Franceschi, cit., p. 472; E. Ulivi, Luca Pacioli, cit., p. 24. 4 Appendice 1, documento 106. 5 Appendice 1, documento 96.
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ris, e il 23 novembre concesse l’affitto a Maestro Bernardino Sensi della Cappella di San Bernardino della Chiesa di San Francesco.1 Qui, il 6 agosto ed il 4 settembre dello stesso anno, Francesco di Iacopino di Ser Francesco e sei terziarie francescane pronunciarono la loro professione di fede davanti al guardiano Maestro Luca, che il successivo 10 ottobre fu dichiarato creditore, con i frati del Convento e dell’Opera di San Francesco, di un Agostino di Biagio Ghiselli.2 Nel 1499 abbiamo ancora due procure del Pacioli, una del 10 ottobre a Giovanfrancesco di Lorenzo dei Capucci e a Ludovico di Antonio Longari e una precedente, del 19 settembre, a tale Paolo Antonio da Città di Castello; nello stesso giorno – come abbiamo già ricordato – la cella di Frate Luca nel Convento di San Francesco fu la sede di un rogito riguardante la dote di Caterina, figlia del suo biscugino Antonio di Masso Pacioli;3 un documento del 7 ottobre parla di una revisione di conti che il Padre Marino da Nocera, allora guardiano del convento, avrebbe dovuto presentare al Pacioli.4 La conseguente vertenza pecuniaria portò il 9 febbraio del 1500 alla nomina di due arbitri da parte di Maestro Luca e dello stesso Frate Marino, rappresentante del convento:5 erano Baldino di Don Benedetto Graziani ed il dottore in legge Bartolomeo di Antonio di Benedetto dei Franceschi. Il relativo lodo riconobbe lo stesso convento debitore di Frate Luca, al quale si stabilì pertanto che Ludovico di Iacopo di Vico e Geronimo di Checco Garzi, due affittuari dei frati francescani, pagassero per un anno i propri canoni di locazione, con due atti del 18 febbraio 1500,6 rogati nella Piazza di San Francesco e nella bottega dove si pesavano il grano e la farina. Nell’estate dello stesso anno ritroviamo più volte Maestro Luca nel palazzo del Capitano di Borgo, il 29 e 30 giugno, il 7 e 10 luglio nel ruolo di testimone di quattro rogiti,7 ancora il 29 giugno nelle vesti di Commissario del Padre generale dell’ordine come mandante di un precetto al confratello Frate Roberto di Matteo Nanni, al quale fu ordinato il rientro nel convento di Sansepolcro, pena la scomunica.8 1 ASF, Notarile Antecosimiano 19273, cc. 63v, 112v, 132r. B. Boncompagni, Intorno alle vite inedite di tre matematici, cit., p. 869; E. Ulivi, Luca Pacioli, cit., p. 26. 2 Appendice 1, documenti 97-99. 3 ASF, Notarile Antecosimiano 19275, cc. 78r-78v, 87v. B. Boncompagni, Intorno alle vite inedite di tre matematici, cit., p. 870; E. Ulivi, Luca Pacioli, cit., p. 26. 4 Appendice 1, documento 100. Cfr. G. Mancini, L’opera “De corporibus regularibus” di Pietro Franceschi, cit., p. 4467; E. Ulivi, Luca Pacioli, cit., p. 26. 5 Appendice 1, documento 144. 6 ASF, Notarile Antecosimiano 19276, c. 45r. B. Boncompagni, Intorno alle vite inedite di tre matematici, cit., p. 870-871; E. Ulivi, Luca Pacioli, cit., p. 26. 7 Appendice 1, documenti 107-110. 8 ASF, Notarile Antecosimiano 19276, c. 99v. B. Boncompagni, Intorno alle vite inedite di tre matematici, p. 871; E. Ulivi, Luca Pacioli, cit., p. 26.
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I. 2. 4. I privilegi apostolici (1503-1510) Alla parentesi borghigiana e ad un nuovo presunto incarico a Perugia nel 1500, fece seguito un altro lungo periodo di attività didattica di Pacioli, questa volta a Firenze, dove tenne la cattedra di matematica presso lo Studio fiorentino e pisano dal novembre del 1500 all’ottobre del 1506. Al tempo stesso, il maestro ebbe anche una nomina, che probabilmente non accettò, per la lettura di matematica all’Università di Bologna nell’anno accademico 1501-1502, e fu poi eletto ministro provinciale di Romania il 26 maggio 1504. Anche il soggiorno fiorentino fu intervallato e seguito da diversi momenti del francescano a Sansepolcro. Nel 1503 Luca stipulò numerosi rogiti nella residenza della Compagnia delle Laudi, con il notaio Ser Guasparri Righi. Il 16 febbraio effettuò un deposito di 130 fiorini che consegnò a due suoi procuratori, entrambi priori della stessa società, Lorenzo di Antonio Fedeli e Iacopo di Paolo da Coldarco, dando poi un’altra procura a un Don Rosello di Francesco ed a Frate Cristoforo di Ambrogio da Monte, che verrà rinominato il successivo 10 ottobre;1 il 17 febbraio Luca compare come creditore di Ludovico di Antonio Longari, Bartolomeo di Santi Menci e dei confratelli Frate Pace di Bernardino da Monte, Frate Cristoforo da Monte e Frate Pasquasio di Iacopo Banocci;2 il 27 luglio, nella sacrestia della Chiesa di San Francesco, il maestro farà parte del Capitolo che si riunì per discutere in merito all’eredità di tale Barnabeo di Giovanni Parlanti da Città di Castello.3 Il 7 ottobre sempre del 1503 un altro notaio, Ser Angelo Fedeli, incontrerà Frate Luca ed Antonio di Masso Pacioli nella sede dei Maestri Conservatori per rogare una reciproca promessa con un Giovanfrancesco di Guidone Baldinetti.4 Nel 1506 ritroveremo per due volte il Pacioli a Sansepolcro, ancora con Ser Righi e nella bottega di Princivalle dei Righi, proprietà della Badia di Borgo, poco prima dello scadere del suo incarico presso lo Studio fiorentino, e poco dopo: il 23 agosto per assegnare una procura al dottore in legge Don Ladislao e al notaio Ser Bernardino di Francesco Renovati,5 che rogherà il secondo testamento di Pacioli; l’11 dicembre per revocare una precedente procura a Frate Cristoforo, che fu sostituito da un Frate Francesco.6
1 Appendice 1, documenti 114-116, 121. 3 Appendice 1, documento 120. 5 Appendice 1, documento 123.
2 Appendice 1, documenti 117-119. 4 Appendice 1, documento 112. 6 Appendice 1, documento 124.
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Quello compreso tra la fine del 1506 e l’agosto del 1508 rimane un periodo oscuro della vita di Luca Pacioli, del quale non possediamo documenti né a Sansepolcro né altrove. Le notizie biografiche sul borghigiano riprendono dall’11 agosto 1508, giorno in cui il minorita, nella Chiesa di San Bartolomeo di Rialto a Venezia, lesse una prolusione al Quinto Libro degli Elementi, che venne poi inserita nella sua edizione latina del testo euclideo. Il matematico – forse dopo un viaggio nella sede pontificia – doveva trovarsi nella città lagunare già da qualche tempo, essendo datata 12 agosto 1508 una lettera di ringraziamento spedita al Pacioli a nome del Gonfaloniere fiorentino Pier Soderini, per aver comunicato l’ambasciata di un tale Zaccaria Contarini. Il successivo 9 novembre il borghigiano redasse a Venezia il suo primo testamento. Luca rimase ospite della Serenissima fino al 1509, anno di edizione della Divina proportione e degli Elementi, opere per le quali aveva chiesto il privilegio di stampa al Doge il 29 dicembre 1508, come fece anche per una nuova edizione della Summa, che si avrà solo nel 1523 a Tuscolano sul Garda, per il De viribus quantitatis e per un De ludo schacorum che rimarranno invece manoscritte.1 Tra il dicembre del 1509 e l’ottobre del 1510 diversi documenti attestano il rientro di Pacioli a Borgo. Alcuni, di già noto contenuto ed inerenti alla vita religiosa del Nostro, riguardano i privilegi personali che Giulio II concesse al minorita con una o più bolle emanate nel 1508, e la nomina di Maestro Luca a Commissario del convento di Sansepolcro, il 22 febbraio 1510, con la concessione di ulteriori privilegi, cose che gli procurarono l’opposizione e l’ostilità dei confratelli.2 Oltre a questi abbiamo anche diversi atti notarili, tra cui il secondo testamento del frate. Il 30 gennaio 1510, nell’ufficio del giudice del Capitano di Borgo, davanti a Ser Uguccione Dolci, Ambrogio, Andrea e Bernardino Guerra da Monte, a nome dei loro familiari tra i quali Frate Cristoforo e Frate Pace, figli rispettivamente di Ambrogio e Bernardino, due confratelli di Luca che abbiamo incontrato in precedenti documenti, fecero solenne promessa di tregua in una controversia evidentemente in atto con Maestro Luca; il frate ne respinse tuttavia la promessa il giorno successivo.3 Il 2 febbraio 1510, nella casa in Via dei Cipolli di Antonio di Masso Pacioli, alla presenza di Ser Bernardino Matteucci e di diversi testimoni tra cui Folco dei Bofolci, lo stesso Antonio di Masso e Pietro di Ulivo Pacioli, con tre atti notarili, si dichiararono debitori del biscugino Luca;4 come pegno dei cinquanta 1 Cfr. le note 3 e 4 di p. 44. 2 E. Ulivi, Luca Pacioli, cit., p. 28. 3 Appendice 1, documenti 127 e 128. 4 Appendice 1, documenti 130-132, segnalati in G. Mancini, L’opera “De corporibus regularibus” di Pietro Franceschi, cit., p. 471 e E. Ulivi, Luca Pacioli, cit., p. 28.
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fiorini avuti in prestito, Pietro concesse in affitto a Maestro Luca la sua vigna al Ponte da Bosso, impegnandosi a sua volta a coltivarla a proprie spese, ed a consegnare ogni anno al frate quattro salme di vino. Il successivo 11 ottobre, nella piazza di Borgo, Pacioli convocherà di nuovo Ser Matteucci per nominare suo procuratore Luca di Guasparre Ciampolini.1 I. 2. 5. Gli ultimi anni (1511-1516) Dopo una nuova condotta nello Studio di Perugia, che gli fu assegnata nel novembre del 1510, Pacioli riprese dopo molti anni il suo ruolo di guardiano del Convento di Borgo, convocandone il Capitolo il 17 novembre 1511 per la stipulazione di un rogito di Ser Bartolomeo Fedeli, di cui rimane purtroppo solo la parte iniziale.2 Quattro giorni dopo, a Borgo, avrebbe scritto il suo terzo testamento. Il 26 settembre ed il 29 dicembre 1511 Luca era sempre a Sansepolcro, come vedremo meglio in un successivo paragrafo. All’interno dei dissidi tra Maestro Luca e i Da Monte, la controversia con Frate Cristoforo ebbero il suo epilogo il 1º gennaio 1512, quando i due francescani si presentarono davanti ai magistrati fiorentini per porre fine ai loro contrasti. L’accordo concluso tra i due confratelli venne di fatto rispettato, come dimostrano tre rogiti stilati a Borgo dal suddetto Ser Manfredini. Il 2 giugno 1512, nel chiostro della Chiesa di San Francesco, Maestro Luca elesse Frate Cristoforo suo procuratore in relazione ad un presunto debito del biscugino Bartolomeo di Masso Pacioli; il 10 novembre il Da Monte ebbe dal frate una nuova procura, assieme a Folco e Bernardino di Conte dei Bofolci ed a Marco di Antonio Longari; un curioso documento concluso il 15 novembre nella Sala magna del Palazzo comunale vedrà infine Frate Cristoforo creditore di Maestro Luca per la vendita di una mula.3 Troviamo Don Folco anche il 30 giugno 1512, nell’abitazione degli eredi di Don Alessandro Antonelli situata nella Piazza di Sansepolcro, dove Luca dichiarò di aver ricevuto da Pietro di Olivo Savoretti i cinquanta fiorini che il frate gli aveva prestato il 2 febbraio del 1510: diciotto ducati per mano di Ugo di Cione dei Pichi, un’altra importante famiglia di Borgo, e la parte rimanente «in illis modis ac formis, rebus et pecuniis de quibus Dominus Fulcus Contis de Bofulcis et prefatus Ughucio habent notitiam …».4 1 Appendice 1, documento 133, citato in E. Ulivi, Luca Pacioli, cit., p. 28. 2 Appendice 1, documento 140. 3 Appendice 1, documenti 134, 136 e 137. Cfr. anche G. Mancini, L’opera “De corporibus regularibus” di Pietro Franceschi, cit., p. 474, che riporta però erroneamente le date del secondo e del terzo rogito, scrivendo 12 e 17 novembre; E. Ulivi, Luca Pacioli, cit., p. 29. 4 Appendice 1, documento 135.
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Per l’anno 1513 non abbiamo rintracciato alcun documento notarile su Pacioli a Sansepolcro. La sua presenza nel paese natale sembra tuttavia attestata da un documento del 26 aprile 1513 con il quale i Capitani di Parte Guelfa di Firenze, sollecitati dal frate, dettero facoltà al Capitano di Borgo di esaminare tutti i testimoni prodotti dallo stesso francescano in rapporto ad una questione sorta fin dall’ottobre 1512 con Pietro di Niccolò da Filicaia, già provveditore delle muraglie e fortezze di Borgo;1 il Da Filicaia è noto come autore del Libro dicto giuochi mathematici, compilato verso il 1511,2 un’opera sullo stile del De viribus quantitatis del Pacioli. Il 1514 fu l’anno in cui il Nostro venne ricondotto ad insegnare matematica a Roma, con un incarico che dovette precedere i mesi di agosto e settembre. Il 14 agosto 1514 Luca era infatti a Sansepolcro per annullare una procura data al solito Frate Cristoforo da Monte;3 il 30 agosto nominò invece Marco di Antonio Longari suo procuratore in una vertenza con i Frati del Convento dei Servi di Santa Maria di Borgo;4 il 1º settembre i Priori della Confraternita di San Bartolomeo ricevettero da Luca un deposito di venticinque ducati;5 il 18 settembre Maestro Luca e Frate Cristoforo si ritrovarono di fronte all’Abate di San Giovanni Evangelista per la definitiva chiusura delle loro vertenze pecuniarie;6 il precedente 9 settembre, lo stesso Da Monte aveva tra l’altro ricevuto dal Dottore in legge Don Niccolò Tani, a nome di Luca Pacioli, il denaro della vendita della mula avvenuta due anni prima.7 Finalmente, il 22 settembre, nella bottega di Luca Marcolini sulla Piazza di Borgo, Luca nominò suo procuratore il notaio Ser Alessandro Fedeli.8 Gli atti del 1514 furono rogati dal medesimo Ser Alessandro, da Ser Bernardino Matteucci, Ser Girolamo Lucherini e Ser Michelangelo Palamedi. Il documento del 22 settembre 1514 è l’ultimo atto notarile attestante la presenza di Luca Pacioli a Sansepolcro. Dopo o durante l’incarico presso lo Studio romano, nella città eterna il minorita doveva trovarsi anche verso la primavera del 1515, quando il 19 marzo la comunità di Sansepolcro scrisse al conterraneo affinché ottenesse dalla Santa Sede un’indulgenza per l’antica Compagnia del Cro1 E. Ulivi, Luca Pacioli, cit., p. 30. 2 Il manoscritto dell’opera si trova alla Biblioteca Nazionale di Firenze, nel codice Magl. XI, 15. Cfr. G. Arrighi, Il “Libro dicto giuochi mathematici” di Piero di Nicolao d’Antonio da Filicaia, «Atti della Fondazione Giorgio Ronchi», 26, 1971, pp. 51-61. 3 Appendice 1, documento 147. 4 Appendice 1, documento 138. Cfr. G. Mancini, L’opera “De corporibus regularibus” di Pietro Franceschi, cit., p. 476; E. Ulivi, Luca Pacioli, cit., p. 30. 5 Appendice 1, documento 142. 6 Appendice 1, documento 148. 7 Appendice 1, documenti 143. 8 Appendice 1, documento 149.
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cifisso. Il 14 marzo 1516, come racconta un documento borghigiano inviato dalla medesima comunità al Ministro dell’Ordine francescano, il maestro aveva rinunciato ai propri privilegi, causa dei dissapori che erano sorti tra lui ed i frati del convento di Borgo: Reverendus Pater sacre theologiae Magister Lucas Paccioli de dicto Burgo cessit bullis et privilegiis apostolicis, et se concordaverunt et pacificaverunt prout de praedictis a pluribus civibus intelleximus … .1
La riappacificazione era avvenuta verosimilmente in quel convento, circa un anno prima la morte del frate. I. 3. Luca Pacioli e Piero della Francesca a Sansepolcro Su Piero di Benedetto della Francesca o dei Franceschi, nato verso il 1412 da una delle più importanti e benestanti famiglie di mercanti di Borgo,2 e dunque di circa trentacinque anni maggiore di Luca Pacioli, si è spesso detto che fosse colui dal quale il futuro minorita apprese le prime nozioni di matematica, conoscenze che Luca avrebbe poi approfondito sia da solo sia frequentando la Scuola di Rialto a Venezia. Se dubbia resta l’effettiva relazione maestro-discepolo tra i due borghigiani, indiscutibile è il fatto che Luca dovette conoscere personalmente il grande artista e che studiò la produzione scientifica del conterraneo, definendolo con ammirazione «monarcha ali dì nostri della pictura e architectura».3 Al di là della questione del plagio e senza addentrarci nella relativa discussione, il Pacioli ebbe il merito di liberare dai confini della trattatistica manoscritta parte delle opere di Piero della Francesca, pubblicando pressoché integralmente, nella seconda parte della Summa, i problemi del Trattato d’abaco di Piero sui poliedri, col titolo «Particularis tractatus circa corpora regularia et ordinaria», e solo con piccole modifiche del testo pierfrancescano, ed inserendo poi, nella seconda parte della Divina proportione, il Libellus in tres partiales tractatus divisus quinque corporum regularium et dependentium, che costituisce la versione in volgare del Libellus de quinque corporibus regularibus del Franceschi.4 1 ACS, Serie V, 1, p. 228. Cfr. D. I. Ricci, Fra Luca Pacioli, cit., pp. 22-23; E. Ulivi, Luca Pacioli, cit., p. 29. 2 Su Piero della Francesca e sulla sua famiglia si vedano Eugenio Battisti, Piero della Francesca. Nuova edizione riveduta e aggiornata con il coordinamento scientifico di Marisa Dalai Emiliani, Milano, Electa, 1992, 2 voll.; J. R. Banker, The Culture of San Sepolcro during the Youth of Piero della Francesca, cit. 3 Divina proportione, cit., Parte prima, c. 35r; cfr. anche Summa, cit., Epistola dedicatoria a Guidobaldo I, c. 3v. 4 Del Trattato d’abaco si conoscono due codici; il primo si trova alla Biblioteca Medicea-Laurenziana di Firenze ed è stato quasi interamente pubblicato in Piero della Francesca, Trat-
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Le opere dei due borghigiani e i documenti a nostra conoscenza non forniscono prove di una loro eventuale frequentazione negli anni dell’infanzia e della giovinezza di Luca. Un inedito atto notarile del 20 settembre 1484 è attualmente il primo documento, ed anche il solo, con la contemporanea presenza di Luca e di Piero a Borgo: il francescano aveva a quel tempo fra i trentasei e i trentotto anni, l’affermato pittore era ormai ultrasettantenne. Il rogito, presente in due copie tra le carte di Ser Ranieri Boddi, contiene le disposizioni testamentarie della terziaria francescana laica Nera di Pietro di Veltre vedova di Iacopo di Pietro Goracci; Maestro Luca, allora guardiano del Convento di San Francesco, vi figura nelle vesti di sostituto di Frate Cristoforo Antonelli, visitatore del Terzo Ordine. L’atto fu stilato nel chiostro del convento, alla presenza di sette testimoni, tra i quali «Magistro Petro olim Benedicti de Franciscis».1 Altri documenti riguardanti il Pacioli danno interessanti indizi e conferme in merito ai rapporti tra il minorita e la famiglia Della Francesca, per la presenza in essi di tre parenti di Piero:2 Messer Bartolomeo di Antonio di Benedetto Franceschi, Lorenzo di Giovanfrancesco Capucci e tato d’abaco. Dal Codice Ashburnhamiano 280 (359*-291*) della Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze, a cura e con introduzione di G. Arrighi, Pisa, Domus Galilaeana, 1970; sul secondo, che si conserva alla Biblioteca Nazionale di Firenze con la segnatura Conv. soppr. A.6.2606 e che presenta alcune lacune rispetto al primo, si veda Warren van Egmond, A second manuscript of Piero della Francesca’s “Trattato d’abaco”, «Manuscripta», 24, 1980. Sul Trattato d’abaco cfr. anche Enrico Giusti, L’algebra nel “Trattato d’abaco” di Piero della Francesca: osservazioni e congetture, «Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche», XI, 1991, fasc. 2, pp. 55-83. Il manoscritto del Libellus di Piero si conserva alla Biblioteca Apostolica Vaticana, nel codice Urb. Lat. 632: cfr. Piero della Francesca, Libellus de quinque corporibus regularibus, corredato dalla versione volgare di Luca Pacioli, a cura di C. Grayson, M. Dalai Emiliani e C. Maccagni, Firenze, Giunti, 1995, 2 voll., con facsimile del codice vaticano; il trattato è stato precedentemente pubblicato in G. Mancini, L’opera “De corporibus regularibus” di Pietro Franceschi detto Della Francesca, cit. Per un raffronto tra le opere di Piero e di Pacioli si veda Margaret Daly Davis, Piero della Francesca’s Mathematical Treatises: the “Trattato d’abaco” and “Libellus de quinque corporibus regularibus”, Ravenna, Longo, 1977. 1 Appendice 1, documento 84. È da sottolineare il periodo al quale risale il documento, dal momento che proprio attorno al 1480 Piero avrebbe composto il suo Trattato d’abaco. A tale proposito, appare interessante, anche se discutibile, l’ipotesi di Cavazzoni circa una possibile collaborazione tra Piero e Luca nella stesura del Trattato, cosa che, secondo lo studioso, spiegherebbe anche il riferimento fatto dal Pacioli nella Summa (Parte prima, c. 67v) ad «altri nostri quatro volumi de simili discipline» dei quali solo tre sono però esplicitamente indicati dall’autore, quello del 1470 dedicato ai figli del Rompiasi, quello scritto per gli allievi dello Studio perugino nel 1477-1478 e quello composto a Zara nel 1481: cfr. Gianfranco Cavazzoni, Il ‘Tractatus mahematicus ad discipulos perusinos’, in Luca Pacioli e la Matematica del Rinascimento, cit., p. 206. 2 Per i rapporti tra i Pacioli ed i Franceschi ricordiamo anche l’appartenenza allo stesso ordine camaldolese ed allo stesso convento borghigiano di San Giovanni Evangelista del cugino di Luca, Don Niccolò di Simone Pacioli, e del fratello di Piero, Don Francesco.
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suo padre Giovanfrancesco di Lorenzo. Bartolomeo, che fu dottore in legge, era un nipote di Piero della Francesca, in quanto figlio di suo fratello Antonio. Lorenzo Capucci sposò una bisnipote dell’artista, Giovanna di Francesco di Marco di Benedetto Franceschi, nipote di Marco, un altro fratello di Piero: la relativa promessa di matrimonio fu stilata il 9 febbraio 1495, con le sottoscrizioni autografe di Giovanfrancesco e di Messer Bartolomeo. Quattro anni dopo, in un atto del 10 ottobre 1499, troviamo Giovanfrancesco Capucci con Ludovico di Antonio Longari, procuratori a Sansepolcro di Maestro Luca;1 i due borghigiani verranno entrambi rinominati dal francescano, assieme a Lorenzo Capucci, con un atto del 25 novembre 1502 durante il periodo trascorso dal Pacioli a Firenze come lettore nello Studio fiorentino.2 Messer Bartolomeo di Antonio Franceschi fu con Baldino di Don Benedetto Graziani l’arbitro del lodo relativo ad una vertenza pecuniaria tra Luca ed i confratelli, di cui si parla in due rogiti del 9 febbraio 1500 e del 17 febbraio 1503.3 Il suddetto Ludovico di Antonio Longari, che abbiamo incontrato anche come debitore di Maestro Luca in un altro atto notarile del 17 febbraio 1503,4 era fratello di Marco Longari al quale il Pacioli assegnò la nomina di esecutore delle sue volontà nel secondo testamento del 2 febbraio 1510, e quella di procuratore sia il 10 novembre 1512, sia il 30 agosto 1514 per rappresentarlo in una questione con i frati del Convento dei Servi di Santa Maria.5 Marco Longari doveva essere il borghigiano che, da piccolo, sembra conducesse amorevolmente per mano, tra le strade del paese natale, il vecchio Piero della Francesca negli anni della sua cecità, che ne precedono di qualche tempo la morte. Piero fu sepolto il 12 ottobre 1492 nel sepolcro di famiglia della Badia di Borgo, dove furono tumulati, oltre che nella Chiesa di San Giovanni d’Afra, anche alcuni parenti di Maestro Luca.
1 ASF, Notarile Antecosimiano 19275, c. 87v. B. Boncompagni, Intorno alle vite inedite di tre matematici, cit., p. 870; E. Ulivi, Luca Pacioli, cit., p. 26. 2 Appendice 1, documento 111. Giovanfrancesco di Lorenzo di Angelo Capucci ed il figlio Lorenzo sono citati in diversi atti rogati a Sansepolcro negli anni 1490-1495, 1500, 1506-1507, 15091514 e 1518-1519: ASF, Notarile Antecosimiano 102, cc. 108v, 113r-114v; 6189, cc. 9r, 110v, 152r, 153r, 159v; 6855 (anni 1495-1497), nn. 29 e 30; 6889, 14 aprile 1511; 7154, cc. 339v, 410v; 10685, cc. 156v157r; 12237, cc. 94r-95r; 12247, c. 134v; 12249, c. 48r; 12250, cc. 41r, 60v, 228r, 255r-255v; 12251, c. 383v; 13437, cc. 85v, 155r-156r; 15998, cc. 22r-22v; 16740, n. 164; 19250, fasc. 3. 3 Appendice 1, documenti 122 e 144. Già il 16 settembre 1488 Bartolomeo era stato arbitro di un lodo della Società delle Laudi: ASF, Notarile Antecosimiano 12223, c. 100v. 4 Appendice 1, documento 117. 5 Appendice 1, documenti 136 e 138.
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Fig. 1. Sottoscrizione autografa di Piero della Francesca del 27 dicembre 1487: ASF, Notarile Antecosimiano 7000 (anno 1487), n. 8.
Concludiamo questo paragrafo segnalando un documento autografo inedito relativo a Piero della Francesca, che trascriviamo in Appendice dopo i documenti sui Pacioli. Il 23 gennaio 1487, a Borgo, di fronte al notaio Ser Leonardo Fedeli e ai testimoni Emilio di Messer Cristoforo Pichi ed Agnolo di Giacomo del Gaio, Marco di Benedetto dei Franceschi fece solenne promessa al medico Maestro Michele di Antonio Zanzani di concedergli in sposa la figlia Contessa, con una dote di trecento fiorini cortonesi. Tre giorni dopo il futuro sposo sottoscrisse le condizioni contrattuali. Marco morì dopo il matrimonio della figlia nel giugno dello stesso anno. Così, il 27 dicembre 1487, fu «Pietro de’ Franceschi dipintore» a farsi carico dell’impegno assunto dal fratello scomparso, con una dichiarazione fatta di sua «propia mano» e ancora alla presenza del Pichi. Il 13 maggio 1488 Maestro Michele dichiarò di aver ricevuto cento fiorini da Maestro Piero e da Francesco, probabilmente un fratello della moglie; gli altri duecento fiorini gli sarebbero stati consegnati entro quattro anni, come aveva stabilito il contratto del gennaio 1487.1
1 Appendice 1, documenti 162 e 163.
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I. 4. Luca Pacioli e Leonardo da Vinci a Firenze Oltre a Piero della Francesca un’altra figura particolarmente significativa nella vita di Luca Pacioli fu Leonardo da Vinci. Gli anni tra il 1496 e il 1499 videro a Milano, alla splendida corte di Ludovico Sforza, l’incontro e la nascita di un importante sodalizio tra il Pacioli e il Da Vinci, il cui rapporto di amicizia e di reciproca ammirazione e collaborazione è più volte testimoniato da citazioni leonardesche e da riferimenti contenuti negli scritti del frate. Leonardo lesse e studiò l’opera del borghigiano, approfondendo grazie a lui le proprie conoscenze matematiche; egli stesso nel Codice atlantico dichiara, tra l’altro, di avere speso «119 [soldi] in aritmetrica di maestro Luca», ossia la Summa, e scrive «Impara la multiplicatione de le radice da Maestro Luca».1 A sua volta il Da Vinci fu di ausilio al Pacioli con le sue competenze artistiche, eseguendo gli splendidi disegni dei poliedri che adornano la Divina proportione. Pubblicata a Venezia da Paganino de’ Paganini nel 1509 e complessivamente dedicata a Pier Soderini, l’opera si compone di due parti: la prima contiene il Compendio de la divina proportione, offerto a Ludovico il Moro, ed il breve Tractato del’architectura, dedicato dal Pacioli ad alcuni «suoi carissimi discipuli e alievi … del Borgo San Sepolcro», con l’Alphabeto dignissimo antico; la seconda il Libellus in tres partiales tractatus divisus quinque corporum regularium et dependentium, rivolto in particolare al Soderini. Il Compendio venne compiuto a Milano nel 1498. Oltre all’edizione a stampa, dove i solidi sono raffigurati in cinquantanove silografie, ne rimangono due codici manoscritti presso la Biblioteca Pubblica e Universitaria di Ginevra2 e presso la Biblioteca Ambrosiana di Milano:3 entrambi presentano alcune ma non sostanziali varianti rispetto al testo pubblicato e contengono sessanta figure policrome dei poliedri.4 Nell’epistola dedicatoria al Moro, il Pacioli riferisce sul grande progetto di Leonardo della statua equestre a Francesco Sforza, padre di Ludovico, in1 Codice atlantico, cc. 288r, 331r. Cfr. Leonardo da Vinci, Il Codice Atlantico della Biblioteca Ambrosiana di Milano. Trascrizione diplomatica e critica di Augusto Marinoni, Firenze, Giunti Barbera, IV, 1976, pp. 68, 210. 2 Nel codice Langues Etrangères 210. 3 Nel codice & 170 sup. (ex S.P.6). Cfr. Luca Pacioli, De divina proportione, Milano, Fontes Ambrosiani XXXI, 1956, a cura di Giovanni Mardersteig; L. Pacioli, De divina proportione, Milano, Fontes Ambrosiani LXXII, 1982, con la riproduzione in facsimile del manoscritto, a cura e con una Introduzione in fascicolo di Augusto Marinoni. 4 Il manoscritto ginevrino venne donato dal Pacioli al Moro, quello ambrosiano a Giangaleazzo Sanseverino, generale dello stesso duca di Milano; un terzo manoscritto, perduto, sembra sia stato offerto dall’autore a Pier Soderini ed è probabilmente quello su cui venne condotta l’edizione del 1509 della Divina proportione, il che spiegherebbe la dedica al Soderini del volume a stampa.
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formandoci sulle sue misure e sul suo peso; accenna al compimento del Cenacolo nella Chiesa di Santa Marie delle Grazie, iniziato nel 1495; dà notizia di un trattato di Leonardo «de pictura e movimenti humani» e di un’altra sua «opera inextimabile del moto locale de le percussioni e pesi e de le forze tutte cioè pesi accidentali»,1 probabilmente ricollegabile con un progettato libro di «elementi macchinali». Così, nel Compendio, Frate Luca ricorda l’esecuzione da parte di Leonardo dei «corpi regulari e dependenti», il suo incontro con il genio alla corte sforzesca, la loro partenza da Milano ed il loro successivo soggiorno a Firenze: Comme apien in le dispositioni de tutti li corpi regulari e dependenti di sopra in questo vedete, quali sonno stati facti dal degnissimo pictore prospectivo architecto musico e de tutte le virtù doctato Lionardo da Vinci fiorentino nella cità de Milano quando ali stipendii delo Excellentissimo Duca di quello Ludovico Maria Sforza Anglo ci retrovavamo nelli anni de nostra Salute 1496 fin al ’99 donde poi d’asiemi per diversi sucessi in quelle parti ci partemmo e a Firenze pur insiemi trahemmo domicilio et cetera.2
Così nella dedicatoria del manoscritto De viribus quantitatis (ca 14961508), dove Pacioli parla delle: supraeme et legiadrissime figure de tutti li platonici et mathematici corpi regulare et dependenti che in prospectivo disegno non è possibile al mondo farli meglio … facte et formate per quella ineffabile senistra mano a tutte discipline mathematici acomodatissima del principe oggi fra mortali pro prima fiorentino Lionardo nostro da Venci, in quel foelici tempo che insiemi a medesimi stipendij nella mirabilissima città di Milano ci trovammo.3
Come abbiamo visto, lasciata Milano dopo la cacciata del Moro nel 1499, e prima di raggiungere Firenze, Luca rientrò per qualche tempo a San Sepolcro; Leonardo si recò a Mantova e a Venezia.4 1 Divina proportione, cit., Parte prima, c. 1r. 2 Ivi, c. 28v. Sempre sulla realizzazione delle figure poliedriche da parte di Leonardo cfr. le cc. 22r, 30v. 3 Il manoscritto del De viribus si trova alla Biblioteca Universitaria di Bologna, nel codice 250. Cfr. L. Pacioli, De viribus quantitatis, trascrizione di Maria Garlaschi Peirani, prefazione e direzione di Augusto Marinoni, Milano, Ente Raccolta Vinciana, 1997, p. 21. (Per un altro riferimento in proposito cfr. anche p. 305). Un’edizione critica del De viribus, a cura di Furio Honsell, Giorgio Bagni ed Enzo Mattesini, è in corso di pubblicazione da parte di Aboca Museum. 4 L’opinione comune secondo la quale Leonardo e Pacioli si sarebbero recati insieme a Mantova e poi a Venezia, subito dopo aver lasciato Milano, non è in realtà suffragata da documenti specifici. I soggiorni mantovano e veneziano di Leonardo, tra la fine del 1499 e i primi mesi del 1500, sono attestati da una lettera del liutaio Lorenzo Gusnasco del 13 marzo 1500, inviata da Pavia a Mantova, ad Isabella d’Este, sorella di Beatrice, la defunta moglie di Ludovico il Moro; cfr. Pietro C. Marani, Leonardo a Venezia e nel Veneto: documenti e testimonianze, in Leonardo & Venezia, a cura di P. C. Marani e G. Nepi Sciré, Milano, Bompiani, 1992, pp. 24-26. Il Da Vinci si trovava ancora a Mi-
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Il borghigiano rimarrà a Firenze almeno dal novembre del 1500 all’ottobre del 1506, per ricoprire il suo incarico come lettore di matematica. Il Da Vinci visse il suo secondo periodo fiorentino1 tra l’aprile del 1500 ed il novembre del 1501, con un viaggio intermedio a Roma, e dal marzo 1503 al maggio 1506.2 lano il 14 dicembre 1499, quando fece accreditare l’ingente somma di 600 fiorini sul suo conto presso l’ospedale fiorentino di Santa Maria Nuova; ne preleverà personalmente 50 fiorini il 24 aprile del 1500. Di Pacioli sappiamo che tra il settembre del 1499 ed il luglio del 1500 fu più volte presente a Sansepolcro alla stipulazione di atti notarili: esattamente il 19 settembre, il 7 e 10 ottobre del 1499, il 9 e 18 febbraio, il 29 e 30 giugno ed il 7 e 10 luglio del 1500. Il minorita si era sicuramente recato a Venezia prima del viaggio a Milano, per occuparsi nel 1494 della pubblicazione della Summa; vi ritornerà verso l’estate del 1508, presentando l’11 agosto la sua prolusione al Quinto Libro degli Elementi e il 29 dicembre la supplica al Doge per ottenere il privilegio di stampa di alcune opere. In queste era incluso un De ludo scachorum, probabilmente lo stesso trattato sugli scacchi facente parte di un’opera «De ludis in genere» che nel De viribus quantitatis Fra Luca scrisse di aver dedicato ai marchesi di Mantova, Francesco Gonzaga e Isabella d’Este, il che fa presumere una sua precedente frequentazione degli ambienti di corte mantovani. Il breve soggiorno di Pacioli a Mantova e Venezia assieme a Leonardo dovrebbe dunque collocarsi tra la seconda metà del dicembre 1499 e la prima settimana del febbraio 1500. È tuttavia non improbabile che il minorita abbia lasciato definitivamente Milano prima del Da Vinci, verso il settembre del 1499, senza fermarsi né a Mantova né a Venezia, ma recandosi direttamente a Sansepolcro, cosa a suo tempo ritenuta certa dal Mancini: cfr. G. Mancini, L’opera “De corporibus regularibus” di Pietro Franceschi, cit., p. 469. Non è pertanto da escludere che il matematico borghigiano abbia composto l’opera De ludis, dedicata ai signori di Mantova, durante un successivo periodo di permanenza alla corte dei Gonzaga, come potrebbe essere quello compreso tra la fine del 1506 e l’agosto del 1508, per il quale non abbiamo trovato tracce del frate a Sansepolcro, e che precede il suo ultimo soggiorno a Venezia. Ricordiamo che un manoscritto sul gioco degli scacchi attribuito a Luca Pacioli, che sembra però non essere quello citato nella supplica e nel De viribus, è stato recentemente ritrovato presso la Biblioteca della Fondazione Coronini Cronberg di Gorizia; i relativi disegni della scacchiera potrebbero, secondo alcuni, essere opera di Leonardo. Sul manoscritto goriziano si vedano Gli scacchi di Luca Pacioli. Evoluzione rinascimentale di un gioco matematico, Sansepolcro, Aboca Museum, 2007, con la riproduzione in facsimile e la trascrizione del manoscritto; Enzo Mattesini, La lingua di un trattato di scacchi attribuito a Luca Pacioli, «Contributi di Filologia dell’Italia Mediana», XXI, 2007, pp. 47-78. 1 Dopo alcuni anni trascorsi a Vinci, Leonardo si era trasferito a Firenze tra la fine degli anni cinquanta ed i primi anni sessanta, iniziando il suo primo periodo fiorentino. Verso il 1482 si era probabilmente già recato a Milano, dove si trovava nell’aprile del 1483. 2 Sui più volte discussi rapporti tra Luca Pacioli e Leonardo da Vinci cfr. in particolare A. Marinoni, Introduzione all’ed. in facsimile del De divina proportione, cit.; Leonardo dopo Milano. La Madonna dei Fusi (1501). Catalogo a cura di Alessandro Vezzosi con il contributo di Gigetta Dalli Regoli e con una nota di Paolo Galluzzi. Introduzione di Carlo Pedretti, Firenze, Giunti Barbèra Editore, 1982, pp. 12-16, 24, 87-88; P. C. Marani, Leonardo a Venezia e nel Veneto, loc. cit.; E. Ulivi, Luca Pacioli, una biografia scientifica, cit., pp. 25-26, 58-61; Edoardo Villata, Leonardo da Vinci. I documenti e le testimonianze contemporanee, Milano, Castello Sforzesco, 1999, pp. 108-109, 232-233, 237-238; E. Villata, Prima maturità a Milano (1482-1499) e La vita errante (1499-1503), in Leonardo da Vinci. La vera immagine. Documenti e testimonianze sulla vita e sull’opera, a cura di Vanna Arrighi, Anna Bellinazzi, Edoardo Villata, Firenze-Milano, Giunti, 2005, pp. 161-162, 172; Carlo Vecce, Leonardo, Roma, Salerno editrice, 2006, pp. 173-176, 187, 192-193, 205, 212, 220-221, 233-235, 238, 253, 385, 401-403, 433-434, 441-443; Alessandro Vezzosi con la collaborazione di Agnese Sabato, Leonardo infinito. Introduzione di Carlo Pedretti, Reggio Emilia, Scripta Maneant, 2008, pp. 43, 186, 215-216, 218, 222, 309, 392.
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Due anni dopo l’arrivo a Firenze, il 25 novembre 1502,1 Frate Luca si recò proprio nello studio di Ser Piero di Antonio da Vinci, il padre di Leonardo, per eleggere suoi procuratori i tre conterranei Giovanfrancesco di Lorenzo Capucci, il di lui figlio Lorenzo e Vico o Ludovico di Antonio Longari, sui quali ci siamo già soffermati in relazione a Piero della Francesca; l’atto fu stilato con la testimonianza di Ser Giovanni di Francesco Lapucci e Ser Giovangualberto di Antonio Salomoni, due notai tra l’altro strettamente legati alla famiglia Da Vinci. Nel rogito del 25 novembre si precisa che il minorita era allora ospite a Firenze del Convento francescano di Santa Croce. Oltre a questo, un altro inedito ed importante attestato della sua presenza in quel convento ci viene da un precedente documento contenuto in un «Libro de’ consigli de’ frati di Santa Croce», dove Maestro Luca risulta presente ad una «Declaratio patruum gradatorum» nell’assemblea dei religiosi, presieduta dal Padre generale Reverendo Egidio Delfin, che si riunì il 18 luglio 1502.2 Come già noto, il 28 luglio 1505, il Pacioli verrà ufficialmente «incorporato» in Santa Croce.3 Il rogito di Ser Andrea Filiromoli che qui pubblichiamo, del 21 luglio 1505,4 risale al penultimo anno del soggiorno fiorentino del Pacioli, ed è a tutt’oggi l’unico documento che vede insieme i nomi del genio e del matematico, confermando la loro frequentazione a Firenze. Si tratta di un atto di procura di Maestro Luca «sacre theologie professor», rogato nella sede della seconda Cancelleria della Repubblica, alla presenza di due testimoni, Leonardo da Vinci ed il tessitore Giovanni di Arrigo de Alamagna, o della Magna. I procuratori nominati furono il notaio Ser Giuliano di Giovanni della Valle ed un non meglio precisato Pietro degli Strozzi. Quasi con certezza, il tessitore che testimoniò assieme al Da Vinci era tale Giovanni di Arrigo di Colonia, del Popolo di San Frediano nel Quartiere fiorentino di Santo Spirito, al quale lo stesso Ser Andrea Filiromoli aveva affittato una casa in Via di Gusciano, verso l’attuale Piazza Torquato Tasso, con un contratto del 31 ottobre 1504, mentre il procuratore membro della famiglia Strozzi poteva essere Pietro di Matteo Strozzi, che troviamo come testimone in un atto dell’8 febbraio 1503. Entrambi i rogiti vennero stilati dal suddetto Ser Giuliano della Valle, un notaio che incontreremo nuovamente in relazione a Leonardo.5
1 Appendice 1, documento 111. 2 Appendice 1 documento 154. 3 B. Boncompagni, Intorno alle vite inedite di tre matematici, cit., p. 411; E. Ulivi, Luca Pacioli, cit., p. 26. 4 Appendice 1, documento 126. 5 ASF, Notarile Antecosimiano 9915, cc. 79v, 135r.
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I. 5. Due lettere di Pacioli a Niccolò Michelozzi Le lettere di cui discutiamo in questo paragrafo, scritte da Pacioli a Sansepolcro il 26 settembre e il 29 dicembre 1511 ed inviate a Firenze,1 risalgono ad un momento molto delicato, sia dal punto di vista storico-politico, sia in relazione alla vita del borghigiano. A diciassette anni di distanza dalla cacciata dei Medici, avvenuta nel 1494, Firenze viveva i suoi ultimi mesi sotto il Governo popolare, con a capo il Gonfaloniere Pier Soderini; la Signoria medicea, spodestando il Soderini, riprese il comando della città il 1º settembre 1512. Tra l’agosto del 1511 e l’ottobre del 1512, diverse lettere scambiate dai magistrati di Firenze, tra cui lo stesso Soderini, con il Capitano ed il Commissario di Borgo e con il Ministro provinciale dell’Ordine di San Francesco, attestano che Luca fu più volte davanti alle autorità fiorentine per discutere delle sue personali controversie con i confratelli, in particolare con Frate Cristoforo da Monte in relazione al guardiano del convento, e con il concittadino Pietro da Filicaia a causa di tre casse di masserizie, ma anche per render conto di alcuni sospetti che aveva destato il ritiro, da parte del frate, di una missiva indirizzata a Città di Castello, residenza dei Vitelli, sostenitori dei Medici. In varie occasioni i magistrati fiorentini manifestarono al borghigiano la loro comprensione e benevolenza; in particolare, il 4 ottobre 1511, il Soderini, rispondendo al Ministro della Provincia di San Francesco, «circa alle querele di Maestro Luca» contro i frati del suo convento ebbe a scrivere di lui «che noi et e nostri amiamo come homo de scientia et per lui ci affaticheremo».2 Ricordiamo che al gonfaloniere, «Excellentissimo Rei publicae florentinae principi perpetuo», Luca aveva dedicato il volume a stampa della Divina proportione, donandogli una copia manoscritta del Compendio. La prima delle due lettere di cui pubblichiamo la trascrizione si conserva alla Biblioteca Nazionale di Parigi, ed è stata solo riprodotta in due
1 Appendice 1, documenti 160 e 161. 2 Per i dettagli delle questioni cfr. B. Boncompagni, Intorno alle vite inedite di tre matematici, cit., p. 414; Evelyn Marini, Alcune curiose notizie su Fra Luca Pacioli, «L’Arte», XVII, 1914, p. 225226; G. Mancini, L’opera “De corporibus regularibus” di Pietro Franceschi, cit., pp. 473-475; D. I. Ricci, Fra Luca Pacioli, cit., pp. 19-21; E. Ulivi, Luca Pacioli, cit., pp. 29-30 con i relativi riferimenti archivistici: ASF, Dieci di Balia, Carteggio, Missive interne 92, cc. 32v, 142r; 93, cc. 126v, 138v; Signori, Carteggio, Minutari 20, c. 374v; Capitani di Parte, Numeri Rossi 11, c. 135v; ACS, Atti Civili 89, 24, cc. 24r-24v. Cfr. inoltre ASF, Signori, Carteggio, Missive, II Cancelleria 41, cc. 35v-36r.
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saggi di Attilio Bartoli Langeli riguardanti il De ludo scachorum.1 Della seconda, che fa parte delle Raccolte Piancastelli della Biblioteca Comunale di Forlì, è riportata un’immagine nel catalogo della mostra Leonardo, Machiavelli, Cesare Borgia. Arte, storia e scienza in Romagna (1500-1503), all’interno del saggio di Antonella Imolesi, conservatrice del Fondo Piancastelli, con una breve sintesi del contenuto della missiva.2 Le due lettere, di non facile lettura ed interpretazione, sono scritte la prima quasi tutta in volgare tranne nelle parole iniziali, nell’ultima parte e con qualche intercalare in latino, la seconda in un misto di volgare e latino. Furono entrambe indirizzate a Niccolò Michelozzi, al suo ufficio nella Sede dell’Arte della Lana, che si trovava a Firenze in Orsanmichele; si riferiscono ad una stessa questione riguardante i francescani della Verna, che Maestro Luca sembra aver preso molto a cuore e per la quale si recò di persona nell’ufficio del Michelozzi assieme ad un Messer Lucantonio, probabilmente nel periodo intercorso tra la stesura delle due lettere; come si legge nella prima missiva, per la delicata questione fu anche richiesta la consulenza di Messer Vincenzo dal Fregio. Fino dal giugno del 1432, il governo, la protezione e l’amministrazione della Verna erano stati affidati all’Arte della Lana del Comune di Firenze, che aveva anche istituito un ufficio apposito, detto dei ‘Conservatori della Verna’.3 Quando Luca, nel 1511, scrisse le sue lettere, il destinatario Ser Niccolò Michelozzi era Cancelliere dell’Arte della Lana, carica che mantenne almeno tra il 1491 ed il 1526,4 anno della sua morte. Figlio dell’architetto e scultore Michelozzo di Bartolomeo, Niccolò studiò per diventare notaio e fu abile politico e uomo di lettere; sempre saldamente fedele ai Medici, fu più volte ambasciatore dei fiorentini in delicate missioni diplomatiche, nonché membro della prima e della seconda Cancelleria della Repubblica, di cui assumerà la direzione in sostituzione del Machiavelli, che nel novembre del 1512, dopo il rientro dei Medici, era stato destituito da tutti gli uffici pubblici.5 1 Attilio Bartoli Langeli, Descrizione del manoscritto, in Gli scacchi di Luca Pacioli, cit., pp. 97-98; A. Bartoli Langeli, Il manoscritto goriziano e la scrittura di Luca Pacioli, «Contributi di Filologia dell’Italia Mediana», XXI, 2007, pp. 42 e 44. 2 Antonella Imolesi Pozzi, Le raccolte Piancastelli; documenti rinascimentali, in Leonardo, Machiavelli, Cesare Borgia. Arte, storia e scienza in Romagna (1500-1503), Rimini, Castel Sismondo, 1º marzo-15 giugno 2003, Roma, De Luca Editori d’Arte, 2003, pp. 134, 138. 3 Alfredo Lensi, La Verna, Comune di Firenze, settembre 1934, pp. 7-11. 4 ASF, Arte della Lana 55, cc. 1r-119r; 62, c. 26v. I libri dell’Arte della Lana contengono anche alcune delibere dei Consoli per stanziamenti a favore dei frati della Verna; cfr. ad esempio, Arte della Lana, 55, cc. 99r, 125v-126r. 5 Su Niccolò Michelozzi cfr. Paolo Viti, Note su Niccolò Michelozzi, «Archivio Storico Italiano», CXLIV, 1986, pp. 407-421; Demetrio Marzi, La Cancelleria della Repubblica fiorentina, Firenze, Le
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Il Messer Lucantonio che aveva accompagnato il Pacioli a Firenze presso la sede dell’Arte della Lana, e più volte menzionato nelle due missive, era pressoché fuori dubbio Messer Lucantonio di Anghiari, vicario generale del vescovo di Città di Castello, che il 19 settembre 1499 si trovava nella camera di Maestro Luca nel Convento di Borgo per stipulare il rogito relativo alla dote di Caterina di Antonio di Masso Pacioli.1 Lo stesso vicario compare in diversi documenti degli anni 1504, 1513-1514 e 1517, conservati tra le carte di Ser Uguccione Dolci, Ser Angelo Fedeli e Ser Bartolomeo Manfredini.2 Vincenzo dal Fregio era l’allora autorevole giureconsulto Vincenzo Ercolani, detto ‘dal Fregio’ per una cicatrice sul volto causata da un colpo di spada infertogli dal figlio di un collega suo rivale. Illustre accademico, l’Ercolani fu lettore prima di diritto canonico e poi a lungo di diritto civile a Perugia fino dal 1487, proprio l’anno il cui il Pacioli ebbe il suo secondo incarico perugino ed ebbe quindi probabilmente occasione di conoscere il Dal Fregio. Più volte impegnato in solenni ambascerie, l’Ercolani rivestì importanti incarichi politici e giuridici, fu avvocato della Camera apostolica di Perugia e avvocato concistoriale a Roma oltre che lettore di diritto civile nello Studio di Pisa, proseguendo l’insegnamento, nonostante la cecità, fino alla morte nel 1539; lasciò una vasta produzione letteraria.3 Sono a questo punto chiariti e definiti i ruoli e le identità delle persone citate dal Pacioli nelle due lettere. Resta invece almeno in parte oscura la natura della questione in cui furono implicati i frati della Verna e che spinse il Pacioli ad intercedere calorosamente per loro. Sembra di capire che verso la fine dell’estate del 1511, tra i frati della Verna e l’arte della Lana sia nata una controversia, non legata a motivi Lettere, 1987, 2 voll., pp. 312-314; Corrispondenza degli ambasciatori fiorentini a Napoli, a cura di Bruno Figliuolo e Sabrina Marcotti, Salerno, Carlone, 2004, pp. XVII-XXIII. Segnaliamo che una figlia di Niccolò Michelozzi, Gostanza, verso il 1520 sposò Leonardo di Antonio di Taddeo Micceri, membro di una nota famiglia di abacisti fiorentini, i maestri Antonio e Taddeo di Salvestro e Niccolò di Taddeo: cfr. BNF, Poligrafo Gargani 1304 (Michelozzi), nn. 167 e 212. Sui Micceri si veda E. Ulivi, Scuole e maestri d’abaco in Italia tra Medioevo e Rinascimento, in Un ponte sul Mediterraneo. Leonardo Pisano, la scienza araba e la rinascita della matematica in Occidente, a cura di E. Giusti e con la collaborazione di R. Petti, Firenze, 2002, pp. 134, 137, 141, 145-146; R. Black, Education and Society in Florentine Tuscany: Teachers, Pupils and Schools, c. 1250-1500, Leiden-Boston, Brill, 2007, ad vocem. 1 Cfr. la nota 3 di p. 34. 2 ASF, Notarile Antecosimiano 6191, c. 117r; 6856 (anno 1504), nn. 4, 7, 8, 12, 18, 40; 12728, cc. 96r, 121r; 12736, cc. 63r, 64r, 65r. 3 Su Vincenzo Ercolani si vedano: Giovanni Battista Vermiglioli, Biografia degli scrittori perugini e notizie delle opere loro, Francesco Baduel, Perugia, 2 voll., 1928-1929 (ristampa anastatica, Bologna, A. Forni, 1973), vol. II, pp. 2-6; Giuseppe Ermini, Storia della Università di Perugia, Bologna, Zanichelli, 1947, pp. 451, 484; Dizionario Biografico degli Italiani, 43, 1993, pp. 89-92.
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politici, ma forse dovuta ad un lascito ereditario fatto agli stessi francescani e destinato al sostentamento di alcuni «pupilli» tra cui due «fanciulle da marito»; i magistrati dell’Arte avrebbero reclamato i loro diritti su quei beni, in quanto amministratori della Verna. A sostegno dei frati intervennero il vicario Messer Lucantonio e l’illustre confratello Maestro Luca, notoriamente benvoluto dai magistrati fiorentini. Alla fine di settembre, i due religiosi scrissero uno al Soderini l’altro al Michelozzi, confidando nella loro comprensione e chiedendo che venisse prorogato almeno a tutto il mese di ottobre il termine entro il quale Vincenzo dal Fregio, consulente dei frati a Perugia, avesse il tempo di presentare al Michelozzi una dettagliata relazione sulla causa in corso. L’esito sembra essere stato negativo, tanto che il Pacioli e Messer Lucantonio avrebbero deciso di recarsi presso la sede fiorentina dell’Arte dove incontrarono i frati e rimasero diversi giorni, ma non ebbero la possibilità di parlare col Michelozzi che «era in villa» né col Soderini, occupato «in maioribus». Rientrato a Sansepolcro, il Pacioli venne a sapere che i frati erano stati interdetti e privati del loro denaro, con la condanna a dieci tratti di corda; Messer Lucantonio, ammalato di podagra ed impotente di fronte all’interdetto, rimaneva per loro e per le due «delicate» fanciulle l’unica fonte di sostentamento. Si colloca a questo punto, alla fine di dicembre, la seconda lettera del francescano al Michelozzi, dove il Pacioli, in relazione ai fatti avvenuti, lamentava che «questo acto né apresso Dio né ’l mondo non pare sia condecente», appellandosi nuovamente alla «Magnificentia» del cancelliere «homo a me gran tempo notissimo d’asettare altra trama che questa» e, sollecitando un suo intervento ed una sua risposta, allegava alla lettera «certi capituli circa ciò, che tutti se toglieranno senza altri litigii, perché, comme è dicto, tutto è pio». Il contenuto di quegli allegati ci è sconosciuto, non sappiamo se determinarono la fine delle controversie e la riabilitazione dei frati come auspicato dal Pacioli, né conosciamo l’epilogo della questione. I. 6. I testamenti e la morte di Pacioli Di Luca Pacioli abbiamo tre testamenti. Il primo fu rogato il 9 novembre 1508 a Venezia dal notaio Bartolomeo di Antonio Pedretti e si conserva all’Archivio di Stato della stessa città;1 il secondo, del 2 febbraio 1510, da Ser Bernardino Renovati, ma si trova in un protocollo di suo figlio Ser Matteo; il terzo, datato 21 novembre 1511, fu stilato da Ser Bartolomeo Fedeli.2 Sia il secondo che il terzo fanno parte del Notarile Antecosimia1 Cfr., Archivi Notarili, Notai di Venezia,Testamenti, busta 786, n. 201. 2 ASF, Notarile Antecosimiano 6938, cc. 130r-131r.
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no dell’Archivio di Stato di Firenze e furono redatti a Sansepolcro. Il primo è stato pubblicato dal Vianello, il terzo dal Boncompagni, poi entrambi nuovamente dal Ricci;1 il secondo fu solo reso noto dal Mancini, e viene qui per la prima volta trascritto e pubblicato.2 I testamenti del 1508 e 1510 sono entrambi scritti per lo più in volgare e parte in latino, quello del 1511 è tutto in latino. Il testamento del 1508 è autografo, con la sottoscrizione di Ser Pedretti, e porta anche il sigillo di Luca, un ovale con due nastri intrecciati e svolazzanti; olografe sono anche le disposizioni testamentarie del 1510, seguite anche qui da una parte finale probabilmente di mano del notaio rogante. Il documento veneziano ebbe per teatro la casa del presbitero Maestro Giorgio in Piazza San Marco; da rilevare la presenza, con gli altri testimoni, di due borghigiani, tra cui Marco di Antonio Longari. Il secondo e terzo testamento furono rogati in Via dei Cipolli, nella casa di famiglia di Antonio di Masso Pacioli. In tutti e tre i testamenti Maestro Luca dispose che il suo corpo fosse sepolto nella chiesa francescana della località in cui si sarebbe trovato al momento della morte; stabilì un lascito alla Chiesa di San Giovanni d’Afra, dove davanti all’altare maggiore si trovava il sepolcro della famiglia Pacioli, affinché ogni anno venissero celebrate le sue esequie e quelle dei suoi parenti defunti, in particolare dei fratelli Maestro Ginepro e Frate Ambrogio; ordinò che i suoi eredi facessero realizzare un calice con le sue iniziali da conservare nel Convento di San Francesco di Borgo; destinò le masserizie contenute nella sua cella a Frate Ambrogio e Frate Ginepro, al tempo novizi nel convento francescano, e figli del biscugino Pietro di Ulivo Pacioli. In tutti elesse suo esecutore testamentario Folco di Conte dei Bofolci: nel primo testamento assieme ai priori ed affiliati della Confraternita di San Bartolomeo e di quella delle Laudi di Santa Maria della Notte, nelle cui casse il borghigiano depositò più volte alcune somme di denaro, nel secondo con Marco di Antonio Longari fratello di Ludovico che abbiamo incontrato in altri documenti assieme a Luca, infine nel terzo con un altro Marco e con Pietro di Niccolò da Filicaia col quale un anno dopo il Pacioli avrà una controversia. 1 V. Vianello, Luca Paciolo nella storia della ragioneria, cit., pp. 167-174; B. Boncompagni, Intorno alle vite inedite di tre matematici, cit., pp. 871-872; D. I. Ricci, Fra Luca Pacioli, cit., pp. 45-52. Il primo ed il terzo testamento sono stati pubblicati sia nella versione originale che in una traduzione giapponese da Akira Nakanishi, [I testamenti di Luca Pacioli, Giappone, 1973]; una copia del lavoro si trova presso la biblioteca dell’ASF. 2 Appendice 1, documento 139. Cfr. G. Mancini, L’opera “De corporibus regularibus” di Pietro Franceschi, cit., p. 471; E. Ulivi, Luca Pacioli, cit., pp. 31-32.
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Nel primo testamento, agli stessi Ambrogio e Ginepro, al tempo novizi, Luca lasciò cento fiorini cortonesi ciascuno «per lo subsidio alo studiare, per poter pervenire al grado magisteriale della sacra teologia». Ad Angiola, anche lei figlia del «carnal cugino» Pietro di Ulivo, destinò venticinque fiorini per la dote, ed altrettanto fece per Maddalena figlia dell’altro biscugino Antonio di Masso Pacioli, che il testatore definisce «altro mio nepote». Ad Antonio assegnò quaranta fiorini e dieci alla sua seconda moglie Caterina di Andrea da Rasina. Eredi universali di tutti i suoi restanti beni mobili ed immobili il Pacioli nominò i frati del convento francescano di Sansepolcro. L’inventario di quei beni, scrive il testatore, era «apresso di me nella sacchetta di mie scripture, come sanno li miei frati e discepoli essere mio costume sempre de portarla con esso meco». Nel secondo testamento del 2 febbraio 1510 rimase inalterato il lascito ad Angiola, mentre quelli a Maddalena e Caterina salirono rispettivamente a cinquanta e venticinque fiorini. Antonio di Masso vi risultava erede dei centocinquanta fiorini che Luca gli aveva prestato per la ristrutturazione della propria abitazione e per la bottega di pizzicagnolo, come da un contratto stipulato nello stesso giorno. A Suor Maddalena «de Romano», che non compare negli altri due testamenti, Luca lasciò altri venticinque fiorini; era Maddalena di Antonio Romani, già suora nel Monastero di Santa Chiara di Borgo nel 1477 e poi badessa, almeno fino al 1514, del Monastero di San Leo o San Leone presso Anghiari.1 Nessun legato riguardava il convento di Borgo, il che non meraviglia considerando i dissapori che nacquero tra Luca ed i confratelli al suo rientro nel convento dopo il suo ultimo soggiorno veneziano; ai frati di San Francesco il minorita sostituì quali eredi universali i soli «discipuli e nepoti» Frate Ambrogio e Frate Ginepro, lasciando ai due giovani anche i cinquanta fiorini che egli aveva prestato al loro padre Pietro di Ulivo, come si legge in due rogiti sempre del 2 febbraio, e che Pietro restituirà a Luca il 30 giugno 1512. Nel terzo testamento non compaiono più né Pietro di Ulivo e sua figlia Angiola, né Maddalena di Antonio di Masso, probabilmente già sposata, né Suor Maddalena Romani. Ai frati Ambrogio e Ginepro Maestro Luca devolse solo venticinque fiorini ciascuno, lascito che rimase inalterato per Caterina di Andrea da Rasina. Erede universale degli altri suoi beni mobili il Pacioli nominò questa volta Antonio di Masso, fino alla somma di trecento fiorini d’oro larghi, in accordo con quanto stabiliva una bolla papale emanata il 4 maggio 1508. 1 ASF, Notarile Antecosimiano 6858 (anni 1514-1523), documento tra i «fogli mancanti senza data»; 6890, 16 agosto 1513; 12213, cc. 83r-83v.
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a Fig. 2 a-d. Testamento di Luca Pacioli del 2 febbraio 1510, con il testo della bolla di Giulio II del 4 maggio 1508: ASF, Notarile Antecosimiano 17712, n. 231.
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Alla bolla di Giulio II che liberava il francescano dal voto di povertà concedendogli la possibilità di devolvere fino a trecento ducati ai suoi eredi, Luca fece ogni volta riferimento nelle sue disposizioni testamentarie.1 Come riferisce lo stesso Pacioli, al momento della stesura del primo testamento, l’importante documento apostolico si trovava a Sansepolcro presso la sede della Compagnia delle Laudi, assieme ad altri oggetti personali del minorita, conservati in più casse; al tempo del secondo testamento le casse si trovavano nella casa di Don Folco dei Bofolci; nel terzo non viene fatta alcuna precisazione in proposito, tuttavia si legge che la bolla era stata debitamente visionata dal relativo notaio e si trova subito dopo uno spazio bianco che avrebbe dovuto riportarne la trascrizione. A conclusione del secondo testamento, e solo in quello, il rogante Ser Bernardino Renovati trascrisse il contenuto della bolla pontificia del 4 maggio 1508, che qui pubblichiamo dopo le disposizioni autografe di Luca. Successivamente alla stesura del suo terzo testamento del novembre 1511 il Pacioli visse circa altri sei anni, continuando i suoi viaggi e con soggiorni a Firenze, Sansepolcro e Roma. Il 15 aprile 1517 l’anziano frate era ancora in vita, come sappiamo da una lettera scritta in quella data dalla stessa comunità di Borgo al Commissario ed a tutto il Capitolo della Provincia di Assisi, con la richiesta che l’illustre concittadino fosse eletto ministro di quella provincia. Non sappiamo se a quel tempo Luca fosse rientrato a Sansepolcro, non avendone trovato tracce nei protocolli notarili del triennio 1515-1517; il 7 marzo 1517, la «camera Magistri Luce Bartolomei Pacciuoli», nel dormitorio del Convento francescano, ospitò due borghigiani che vi stipularono il loro contratto di matrimonio.2 Fino ad oggi la morte del matematico è stata collocata tra il 15 aprile 1517 e il 20 ottobre dello stesso anno, quando un documento riguardante i frati Ambrogio e Ginepro parla di certi «poveri fraticelli nepoti de la bona memoria di Maestro Luca».3 Un rogito del notaio Ser Uguccione Dolci permette ora di collocare la scomparsa del Nostro prima del 6 luglio 1517; l’atto notarile fa infatti riferimento ai beni «olim Reverendi Patris in sacra theologia … Magistri famosissimi Fratris Luce de Paciolis». Nel documento, Frate Ginepro è detto usufruttuario di quei beni e suo 1 Il limite appare chiaramente rispettato nel primo e nel terzo testamento. Nel secondo, l’ammontare della somma lasciata da Pacioli ai congiunti risulta in realtà di trecentoventicinque fiorini; tuttavia, dei cinquanta fiorini destinati ai Frati Ambrogio e Ginepro, venticinque dovevano servire alla realizzazione del calice per la sacrestia del Convento di Borgo, con le iniziali di Maestro Luca. 2 Appendice 1, documento 141. 3 ACS, Serie V, 1, p. 272. Cfr. D. I. Ricci, Fra Luca Pacioli, cit., p. 24; E. Ulivi, Luca Pacioli, cit., p. 31.
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fratello Olivo procuratore ed amministratore del figlio Luca, «heredis testamentarii pro dimidia supradicti Magistri Luce».1 Tali allusioni che, in parte, non trovano riscontro in quanto si legge nei tre testamenti noti di Luca, fanno pensare all’esistenza di almeno un quarto testamento del Pacioli, sconosciuto, forse non rogato a Sansepolcro, ma nel luogo che accolse le spoglie del maestro. Se ne deduce anche che dopo il documento borghigiano del 14 marzo 1516, da cui risulta che Luca aveva rinunciato ai propri privilegi apostolici, il minorita avesse mantenuto o riottenuto il privilegio di lasciare i propri beni in eredità ai congiunti. Di fatto, alcuni mesi dopo la morte del Pacioli, il 17 dicembre 1517, Frate Ambrogio e Frate Ginepro concessero all’allora padre guardiano Frate Cristoforo di Ambrogio da Monte ogni diritto su quanto, proprio per concessione della bolla papale, avevano ereditato da Maestro Luca, in particolare sulla camera che era stata l’abitazione conventuale del minorita, e che questi aveva destinato ai due consanguinei. Anche in questo caso il notaio rogante, Ser Girolamo Lucherini, dichiarò di aver letto il documento pontificio.2 Rimane da individuare il luogo dove avvenne la scomparsa del Pacioli, forse a Roma, ma non è da escludere nella stessa Sansepolcro. Albero genealogico della famiglia Pacioli Riportiamo di seguito l’albero genealogico dei Pacioli, nell’arco di sette generazioni, a partire dal bisnonno di Maestro Luca.
1 Appendice 1, documento 129.
2 Appendice 1, documento 150.
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Albero genealogico della famiglia Pacioli1 Bartolo Paciolo 1412 - m. p. 1430
Antonio (Barbaglia) 1413 - m. 1460 Piera m. 1460
Simone (Savoretto) 1413 - 1453 Lucia di Niccolò da Penestrina 1452
Antonio 1448
un figlio m. 1430
Apollonio 1448 - 1464
una figlia m. 1453
Masso 1449 - m. 1477/02
Antonio 1497 - m. 1511/17 Caterina di Andrea di Salvestro da Rasina 1499 - 1511 Masso m. 1495
Giacoma m. 1451
Bartolomeo 1512
Maddalena 1510 - 1517
1 Sia in questo albero che nel successivo della famiglia Da Vinci, in corrispondenza dei singoli nomi abbiamo indicato quello (o quelli) del rispettivo coniuge (o coniugi). Le date precedute da n. ed m. sono quelle di nascita e di morte (esatte o approssimate) della persona alla quale si riferiscono; le altre sono le date del primo e dell’ultimo (o dell’unico) documento relativo finora noti. Precisiamo infine che: c.= circa, d. = dopo, p. = prima. Abbiamo inserito in parentesi quadre le notizie che risultano dubbie, non essendo suffragate da documenti specifici.
Bartolomeo 1414 - m. 1459 Maddalena di Francesco di Matteo Nuti 1427 - 1430
Ciolo 1414 - 1426
Ginepro 1463 - m. 1476/10
Ambrogio 1466 - m. 1488/10
Niccolò (Frate Magalao) 1429 - 1490
un figlio m. 1468
Angiola 1508 - 1510
Francesca 1426 - 1456 Angelo di Paolo di Stefano da Valle Bona m.p. 1426 Nanni (Ghibellino) m. p. 1453 Piero di Vico da Caprese 1453 - 1456
Luca n. 1446/48 - m. 1517
Ulivo (Olivo) 1444 - m. 1476 Bartolomea (Angelesca) di Pietro Simonucci 1450 - 1474
Pietro n. 1459/64 - 1512 Caterina di Giuliano Loli 1484
Ambrogio 1508 - 1517
Ginepro 1508 - 1522
[Ginepro] 1522
Olivo 1512 - 1519 Luca 1517
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PARTE SECONDA LEONARDO DA VINCI E LA SUA FAMIGLIA La seconda parte del nostro lavoro presenta una miscellanea di interessanti documenti riguardanti Leonardo da Vinci e la sua famiglia.1 La principale fonte è anche qui il Notarile Antecosimiano dell’Archivio di Stato di Firenze, dal quale abbiamo riportato rogiti dei seguenti notai: Ser Piero di Francesco Sini, Ser Giuliano di Giovanni della Valle, Ser Simone di Dino di Simone, Ser Antonio di Giovanni Mini, Ser Bastiano di Antonio Ramucci, Ser Antonio di Niccolò Ferrini, Ser Pierfrancesco di Alberto degli Olivieri, Ser Benedetto di Filippo Buonaccorsi e Ser Giovanni di Francesco Lapucci.2 Altri documenti fiorentini sono contenuti nei fondi Catasto, Decime Repubblicana e Granducale, Magistrato dei Pupilli avanti il Principato, Corporazioni religiose soppresse dal governo francese, Monastero di Santa Brigida, nelle Carte Dell’Ancisa del fondo Manoscritti e nei ‘Registri dei Morti’ dell’Arte dei Medici e Speziali, sempre dell’Archivio di Stato, inoltre nei ‘Registri Battesimali’ dell’Archivio dell’Opera di Santa Maria del Fiore, nel Necrologio fiorentino del Cirri e tra le schede del Poligrafo Gargani della Biblioteca Nazionale. II. 1. Leonardo e la vigna di Porta Vercellina Il primo rogito che descriviamo e riportiamo era già noto al Milanesi che ne pubblicò però solo un riassunto nel quarto volume del 1879 della sua edizione de Le vite del Vasari, senza indicarne la collocazione archivistica.3 Il documento, rogato da Ser Piero Sini,4 riferisce che, il 29 luglio 1501, Leonardo ricevette personalmente da Pietro di Giovanni da Oreno il canone di affitto di una vigna situata nel Quartiere milanese di Porta Ver1 Questa seconda parte è una rielaborazione di E. Ulivi, Alcuni documenti inediti su Leonardo da Vinci e sulla sua famiglia, «Quaderno del Dipartimento di Matematica “Ulisse Dini” di Firenze», n. 6, maggio 2008, pp. 1-29. 2 Altri notai dei quali indichiamo solo in nota alcuni rogiti sono: Ser Lorenzo di Niccolò di Diedi, Ser Guglielmo di Simone Serricandi, Ser Leonardo di Bartolomeo Pucci e Ser Alessandro di Carlo. 3 Così il Milanesi: «1501, 29 luglio. Lionardo con strumento dove è detto pittore e scultore, fatto in Firenze, dichiara d’aver ricevuto da Pietro di messer Giovanni de Oreno, milanese, il canone d’un anno del fitto d’un pezzo di terra posto presso Porta Vercellina di Milano»; cfr. Giorgio Vasari, Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori ed architettori scritte da Giorgio Vasari pittore aretino con nuove annotazioni e commenti di Gaetano Milanesi, in Firenze, G. C. Sansoni editore, IV, 1879, p. 89. 4 Appendice 2, documento 1.
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cellina, per un periodo di un anno, dal novembre 1500 fino all’11 novembre 1501, giorno della festa di San Martino. La «Quietatio» venne conclusa a Firenze, alla presenza di Leonardo «scultor et pictor» e del suo affittuario, nel Popolo di Santo Stefano alla Badia, in tutta probabilità nello studio del Sini, e con la testimonianza di altri due notai, Ser Giovangualberto di Antonio Salomoni e Ser Leonardo di Bartolomeo Pucci; nella stessa zona si trovava anche la bottega notarile del padre di Leonardo, Ser Piero di Antonio da Vinci.1 La vigna, di circa sedici pertiche e di notevole valore fondiario, si trovava tra il Convento delle Grazie e il Monastero di San Vittore, nei pressi del Castello Sforzesco, e fu donata a Leonardo da Ludovico il Moro durante il primo soggiorno dell’artista a Milano, che precede il suo secondo periodo fiorentino. L’atto ufficiale fu ratificato il 26 aprile 1499, ma il Da Vinci ne risulta in possesso anteriormente al 2 ottobre 1498, forse già dalla fine del 1497. La vigna subì una confisca nel 1502 e ritornò a Leonardo nel 1507, per deliberazione del luogotenente del re di Francia Charles d’Amboise. Nel marzo del 1510 doveva essere ancora affittata a Pietro da Oreno, padre di Giangiacomo Caprotti, il Salai, come attesta un contratto concluso tra il Priore del Monastero di San Girolamo ed il suddetto Pietro, in merito all’edificazione di un muro divisorio tra il terreno di proprietà del monastero e la vigna; nel settembre del 1513, essendo sopraggiunta la morte del padre, il livello dell’immobile era passato a Giangiacomo, che l’affittò a sua volta. Col proprio testamento del 23 aprile 1519, Leonardo ne destinò una metà al fedele servitore Battista de Vilanis e l’altra all’allievo Salai, che vi aveva già edificato una casa.2 1 Cfr. in proposito E. Ulivi, Le residenze del padre di Leonardo da Vinci a Firenze nei quartieri di Santa Croce e di Santa Maria Novella, «Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche», XXVII, 1, 2007, pp. 155-158. 2 Sulla vigna e sul documento del Milanesi cfr. Gustavo Uzielli, Ricerche intorno a Leonardo da Vinci, Firenze, Stabilimento di G. Pellas, 1872, pp. 68, 77-78, 161-163, 178-180, 186-189; Gerolamo Biscaro, La vigna di Leonardo da Vinci fuori di porta Vercellina, «Archivio Storico Lombardo», XII, 1909, pp. 363-396; Luca Beltrami, Documenti e memorie riguardanti la vita e le opere di Leonardo da Vinci, Milano, Fratelli Treves Editori, 1919, pp. 52-54, 67, 117-118; L. Beltrami, La Vigna di Leonardo da Vinci, Milano, Allegretti, 1920; Gerolamo Calvi, Augusto Marinoni, I manoscritti di Leonardo Da Vinci dal punto di vista cronologico, storico e biografico, Busto Arsizio, Bramante, 1982, pp. 121, 123, 127, 183; Jonice Shell, Grazioso Sironi, Salai and the inventory of his estate, «Raccolta Vinciana», fasc. XXIV, Milano, Castello Sforzesco, 1992, pp. 109-112, 118, 130-131, 134; A. Vezzosi, “Parleransi li omini …” Leonard et l’Europe, a cura del Museo Ideale Leonardo Da Vinci, Perugia, Relitalia, 2001, pp. 17, 22, 25; E. Villata, Leonardo da Vinci. I documenti e le testimonianze contemporanee, cit., pp. 138, 122-125, 211-212, 233-235, 276; E. Villata, Leonardo, Milano, 5Continents, 2005, p. 101; E. Villata, Prima maturità a Milano (1482-1499), cit., pp. 168-169; Angiolo de Scisciolo, Per un’altra storia. Studi sull’opera “Il Ritratto di Ginevra de’ Benci” di Leonardo da Vinci, Città di Castello, Edimond, 2006, pp. 223-227, 342; C. Vecce, Leonardo, cit., pp. 178-179, 205, 291, 305.
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II. 2. Leonardo mundualdo I due notai Ser Andrea Filiromoli e Ser Giuliano della Valle, che abbiamo incontrato nella prima parte del nostro lavoro, furono entrambi legati sia al Pacioli che al Da Vinci. Un protocollo del Filiromoli, infatti, oltre al citato rogito del 21 luglio 1505, con la procura assegnata da Maestro Luca al Della Valle e ad un Pietro degli Strozzi e con la testimonianza del genio, contiene anche, poche carte prima, un già noto ed importante documento del 23 giugno 1505 relativo a Leonardo ed all’eredità del suo zio paterno Francesco.1 Il medesimo Ser Giuliano della Valle rogherà un mese dopo un atto nel quale Leonardo fu nominato mundualdo di una certa Caterina, vedova di Antonio di Bastiano da Montevarchi,2 un documento insolito in relazione al Da Vinci. La nomina, datata 23 agosto 1505, è seguita da una «Recognitio debiti» in cui la suddetta Caterina, assieme al figlio Francesco e ad un Cristoforo di Piero di Ser Cristoforo, si dichiara debitrice di Daddo di Piero Luoli da Montevarchi, in relazione all’affitto di alcuni possedimenti già di Daddo e da lui restituiti a Caterina.3 Testimoni del rogito, stilato nella sede della seconda Cancelleria fiorentina, in Palazzo Vecchio, furono lo stesso Ser Andrea Filiromoli, Tommaso Balducci «comandatore Dominationis», ossia famiglio del Palazzo della Signoria, e Raffaele di Iacopo di Giovanni tavolaccino, un servitore e messo di magistrati.4 Non sappiamo se Leonardo abbia avuto dei reali rapporti con la famiglia di Caterina di Antonio e con i Luoli di Montevarchi, oppure se la sua presenza nel rogito sia stata solo casuale, come spesso avveniva per le nomine di testimoni, mundualdi e procuratori; è interessante notare che proprio negli anni 1504-1506 l’artista lavorò in Palazzo Vecchio alla realizzazione della Battaglia di Anghiari. Segnaliamo che due fratelli di Daddo, Luolo e Salvatore, si trovano più volte in un precedente protocollo di Ser Giuliano della Valle, negli anni 1484-1485.5 Tali Daddo, soprannome di Leonardo, ed i fratelli Luolo e Salvatore, risiedevano tutti nel Popolo di San Lorenzo a Montevarchi, del Piviere di Cavriglia, dove al Catasto del 1487 e alla Decima Repubblicana
1 ASF, Notarile Antecosimiano 7532, cc. 100v-101r. Cfr. E. Villata, Ritorno a Firenze (15031506), in Leonardo da Vinci. La vera immagine, cit., p. 199. 2 Appendice 2, documento 2. 3 Appendice 2, documento 3. 4 Il tavolaccino era così denominato perché, tra le varie incombenze, aveva quella di portare, durante le cerimonie pubbliche, il tavolaccio su cui erano dipinte le insegne del Comune. 5 ASF, Notarile Antecosimiano 9912, cc. 13r, 24r, 34v, 36r.
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del 1504 risultano proprietari di case e svariati poderi.1 Negli stessi Catasto e Decima di Montevarchi non si trova invece la Portata di Caterina vedova di Antonio di Bastiano, né quelle del marito e del figlio Francesco; così anche al Catasto del 1480 e alla Decima Repubblicana del 1495/98, relativi a Firenze. II. 3. Sui Da Vinci I restanti documenti riportati in questo lavoro sono tutti relativi ai familiari di Leonardo, ma due di essi contengono anche riferimenti al grande artista e scienziato. Le notizie che ne derivano forniscono diverse integrazioni ad una nostra recente pubblicazione sulla genealogia del Da Vinci, inserendo importanti tasselli in quanto fino ad oggi si conosce sulla storia della sua famiglia.2 II. 3. 1. Tre matrimoni Ricordiamo che Ser Piero di Antonio di Ser Piero da Vinci, dopo avere avuto il figlio illegittimo Leonardo, nato il 15 aprile 1452 dalla relazione con una ragazza di nome Caterina,3 si sposò quattro volte: con Albiera di Giovanni Amadori, Francesca di Ser Giuliano Lanfredini, Margherita di Francesco Giulli, Lucrezia di Guglielmo Cortigiani. Durante il primo, terzo e quarto matrimonio nacquero in totale almeno sedici figli. In circa dodici anni di unione con Albiera Amadori Ser Piero ebbe Antonia. Nel corso di dieci anni di matrimonio con Margherita Giulli divenne padre di sette figli: Antonio, Maddalena, Giuliano, Lorenzo, Violante, Domenico e Bartolomeo. Durante i quasi diciannove anni di unione con Lucrezia Cortigiani ebbe otto figli: Guglielmo Francesco, Margherita, Benedetto, Pandolfo, un altro Gugliemo Francesco, ancora un Bartolo1 ASF, Catasto 1114 (Quartiere di Santa Croce, Piviere di Cavriglia, Montevarchi n. 105: anno 1487), cc. 571r-574r; 1115 (Idem), cc. 327r-330r; Decima Repubblicana 300 (Idem: anno 1504), cc. 757r-759r, 818r-820v, 1189r-1190r. 2 Cfr. E. Ulivi, Per la genealogia di Leonardo. Matrimoni e altre vicende nella famiglia Da Vinci sullo sfondo della Firenze rinascimentale. A cura di Agnese Sabato e Alessandro Vezzosi (Quaderno 2 della serie «Personaggi celebri e sconosciuti nella Toscana di Leonardo», Museo Ideale Leonardo Da Vinci), Vinci, Strumenti - memoria del territorio, 2008. Per quanto già noto sui Da Vinci, salvo diversa indicazione, rimandiamo a questo saggio e alla relativa bibliografia. 3 Sulla madre di Leonardo cfr. Francesco Cianchi, La madre di Leonardo era una schiava? Ipotesi di studio di Renzo Cianchi con documenti inediti. Introduzione di Carlo Pedretti. A cura di Agnese Sabato e Alessandro Vezzosi (Quaderno 1 della serie «Personaggi celebri e sconosciuti nella Toscana di Leonardo», Museo Ideale Leonardo Da Vinci), Vinci, Strumenti - memoria del territorio, 2008; E. Ulivi, Sull’identità della madre di Leonardo con documenti inediti sulla famiglia Da Vinci, «Quaderno del Dipartimento di Matematica “Ulisse Dini” di Firenze», n. 4, aprile 2008, pp. 1-23, di cui una rielaborazione è in corso di pubblicazione sul «Bullettino Storico Pistoiese».
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meo, Giovanni Francesco, ed una bambina che morì presumibilmente appena nata. Morirono fanciulli anche Antonia, Maddalena, il primo maschio di nome Bartolomeo ed il primo di nome Guglielmo Francesco. All’elenco potrebbe aggiungersi altri tre figli: due maschi di nome Domenico e Pierfilippo, una femmina scomparsa nel 1505, qualora non la si identifichi o con Violante o con Margherita. Gli atti matrimoniali di cui diamo notizia sono quelli di Ser Piero da Vinci con Lucrezia Cortigiani, e quelli dei suoi figli di terzo letto Violante e Ser Giuliano. II. 3. 1. 1. Ser Piero e Lucrezia Cortigiani I documenti fino ad oggi in nostro possesso avevano solo permesso di collocare la data del quarto matrimonio del padre di Leonardo con Lucrezia Cortigiani tra il settembre del 1485 e l’inizio del 1486. Il relativo contratto, ora rintracciato, venne di fatto concluso davanti al notaio Ser Simone di Dino di Simone il 12 novembre 1485,1 nel Popolo di Santa Maria in Campo del Quartiere di San Giovanni, presumibilmente nella casa della sposa in Via degli Albertinelli, un tratto dell’odierna Via dell’Oriuolo. L’atto è preceduto da un compromesso rogato nello stesso giorno, nel quale la madre di Lucrezia, Lisa di Giovanni di Iacopo Bonafé, vedova di Guglielmo dei Cortigiani o Visdomini, ed i figli Alessandro e Giovanni promisero a Ser Piero 100 fiorini per la dote di Lucrezia.2 II. 3. 1. 2. Violante e Francesco Buonamici Per quanto riguarda Violante, dopo il documento della nascita e del battesimo avvenuti il 27 e 28 novembre 1481, e dopo la sua presenza tra le «Bocche» alla Decima Repubblicana dei Da Vinci, nel 1495, non avevamo altre informazioni. Grazie a due atti notarili stilati da Ser Pierfrancesco degli Olivieri, veniamo finalmente a conoscenza del suo matrimonio. Violante, il 23 luglio 1503,3 sposò Francesco di Domenico Buonamici, figlio di Domenico di Bartolomeo di Niccolò Ghini e di Alessandra di Benvenuto di Michele di Matteo degli Olivieri, lo stesso casato del notaio rogante; come si legge in un successivo rogito del 1º settembre, la sposa portò una dote di 1100 fiorini di suggello.4 1 Appendice 2, documento 5. 2 Appendice 2, documento 4. Su Lisa di Giovanni Bonafé abbiamo diversi rogiti del 1503-1504, per lo più con Ser Piero, in notai legati alla famiglia Da Vinci e citati nel corso di questa pubblicazione: ASF, Notarile Antecosimiano 11638, cc. 111v-112r, 113v-114r; 15532, cc. 39v-40r; 19229, cc. 165r-165v, 171r. 3 Appendice 2, documento 11. 4 Appendice 2, documento 12.
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Il bisnonno di Francesco, Niccolò Ghini, fu probabilmente in relazione con due importanti abacisti del Quattrocento, Domenico di Agostino Cegia, detto il Vaiaio, e Bettino di Ser Antonio da Romena, oltre che possessore, verso il 1460, di un trattato matematico scritto in forma dialogale dallo stesso Vaiaio, opera non pervenutaci. Un fratello di Bettino, Ser Niccolò da Romena, fu tra i notai dei Ghini. Francesco era un battiloro o ‘maestro di foglia’, ma apparteneva ad una facoltosa famiglia di bicchierai o vetrai, originaria di Gambassi nel Piviere di San Lazzaro in Valdelsa. Già dalla prima metà del Quattrocento, i Ghini abitarono a Firenze in una casa di proprietà situata in Via del Cocomero, nel Popolo di Santa Maria del Fiore o San Marco, sotto il Gonfalone Drago del Quartiere di San Giovanni, ed ebbero diversi possedimenti in Valdelsa, a Gambassi e Catignano, e a San Giovanni Valdarno.1 Il marito di Violante, che sembra fosse ancora in vita nel 1520, nacque verso il 1471, terzo di almeno altri otto fratelli: Niccolò,2 Giovanbattista, Lorenzo, Ginevra, Raffaello, Bartolomeo, Marietta e Benedetto. Dall’unione con Violante nacquero probabilmente Dianora e Niccolò.3 II. 3. 1. 3. Ser Giuliano e Alessandra Dini Sull’albero genealogico dei Da Vinci pubblicato dall’Uzielli nel 1872, vicino ai nomi di Ser Giuliano e della moglie Alessandra di Giovanni di 1 Sui Ghini si veda E. Ulivi, Bettino di Ser Antonio, un maestro d’abaco nel Castello di Romena, «Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche», XXVI, 1, 2006, pp. 85-89. Inoltre ASF, Catasto 1018 (Quartiere di San Giovanni, Gonfalone Drago: anno 1480), cc. 155r-156v; Decima Repubblicana 29 (Idem: anno 1495), cc. 416r, 651r-652r, 639r-640r. BNF, Poligrafo Gargani 943 (Ghini), n. 4. 2 Come il fratello Francesco, anche Niccolò di Domenico Ghini ricevette la dote della moglie Lucrezia nel 1503, il 18 gennaio: cfr. ASF, Notarile Antecosimiano 7217, (anni 1500-1511), c. 96r. 3 Nei ‘Registri dei morti’ di Firenze sono elencate le sepolture di una Dianora di Francesco Buonamici il 18 marzo 1530 e di un Niccolò di Francesco Buonamici l’11 dicembre 1563, entrambe in San Marco: ASF, Arte dei Medici e Speziali 249, c. 53r; 252, c. 123r. BNF, Alfredo Cirri, Necrologio fiorentino, IV (Buonamici), p. 170. L’informazione relativa a Dianora rimanda ad una minuta di lettera del 5 luglio 1507, contenuta nel Codice atlantico (c. 364r), scritta a Milano non dalla mano di Leonardo; la missiva inizia con «Cara mia dileta madre e mie sorele e mio cognato», del quale è poi indicato il nome di battesimo, Piero, e fa anche riferimento ad una piccola Dianira. Cfr. Leonardo da Vinci, Il Codice Atlantico della Biblioteca Ambrosiana di Milano, cit., V, 1977, p. 20. Secondo alcuni storici la lettera era rivolta da un allievo di Leonardo alle proprie madre e sorelle che si trovavano a Firenze, mentre per altri la missiva era stata dettata da Leonardo e indirizzata alla matrigna Lucrezia Cortigiani ed alle sorelle Margherita e Violante, una delle quali forse madre di Dianira. Nella seconda ipotesi, si potrebbe pensare che Dianira o Dianora fosse la presunta figlia di Violante e di Francesco Buonamici e che Piero fosse il marito dell’altra sorella Margherita, al tempo ventenne, o il nome familiare dello stesso Francesco. Sempre in questa seconda ipotesi è ovvio che la figlia di Ser Piero scomparsa nel 1505 non poteva essere né Margherita né Violante, entrambe ancora in vita nel 1507.
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Antonio Dini si legge la data 10 novembre 1514.1 Nel suo lavoro su Ser Giuliano del 1934, lo studioso tedesco Möller riportò in quella data una breve sintesi dell’atto rogato da Ser Antonio Ferrini, con il quale Ser Giuliano dichiarò di avere ricevuto 400 fiorini come dote di Alessandra.2 Dello stesso rogito, fatto probabilmente nel Popolo di Santa Lucia di Ognissanti, abbiamo trascritto un più ampio stralcio.3 Il contratto matrimoniale di Ser Giuliano ed Alessandra non è stato rintracciato, tuttavia due documenti notarili, stilati il 19 giugno 1517 da Ser Pierfrancesco degli Olivieri,4 riferiscono che la cerimonia avvenne nell’agosto del 1514, e che i familiari di Alessandra promisero a Ser Giuliano 200 fiorini, oltre i 400 che gli furono consegnati nel novembre 1514, come si evince dall’ultimo testamento dello stesso Ser Giuliano, di cui parleremo tra breve. I documenti dell’Olivieri c’informano che Alessandra ebbe per madre Francesca di Antonio di Andrea dei Mazzi e tre fratelli di nome Piero, Francesco e Niccolò. Questi, il 19 giugno 1517, concessero a Ser Giuliano il diritto di ricevere l’affitto di un terzo di una loro casa situata in Via Ghibellina nel Popolo di Sant’Ambrogio, fino al raggiungimento di 150 fiorini che spettavano ancora al Da Vinci della dote di Alessandra. La casa confinava con una casa dei Dini, proprietari anche di numerosi beni nel Comune di Castelnuovo del Piviere di Fabbrica in Valdelsa.5 II. 3. 2. La casa di Via Ghibellina Il 29 novembre 1450, in un codicillo al suo testamento del 19 settembre 1449, il banchiere fiorentino Vanni di Niccolò di Ser Vanni, proprietario ed abitante di una grande casa che si stendeva tra Via Ghibellina ed il Canto alla Briga dell’attuale Via dell’Agnolo, stabilì che Ser Piero da Vinci avesse «lla tornata della chasa di Firenze in quel modo et per quella forma et per quel tenpo et in tutto et per tutto che parà al detto Ser Piero», oltre all’usufrutto di una delle due case e di altri beni che possedeva agli Olmi.6 Eredi usufruttuari degli stessi possedimenti furono nominati an1 G. Uzielli, cit.: Albero genealogico della famiglia Da Vinci. 2 Emil Möller, Ser Giuliano di Ser Piero da Vinci e le sue relazioni con Leonardo, «Rivista d’Arte», XVI, 1934, p. 389. Qui il Möller scrive erroneamente che l’atto fu rogato nel Popolo di San Simone da Ser Antonio Fenini. 3 Appendice 2, documento 10 e nota relativa. 4 Appendice 2, documenti 17 e 18. Non è da escludere che l’atto matrimoniale fosse stato rogato sempre dal Ferrini, le cui carte, peraltro dense di documenti, presentano un salto dal 27 luglio al 16 agosto 1514. 5 ASF, Catasto 1006 (Quartiere di Santa Croce, Gonfalone Ruote: anno 1480), cc. 106r-106v; Decima Repubblicana 14 (Idem: anno 1495), cc. 81r-82r. BNF, Poligrafo Gargani 715 (Dini), nn. 117, 161. 6 ASF, Notarile Antecosimiano 7399, c. 64r. Cfr. anche F. Cianchi, La madre di Leonardo era una schiava?, cit., p. 13.
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che alcuni parenti del Vanni, tra cui la sua vedova Agnola di Piero Baroncelli, e suoi eredi universali i frati del Convento di San Girolamo di Fiesole. Alla morte del banchiere, dopo una complessa questione sorta tra gli eredi e l’Arcivescovo di Firenze, la casa di Via Ghibellina rimase a Monna Agnola, entrando a far parte delle proprietà di Ser Piero successivamente alla scomparsa della vedova, e a partire dall’inizio del 1480. La numerosa famiglia di Leonardo visse in quella casa almeno fino ai primi anni Trenta del Cinquecento. Ma ad un certo punto, con l’assottigliarsi del nucleo familiare, i Da Vinci cominciarono ad affittarne una parte, stipulando i relativi contratti entrambi presso il notaio Ser Pierfrancesco degli Olivieri: il 15 aprile 1511 a Maso di Bartolomeo degli Albizi per cinque anni, e il 6 agosto 1519 a Luca di Andrea Carnesecchi per nove anni.1 I due rogiti confermano che doveva trattarsi di una casa molto ampia, con una corte centrale, e di cui i Da Vinci occupavano la parte posteriore sul Canto alla Briga, poco distante dal Monastero di Santa Verdiana citato nel primo rogito, affittando il lato anteriore che dava su Via Ghibellina. Dal primo documento si evince anche che il sito doveva essere originariamente costituito da due case poi unite con l’abbattimento di un muro nella corte, che i proprietari dettero facoltà al primo locatario di ricostruire «ut dicitur vulgo fare, disffare».2 II. 3. 3. L’eredità di Ser Piero Ser Piero di Antonio da Vinci morì, sembra «ab intestato», il 9 luglio 1504. Oltre al figlio naturale Leonardo, il notaio lasciò nove maschi legittimi: quattro nati dall’unione con Margherita Giulli, cioè Antonio, Giuliano, Lorenzo e Domenico, e cinque non ancora maggiorenni nati dal quarto matrimonio con Lucrezia Cortigiani, ossia Benedetto, Pandolfo, Guglielmo, Bartolomeo e Giovanni. Per questo, il 15 dicembre 1505, la Cortigiani si recò nell’Ufficio del Magistrato dei Pupilli di Firenze per stipulare tre rogiti davanti al notaio Ser Antonio Mini, nei quali la vedova, dopo avere nominato come suo mundualdo lo zio Antonio di Giovanni Bonafé, fratello della madre Lisa, assunse la tutela dei figli minori con accettazione da parte degli Ufficiali dei Pupilli, fino a quel momento, e provvisoriamente, tutori degli stessi.3 1 Appendice 2, documenti 13, 14 e 22. 2 La filza di Ser Pierfrancesco degli Olivieri dove si trova il primo contratto di locazione contiene altri rogiti del 1511-1512 riguardanti l’affitto della casa: ASF, Notarile Antecosimiano 15533, cc. 94v-95v, 197r-198v. 3 Appendice 2, documenti 6-8. Cfr. E. Ulivi, Sull’identità della madre di Leonardo, cit., pp. 2122. Analoghi documenti sull’assegnazione della tutela si trovano in un registro degli Ufficiali dei
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Cinque giorni dopo l’assegnazione della tutela, il 20 dicembre 1505, davanti al notaio Ser Giovanni Lapucci, tre arbitri nominati dai figli di Ser Piero e da Lucrezia, decretarono in merito alla divisione dei beni lasciati in eredità dal notaio.1 Il lodo riporta due distinte e dettagliate liste, una per i possedimenti spettanti ai cinque figli maschi nati da Lucrezia Cortigiani, e l’altra per quelli da distribuire tra i quattro figli di Margherita Giulli, in misura rispettivamente di 5/9 e 4/9 ciascuno. Per i vari immobili è riportata la relativa stima: erano la casa fiorentina in Via Ghibellina e svariati poderi e case situati a Vinci e Bacchereto. Il documento del 1505 è quasi con certezza il primo con una complessiva valutazione dell’eredità di Ser Piero, ma non è l’ultimo. Nella sua ormai lontana pubblicazione, l’Uzielli rese infatti noto un successivo documento analogo, datato 30 aprile 1506 e ritrovato tra le carte della famiglia Da Vinci;2 l’atto comprendeva un rogito probabilmente del notaio Ser Bartolomeo di Giovanni Urbani,3 con una divisione dei beni anche qui separatamente tra i figli di terzo e quarto letto, seguito da un inventario effettuato da Ser Giuliano di Ser Piero, entrambi con le corrispondenti stime. L’analisi del secondo documento ed un confronto con il precedente, oltre a mettere in evidenza una diversa indicazione ed estimazione dei vari possedimenti, rileva che il rogito pubblicato dall’Uzielli doveva essere incompleto per quanto riguarda l’elenco dei beni da assegnare agli eredi. L’atto del 20 dicembre 1505 presenta inoltre, alla fine, due precisazioni non presenti in quello del 30 aprile 1506. Una concerne il podere situato a Novelleto, che Ser Piero aveva preso in affitto perpetuo dalle suore del Monastero di Santa Brigida detto del Paradiso, e che venne trasmesso ai figli del notaio nati da Margherita
Pupilli: ASF, Magistrato dei Pupilli avanti il Principato 117, c. 93r. In quest’ultima filza, alle cc. 93v94v e 199r, e in altri tre registri degli Ufficiali dei Pupilli troviamo diversi atti degli anni 1505-1507 sempre inerenti agli eredi e all’eredità di Ser Piero: ASF, Magistrato dei Pupilli avanti il Principato 118, c. 87r; 217, c.n.n.; 218, cc. 215r-217v. Anche il protocollo di Ser Antonio Mini con la tutela di Lucrezia contiene altri rogiti del 1506 sulla Cortigiani nelle vesti di tutrice dei figli: ASF, Notarile Antecosimiano 14288, cc. 415r, 456r-456v. 1 Appendice 2, documento 28. All’inizio del lodo si fa riferimento ad un compromesso tra gli eredi di Ser Piero, rogato il 22 agosto 1505 da Ser Giovanfrancesco dei Cennini e non pervenutoci. 2 G. Uzielli, Ricerche intorno a Leonardo da Vinci, cit., pp. 76-77, 168-177. Come informa lo stesso Uzielli, già il 9 dicembre 1504, Ser Giuliano, a nome di Antonio, Lorenzo e Domenico di Ser Piero, il fratello Benedetto e lo zio Raffaele Cortigiani, fratello di Lucrezia, avevano eletto alcuni abitanti di Vinci per effettuare la stima delle proprietà lasciate dal padre a Vinci e Bacchereto. ASF, Corporazioni religiose soppresse dal governo francese 43, 11 (Santa Lucia alla Castellina), inserto 2, n. 1; E. Ulivi, Per la genealogia di Leonardo, cit., p. 22. 3 L’Uzielli colloca un punto interrogativo vicino al nome del notaio: cfr. G. Uzielli, Ricerche intorno a Leonardo da Vinci, cit., p. 171.
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Giulli.1 L’altra, di gran lunga più interessante in quanto riferita a Leonardo, recita: Et in omnia que competerent dictis partibus vel alicui eorum in aliquibus de dictis bonis que pertinerent Leonardo filio naturali dicti Ser Petri tamquam bona que fuerunt Francisci fratris dicti Ser Pieri quibus pro predicta non intendimus in aliquo preiudicare.
Non molto dopo la scomparsa del padre, e prima dell’estate del 1505, Leonardo aveva infatti subito anche la perdita dello zio Francesco, che nel suo testamento del 12 agosto 1504 aveva lasciato il nipote illegittimo erede fidecomissario dei propri beni di Vinci, stabilendo che solo alla morte di quest’ultimo andassero ai figli legittimi del fratello Ser Piero. Tali disposizioni testamentarie furono impugnate dai nove fratellastri di Leonardo, che trovò in Ser Giuliano il suo peggiore oppositore, generando una controversia trascinatasi per diversi anni. La questione relativa alla spartizione dei beni lasciati da Ser Piero fu, almeno sembra, definitivamente risolta con l’atto del 30 aprile 1506, che escludeva Leonardo da qualunque diritto ereditario. Tra i figli legittimi del notaio Da Vinci rimasero tuttavia in sospeso altre pendenze, sempre collegate alla morte del padre, che furono discusse più volte nel corso degli anni. Tre in particolare riguardavano le restituzioni delle doti di Margherita Giulli, di Lucrezia Cortigiani e di Mattea di Francesco di Iacopo Cutini da Prato, vedova di Ser Baldassarre di Ser Piero Zosi da Bacchereto, zio di Ser Piero da Vinci in quanto fratello di sua madre Lucia. Sulla prima abbiamo ad esempio due rogiti del 15 maggio 1512, stilati a Vinci da Ser Benedetto Buonaccorsi, dove Antonio e Domenico di Ser Piero nominarono loro procuratore il fratello Lorenzo, revocando subito dopo, assieme a lui, una precedente nomina fatta al fratello Ser Giuliano, a causa della lite sorta in relazione alla dote della madre Margherita, con i fratellastri nati da Lucrezia.2 Due giorni dopo, il 17 maggio 1512 nella Chiesa fiorentina di Santa Maria Novella, Lorenzo dette licenza ai 1 Il podere, costituito da ben diciannove appezzamenti di terreno con due case da lavoratore e situato a Vinci, nel Popolo di San Lorenzo Arniani, fu affittato a Ser Piero il 30 luglio 1467, con un atto rogato nel Monastero di Santa Brigida da Ser Lorenzo di Niccolò di Diedi, e pervenutoci in modo incompleto: ASF, Notarile Antecosimiano 12124, cc. 40v-41v; Monastero di Santa Brigida detto del Paradiso 316, cc. 129s-129d, 228s-228d, 298s-298d. Il podere è ricordato anche nelle Portate di Ser Piero al Catasto del 1480 e alla Decima Repubblicana del 1495: ASF, Catasto 1001 (Quartiere di Santo Spirito, Gonfalone Drago), c. 127r; Decima Repubblicana 9 (Idem), c. 1165r. Si vedano anche G. Uzielli, Ricerche intorno a Leonardo da Vinci, cit., pp. 153, 159; Nino Smiraglia Scognamiglio, Ricerche e documenti sulla giovinezza di Leonardo da Vinci (1452-1482), Napoli, Riccardo Marghieri di Gius., 1900, pp. 139, 153. 2 Appendice 2, documenti 24 e 25.
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fratellastri ed al notaio rogante Ser Pierfrancesco degli Olivieri di consegnare a Ser Giuliano 21 fiorini spettanti agli stessi Lorenzo, Antonio e Domenico come parte della dote di Margherita;1 il denaro doveva essere a sua volta consegnato a Mattea, la vedova di Ser Baldassarre di Ser Piero Zosi.2 Sulla dote della Cortigiani rimane l’atto del 30 dicembre 1506, in un protocollo di Ser Bastiano Ramucci, con cui Lucrezia donò ai cinque figli, Benedetto, Pandolfo, Guglielmo, Bartolomeo e Giovanni, i cento fiorini del suo assegno dotale.3 Dodici anni dopo, il 14 maggio 1518, Bartolomeo e Giovanni, davanti al notaio Ser Pierfrancesco degli Olivieri, si riconobbero debitori di Lucrezia, restituendo alla madre cinquanta fiorini, ossia i due quinti della dote da lei ricevuta con l’aggiunta della parte di dote a suo tempo assegnata a Pandolfo e da loro ereditata dopo la sopraggiunta morte del fratello, anche lui «ab intestato».4 Il rogito della «recognitio debiti» e un precedente documento del 5 maggio 1514, rogato dallo stesso notaio, ed in cui Pandolfo risulta ancora in vita, in quanto procuratore del fratello Benedetto,5 permettono di stabilire che Pandolfo morì tra il 1514 ed il 1518, restringendo notevolmente l’intervallo di tempo, 1506-1520, entro il quale era stato fino ad ora possibile situarne la scomparsa. Dopo soluzioni provvisorie, e dopo la morte di Leonardo avvenuta il 2 maggio 1519 nella sua residenza di Clos-Lucé a Cloux, presso Amboise, tutte le pendenze legate all’eredità di Ser Piero, ed anche a quella del fratello Francesco e dello stesso Leonardo, furono definitivamente risolte con un accordo stipulato il 4 luglio 1520 tra gli otto fratellastri di Leonardo allora in vita e la matrigna Lucrezia.6 1 Appendice 2, documento 15. Cfr. anche E. Ulivi, Sull’identità della madre di Leonardo, cit., pp. 22-23. Un altro documento del 1507 riguardante la dote di Margherita è in ASF, Notarile Antecosimiano 19017, II, c. 56r. Ser Giuliano, Lorenzo e Domenico ricevettero ciascuno la quarta parte dell’eredità della madre Margherita Giulli il 24 e 28 marzo 1508: ASF, Notarile Antecosimiano 15532, cc. 168r-168v. Nell’eredità della Giulli doveva essere inclusa una parte della casa di famiglia di Margherita, situata nel Chiasso di Messer Bivigliano, oggi Chiasso dei Baroncelli, come attestano alcuni atti di affitto di quella casa: uno fu concluso da Ser Piero nel 1503, un altro nel 1508 dai suoi figli e dalla sua vedova Lucrezia Cortigiani che ne destinarono il ricavato al Monastero di Santa Brigida, a sua volta loro affittuario del podere di Novelleto. Cfr. ASF, Notarile Antecosimiano 11638, cc. 109v-110r e 15532, cc. 182r-183r. 2 La questione della dote di Mattea era stata discussa in una «Convenctio inter filios Ser Pieri de Vincio» del 13 maggio 1511, sempre rogata da Ser Pierfrancesco degli Olivieri: ASF, Notarile Antecosimiano 15533, cc. 101r-105r. Nel documento si ricorda tra l’altro il lodo del 30 aprile 1506. 3 Appendice 2, documento 9. Nello stesso protocollo, Notarile Antecosimiano 17544, sulla donazione di Lucrezia cfr. anche le cc. 383v-384v. 4 Appendice 2, documenti 19-21. 5 Appendice 2, documento 16. 6 Cfr. E. Villata, Gli ultimi anni in Francia (1516-1519), in Leonardo da Vinci. La vera immagine, cit., pp. 248-250. Una precedente «Conventio» fu conclusa tra gli eredi del notaio il 13 maggio 1511:
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II. 3. 4. I testamenti di Ser Giuliano Per quanto riguarda il testamento di Ser Giuliano, l’Uzielli ed il Möller fanno solo riferimento a quanto da loro ritrovato nelle carte della famiglia Da Vinci. Lo storico italiano si limita a collocarlo approssimativamente nel 1520-1530, scrivendo che si trattava di un documento autografo di quattro carte.1 Lo studioso tedesco riferisce di una bozza di testamento non datata, di solo una pagina e mezzo, riguardante per lo più Alessandra Dini, la moglie di Ser Giuliano, senza alcun esplicito riferimento ai figli del notaio, ma solo «de filiis masculis et femminis» e con un legato di 30 fiorini a Frate Zanobi di Piero del Convento di San Marco, confessore del testatore.2 All’Archivio di Stato di Firenze abbiamo rintracciato due testamenti di Ser Giuliano. Il primo, esattamente di quattro carte come quello di cui parla l’Uzielli, fu rogato il 22 settembre 1519 da Ser Pierfrancesco degli Olivieri;3 il secondo, di sole due carte e meno dettagliato del precedente, fu stilato il 20 aprile 1525 da Ser Giovanni Lapucci4 ed è seguito da una carta di codicilli datati 24 aprile. Né l’uno né l’altro sembra corrispondere ai due documenti cui accennano l’Uzielli ed il Möller. Entrambi vennero redatti nell’abitazione di Ser Giuliano in Sant’Ambrogio, ed in entrambi il testatore dispose di essere sepolto nella tomba di famiglia della Chiesa di Santo Stefano alla Badia. Nel primo testamento Ser Giuliano stabilì che alla moglie Alessandra venissero restituiti i 400 fiorini larghi del suo assegno dotale, oltre a 36 fiorini larghi e 50 di suggello in contanti e beni mobili; sul Monte Comune delle doti delle fanciulle lasciò 800 fiorini per la figlia legittima Violante e 400 fiorini per un’altra figlia «spuria», di nome Margherita, nata da una certa Sandra «olim eius famula». Liberò da ogni pendenza i fratelli Lorenzo e Domenico ed i fratellastri Benedetto, Bartolomeo, Guglielmo e «Piero», che doveva essere un nome usato familiarmente per indicare il ASF, Notarile Antecosimiano 15533, cc. 101r-105r. Per altri rogiti dello stesso notaio inerenti all’eredità di Ser Piero degli anni 1509 e 1513 cfr. Ivi, cc. 275r-275v e Notarile Antecosimiano 15532, cc. 271r-271v. Per gli anni 1506 e 1520 cfr. inoltre ASF, Notarile Antecosimiano 17544, cc. 368r-368v; 11544, cc. 211r-211v, 214v-215r. 1 G. Uzielli, Ricerche intorno a Leonardo da Vinci, cit., p. 129. 2 E. Möller, Ser Giuliano di Ser Piero da Vinci, cit., p. 390. 3 Appendice 2, documento 23. Tra i testimoni del rogito compare Niccolò di Ser Niccolò di Ser Antonio da Romena, abitante in Sant’Ambrogio come Ser Giuliano, e nipote del maestro d’abaco Bettino di Ser Antonio che abbiamo ricordato in relazione ai Ghini-Buonamici, imparentati con i Da Vinci. 4 Appendice 2, documento 29.
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fratellastro Giovanni. Altri legati testamentari si riferiscono ad una Monna Lucrezia di Niccolò di Ser Dino, vedova di Lorenzo di Luca, ed a sua figlia Margherita, ad un certo Matteo di Rinaldo Baldi, a suo figlio Giovanni e ad un Bastiano Pangani per quanto riguarda del bestiame che Giuliano aveva loro affittato «ad soccidum», a Zanobi di Piero dell’ordine dei frati predicatori, suo confessore, lo stesso di cui riferisce il Möller. Erede universale di tutti i suoi beni mobili ed immobili nominò la figlia Violante, precisando anche in merito ad eventuali passaggi di proprietà dei beni a Bacchereto ereditati dal padre Ser Piero, che destinò successivamente al fratello Lorenzo e ai suoi eredi legittimi, alla figlia Margherita, al fratello Antonio ed ai suoi figli maschi legittimi. Elesse Lorenzo tutore di Violante. Oltre alla notizia della figlia naturale, su cui torneremo, il passo più interessante del documento riguarda Leonardo. L’artista aveva dettato le sue ultime volontà solo cinque mesi prima, il 23 aprile 1519, nella residenza di Clos-Lucé, alla presenza di alcuni testimoni e dell’allievo ed amico Francesco Melzi, suo esecutore testamentario e principale erede. Il 1º giugno, il Melzi scriverà a Ser Giuliano e agli altri fratelli informandoli della sopraggiunta scomparsa del maestro, il 2 maggio, e dei legati fatti da Leonardo in loro favore: un podere a Fiesole e 400 scudi di sole all’interesse del 5% che il Da Vinci aveva depositato presso l’Ospedale di Santa Maria Nuova, «e alli 16 d’ottobre prossimo saranno 6 anni passati». Una copia del testamento sarebbe stata poi recapitata in Italia da uno zio del Melzi. Nella trascrizione pervenutaci del prezioso documento, che comprendeva anche due codicilli riguardanti Battista de Vilanis, si parla in realtà solo del lascito in denaro; come osserva l’Uzielli, il legato relativo a Fiesole faceva forse parte di un terzo codicillo, non trascritto.1 Nel suo testamento del 22 settembre 1519, Ser Giuliano, probabilmente dopo avere ricevuto e letto la copia del testamento di Leonardo, fa riferimento ad entrambi i lasciti «et de aliis»: Item attento etiam quodam legato et relicto facto per olim Leonardum Ser Petri Antonii de Vincio, fratrem dicti testatoris, eidem testatori et fratribus suis et omnibus filiis legiptimis et naturalibus dicti olim Ser Petri de Vincio et nominatim de florenis sive scudibus di sole quatuorcentis sub nomine dicti Leonardi, seu sub alio nomine, depositatis penes Hospitale et Hospitalarium Sancte 1 Sul testamento di Leonardo e sulla lettera del Melzi, anche questa pervenutaci solo in una copia, cfr. G. Uzielli, Ricerche intorno a Leonardo da Vinci, cit., pp. 97-103, 202-209; L. Beltrami, Documenti e memorie, cit., pp. 152-155; E. Villata, Leonardo da Vinci. I documenti, cit., pp. 275-279; A. Vezzosi, “Parleransi li omini …” Leonard et l’Europe, cit., p. 25; E. Villata, Ritorno a Firenze (1503-1506) e Gli ultimi anni in Francia (1516-1519), cit., pp. 191, 238, 247; A. de Scisciolo, Per un’altra storia, cit., pp. 340-348; C. Vecce, Leonardo, cit., pp. 334-344.
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Marie Nove de Florentie et eius Camarlingum et ad rationem lucri quinque pro centinaio, depositatis et iam sunt anni sex proxime elapsi et ultra, et de certis petiis terrarum et bonis immobilibus positis a Fiesole et dicto et ad dictum Leonardum ex causa directi averi dominii, proprietatis et possessionis pertinentis et spectantis et de aliis in dicto testamento dicti olim Leonardi relictis … .
Dai registri di Santa Maria Nuova risulta che Leonardo aveva aperto il suo conto presso l’Ospedale nel dicembre del 1499, con diversi e successivi movimenti che si protrassero fino all’ultimo versamento del 10 ottobre 1513;1 in quella data il deposito di Leonardo ammontava in realtà a 300 scudi di sole, che i fratellastri dell’artista prelevarono in più riprese tra il maggio e il dicembre del 1520.2 Il podere di Fiesole, due appezzamenti di terreno che Leonardo aveva acquistato nel 1503,3 fu assegnato a Ser Giuliano con l’atto notarile del 4 luglio 1520, e da lui rivenduto il 21 giugno 1520 al Reverendo Guglielmo di Simone Folchi, canonico di Fiesole.4 In definitiva, dell’eredità di Leonardo, ai Da Vinci ben presto non rimase nulla. Per questo, il secondo ed ultimo testamento di Ser Giuliano non farà alcun riferimento ai lasciti del fratellastro. Il documento presenta diverse differenze rispetto al precedente. Nell’indicazione dell’assegno dotale da restituire ad Alessandra Dini, di 400 fiorini larghi più 200 di suggello: nel legato di 200 fiorini sul Monte delle Doti alla figlia naturale Margherita, della quale non è indicato il nome della madre; nel fatto di nominare eredi universali «quoscunque filios masculos legiptimos et naturales nascituros ex dicto testatore et quacunque eius legiptima uxore», e solo in assenza di questi la figlia legittima Violante. Nell’assegnazione della tutela di entrambe le figlie al fratello Lorenzo, l’unico dei fratelli ad essere nominato nel documento; nel lascito a Frate Salvestro 1 Per lo stesso periodo, nelle filze pervenuteci di Santa Maria Nuova, non si trovano annotazioni relative a depositi fatti dai familiari di Leonardo. Tuttavia, in un atto notarile del 21 maggio 1513, stilato da Ser Benedetto Buonaccorsi nella loro abitazione del Borgo di Vinci, Lucrezia Cortigiani, dopo l’assegnazione di un mundualdo, nelle vesti di tutrice del figlio ancora minore Giovanni allora quattordicenne, ed i figli Pandolfo e Bartolomeo elessero come procuratore il fratello Benedetto nell’amministrazione di un loro deposito di denaro fatto presso l’Ospedale di Santa Maria Nuova il 29 dicembre 1512: Appendice 2, documenti 26 e 27. Cfr. E. Ulivi, Sull’identità della madre di Leonardo, cit., p. 23. 2 Ai 300 scudi di Leonardo, nel luglio del 1520 si erano aggiunti 25 fiorini versati da Ser Giuliano. Si veda G. Uzielli, Ricerche intorno a Leonardo da Vinci, cit., pp. 69-72, 79, 104-106, 164-165, 212, 214, 218-219; L. Beltrami, Documenti e memorie, cit., pp. 62-63, 69, 78, 81, 87, 99, 110, 118-119; E. Villata, Leonardo da Vinci. I documenti, cit., pp. 129-131; E. Villata, Gli ultimi anni in Francia (1516-1519), cit., pp. 246-248; A. de Scisciolo, Per un’altra storia, cit., pp. 346-347; C. Vecce, Leonardo, cit., pp. 196, 217, 219, 229, 259, 269-270, 343-344, 425. 3 E. Villata, Ritorno a Firenze (1503-1506), cit., pp. 190-191; C. Vecce, Leonardo, cit., p. 424. 4 Ibidem. ASF, Notarile Antecosimiano 266, c. 309v (ex 292v).
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dell’Ordine dei Predicatori di San Marco, che aveva evidentemente sostituito il Frate Zanobi di Piero citato nel precedente testamento. Nei codicilli del 24 aprile 1525 ritroviamo invece Lucrezia, vedova di Lorenzo di Luca Naccetti, e sua figlia Margherita «famula» del testatore, che le destinò quanto restava di un credito della madre. Ser Giuliano morì pochi giorni dopo la stesura del suo secondo testamento e fu sepolto nella Badia il 3 maggio 1525. In accordo con le sue ultime volontà, esattamente cinque mesi dopo, il 3 ottobre 1525, davanti al solito notaio Ser Giovanni Lapucci, Lorenzo assunse ufficialmente la tutela delle due nipoti Violante e Margherita,1 e compilò l’inventario dei beni mobili ed immobili del fratello, rimasti a Violante.2 Vi sono dettagliatamente descritte le masserizie contenute nell’abitazione fiorentina di Ser Giuliano, «in terreno», «in camera terrena», «in sala», «in camera sulla sala», «in cucina», «in camera di cucina», «nell’anticamera»: arredi, libri, gioielli, due bambole, vestiario, una cuccia in noce. Tra gli oggetti «in sala, uno Adamo e dua dipinti», «in camera di cucina … quattro quadri dipinti, 6 teste di gesso colorate». Sono infine elencati due poderi con casa da lavoratore a Bacchereto, 21 libri di protocolli del padre Ser Piero, dal 1454 al 1504, e un libro di protocolli di Ser Giuliano cominciato nel 1513 e finito nel 1522, probabilmente trovati da Lorenzo nella bottega notarile del fratello, la stessa che fu del padre.3 Concludiamo, osservando che i due testamenti di Ser Giuliano forniscono importanti informazioni e chiarimenti per quanto concerne le figlie del notaio. Nella genealogia dei Da Vinci sono state fino ad oggi segnalate due figlie di Ser Giuliano, la Violante, che nacque dal matrimonio con Alessandra Dini il 9 novembre 1517, e che abbiamo incontrato come erede testamentaria del padre, e Lessandra o Alessandra che avrebbe sposato Zanobi di Piero del Mangano nel 1527, ma che stranamente non compare nei due testamenti paterni, come anche nei Registri Battesimali dell’Opera di Santa Maria del Fiore.4 Due annotazioni di Dell’Ancisa, ricavate da un libro della Gabella dei Contratti, sembrano confermare la notizia del matrimonio di Zanobi del Mangano con «Alessandra di Ser Giuliano da Vinci» nel 1526, dunque 1526/27 tenendo conto dell’anno
1 Appendice 2, documento 30. 2 ASF, Notarile Antecosimiano 11545, cc. 194v-195v. 3 All’Archivio di Stato di Firenze sono in realtà conservati 20 protocolli di Ser Piero da Vinci, con rogiti datati dal 1449 al 1504 (Notarile Antecosimiano 16823-16842), ed un solo protocollo di Ser Giuliano degli anni 1513-1522 (Notarile Antecosimiano 9922). 4 E. Möller, Ser Giuliano di Ser Piero da Vinci, cit., p. 389; E. Ulivi, Per la genealogia di Leonardo, cit., p. 27.
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fiorentino.1 Del tutto nuova ed inattesa è l’esistenza della figlia illegittima Margherita, che risulta invece nata a Firenze il 25 giugno 1513.2 dunque oltre un anno prima del matrimonio con Alessandra Dini, e che ora sappiamo essere avvenuto nell’agosto del 1514. Come ben noto, il 14 dicembre dello stesso anno, la Dini scrisse una lettera, riportata nel Codice atlantico, al marito Giuliano che si trovava a Roma. Nella missiva, dove è ricordato anche Leonardo, la giovane sposa concludeva: E sopra ogni altra chosa mi rachomando e rirachomando e rirachomando sommamente a voi e stievi a mente che Firenze è bello chome Roma, maxime esendoci la vostra donna e vostra figliuola.3
Il precedente riferimento ad una figlia di Ser Giuliano già nata il 14 dicembre 1514, unitamente alla data del ricevimento della dote da parte di Ser Giuliano circa un mese prima, e a quella del presunto matrimonio dell’altra misteriosa figlia Alessandra, aveva indotto il Möller a ritenere che il notaio si fosse sposato diverso tempo prima del novembre 1514. Oggi, grazie ai suoi due testamenti, possiamo affermare che la «vostra figliuola» della lettera doveva essere l’illegittima Margherita, che viveva col padre e la matrigna. In merito ad Alessandra la spiegazione viene da ulteriori indagini, in particolare da quanto si legge nella Portata consegnata da Zanobi di Piero del Mangano Moroni alla Decima Granducale del 1532, dove tra i suoi possedimenti compare un podere con casa da lavoratore situato nel Popolo di Santa Maria a Bacchereto, a lui «pervenuto per dote della Lesandra mia donna e figliuola di Giovanni d’Antonio di Dino … e levonsi da Ser Giuliano di Ser Piero da Vinci».4 Ciò concorda con una terza anno1 ASF, Manoscritti 357 (Carte Dell’Ancisa II), c. 101r e 358 (Carte Dell’Ancisa KK), c. 192v. 2 AOSMF, Registri Battesimali 227: femmine, c. 5r. Il battesimo fu celebrato il 27 giugno. 3 Codice atlantico, c. 780v: cfr. Leonardo da Vinci, Il Codice Atlantico della Biblioteca Ambrosiana di Milano, IX, 1979, pp. 162-163; G. Uzielli, Ricerche intorno a Leonardo da Vinci, cit., pp. 197198; L. Beltrami, Documenti e memorie, cit., p. 140; E. Möller, Ser Giuliano di Ser Piero da Vinci, cit., p. 394; E. Villata, Leonardo da Vinci. I documenti, cit., pp. 247-248; A. de Scisciolo, Per un’altra storia, cit., pp. 266-267; C. Vecce, Leonardo, cit., pp. 318-319. 4 Zanobi di Piero del Mangano nacque verso il 1470 dall’unione di Piero di Zanobi di Piero del Mangano con Zanobia di Fabbrino Fabbrini, che ebbero altri due figli di nome Benedetto e Nicolosa. Come il padre ed il fratello, Zanobi svolse l’attività di linaiolo. Prima di unirsi in matrimonio con la vedova di Ser Giuliano, nel 1506 aveva sposato Costanza di Migliorelli. Ebbe due figli maschi, Benedetto e Piero e una figlia Piera. Morì nel 1547. Nell’ultimo ventennio del Quattrocento la famiglia Del Mangano possedeva alcune botteghe sul Ponte Vecchio e due case presso il Canto dei Quattro Leoni, nel Popolo di Santa Felicita, sotto il Gonfalone Nicchio del Quartiere di Santo Spirito; nel Contado aveva poderi a Santa Margherita a Montici e in Valdipesa. Alla Decima Granducale, oltre ai beni di Bacchereto, Zanobi del Mangano vantava possedimenti in Valdibotte e nel Comune di Empoli, oltre a due case nel Popolo di San Felice in Piazza, tra cui la sua abitazione nel Chiasso dei Velluti. Cfr. ASF, Catasto 995 (Quartiere di Santo Spirito, Gonfa-
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tazione di Dell’Ancisa, tratta da un altro libro della Gabella, dove in relazione al 1527 sono riportati i nomi di Zanobi di Piero del Mangano e di Alessandra di Giovanni di Antonio di Dino.1 In definitiva, l’Alessandra che sposò nel 1526/27 il Del Mangano, non era una figlia di Ser Giuliano, ma la sua vedova, alla quale, in restituzione della dote, erano stati assegnati parte dei beni del primo marito rimasti in eredità alla figlia Violante, e che passarono poi al Del Mangano. Albero genealogico della famiglia Da Vinci Ripubblichiamo di seguito l’albero genealogico dei Da Vinci, fino ai nipoti di Ser Piero, già ricostruito nel nostro precedente saggio,2 ed ora aggiornato con le notizie derivanti dalle ultime indagini e dai documenti qui raccolti. I figli di Ser Piero sono suddivisi in modo da evidenziarne la nascita da o durante le diverse unioni del notaio.3
lone Nicchio: anno 1480), cc. 191r-191v; Decima Repubblicana 4 (Idem: anno 1495), cc. 410r-411v; Decima Granducale 3565 (Idem: anno 1532), cc. 501v-503v e 504v; Manoscritti 351 (Carte Dell’Ancisa DD), cc. 136r, 482v; E. Ulivi, Per la genealogia di Leonardo, cit., p. 27. 1 ASF, Manoscritti 360 (Carte Dell’Ancisa MM), c. 10v. 2 E. Ulivi, Per la genealogia di Leonardo, cit., pp. 39-41. Cfr. anche A. Vezzosi, Leonardo infinito, cit., p. 31. 3 Per le altre avvertenze cfr. la nota 1 di p. 59.
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Albero genealogico della famiglia Da Vinci Ser Michele m. p. 1332 Ser Guido 1332 - m. 1348/60 Ser Piero 1360 - m. 1417 Bartolomea di Francesco Dini 1406 - [m. 1406/27]
Ser Giovanni 1359 - m. 1367/07 Lottiera di Francesco Beccanugi 1407
Antonio n. 1371/76 - m. 1458/62 Lucia di Ser Piero Zosi n. 1393/96 - [m. 1469/80] Ser Piero n. 1426 - m. 1504 Caterina [n. 1427/34 - m. 1494]
Giuliano n. 1428 - m. 1428/31
Violante n. 1432 - 1458 Simone di Antonio da Pistoia 1458
[Paola]
Francesco n. 1436 - m. 1504/05 Alessandra di Giovanni Amadori [n. 1442] - 1480
Leonardo n. 1452 - m. 1519
Albiera di Giovanni Amadori n. 1433/37 - m. 1464
Antonia n. e m. 1463
Francesca di Ser Giuliano Lanfredini n. 1449 - m. 1474 Margherita di Francesco Giulli n. 1457 - m. 1485
Antonio n. 1476 - m. 1525/32 Nanna di Giovanni Luperelli 1509-1522 Margherita 1522
Lucrezia di Guglielmo Cortigiani n. 1459-1532/34
Costanza Maddalena 1522 1522
Guglielmo n. e m. 1486
[Pierfilippo] m. 1516
Maddalena n. e m. 1477
Francesco Giovanni Maria 1532 - m. 1533/35 n. 1532 - 1534 Mattea di Luca di Guglielmo dei Trilli n. d. 1504-1536
Margherita n. 1487 - [m. 1495/31]
Benedetto n. 1489 - m. 1530/31
Ser Giuliano Lorenzo n. 1478 - m. 1525 n. 1480 - m. 1531/32 Alessandra di Giovanni di Antonio Dini 1514-1532 Margherita n. 1513 - 1525
una bambina m. 1490
Clemenza m. 1565 Francesco di Lodovico Ruggieri
Violante n. 1517 - 1584 Piero di Ser Lorenzo Coralmi Pandolfo n. 1490 - m. 1514/18
Benedetto 1553
Violante n. 1481 - 1503 Francesco di Domenico Buonamici n. c. 1471-1503 [Dianora] m. 1530
[
[Niccolò] m. 1563
Guglielmo n. 1492 - m. 1542/51 Marietta di Leonardo Buonaccorsi c. 1534 - m. 1584
Alessandro 1553
Domenico n. 1483 n. 1485 - m. 1549/63 Fioretta 1563
[Domenico] Bartolomeo n. 1485 n. 1485 - [m. 1485]
]
Lorenzo 1563-1579
[Vincenzo] 1561
Bartolomeo n. 1493 - 1532/34 Margherita 1560 - m. 1569
Giovanni n. 1499 - 1549
Pierfrancesco (Pierino da Vinci) 1530 - [m. 1553/54]
[Leonardo] 1567
Piero 1553 - m. 1573/99 Elisabetta di Antonio Cantucci
Lucrezia 1551 Bastiano di Marco Bracci
[una figlia] m. 1505
[Giovanni Maria] 1535
Appendice 1 Documenti su Luca Pacioli e la sua famiglia Archivio di Stato di Firenze Rogiti di Ser Matteo di Angelo Fedeli 1. Notarile Antecosimiano 7135, c.n.n. 14 maggio 1412 Laborerium Bartolomei Laurentii et Benedicti Dictis anno [a nativitate Domini Millesimo quatuorgentesimo duodecimo], indictione [quinta], et pontificatu [Domini Gregorii Pape duodecimi], die XIIII mensis may. Actum in Burgo Sancti Sepulcri, in appoteca Abbatie dicti Burgi, presentibus Piero Ambrosii Pacis et Matheo Simonis Iohannis de dicto Burgo, testibus rogatis … . Dictus Bartolomeus [Laurentii de Carsidonis] dedit ad laborerium dicto Benedicto [olim Iohannis de Pestrino], presenti et recipienti, duas petias terre laboratie sitas in Contrata Sustiani, unam iuxta rem Pacioli Bartoli et viam, aliam iuxta rem dicti Pacioli … .
2. Notarile Antecosimiano 7136, c. 18r 2 gennaio 1413 Procuratio Petri pro Antonio In Dei nomine amen. Anno a nativitate Domini Millesimo quatuorgentesimo tertiodecimo, indictione sexta [tempore pontificatus Domini Gregorii Pape duodecimi], die secunda mensis ianuarii. Actum in Burgo Sancti Sepulcri … in domo infrascripti Antonii [Berardi] sita in Contrata Ecclesie Sancti Iohannis de Afra, presentibus Ugucio Bartoli et Antonio Pacioli de Burgo, testibus rogatis … .
3. Ivi, c. 69r 5 marzo 1413 Dos Domine Magdalene In Dei nomine amen. Anno a nativitate Domini Millesimo quatuorgentesimo tertiodecimo, indictione sexta, tempore pontificatus Domini Gregorii Pape duodecimi, die quinta mensis martii. Actum in Burgo Sancti Sepulcri … in domo infrascripti Gori [Fei] … sita in Parrocchia Ecclesie Sancti Nicolai, presentibus Matheo Iohannis Cassuci, Bartolomeo Antonii Landi et Simone Pacioli de dicto Burgo, et presentibus aliis testibus vocatis et rogatis … .
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4. Notarile Antecosimiano 7140, c.n.n. 9 novembre 1416 Affictum Domine Angele Lippi et Simon Pacioli [In Dei nomine amen. Anno a nativitate Domini Millesimo quadringentesimo sextodecimo, indictione nona]. Die suprascripta [nona mensis novembris]. Actum in Burgo, in appoteca mee residentie, presentibus Antonio Nicolai Cime et Meo Antonii Samperoli de Burgo, testibus rogatis. Domina Angela, uxor olim Lippi Fei Fantis de Burgo, iure locationis, … dedit et concessit ad affictum Simoni Pacioli de Burgo, recipienti et conducenti pro se et eius familia et heredibus, quamdam petiam terre laboratie positam in Contrata Sagnonis iuxta rem Antonii Samperoli, rem Dompni Nicolucci Nicolosi, rem Monasterii Sancti Leonis et viam, per quattuor annos proxime futuros … // … .
Rogiti di Ser Francesco di Cristoforo Sisti 5. Notarile Antecosimiano 19284, c.n.n. 25 luglio 1414 Licentia Anthonii Pacioli et fratrum Suprascriptis anno [Millesimo quadringentesimo quartodecimo], indictione [septima], pontificatu [Residente Domino Gregorio Papa duodecimo] et mensis iulii die vigesima quinta. Actum in Burgo Sancti Sepulcri, in apoteca Abbatie residentie mei notarii infrascripti, presentibus Piero Bartolucii, Ventura Iohannis et Mucio Simonis Angeli de Casalino de dicto Burgo, testibus ad hec vocatis, adhibitis et rogatis. Christoforo Francisci Ser Fei, suo nomine proprio et vice et nomine suorum fratrum nec non Nicolai Ser Nardi Ser Fei predicti … sponte et ex certa scientia, nominibus antedictis, dedit et concessit licentiam Antonio Pacioli presenti et pro se et Bartolomeo et Ciolo suis fratribus et eorum familia … eundi ad omnes et singulas possessiones predictorum, vineatas, laboratas, sodas, pasturas …, alberatas … ubicunque sitas et infra quoscunque confines et vocabula, omnes vel aliqua earum arbores aut vites domesticas vel silvestres positas inadendi a stipite et schapezandi, asinos, boves et animalia acta pascendi et pasturandi, ligna, oleia, poma et fructus orfanos accipiendi et apportandi et omnia generaliter … .
6. Ivi, c.n.n. 25 luglio 1414 Soccida Christofori Francisci Ser Fei Dicta die et loco ac testibus suprascriptis. Antonius Pacioli suprascriptus, sponte et ex certa scientia, fuit confessus et contentus habuisse et penes se habere in soccidam et custodiam a dicto Chri-
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stoforo, dictis nominibus, tres boves, duos pili robbii vel quasi et relinquum unum pili baricci vel // quasi, pro extimatione et pretio in totum viginti octo florenorum auri iusti ponderis … . Quos boves et quoslibet ipsorum promixit … dictus Antonius, suo nomine et vice et nomine suorum fratrum, … dicto Christoforo … tenere in custodia, pascere et gubernare fideliter et diligenter … .
7. Notarile Antecosimiano 19297, c. 122v 5 novembre 1427 Affictus Petrus Angeli locator Simoni Pacioli [In nomine Domini amen. Anno a nativitate eiusdem Millesimo quadringentesimo vigesimo septimo, indictione quinta, residente Domino Martino Papa quinto]. Die dicta [quinta novembris] et loco [in Burgo Sancti Sepulcri, in domo Mathei Iohannis Schiatti, sita in Agio de Abbarbagliatis], presentibus Hectore Dyonisii, Matheo Pacis Magistri, Iacobo Signorucii Cecchi de dicto Burgo, testibus ad hec vocatis, adhibitis et rogatis. Petrus Angeli Guardi de dicto Burgo, ex causa et titulo locationis, dedit, concessit et locavit ad affictum Simoni Pacioli de dicto Burgo, presenti et conducenti, unam petiam terre laboratorie site in Contrada Tubbioli et Afre Veteris, iuxta rem Petri Benedicti Ciucii et rem Antonii Gori, viam publicam … .
8. Notarile Antecosimiano 19300, c.n.n. 25 febbraio 1430 Suprascriptis anno [Millesimo quadringentesimo trigesimo], indictione [octava], pontificatu [Domini Martini Pape quinti] et mensis februarii die vigesima quinta. Actum in Burgo Sancti Sepulcri, in apoteca domus mee … . Domina Blaxia vidua, uxor olim Gori Fei de dicto Burgo, … vendidit et tradidit Barnabeo Massi Bartoli Ricardi de dicto Burgo … quamdam domum sitam in dicto Burgo in Agio de Cipollis iuxta rem dicti emptoris et rem heredum Pacioli … et rem Pauli Iacobi Pauli … et viam publicam … .
9. Ivi, c.n.n. 13 marzo 1430 Quietatio Iohannis Ventorucii Suprascriptis anno [Millesimo quadringentesimo trigesimo], indictione [octava], pontificatu [Domini Martini Pape quinti] et mensis martii die tertiadecima. Actum in Burgo Sancti Sepulcri, in apoteca domus mee, presentibus Ser Iuliano Marci Nicolai, Petrucio Herculani et aliis de dicto Burgo, testibus ad hec vocatis, adhibitis et rogatis. Bartolomeus Pacioli Bartoli de dicto Burgo, sponte et ex certa scientia, per se et suos heredes et successores, absolvit et libravit, finivit et quietavit Iohannem Ventorucii de Villa Sancti Iustini, Comitatus Castelli, presentem, ab omni eo et toto ad quibus obligatus fuisset eidem Bartolomeo … vigore et occa-
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sione cuiusdam infrascripte venditionis … Bartolomeo facta per ipsum Iohannem de quadam domo posita in dicto Burgo in Agio de Cipollis, iuxta rem Anthonii Pacioli et rem Bernabei Massi Bartoli, viam publicam … . Et de qua venditione prout constat manu Ser Marii Ser Mathei Ser Angeli, notarii de dicto Burgo … . Et promixit et quietavit sollempnitter … etiam Barnabeum Ser Massi Bartoli predictum emptorem dicte domus a Domina Blaxia Fei Gori, prout constat manu mei … // … .
10. Ivi, c.n.n. 13 marzo 1430 Quietatio pro Domina Blaxia Fei Dicta die et loco et presentibus dictis testibus. Iohannes Ventorucii suprascriptus … absolvit et liberavit Dominam Blaxiam Fei Gori eius sororem … ab omni eo et toto quibus dicta Domina tenuta et obligata fuit dicto eius fratri occasione cuiusdam emptionis … facte de suprascripta domo, manu Ser Marii Ser Mathei … .
11. Notarile Antecosimiano 19292, c.n.n.1 17 febbraio 1442 In nomine Domini amen. Anno a nativitate eiusdem Millesimo quadringentesimo quadragesimo secundo, indictione quinta, residente Domino Eugenio Papa quarto, et mensis februarii die decima septima. Actum in Burgo Sancti Sepulcri … presentibus Angelo della Sancta, Bartolomeo Pacioli et aliis testibus … .
Rogiti di Ser Mario di Matteo Fedeli 12. Notarile Antecosimiano 7009, c. 87r 21 settembre 1422 Emptio Peri Goraccii [In nomine individue Trinitatis amen. Anno a nativitate Domini Millesimo quadringetesimo vigesimo secundo, indictione quintadecima, tempore pontificatus Domini Martini Pape quinti]. Die ante dicta [XXI mensis septembris]. Actum in appoteca Abbatie residentie mei notarii infrascripti, presentibus Rigone Iohannis de Mazettis, Archano Matei Marci et Antonio Angeli Bartoli de Sa’ Lleo ac Simone Pacioli de Burgo, testibus ad hec vocatis et rogatis. Francischus Mathei Nuti de Villa Fariccii Districti Burgi suprascripti, sponte et ex certa scientia per se et eius heredes, … dedit, vendidit et tradidit Piero quondam Iacobi Gori Bernardi … unam domum sitam in Burgo predicto in Contrata Rivii et Parochia Sancti Iohannis de Burgo iuxta Iohannem Pelegrini Morandini, rem Antonii Chierchi et rem dicti emptoris et viam publicam … . 1 Tra le carte sciolte.
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13. Notarile Antecosimiano 7013, c.n.n. 17 gennaio 1426 Quietatio Simonis et heredum Angeli [In nomine individue Trinitatis amen. Anno a nativitate Domini Millesimo quadringetesimo vigesimo sexto, indictione quarta, tempore Domini Martini Pape quinti]. Dicta die [XVII mensis ianuarii] et loco [Actum in Burgo Sancti Sepulcri, in appoteca Abbatie residentie mei notarii infrascripti], presentibus Ser Michelangelo Iuliani, Angelo Magdalai et Baldasare Vagnutii, testibus rogatis. Antonius, Simon et Bartolomeus Pacioli, eorum nominibus et vice et nomine Cioli eorum fratris ac Domine Francische eorum sororis pro quibus promiserunt de rato etc., fuerunt confessi habuisse a Simone Stefani de Valle Bona … pro parte restitutionis dotis Domine Francische olim uxoris Angeli Pauli Stefani suprascripti de Valle Bona, libras tredecim denariorum cortonensium … .
14. Notarile Antecosimiano 7016, c.n.n. 16 marzo 1427 Dos Domine Magdalene [In nomine individue Trinitatis amen. Anno a nativitate Domini Millesimo CCCCXXVII, indictione quinta, tempore Domini Martini Pape quinti]. Die XVI mensis martii. Actum in Ecclesia Abbatie, presentibus Folco Iohannis Canti, Angelo de Pichis, Francisco Ser Iohannis Marapana et aliis, testibus rogatis. Antonius et Bartolomeus Pacioli de Burgo fuerunt confessi habuisse et recepisse a Francisco Mathei Nuti de Villa Fariccii, dante pro dote Domine Magdalene, sue filie, uxoris future dicti Bartolomei, … in quantitate viginti florenorum auri, et condotem in quantitate florenorum quattuor.// Promissio dicte dotis [ ] Matrimonium Bartolomei et Domine Magdalene Dicta die. Actum in domo suprascripti Francisci, in Parochia Sancti Nicolai, presentibus Michelangelo Checchi Angeli, Bindo Antonii Saracini, Checho Bartolomei Iohannini, Michelangelo Checchi de Colle et aliis, testibus rogatis. Dictus Bartolomeus Pacioli, ex una parte, et dicta Domina Magdalena Francisci, ex altera, matrimonium inter eos contraxerunt legiptime etc.
15. Ivi, c.n.n. 25 aprile 1427 Emptio Bartolomei Pacioli [In nomine individue Trinitatis amen. Anno a nativitate Domini Millesimo CCCCXXVII, indictione quinta, tempore Domini Martini Pape quinti]. Die suprascripta [XXV mensis aprilis] et loco [in appoteca mee residentie], presenti-
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bus Baldasare Vagnutii Gilii, Matheo Antonii Vagnoli, Angelo Luce Barfucii et […], testibus rogatis. Iohannes Venturucii de Villa Sancti Iustini, habitator Burgi, … dedit, vendidit et tradidit Bartolomeo Pacioli de Burgo, ementi pro se et eius heredibus, unam domum sitam in Asgio de Cipollis iuxta rem Antonii Pacioli, rem Pauli Iacobi Pauli Rubboli, asgium et cavinam vel alios … pro pretio et nomine pretii in totum florenorum auri viginti et unius … quod pretium fuit confessus et contentus habuisse et recepisse a dicto Bartolomeo emptore et a Francisco Mathei Nuti de Villa Fariccii, de pecunia dotis Domine Magdalene filie dicti Francisci et uxoris dicti Bartolomei, prout tenebatur dictus Franciscus dicto Bartolomeo manu mei … .
16. Ivi, c.n.n. 23 settembre 1427 Affictum Iohannis Francisci et Simonis Pacioli [In nomine individue Trinitatis amen. Anno a nativitate Domini Millesimo CCCCXXVII, indictione quinta, tempore Domini Martini Pape quinti]. Dicta die [XXIII mensis septembris] et loco [in appoteca Abbatie residentie mei notarii infrascripti], presentibus Hectore Dyonisii de Robertis, Marcolino Petri de Pichis et Ser Michelangelo Iuliani, testibus etc. Iohannes olim Francisci Tofani Vannis locavit ad affictum Simoni Pacioli de Burgo … unum petium terre in Contrata Tribii sive Camberne … iuxta rem Nicolai Ser Nardi, rem Petri Angeli Guardi et alios fines, per octo annos proxime futuros … .
17. Notarile 6999 c.n.n.1 17 novembre [1427] Emptio Barnabei Massi Die XVII mensis novembris. Actum in domo infrascriptorum venditorum … . Domina Christina olim uxor Nannis de Pichis de Burgo, ut et tamquam heres Domini Christofori sui filii et Matheus olim filius dicti Christofori Nardi predicti … vendiderunt et tradiderunt Bar // nabeo olim Massi Bartoli Ricardi de Burgo … unam domum sitam in Burgo, in Contrata Porte Sancti Nicolai, iuxta rem Pauli Iacobi Ribboli et rem Pauli Vagnutii et stratam rerum Bartolomei Pacioli et alios fines … .
1 Il rogito si trova nella prima carta dell’inserto n. 20 che fa parte di un protocollo di carte sciolte di Leonardo di Mario Fedeli, degli anni 1472-1482, scritte con grafie diverse. L’inserto 20, composto di quattro carte di formato molto più piccolo rispetto a quelle che costituiscono il Notarile 6999, è stilato dalla mano del padre di Ser Leonardo, Ser Mario Fedeli. L’inserto è contenuto nel fascicolo relativo agli anni 1478-1479 essendo all’inizio erroneamente datato 1479, con altra grafia ed altro inchiostro; il primo rogito dell’inserto n. 20 è non datato, il secondo è quello del 17 novembre, l’ultimo è datato 19 novembre 1427, due postille riportano rogiti del 1429.
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18. Notarile Antecosimiano 7018, c.n.n. 22 luglio 1429 In nomine individue Trinitatis amen. Anno a nativitate Domini Millesimo quadringentesimo vigesimo nono, indictione VII, tempore Domini Martini Pape quinti. Die XXII mensis iulii. Actum in Burgo Sancti Sepulcri, in appoteca Abbatie residentie mei notarii infrascripti, presentibus Magistro Angelo Guiglelmi, Bartolomeo Benvenuti de Rossi, Antonio Pacioli Barbaglia et aliis, testibus rogatis … .
19. Notarile Antecosimiano 7051, c. 130r 26 luglio 1429 In nomine individue Trinitatis amen. Anno a nativitate Domini Millesimo quadringetesimo vigesimo nono, indictione VII, tempore pontificatus Domini Martini Pape quinti, die XXVI mensis iulii. Domina Checca olim filia Massini Vite … suum condidit testamentum … . Actum in Burgo Sancti Sepulcri … in Contrata Sancte Marie de Misericordia … presentibus Sepulcro Antonii monaco … et Fratre Magalao alias Nicolao Simonis Pacioli, testibus rogatis a dicta testatrice.
20. Notarile Antecosimiano 7020, c.n.n. 28 dicembre 1434 Quietatio Venture Arcipretis pro pretio gabelle carnium In nomine individue Trinitatis amen. Anno a nativitate Domini Millesimo quadrigentesimo trigesimo quinto, indictione XIII, tempore Domini Eugenii Pape quarti, die XXVIII mensis decembris. Actum in Burgo Sancti Sepulcri, in Palatio Comunis terre Burgi, residentie Domini Vicarii dicte terre, in Sala magna palatii predicti, presentibus Iontino Andree Iontini et Bartolomeo Pacioli de Burgo, testibus ad hec vocatis et rogatis … .
21. Notarile Antecosimiano 7028, c. 51r 1º marzo 1447 Ecclesie Sancti Stefani de Farneto et Simonis Pacioli In nomine individue Trinitatis amen. Anno a nativitate Domini Millesimo quadringentesimo quadragesimo septimo, indictione X. Romana Ecclesia pastore vacante per mortem Domini Eugenii olim Pape quarti, die mercuri prima mensis martii. Actum in Burgo, in claustro Abbatie Burgi, presentibus Dompno Luca Mei Manarie presbitero seculari, et Luca et Angelo et Matheo fratribus olim filiis Rentii Cechi de Burgo, testibus rogatis. Religiosus vir Dompnus Nicolaus Simonis de Burgo, prior Ecclesie Sancti Stefani de Farneto Districti Burgi … cum presentia, licentia, auctoritate et de rato Reverendi in Christo Patris Domini Pascasii abbatis Ecclesie Sancti Iohannis
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Evangeliste de Burgo, Ordinis camaldulensis, immediate superioris dicti prioris et dicte ecclesie … dedit et concessit Simoni Pacioli eius patri ibidem presenti et recipienti … quamdam petiam terre sode et modice fructate de bonis dicte ecclesie, site in Districto Burgi, site in Contrata Farneti et dicte ecclesie, iuxta rem Abbatie Burgi et rem Nardi Fonis et rem Gori et Iohannis Antonii fornarii … .
22. Notarile Antecosimiano 7048, c.n.n. 28 maggio 1448 Calculatores inter Antonium Iacobi et Iacobum et Petrum Gratie [In nomine individue Trinitatis amen. Anno a nativitate Domini MCCCCXLVIII, indictione XI, tempore Domini Nicolai Pape quinti]. Die XXVIII mensis maii. Actum in appoteca suprascripta [Abbatie residentie mei notarii infrascripti], presentibus Bartolomeo de Gratianis, Polonio Antonii Pacioli, testibus … .
23. Ivi, c.n.n. 19 dicembre 1448 Procuratio Ugucionis [In nomine individue Trinitatis amen. Anno a nativitate Domini MCCCCXLVIII, indictione XI, tempore Domini Nicolai Pape quinti]. Die XVIIII mensis decembris. Actum in appoteca Abbatie residentie mei notarii infrascripti, presentibus Francisco Iohannis Pauli Maggi et Andrea Palmerio et Antonio Bartolomei Pacioli de Burgo, testibus habitis et rogatis … .
24. Notarile Antecosimiano 7052, c. 309r 3 luglio 1446 Al nome di Dio, anno Mille quatrocento quarantasei, a dì 3 de luglio. Mona Lena figlola che fo de Francesscho, altramente Ferrara, et donna de Meo d’Antonio de Nieri dela Muccia da Borgo San Sepolcro … fa suo testamento in questo modo, cioè … . Factum et conditum suprascriptum testamentum per dictam testatricem … presentibus Lucha Rentii Cechi, Meo Rentii Cechi, Antonio Simonis de Monterchio, Ulivo Simonis Pacioli, Nicolao Checchi Fei Richi … testibus rogatis a dicta testatrice … .
25. Ivi, c. 226r 5 aprile 1449 In nomine individue Trinitatis amen. Anno a nativitate Domini Millesimo quadringentesimo quadragesimo nono, indictione XII, tempore pontificatus Domini Nicolai Pape quinti, die quinta mensis aprilis. Angelus olim Luce Barfucii de Burgo Sancti Sepulcri … suum testamentum sine scriptis in hunc modum fecit … .
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Factum fuit dictum testamentum in Burgo, in domo dicti testatoris … in Asgio Rivii, presentibus Checco Ciofi Ciute, Matheo Riccii Caglite, Bartolomeo Nannis Pelegrini, Mariotto Mutii de Casalino, Masso Antonii Pacioli, Puccio Riccii Caglite et Iohanne Vite Caglite de Burgo … testibus adhibitis et rogatis.
26. Notarile Antecosimiano 7031, c.n.n. 5 febbraio 1450 Dos Domine Angelesche Olivo Simonis Pacioli Dictis anno [Millesimo quadringentesimo quinquagesimo], indictione [XIII] et pontificatu [Domini Nicolai Pape quinti], die quinta mensis februarii. Actum in domo infrascripti Christofori, in Asgio Sancti Antonii, presentibus Nerio Simonis Marochi, Matheo Archani Mathei Marci et Piero Pauli Vannutii et Iohanne Christofori Cechibombi de Burgo, testibus ad hec vocatis, habitis et rogatis. Christofanus olim Simonucii olim de Abbatia de Bottis et nunc de Burgo predicto … dedit, tradidit et concessit Simoni olim Pacioli et Olivo eius filio de dicto Burgo ibidem presentibus … pro dote et nomine dotis Domine Bartolomee, vocate ‘Angelesca’ // et olim filie Petri Simonucii supradicti et uxoris future … prefati Olivi, omnia et quacunque bona et iura … hereditatis dicti olim Petri quondam patris dicte Domine Angelesche et etiam Bartolomei sui quondam fratris carnalis … . Matrimonium Olivi et Domine Angelesche Dictis die, loco et testibus Supranominatus Olivus Simonis, ex una parte, et Domina Angelesca Petri Simonucii, ex altera parte, sponte et ex certa scientia, per verba de presenti et mutuum consensum et annuli dationem et receptionem … matrimonium inter se legiptimum contraxerunt … .
27. Notarile Antecosimiano 7032, c. 32v 13 febbraio 1451 [Dos Domine Viole et Vichi] Die predicta XIII februarii MCCCCLI [indictione XV, tempore pontificatus Domini Nicolai Pape quinti], presentibus Nofrio Papardi et Bartolomeo Pacioli, testibus rogatis … .
28. Notarile Antecosimiano 7033, c. 3r 1º gennaio 1452 Emptio Simonis et Olivi et Domine Angelesche [In nomine individue Trinitatis amen. Anno a nativitate Domini Millesimo quadringentesimo quinquagesimo secundo, indictione XV, tempore pontificatus Domini Nicolai Pape quinti]. Die suprascripta [prima mensis ianuarii]. Actum in claustro Abbatie Burgi, et presentibus Antonio Nicolai Cime et Iohanne alias Riccio Mathei Vannis Accorsucii de Burgo, testibus rogatis.
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Marinus Pieri Guidi de Montanea Burgi … vendidit, tradidit Simoni Pacioli et Olivo eius filio ac Domine Angelesche uxori dicti Olivi et olim filie Petri Simonucii … unam petiam terre laboratie in Districto Burgi et in Contrata dela Croce et Rivi, iuxta rem Valentini Ghiandelle, rem filiorum Domini Christofori de Pichis, rem Societatis Sancti Antonii, rem filiorum Rentii Cechi et viam vicinalem vel alios fines etc. … .
29. Ivi, c. 3v 1º gennaio 1452 Emptio Dominici Laurentii Die, loco et testibus suprascriptis. Simon Pacioli et Olivus eius filius … una cum … Domina Angelesca uxore dicti Olivi et filia olim Petri Simonucii … dederunt, vendiderunt et tradiderunt Dominico Laurentii Francisci de Fighino, habitatori dicti Burgi … unam petiam vinee site in Contrata Cosparie iuxta rem filiorum Benedicti Simonis de Carsidonis et viam … .
30. Ivi, c. 31v 4 maggio 1452 Emptio Bartolomei de Sancto Anastasio [In nomine individue Trinitatis amen. Anno a nativitate Domini millesimo quadringentesimo quinquagesimo secundo, indictione XV, tempore pontificatus Domini Nicolai Pape quinti]. Die suprascripta [quarta mensis maii] et loco [in dicto Burgo, in appoteca Abbatie dicti Burgi residentie mei notarii infrascripti], presentibus Antonio Nicolai Cime et Andrea Palmerii de Silcio ac Bartolomeo Pacioli omnibus de dicto Burgo, testibus ad hec vocatis et rogatis … .
31. Ivi, c.n.n.1 14 novembre 1452 Dos Domine Lucie Nicolai de Penestrina et Simonis Pacioli [In nomine individue Trinitatis amen. Anno a nativitate Domini Millesimo quadringentesimo quinquagesimo secundo, indictione XV, tempore pontificatus Domini Nicolai Pape quinti]. Die dicta [XIIII mensis novembris]. Actum in domo Caritatis Laudum Sancte Marie, presentibus Antonio Mei Iohannis de Cipollis et Iohanne Matheo Petri Benedicti Bagiane et aliis de dicto Burgo, testibus ad hec vocatis et rogatis. Simon olim Pacioli de Burgo, sponte et ex certa scientia pro se et suis heredibus, fuit confessus et contentus se habuisse et recepisse a Domina Lucia olim Nicolai de Penestrina, dante pro sua dote [ ].2 1 Tra le carte numerate 84 e 85. 2 Il documento, incompleto, è seguito da una carta bianca.
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32. Notarile Antecosimiano 7049, c.n.n. 21 febbraio 1453 Procuratio Domine Francische [In nomine individue Trinitatis amen. Anno a nativitate Domini MCCCCLIII, indictione prima, tempore pontificatus Domini Nicolai Pape quinti]. Die XXI dicti mensis februarii. Actum in domo mei notarii infrascripti, presentibus Iacobo Loli et Francischo Angeli Luce Barfini de Burgo, testibus habitis et rogatis. Domina Francischa olim filia Pacioli de Burgo et quondam uxor primo loco Nanis alias Ghibellino [ ] et nunc uxor Pieri [ ] de Caprese, habitatoris Burgi, sponte et omni modo etc., fecit, constituit et ordinavit eius verum et legiptimum procuratorem etc. Massum eius nepotem et filium Antonii Pacioli predicti … .
33. Notarile Antecosimiano 7034, c. 22r 10 marzo 1453 Pactum de non petendo pro Andrea de Silcio et Domina Florida et Domina Angela et filiis dicte Angele [In nomine individue Trinitatis amen. Anno a nativitate Domini Millesimo quadringentesimo quinquagesimo tertio, indictione prima, tempore pontificatus Domini Nicolai Pape quinti]. Die X mensis martii. Actum in Burgo, in appoteca Abbatie residentie mei notarii infrascripti … presentibus Piero Nardi Fidelis et Antonio Martini Picconis et Bartolomeo Pacioli de Burgo, testibus rogatis … .
34. Ivi, c.n.n. 12 maggio 1453 Laborerium Michelangeli et filiorum Lasagne [In nomine individue Trinitatis amen. Anno a nativitate Domini Millesimo quadringentesimo quinquagesimo tertio, indictione prima, tempore pontificatus Domini Nicolai Pape quinti]. Die XII mensis maii. Actum in appoteca Abbatie [residentie mei notarii infrascripti] predicta, presentibus Vico Lazari Angeli Schiatti et Bartolomeo Pacioli de Burgo, testibus ad hec vocatis et rogatis … .
35. Ivi, c.n.n. 14 maggio 1453 Emptio filiorum Michelis Luce [In nomine individue Trinitatis amen. Anno a nativitate Domini Millesimo quadringentesimo quinquagesimo tertio, indictione prima, tempore pontificatus Domini Nicolai Pape quinti]. Die XIIII mensis maii. Actum in appoteca suprascripta [Abbatie residentie mei notarii infrascripti], presentibus Antonio
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Pieri Bartoli Pacis, Petro Luce Benedicti et Piero Benedicti sartoribus, testibus rogatis. Simon Pacioli et Ulivus eius filius … dederunt, vendiderunt et tradiderunt Matheo Michelis Luce Barfucii de Burgo … et Silvestro et Luca et Marcho suis fratribus … unam petiam terre laboratie in Villa Tribii in Contrada de Murellis … iuxta Lazarum Ranierii Francisci Domini Mastini // et viam comunis et rem filiorum Christofori Iacobi Iohagnoli et flumen Afre … .
36. Notarile Antecosimiano 7037, cc. 20r-20v 27 gennaio 1456 Quietatio Iohannis de Cantonarie [In nomine individue Trinitatis amen. Anno a nativitate Domini Millesimo quadringentesimo quinquagesimo sexto, indictione IIII, tempore pontificatus Domini Calisti Pape tertii]. Dicta die [XXVII mensis ianuarii]. Actum in canonica Domini abbatis Abbatie Burgi, presentibus Piero Christofori barberio et Bartolo Cechi Marci […], testibus rogatis. Massus Antonii Pacioli, procurator Francische sue amite et uxoris Pieri Vici de Castro sive de Caprese et olim filie dicti Pacioli, sponte et ex certa scientia, absolvit et liberavit Iohannem Chechi de Cantonaria Comitatus Castelli, licet absentem, et Andream olim // Iohannis Bartoli Pagliole, fideiusserem dicti Iohannis, a quantitate florenorum octo … pro pretio petie terre de Quercieto de Villa Sancti Anastasii sive Sancti Iustini et de casalino posito in dicta Villa, venditis pro dicta Domina dicto Iohanni, manu Ser Francisci Laurentii … .1
37. Notarile Antecosimiano 7040, c. 17r 10 febbraio 1461 Locatio hospitii filiorum Pauli Laurentii et Simonis de Plagentia [In nomine individue Trinitatis amen. Anno a nativitate Domini Millesimo quadringentesimo sexagesimo primo, indictione octava, tempore pontificatus Domini Pii Pape secundi]. Die X mensis februarii Actum in Burgo, in appoteca Abbatie Burgi residentie mei notarii infrascripti, presentibus Appollonio Antonii Pacioli sartore et Benedicto […] sartore de Burgo predicto, testibus ad hec vocatis et rogatis … .
38. Ivi, c. 30v 9 aprile 1461 [In nomine individue Trinitatis amen. Anno a nativitate Domini Millesimo quadringentesimo sexagesimo primo, indictione octava, tempore pontificatus Domini Pii Pape secundi]. Die nona mensis aprilis. Actum in appoteca Abbatie 1 L’atto è seguito da altri due rogiti (alle cc. 20v-21r), stilati nello stesso giorno e relativi alla stessa vendita, avvenuta il 16 marzo 1453 presso il notaio Ser Francesco di Lorenzo.
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residentie mei notarii infrascripti, presentibus Martino Pieri Fei alias Piermangia et Antonio Fanuci Fei de Burgo, testibus rogatis. Ulivus Simonis Pacioli de Burgo … vendidit Antonio Angeli Franchi de dicto Burgo … unam domum sitam [in] Asgio Burgi Afre … .
39. Ivi, c. 31r 9 aprile 1461 Emptio Ulivi Simonis Dicta die et loco et testibus. Bartolus Cecherini Cechi Lasagne de Burgo predicto … vendidit et tradidit Ulivo Simonis Pacioli suprascripto, presenti, … unam domum sitam in Burgo, in Contrata Sancti Antonii … .
40. Notarile Antecosimiano 7043, cc. 65r-65v 20 ottobre 1466 Cessio Barfucii Iacobi [In nomine individue Trinitatis amen. Anno a nativitate Domini Millesimo quadringentesimo sexagesimo sexto, indictione XIIII, tempore Domini Pauli Pape secundi]. Die vigesima mensis octobris. Actum in Canceleria residentie infrascripti Domini iudicis in Palatio comunis residentie Domini Capitanei, presentibus Iohanne Francisci Iohannis Cisti et Blaxio Baldi Iacobi barberis de Burgo, testibus ad hec vocatis, habitis et rogatis. Lucas olim Bartolomei Pacis1 de Burgo, adultus maior annorum XVIII minor tamen XX annorum, … cum presentia, licentia et consensu Fratris Iuniperi sui fratris carnalis Ordinis minorum Sancti Francisci ibidem presentis … et cum auctoritate et de rato eximii legum doctoris Domini Iohannis de Vulterris iudicis collateralis asserentis Spectabilis viri Alberti Antonii Nicolai de Florentia ad presens Capitanei dicti Burgi … dedit et tradidit, cessit et concessit, transtulit et mandavit Burfucio Iacobi Cechi de dicto Burgo omnia iura et actiones reales et personales quas … sibi competebant … hereditatis Magistri Antonii Pieri Bartoli Pacis de dicto Burgo … in domo dicti Luce, apensionata dicto olim Magistro Antonio … // … .
41. Ivi, c. 65v 20 ottobre 1466 Residuum Luce Bartolomei Dictis die, loco et testibus. Prefatus Barfucius, recognoscens se verum debitorem dicti Luce … in quantitate librarum sex denariorum cortonensium … promisit … sibi solvere … .
1 Dovrebbe essere «Paciolis».
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42. Ivi, cc. 65v-66r 22 ottobre 1466 Emptio Francisci Mei Rossi Die XXII mensis ottobris. Actum in Canceleria residentie infrascripi Domini iudicis in Palatio Comunis Burgi et residentie Domini Capitanei, presentibus Ser Christoforo Pieri Sisti et Iohanne Marcholini de Pichis et Marcho Bartolomei Mariani et aliis testibus ad hec vocatis, habitis et rogatis. Lucas olim Bartolomei Pacioli, adultus maior annorum XVIII minor tamen XX annorum, … cum presentia, licentia et consensu Fratris Iuniperi et Fratris Ambrosii suorum fratrum carnalium Ordinis minorum Sancti Francisci ibidem presentium … et cum auctoritate et de rato eximii legum doctoris Domini Iohannis de Vulterris iudicis collateralis … // … dedit, vendidit et tradidit Francischo olim Mei Rossi de dicto Burgo ibidem presenti … unam domum sitam in Burgo, in Asgio de Cipollis, iuxta rem dicti emptoris et rem Gori Mei de Cipollis et rem Antonii Laurentii Mathei Marci et viam publicam, vel alio fines … . Et hoc pro pretio et nomine veri et iusti pretii florenorum trigintaduorum cum dimidio alterius floreni ad rationem librarum quinque pro floreno … .
43. Ivi, c. 66v 22 ottobre 1466 Residuum Luce Bartolomei Dictis die, loco et testibus. Suprascriptus Francischus …, sponte et ex certa scientia per se et suos heredes, recognoscens se verum debitorem suprascripti Luce in residuo dicti pretii … promisit … sibi Luce solvere … .
44. Notarile Antecosimiano 7045, c. 13r 15 gennaio 1469 Matrimonium inter Benedictum et Dominam Isabettam Dictis anno [Millesimo quadringentesimo sexagesimo nono], indictione [secunda] et pontificatu [Domini Pauli Pape secundi], die quinta decima mensis ianuarii. Actum in Burgo predicto, in domo Iacobi Magistri Guelfi, in Asgio de Muffonis, presentibus Bartolomeo Ambrosii de Bercordatis, Bartolomeo Romani Martini, Antonio Iohannis Petri Orchi et Bartolomeo filio mei notarii infrascripti et aliis pluribus de Burgo predicto, testibus ad hec vocatis, habitis et rogatis. Strenus vir Benedictus Baiardus de Baiardi de Burgo peditus probatissimus comestabulus, ex una parte, et Egregia Domina Iasabetta Iacobi seu Magistri Iacobi de Padua, ex alia, … per verba de presenti … et anuli dationem et recepionem matrimonium contraxerunt … .
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Rogiti di Ser Michelangelo di Giuliano di Niccolò 45. Notarile Antecosimiano 14044, c. 21v 16 marzo 1429 Quietatio Bartolomei et Mathei [In Dei nomine amen. Anno a nativitate Domini MCCCCXXVIIII, indictione VII, tempore pontificatus Domini Martini Pape quinti]. Die XVI dicti mensis martii. Actum in dicta appoteca [mee residentie], presentibus Angelo Actini Sanctis, Marcolino de Pichis et Antonio de Coldarco, testibus rogatis. Bartolomeus Pacioli de Burgo, per se et eius heredes, … quietavit Matheum Iohannis Schiatti recipientem et stipulantem per se et eius heredes, ab eo et toto quo apparebat … in quolibet laudo lato inter eos manu Ser Francisci de Acerbis … .
46. Ivi, cc. 101v-102r 30 ottobre 1430 Emptio Bartolomei Pacioli [In Dei nomine amen. Anno a nativitate Domini Millesimo quadringetesimo trigesimo, indictione octava, tempore pontificatus Domini Martini Pape quinti]. Die trigesima mensis octubris. Actum in predicto Burgo, in appoteca mee residentie, presentibus Maffeo Castellucii et Iohanne Francisci Magistri Berardini de Burgo, testibus rogatis. Theus Antonii Vagnoli de Gragnano Districti Burgi, sponte et ex certa scientia pro se et eius heredibus, … dedit, vendidit et tradidit Bartolomeo Pacioli de Burgo, presenti, ementi et recipienti pro se et suis successoribus, … quamdam domum sitam in dicto Burgo, in Asgio de Cipollis, iuxta rem Bardelle de Montanea et rem filiorum Angeli Rossi fabris, mediante cavina, et rem Mathei Grenetani, viam comunis et alios confines etc. … . Et hoc pro pretio et nomine veri et iusti pretii in totum florenorum decem et septem ad rationem bolonenorum XLI pro floreno … quem pretium dictus venditor fuit confessus habuisse a dicto emptore et pro eo solvente Francischo Mathei Nuti alias Martello pro parte dotis Domine Magdalene filie dicti Francisci et uxoris dicti Bartolomei emptoris, a qua dictus Bartolomeus absolvit dictum Franciscum etc. … // … .
47. Ivi, c.n.n. 10 agosto 1431 Calculus et quietatio inter heredes Christofori et Fiordum Piendebenis [In Dei nomine amen. Anno a nativitate Domini Millesimo quadringetesimo trigesimo primo, indictione nona]. Die decima dicti mensis [augusti]. Actum in appoteca mee residentie, presentibus Petro Iacobi Goracci, Antonio Iohannis de Paradiso de Burgo et Bartolomeo Pacioli de dicto Burgo, testibus rogatis … .
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48. Notarile Antecosimiano 14053, c.n.n.1 2 marzo 1433 Noi Francescho di Panzo e Lucha di Francescho e io Bartolomeo di Gratiani, stimatori dela dote, stimamo la chasa di Mateo di Genatano a petitione dela sua donna con tutta la sua ragione, confinata a lato Rainieri fabro e Bartolomeo di Paciolo e la rede d’Uguccio di Bartolo et la via dinanze e di retro, in tutto f. 65 … . 1433 die secunda martii. In Palatio comunis, presentibus Ventura Arcipretis et Bartolomeo Laurentii Padelle, testibus rogatis Ser Mario … .
49. Notarile Antecosimiano 14049, c.n.n. 9 maggio 1438 Quietatio pro Nanne de Florentia Dictis anno [Millesimo quadringentesimo trigesimo octavo], indictione [prima], pontificatu [Domini Eugenii Pape quarti], die nona mensis maii. Actum in Burgo, in appoteca Abbatie Burgi residentie mei notarii infrascripti, presentibus Ghese Antonii Ghesis et Bartolomeo Paccioli de dicto Burgo, testibus ad hec vocatis, habitis et rogatis … .
Rogito di Ser Giovanni di Manno di Matteo 50. Notarile Antecosimiano 9627, c.n.n. 27 agosto 1457 MCCCCLVII, die 27 augusti, actum in Burghetto … Porte Sancti Nicolai, in domo Federici Angeli de Aretio, presentibus Ser Mariano de Loro et Simone Antonii Blaxii de Sasso et Petro Grellini de Burgo Sancti Sepulcri, testibus rogatis et vocatis. Iohannes et Laurentius fratres et filii Francisci Iohannis […] de dicto Burgo …, ex parte una, et Nicolaus Chechi Vite et Iohannes eius filius et Nicolaus Mathei Mei de Palatio et Olivus Simonis Pacioli, eorum nominibus propriis et vice et nomine Massi et Pelonii Antonii Pacioli predicti … promiserunt, obligaverunt etc. … .
Rogiti di Ser Leonardo di Mario Fedeli 51. Notarile 6953, c.n.n. 16 aprile 1456 Concordia Ieronimi Nicolai et Massi et Appollonii [In Dei nomine amen. Anno a nativitate Millesimo quadringentesimo quinquagesimo sexto, indictione quarta, tempore Domini Calistri Pape tertii]. Die 1 È una piccola carta sciolta tra i «Fogli senza data».
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XVI dictis mensis [aprilis]. Actum in dicto loco [Abbatie residentie mei notarii infrascripti], presentibus Raffaele Bartolomei de Bocognanis, Iohanne Amerigi de Doctis et pluribus aliis testibus ad hec vocatis et rogatis. Ieronimus quondam Nicolai Mirabucii de Burgo Sancti Sepulcri …, ex parte una, et Massus et Appollonius fratres et filii Antonii Pacioli de dicto Burgo, ex parte altera, … omnes eorum lites … vertentes inter dictas partes … occassione societatis confacte inter dictos Nicolaum et Massum in arte calzolarie sive cerdonum et de omnibus dependentibus … compromiserunt et compromissum fecerunt … in providos viros Antonium Iacobi Zomeri et Sirum Checchi Valentini, cerdones de dicto Burgo … // … .
52. Notarile Antecosimiano 6956, c.n.n. 29 dicembre 1459 Quietatio Nerii Cristofori Capassini [In nomine individue Trinitatis. Anno a nativitate Domini Millesimo quadringentesimo sexagesimo, indictione octava, tempore pontificatus Domini, Domini Pii Pape secundi]. Die vigesima nona mensis decembris. Actum in Burgo predicto, in appotecha Abbatie ad pensionem Appollonio Antonii Pacioli alias Barbaglie, presentibus Meo Ambrosii de Bercordatis et Appollonio predicto et Antonio Christofori Spagnoli omnibus de Burgo predicto, testibus ad hec vocatis et rogatis … .
53. Notarile Antecosimiano 6957, c.n.n. 3 novembre 1462 [In nomine individue Trinitatis. Anno a nativitate Domini Millesimo quadringentesimo sexagesimo secundo, indictione decima, tempore pontificatus Domini, Domini Pii Pape secundi]. Die tertia novembris. Actum in Burgo, in Platea comunis iuxta appotecha Polonii Barbaglie, presentibus [ ] de Bofulcis et Iohanne Francisci Iohannis Cisti … .
54. Notarile Antecosimiano 6961, c.n.n. 7 febbraio 1466 [In nomine individue Trinitatis. Anno a nativitate Domini nostri Yeshu Christi Millesimo quadringentesimo sexagesimo sexto, indictione quarta decima, tempore pontificatus Domini, Domini Pauli divina providentia Pape secundi]. Dicta die [VII mensis februarii]. Actum in Platea comunis, presentibus Francisco Iohanbaptiste et Tadeo Simonis Signorutii de Burgo, testibus rogatis. Frater Anbrosius Bartolomei Pacioli de Burgo, Ordinis minorum Sancti Francisci de’ luogho predicto, sponte et omni modo etc., fecit suum procuratorem, factorem etc. Iohannem Christofori Cechi … .
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55. Notarile Antecosimiano 6964, c.n.n. 23 ottobre 1469 Emptio strenui viri Benedicti Baiardi [In nomine individue Trinitatis. Anno a nativitate Domini nostri Yeshu Christi Millesimo quadringentesimo sexagesimo nono, indictione secunda, tempore pontificatus Domini, Domini Pauli divina providentia Pape secundi]. Dicta die [XXIII mensis octobris], loco [Actum in dicto Burgo, in appotecha tinte] et testibus [Antonio Nardi Fonis, Galeocto Antonii Benedicti de Carsidonis, Francischo Antonii Mey et Vicho Lazari Magistri Schiatti de Burgo, testibus ad hec vocatis, habitis et rogatis]. Francischus Iohanbaptiste Honofri … dedit, vendidit et tradidit egregio viro Benedicto [ ] Baiardi de dicto Burgo, capitaneo peditum Magnificorum Dominorum […] Florentie … suprascriptum ortum [sive viridarium cum quadam loggia, situm in Burgo predicto in Contrata Hospitalis Sancte Marie de Fondaccio] … pro pretio et nomine veri et iusti pretii librarum cortonensium triginta novem … .
56. Notarile Antecosimiano 6980, c.n.n. 20 agosto 1472 Donatio Societatis Laudum [In nomine individue Trinitatis amen. Anno a nativitate Domini nostri Yeshu Christi Millesimo quadringentesimo septuagesimo secundo, indictione quinta, tempore pontificatus Domini, Domini Sixti divina providentia Pape quarti]. Die vigesima mensis augusti. Actum in Burgo predicto, in Conventu loci Sancti Francisci de Burgo, in camera residentie Fratris Zineperi Bartolomei de Burgo dicti Ordinis et guardiani ad presens dicti loci et conventus predicti, presentibus Blaxio Baldi Iacobi Barbeni, Iacobo Francisci Vestri Francisci, Bartolomeo Antonii Gualdi, Matheo Bartolomei Mariani et Gilio Stefani Valoris et Lucha Bartolomei Pacioli de dicto Burgo, testibus ad hec vocatis, habitis et rogatis … .
57. Notarile Antecosimiano 6987, c.n.n. 9 dicembre 1478 [In nomine individue Trinitatis. Anno a nativitate Domini Millesimo quadringentesimo septuagesimo octavo, indictione undecima, tempore pontificatus Domini Sixti divina providentia Pape quarti]. Dicta die [nona mensis decembris]. Actum in Burgo predicto in appoteca Abbatie residentie mei notarii infrascripti, presentibus Geppo Mathei Geppi aromatario et Agustino Bartolomei Mani Thidi de Burgo predicto, testibus ad hec vocatis, habitis et rogatis. Religiosus vir Dompnus Niccolaus olim Simonis Pacioli de Burgo Sancti Sepulcri, monacus Monasterii Sancti Iohannis Evangeliste de Burgo Sancti Sepulcri, Ordinis camaldulensis … prior de novo electus Ecclesie Sancte Lucie de An-
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cona, Ordinis camaldulensis predicti … fecit, constituit et ordinavit … eius verum et legiptimum procuratorem, actorem, factorem et certum numptium spetialem … Dominum Michaelem Iusti de Vulterris dignissimum abbatem Monasterii Sancti Martini de Thisio dicti Ordinis camaldulensis … // … .
58. Notarile Antecosimiano 6999, (1480-1481), n. 28 6 dicembre 1480 In nomine individue Trinitatis amen. Anno a nativitate Domini, Domini nostri Yeshu Christi Millesimo quadringentesimo optuagesimo, indictione XIII, tempore pontificatus Sanctissimi in Christo Patris et Domini, Domini Sixti divina providentia Pape quarti, et die sexta mensis dicembris … . Religiosus vir Dompnus Nicolaus Simonis Pacioli de Burgo Sancti Sepulcri monacus Ordinis camaldulensis nec non Prior Ecclesie Sancte Lucie … de Ancona … concessit vecem suam … venerabili in Christo Patri Dompno Simoni … de Gratianis de Burgo … dicti Ordinis camaldulensis, presenti et acceptanti, super nova electione reverendissimi futuri … Prioris Generalis Ordinis camaldulensis … . Actum supradictum in Monasterio Abbatie Burgi, presentibus Checco Antonii Jonte de Jontis et Meo Luchini Bartolomei de Doris … testibus ad predicta vocatis et rogatis.
59. Notarile Antecosimiano 6993, c.n.n. 31 gennaio 1484 Dos Domine Chaterine Iuliani Mei Loli de Boboli et Petri Ulivi Simonis Pacioli [In nomine individue Trinitatis amen. Anno a nativitate Domini, Domini nostri Yeshu Christi Millesimo quadringentesimo optuagesimo quarto, indictione secunda, tempore pontificatus Domini, Domini Sixti divina providentia Pape quarti]. Dicta die ultima mensis ianuarii. Actum in Burgo Sancti Sepulcri, in Ecclesia Abbatie dicti Burgi, presentibus Iohanne olim Bartolomei de Gratianis, Francischo Angeli Laurentii Capucii, […] Leonis de Gratianis atque pluribus aliis de dicto Burgo, testibus ad hec vocatis, habitis et rogatis. Petrus olim Ulivi Simonis Pacioli de Burgo Sancti Sepulcri, sponte et ex certa scientia … asserens et affirmans se maiorem esse annorum viginti et minorem annorum vigintiquinque … fuit confessus … recepisse et sibi datam solutionem … a Iuliano olim Mey Loli olim de Bobole de Florentia et nunc de Burgo Sancti Sepulcri, dante et solvenet pro dote et nomine dotis Domine Chaterine sue filie dicti Iuliani et uxoris future … dicti Petri.1
1 Lo scritto è probabilmente incompleto; il resto della carta è bianco tranne una postilla laterale con l’annotazione: «apparet declaratio dicte dotis manu mei Angelo Ser Bartolomei Ser Mario, 1508».
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Rogiti di Ser Francesco di Andrea Pichi 60. Notarile Antecosimiano 16725, cc. 45v-46r 15 febbraio 1460 Suprascriptis anno [Millesimo quatuorcentesimo sexagesimo], indictione [VIII], pontificatu [Sanctissimi, in Christo Patris et Domini, Domini Pii divina providentia Pape secundi], et die XV mensis februarii. Actum in Burgo, in domo Nerii Iohachini Miti, presentibus Sancte Nannis de Pannilonghis, Andrea Pauli de Monte et Sancte Iohannis Bangarie, testibus de dicto Burgo ad hec vocatis, habitis et rogatis. Domina Margherita uxor Nerii Iohachini Miti de dicto Burgo et olim filia Cecchi Iohannis Ghelfucci de Monte … vendidit, tradidit et concessit Ulivo olim Simonis Pacioli de dicto Burgo … unam petiam terre laboratie site in districto Burgi, in Contrata della Croci iuxta res et bona Ecclesie Sancte Habunde de dicto Burgo, res Ghuidetti Antonii Ghuidetti, res Leonardi Petri Vecchi et res Domini Christofori Christofori de Carsidonis … item unam aliam petiam terre in dicta contrata et vocabulo iuxa bona Domini Christofori Christofori de Car // sidonis, res Ecclesie Sancti Laurentii de Cosparia, res Ghuidetti Antonii, res Baptiste della Vannuccie et viam publicam … .
61. Ivi, cc. 92r-93r 26 maggio 1460 Suprascriptis anno [Millesimo quatuorcentesimo sexagesimo], indictione [VIII], pontificatu [Sanctissimi, in Christo Patris et Domini, Domini Pii divina providentia Pape secundi], et die XXVI mensis maii. Actum in Burgo, in domo et fundico mei notarii infrascripti, presentibus Nicolao Ioronimi Mirabutii et Nerio Iohachini Miti, testibus de dicto Burgo ad hec vocatis, habitis et rogatis. Domina Angelesca uxor Ulivi Simonis Paccioli et olim filia Petri Simonucci de dicto Burgo … vendidit, tradidit et concessit Bartolomeo olim Iacobi de Parchiule de dicto Burgo … quamdam petiam terre laboratie posite in Villa Sancti Iustini in vocabulo de Riascolo, iuxta bona // Lazari de Gaenna et res Petri Nardi Fidelis de Burgo et viam publicam … .
62. Notarile Antecosimiano 16730, c. 122r 26 febbraio 1471 Artis Lane Suprascriptis anno [Millesimo quadringentesimo septuagesimo primo], indictione [quarta], pontificatu [Pauli divina providentia Pape secundi] et die XXVI mensis februarii. Actum in Burgo, in refectorio Ecclesie Sancti Francisci de dicto Burgo, presentibus Fratre Luca et Fratre Ambroxio filiis Bartolomei Pacioli de dicto Burgo, testibus ad hec vocatis, habitis et rogatis.
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Congregati, convocati et cohadunati infrascripti homines Universitatis Artis Lane … fecerunt pro exigentiis dicte Artis, videlicet pro vigore et auctoritate presentis reformatoris et provisoris, consules dicte Artis Lane … Magistrum Iohannem de Pesauro presentem, tintorem dicte Artis, sive Benvenutum de Perugio, et illum eorum quemcunque viderint velle servire Universitati dicte Artis ad maiorem utilitatem … .
63. Notarile Antecosimiano 16732, cc. 47r-47v 27 agosto 1470 Locus capelle concessus pro Masso Lazari Bartoli Suprascriptis anno [Millesimo quadringentesimo septuagesimo], indictione [tertia], pontificatu [Pauli divina providenta Pape secundi] et die XXVII mensis augusti. Actum in Burgo, in refectorio loci fratrum minorum Sancti Francisci de Burgo, presentibus Bercordato Ambroxii et Iuliano Mei Pieri Bartoli Amaducci, testibus de dicto Burgo … . Congregati ad Capitulum infrascripti fratres loci et Conventus Ecclesie Sancti Francisci de Burgo predicto … in quo Capitulo interfuerunt ipse Frater Stefanus prior predictus, Magister Zineprus Bartolomei de Burgo, magister in sacra pagina professor, Frater Nardus Nicolutii de Perusio, Frater Santes Antonii, Frater Antonius Iacobi de Faenza, Frater Iacobus Simonis de Forlinio, Frater Nicolaus Tomassi de Francia, Frater Angelus Tomassi de Casscie, qui sunt ultra duas partes fratrum … dicti coventus …, considerantes testamentum et ultimam voluntatem Massi Lazari de Pannilunghis et maxime in ea parte in qua reliquit et iussit hedificari unam capellam in dicta Ecclesia Sancti Francisci … // … licentiam dederunt et contulerunt hedificandi et construere faciendi dictam capellam in dicto loco … .1
64. Notarile Antecosimiano 16733, cc. 180v-181r 15 settembre 1472 Renuntiatio Ianini operarii [Anno a nativitate Domini nostri Yeshu Christi Millesimo quadringentesimo septuagesimo secundo, indictione V, tempore pontificatu Domini Sixti divina providentia Pape quarti]. Dicta die [XV mensis septembris]. Actum in Conventu Sancti Francisci de Burgo, in camera Magistri Zinepri fratris dicti Ordinis, presentibus Paulo Tadei alias Terragugia, Michelangelo Massi Cerbarie et Paulo Petri Procaccie, testibus de dicto Burgo ad hec vocatis, habitis et rogatis … . Constitutus coram venerabili in Christo Patre et sacre pagine professore Magistro Zinepro Bartolomei de Burgo predicto et dicti Ordinis, guardiano dicti Conventus … Sancti Francisci, nec non Reverendissimi Domini Prioris generalis commissario, coram quo et etiam coram Fratre Santi de Burgo, dixit et exposuit 1 Nella stessa filza, alle cc. 85r-85v, c’è un altro rogito del 23 novembre 1470, con Maestro Ginepro di Bartolomeo, relativo all’eredità di Masso di Lazzaro Bartoli dei Pannilunghi.
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qualiter ipse Ianinus iam sunt anni septem vel circa institutus fuit … operariis … dicte Ecclesie Sancti Francisci … // … . Ideo quod dictus Ianinus dictum eius officium renuntiavit et refutavit dictis guardiano et Fratri Santi presentibus … .
65. Notarile Antecosimiano 16734, cc. 40r-42v 26 marzo 1473 Emptio Domine Elysabeth Suprascriptis anno [Millesimo quadringentesimo septuagesimo tertio], indictione [VI], pontificatu [Sixti divina providentia Pape quarti] et die XXVI mensis martii. Actum in residentia magnificorum Conservatorum terre Burgi, presentibus Iuliano Pieri Casuccii et Francisco Matei Casuccii, testibus de dicto Burgo ad hec vocatis, habitis et rogatis. Checchus quondam Nerii Gnaffi de Villa Griccignanii Districti dicti Burgi … vendidit, tradidit e concessit egregie Domine Elysabeth uxori magnifici Benedicti Antonii Baiardi de dicto Burgo, illustrissime Dominationis Florentie generalis peditus Capitanei, licet absenti, et Domino Anastaxio Antonii de Anastaxiis stipulanti et recipienti pro ea et eius Domine nomine … unum petium terre laboratie positum in Districto Burgi, in Villa [ ], in Contrata sive vocabulo della Greppa iuxta rem Antonii Stefani Biancalane … // … .
66. Ivi, c. 76r 3 agosto 1473 Artis lane Suprascriptis anno [Millesimo quadringentesimo septuagesimo tertio], indictione [VI], pontificatu [Sixti divina providentia Pape quarti] et die tertia mensis augusti. Actum in Burgo, in refectorio loci et Conventus fratrum Sancti Francisci de dicto Burgo, presentibus Fratre Ambroxio Bartolomei Pacioli et Fratre Sancte [ ] … .
67. Ivi, cc. 118v-119r 23 dicembre 1473 Renovatio Petri, Urbani et Pandulfi [Suprascriptis anno Millesimo quadringentesimo septuagesimo tertio, indictione VI, pontificatu Sixti divina providentia Pape quarti]. Dicta die [XXIII mensis decembris], loco [Actum in dicto Burgo, in Capitulo Abbatie et monacorum Abbatie] et testibus suprascriptis [Francisco Pacis Pacchi, Iohanne Rentii da Monte, Meo Francisci de Cipollis et Maggio Angeli Lungari]. Congregati, convocati et cohadunati ad Capitulum suprascriptus Reverendus Pater Dominus Ieronimus abbas suprascriptus et infrascripti eius monaci … // … Dompnus Ieremia Iacobi de Venetiis, capellanus dicti Domini Abbatis, Dompnus Nicolaus Simonis Pacioli de Burgo … Dompnus Iustus Stefani de Vulterris, asserentes se esse ultra duas partes monacorum dicti monasterii … re-
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novaverunt in ephiteosim sive libellum Ubano et Pandulfo fratribus et quondam filiis Marcolini Petri de Pichis … e Petro eorum fratri … unam petiam terre … positam in Dictricto Burgi, in Contrata de Corbolaia … .
68. Ivi, cc. 178v-179r 2 maggio 1474 Emptio Domine Angelesche Ulivi Pacioli Suprascriptis anno [Millesimo quadringentesimo septuagesimo quarto], indictione [septima], pontificatu [Sixti divina providentia Pape quarti] et die secunda mensis maii. Actum in Burgo, in Ecclesia sive oratorio Societatis disciplinatorum Sancti Antonii, presentibus Rentio Silvestri Ferri et Francisco Christofori Scraramelle, testibus de dicto Burgo ad hec vocatis, habitis et rogatis. Iohannes quondam Vici Cellite de dicto Burgo habitator Ville Sancti Iustini Comitatus Civitatis Castelli et Rentius eius filius … vendidit, tradidit et concessit Domine Angelesche filie olim Petri Simonucci et uxori Ulivi Simonis Pacioli de dicto Burgo, presenti, … unam petiam terre vineate positam in Districto Burgi, in Contrata del // Ponte da Bosso, iuxta dictum pontem, flumen Afre, rem Antonii Christofori Secce, rem Olivi Simonis mariti dicte Domine et viam comunis … .
69. Ivi, cc. 201r-202v 27 settembre 1474 Christofori Mathei de Pichis Suprascriptis anno [Millesimo quadringentesimo septuagesimo quarto], indictione [septima], pontificatu [Sixti divina providentia Pape quarti] et die vigesima septima mensis septembris. Actum in dicto Burgo, in studio mei notarii infrascripti, et testibus Luca Andree Picconis et Michelangelo Iustini Manni, testibus de dicto Burgo ad hec vocatis, habitis et rogatis. Constare dixerunt contrahentes infrascripi, ex instrumento venditionis manu Ser Ugutii Honofrii notarii de dicto Burgo et rogatus sub die [ ] mensis ianuarii MCCCCLXXI …, permutasse Magnifico viro Benedicto Antonii Baiardi de dicto Burgo nunc presenti, stipulanti et recipienti … unam domum sive caminatam et quemdam claustrum sive cassalinum eidem contiguum, sitos in dicto Burgo … // … in Quarterio Sancti Iohannis, ex parte levantis, iuxta domum et rem Fabiani Domini Christofori de Pichis … // … pro una domo ipsius Benedicti posita in dicto Burgo in Agio de Abbarbagliatis, iuxta rem Pieriohannis Christofori Agustini … quam asseruerunt dictum Benedictum permutasse dicto Christoforo et pro florenis centum decem … // … .
70. Notarile Antecosimiano 16735, cc. 117r-117v 1º febbraio 1476 Capella Domine Marieantonie uxoris Iohannis Tani Suprascriptis anno [Millesimo quadringentesimo septuagesimo sexto], indictione [nona], pontificatu [Sixti divina providentia Pape quarti] et die prima
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februarii. Actum in Burgo, in Convenctu loci fratrum Sancti Francisci de dicto Burgo, in refectorio dictorum fratrum … presentibus Siro Meelli Bernardi et Remigio Antonie Pieri Bartoli, testibus de dicto Burgo ad hec vocatis, habitis et rogatis … . Capitulum, in loco suprascripto sono campanelle more solito, de mandato venerabilis in Christo Patris et sacre pagine profexoris Magistri Iohannis Pauli de Barofelle de Burgo predicto, guardiani dicti loci et conventus, … Magister Iohannes guardianus predictus, Magister Zineprius // Bartolomei de Burgo, Frater Ambroxius Bartolomei de Burgo, Frater Sancte Antonii de dicto Burgo, Frater Christoforus Antonelli de Civitate ducali, Frater Pascasius Iacobi Banocci et Frater Francischus Laurentii de Mercatello, esistentes et esse asserentes ultra duas partes fratrum dicti loci et conventus … concesserunt, dederunt et tradiderunt dicte Domine Marieantonie … locum, situm et sollum in dicta ecclesia pro dicta capella construenda … .
71. Notarile Antecosimiano 16736, c. 117r 13 gennaio 1477 Emptio Sanctis Bartolomei Mancini Suprascriptis anno [Millesimo quadringentesimo septuagesimo septimo], indictione [decima], pontificatu [Sixti divina providentia Pape quarti] et die tertiadecima ianuarii. Actum in Burgo predicto, in studio mei notarii infrascripti, presentibus Martino Rentii Silve et Nerio Angeli de Borgolis, testibus de dicto Burgo ad hec vocatis, habitis et rogatis. Massus quondam Antonii Pacioli de dicto Burgo … vendidit, tradidit et concessit Iohanni Sanctis Bartolomei Mancini … unam petiam terre laboratie que vulgariter nuncupatur ‘el Giardino che fo de Ciocco’, positam in Districto Burgi, in Contrata de Bocca d’Afra … .
72. Notarile Antecosimiano 16737, c. 119v 11 luglio 1480 Refutatio Domine Violantis Michelangeli Nannis Suprascriptis anno [MCCCCLXXX], indictione [XIII], pontificatu [Sixti divina providentia Pape quarti] et die undecima mensis iulii. Actum in dicto Burgo, in claustro suprascripti loci et Conventus Ecclesie Sancti Francisci de dicto Burgo, presentibus Fratre Luca Bartolomei Pacioli Ordinis minorum, fratre dicti conventus et de dicto Burgo, Luca Pieriohannis Christofori Agustini Mercati et Egidio Antonii Mele de dicto Burgo, testibus ad hec vocatis, habitis et rogatis etc. … .
73. Ivi, cc. 213r-213v 2 aprile 1481 Organa Sancti Francisci Suprascriptis anno [MCCCCLXXXI], indictione [XIIII], pontificatu [Sixti divina providentia Pape quarti] et die secunda mensis aprilis. Actum in dicto Bur-
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go, in Conventu et loco Ecclesie Sancti Francisci de dicto Burgo, in claustro posteriori dicte Ecclesie, presentibus Fabiano Domini Christofori de Pichis, Mastino Hectoris de Robertis et Sigismundo Christofori Marci Boddi de dicto Burgo, testibus ad hec vocatis, habitis et rogatis. Congregati, convocati et cohadunti ad Capitulum infrascripti fratres conventuales loci et Conventus Ecclesie Sancti Francisci de dicto Burgo, in loco suprascripto sono campanelle more solito, de mandato Reverendi in Christo Patris Fratris Christofori [ ] de Civitate ducata, guardiani dicti loci et conventus, … in primis ipse Frater Christoforus guardianus, Magister Iohannes Pauli Barofelli sacre pagine profexor, Frater Sebastianus Blaxii de Angliario vicarius dicti conventus, Frater Ambroxius Bartolomei Pacioli de Burgo, Frater Blancusius Antonii de Burgo, Frater Antonius Francisci de Assisio bacalarius, Frater Francischus Pantaleonis de Ubino, Frater Paulus [ ] de Lectona, Frater Paulus Baldi de Scalocchio, Frater Iacobus Niccolai teotonnicus et Frater Antonius Iuliani de Ripari partium Sicilie, existentes et esse asserentes ultra duas partes fratrum loci et conventus predicti … // … locaverunt et dederunt Magistro Iacobo Iohannis de Civitate Lucana … organa predicte Ecclesie Sancti Francisci … .
74. Ivi, cc. 163r-163v 8 gennaio 1485 Affictum Opere Sancti Francisci Suprascriptis anno [MCCCCLXXXV], indictione [tertia], pontificatu [Innocentii divina providentia Pape octavi] et die octava ianuarii. Actum in dicto Burgo, in apoteca in qua ponderantur granum et farinam predicte terre Burgi, presentibus Meo Ambroxii de Valicelle et Iohanne Rentii de Monte de dicto Burgo, testibus ad hec vocatis, habitis et rogatis. Meus Christofori Mei et Ser Iacobus Thome de Ghuelfis operarii … Ecclesie Sancti Francisci de dicto Burgo et Reverendus Pater sacre pagine professor Magister Lucas Bartolomei Pacioli guardianus // dicte Ecclesie et fratrum et conventus loci predicti, una cum eis, sponte et ex certa scientia dictis nominibus, ex causa et titulo locationis, dederunt et locaverunt ad affictum Francisco Pauli Savelli de dicto Burgo, presenti et conducenti, infrascriptas res infra predictas et confinatas, videlicet: in primis duas petias terrarum laboratarum … positas in Districto Burgi in Contrata Petreti iuxta rem Servorum Sancte Marie et rem heredum Blaxii Ciucolis et rem Magistri Domini Ugolini Marchionnis Sancte Marie et rem heredum Matei dal Palaio … item unum alterum petium terre in dicta contrata iuxta rem heredum Nardi Benvenuti et rem Luce de Zanzanis et viam comunis … ad tenendum, utendum et fruendum tribus annis proximis futuris … et nomine affictus … libras XXXV cortoneses annuatim.
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75. Ivi, cc. 168v-169v 7 febbraio 1485 Altare Bartolomei de Rossis Suprascriptis anno [MCCCCLXXXV], indictione [tertia], pontificatu [Innocentii divina providentia Pape octavi] et die septima suprascriptis mensis februarii. Actum in Burgo, in Conventu et loco fratrum Sancti Francisci de dicto Burgo, in refectorio dicti Conventus, presentibus Dompno Paulo Nannis de Ghirellis, Iohanbaptista Laurentii de Ghuelfis et Matheo Francisci Pauli Savellis de dicto Burgo, testibus ad hec vocatis, habitis et rogatis. Congregati, convocati et cohadunati ad Capitulum infrascripti fratres conventuales loci suprascripti suprascripte Ecclesie Sancti Francisci Ordinis minorum, sono campanelle more solito, de mandato Reverendi in Christo Patris sacre pagine professoris Magistri Bartolomei de Perusio fratris dicti Ordinis dignissimi Ministri Provincie Sancti Francisci ac et de mandato Magisti Luce Bartolomei de Burgo guardiani dicti conventus, … in primis ipse Magister Bartolomeus minister et Magister Lucas guardianus, Magister Orlandus Laurentii de Gossia Provintie Datie, Frater Filippus Benedicti de Perusio vicarius conventus et fratrum predictorum, Frater Franciscus de Andreasiis de Mantua, Frater Ghuglielmus Micaelis francigene, Frater Antonius Nardi de Monterchio et Frater Iohannes Christofori de montanea dicti Burgi, existentes et esse asserentes // ultra duas partes fratrum dicti loci … sponte et ex certa scientia, deliberate et concorditer dederunt, tradiderunt et concesserunt et consignaverunt Bartolomeo Iacobi de Rossis de dicto Burgo, presenti, stipulanti et recipienti … Altare Sancti Bonaventure, quod prius vocabatur Altare Sancti Christofori, et sictum et solum sepulcri eius sepulture prope et ante dictum altare, quod altare positum est in dicta Ecclesia Sancti Francisci iuxta Altare Sancti Sebastiani … . Et pro dicta et nomine dotis dicti altaris ad hoc ut dictum altare officiari possit dedit, donavit, tradidit et concessit dicto altari et dictis fratribus et operariis suprascripis et recipientis pro dicto altare florenos centumquinquaginta de bonis dicti Bartolomei … // … .
76. Ivi, cc. 169v-170r 7 febbraio 1485 Revocatio donationis Leonarde pinzochere Dicta die et loco, videlicet in claustro loci et conventus predictus, presentibus Pandulfo Leonis de Gratianis, Michelino Bartolomei Norchie et Luchino Mei Luchini de dicto Burgo, testibus ad hec vocatis habitis et rogatis. Suprascriptus Reverendus Pater Magister Bartolomeus sacre pagine professor et minister et Magister Lucas Bartolomei de dicto Burgo guardianus prefatus dicti conventus, agentes omnia et singula infrascripta eorum nominibus et vice et nominibus aliorum fratrum dicti conventus … et Ser Iacobus Thome de Ghuelfis et Meus Christofori Mei operarii … dicte Ecclesie …, ex parte una, et Domina Leonarda vidua et quondam uxor Roberti Nicolai Tadei de Acaptis de
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dicto Burgo, pinzochera tertii Ordinis, agens omnia et singula infrascripta, cum presentia, consensu et volumptate Fratris Rainerii Pieri sui fratris carnalis …, ex parte altera, sponte et ex certa scientia … cassaverunt, revocaverunt et annulaverunt quoddam instrumentum donationis causa mortis factum per dictam Dominam Leonardam dictis operariis dicto operario nomine, rogatum manu mei notarii infrascripti sub die X mensis iunii 1484,1 videlicet de infrascriptis rebus, bonis et iuribus dicte Domine in dicto instrumento nominatis … // … .
77. Notarile Antecosimiano 16738, cc. 137v-138r 15 maggio 1485 Sindicatus fratrum Sancti Francisci Suprascriptis anno [MCCCCLXXXV], indictione [tertia], pontificatu [Innocentii divina providentia Pape octavi] et die XVº maii. Actum in Burgo, in loco et Conventu fratrum minorum Sancti Francisci de Burgo, in refectorio dicti conventus, presentibus Dompno Berardio Quinti de Aretio et Benedicto Thome […]. Congregati et convocati ad Capitulum infrascripti fratres conventuali loci et conventus supradicti Sancti Francisci de dicto Borgo, sono campanelle more solito, de mandato venerabili et honesti et religiosi Magistri Horlandi Laurentii de Gotie … guardiani dicti conventus et fratrum, … in primis ipse Magister Horlandus, Frater Pascasius Iacobi custos custodie Civitatis Castelli, Magister Lucas Bartolomei de Burgo sacre pagine professor, Frater Chrisoforus Antonelli de Civitate ducati frater dicti conventus, Frater Filippus Benedicti de Perusio vicarius dicti conventus, Frater Rigus Matei de Arfordie de Alamanea frater dicti conventus, Frater Ieronimus Mei Belli de Collelungo frater dicti conventus, Frater Antonius Pieri dal Monte, existentes et esse asserentes ultra duas partes fratrum dicti loci et conventus …, excepto Magistro Luca qui contradixit et dixit nolle consentire in electione sindici, … sponte // et ex certa scientia et omni meliori modo … fecerunt, constituerunt, creaverunt et ordinaverunt … sindicos, procuratores, operarios, iconomos, actores, factores … Iacobum Tome de Ghuelfis ex parte Levantis … et Bernardum Nicolai Petri Mercatis de dicto Burgo et quemlibet eorum in solidum … .
78. Notarile Antecosimiano 16740, n. 164 22 settembre 1492 Compromissum Ser Ugustii et Andree Bernardi Suprascriptis anno [1492], indictione et pontificatu et die vigesima secunda mensis septembris. Actum in dicto Burgo, in residentia Magistrorum Conservatorum dicte terre, presentibus Magistro Luca de Paciolis sacre pagine profexoris (sic) de dicto Burgo Ordini fratrum minorum, Dompno Paulo Nannis An1 Il documento di Leonarda di Piero di Andrea Bencivenni si trova nel Notarile Antecosimiano 16739, nn. 27 e 28.
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tonii de Ghirellis presbitero seculare … de dicto Burgo, testibus ad hec vocatis, habitis et rogatis.
79. Ivi 8 dicembre 1492 Tregua Marci Mariotti et Iacobi Vecchi Dicta die [VIII decembris 1492]. Actum in Burgo, in sala Palatii dicti Comunis de Burgi, presentibus Magistro Luca Bartolomei de Paciolis et Gasparre Francisci de Rigeis, testibus de dicto Burgo ad hec vocatis, habitis et rogatis.
80. Notarile Antecosimiano 16741, n. 18 (cc. 352r-353r) 9 maggio 1463 Testamentum Domine Magdalene [Ser Francisci Christofori] In nomine individue Trinitatis amen. Anno a nativitate Domini nostri Yeshu Christi Millesimo quadringetesimo sexagesimo tertio, indictione XI, tempore pontificatus, in Chisto Patris et Domini, Domini Pii divina providentia Pape secundi, die VIIII maii … // … . Factum et conditum fuit dictum testamentum et ultimam voluntatem per dictam Dominam Magdalenam testatricem predictam et scriptum, lectum et publicatum et mandatum per me Francischum notarium infrascripum. In Burgo Sancti // Sepulcri. In studio domus Domini Petripauli Ser Francisci Christofori legum doctoris, presentibus venerabili et honesto religioso Fratre Zinebro Bartolomei Pacioli Ordinis fratrum minorum Sancti Francisci de Burgo, Fratre Lodovico di Massi de dicto Ordine, Bartolomeo Antonii Gucciarelli, Marcolino Petri de Pichis, Antonio Blaxii del Saxo, Matheo Nardi Benvenuti de dicto Burgo et Magistro Rainaldo Magistri Iohannis de Bononia marischalcho, habitante terre Burgi, testibus ad hec vocatis, habitis et rogatis a dicta testatrice … .
81. Ivi, n. 5 (cc. 38v, 39v, 44r) 6 giugno 1464 Tutela filiorum Paridis Rentii In nomine individue Trinitatis amen. Anno a nativitate Domini nostri Yeshu Christi Millesimo quadringetesimo sexagesimo quarto, indictione XII, tempore pontificatus, in Chisto Patris et Domini, Domini Pii divina providentia Pape secundi, die VI mensis iunii … // c. 39v Inventarium filiorum dicti Paridis … // c. 44r … Ad Librum pilosum B … Pelonius Barbaglie, a c. 17 … .
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82. Ivi, n. 51 (cc. 106v-107v) 11 agosto 1473 Testamentum Salvii Sanctis Iohannini In nomine individue Trinitatis amen. Anno a nativitate Domini nostri Yeshu Christi Millesimo quadringetesimo septuagesimo tertio, indictione sexta, tempore pontificatus Sanctissimi, in Chisto Patris et Domini, Domini Sixti divina providentia Pape quarti et die undecima mensis augusti … //c. 107v … . Factum et conditum fuit dictum testamentum et ultimam voluntatem per dictum Salvem testatorem predictum et scriptum, lectum et publicatum … per me Francischum notarium infrascripum. In Burgo Sancti Sepulcri, in Conventu loci Sancti Francisci de dicto Burgo, in camera inferiori olim Magistri Mathei de dicto Burgo, presentibus Magistro Zinepero Bartolomei de Burgo, sacre pagine profexore et guardiano dicti loci, Fratre Ambrosio et Fratre Luca fratribus dicti Magistri Zinepri, Fratre Pasquasio Iacobi Bartolomei Banoccii, omnibus de Burgo et fratribus dicte Ecclesie, Fratre Christoforo Antonelli de Civitate ducata, Fratre Stefano Marci de Montone vicario conventus dicti loci, Fratre Lodovico Antonii Apoliti de Sicilia et Fratre Petro Ianpauli teotonnico de Alamanea bassa, testibus ad hec vocatis, habitis et ab ipso testatore rogatis … .
83. Ivi, n. 51 (cc. 125v-127r) 6 agosto 1476 Testamentum Nicolai Iohannis Domini Buosi In nomine individue Trinitatis amen. Anno a nativitate Domini nostri Yeshu Christi Millesimo quadringetesimo septuagesimo sexto, indictione nona, tempore pontificatus Sanctissimi, in Chisto Patris et Domini, Domini Sixti divina providentia Pape quarti et die sexta mensis augusti … //c. 127r … . Factum et conditum fuit dictum testamentum et ultimam voluntatem per dictum Nicolaum testatorem predictum et scriptum, lectum et publicatum … per me Francischum notarium infrascripum. In Burgo Sancti Sepulcri, in Conventu loci fratrum Sancti Francisci de dicto Burgo, in cella Magistri Iohannis Pauli Barofelli fratris dicti Ordinis, presentibus Magistro Iohanne Pauli predicto sacre pagine profexore guardiano dicti loci et conventus, Magistro Zinepro Bartolomei sacre theologie magistro, Fratre Christoforo Antonelli de Civitate ducata, Fratre Ambroxio Bartolomei Pacioli de Burgo, Fratre Nicolao Laurentii teotonnico de Alamanea, Dompno Bartolomeo Iacobi Sixti, Fratre Pascasio Iacobi Banoccii de Burgo et Fratre Blaxio de Anglario, testibus ad hec vocatis, habitis et ab ipso testatore rogatis … .
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Rogiti di Ser Ranieri di Battista Boddi 84. Notarile Antecosimiano 3039, (anni 1482-1484), n. 111 20 settembre 1484 In Dei nomine amen. Anno a nativitate eiusdem Millesimo quadringentesimo octuagesimo quarto, indictione secunda, tempore pontificatus Beatissimi, in Christo Patris et Domini, Domini Innocentii Pape octavi, die vero vigesima mensis septembris. Domina Niera filia quondam Petri Veltre de Burgo et uxor olim Iacobi Petri Goracci, soror Tertii Ordinis Sancti Francisci de Burgo predicto, sana Dei gratia, mente et intellectu … ultimum testamentum nuncupativum quod sine scriptis dicitur et eiusdem ultimam voluntatem in hunc modum et formam facere procuravit atque fecit. … . Item iussit et voluit dicta testatrix corpus suum sepelliri in Eccelesia Sancti Francisci de Burgo. Item amore Dei et pro eiusdem anima reliquit iure legati Conventui Sancti Francisci predicti florenos quinquaginta de bonis suis … . // In omnibus autem suis bonis mobilibus et immobilibus … heredem universalem instituit, fecit et esse voluit Ieronimum eius filium legitimum et naturalem … . Et hoc idem fecit dicta testatrix cum presentia, licentia et auctoritate Reverendi Patris sacre pagine Magistri Luce de Burgo Ordinis Sancti Francisci ad presens guardiani dicti Conventus et vice et nomine Fratris Cristofari de Civita ducati2 vigitatoris dicti Tertii Ordinis, ut asseruit idem guardianus propter eiusdem assentiam concedentis dicte testatricis omnem abilitatem et facultatem testandi. Rogans me notarius infrascriptus ut de predictis faceret instrumentum. Actum factum, conditum et profectum fuit dictum testamentum et ultima voluntas per dictam testatricem in claustro Conventus Sancti Francisci prope Capitulum dicti conventus, presentibus Dompno Ieronimo olim Pieri Andree Bencivennis, Magistro Petro olim Benedicti de Franciscis, Iohannes olim [Francisci]3 alias Bigio, Nicolao olim Petri Ser Bencii, Francisco Gori Muciachelli, Iohanne olim Antonii Bartolomei Iacobi Norchie et Bartholomeo Sanctis Bartholomei Mughionis omnes de Burgo, testibus ad hec vocatis, habitis et rogatis … .
85. Ivi, n. 14 19 dicembre 1484 In Dei nomine amen. Anno a nativitate eiusdem Millesimo quadringentesimo octuagesimo quarto, indictione secunda, tempore pontificatus Beatissimi, in Christo Patris et Domini, Domini Innocentii Pape octavi, die vero decima nona mensis decembris. 1 Una copia del documento è nel successivo inserto 12. 2 Era Frate Cristoforo Antonelli: cfr. i documenti 70, 77, 82 e 83. 3 Cfr. l’inserto 12.
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Domina Checha filia olim Vieri Andree Giontini de Burgo et uxor primo loco olim Nerii [ ] del Darcho, secundo loco Iacobi Mathei Zanche de Burgho predicto et ad presens Iohannis Mutii Castellutii, tertio loco, pinzochera Tertii Ordinis Sancti Francisci, habita licentia ad omnia infrascripta et consensu Reverendi patris sacre pagine Magistri Luce de Burgo guardiani Conventus Sancti Francisci predicti, et ut asseruit vice vigitatoris, sana Dei gratia, mente et intellectu … suum testamentum quod dicitur sine scriptis in hunc modum et formam facere procuravit atque fecit … . Factum, conditum, confectum fuit dictum testamentum et ultimas voluntates per dictam Dominam Checham testatricem predictam in domo ipsius Iohannis Mutii, in camera dicte domus, presentibus Fratre Filippo [ ] de Perusio fratre Tertii Ordinis Sancti Francisci et Iohanne Laurenctio Iacobi Tubiane, Gabrielle Cassiani, Bernardino Antonii, Fratre Benedicto Francisci Magistri Bernardini, Ambrosio Ieronimi Mirabutii et Magistro Iohanne Francisci de Ugubbio, testibus.
Rogiti di Ser Ranieri di Pietropaolo Lucarini 86. Notarile Antecosimiano 12223, c. 25v 16 febbraio 1488 Suprascriptis anno [Millesimo quatrocentesimo ottuagesimo ottavo], indictione [VI] et pontificatu [Sanctissimi Domini Innocentii Pape ottavi], die vero decima sexta februarii, actum in dicto Burgo, in domibus Societatis Laudum Sancte Marie dela Nocte, presentibus Gurcianello Iuliani Antonii et Conte olim Folci de Boffolcis de dicto Burgo, testibus etc. Antonius Iacobi de Carsuga prior dicte Sotietatis Laudum Sancte Marie dela Nocte, Totus Nerii Rozi superprior dicte Sotietatis et Gianus Pieri Ghiselli, Gilius Valoris, Guidus Gori Mei de Cipollis, Pierus Pauli Signoris et Stefanus Angeli olim de Citerna et nunc de dicto Burgo, homines omnes dicte sotietatis et nomine dicte sotietatis, fuerunt confessi e contenti habuisse et recepisse … et penes eos depossitatos florenos quadraginta quatuor florenos largos et de auro in auro et ducatos sex venetos aureos et de auro in auro a Magistro Luca Bartolomei Pacioli de dicto Burgo Ordinis fratrum minorum conventualium. Et ita in presentia mei notarii infrascripti et testium … .
87. Ibidem 16 febbraio 1488 Mandatum Magistri Luce in Priores Laudum Dicta die, loco et testibus suprascriptis. Magister Lucas Bartolomei Pacioli Ordinis fratrum minorum conventualium Sancti Francisci, omni meliori modo etc., fecit, constituit, creavit et ordinavit in eius veros et legiptimos procuratores, actores, factores, negotiatores [priores] … presentes et acceptantes.
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88. Notarile Antecosimiano 12226, c. 63v 18 aprile 1493 Mandatum fratrum in Magistrum Lucam [In nomine Domini amen. Anno Domini nostri Yeshu Christi Millesimo quatrocentesimo nonagesimo tertio, indictione undecima, tempore pontificatus Sanctissimi, in Christo Patris et Domini, Domini Alexandri Pape sexti]. Dicta die [decima ottava mensis aprilis]. Actum in Burgo predicto Sancti Sepulcri, in Monasterio seu Conventu Ecclesie Sancti Francisci de dicto Burgo, presentibus Andrea Pauli de Monte, Cesare Simonis Blasii dal Saxo, ambobus de dicto Burgo, testibus. Reverendi patres et honesti religiosi viri videlicet Frater Rainerius Petri Andree et Frater Ieronimus eiusdem frater et filius olim dicti Petri, Frater Cherubinus Mattei Palamedis, Frater Petrus Francisci Sanctis Perlani, fratres dicti Conventus Sancti Francisci, omnes sacerdotes, et Frater Iohannes Sentis Christofori omnes de dicto Burgo et fratres dicti conventus, sponte et ex et omni meliori modo etc., … fecerunt, constituerunt, creaverunt et ordinaverunt eorum et cuiuslibet ipsorum procuratorem, actorem, factorem, negotiatorem … et certum numptium spetialem Reverendum et sacre pagine professorem Magistrum Lucam Bartolomei de dicto Burgo … fratrem dicti conventus, presentem et acceptantem, ad comparendum coram eorum Generali et protectore et Ministro quocunque cuiuscunque provincie Sancti Francisci et quocunque Capitulo generali et provintiali et Summo Pontifice et quocunque domino et dominio temporali et spirituali …, ad agendum, causandum idem … ad petendum guardianum, custodem et ministros et offitiales quoscunque, prout moris est religionis, unum vel plures mixarios generales … et ad videndum … rationem administrationis dicti Conventus Sancti Francisci de dicto Burgo et omnium rerum et bonorum dicti conventus … .
Rogito di Ser Bartolomeo di Pietropaolo Lucarini 89. Notarile Antecosimiano 12213. c. 419v 21 ottobre 1490 Concessio licentie Domine Margarite Suprascriptis anno [1490], indictione [octava], pontificatu [Domini Innocentii divina providentia Pape octavi], et dicti mensis octobris die vero vigesimo primo. Actum in Conventu fratrum Sancti Francisci de Burgo, presentibus Iacopo Bartolomei Banoccii et Baldantonio Benedicti Baiardi omnibus de Burgo, testibus etc. Venerabilis sacre theologie Magister Lucas [ ] Barbaglie,1 guardianus fratrum et Conventus Sancti Francisci de Burgo, sponte etc., dedit, contulit et con1 Sappiamo che ‘Barbaglia’ era il soprannome di uno zio di Maestro Luca, Antonio. Da quanto si legge nel documento sembra che anche il padre o il nonno di Luca avessero lo stesso nomignolo.
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cessit licentiam active et passive Domine Margharite olim Iohannis Ambrosii Rondoli, pinzochere tertii Ordinis, intercessendi in iudicio per se et per procuratorem et exigendi et conveniendi cum quocumque pro loco et in omni et quolibet curia … .
Rogito di Ser Bartolomeo di Manfredo Manfredini 90. Notarile Antecosimiano 12724, c.n.n. 5 luglio 1489 Depositum Magistri Luce Pacioli [MCCCCLXXXVIIII, indictione VII, tempore Domini Innocentii Pape VIII]. Die quinta iulii. Actum in Burgo, in domo Sotietatis Laudum, presentibus Antonio Iacopi de Carsuge et Batista Valentini Antonii Ghuidonis, testibus etc. Guerra Pauli de Monte et Iulianus Pieri Ghiselli, priores Sotietatis Laudum, confessi fuerunt habuisse in depositum et ex causa depositi a Magistro Luca Bartolomei, sacre theologie magistro, dante et deponente, in pecunia numerata florenos XXX auri de Camera Papale, de quibus voluit quod dicti priores post mortem dicti Magistri Luce fieri faciant paramenta et callices pro Ecclesia Sancti Francisci de dicto Burgo et seu alias res quibus dictis prioribus videbitur fore utile et necessarium dicte Ecclesie secundum formam et tenorem alterius instrumenti rogati manu Ser Ranieri de Luccarinis, rogatus sub die XVI februarii 1488 … .
Rogito di Ser Iacopo di Tommaso Guelfi 91. Notarile Antecosimiano 10665, c. 57v 27 marzo 1490 In Dei nomine amen. Anno a nativitate Domini nostri Yeshu Christi Millesimo quadringentesimo nonagesimo, indictione octava, die vero vigesima septima mensis martii, tempore Innocentii divina providenta Pape octavi. Actum in Burgo, in domo mei notarii infrascripti sita in Contrata Sancti Nicolai iuxta suos confines, presentibus Francisco Pierantonii Francisci Gavardi et Mario Antonii Rigi Gionte, testibus de dicto Burgo etc. Massus quondam Nerii Iohachini Miti de Ricciarellis de Farneto de Burgo Sancti Sepulcri, sponte etc. dedit, vendidit, tradidit et concessit Petro Ulivi Simonis1 Pacioli de Burgo … unum petium terre silvate site in districtu Burgi predicti in Contrata Bocca de Cauli sive e’ Giardini … .2
1 Prima di «Simonis» si legge «Savore» cancellato, ossia parte della parola Savoretti, dal momento che Simone era soprannominato Savoretto. 2 L’8 luglio 1490 lo stesso Pietro di Ulivo di Simone Pacioli vendette un pezzo di terra situato nella Contrada di Bocca d’Afra: ASF, Notarile Antecosimiano 10665, c. 31r.
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Rogiti di Ser Cristoforo di Piero Sisti 92. Notarile Antecosimiano 19259, c. 9v 28 febbraio 1483 Pro Francisco Thome de Ugutiis Supradictis anno [Millesimo quadricentesimo octuagesimo tertio], indictione [prima] et pontificatu [Sixti divina providentia Pape quarti], die vero ultima februarii. Actum in Burgo Sancti Sepulcri predicto, in Conventu Sancti Francisci minorum, in camera habitatione ad presens infrascripti prioris ministri, et presentibus Dompno Bartolomeo Iacobi Sixti et Iohanne quondam Francisci Pauli Magistri, testibus de dicto Burgo, ad omnia infrascripta vocatis, habitis et rogatis etc. Pateat … qualiter Reverendus in Christo Pater et sacre pagine Magister Bartholomeus [ ] de Perusio Ordinis minorum Sancti Francisci et Minister Provincie Sancti Francisci … nec non infrascripti fratres convocati ad Capitulum … videlicet Frater Ambrosius Bartolomei Pacioli de Burgo, Frater Francischus [ ] de Fracta, Frater Francischus Christofori de Leccio, Frater Francischus Christofori de Viterbio, Frater Simon Michaelis de Prato Veteris, Frater Federigus Francisci de Plagentia, Fater Iacobus Nicholai theutonicus, Frater Lodovichus Iohannis de Novale … fuerunt confessi et contenti … habuisse et recepisse a Francisco Thomassi de Ugutiis … florenos triginta duos largos … .
93. Notarile Antecosimiano 19266, c. 43r 23 giugno 1490 Supradictis anno [Millesimo quadricentesimo nonagesimo], indictione [octava] et pontificatu [Innocentii divina providentia Pape octavi], die vero vigesima tertia mensis iunii. Actum in Burgo predicto, in claustro Abbatie Sancti Iohannis Evangeliste, presentibus Dompno Nicholao Simonis Pacioli monacho dicte Abbatie, et Sancte quondam Angeli Aretini, testibus de dicto Burgo etc. … .
94. Notarile Antecosimiano 19268, c. 56r 29 maggio 1492 Pro Conventu Sancti Francisci de Burgo Supradictis anno [Millesimo quadricentesimo nonagesimo secundo], indictione [decima] et pontificatu [Innocentii divina providentia Pape octavi], die vero vigesima nona maii. Actum in Burgo predicto, in sacrestia loci et Conventus Sancti Francisci de Burgo, presentibus Dompno Bartolomei Iacopi Sixti et Dompno Piergentile Michelangeli Antonii Mele presbiteribus secularibus dicte terre, testibus de dicto Burgo etc. Convocatis et ad Capitulum congregati infrascripi fratres ad sonum campanelle more solito, et de mandato Reverendissimi in Cristo Prioris Magistri Francisci de Monte Falchone, Ministri dignissimi Provincie Sancti Francisci, quorum
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fratrum nomina sunt infrascripta, videlicet: Frater Marioctus alterius quondam Mariocti de Civitate Castelli guardianus, Magister Luchas Bartolomei de Burgo, Frater Pasquasius Iacobi de Burgo, Frater Iheronimus Pieri de Burgo, Frater Robertus Mathei de Burgo, Frater Silvester Andree Longari de Burgo, Frater Paulus de Colle Scaciano, Frater Franciscus Rosati de Castello, Frater Franciscus Mathei de Ugubio, omnibus de familia dicti conventus et que sunt duas tertie partes et ultra omnium fratrum dicti conventus … revocaverunt et cassaverunt Nicholaum Iohannis Ciuti de dicto Burgo ab offitio administratione et exercitio operarii dicti conventus … et subcessive fecerunt et constituerunt, creaverunt et ordinaverunt in locum dicti Nicholai et una cum Benedicto Nicolai Petri Blasii, olim collega dicti Nicolai, providum egregium virum Ser Iacobum Thome de Guelfis de dicto Burgo, licet absentem … .
95. Notarile Antecosimiano 19269, c. 59r 22 aprile 1493 Conventus Sancti Francisci Suprascriptis anno [Millesimo quatricentesimo nonagesimo tertio], indictione [undecima] et pontificatu [Alexandri divina providentia Pape sexti], die vero vigesima secunda mensis aprilis. Actum in Burgo predicto, in Abbatia Burgi et presentibus Sancte Iohannis Cungi et Iohanne de Castelnuovo, testibus de dicto Burgo etc. Constituti coram Reverendo in Cristo Priore et Domino Simone de Gratianis de Burgo, abbate dignissimo Monasterii Sancti Iohannis Evangeliste ordinis Camaldulensis, Frater Rubertus quondam Mathei [ ] de Burgo, guardianus loci et Conventus Sancti Francisci de Burgo, et Reverendus sacre pagine professor Magister Luchas [ ] de dicto Burgo et de dicto ordine, exibuerunt, produxerunt et presentaverunt dicto Domino abbati [ ].1
96. Notarile Antecosimiano 19272, c. 62v 8 settembre 1496 Protestatio facta per Dominum Iohampierum predictum2 [In nomine individue Trinitatis amen. Anno a nativitate Domini, Domini nostri Yehu Christi Millesimo quatricentesimo nonagesimo sexto, indictione quarta decima, tempore pontificatu Alexandri divina providentia Pape sexti.] Supradicta die octava mensis septembris. Actum in Burgo predicto in Palatio Comunis residentie Domini Capitanei, presentibus Magistro Lucha Ordinis minorum Sancti Francisci et Christoforo Mei Benutii, testibus de Burgo etc. [ ].3 1 Del documento rimangono solo le prime nove righe; il resto della carta 59r e la 59v sono bianchi. 2 Il Giovanpiero citato nel documento era Don Giovanpiero di Don Niccolò dei Boffolini da Città di Castello e compare in un precedente rogito sempre dell’8 settembre e in uno successivo del 20 settembre relativo alla Chiesa di San Giovanni d’Afra: Notarile Antecosimiano 19272, cc. 62r e 63r. 3 Il resto della carta è bianco.
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97. Notarile Antecosimiano 19273, c. 69v 6 agosto 1497 Professio Francisci Iacopini Dictis anno [Millesimo quatricentesimo nonagesimo septimo], indictione [quarta decima] et pontificatu [Domini Alexandri divina providentia Pape sexti], die vero sexta augusti. Actum in Burgo predicto, in sacrestia Ecclesie Sancti Francisci, presentibus Iohanne Bartolomei Fonis et Antonio Michelangeli Merchati, testibus de Burgo. Franciscus Iacopini Ser Francisci de Burgo, costitutus coram Reverendo in Christo Patre Magistro Lucha de Burgo, guardiano dicti Conventus, genuflexsus et minibus cancellatis humiliter et devote promixit dicto Magistro Luce … observare regulam dicti Ordinis Beati Francisci toto tempore sue vite etc. … .
98. Ivi, c. 94r 4 settembre 1497 Professio plurium pinzocherarum tertii Ordinis Beati Francisci Supradictis anno [Millesimo quatricentesimo nonagesimo septimo], indictione [quarta decima] et pontificatu [Domini Alexandri divina providentia Pape sexti], die vero quarta mensis septembris. Actum in Burgo Sancti Sepulchri, in Ecclesia Sancti Francisci, presentibus Benedicto Thomassi de Civitate Castelli vocato il Garba et Matheo Nerii Rozi, testibus de Burgo etc. Constitute coram venerabili religioso Magistro Lucha de Burgho, sacre pagine professore et guardiano Conventus Sancti Francisci de Burgo et professo Ordinis minorum Beati Francisci, infrascripte mulieres et sorores tertii Ordinis predicti … videlicet Soror Checha Antonii de Monte Herculeo, Soror Piera Bartolomei Antonii Chuchi, Soror Nicholosa Nicholai Besis, Soror Gentilis Nerii Antonii Bartolini, Soror Thadea Guidonis Bartolomei Mughionis et Soror Maria Magistri Iohannis teutonici, omnes de Burgo predicto … genibus flexis et manibus cancellatis in manibus dicti Reverendi Patris Magistri Luce et guardiani predicti, sponte professionem fecerunt et promixerunt dicto Magistro Luce, guardiano predicto, predicta regula tertii Ordinis … obedientiam ac etiam servire regulam sororium dicti tertii Ordinis toto tempore earum vite … .
99. Ivi, c. 97r 10 ottobre 1497 Pro Conventu Sancti Francisci [Dictis anno Millesimo quatricentesimo nonagesimo septimo, indictione quarta decima et pontificatu Domini Alexandri divina providentia Pape sexti]. Supradicta die decima octobris. Actum in Burgo predicto, in Ecclesia Sancti Francisci, presentibus Antonio Nicholai de Guelfis et Pierfrancesco Leonardi de Glaronibus, testibus de dicto Burgo.
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Augustinus quondam Blasii Augustini Ghiselli … fuit confessus esse verum et legiptimum debitorem fratrum et Conventus et Opere Sancti Francisci de Burgo et Reverendi Patris et sacre pagine professoris Magistri Luce, guardiani dicti conventus, et Luce Marcholini de Pichis, unius ex operariis dicti conventus, presentibus, stipulantibus et legiptime recipientibus pro dicto conventu et opera, in quantitate librarum viginti unius florenorum parvorum, quam quantitatem dictus Augustinus promisit dictis guardiano et operario, presentibus e stipulantibus ut supra, solvere et satisfacere … .
100. Notarile Antecosimiano 19275, c. 85r 7 ottobre 1499 Protestatio pro guardiano Sancti Francisci Supradictis anno [Millesimo quatricentesimo nonagesimo nono], indictione [secunda] et pontificatu [Alexandri divina providentia Pape sexti], die vero septima octobris. Actum in Burgo predicto, in claustro Conventus Sancti Francisci … presentibus Paulo Francisci Pauli Casutii et Stefano Nicolai Casutii testibus de dicto Burgo etc. Venerabilis in Chisto Pater Frater Marinus quondam Bartolomei de Noceria Ordinis minorum Beati Francisci et guardianus Conventus Sancti Francisci de Burgo. Cum sit assertione dicti guardiani quod diebus proxime elapsis Reverendus in Christo Pater et sacre pagine professor Magister Lucas Bartolomei Pacioli de dicto Burgo, ordinis Beati Francisci predicti, dicto guardiano requisiverit … computum et calculum rationum quas facere intendebat et debebat cum dicto guardiano et operariis dicti conventus, et cum assertione dicti guardiani ipse guardianus minime fecerit aut facere potuerit tum propter eius infirmitate … et volens et intendens dictus guardianus dictas rationes revidere et calculare, cum debita reverentia eidem Magistro Luca presenti etc., protestatus fuit se et paratus dictas rationes revidere et calculare … .
101. Notarile Antecosimiano 19276, c. 86r 30 giugno 1500 Treugua filiorum Contis de Bofulcis [Supradictis anno Millesimo quingentesimo, indictione tertia et pontificatu Alexandri divina providentia Pape sexti]. Dicta die [vero ultima mensis iunii] et loco [Actum in Burgo predicto, in domo mei notarii infrascripti], presentibus Baldantonio Benedicti Baiardi et Masio Luce Chechi Ventii, testibus de dicto Burgo etc. Alexander quondam Contis Folci de Bofulcis de dicto Burgo, suo proprio nomine et vice et nomine suorum fratrum, filiorum, nepotium, consortium, complicium et sequatium … fecit treuguam … cum Pierfrancisco Iuliani Ciaci … .
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102. Notarile Antecosimiano 19278, c. 59v 24 maggio 1502 Supradictis anno [Millesimo quingentesimo secundo], indictione [quarta] et pontificatu [Alexandri divina providentia Pape sexti], die vero vigesima quarta maii. Actum in Burgo predicto, in Palatio residentie Domini Capitanei, presentibus Paulo Nerii de Pichis et Ser Nicholao Ser Bartolomei de Fidelibus, testibus de dicto Burgo. Constituti personaliter coram Magnifico et generoso viro Antonio [ ] del Vigna … Capitano et Commissario terre Burgi Sancti Sepulcri … Antonius quondam Iohannis Baptiste Laurentii de Guelfis et Antonius quondam Massi Antonii Barbaglie, testibus suprascriptis et me notario infrascripto, sponte et amore Dei fecerunt ad invicem et unus alteri et alterus uno pacem et concordiam … .
Rogiti di Ser Niccolò di Bartolomeo Fedeli 103. Notarile Antecosimiano 7152, II, c. 31r 21 febbraio 1488 Procura Fratris Ambroxii Dictis anno [a nativitate Domini MCCCCLXXXVIII], indictione [VI] et pontificatu [Innocentii Pape octavi], die vero XXI mensis februarii. Actum in Burgo predicto et in Sala Magna residentie Dominorum Conservatorum, presentibus Antonio Iocobo Pauli de Carfuga et Nicolao Hieronimi Mirabucii, testibus etc. Frater Ambroxius quondam Bartolomei Pacioli Ordinis fratrum minorum Sancti Francisci, sponte etc., constituit, creavit et ordinavit eius et legiptimum procuratorem, actorem, factorem etc. Ser Ranerum Petripauli de Lucherinis de dicto Burgo licet absentem, sed tamquam presentem etc. … .
104. Notarile Antecosimiano 7153, c. 263r 23 giugno 1491 Dictis anno [Millesimo quadringentesimo nonagesimo primo], indictione [VIIII] et pontificatu [Innocentii divina providentia Pape octavii], die vero XXIII dicti mensis iunii. Actum in dicto Burgo, in claustro loci sive Conventus fratrum tertii Ordinis Sancti Francisci de dicto Burgo, presentibus Eximio legum Doctore Domino Francisco Bartolomei de Ugonibus et Iacobo Martellis, Cristoforo Mathei de Pichis et Pierozo Benis olim de Florentia et nunc de dicto Burgo et Magistro Luca Bartolomei Pacioli Ordinis et conventus eiusdem, testibus de dicto Burgo vocatis, habitis et rogatis.1
1 Tale rogito è anche nel Notarile Antecosimiano 7159 (anni 1491-1498), n. 5.
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105. Ivi, c. 280v 30 settembre 1491 Sindicatus fratrum minorum Sancti Francisci de Burgo Dictis anno [Millesimo quadringentesimo nonagesimo primo], indictione [VIIII] et pontificatu [Innocentii divina providentia Pape octavii], die vero XXX dicti mensis septembris. Actum in dicto Burgo, in loco sive conventu fratrum minorum Ordinis Sancti Francisci, in claustro dicti conventus, presentibus Iohanne Nicolai Checchi olim de Ugubio et nunc de dicto Burgo et Benedicto Filippi Angeli Duccii de Burgo et Magistro Lazero Sepulcri olim de Montedoleo et nunc de dicto Burgo, testibus vocatis, habitis etc. Congregati et choadunati omnes suprascripti fratres Ordinis minorum Sancti Francisci ad Capitulum in loco suprascripto, ad sonum campanelle, … videlicet Reverendus Minister Frater Franciscus [de Montefalcho] predictus, Magister Lucas Bartolomei de Burgo, Frater Mariottus de Civitate Castelli guardianus dicti loci et conventus, Frater Robertus Mathei de Burgo, Frater Hieronimus Pieri de Burgo, Frater Silvester Andree Longari de Burgo, Frater Paulus de Co’Scacianus, Frater Cherubinus Mathei de Burgo, omnes fratres conventuales dicti conventus, … fecerunt, constituerunt, creaverunt et ordinaverunt eorum et dicti conventus et loci sindicum et procuratorem, actorem, factorem … Fratrem Rubertum Mathei de dicto Burgo, fratrem dicti conventus … .
106. Notarile Antecosimiano 7159, c. 332v 27 maggio 1493 Quietatio Priorum Laudum Dictis anno [Millesimo quadringentesimo nonagesimo tertio], indictione [XI] et presente die vero XXVII maii, in dicto Burgo et loco sive Conventu Sancti Francisci de dicto Burgo, in camera de puteo suprascripti Magistri Luce, posita in dicto convenctu et iuxta viridarium et alias fines. Presentibus Ambroxio Andree Pauli de Monte et Masso Nerii et Iohachino Miti et Fratre Hieronimo Pieri Andree et Guidone Gori de Cipollis, testibus de Burgo vocatis etc. Reverendus in Christo Pater et sacre pagine Magister Luchas quondam Bartolomei Pacioli Ordinis conventualium Sancti Francisci de dicto Burgo, sponte et ex certa scientia per se et eius heredes et subcessores, fuit confessus et contentus … et sibi datum, traditum, numeratum, redditum et restituum fuisse et esse a Bartolomeo quondam Valentini Grandelle et a Egidio quondam Stefani Valoris de dicto Burgo, prioribus Societatis Laudum Sancte Marie della Nocte de dicto Burgo et usque in presentem diem computatis … quantitatem librarum quingentarum quinquaginta, soldorum septem, denariorum sex … . Et hoc pro parte et summa sive summis contentis et descriptis in infrascriptis manibus olim Ser Francisci de Pichis et Ser Ranieri de Lucherini et a prioribus dicte domus, datis in custodiam sive depositum dictis prioribus per ipsum Magi-
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strum Lucham. A qua quantitate librarum quingentarum quinquaginta … dictus Magister Luchas absolvit et liberavit dictos priores presentes … .
107. Notarile Antecosimiano 7156, c. 179r 29 giugno 1500 Compromissum inter Benvenutum Antonii et filios Iohannis Nomis Dictis anno [Millesimo quingentesimo], indictione [tertia] et pontificatu [Alexandri divina providentia Pape sexti], die vero XXVIIII dicti mensis iunii. Actum in dicta terra Burgi, in Palatio comunis residentie Domini Capitanei, in camera, presentibus Magistro Luca Bartolomei Pacioli et Ser Cristoforo Pieri Sixti, testibus de Burgo, vocatis, habitis et rogatis.
108. Ivi, c. 179v 30 giugno 1500 Transactio inter priores Fraternitatis Sacti Bartolomei et Laudum Sancte Marie della Notte et Leonardum Pieri Cristofori Reguccii Dictis anno [Millesimo quingentesimo], indictione [tertia] et pontificatu [Alexandri divina providentia Pape sexti], die vero XXX dicti mensis iunii. Actum in dicta terra Burgi, in Palatio comunis residentie Domini Capitanei, in camera ipsius, presentibus Magistro Luca Bartolomei de Paciolis et Ser Francisco Stefani Petri de Socio, et Ser Nicolao Clementis Paulozii de Puppio, testibus vocatis.
109. Ivi, c. 181r 7 luglio 1500 Compromissum inter filios Angeli Andree Tani et Dominam Angelam uxorem Astorri Antonii Dictis anno [Millesimo quingentesimo], indictione [tertia] et pontificatu [Alexandri divina providentia Pape sexti], die vero VII iulii. Actum in dicta terra Burgi, in Palatio comunis residentie Domini Capitanei, in camera ipsius, presentibus Magistro Luca Bartolomei de Burgo et Ser Francisco Stefani Petri de Socio, testibus vocatis.
110. Ivi, c. 183r 10 luglio 1500 Acceptatio Francisci Petri Veltre Dictis anno [Millesimo quingentesimo], indictione [tertia] et pontificatu [Alexandri divina providentia Pape sexti], die vero X iulii. Actum in dicta terra Burgi, in Palatio comunis residentie Domini Capitanei, in camera sue residentie, presentibus Magistro Lucha Bartolomei de Paciolis ordinis minorum, Dompno Antonii Angeli Pauli Tei et Peregrino Benedicti Cere, testibus de Burgo vocatis, habitis et rogatis.
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Rogito di Ser Piero di Antonio Da Vinci 111. Notarile Antecosimiano 16838, c. 448r 25 novembre 1502 Procura Item postea dictis anno [1502], indictione [VI] et die XXV novembris. Actum Florentie in Populo Sancti Stefani Abbatie florentine, presentibus testibus Ser Iohanne Ser Francisci Lapucci de Puppio et Ser Iohangualberto Ser Antonii Salomonis, notariis. Venerabilis religiosus et sacre theologie professor Magister Lucas Bartholomei de Burgo Sancti Sepulcri Ordinis minorum, nunc existens et moram trahens in Conventu Sancte Crucis de Florentia dicti Ordinis minorum, omni modo etc., fecit et constituit suos veros et legiptimos procuratores etc. prudentes viros Iohannem Francischum Laurentii de Chappucis de Burgo Sancti Sepulcri et Laurentium eius filium et Vicum Antonii Longhari de dicto loco, licet absentes sed tamquam presentes etc. … .
Rogito di Ser Angelo di Bartolomeo Fedeli 112. Notarile 6856, (anno 1503), n. 26 7 ottobre 1503 Dictis anno [Millesimo quingentesimo tertio], indictione [sexta], pontificatu [Alexandri divina providentia Pape sexti], die vero septima mensis ottobris. Actum in residentia Magistrorum Conservatorum, in sala superiori dicte residentie, presentibus Pierfrancesco Iuliani Ciaci vexillifero et Francisco Mini de Guelfis et Angelo Marci et Ambrogio Mirabucci conservatoribus, testibus etc. Giovanfrancesco Guidonis Baldinetti de Burgo Sancti Sepulcri, ex una, et Magister Luchas Ordinis minorum Sancti Francisci et Antonius Massi Barbaglie de dicto Burgo, ex altera, promiserunt etc. invicem non offendere nec offendi facere unus alterum … et ad penam quinquaginta florenorum … .
Rogiti di Ser Guasparri di Francesco Righi 113. Notarile Antecosimiano 17896, c.n.n. 20 novembre 1497 Pax inter Marinum Zanche et Iohannem de Mazectis de Montanea Dictis anno [1497], indictione [15], pontificatu [Alexandri divina providentia Pape sexti], die vero 20 mensis novembris. Actum in Burgo, in domo solite habitationis Marini Antonii Zanche de Pocaria, sita in dicto Burgo, in Agio seu Via Sancti Francisci, iuxta domum Iohannis Corgnoli et domum Luce Zanche et alios fines etc., presentibus Angelo Blaxii Ciucole et Toto Nerrozzi et Iohan-
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ne Corgnoli, Faelle Vestri de Carciano et Antonio Massi Barbaglie, testibus de dicto Burgo ad hec vocatis, habitis et rogatis … .
114. Notarile Antecosimiano 17897, cc. 265v-266r 16 febbraio 1503 Die 16 februarii 1503. Actum in domo Societatis Laudum Sancte Marie de Burgo, presentibus Ambrosio Andree de Monte et Bartolomeo Sancti Menci, testibus de dicto Burgo. Reverendus Pater sacre teologie professor Magister Lucas Bartolomei Paccioli de Burgo, Ordinis Sancti Francisci, sponte etc., fecit, constituit et ordinavit etc. veros et legiptimos procuratores, actores et factores … providos viros Laurentium Antonii Fideli et Iacobum Pauli de Coldarco, priores Societatis Laudum Sancte Marie, presentes et acceptantes … // … .
115. Ivi, c. 266v 16 febbraio 1503 Al nome di Dio amen, a dì 16 di febraio 1503. Sia noto e manifesto a qualunche potrà legere questa presente scripta comme oggi questo dì sopradecto Lorentio d’Antonio Fedeli et Iacopo di Paulo da Coldarco, priori dele Laudi di Santa Maria dela Nocte dal Borgo, hanno in decto nome recevuto in deposito et per cagione di deposito dal Reverendo Padre maestro in sacra teologia Maestro Luca di Bartolomeo Paccioli dela terra del Borgo, del’Ordino di San Francesco et frati minori, deponente in pecunia numerata, fiorini cento trenta d’oro in oro larghi. I quali i decti priori hanno in presentia di me notario et decti testi promisso in decto deposito tenerli et restituir[l]i a llui o suoi mandati ad petitione et voluntà sua, et così apare al libro di decti priori, a c. 170.
116. Ivi, c. 267r 16 febbraio 1503 Dictis die, loco et presentibus. Reverendus Magister Lucas Bartolomei Paccioli, sponte etc., constituit eius procuratores etc. Dominum Rosellum Francisci absentem, tamquam presentem, et Fratrem Christoforum Ambrosii de Monte … .
117. Ivi, cc. 267v-268r 17 febbraio 1503 Die 17 februarii 1503. Actum in Burgo, in domo Societatis Laudum, presentibus Pierfrancesco Iuliani Ciaci et Victorio Iuliani Petri Blasii et Ambrosio Andree de Monte, testibus. Ludovicus Antonii Pieri [L]ungari, sponte et per sé et eius heredibus et subcessoribus, fuit confessus se verum debitorem esse Reverendi magistri sacre
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teologie Magistri Luce Bartolomei Paccioli Ordinis Sancti Francisci … in quantitatem librarum 203 … quam promisit et convenit dare et solvere cum efectu ad petitionem et voluntatem dicti Magistri Luce … // … .
118. Ivi, c. 268r 17 febbraio 1503 Dictis die, loco et presentibus. Bartolomeo Sancti Menci, sponte etc., fuit confessus se debitorem esse in quantitatem £. 25 Magistri Luce Bartolomei Pacciolo de Burgo, cum promissionibus factis ipso Magistro Luce pro Opera seu Conventu Sancti Francisci … quam quantitatem £. 25 promisit et convenit dictus Bartolomeus dare et solvere dicto Magistro Luca ad eius petitionem et voluntatem … .
119. Ivi, cc. 268r-268v 17 febbraio 1503 Dictis die, loco. Reverendi Patres Frater Pasquasius Iacopi et Frater Pace Bernardini de Monte … et Frater Christoforus Ambrosii de Monte et spectabiles viri Pierfranciscus Iuliani Ciaci et Vectorius Iuliani Petri operarii Ecclesie et Conventus dicti Sancti Francisci … fuerunt confessi habuisse et recepisse a Bartolomeo Sancti Menci quantitatem florenorum undicim … habitis partim in pecuniis et partim promissis Magistro Luca, prout aparet … manu mei … // … . Presentibus Vico Antonii Pieri Ungari et Ambrosio Andree de Montis, testibus ad hec vocatis, habitis et rogatis.
120. Ivi, cc. 301r-302r 27 luglio 1503 Die 27 iulii 1503. Actum in sacrestia Sancti Francisci de Burgo, presentibus Dompno Ambrosio Iohannis Martini Menci et Checho Iohannis Contenti et Tosano Gualdi de Rasina et Antonio … famulo … //. Magister Lucas Bartolomei Paccioli, Frater Pace Bernardini de Monte guardianus et Frater Pascasius Iacobi Banocci, Frater Christoforus Ambrosii de Monte vicario, Frater Petrus Francisci Perlani et Frater Franciscus Luce de Anglario, Frater Bernardinus Lazari Caldere, omnes fratres Conventus Sancti Francisci de Burgo, Frater Bernardinus de Rausio, capitanus monasterii, Frater Antonius Francisci Baldi Pucci, omnes congregati ad sonum campanelle, … et Petrus Francisci Iuliani Ciaci et Vectorius Iuliani operarii et procuratores dicti conventus … // … .1
1 Il Capitolo si riunì per discutere in merito all’eredità di Barnabeo di Giovanni Parlanti da Città di Castello.
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121. Ivi, c. 344r 10 ottobre 1503 Die 10 octobris 1503. Actum in domo Laudum, presentibus Checho Salvi Nomis et Masso Nerii Manelli. Reverendus Magister Lucas Paccioli Ordinis Sancti Francisci, sponte etc., fecit suum procuratorem etc. Fratrem Cristoforum Ambrosii de Monte, presentem et acceptantem, ad exigendum in Curia Burgi et in quacunque alia Curia … et tam in Curia seculari quam eclesiastice … .
122. Notarile Antecosimiano 17899, n. 74 17 febbraio 1503 A dì 17 di febraio 1503. In la casa dele Laude, presenti Vico d’Antonio di Piero de Longaro, Ambrogio d’Andrea da Monte, Masso de Riciarello, Baldoantonio de Benedecto Baiardi et Piccone d’Antonio, testibus. Li Reverendi Padri Frate Pace de Bernardino da Monte preside et Frate Pasquagio de Iacopo de Banoccio et Frate Christofano d’Ambrogio da Monte, tucti del Borgo, frati del’Ordine di San Francesco, et li spectabili homini Pierfrancesco di Giuliano Ciaci et Victorio di Giuliano di Biagio d’Arezzo del decto Borgo, operai del Convento e Ghiesa di San Francesco del Borgo … sono e fannosi veri et legiptimi debitori del Reverendo Padre in sacra teologia Maestro Luca di Bartolomeo Paccioli dal Borgo dela quantità di lire trentadoi, s. sei, d. quatro f.p., in una mano, per resto d’uno luodo et saldo facto per Messer Bartolomeo d’Antonio Franceschi et Baldino Gratiani comme dixero apare in scripta per mano di Ser Girolamo Lucherini, et in una altra mano di £. 12 f.p. per resto dele toniche et di £. 24 haveano compensato al decto Maestro Luca d’una capella venduta a quelli di San Giustino che non ha havuto niente, che somma in tucto £. 68, s. 6, d. 4 f.p. E di f. 4 larghi che valsero £. 28, s. 8 f.p., i quali pagò decto Maestro Luca per decto convento per otener toniche … al Padre Reverendissimo Generale del’Ordine, essendo lui menistro di questa Provincia … che fanno in tucto £. 96, s. 14, d. 4 … . Dele quali decto Maestro Luca à havuto £. venti f.p. … e più à havuto £. quatordici e mezzo per uno mantello … che fanno £. 34 f.p., e restano … £. sesanta doi d’acordo … .
123. Notarile Antecosimiano 17898, c. 143r 23 agosto 1506 Die 23 augusti 1506. Actum in Burgo, ad apothecam Abatie quam tenet Prinzival de Rigeis ad pensionem, presentibus Iohanne Chechi de Pannilonghis et Piero Francisci Ciochi. Reverendus sacre teologie Magister Lucas Paccioli Ordinis minorum Beati Francisci de Burgo, sponte etc., fecit atque constituit … eius veros procuratores eximium legum doctorem Dominum Ladislaum et Ser Bernardinum Francisci de Renovatis, in solidum … .
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124. Ivi, c. 186v 11 dicembre 1506 Die 11 decembris 1506. Actum in Burgo ad apotecam Abatie quam tenet Prinzival, presentibus Ser Nicolao de Rigeis et Baldoantonio Baiardi et Ser Carubino de Mercatis, testibus. Reverendus sacre theologie Magister Lucas Bartolomei Paccioli de Burgo, Ordinis minorum Sancti Francisci, sponte etc., fecit atque constituit eius verum et legiptimum procuratorem Fratrem Franciscum […] Ordinis Sancti Francisci, presentem etc. … . Et hoc fecit revocandum quemdam procuratorem, videlicet Fratrem Christoforum Ambrosii … .
125. Notarile Antecosimiano 17900, n. 163 19 agosto 1522 Procuratio In Dei nomine amen. Anno a nativitate Domini, Domini nostri Yesu Christi 1522, indictione 10ª, tempore pontificatus Sanctissimi, in Christo Patris et Domini, Domini Adriani divina providentia Pape 6º, die vero 19 augusti. Actum in Civitate Burgi Sancti Sepulcri, in Comitatu Ecclesie Sancti Francisci, presentibus Nicolao Iohannis de Cungis et Magistro Nicolao Iohannis Ciucci aurifice, testibus de dicta civitate ad hec vocatis, adhibiti et rogatis. Reverendus Frater Silvester Andree Lungari guardianus Conventus et Ecclesie et fratrum Sancti Francisci in dicta Civitate et Frater Petrus de Parlanis, Frater Pace Berni de Monte … Frater Zineprus [Petri] Olivi Paccioli … insimul in eorum Capitulo coadunati citra providis viris Camillo Contis de Bofulcis et Angelo Iohannis Baptiste de Piconis operariis dicte Ecclesie … fecerunt … eorum verum et legiptimum procuratorem … providum virum Ser Pompeum Ser Iacobi Thome de Ghelfis … .
Rogito di Ser Andrea di Romolo Filiromoli 126. Notarile Antecosimiano 7532, c. 106r 21 luglio 1505 Procura 1505. Indictione octava, die vero XXI iulii. Actum in Cancelleria Dominorum Civitatis Florentie, presentibus testibus Leonardo Ser Pieri de Vincio et Iohanne Arrighi de Alamannia textore pannorum et lanorum Populi Sancti Fridiani. Reverendus Pater Magister Lucas quondam Bartholomei de Burgo Sancti Sepulcri Ordinis fratrum minorum sacre theologie professor, habens ut ipse asseruit a suis superioribus auctoritatem et facultatem ex ipso predicta faciendi, omni meliori modo etc., non revocando etc. fecit etc. suos procuratores Ser Iulianum quondam Iohannis della Valle notarium et civem florentinum ibidem presentem et acceptantem et Petrum [ ] de Strozis etiam civem florentinum
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licet absentem et quemlibet eorum in solidum item tanquam generaliter ad agendum etc. item ad intrandum in tenutam etc. … .
Rogiti di Ser Uguccione di Lodovico Dolci 127. Notarile Antecosimiano 6189, c. 85v 30 gennaio 1510 Tregua a Magistro Luca ab illis de Montis Dictis anno [Millesimo quingentesimo decimo], indictione [tertiadecima] et pontificatu [Iulii divina providentia Pape secundi], die vero mercurii trigesimo mensis ianuarii. Actum in Burgo, in camera iudicis Domini Capitanei sita in Palatio dicti Domini Capitanei, presentibus Ser Piermaria Ser Iohannis de Sancto Miniato et Uguccione Urbani de Pichis et Martino Francisci […] de Burgo, testibus. Ambrosius, Andrea et Bernardinus Guerra de Monte de Burgo et quilibet ipsorum, sponte etc., per se et eos fatres, filios, nepotes … non exceptis Fratre Christoforo suprascripti Ambrosii filio et Fratre Pace filio suprascripti Bernardini, fratribus Ordinis minorum Sancti Francisci … promiserunt … per totum mensem iulii proximi non offendere nec offendi facere, per se vel alium seu alios etc. Magistrum Lucam Bartolomei Pacioli del dicto Burgo, fratrem dicti Ordinis Sancti Francisci, nec non suprascriptis modis et nominibus pomiserunt ipsum non offendere … super penam florenorum centum auri in auro … .
128. Ivi, c. 87r 31 gennaio 1510 Renumptia Magistri Luce Pacioli Dictis anno [Millesimo quingentesimo decimo], indictione [tertiadecima] et pontificatu [Iulii divina providentia Pape secundi], die vero ionis XXXI ianuarii. Actum in Burgo, in Palatio Domini Capitanei et in camera sui iudicis, presentibus Rogerio Domini Ladislai de Bernardis et Vico Contis muratoris de Burgo, testibus etc. Magister Lucas Bartolomei Pacioli de Burgo Ordinis minorum, sacre pagine pluriumque aliarum artium professor, habita notitia cuiusdam promissionis facte de ipsum non offendendo per Ambrosium, Andream et Bernardinum Guerra … renumptiavit suprascripte promissioni et obligationi per ipsos Ambrosium et Bernardinum factis … .
129. Notarile Antecosimiano 6191, c. 118r 6 luglio 1517 Mandatum ipsorum in Ser Bernardinum Francisci Dictis anno [Millesimo quingentesimo decimo septimo], indictione [quinta] et pontificatu [Leonis Pape decimi], die vero luna sexta mensis iulii. Actum in
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Burgo, in domo mei notarii infrascripti, presentibus Baldutio Pauli Baldutii et Martino Francisci Nardi Tempre de Burgo, testibus etc. Frater Iuniperus filius Petri Olivi Savoretti de Burgo, Ordinis Domini Francisci, tamquam usufructuarius omnium bonorum olim Reverendi Patris in sacra theologia, ceterarum professoris artium Magistri famosissimi Fratris Luce de Paciolis de dicto Burgho Ordinis minorum, et Olivus Petri Olivi Savoretti ut et tamquam procurator et legiptimus administrator Luce eius filii heredis testamentarii pro dimidia supradicti Magistri Luce et quilibet ipsorum, dictis nominibus et modis, sponte etc., per se etc., omni modo meliori etc., cum revocatione etc., fecerunt, constituerunt et creaverunt eorum et cuiuslibet ipsorum dictis nominibus et modis verum, legiptimum, indubitabilem procuratorem, actorem, factorem … et certum numptium spetialem spectabilem virum Ser Bernardinum Francisci de Renovatis de dicto Burgo, licet absentem etc. … .
Rogiti di Ser Bernardino di Francesco Matteucci 130. Notarile Antecosimiano 13439, cc. 15r-15v 2 febbraio 1510 In Dei nomine amen, anno a nativitate eiusdem 1510, indictione 13ª, tempore pontificatus Sanctissimi in Christo patris et Domini, Domini Iulii divina providentia Pape secundi, die vero secunda mensis februarii. Actum in terra Burgi Sancti Sepulcri in domo infrascripti Antonii Massi Barbaglie sita in dicta terra, iuxta bona Domine Angeline uxoris olim Mathei Bricozi et bona Alexandri Luce de Cantagallina et alios fines, et presentibus Domino Fulco Contis de Bofulcis, Dompno Roano Francisci de Tarlatis, Cesare Simonis dal Saxo, Bernardino Guidonis de Cipollis, Nerio Angeli dela Chiara, Iustino Luce Guangnare et Francisco Berardini Passarini, testibus de dicto Burgo, ad infrascripta etc. Antonius Massi Barbaglie de Burgo Sancti Sepulcri, sponte etc., per se etc., omni meliori modo etc., fuit confessus et contentus et se recognovit esse verum et legiptimum debitorem venerabilis religiosi sacre theologie professoris Magistri Luce Bartolomei de Paciolis de dicto Burgo, Ordinis minorum Sancti Francisci, in quantitate florenorum centum quinquaginta … quos centum quinquaginta florenos idem Antonius asseruit habuisse et recepisse a dicto Magistro Luce in hunc modum, videlicet florenos septuaginta expositos per dictum magistrum in aconcimine domus dicti Antonii et florenos octuaginta numeratos eidem per dictum magistrum pro traffico, exercitio et mercantia pizicagnilorum et in dicto traffico et exercitio expositos et investitos … . // Et ex alio latere prefatus Magister Lucas, sanus Dei gratia mente, sensu, visu, corpore et intellectu per se etc., sponte etc., omni meliori modo etc., ex titulo et causa irrevocabilis donationis inter vivos, dedit et donavit prefato Antonio Massi et Domine Catherine eiusdem Antonii uxori et filie Andree Vestri de Rassina et Magdalene filie dicti Antonii … omnem quantitatem pecunie, rerum et bonorum cuiuscunque generis et conditorum usque in presentem diem … .
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131. Ivi, cc. 15v-16r 2 febbraio 1510 Dictis die, mense, anno, indictione, pontificatu predictis ac suprascriptis testibus presentibus etc. Pierus Olivi de Paciolis de Burgo Santi Sepulcri, sponte etc., per se etc., omni meliori modo etc. fuit confessus et contentus et se recognovit esse verum et legiptimum debitorem venerabilis religiosi sacre theologie professoris Magistri Luce de Bartolomei de Paciolis de dicto Burgo, presentis etc., in quantitate florenorum quinquaginta … // … quam quantitatem florenorum quinquaginta ipse Magister Lucas mutuaverat prefato Piero in variis et diversis diebus, quantitatibus ac locis … . Et intendens prefatus Pierus cautum facere prefatum Magistrum Lucam de dicta quantitate florenorum quinquaginta, locavit ac in solutum dedit et tradidit ac consignavit dicto magistro, presenti etc., unam petiam terre vineate site in territorio Burgi invocato ‘del Ponte da Bosso’ iuxta bona Bartolomei Menci et bona Ieronimi Antonii del Soccia, viam comunis et flumen Afro et alios fines … . Et ex alio latere prefatus Magister Lucas, sanus Dei gratia mente, sensu, visu, corpore et intellectu, per se etc., sponte etc., omni meliori modo etc., ex titulo et causa irrevocabilis donationis inter vivos, dedit et donavit prefato Piero presenti et filiis dicti Pieri absentibus … omnem aliam quantitatem pecunie, rerum et bonorum cuiuscunque generis et conditorum usque in presentem diem … . //
132. Ivi, c. 16v 2 febbraio 1510 Dictis die, mense, anno, indictione, pontificatu, loco ac testibus predictis presentibus etc. Venerabilis religiosus sacre pagine professor Magister Lucas Bartolomei de Paciolis de Burgo Sancti Sepulcri, sponte etc., per se etc., omni meliori modo etc. dedit et locavit ad affictum et laborerium, pro tempore et termino ad benem placitum ipsius magistri, unam petiam terre vineate posite in territorio Burgi invocato ‘del Ponte da Bosso’, iuxta bona Bartolomei Menci et bona Ieronimi Antonii del Soccia, viam publicam et flumen Afro et alios fines, Piero Olivi de Paciolis presenti … . Et … dictus Pierus conductor promisit et convenit dicto locatori presenti etc. dictam vineam bene et utiliter colere et laborare propriis expensis congruis temporibus, et durante dicto tempore locationis dare, tradere et mensurare quolibet anno dicto magistro, vel suo legiptimo mandatario, salmas quatuor vini boni, puri et nitidi, ad mensuram venalem terre Burgi, pro affictu et annua responsione … .
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133. Ivi, c. 104v 11 ottobre 1510 In Dei nomine amen. Anno a nativitate eiusdem 1510, indictione 13ª, tempore pontificatus Sanctissimi in Christo Patris et Domini, Domini Iulii divina providentia Pape secundi, die vero undecima mensis octobris. Actum in Platea comunis sita in dicta terra iuxta suos confines et presentibus Marco Bartolomei del Conte, Cataldo Niccolai Besi et Antonio Mathei Michelangeli testibus de dicto Burgo, ad infrascripta etc. Venerabilis religiosus sacre pagine professor Magister Lucas Bartolomei Pacioli Ordinis Sancti Francisci de Burgo Sancti Sepulcri, omni meliori modo etc., … fecit procuratorem etc. Lucam Gasparis Ciapolini de dicto Burgo presentem etc. … .
134. Notarile Antecosimiano 13440, c. 61v 2 giugno 1512 Dictis die, mense, indictione [Anno a nativitate 1512, indictione 15ª, die secunda iunii] et pontificatu [Iulii secundi] predictis. Actum in terra Burgi Sancti Sepulcri in claustro Ecclesie Sancti Francisci de Burgo sito in dicta terra iuxta dictam ecclesiam et alios fines, et presentibus Bartolo Nicolai Sbrolle et Michelangelo Iohannis Prenzi testibus etc. Venerabilis religiosus Magister Lucas Bartolomei Pacioli sacre pagine professor, omni meliori modo etc., fecit etc. procuratorem etc. Fratrem Cristophorum Ambrosii de Monte presentem etc. ad exigendum etc. a Bartolomeo Massi Barbaglie etc. item ad quietandum etc. et generaliter etc. dans etc. promittens etc. obligans etc. renuncians etc. … .
135. Ivi, cc. 65v-66r 30 giugno 1512 In Dei nomine amen, anno a nativitate eiusdem 1512, indictione 15ª … die vero 30 mensis iunii. Actum in terra Burgi Sancti Sepulcri in Platea Comunis Burgi ante domos heredum Domini Alexandri Domini Antonelli et alios suos confines etc., presentibus Horatio Thesei de Pichis et Martino Antonii Bartolomei Romani testibus de dicto Burgo, ad infrascripta etc. Venerabilis religiosus sacre pagine professor Ordinis Sancti Francisci Magister Lucas Bartolomei Pacioli de Burgo Sancti Sepulcri, sponte etc., per se et omni meliori modo etc., fuit confessus et contentus habuisse et recepisse … a Petro Olivi Savoretti de dicto Burgo florenos quinquaginta … de quibus quidem quinquaginta florenis prefatus Petrus debitorem se constituit prefati Magistri Luce, ipso quo Magistro Luca pro dicta quantitate locaverat super quadam petia terre vineate, quam terram ad affictum postea ipse magister prefato Petro locavit … in hunc modum et formam videlicet: ducatos decem et octo per manum Ughi Cionis Urbani de Pichis … et residuum usque in dictam
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quantitatem florenorum quinquaginta in illis modis ac formis, rebus et pecuniis de quibus Dominus Fulcus Contis de Bofulcis et prefatus Ughucio habent notitiam … // … .
136. Ivi, cc. 84v-85r 10 novembre 1512 In Dei nomine amen, anno a nativitate eiusdem 1512, indictione 15ª … die vero decima mensis novembri. Actum in terra Burgi Sancti Sepulcri in balcone // Palatii residentie Domini Capitani dicte terre site in dicta terra et palatio … presentibus Cristophoro Pieri Rigucini et Iohanne Iacobo Francisci Antonii Mei, testibus de dicto Burgo, ad infrascripta etc. Venerabilis vir sacre pagine professor Magister Lucas Bartolomei Pacioli ex Ordine minorum, omni meliori modo etc., fecit etc. procuratores … Dominum Fulcum Contis de Bofulcis et Bernardinum filium dicti Contis, Fratrem Cristophorum Ambrosii de Monte ex Ordine minorum, Marcum Antonii Pieri Longari et quemlibet eorum in solidum et in totum etc. … .
137. Ivi, cc. 85r-85v 15 novembre 1512 In Dei nomine amen, anno a nativitate eiusdem 1512, indictione 15ª … die vero quintadecima mensis novembris. Actum in terra Burgi Sancti Sepulcri in Sala magna Palatii residentie Domini Capitanei site in dicta terra et palatio … presentibus Horatio Thesei de Pichis et Petro Cristophori Veneis, testibus etc. Cum fuerit et sit assertionem … infrascriptarum partium … videlicet Magistri Luce Bartolomei Pacioli de Burgo ex Ordine minorum, ex una, et Fratris Cristophori Ambrosii de Monte et ex Ordine // minorum, ex altera, et Domini Nicolai Alexandri de Tanis, ex altera, quod superioribus diebus predictum Dominum Nicolaum, de commissione et tamquam procuratorem prefati Magistri Luce, fuit exacta quedam quantitas pecunie videlicet ducatos triginta … existentem debitorem dicti Magistri Luce, et de dicta quantitate aliqua pars fuit soluta dicto Magistro Luce sive alteri …, prefatus Nicolaus remansit et remanet debitor dicti Magistri Luce in quantitate florenorum decem octo …, et fuerit et sit quod idem Frater Cristophorus vendiderit et consignaverit dicto Magistro Luca unam mulam pilaminis morelli … pro pretio ducatorum decem et septem auri in auro, de qua quantitate ducatorum 17 auri in auro dictus Magister Lucas fuit et est debitor dicti Fratris Cristophori …, prefatus Dominus Nicolaus … promisit et convenit dicto Fratri Cristophoro presenti etc., pro parte dictorum decem et septem ducatorum auri in auro et pretii dicte mule, solvere et numerare dictos florenos decem et octo infra sex menses proxime futuros … .
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138. Ivi, c. 155r 30 agosto 1514 Dictis anno [1514], mense, loco [in terra Burgi Sancti Sepulcri], indictione [2ª] et pontificatu predictis, die 30 augusti, presentibus dicto Francisco Honophri [de Papachioni] et Marco Iohannis Matonai, testibus. Venerabilis religiosus et sacre pagine professor Magister Lucas Bartolomei de Paciolis de Burgo Sancti Sepulcri, omni meliori modo etc., fecit etc. procuratorem etc. Marcum Antonii Pieri Longari de dicto Burgo presentem etc. generaliter etc. et maxime contra fratres et Conventum Servorum Sancte Marie de Burgo.
Rogito di Ser Bernardino di Francesco Renovati 139. Notarile Antecosimiano 17712, n. 2311 2 febbraio 1510 A dì 2 febraio, in lo Borgo San Sepolcro In Dei nomine amen. Ego Frater Lucas Bartolomei Pacioli de Burgo Sancti Sepulcri, Ordinis minorum, sacre theologie humilis professor, considerans huius vite breve curriculum et eius miseriam et calamitatem et omnia tandem ad nihilum redigi oportere, decrevi dispositionem bonorum meorum, que merito virtutum quas sua clementia mihi concessit Altissimus ac largitione fidelium elemosinarum favente Altissimo acquisivi, post vite transitum sub huiusmodi modo et forma ordinare. Et hoc auctoritate apostolica a Iulio 2º, presente Pontifice maximo, mihi concessa, prout plenius bulla plumbea aparet, que ad presens habetur in domo Domini Fulci de Bofulcis, in una capsa mea, inter alias res meas ibi depositas ad mei et heredum libitum. Et ad clariorem intelligentiam et ad removendum omnem cavilationem, que sepius latinis verbis male interpretatis inter causidico[s] oriri solet materno ex arabo sermone, et in primis. Quia anima longe nobilior est corpo[re], voglio che la Chiesa de San Giovanni de decto Borgo, dove sonno sepeliti tutti li miei antenati, habia uno fiorino corrente, per uno exequio sopra de loro sepoltura, la quale ène denanze al’altare grande in decta ghiesa, con pietra, con uno responso et requiem eternam, per l’anima mia e di loro. Item voglio che ’l mio corpo sia sepelito comme parerà ali prelati dela mia religione, sotto quali io mancasse, in la chiesa de nostra sanctissima religione. Item lascio ala mia nepote Madalena, cioè ala figliola del mio nepote Antonio de Masso de Barbaglia, a via Barbagliuolo, fiorini cinquanta de nostra moneta, per suo maritare, e l’abitatione in sua casa, vedovando e così in epsa maritandose secondo la obedientia de suo padre Antonio. 1 È l’ultimo inserto di un protocollo di testamenti di Ser Matteo di Bernardino Renovati degli anni 1529-1558.
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Item altretanto lascio ala Catarina de Andrea de Vestro da Rasina, sua matregna, donna del dicto Antonio, e al’Angiola, figliola de Pietro de Olivo, altra mia nepote, cioè fiorini vinticinque per suo maritare ala dicta Angiola e fiorini vinti // cinque ala dicta Caterina, vivendo tutte hora presente e a obedientia de’ suoi magiori. E spirandole Dio de intrare in alcuna religione overo vivere da sé in sancta castità, medesimamente voglie sieno suoi liberi. Item lascio al ditto mio nepote Antonio fiorini centocinquanta, quanti ò speso de mio in la sua casa e cento in botega dela bruscolaria,1 commo apare per publico contracto de mano de Ser Berardino de Mateucis del Borgo, stipulato in questo dì. Item lascio ali miei doi discipuli e nepoti, Frate Ambrogio e Frate Iunepero, fratelli carnali e figlioli del mio Pietro d’Ulivo, fiorini cinquanta communiter, quali ho in sula vigna del lor babbo apresso al Ponte da Bosso, quali li prestai secondo la forma e conditione apare nel contacto de mano de dicto Ser Berardino stipulato in questo dì. E con questi li lascio tutte le mie ragioni che io ho in la camera dove al presente habito, secondo la forma dela bolla apostolica de Iulio 2º quale è apresso de me in sachetta. E questo voglio sempre sieno fra loro indivisi e inteso che atendino a studiare e a vivere sanctamente. E in tutti miei altri beni mobili e stabili lascio miei heredi universali li dicti doi frati Ambrogio e Ginepero, con questo che facino ogn’anno cantare una messa parata per l’anima mia sopra la sepoltura mia, e un altro responsorio per l’anima de’ miei doi fratelli Maestro Ginepro e Frate Ambrogio. E che studino in modo che un calici de pregio de fiorini vintacinque con lo mio segno, videlicet ML , ala sacrestia del nostro convento del Borgo. E che ancora Sora Madalena de Romano, al presente badessa del nostro Monesterio de San Leo, medesimamente habia altri fiorini vintacinque aciò preghi Dio per l’anima mia. Et che le masari[zi]e sonno in casa del decto mio // nepote Antonio sieno tutte sue a figliola e moglie comune. E mancando dicti miei heredi universali, tutto quello toccasse a loro per vigore de questo mio ultimo testamento, qualunc’altro annullando, voglio torni a dicto Antonio e Pietro d’Ulivo, egualmente fra loro o loro heredi, con li medesimi oblighi e conditioni etc. E a executione de tucte cose sopraditte voglio elegiato stia Meser Folco Bofolci, dottore e sacerdote, e Marco de Antonio de Longaro, tutti de dicto Borgo; e non siando lor vivi, voglio sieno doi de li ditti più proximani. E questo mio ultimo testamento ho scripto secretamente de mia propria mano, e dì, anno e mese sopradicto, in lo ditto Borgo, in casa del ditto mio Antonio, presenti li infrascripti testimoni, cioè [ ].2 Et hoc et hanc dixit et asseruit prefatus Magister Frater Lucas testator prefatus esse et esse velle suum ultimum nuncupativum et sine scriptis testamentum et ultimam voluntatem, quod et quam valere voluit iure testamenti, et si iure te1 Ossia la bottega di pizzicagnolo, infatti il brusco è un tino che si riempie di olive. 2 Fino a questo punto in documento è autografo. La parte rimanente del testamento è scritta tutta con altra grafia.
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stamenti non valeret aut non valebit, valeat, valebit et valere voluit prefatus testator iure codicillorum, et si iure codicillorum non valeret aut non valebit, valeat, valebit et valere voluit iure donationis causa mortis et cuiuscunque alterius ultime voluntatis, quo, qua et quibus magis et melius et validius de iure valere et subsistere potest. Cassans et anullans prefatus testator omne aliud testamentum, codicillos, donationem causa mortis et quamlibet aliam ultimam voluntatem per testatorem ipsum hactenus factas et conditas manu cuiuscunque publici notarii vel private persone, sub quibuscunque verbis derogatis, de quibus dixit ad presens non recordari, quibus omnibus voluit presens testamentum anteferri et prevalere omni meliori modo etc. Rogans etc. Actum factum, conditum, celebratum, scriptum et lectum fuit suprascriptum testamentum et ultima voluntas auctoritate Domini nostri Iulii Pape secundi, dicto testatori concessa per bullam plumbeam, cuius tenor inferior anotabitur de verbo ad verbum, per prefatum Magistrum Fratrem Lucam testatorem antedictum in terra Burgi Sancti Sepulcri, in domo suprascripti Antonii Massi Barbaglie, sita in dicta terra, iuxta bona Alexandri Luce de Cantagalina et bona Domine Angeline uxoris olim Mathei Bricozi, et alios fines etc. Rogatum et publicatum per me Bernardinum Francisci de Renovatis, notarium etc., sub annis Domini ab eius nativitate 1510, indictione 13ª, tempore pontificatus Sanctissimi in Christo Patris // et Domini, Domini Iulii divina providentia Pape secundi, die vero secunda mensis februarii, presentibus Dompno Antonio Angeli Pauli Tei, Mauro Mei Vagnini, Martino Nerii Piermange, Antonio Sanctis Salvi, Benedicto Mei de Cipollis, Checho Michelangeli dal Colle, Benedicto Nerii Cinquini, Bastiano Guidonis de Cipollis et Antonio Piconis Antonii, testibus de dicto Burgo ad suprascripta proprio ore dicti testatoris vocatis etc. Tenor dicte Bulle talis est, videlicet: Iulius episcopus, servus servorum Dei, dilecto filio Luce de Paciolis terre Burgi Sancti Sepulcri, Diocesis Civitatis Castelli, Ordinis minorum et theologie professori, salutem et apostolicam beneditionem. Quia presentis vite conditio statum habet instabilem et ea que visibilem habent essentiam tendunt verisimiliter ad non esse in hoc salubri premeditione premeditans diem tue peregrinationis extremum dispositione testamentaria desiderans preveniri. Nos igitur tuis in hac parte suplicationibus inclinati, tibi qui ut asseris dilicti filii nostri Galeotti tituli Sancti Petri ad Vincula presbiteri Cardinalis Sancte Romane Ecclesie Vicecancellarii, familiaris continuus commensalis existis, ut de quibuscunque bonis mobilibus et immobilibus ex industria et virtutibus tuis ac largitione fidelium per te acquisitis et acquirendis, ere alieno deducto in remuneratione illorum qui tibi viventi servierunt, etiam si sint consanguinei vel affines, et alias in pios usus testari et disponere usque ad summam tricentorum ducatorum, libere et licite valeas pro tui libito et voluntate, auctoritate apostolica tenore presentiam licentiam concedimus et facultatem. Non obstantibus constitutionibus et ordinationibus apostolicis nec non dicti ordinis, iuramento confirmatione apostolica vel quavis firmitate alia roboratis statutis et consuetudinibus nec non voto et iuramento in emissione professionis per te
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prestite et dicto ordini concessis privilegiis ceterisque contrariis quibuscunque. Datum Rome apud Sanctum Petrum, anno incarnationis dominice Millesimo quingentesimo octavo, quarto Kalendas maii, pontificatus nostri anno quinto. Aloisius Obmisso plumbleo sigillo pendenti cum cordulis canapinis. Et ego Bernardinus Francisci de Ronavatis notarius, rogatus etc.
Rogiti di Ser Bartolomeo di Niccolò Fedeli 140. Notarile Antecosimiano 6888, c.n.n. 17 novembre 1511 In Dei nomine amen. Anno a nativitate Domini, Domini nostri Yehu Christi Millesimo quingentesimo undecimo, indictione quarta decima, tempore pontificatus Domini, Domini Iulii divina providentia Pape secundi … die vero decima septima mensis novembris. Actum in Burgo Sancti Sepulcri in sacrario sive sacrastia loci Conventus Sancti Francisci de Burgo prefato, presentibus Dompno Simone Paulo Andree Magistri Francisci […], testibus vocatis, habitis et rogatis etc. Convocati et coadunati ad sonum campanelle … de mandato Magistri Luche Bartolomei Pacciuoli de Burgo Sancti Sepulcri, guardi[ani] loci Conventus Sancti Francisci de dicto Burgo … infrascripti, videlicet Frater Silvestrum Andree Lunghari ad presens custodie Civitatis Castelli et Frater Iohanne Bapista Bernardini Andree ad presens vicarius dicti conventus … et Frater Petrus Francisci Perlane omnibus de Burgo predicto, eorum nominibus propriis [ ].1
141. Notarile Antecosimiano 6892, c.n.n. 7 marzo 1517 Matrimonium Domine Iohanne Magistri Beltrami de Verona et Francisci Semptimi de Sassoferrato Dictis anno [Millesimo quingentesimo decimo septimo], indictione [quinta] et presente die vero suprascripta [septima mensis martii]. Actum in Burgo Sancti Sepulcri in dormentorio loci Conventus Sancti Francisci de Burgo, in camera Magistri Luce Bartolomei Pacciuoli, presentibus Fratre Cristoforo Amboxii de Monte de Burgo et strenuo peditum […], Domino Gomstantino Domini Michaelis Musuchini et Thomasio Pierii Blaxii de Fusechio et pluribus aliis testibus de Burgo, vocatis, habitis et rogatis.
1 Il documento è solo iniziato, la parte successiva della carta è bianca.
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Rogito di Ser Alessandro di Bartolomeo Fedeli 142. Notarile Antecosimiano 6847, c.n.n. 1º settembre 1514 Depositum Magistri Luce Paciuoli Ordinis Sancti Francisci Dictis anno [Millesimo quingentesimo quartodecimo], indictione [secunda] et pontificatu [Leonis X], die vero prima mensis septembris. Actum in Burgo Sancti Sepulcri, in domo Fraternitatis Sancti Bartolomei posita in dicto Burgo … . Generosus … Dominus Nicolaus Magistri Francisci de Rigeis et spectabiles viri … Priores Fraternitatis Sancti Bartolomei de dicto Burgo … fuerunt confessi et contenti habuisse et recepisse … ab Magistro Luca Bartolomei Paciuoli de dicto Burgo Ordinis minorum Sancti Francisci et sacre pagine professore, datos et numeratos, ducatos viginti quinque aureos largos in auro, prout habuerunt et recipierunt in presentia mei notarii infrascripti … in depositum et nomine gratuiti depositi … .
Rogito di Ser Michelangelo di Giovanbattista Palamedi 143. Notarile Antecosimiano 15998, c. 48v 9 settembre 1514 Dictis anno [1514], indictione [secunda] et presente die vero nona mensis septembris. Actum in Conventu Sancti Francisci situ in Burgo in Quarterio Santi Sepulcti iuxta vias ab omnibus et in claustro dicti Conventus, presentibus Peregrino Nerii Bartolini et Benedicto Iohannis Mencii ac Lucha Seraphini Mareschalchi, testibus. Frater Christoforus Ambroxii Andree de Monte … Conventus Sancti Francisci … fuit in veritate confessus et contentus habuisse et recepisse, ac sibi datum solutum e numeratum fuisse ab Excellentissimo Illustrissimo Doctore Domino Nicolao Alexi de Tanis, quantitatem florenorum decem octo, videlicet 18 … debitam, iam retroactis diebus et temporibus, per dictum Dominum Nicolaum predicto Fratri Chistoforo pro pecuniis et denariis exactis per dictum Dominum Nicolaum pro Magistro Lucha Pacioli, fratre dicti ordinis, et de qua quantitate dictus Dominus Nicolaus constituit se debitorem prefato Fratri Christoforo nomine dicti Magistri Luce … de qua quidem quantitate prefatus Frater Christoforus vocavit se bene pagatum, tacitum et contentum … .
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Rogiti di Ser Girolamo di Luca Lucherini 144. Notarile Antecosimiano 12237, cc 13r-14r 9 febbraio 1500 Nona februarii 1500 Compromissum fratrum Sancti Francisci Manifesste apparet omnibus et singulis … qualiter Reverendus pater Frater Marinus de Noce[ra], ad presens guardianus Conventus Sancti Francisci de Burgo Sancti Sepulcri una cum Fratre Pasquasio Iacobi Banocci de Burgo custode ut dicitur custodie Civitatis Castelli Ordinis predicti … cum presentia, licentia et consensu … fratrum dicti loci et conventus, videlicet Fratris Hieronimi Pieri de Pinis, Fratris Ruberti Martini Nannis, Fatris Cherubini Mattei Palamedis, Fratris Silvesstri Andree Lunghari, Fratris Pacis Bernardini de Monte, Fratris Francisci Luce et Fratris Andree Baldini, omnium de dicta terra Burgi … asserentes esse ultras tres partes fratrum habitantium loco predicto et conventu suprascripto, ad Capitulum congregati more solito et consueto, sono campanelle … cum presentia, licentia et consensu spectabilium virorum Antonii Nicolai de Guelfis et Vectorii Iuliani Petri de Aretio ad presens operariorum dicte ecclesie et conventus …, ex parte una, et Reverendus in Christo Pater Magister Lucas Bartolomei de Paciolis de Burgo dicti Ordinis, eius nomine proprio et pro suo interesse, ex parte altera, … de omnibus litibus, questionibus, differentiis et controversiis inter eos vertentibus causa et occasione administrationis de bonis … per ipsum Magistrum Lucam factis anni 1496 et 1497 et aliis temporibus et annis et de omnibus aliis litibus et controversiis … vertentibus inter ipsos fratres, ex una, et Magistrum Lucam predictum, ex altera …, una // nimiter et pacifice namque boni et pacifici religiosi et pro salute omnium eorum et pro bono pacis et concordie de omnibus et singulis suprascriptis litibus et aliis, compromiserunt … in eximium legum doctorem Bartolomeum Antonii Benedicti de Franciscis et spectabilem virum Baldinum Domini Benedicti de Gratianis, omnes de Burgo, quos dictos Bartolomeum et Baldinum … eligerunt in eorum et cuiusque ipsorum arbitros et arbitratores … // … . Acta sub annis Domini a nativitate 1500, indictione IIIª, tempore Alexandri Pape VI, die vero dominico nona mensis februarii, in Burgo Sancti Sepulcri et in dicta Ecclesia Sancti Francisci … et in sacrario dicte ecclesie, presentibus Magistro Iacopo Marii Nicolai Fontane, Docphebo Matei Angeli aretini, Ambrosio Andree de Monte et pluribus aliis testibus ad omnia et singula vocatis, habitis et rogatis … .
145. Notarile Antecosimiano 12249, c. 21r 19 gennaio 1512 Dictis anno [1512], indictione [XI] et pontificatu [Iulii Pape II], die 19 mensis ianuarii.
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Petrus Olivi Savoretti de Burgo Sancti Sepulcri et Olivus eius filius … dederunt et vendiderunt … Uguccioni Urbani Marcolini de Pichis de Burgo … unum adunatum terre … situm in Districtu Burgi, in Contrata de Boccha d’Afra … .
146. Ivi, c. 236v 30 dicembre 1512 Die 30 dictis mensis dicembris [1513]. Actum in Districtu Burgi … presentibus Antonio Nicolai Ieronimi Mirabucci et Bartolomeo Mei Vagnuzzi de Burgo etc. Bartolomeus sive Beus Ducci Angeli Ducci de Burgo … dedit, vendidit et alienavit Ulivo Petri Ulivi Savoretti presenti, sipulanti, recipienti et ementi pro se et eius patre … unum ortum situm in Burgo, in Contrata Sancti Antonii … .
147. Notarile Antecosimiano 12251, c. 259r 14 agosto 1514 Pro Magistro Luca [In Dei nomine amen. Anno a nativitate Domini nostri Yeshu Christi MDXIIII, indictione II … tempore pontificatus Leonis X]. Dicta die 14 augusti. Actum in Burgo, ante Ecclesiam Sancti Francisci in plazola eidem ecclesie, presentibus Fratre Francisco Pauli Donati Bosii monaco camaldolensi, Matteo Giovagni Mattei et Lazaro Benedicti […] habitantis in Burgo, testibus suprascriptis vocatis. Reverendus in Chisto Pater sacre theologie Magister Lucas Pacioli Ordinis minorum de conventualibus, sponte et per se etc. et omni meliori modo, revocavit et annullavit eiusdem procuratorem ut dicitur iam factum Fratrem Christophorum Ambrosii de Monte et mandatum quod habebat … .
148. Ivi, c. 291v 18 settembre 1514 Pro Magistro Luca et Fratre Chistoforo Dictis anno [MDXIIII], indictione [II] et pontificatu [Leoni X], die 18 mensis settembris. Actum in Burgo Sancti Sepulcri, in domibus Abbatie Sancti Iohannis Evangeliste, in camera Domini Abbati et presentibus Domino Galeotto de Granis dignissimo abbate Abbatie predicte et Reverendo Alexandro Domini Antonelli et Ser Michelangelo Iohabaptiste de Palamedis et Iacopo Guerramontis Anichini de Rubertis et aliis de dicto Burgo etc. Constituti coram dicto Domino Abbate et testibus predictis et me Ieronimo notario suprascripto Reverendus in Christo Pater sacrorum canonum pofessor Magister Lucas de Paciolis Ordinis minorum, ex una, et Frater Chistophorus Ambrosii Andree Pauli de Monte frater Ordinis predicti, ex alia, ambo de Burgo Sancti Sepulcri, dicentes et asserentes se invicem et vicissim … fecisse computum, calculum et rationem de datis et receptis … tam de pecuniis datis et solutis per unam partem alteri parti … et de illis quod dictus Frater Christoforus habuit a Barbagliolo … fecerunt pactum de non petendo aliqua una alteri parti … .
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149. Ivi, c. 297v 22 settembre 1514 Mandatum Magistri Luce in Ser Alexandrum Fedeli [In Dei nomine amen. Anno a nativitate Domini nostri Yeshu Christi MDXIIII, indictione II … tempore pontificatus Leonis X]. Dicta die 22 septembris. Actum in Burgo, in Platea comunis, in appoteca Luce Marculini, presentibus Bartolomeo Gucciarelli Folli et Ser Uguccione Vici Uguccionibus. Venerabilis Magister Lucas de Paciolis … constituit, fecit et esse voluit eiusdem procuratorem … Ser Alexandrum Ser Bartolomei Fedeli absentem sed tamquam presentem, non derogando ullo modo alios procuratores … .
150. Notarile Antecosimiano 12254, cc. 294r-295r 7 dicembre 1517 Finis Christofori da Monte et filiorum Petri Ulivi In Dei nomine amen. Anno a nativitate Domini nostri Yeshu Christi 1517, indictione V, tempore pontificatus Leonis divina providentia Pape X, die 7 decembris. Cum fuerit et sit asertione venerabile Fratris Cristophori Ambrosii Pauli de Montis de terra Burgi Sancti Sepucri … ad presens guardiani et custodis fratrum Conventus et loci Sancti Francisci dicte terre Burgi, et ex una parte, et Fratris Ambrosii et Fratris Iuniperi fratrum ad invicem et filiorum Petri Olivi Pacioli de predicto Burgo, simul coniuncti, et ex altera parte, qualiter Reverendus quondam Pater sacre theologie professor Magister Lucas quondam Bartolomei Pacioli de dicto Burgho constituit et fecit quamdam habitationem sive cameram in conventu predicto et in quadam parte dormentorii dicti conventus et postmodum ipsam relinquit dictis Fratribus Ambrosio et Iunipero ut et tamquam nepotibus eiusdem quondam Magistri Luce, ut de predictis latius et seriosius patet ex litteris Sanctissimi, in Christo Patris Domini, Domini quondam Iulii divina providentia Pape secundi, in cartis membranis scriptis et sigillatis plumbeo sigillo capitibus apostolorum, more solito et consueto, per me notarium infrascriptum visis et lectis …, prelibati Fratres Ambrosius et Iuniperus coram dicto Fratre Cristophoro custodi predicto et fratribus infrascriptis et me notario, concorditer … // … dederunt, tradiderunt, cesserunt et concesserunt dicto Fratri Christoforo presenti, stipulanti et recipienti … omnia et quecumque iura et ationes reales et personales que et quas habet, velle habere posset comodocumque et qualitercumque in et circha et intra habitationem et cameram predictam … // … .
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Rogito di Ser Pompeo di Iacopo Guelfi 151. Notarile Antecosimiano 10685, c. 33v 28 aprile 1517 Mandatum Magdalene Barbagliuoli in Hieronimo Luce Pistonis Dictis anno [1517], indictione [quinta] et pontificatu [Leonis divina providentia Pape X]. Die vero 28 mensis aprilis. Actum in domo infrascripti Hieronimi sita in Burgo, in Strata del Borgo Novo iuxta bona Bastiani de Bartolinis, bona Iohannis Pistoni et dictam Stratam Burgi Novi, presentibus Gostantio Baptiste de Perusio vocato Tancio et Bartolomeo Antonii de Sancto Iohanne Pellino alias Minino de Burgo, testibus ad infrascripta vocatis etc. Domina Magdalena filia quondam Antonii Massi Barbaglie et uxor [ ] … ordinavit eius verum et legiptimum procuratorem, actorem, factorem et certum numptium specialem … Hieronimum Luce Pistonis presentem et acceptantem … in omnibus et singulis causis … item specialiter et nominatim ad petendum dicte Domine Magdalene dotem et iura sua … .
Rogiti di Ser Francesco di Antonio Aggiunti 152. Notarile Antecosimiano 102, c. 91r 30 ottobre 1519 Suprascriptis anno [1519], indictione [VII] et pontificatu [Leonis divina providentia Pape X], die triginta ottobris. In Burgo Sancti Sepulcri, in Platea Comunis ante Domum Societatis Laudum Sancte Marie dela Notte, iuxta plateam predictam et alios fines … presentibus Dompno Galeotto Tani et Antonio Francisci de Coldarcho de Burgo, testibus etc. Olivus Paccioli de Burgo … arbitrator ellectus ab Aquisto Francisci Aquisti in compromisso quod habet cum filiis Iohannis dela Lola, rogatu manu mei, viso dicto compromisso etc., … acceptavit in omnibus et per omnia etc. … .
153. Ivi, c. 91v 1º novembre 1519 Suprascriptis anno [1519], indictione [VII] et pontificatu [Leonis divina providentia Pape X], die prima novembris. In Burgo Sancti Sepulcri, in Platea Sancti Francisci dicti Burgi, iuxta Ecclesiam Sancte Marie dele Gratie, plateam predictam et alios fines … et presentibus Dompno Guidobaldo quondam Francisci Anechini de Robertis et Ieronimo Gualterii de Brunettis de Burgo, ambobus testibus etc. Muccius Mei Mucci et Olivus Petri Paccioli de Burgo Sancti Sepulcri arbitratori et arbitratores assumpti … ab Aquisto Pauli Aquisti, ex una, et ab filiis Gnagnis dela Lola de Burgo predicto, ex altera, … laudaverunt et arbitraverunt … .
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154. Corporazioni religiose soppresse dal governo francese 92, 360: Libro de’ consigli de’ frati di Santa Croce, c. 38r 18 luglio 1502 Declaratio patruum gradatorum Fratris Roberti Fratris Lodovici Fratris Francisci de Lanciolina In Dei nomine amen. Die 18 mensis iulii 1502. Reverendus Pater generalis Magister Egidius Delfin Amerinus, in camera sue residentie qua est ad usum patris Fratris Iacobi Quaratesis, in presentia venerabilium patruum magistrorum et proborum patruum, videlicet Magistri Petri de Fighino, Magistri Galgati de Senis, Magistri Luce de Burgo Sancti Sepulchri, Magistri generalis florentini Fratris Iacobi custodis florentini et Fratris Iacobi Quaratesis guardiani dicti Conventus, Fratris Mattie de Mellinis,1 declaravit et declaratos voluit esse et intelligi in patres gradatos Conventus florentini venerandos iuvenes Fratrem Robertum de Castellanis, Fratrem Lodovicum de Spinellis et Fratrem Franciscum de Lanciolina … .
Archivio Comunale di Sansepolcro 155. Serie XXXII, 144: Secondo libro de’ morti (1416-1459), c. 145v 15 maggio 1451 Monna Iacoma de Semone de Paciolo alias de Savoretto, ala Badia a dì 15 de magio [1451].
156. Ivi, c. 181r 14 gennaio 1459 Bartolomeo di Paciolo morì a dì 14 [di genaio 1459], sepolto a San Giovanni.
157. Ivi, c. 186v 22 marzo 1460 Monna Piera donna di Barbaglia morì a dì decto [22 marzo 1460], sepelita a San Giovanni.
1 Di lato a sinistra, all’elenco dei presenti è aggiunto «Reverendi Patris Ministri Magistri Pauli de Fucechio».
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158. Ivi, c. 187v 27 giugno 1460 Antonio alias Barbalia morì a dì decto [27 di giugno 1460], sepelito in San Giovanni.
159. Serie XXXII, 145: Terzo libro de’ morti (1460-1519), c. 54v 19 settembre 1476 Ulivo de Simone de Paciolo morì a dì decto [19 di settembre 1476], sepolto in Badia.
Biblioteca Nazionale di Parigi 160. Nouvelles acquisitions latines 1520, c. 8r1 26 settembre 1511 +1511, a dì 26 setembre, nel Borgo Sansepolcro Maior precipue, humilibus premissis etc. Meser Lucantonio finora opresso dal male non à potuto costà a voi comparire e ancora sperando con li frati dela Vernia havere qualche compenso a loro pupilli con li quali a questi dì del perdono ve state finaliter semper se sonno remessi ali vostri Officiali comme se rimase, per tanto Sua Reverentia ne scri[ve] con questa ala Excellentia del Signor Gonfalonieri comme da Sua Excellentia potrete apieno intendere, al qual supplica insiemi con Vostra Humanità li piaqua dicto termine prorogare per tutto octobre proximo per rispecto che ora si trova sul recorre de sua fructi a sua benefitii, e ancora perché le loro scripture sonno a Peroscia nelle mani de Meser Vincenzo dal Fregio, loro consultore, che fra pochi dì andara per elle e virà a voi con tutte chiarezze a più presta expeditione maxime perché Vostra Humanità nel conspecto de nostra Excellentissima Signoria disse che un mese né dua non faria caso, siché di questo strettamente ve si prega vi piaqua condescenderli, avvisandove Messer Nicolò mio fra questi pupilli vi sonno dua fanciulle così delicate quanto dire si potesse, quali con speranza de questa poca heredità se hano a maritare, siché pensate se qui sonno li frati dela Vernia comme ali vostri Signori Officiali causa pietatis potrete fare intendere, a quali humilmente se recommandano per l’amor de Dio, però che San Francesco ne sarà contentissimo, e ancora io strettamente ne prego Vostra Humanità acciò Idio ve lo remeriti in questo mondo e in l’altro. Nil aliud ad presens nisi me Humanitati Vestre commendo quod ad vita felix valent. Prego per vestra vi piaqua per lo presente latore etiam nomine Officialium vestrorum darne resposta aciò sapino quello possino fare. Excelse Humanitatis Vestre servus Magister Lucas de Burgo Sancti Sepulcri, Ordinis minorum 1 Si ringrazia il Prof. E. Mattesini per la sua consulenza in merito alla trascrizione di questa lettera e della successiva.
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Biblioteca Comunale di Forlì 161. Raccolte Piancastelli, Sez. Aut. Secc. XII-XVIII, Busta 42, ad vocem. 29 dicembre 1511, 3 gennaio 1512 Probatissimo viro dominoque suo in omnibus precipuo Domino Nicolao Michelozi dicto die Florentie al’Ofitio del’Arte dela Lana, a Orto San Michele + 1511 Da Maestro Luca dal Borgho a dì 3 di gennaio1 + 1511, a dì 29 de dicembre nel Borgo a Sansepolcro Maior precipue, commendatione premissa etc. La parte de Meser Lucantonio nostro meco insiemi fomo costì al’Ofitio vostro dela Lana, a tempo debito, e soprastemo parechi dì. Parlammo con li frati dela Vernia, l’Ufitiali non se adunar mai, Vostra Magnificentia era in villa e malsana, secondo da più intendemmo, che asai ci despiaque. La Excellentia del Signor Gonfalonieri era grandemente occupata in maioribus, maxime per questi interdetti, in modo che non v’era verso a’ pover’ omini de star più in hospitii, e Meser Lucantonio personaliter non potuit istuc acedere, podagris valde impeditus, ac etiam ratione interdicti ne comicteret benefitia sua, molestatus a leonibus rugientibus preparatis ad escam etc. Tamen in brevi reabita parum sanitate, quam primum veniet. Ma molto ci maravegliamo che non più gionti qu[e]i poveretti a casa, li fosse facto comandamento con pena de X tracti de corda e anco de denari, ché non se trovano un quatrino, e tanto hano quanto da Meser Lucantonio son suvenuti. Questo acto né apresso Dio né ’l mondo non pare sia condecente che loro sieno parte e procuratori dela parte adversa e che tormentis insultentur et minentur. Qua propter ut citius res suum sortiatur effectum et brevibus verbis comictatur causa totaliter pacato viro, videlicet Excellentissimo Principi nostro Vexilifero Iustitie perpetuo populi florentini. Et quicquid per Excellentissimam Dominationem Suam decretum fuerit, ratum et firmum ab omnibus habeatur absque ulla apellatione et pena interposita, ne ulterius vacillari contingat, sed quiete et pacifice (ut decet) uterque pars suam ducat vitam, cum unaqueque sit pia et miserabilis etc. Meser Nicolò mio, non me stenderò altramente, perché Vostra Magnificentia è homo a me gran tempo notissimo d’asettare altra trama che questa. Io ve li recomando in tutt’i modi, perché invero non porrìa essere apresso Dio magior limosina, maxime per certe fanciulle da marito, che non hano al1 Il destinatario e il mittente sono sul retro della missiva.
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tro refugio che questa poco de substantia. Se manda con questa ala Excellentia del Signor Gonfalonieri, comme potrete intendere, certi capituli circa ciò, che tucti se toglieranno senza altri litigii, perché, comme è dicto, tutto è pio, e quando questi poverini non havessero e la Vernia e l’Arte, serebono obligati a suvenirli, maxime per dicte fanciulle etc. Nec alia ad presens, nisi Vestre Magnificentie me et ipsos commendo. Idio con voi sempre. Excelse Vestre Magnificentie servus Magister Lucas Paciolus de Burgo Sancti Sepulcri, Ordinis minorum, subscripsi
Documenti su Piero della Francesca e la sua famiglia Archivio di Stato di Firenze Rogiti di Ser Leonardo Fedeli 162. Notarile Antecosimiano 7000, (anno 1487), n. 7, c. n.n. 23 gennaio 1487 A dì XXIII genaro 1487, nel Borgo In el nome de Dio. Questi sirano i pacti et comventioni di le noçe fatti fra lo spectabile homo Marcho di Benedecto Franceschi di la terra del Borgo com Maestro Michele Zançani di decta terra. Imprima promette dicto Marcho al dicto Maestro Michele per sua ligittima sposa Contessa sua figliola come richiede la Curia romana et la Sancta Madre Eclesia etc. Item per dota et in nome di dota di decta sua figliola promette dicto Marcho a dicto Maestro Michele fiorini trecento di moneta cortonese a bolognini 40 per fiorino. I quali denari li dia dare et pagare in questa forma, cioè fiorini cento a mia pititione et voluntà et il resto, che sono fiorini ducento, dia dare et pagare in termine de anni quatro prosimi che dia venire. Et ciò sia fatto a laude di Dio et di tutta la corte celestiale et cusì fatto scriverà di sua mano in questo foglio el decto Marcho presente Emilio fo di Maestro Christofano Pichi et Agnilo di Iacomo del Gaio di la detta terra del Borgo. Ego Michael Antonii Zançani scripsi manu propia anno et mese et dì sopra scripto … . Io Emilio de Messer Cristofano de’ Pichi fo presente a quanto è sopra serto e quessto òne scrito de mia propia mano etc. Io Angnilo di Iachomo dil Gaio sopra detto fui presente ala sopra dita ischrita … e a fede io me sono soto schrito de mia propia mano di voluntà ale parti, ano e meso e dì detto di sopra.
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163. Ivi, n. 8, c.n.n. 26 gennaio 1487, 27 dicembre 1487, 13 maggio 1488 A dì XXVI di zenaio 1487. Sia noto et manifesto a chi vederà questa presente scritta come io Michel d’Antonio Zançani dela terra del Borgo son contento oltra l’obligatione de mia mano fatta fra me et Marcho de Benedecto Francesci dil contratto dil parentado facto fra Contessa figliola del decto Marcho et me. Como son contento dare et pagare de i detti fiorini trecento a me promessi da detto Marcho con le conditioni et termene scritto in detto pacto fra noi … . Idem Michael manu propia Io Angnilo dil Gaio facio fede chomo Marcho sopra dito e vo chontento a quanto di sopra apare … . // 1487, a dì 27 de dicembre1 Io Pietro de’ Franceschi dipintore so’ contento de quanto in questa scricta se contene, però me so’ socto scricto de mia propia mano, anni, mesi et dì decti de sopra scricti, con quelli termini che apare in uno foglo ch’è nelle mani d’Agnilo del Gaio etc. Le quali cose io Pietro me obligo in nome de Marco mio fragello (sic) già morto etc. Io Emilio de Messer Cristofano de’ Pichi fo presente a quanto de sopra se contene e così me so’ scrito de mia propia mano de volutà dele parte, ano e mesi e dì sopra detto etc. A dì XIII magio 1488 … Io Michael sopra scripto per parte como dell’altro foglio di fiorini trecento se contene da pagarse a termene cento a bene platici miei et ducento a termine de anni quatro etc., computatto fiorini trenta larghi d’oro in oro i quali me dici i detti esser el costo de decta dotta dil Monte et soldi 14 d’oro … . Ànne dato contanti a dì detta Maestro Piero sopra scripto et Francesco etc. fiorini cento a bolognini 40 per fiorini, computato come de sopra i detti trenta fiorini larghi et soldi 14 a oro etc.
1 Tra «27» e «de dicembre» è cancellato «de novembre».
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Appendice 2 Documenti su Leonardo da Vinci e la sua famiglia Archivio di Stato di Firenze Rogito di Ser Piero di Francesco Sini 1. Notarile Antecosimiano 19229, c. 113r 29 luglio 1501 Quietatio Item postea dictis anno [Millesimo quingentesimo primo], indictione [quarta] et die vigesima nona mensis iulii. Actum Florentie et in Populo Sancti Stefani Abbatie Florentine, presentibus Ser Iohanne Gualberto Ser Antonii Salomonis et Ser Leonardo Bartholomei Pucci notariis florentinis, testibus etc. Eximius vir Magister Leonardus filius Ser Pieri Antonii de Vincio, scultor et pictor, omni modo etc. et ex certa scientia etc., fuit confessus et recognovit se habuisse et recepisse a Pietro olim Domini Iohannis de Oreno partim Lombardie, eius fictaolo, totum et integrum affictum cuiusdam petii terre et seu bonorum positorum in Porta Vercellina Civitatis Mediolani ipsius Magistri Leonardi, decursum usque in festivitatem Sancti Martini de mense novembris anni proximi preteriti et de quo quidem affictu ipse Magister Leonardus vocavit se bene pagatum tacitum et contentum, et propterea ipsum Pierum presentem et acceptantem pro se et suis heredibus de dicto fictauolo finivit, quietavit, absolvit et liberavit in omnibus et per omnia etc. iurans etc. Rogans etc.1
Rogiti di Ser Giuliano di Giovanni della Valle 2. Notarile Antecosimiano 9915, c. 165r 23 agosto 1505 Mundualdus 1505. Indictione VIII et die XXIII mensis augusti. Actum in Secunda Cancelleria Palatii florentini, presentibus Ser Andrea quondam Romuli Laurentii notario et cive florentino et Thomasio Balduccii comandatore Dominationis et Raphaele Iacobi Iohannis tabulaccino, testibus etc. Domina Chatherina vidua, uxor olim Antonii Bast[i]ani de Montevarchio, dicens se carere proprio mundualdo et petens etc. dedi Leonardum Ser Petri de 1 Di lato a sinistra si legge l’annotazione «publicata et restituta», riguardante la «Quietatio». In fondo alla pagina è riportata la seguente postilla: «Rescontratus fuit liber dicti Ser Pieri per me Iohanne Ser Silvani Iohannis nomine Ser Antonii de Ubaldinis notario viscontii, a die IIII maii 1501, c. 86, usque a diem III iulii 1501, c. 113. Et in fidem suprascripti».
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Vincio presentem et esse volentem etc. cuius etc. consensu etc. prefata Domina etc. possit et se et sua obligare et cui etc. meam interposui auctoritatem etc. Rogans etc.
3. Ivi, cc. 165r-165v 23 agosto 1505 Recognitio debiti Item postea incontinenter … . Prefata Domina … // ex certa scientia et per se et suos heredes … se recognovit debitricem Daddi olim Pieri Luoli de Montevarchio, presentem et aceptantem, in et de summa £ XV et s. X florenorum parvorum, pro residuo totius id quod dictus Daddus petere posset prefate Domine Chatherine nec non Francisco eius filio et Christoforo Pieri Ser Christofori, occaxione affictuum bonorum olim dicti Daddi et restitutorum prefate Domine seu dicto Francisco eius filio, nec non expensarum quomodolibet factarum in quacumque curia per dictum Daddum et cuiuscumque extimationis grani dictorum affictuum et gabelle dictorum bonorum restitutorum … .
Rogiti di Ser Simone di Dino di Simone 4. Notarile Antecosimiano 19169, cc. 32r-32v 12 novembre 1485 Compromissum 1485. Indictione IIII, die vero XII mensis novembris dicti anni. Actum Florentie in Populo Sancte Marie in Campo de Florentia, presentibus Ser Stefano Iohannis Buonaiuti cive et notario florentino et Iohanne Antonii Baldovini linaiuolo et dicti Populi Sancte Marie in Campo de Florentia … . Ser Pierus quondam Antonii Ser Pieri de Vincio civis et notarius florentinus, per se et suos heredes et omni meliori modo quo potuit, ex una, et Domina Lisa vidua et filia olim Iohannis Iacobi Buonafé et uxor olim Guglielmi de Cortigianis … et // Alexander et Iohannes fratres et filii olim Guglielmi Gherardi de Cortigianis et filii etiam dicte et suprascripte Domine Lise … ex alia … generale compromissum fecerunt in Reverendum Dominum Boninum [ ] de presenti hospitalarum Sancti Pauli de Florentia et Bernardum Karoli de Ghiaceto et Pierum Michaelis del Gigante cives florentinos … cum pacto … promittente … Ser Piero florenos centum auri … .
5. Ivi, c. 32v 12 novembre 1485 Matrimonium Eisdem anno, indictione, die, loco et coram dictis et suprascriptis testibus ad infrascripta omnia vocatis, habitis et rogatis.
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Domina Lucretia filia olim Guglielmi de Cortigianis, ex una, et Ser Pierus quondam Antonii Ser Pieri de Vincio civis et notarius florentinus, ex alia, ad invicem per verba de presenti et anuli dationem et receptionem legitimum matrimonium contrasserunt. Rogatus etc.
Rogiti di Ser Antonio di Giovanni Mini 6. Notarile Antecosimiano 14288, c. 322v 15 dicembre 1505 Mundualdum Item postea dictis anno [1505], indictione [VIII] et die quintodecimo mensis decembris. Actum in Offitio Pupillorum, presentibus Ser Nicholao Doratei de Fiorellis et Piero Iohannis famulo dicti Offitii, testibus etc. Constituta in presentia mei notarii infrascripti et testium, suprascripta Domina Lucretia vidua, uxor olim Ser Pieri Antonii Ser Pieri de Vincio, petiit in suum mundualdum Antonium Iohannis Bonafé ibidem presentem … .
7. Ivi, c. 322v 15 dicembre 1505 Item postea, dictis anno, indictione et die et coram dictis testibus etc. Prefata Domina Lucretia … cum consensu dicti sui mundualdi ibidem presenti … accepit et seu adhivit tutelam et pro tempore curam heredum et filiorum olim Ser Pieri de Vincio … .
8. Ivi, cc. 322v-323r 15 dicembre 1505 Datio tutele Dicta suprascripta die et in suprascripto loco et coram dictis testibus etc. Offitiales Pupillorum ut tutores et pro tempore curatores dictorum heredum et filiorum Ser Pieri de Vincio … habentes notitiam qualiter nunc sint menses XVI quod Ser Pierum Antonii de Vincio mortuus est et decessit … et supervivente dicta Domina Lucretia eius uxore et Benedicto, Pandolfo, Gugl[el]mo, Bartholomeo et Iohanne, filiis legiptimis et naturalis dicte Domine Lucretie et dicti Ser Pieri, et viso qualiter dicti suprascripti omnes fuerint et sint minores annorum XVI et qualiter dictus Ser Pierus mortuus est et decessit ab intestato etc. et viso qualiter dicti // filii et heredes dicti Ser Pieri careant tutore … dictam tutelam et pro tempore curam dictorum hereditatis et heredum et filiorum dicti Ser Pieri adhiverunt et acceptaverunt … .
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Rogito di Ser Bastiano di Antonio Ramucci 9. Notarile Antecosimiano 17544, c. 371v 30 dicembre 1506 Donatio facta filiis 1506, indictione X et die XXX decembis. Actum in Populo Sancte Margherite de Florentia et in domo Domini Niccolai de Altovitis. Presentibus Filippo Mecheri Baldassarris de Vincio et Filippo Domini Niccolai de Altovitis cive florentino. Domina Lucretia vidua filia olim Ghuglielmi Gherardi de Chortigianis et uxor olim Ser Pieri Antonii de Vincio … dedit et donavit etc. Benedicto, Pandolfo, Guglielmo, Bartolomeo et Iohanni eius et dicti olim Ser Pieri filiis legitimis et naturalibus …, iuria dotalia et dotes suas, prout apparere dixit per quamdam scriptam factam sub die XII novembris 1485 manu Ser Simonis Sinis Simonis notarii florentini et subscriptam manu ditti Ser Pieri et Alexandris et Iohannis fratrum carnalium dicte Domine …, florenorum centum de sigillo … .
Rogito di Ser Antonio di Niccolò Ferrini 10. Notarile Antecosimiano 7218, c. 140v 10 novembre 1514 Dos florenorum 400 largorum Item postea dictis anno [1514], indictione [3ª] et die X novembris. Actum in Populo suprascripto [Sancte Lucie Omnium Sanctorum de Florentia],1 presentibus testibus Ser Bartolomeo Ser Iohannis de Stia notario florentino et Iohanne Niccolai famulo Gabelle, infrascriptis etc., civibus florentinis. Ser Iulianus olim Ser Pieri Antonii de Vincio civis et notarius florentinus, sponte et ex certa scientia etc. et omni modo etc., fuit confessus habuisse pro dote Domine Alexandre eius uxoris et filie Iohannis Antonii Francisci Dini, et pro ea ab Offitialibus Montis Comunis Florentie, florenos quatuorcentos largos de grossis … .
Rogiti di Ser Pierfrancesco di Alberto degli Olivieri 11. Notarile Antecosimiano 15532, c. 30r 23 luglio 1503 Datio anuli In Dei nomine amen. Anno Domini Millesimo quingentesimo tertio, indictione sexta, die vero XXIII iulii. Actum Florentie in Populo Sancti Petri Maioris 1 Dove fu rogato un atto precedente del 9 novembre, appena iniziato e cassato, a c. 139v.
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de Florentia, presentibus Lazero olim Antonii de Lottis coriario et cive florentino etc. Domina Violans filia Ser Petri Antonii de Vincio civis et notarii publici florentini et Franciscus Dominici Bartholomei battilorus vel ut vulto dicitur ‘maestro di fogl[i]a’, civis florentinus, ambo simul inter se per verba de presenti et anuli dationem et receptionem ad invicem mutuo consensu matrimonium legitimum contraxerunt. Rogantes etc.
12. Ivi, cc. 32v-33v 1º settembre 1503 Dos Domine Violantis filie Ser Pieri de Vincio Item postea dictis anno [1503], indictione [VI] et die prima mensis septembris. Actum Florentie in Populo Sancte Marie del Fiore de Florentia, in domo infrascripte Domine // Alexandre et filiorum, presentibus testibus etc. Francisco olim Zenobii alterius Zenobii legnaiuolo Populi Sancti Petri Maioris de Florentia et Andrea Francisci Andree lignaiuolo Populi Sancti Ambroxii de Florentia. Domina Alexandra vidua filia olim Benvenuti Michaelis de Olivieris et uxor olim Dominici Bartholomei Nicolai vetrai Pupuli Sancte Marie del Fiore de Florentia … et Franciscus et Niccolaus et Iobaptista, fratres et filii olim Dominici Bartolomei bichierai et dicte Domine Alexandre, eorum nominibus propriis ac et pro et vice et nomine Laurentii eorum fratris carnalis … fuerunt confessi et contenti habuisse et recepisse partim ab Officialibus Montis Comunis Florentie et partim a Ser Piero olim Antonii Ser Pieri de Vincio cive et notario publico florentino dantibus et solventibus in dotem et nomine dotis Domine Violantis, filie dicti Ser Pieri de Vincio et uxoris dicti Francisci, inter denarios et res mobiles, … florenos millecentum de sigillo hoc modo, videlicet: florenos ottingentos largos de grossis a dictis Officialibus Montis, videlicet florenos 800 largos de grossis, qui floreni 800 largi de grossis faciunt et ascendunt ad summam florenorum noningentorum sexaginta, videlicet florenorum 960 de sigillo, residuum vero dicte quantitatis, videlicet florenos 140 de sigillo, a dicto Ser Piero de Vincio … // … .
13. Notarile Antecosimiano 15533, c. 92r 15 aprile 1511 Locatio domine Lucretie et filiorum Ser Pieri de Vincio Item postea dictis anno [1511], indictione [14ª], die vero XV dictis mensis aprilis. Actum Florentie in Populo Santi Stefani Abbatie fiorentine, presentibus Ser Ioannantonio Francisci Ser Iacopi de Minis cive et notario florentino et Paulo Andree Marci Populi Sancti Fedriani de Florentia, testibus etc. Domine Lucretie vidue filie olim Guiglielmi Gherardi de Cortigianis et uxori olim Ser Pieri Antonii Ser Pieri de Vincio, presenti et petenti etc., dedi in suum mundualdum Lodovicum Francisci de Puppio … .
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14. Ivi, cc. 92r-92v 15 aprile 1511 Item postea incontinenter. Suprascripta Domina Lucretia vidua, cum consensu dicti Lodovici sui legiptimi mundualdi … ut et tamquam tutrix et pro tempore curatrix Bartholomei et Iohannis fratrum et filorum dicti olim Ser Pieri de Vincio, prout de dicta tutela et pro tempore cura constare dixit manu Ser Andree Ser Iohannis de Minis … et Guiglelmus olim Ser Pieri Antonii Ser Pieri de Vincio maior ut dixit etatis annorum XVIII completorum … et vice et nomine Benedicti et Pandolfi fratrum carnalium dicti Guiglelmi … locaverunt et concesserunt ad pensionem Maxio olim Bartholomei Iuseffe de Albizis … unam domum cum palchis, salis, cameris, terreno, volta, curia, lodiis, coquinis et aliis suis hedifitiis et habituris positam Florentie et in via detta Via Ghibellina, cui toti a primo dicta via, a II videlicet retro dictam domum alia via detto dal Canto alla Briga qua igitur ad Sanctam Verdianam, a III Michelangeli Battilori, a 4º Bartholomei de Marruscelli, a 5º heredum Ser Neri de Orlandis civis // et notarii florentini, a VI Petri Leonardi de Verrazzano …, pro tempore et termino quinque annorum proxime futurorum incipiendorum die prima mensis maii proxime futuri 1511 et ut sequitur finiendorum, pro pretio etc. quolibet anno florenorum viginto otto largorum de grossis, solvendorum de sex mensibus in sex menses … . Cum pacto etc. quod dictus conductor possit dictam domum et bona alteri relocare et cum pacto etc. quod liceat dicto conductori ut dicitur vulgo ‘fare disfare’ uno muro di mattoni sopra mattoni che è nel mezzo della corte di detta casa, il quale divideva detta casa, cioè dalla parte dinanzi a quella di rieto … .
15. Notarile Antecosimiano 15533, cc. 196r-196v 17 maggio 1512 Licentia solvendi florenos XXI auri pro filiis Ser Pieri de Vincio Item postea dictis anno 1512, indictione [15ª], die vero XVII dicti mensis maii. Actum Florentie in Populo Sancte Marie Novelle de Florentia, et presentibus Fratre Benedicto Doni de Florentia et Fratre Matthia Francisci de Florentia ambobus fratribus profexis in Monasterio Sante Marie Novelle de Florentia, Ordinis predicatorum, testibus etc. Laurentius olim Ser Pieri Antonii de Vincio suo proprio et privato nomine et ut heres pro una quarta parte ab intestato olim Domine Margherite sue matris et uxoris dicti olim Ser Pieri de Vincio, ac et ut et tamquam procurator Antonii et Dominici eius fratrum carnalium, heredum inter ambos pro aliis duobus quartis partibus ab intestato dicte olim Domine Margherite eorum matris, prout de eius mandato … constare dixit manu Ser Benedicti olim Ser Filippi Antonii de Fucechio notarii florentini, sub suo tempore …, dedit et concessit licentiam etc. Benedicto, Pandolfo, Guiglelmo, Bartolomeo et Iohanni fratribus et filiis dicti olim Ser Pieri Antonii de Vincio et ex alia uxore dicti Ser Pieri, licet
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absentibus, et dicto Benedicto presenti et mihi notario, ut … solvant Ser Iuliano filio dicti olim Ser Pieri Antonii de Vincio ex suprascripta Domina Margherita et fratri carnali dicti Laurentii, Antonii et Dominici, florenos viginti et unum auri largos in auro, occaxione dotis et parte dotis dicte olim Domine Margherite dictis Laurentio, Antonio et Dominico debitam per dictos Benedictum, Pandolfum Guiglelmum, Bartolomeum et Iohannem … .
16. Notarile Antecosimiano 15534, c. 10v 5 maggio 1514 Mandatum Benedicti Ser Pieri de Vincio Item postea dictis anno 1514, indictione II et die quinta mensis maii dicti anni. Actum Florentie in Populo Sancti Ambrosii de Florentia et presentibus Raffaello Sanctis Luce mercatore Populi Sancte Marie a Montughi prope Florentiam et Ser Bernardo olim Domini Iohanbatiste de Gamberellis notario florentino, testibus etc. Benedictus olim Ser Pieri Antonii de Vincio civis florentinus, non revocando etc., omni meliori modo etc., fecit etc. suos procuratores etc. Dominam Lucretiam viduam filiam olim Guglelmi olim Gherardi de Cortigianis et uxorem dicti olim Ser Pieri de Vincio, matrem dicti Benedicti, et Pandolfum fratrem carnalem dicti Benedicti … .
17. Notarile Antecosimiano 15534, c. 360r 19 giugno 1517 Die XVIIII dicti mensis iunii 1517. Actum Florentie in Populo Sancti Stefani Abbatie florentine et presentibus Cione Galeazzi Cionis de Pittis cive florentino et Lodovico Francisci Pieri de Puppio banditore Populi Sancti Ambroxii de Florentia, testibus etc. Domine Francisce vidue uxori olim Iohannis Antonii Dini civis florentini et filie olim Antonii Andree de Mazzis, presenti et petenti, dedi etc. in suum mundualdum Ser Antonium Ridolfi Iunctini de Iunctinis civem florentinum presentem etc. … .
18. Ivi, cc. 360r-361v 19 giugno 1517 Item postea incontinenter, dictis anno, indictione, die et loco et coram eisdem suprascriptis testibus etc. Cum sit quod usque in annum Domini 1514 et mensem augusti dicti anni vel alio veriori tempore infrascriptum Ser Iulianum Ser Pieri de Vincio civem et notarium florentinum, ex una, et Dominam Alexandram filiam dicti olim Iohannis Antonii Dini contractum fuit matrimonium per verba de presenti, et per Pierum fratrem carnalem ipsius Domine Alexandre, suo nomine proprio et pro et vice et nomine fratrum suorum, eidem Ser Iuliano promissum fuerit in dotem
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et dotis nomine ipsius Domine Alexandre florenos ducentos de sugello … // … Franciscus [Iohannis Antonii Dini] procurator dicti Pieri et // prefata Domina Francisca et pro et vice et nomine Niccolai eius filii …, loco pignoris et hipotheca, dederunt et consignaverunt … in pignis eidem Ser Iuliano tertiam partem unius domus posite Florentie in Populo Sancti Ambroxii de Florentia, in Via Ghibellina, cui a primo dicta via, a II heredum Ioannis Bernardi Dini, a III illorum de Bamellinis, a 4º Bernardi cimatoris, in predictos confines etc. …, et ex dicta tertia parte recipiendo pensionem pro recta propter onera matrimonii etc. … . Et eidem Ser Iuliano // promiserunt solvere ex retractu pensionis dicte domus … florenos 150 largos … .
19. Notarile Antecosimiano 15534, c. 427r 14 maggio 1518 Mundualdum Die XIIII dicti mensis maii 1518. Actum Florentie in Populo Sancti Petri Maioris de Florentia et presentibus Luca Andree Luce de Carnesechis cive florentino dicti Populi Sancti Petri Maioris et Clemente Antonii Fortini fornario Populi Sancti Ambroxii de Florentia, testibus etc. … . Domine Lucretie vidue, uxori olim Ser Pieri Antonii de Vincio, notarii publici et civis florentini, et filie olim Guiglelmi Gherardi de Cortigianis, presenti et petenti, dedi in suum mundualdum etc. Nannem Papini Nannis de Vincio, presentem … .
20. Ivi, cc. 427r-427v 14 maggio 1518 Item postea incontinenter, dictis anno, indictione, die et loco et coram suprascriptis testibus etc. Retrocessio filiorum Ser Petri de Vincio in eorum matrem Bartholomeus et Iohannes fratres et filii olim Ser Petri Antonii de Vincio et dicte suprascripte Domine Lucretie ut et tamquam donatarii quilibet eorum pro una quinta parte et inter ambos pro duabus quintis iurium dotalium suprascripte Domine Lucretie … ac et ut heredes quilibet eorum pro una 4ª parte ab intestato olim Pandolfi eorum fratris carnalis … // … retro donaverunt et dederunt et renunptiaverunt etc. omnia et quacumque iura etc. eisdem Bartholomeo et Iohanni quomodolibet competentia … vigore dicte donationis … ac etiam retro cesserunt dicta eorum iura etc. dicte Domine Lucretie … .
21. Ivi, cc. 427v-428r 14 maggio 1518 Recognitio debiti per filios dicti Ser Petri de Vincio in eorum matrem Item postea incontinenter dictis anno, indictione, die et loco et coram suprascriptis eisdem testibus etc..
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Prefati Bartholomeus et Iohannes heredes quilibet eorum pro una nona parte ab intestato dicti Ser Pieri Antonii de Vincio eorum patris, ac etiam heredes quilibet eorum pro una 4ª parte ab intestato dicti olim Pandolfi eorum fratris utrinque coniuncti heredes pro una alia nona parte dicti olim Ser Pieri de Vincio … propter secutam mortem dicti Pandolfi … recognoverunt se esse veros et legiptimos debitores dicte Domine Lucretie eorum matris presentis etc., pro parte tangente eisdem Bartholomeo et Iohanni, dictis modis et nominibus, in et de summa et quantitate quilibet eorum de florenis quinquaginta auri largorum in auro … // … .
22. Notarile Antecosimino 15535, cc. 32r-32v 6 agosto 1519 Locatio filiorum Ser Petri de Vincio de domo de Florentia Item dictis anno [1519], indictione [VII], die [VI mensis augusti], et loco [Florentie, in Populo Sancti Stefani Abbatie florentine] et coram Ser Iohanne olim Ser Andree de Minis et Ser Dominico olim Baptiste Dominici Ser Filippis notariis publicis florentinis, testibus etc. Guiglelmus olim Ser Petri Antonii de Vincio civis florentinus, suo proprio et privato nomine ac et ut procurator nomini Benedicti, Bartholomei et Ioannis eius fratrum carnalium …, locavit ad pensionem Luce olim Andree Luce de Carnesechis civi florentino … unam domum cum palcis, salis, cameris, terreno, volta, lodia et curia et puteo et aliis suis edifitiis et pertinentiis, positam Florentie in Populo Sancti Petri Maioris de Florentia in via detta Via Ghibellina, cui toti a primo dita via, a II dictorum locatorum, a II Petri Banchi de Verrazano, a 4º Michelangeli [ ] battilauri, in predictos confines, et pro tempore et termino novem annorum proxime futurorum, initiandorum die prima mensis novembris proxime futuri 1519 et ut sequitur finiendorum, pro annua pensione florenorum quindecim auri largorum in auro … // … .
23. Ivi, cc. 43r-46r 22 settembre 1519 Testamentum Ser Iuliani de Vincio In Dei nomine amen. Anno Domini nostri Yeshu Christi ab eiusdem salutifera incarnatione Millesimo quingentesimo decimo nono, indictione VII et die XXII mensis settembris dicti anni 1519. Actum Florentie in Populo Sancti Ambroxii de Florentia et in domo habitationis dicti testatoris, et presentibus discretis viris: Niccolao Simonis Niccolai de Strinatis cive florentino et Niccolao olim Ser Niccolai Ser Antonii de Romena cive florentino, ambobus dicti Populi Sancti Ambroxii de Florentia, et Bernardo Augustini Dominici sutore Populi Sancti Petri Maioris de Florentia et Petro Bartholomei Petri de Guadagnis dicti Populi Sancti Petri Maioris de Florentia et
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Francisco Stefani Laurentii filatoiaio dicti Populi Sancti Petri Maioris de Florentia et Baptista Dominici Simonis tintore in Arte Maioris dicti Populi Sancti Petri Maioris et Petro Christofori Petri de Prato Veteri habitatore Florentie in predipto Populo Sancti Ambroxii de Florentia, testibus proprio ore dicti testatoris ad infrascripta omnia vocatis, habitis et rogatis. Cum nihil sit certius morte et nil incertius eius hora … hinc est quod prudens vir Ser Iulianus olim Antonii Ser Pieri1 de Vincio civis et notarius publicus florentinus, sanus per Dei gratiam mente, visu, sensu et intellectu, licet corpore languens … per hunc ultimum suum nuncupativum testamentum quod sine scriptis dicitur, ordinavit, disposuit et fecit in hunc quod sequitur modum et formam, videlicet: Imprimis … corpus vero suum sepelliri voluit … in Ecclesia Abbatie florentine de Florentia in sepulcro dicti olim Ser Petri sui patris … . Item iure legati reliquit et legavit Domine Alexandre, eiusdem testatoris dilecte uxori et filie olim Iohannis Antonii Dini civis florentini, dotes suas alias per eum confessatas manu publici notarii … hoc modo, videlicet florenorum quadringentorum // largorum de grossis super Monte Puellarum Civitatis Florentie ac etiam florenorum triginta sex auri largorum in auro in contantibus et florenorum quinquaginta de sigillo in donamentis dotalibus et pannis et bonis mobilibus … . // … . Item attento etiam quodam legato et relicto facto per olim Leonardum Ser Petri Antonii de Vincio, fratrem dicti testatoris, eidem testatori et fratribus suis et omnibus filiis legiptimis et naturalibus dicti olim Ser Petri de Vincio et nominatim de florenis sive scudibus di sole quatuorcentis sub nomine dicti Leonardi, seu sub alio nomine, depositatis penes Hospitale et Hospitalarium Sancte Marie Nove de Florentie et eius Camarlingum et ad rationem lucri quinque pro centinaio, depositatis et iam sunt anni sex proxime elapsi et ultra, et de certis petiis terrarum et bonis immobilibus positis a Fiesole et dicto et ad dictum Leonardum ex causa directi averi dominii, proprietatis et possessionis pertinentis et spectantis et de aliis in dicto testamento dicti olim Leonardi relictis sive que et in quocunque legato cuiuscunque testamenti et ultime voluntatis dicti olim Leonardi dictis fieri modis voluit, disposuit et mandavit dictus testator quod similiter de omni retractu et quicquid exigi poterit ex omnibus predictis et pro ratione tangenti dicto testatori sequantur et fiant offertis infrascripti ut infra in sequendis legatis apponendi. // … . Item iure legati reliquit et legavit Violanti, eiusdem testatori filie legiptime et naturali nate ex dicto testatore et dicta Domina Alexandra eius uxore predicta, pro dote sua, florenos ottigentos largos de grossis constituendis super Montem Comunis Florentie sub nomine dicte Violantis … . Item iure legati reliquit et legavit Margherite eisdem testatori filie spurie, nate ex dicto testatore et quadam Sandra [ ] olim eius famula, florenos quattuor 1 Dovrebbe essere «Ser Pieri Antonii».
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centos largos de grossis Montis videlicet constituendis super Montem Comunis Florentie, sub nomine dicte Margherite … . // c. 45v Item iure legati reliquit et liberavit Laurentium et Dominicum fratres utriusque coniunctos dicti testatoris, ac etiam Benedictum, Bartholomeum, Guiglelmum et Pierum fratres dicti testatoris et filios dicti olim Ser Petri de Vincio ex ultima uxore legitima dicti olim Ser Petri, et debitores dicti testatoris … . In omnibus autem aliis suis bonis mobilibus et immobilibus … fecit et esse voluit dictam Violantem eisdem testatoris filiam legiptimam et naturalem ex eo natam et dicta Domina Alexandra eius uxore predicta, minorem et pupillam et in pupillari etate. Et si dicta Violantes quacumque decesserit in pupillari etate vel etiam quacumque antequam nubat et viro tradatur ac et in casu quo … in monasterum ingrediatur, tunc et in dicto casu et casibus et quolibet vel altero eorum eidem Violanti substituit suprascriptum Laurentium olim Ser Pieri Antonii de Vincio fratrem carnalem utriusque coniunctum dicti testatoris in bonis solummodo immobilibus patrimonialibus eidem testatori in sua portione devenutis ex hereditate dicti olim Ser Pieri Antonii de Vincio eorum patris, positis a Bacchereto, cum isto tamen onere, conditione, pacto et lege quod dictus Laurentius teneatur dictam Violantem, filiam legiptimam et naturalem dicti testatoris … ac etiam Margheritam, eiusdem testatoris filiam spuriam, apud se retinere et educare … . Et si dictus // Laurentius quacumque decederet sine filiis legiptimis et naturalibus … et superviventibus dicta Violante vel etiam dicta Margherita et qualibet vel altera earum, tunc et in dicto casu et casibus, voluit dictus testator quod dicta bona immobilia patrimonialia posita a Bacchereto … revertatur primo dicte et ad dictam Violantem … . Et si non supervivat … dicta Violantes ac et post mortem dicte Violantis revertatur ad dictam Margheritam filiam spuriam dicti testatoris … . Post quarum quidem Violantis et Margherite … mortem … suprascripta omnia bona immobilia patrimonialia et posita a Bacchereto iure substitutionis reliquit et deveniri voluit dictus testator Antonio olim Antonii Ser Pieri Antonii de Vincio fratri carnali utriusque coniuncto dicti testatoris et dicti Laurentii et eiusdem Antonii filiis masculis legiptimis et naturalibus … . Tutorem vero et pro debito tempore curatorem dicte Violantis fecit, constituit et ordinavit et esse voluit suprascriptum Laurentium olim Ser Pieri Antonii de Vincio fratrem carnalem utriusque coniunctum dicti testatoris … Et hac dixit etc. … .
Rogiti di Ser Benedetto di Filippo Buonaccorsi 24. Notarile Antecosimiano 3457, c. 69r 15 maggio 1512 Procura Eisdem anno [1512], indictione [15ª] et die 15 maii. Actum in domo Comunis Vincii habitationis mei notarii infrascripti, presentibus Iohanfrancesco Blasii Chelini de Vincio et Matteo Batiste Mattei de Florentia, testibus etc.
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Antonius et Dominicus, fratres et filii olim Ser Pieri Antonii de Vincio cives florentini … fecerunt eorum procuratorem Laurentium eorum fratrem carnalem et filium olim dicti Ser Pieri presentem … . //
25. Ivi, c. 70r 15 maggio 1512 Revocatio procuratoris filiorum Ser Pieri de Vincio Eisdem anno, indictione, die, loco et presentibus suprascriptis testibus etc. Cum sit quod Antonius, Laurentius et Dominicus fratres et filii olim Ser Pieri Antonii de Vincio notarii et civis florentini, constituerunt et fecerunt eorum procuratorem Ser Iulianum eorum fratrem carnalem et filium olim dicti Ser Pieri de Vincio … . Et cum sit quod suprascriptus Ser Iulianus ut procurator ipsorum moverit litem et questionem Benedicto, Pandolfo, Guglielmo, Bartolomeo et Iohanne fratribus et filiis olim dicti Ser Pieri de Vincio … et fratribus dictorum Antonii, Laurentii et Dominici et dicti Ser Iuliani, pro residuo dotis Domine Margherite filie olim [ ] de Giullis et terzie uxoris dicti Ser Pieri de Vincio … qua propterea predicti Antonius, Laurentius et Dominicus constituti in presentia mei notarii infrascripti … renuntiaverunt, cassaverunt et annullaverunt dictum mandatum per eos factum et datum dicto Ser Iuliano … // … .
26. Notarile Antecosimiano 3458, c. 170r 21 maggio 1513 Eisdem anno [1513], indictione [prima] et die 21 maii. Actum in domo habitationis Ser Pieri de Vincio in Burgo Vincii, presentibus Pietro Pagolo Guglielmi de Vincio et Presbitero Spinello Prosperi de Sancto Miniato habitante a Vinci. Domine Lucretie vidue et filie olim Guglielmi de Cortigianis de Florentia et uxori olim Ser Pieri Antonii de Vincio civis notarii florentini, presenti …, dedi etc. suum et pro suo mundualdo Iohanfrancesco Blasii de Vincio, presentem … .
27. Ivi, cc. 170v-171r 21 maggio 1513 Item postea incontinenter etc. Suprascripti Domina Lucretia, cum consensu etc. et ut et tamquam tutrix et pro tempore curatrix Iohannis eius filii et filii olim dicti Ser Pieri prout declarata tutela ipsa dixit publici instrumenti rogati manu Ser Andree Ser Iohannis de Minis, civis et notarii fiorentini, … et Pandolfus et Bartolomeus fratres et filii olim dicti Ser Pieri Antonii de Vincio … fecerunt procuratorem Benedictum Ser Pieri Antonii eorum fratrem spetialiter et nominatim ad licentiandum quemdam depositum factum per dictam Dominam Lucretiam tutricem predictam et per dictos Pandolfum, Guglielmum et Bartolomeum penes Cameram Ospitalis Sancte Marie Nove // de Florentia, sub die 29 mensis decembris proxime preteriti 1512 … .
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Rogiti di Ser Giovanni di Francesco Lapucci 28. Notarile Antecosimiano 11540, cc. 130r-133v 20 dicembre 1505 In Dei nomine amen. Nos Laurentius Antonii Domini Allexandri de Allexandris et Carolus Apandi de Lottinis et Ugo Francisci de Nuptia cives florentini arbitri et arbitratori electi et assumpti per compromissum a Domina Lucretia vidua filia olim Guilielmi Gherardi de Cortigianis et uxori olim Ser Petri Antonii de Vincio, suo nomine proprio et ut tutrice et pro tempore curatrice Benedicti et Pandolfi et Guilielmi et Bartholomei et Iohannis fratrum et filiorum et heredum dicti olim Ser Petri Antonii de Vincio pro eorum rationibus …, ex una parte, et a Ser Iuliano filio et herede dicti olim Ser Petri, pro sua ratione et pro et vice et nomine Antonii et Laurentii et Dominici suorum fratrum olim filiorum et heredum pro eorum ratione dicti olim Ser Petri prout de compromisso … constat manu Ser Francisci [ ] de Cenninis civis et notarii florentini sub die 22 mensis augusti proximi preteriti // … laudamus, sententiamus, arbitramur et arbitramentamur in hunc quod sequitur modum et formam, videlicet: In primis, cum inveniamus et nobis constet inter dictas partes fuisse et esse lites et controversiam occaxione et causa bonorum communium inter dictas partes. Et enim inveniamus et nobis constet in bonis immobilibus dicti olim Ser Petri de Vincio eorum patris remansisse bona immobilia quorum invenimus fuisse et esse extimatio et valuta in totum florenorum 3542 ad £. 4, s. 2 pro quolibet floreno. Et cum inveniamus et nobis constet dictum Ser Petrum de Vincio primo loco habuisse in uxorem Dominam Margheritam et ex ea discesisse Antonium et Ser Iulianum et Laurentium et Dominicum. Et cum in et ultimo loco habuisse in uxorem Dominam Lucretiam filiam olim Guilielmi de Cortigianis et ex ea discesisse Benedictum et Pandolfum et Guilielmum et Bartholomeum et Iohannem eius filios masculos. Et volentes // dictas partes dividere … dicta bona immobilia dividimus, damus et adiudicamus, arbitramur et arbitramentamur in hunc quod sequitur modum et formama, videlicet: In primis namque et in primo loco et in partem et portionem dictorum Benedicti et Pandolfi et Guilielmi et Bartholomei et Iohannis filiorum dicti quondam Ser Pieri de secunda uxore et ad commune inter eos et pro quinque partibus de novem partibus tangentibus dictis supranominatis filiis dicti Ser Petri eiusdem Benedicto et Pandolfo et Iuliano et Bartholomeo et Iohanni … damus, concedimus et adiudicamus bona infrascripta et per infrascripta extimata, videlicet. In primis unam domum positam in Civitate Florentie in Via Ghibellina et in Populo Sancti Petri Maioris de Florentia quam fuit olim dicti Ser Petri et in suos confines, pro extimatione florenorum settemgentorum nonaginta setem ad rationem librarum quatuor, s. 2 florenorum parvorum, pro quolibet floreno … . Item unum podere cum domo pro laboratore … positum in Populo Sancti Bartholomei a Streda Comitatus Florentie, loco dicto Streda … pro extimatione et valuta florenorum quingentorum quinquaginta … . // Item unam domum po-
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sitam in Castro Vinci … in suos confines, pro extimatione florenorum 60 ad dictam rationem. Item unum podere cum domo pro laboratore … positum in Populo Sancte Marie al Pruno, loco dicto la Costereccia et in suos confines, pro extimatione florenorum 330 ad dictam rationem. Item unum petium terre laboratie positum in Populo Sancte Crucis de Vincio loco dicto Grillaio et in suos confines, pro extimatione florenorum 30 ad dictam rationem. Item unum plura petia terrarum … posita in dicto Populo Sancte Crucis de Vincio loco dicto ‘drieto al fosso’ et in suos confines, pro extimatione florenorum quinquaginta ad dictam rationem. Item unum petium terre parte laboratie et parte olivate et parte boscate positum in populo predicto et sive in Populo Sancte Marie a Faltognano loco dicto Gello et in suos confines, pro extimatione florenorum sexaginta ad dictam rationem. Item unum petium terre laboratie positum in Populo Sancte Crucis de Vincio loco dicto Valico di Baccello et in suos confines, pro extimatione florenorum decem otto ad dictam rationem. Item duo petia terre posita in Populo Sancte Marie a Faltognano loco dicto in Faltognano et in suos confines, pro extimatione et valuta florenorum septuaginta de sigillo … . Et omnia bona ad una somma reducta faciunt in totum summam et quantitatem // florenorum mille noningentorum sesaginta unius ad dictam rationem librarum quatuor et soldorum duorum pro quolibet floreno. Item in alia parte et pro parte et portione dicti Antonii et Ser Iuliani et Laurentii et Dominici filiorum dicti Ser Petri ex prima uxore, et pro quatuor partibus de novem partibus dictis filiis dicti Ser Petri tangentibus et ad communes inter eos et eisdem, damus, concedimus et adiudicamus infrascripta bona … et pro infrascriptis extimationibus, videlicet: In primis unum podere cum domibus pro domino … positum in Populo Sancte Marie a Bacchereto, loco dicto Bacchereto in suos confines, pro extimatione et valuta florenorum quingentorum quinquaginta ad rationem librarum quatuor et soldorum duorum pro quolibet floreno. Item duo podera simul posita cum domibus pro laboratore … posita in Populo Sancte Lucie a Paterno, loco dicto Anchiano … in suos confines, pro extimatione florenorum quatuorcentorum viginti unius ad dictam rationem £. 4, s. 2 pro quolibet floreno. Item unum poderettum … positum in Populo Sancte Marie a Faltognano loco dicto Sancta Maria Nuova in suos confines … pro extimatione florenorum septuaginta quinque ad dictam rationem. Item unum podere positum in dicto Populo Sancte Marie // a Faltognano loco dicto la Noce in suos confines, pro extimatione florenorum 180 ad dictam rationem. Item unum podere positum in dicto Populo loco dicto al Cappannile, pro extimatione florenorum ducentorum ad dictam rationem. Item unum poderettum positum in dicto Populo loco dicto a Novelleto in suos confines, pro extimatione et valuta florenorum 60 ad dictam rationem. Item duas domos positas in Burgo Vinci in Populo Sancte Crucis de Vincio cum eorum pertinentiis, pro extimatione inter ambas florenorum nonaginta quinque ad dictam rationem, que omnia bona faciunt summam et quantitatem florenorum 1581 ad dictam rationem librarum 4, soldorum 2 pro quolibet floreno … // … . Item iustis causis moti, volumus et declaramus quod podere conductum ad lineam maschulinam per dictum olim
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Ser Petrum a monialibus del Paradiso pertineat et spectet ad dictos filios dicti Ser Petri de prima uxore, et dictos filios dicti Ser Petri de prima uxore condemnamus ad solvendum canonem dicti predii dictis monialibus, et iura dicti predii et bonorum dictis filiis dicti Ser Pieri de secunda uxore damus et adiudicamus et predicta omnia ut supra facimus inter dictas partes sine preiudicio. // Et in omnia que competerent dictis partibus vel alicui eorum in aliquibus de dictis bonis que pertinerent Leonardo filio naturali dicti Ser Petri tamquam bona que fuerunt Francisci fratris dicti Ser Pieri quibus pro predicta non intendimus in aliquo preiudicare. Que omnia etc. mandamus etc. a dictis partibus inviolabiliter observari et sub pena in compromisso iam facto … . Latum, datum per dictos arbitros et arbitratores pro tribunale sedentes, in Civitate Florentie et in Populo Sancti Petri Maioris de Florentia, in domo dicti Alexandri de Allexandris et in sala principale dicte domus. De presenti anno MDV, indictione VIIII et die 20 mensis decembris, presentibus Ser Iohanne Ser Marci de Romena et Dompno Baptista Iacopi Angeli de Cennina plebano Sancte Marie de […] aretine Diocesis, testibus.
29. Notarile Antecosimiano 11545, cc. 246r-247v 20 aprile 1525 MDXXV, indictione XIII Testamentum Ser Iuliani de Vincio Item dictis anno, indictione et die XX mensis aprilis. Actum Florentie in Populo Sancti Ambrosii de Florentia, in domo infrascripti testatoris, presentibus egregio artium medicine doctore Magistro Laurentio Francisci Niccolai de Tuccis et Ser Pierfrancesco Alberti Bartholomei et Ser Petro Ser Francisci de Sinis et Ser Iohanne Ser Andree de Minis et Ser Mariano Ser Christofori de Cecchis, civibus et notariis florentinis et Niccolao Angeli Stephani battilano Populi Sancti Ambrosii de Florentia et Sandro Magistri Laurentii muratoris Populi Sancti Bartoli a Pontino, testibus proprio ore dicti testatoris vocatis et rogatis. Cum nihil sit certius morte et nihil incertius hora mortis hinc est quod providus vir Ser Iulianus olim Ser Petri de Vincio civis et notarius florentinus sanus per Dei gratiam mente, visu et intellectu licet corpore languens, volens de bonis suis disponere et intestatus non discedere et omni modo quo potuit, de bonis disposuit et ordinavit in hunc que sequitur modum et formam, videlicet. In primis animam suam omnipotenti Dei et eius gloriosissime Virgini Marie humiliter commendavit et … corpus suum sepelliri voluit in Ecclesiam Sancte Marie Abbatie florentine in sepultura sui patris … . Item iure legati reliquit et legavit amore Dei et pro remedio anime sue Hospitali Innocentium de Florentia florenos vigintiquinque largos de auro in auro … // … . Item iure legati et pro remedio anime sue etc. legavit et solvi voluit per eius heredes Fratri Silvestro Ordinis predicatorum in Conventu Sancti Marci de Florentia, eius confessori, florenos viginti largos auri in auro … .
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Item iure legati reliquit Margherite, eius filie naturali, ultra florenos ducentos quos ipsa habet super Montem pro parte sue dotis, et florenos quinquaginta de sigillo inter donamentis et in contantibus. Item iure legati reliquit et legavit Domine Allexandre, eius dilecte uxori etiam filie olim Iohannis Antonii Dini, florenos quatuorcentos largos de grossis quos confessus fuit habuisse pro parte dotis dicte Domine Alexandre. Et alios florenos ducentos de sigillo quos etiam confessus fuit habuisse pro dote et parte dotis dicte Domine Allexandre … . Item … reliquit Domine Alexandre masseritiam et usufructuram omnium bonorum dicti testatoris donec vixerit et vitam vidualem et honestam servaverit et cum // Violante filia dicti testatoris et ipsius Domine Alexandre steterit, habitaverit et eam custodiverit et alimentaverit, una cum Margherita eius filia naturali … . In omnibus autem aliis sui bonis presentibus et futuris suos heredes universales instituit et esse voluit quoscunque filios masculos legiptimos et naturales nascituros ex dicto testatore et quacunque eius legiptima uxore. Et casu quo decederet sine filiis maschulis legiptimis et naturalibus, sibi heredes universales instituit, fecit et esse voluit Violantem eius filiam feminam legiptimama et naturalem et quascunque eius filias feminas legiptimas et naturales nascituras ex eo et ex quacunque eius uxore, equis portionibus, quas nutriri et educari voluit per dictam Dominam Alexandram eius uxorem, una cum Margherita filia naturali dicti testatoris … . // … dictam Diamantem1 eius filiam reliquit et esse voluit sub custodia Laurentii fratris carnalis dicti testatoris, quem Laurentium eius fratrem … fecit et esse voluit tutorem et pro tempore curatorem dictarum Violantis et Margherite eius filiarum … . Et hoc dixit et esse vellem suum ultimum testamentum et suam ultimam voluntatem … .
30. Ivi, cc. 191r-195v 3 ottobre 1525 MCXXV, indictione XIIII Tutor attilianus In Dei nomine. Anno Domini nostri Iesu Christi ab ipsius salutifera incarnatione Milleximo quingenteximo vigesimo quinto, indictione XIIII et die 3 mensis octobris. Actum Florentie in Populo Sancti Petri Maioris de Florentia, in domo mei notarii infrascripti, presentibus Bruno Leonardi Christofori de Altovitis lignaiuolo Populi Sancti Petri Maioris de Florentia et Francisco Ser Gasparis Antonii de Nacchiantis dicti Populi, testibus. Certum esse dicitur quod, de presenti anno Domini MDXXV, indictione XIII et die vigexima mensis aprilis proxime preteri, providus vir Ser Iulianus olim Petri de Vincio, civis et notarius florentinus, suum condidit testamentum in quo, inter alia, suam heredem universalem instituit Violantem eius filiam legiptimam et naturalem infantem et in infantili etate constitutam et tutorem et pro 1 Deve intendersi «Violantem».
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tempore curatorem dicte eius filie reliquit, fecit et esse voluit Laurentium eius fratrem carnalem et olim filium dicti Ser Petri Antonii de Vincio et eidem remisit confectum inventarii … // (c. 193v) … . Et quod dictus Laurentius intendit et vult tutelam et pro tempore curam dicte Violantis et etiam Margherite filie naturalis dicti Ser Iuliani acceptare, et propterea constitutus ut supra petiit a me notario … dari … in tutorem et pro tempore curatorem dicte Violantis et etiam Margherite filiarum dicti Ser Iuliani … // … .
Elenco delle Sigle ACS = Archivio Comunale, Sansepolcro. AOSMF = Archivio dell’Opera di Santa Maria del Fiore, Firenze. ASF = Archivio di Stato, Firenze. BNF = Biblioteca Nazionale, Firenze.
I S T RUZ I O N I P E R G L I AUTORI l «Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche» pubblica manoscritti e carteggi inediti di matematici del passato, saggi bibliografici ed articoli originali riguardanti la storia della matematica e delle scienze affini. Tranne casi eccezionali, gli articoli dovranno essere scritti in italiano, inglese, francese, latino o tedesco. I lavori presentati per la pubblicazione dovranno essere inviati in duplice copia al seguente indirizzo:
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Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche Dipartimento di Matematica Viale Morgagni 67/A I - 50134 Firenze (Italia) I manoscritti inviati non verranno restituiti; gli Autori dovranno aver cura di conservarne almeno una copia. I lavori dovranno essere forniti su floppy disk o su altro supporto elettronico, allegando copia cartacea a spaziatura doppia. Una cura speciale dovrà essere usata per i riferimenti bibliografici che devono essere i più completi possibile in modo da permettere l’identificazione immediata della fonte. In particolare per le opere moderne si indicherà: Autore, Titolo completo, editore, Luogo e data di pubblicazione (per i libri) ovvero «Rivista», Volume, Anno e pagine (per gli articoli). Per le opere più antiche è consigliabile un’accurata trascrizione del frontespizio. Le figure nel testo vanno disegnate a parte su carta lucida, con inchiostro di china a grandezza doppia del naturale, indicando sul dattiloscritto il luogo dove devono essere inserite. Gli Autori dovranno fornire: l’indirizzo dell’istituzione a cui appartengono, il proprio indirizzo postale, quello e-mail, numero di telefono e fax. Dovranno altresì inviare un abstract in inglese di non più di 10 righe. Gli Autori riceveranno un solo giro di bozze, che dovranno essere tempestivamente corrette e restituite all’Editore; eventuali modifiche e/o correzioni straordinarie apportate in questo stadio sono molto costose e saranno loro addebitate. Nel caso di articoli in collaborazione le bozze saranno inviate al primo Autore, a meno che non sia esplicitamente richiesto altrimenti. Di ogni articolo gli Autori riceveranno gratuitamente 50 estratti.
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istruzioni per gli autori · instructions for authors
I N S T RUCT I O N S F OR AUT HORS
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he «Bollettino» publishes correspondence and unpublished manuscripts of interest in the history of mathematics, bibliographical essays and original papers concerning the history of mathematical sciences. Its preferred languages are Italian, English, French, German, and Latin. Papers submitted for publication should be sent in two copies to: Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche Dipartimento di Matematica Viale Morgagni 67/A I - 50134 Firenze (Italia) Manuscripts forwarded will not be returned. Authors will have to make sure that they keep at least another copy of them. Articles should be sent on floppy disk or other electronic support, together with a paper copy, typed in double spacing. Special care should be taken over bibliographic references, which must be as complete as possible. In particular, for modern works it is necessary to indicate: Author, Complete title, Publisher, place and date of publication (for book) or else «Journal», Volume, year and pages (for articles). For older works, a precise transcription of the title page is advisable. Figures in the text must be draw in double size on separate sheets of glossy paper in black ink, indicating on the manuscripts where are to be placed. Authors must communicate the complete address of the institution to which they belong, their postal address, e-mail address, and telephone and the fax numbers. In addition, a concise and informative abstract in English (not exceeding 10 lines) is required. Authors will usually receive one set of proofs, which must be corrected and promptly returned to the publisher; any additional modifications after this stage are very expensive and will be charged to the Authors. In case of joint works, proofs will be sent to the first Author unless otherwise requested. Authors will receive fifty offprints of each paper free of charge.
comp o sto i n c a r att e re da n t e m onotype da lla acc a d e m i a e d i to ri a l e, pisa · ro m a . sta m pato e ri l e gato nella t i p o gr a f i a d i agna n o, ag na no pisa no (pisa ).
* Giugno 2009 (cz 2 · fg 21)
LA MATEMATICA ANTICA IN CD-ROM
U
no dei maggiori problemi nell’insegnamento e nella ricerca in Storia della matematica consiste nella difficoltà di accedere alla opere originali dei matematici dei secoli passati. Ben pochi autori, in genere solo i più importanti, hanno avuto edizioni moderne; per la maggior parte occorre rivolgersi direttamente alle edizioni antiche, presenti solo in poche biblioteche. Questa situazione è particolarmente gravosa nei centri privi di biblioteche importanti, dove anche lo svolgimento di una tesi di laurea in storia della matematica è ritardato dai tempi, a volte lunghissimi, necessari per procurarsi fotocopie o microfilms delle opere necessarie, ma sussiste anche nei centri maggiori, dove in ogni caso l’accesso ai volumi antichi è sottoposto a controlli e limitazioni. Per ovviare almeno in parte a questi inconvenienti, e permettere una maggiore diffusione della cultura storico-matematica, il Giardino di Archimede ha preso l’iniziativa di riversare su CD-rom e diffondere una serie di testi rilevanti per la storia della matematica. Ogni CD contiene circa 5000 pagine (corrispondenti circa a 15-20 volumi) in formato PDF. La qualità delle immagini è largamente sufficiente per una agevole lettura anche dei testi più complessi e non perfettamente conservati. Il prezzo di ogni CD è di 130 euro. Per acquisti o abbonamenti a dieci o più CD consecutivi viene praticato uno sconto del 20%. Per ulteriori informazioni si può consultare il sito del Giardino di Archimede: www.archimede.ms Per ordinazioni: Il Giardino di Archimede Via San Bartolo a Cintoia 19a 50143 Firenze Tel. ++39-055-7879594, Fax ++39-055-7333504 e-mail: [email protected] Indice degli ultimi cd pubblicati: GdA 49
Magini, Antonio, Tavole del primo mobile. Venezia, Zenaro, 1606. Metius, Adrian, Primum mobile. Amsterdam, Iansson, 1631. Meyer, Georg Friedrich, Stereometria. Basel, Genath, 1675. Meyer, Jacob, Geometria theoretica. Basel, Brandmyller, 1676. Montebruno, Francesco, Ephemerides novissimae. Bologna, Ferroni, 1640. Moretti, Paolo Gaetano, Tavole dell’hore planetarie perpetue. Bologna, Peri, 1681.
Moretti, Tomaso, Trattato dell’artiglieria. Brescia, Gromi, 1672. Moretti, Tomaso, Trigonometria de rettilinei. Padova, Sardi, 1664. Morin, Jean Baptiste, Nova mundi sublunaris anatomia. Paris, Du Fossé, 1619. Muler, Nicolaus, Iudeorum annus. Groningen, Sassius, 1630. Muler, Nicolaus, Tabulae frisicae lunae-solares. Alcmariae, Meester, 1611. Murcia de la Llana, Francisco, Compendio de los metheoros. Madrid, De la Cuesta, 1615. Muti, Savino, Dialogus contra prodromum Levarae. Roma, Bernabò, 1664. Nardi, Giovanni, De rore. Firenze, Massa e de Landis, 1642. Natti, Antonio, Nuovi ingegni mecanici. Città di Castello, Mulinelli, 1628. Naustifo, Urania astronomica. Venezia, Bernardoni, 1685. Neper, John, Logarithmorum descriptio et constructio. Lyon, Vincent, 1620. Nicario dal Monte d’oro, Influenza della cometa. Milano, Malatesta, 1677 (?). Niceron, Jean François, Thaumaturgus opticus. Paris, Langlois, 1646. Nieuwentijdt, Bernard, Analysis infinitorum. Amsterdam, Wolters, 1695. Noceti, G. Battista, Astrologia. Parigi [Genova], Sarà, 1663. GdA 50 Nuova raccolta d’autori che trattano del moto dell’acque. Vol. 1-7. Parma, Carmignani, 1766-1768. Controversia sulle acque. Roma, Bernabò, 1765. Osservazioni de’ bolognesi intorno ad una scrittura pubblicata da’ signori ferraresi. Bologna, Benacci, 1716. Orlandi, Clemente, Parere pro veritate sopra i progetti proposti per liberare le campagne di Ferrara, Bologna e Romagna dalle inondazioni. Roma, Salomoni, 1762. Orlandi, Pellegrino Antonio, Notizie degli scrittori bolognesi. Bologna, Pisarri, 1714. GdA 51 Lambert, Johann Heinrich, Les proprietés remarquables de la route de la lumière. La Haye, Scheurleer, 1758. Newton, Isaac, Optice, sive de reflexionibus, refrationibus, inflexionibus et coloribus lucis. London, Innys, 1719. Newton, Isaac, Principes mathématiques de la philosophie naturelle. Paris, Desaint & Saillant, 1759. Newton, Isaac, Philosophiae naturalis principia mathematica (Vol. 1-3). Génève, Barrillot, 1739-1742. Newton, Isaac, Philosophiae naturalis principia mathematica. Amsterdam, sumpt. Societatis, 1723. Newton, Isaac, Philosophiae naturalis principia mathematica. London, Innys, 1726.
Newton, Isaac, Traité d’optique sur les reflexions, refractions, inflexions et les couleurs de la lumière. Paris, Montalant, 1722. GdA 52 Danti, Egnazio, La sfera di Giovanni Sacrobosco. Firenze, Giunti, 1571. Mazzoni, Iacopo, De comparatione Platonis et Aristotelis. Venezia, Guerigli, 1597. Moleti, Giuseppe, Ephemerides ab anno 1564. Venezia, Franceschi, 1564. Moleti, Giuseppe, Tabulae gregorianae motuum octavae spherae. Venezia, Deuchino, 1580. Muhammad al Baghdadi, Libro del modo di dividere le superficie. Pesaro, Concordia, 1570. Munster, Sebastian, Organum uranicum. Basel, Petrus, 1536. Naibod, Valentin, Primarum de coelo et terra institutionum libri tres. Venezia, 1573. Nale, Niccolò, Dialogo sopra la sfera del mondo. Venezia, Ziletti, 1579. Nazari, Gio. Battista, Della tramutatione metallica sogni tre. Brescia, Marchetti, 1572. Nifo, Agostino, De verissimis temporum signis commentariolus. Venezia, Scoto, 1540. Nifo, Agostino, In libris Aristotelis meteorologicis commentaria. Venezia, Scoto, 1547. Nores, Giasone, Breve trattato del mondo et delle sue parti. Venezia, Muschio, 1571. Nores, Giasone, Sfera. Padova, Meietti, 1589. Novara, Domenico Maria, Pronosticon in annum 1501. Bologna, Ettore, 1501. Oddo, Illuminato, Disputationes de generatione et corruptione. Napoli, Colicchia, 1672. Ortelius, Abraham, Il theatro del mondo. Brescia, Compagnia bresciana, 1598. Tolomeo, Claudio, Descrizione della sfera in piano. Bologna, Benacci, 1572.