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MATTHEW REILLY BERSAGLIO ACQUISITO (Scarecrow, 2003) Per Natalie, ancora una volta Ruotando e roteando nella spirale che sempre più si allarga il falco non può udire il falconiere; le cose si dissociano; il centro non può reggere; e la pura anarchia si rovescia sul mondo [...] W.B. YEATS, Il secondo avvento «Tutti i valorosi sono morti.» Proverbio militare russo PROLOGO I DOMINATORI DEL MONDO LONDRA, INGHILTERRA 20 OTTOBRE, ORE 19.00 Erano dodici. Tutti uomini. Tutti miliardari. Di quei dodici, dieci avevano più di sessant'anni. Gli altri due erano sulla trentina, ma si trattava di figli di membri defunti, per cui la loro lealtà era garantita. Benché l'appartenenza al Consiglio non fosse direttamente trasmissibile per via ereditaria, nel corso degli anni era invalsa la prassi che i figli prendessero il posto dei propri padri. Tuttavia era possibile diventare consigliere soltanto in grazia di un invito e gli inviti venivano dispensati con parsimonia, come del resto ci si aspettava da una tale augusta adunanza di persone. Il cofondatore della più grande azienda informatica del mondo. Un magnate del petrolio saudita. Il patriarca di una famiglia di banchieri svizzeri. Il proprietario della più grande compagnia di navigazione del mondo. Il finanziere di maggior successo degli ultimi trent'anni. Il vicepresidente della Federal Reserve americana.
L'erede appena designato di un impero d'industrie militari che forniva missili al governo americano. Non c'erano illustri imprenditori dei media nel Consiglio. Era ben noto che le loro fortune dipendevano in larga misura dal debito e dalla fluttuazione del valore delle azioni. Il Consiglio riusciva ad avere il controllo dei media semplicemente gestendo le banche che fornivano ai signori dell'informazione il loro denaro. Allo stesso modo non c'erano leader nazionali: come il Consiglio ben sapeva, i politici detenevano la forma di potere meno durevole, un potere transitorio. Come i magnati dell'informazione, dipendevano da altri per la loro influenza. In ogni caso, in passato era già successo che il Consiglio creasse o disfacesse presidenti e dittatori. E non c'erano donne. Era opinione del Consiglio che non ci fosse, almeno fino a quel momento, nessuna donna al mondo degna di sedere a quel tavolo. Né la regina d'Inghilterra e nemmeno l'erede di una casa di cosmetici francese, Lillian Mattencourt, col suo patrimonio personale di ventisei miliardi di dollari. Dal 1918, il Consiglio si era incontrato due volte all'anno, ogni anno. Quell'anno era stato convocato nove volte. Ma quello, dopotutto, era un anno speciale. Benché il Consiglio fosse un'istituzione segreta, le riunioni non si tenevano mai di nascosto. Gli incontri segreti di personaggi influenti suscitano curiosità. No. Era sempre stata convinzione del Consiglio che i segreti meglio mantenuti vivono alla luce del sole, sotto gli occhi del mondo, eppure mai realmente visti. Pertanto le riunioni del Consiglio si tenevano di norma durante i maggiori incontri internazionali: l'annuale Forum economico mondiale a Davos, in Svizzera, oppure i vari incontri dell'Organizzazione Mondiale del Commercio. Una volta il Consiglio si era tenuto persino a Camp David, in assenza del presidente. Quel giorno si teneva nella maestosa sala conferenze del Dorchester Hotel di Londra. La votazione era terminata e la decisione unanime. «Bene. La caccia avrà inizio domani», disse il presidente. «La lista dei bersagli verrà fornita stanotte attraverso i canali abituali e le taglie verranno corrisposte a chi presenterà a monsieur J.P. Delacroix della AGMSuisse il genere di prova che abbiamo convenuto, a dimostrazione che un
particolare bersaglio è stato eliminato. Ci sono quindici bersagli in tutto. Per ciascuno di essi si è stabilita una taglia di 18,6 milioni di dollari.» Un'ora più tardi, la riunione terminò e i membri del Consiglio andarono a bere qualcosa. Sul tavolo della sala conferenze rimasero gli appunti presi durante l'incontro. Degli appunti di fronte alla sedia del presidente, una pagina stava posata a faccia in su. Era una lista di nomi. Nome 1. ASHCROFT, William H. 2. CHRISTIE, Alec P. 3. FARRELL, Gregory C. 4. KHALIF, Iman 5. KINGSGATE, Nigel E. 6. McCABE, Dean P. 7. NAZZAR, Yousef M. 8. NICHOLSON, Francis X. 9. OLIPHANT, Thompson J. 10. POLANSKI, Damien G. 11. ROSENTHAL, Benjamin Y. 12. SCHOFIELD, Shane M. 13. WEITZMAN, Ronson H. 14. ZAWAHIRI, Hassan M. 15. ZEMIR, Simon B.
Nazionalità Regno Unito Regno Unito USA Afghanistan Regno Unito USA Libano USA USA USA Israele USA USA Arabia Saudita Israele
Organizzazione SAS MI-6 Delta al-Qaida SAS Delta Hamas USAMRMC USAMRMC ISS Mossad USMC USMC al-Qaida IAF
Dire che si trattava di una lista assolutamente impressionante era un eufemismo. Vi erano citati membri delle élite militari mondiali, i SAS inglesi, il Distaccamento Delta dell'esercito americano e il corpo dei marine. Vi comparivano l'aviazione israeliana, enti come l'ISS, l'Intelligence and Security Service, il nuovo nome della CIA. E inoltre membri delle organizzazioni terroristiche Hamas e al-Qaida. Era un elenco di uomini, uomini speciali, eccezionali in quelle professioni ad altissimo rischio che si erano scelti. Uomini che dovevano essere eliminati dalla faccia della terra entro le 12.00 del 26 ottobre, ora della costa orientale americana (Eastern Standard Time - EST).
PRIMO ATTACCO SIBERIA 26 OTTOBRE, ORE 09.00 EST [NEW YORK] 25 OTTOBRE, ORE 21.00
«I moderni cacciatori di taglie internazionali conservano molte somiglianze coi loro predecessori del vecchio West americano. Ci sono i 'lupi solitari', di norma ex militari e assassini freelance che, il più delle volte, sono anch'essi ricercati dalla giustizia: lavorano da soli e sono conosciuti per le armi, i veicoli o i metodi del tutto peculiari. Ci sono le 'organizzazioni', imprese che hanno fatto della caccia agli esseri umani il proprio business. In virtù delle infrastrutture paramilitari, le organizzazioni mercenarie vengono spesso coinvolte a partecipare a battute di caccia internazionali. E, com'è ovvio, ci sono gli 'opportunisti', membri di forze speciali che disertano e s'impegnano in attività di caccia all'uomo in cambio di denaro; oppure pubblici ufficiali incaricati di far rispettare la legge, per i quali il richiamo di una taglia ottenuta lavorando da soli è più attraente dei propri doveri. Ma la complessa attività dei moderni cacciatori di taglie non va sottovalutata. Per un cacciatore di taglie, non è insolito agire di concerto con un governo nazionale che vuole prendere le distanze da eventi particolari. E non è insolito per i cacciatori di taglie concludere taciti accordi con alcuni Stati, al fine di ricevere da essi protezione, in pagamento di un 'lavoro' svolto. Alla fine, una cosa sola è indiscutibile: i confini nazionali significano poco per il cacciatore di taglie internazionale.» United Nations White Paper. Non-Government Forces in UNPeacekeeping Zones,
UN Press, New York, ottobre 2001
SPAZIO AEREO RUSSO [SIBERIA] 26 OTTOBRE, ORE 09.00 [EST- 25 OTTOBRE, ORE 21.00] L'aereo sfrecciava nel cielo alla sua massima velocità. Benché si trattasse di un velivolo di notevoli dimensioni, non appariva su nessuno schermo radar. Coi finestrini della cabina di pilotaggio schermati, con la vernice opaca radarassorbente e col profilo delle ali assolutamente unico, il bombardiere Stealth Northrop B-2 Spirit di solito non effettuava missioni come quella.
Era stato progettato per trasportare quaranta tonnellate di carico bellico, dalle bombe a guida laser ai missili da crociera termonucleari. Ma quel giorno non trasportava bombe. Quel giorno la stiva era occupata da un carico insolitamente leggero: un agile e veloce veicolo da attacco e otto marine degli Stati Uniti. Nella cabina di pilotaggio del velocissimo bombardiere invisibile, il capitano Shane M. Schofield era ignaro del fatto che, appena sei giorni prima, era diventato un bersaglio nella più grande caccia all'uomo della storia. Il grigio cielo siberiano si rifletteva nelle lenti argentate dei suoi occhiali antiabbagliamento avvolgenti. Le lenti nascondevano un paio di cicatrici verticali che segnavano il viso di Schofield, ferite di una precedente missione e ispirazione del suo nome in codice: Scarecrow, «Spaventapasseri». Alto un metro e ottanta, Schofield era asciutto e muscoloso. Sotto l'elmetto di kevlar bianco e grigio aveva ispidi capelli neri e un viso affascinante segnato dalle rughe. Era noto anche per la sua intelligenza acuta, la sua lucidità sotto stress e la grande considerazione di cui godeva fra i suoi sottoposti: era famoso per essere un capo che aveva a cuore i propri uomini. Correva voce che fosse il nipote del grande Michael Schofield, un uomo le cui imprese nel corso della seconda guerra mondiale erano entrate nella leggenda del corpo dei marine. Il B-2 stava volando verso un lontano angolo della Russia settentrionale, diretto a un'installazione sovietica abbandonata sulla sterile costa della Siberia. La sua designazione ufficiale era stata: «Krask-8: Installazione Penale e di Manutenzione», la più esterna di otto aree di sicurezza che circondavano la cittadina artica di Krask. Secondo la tipica, creativa tradizione sovietica, le aree erano state denominate Krask-1, Krask-2, Krask-3 e così via. Fino a quattro giorni prima, Krask-8 era conosciuta semplicemente come un vecchia struttura sovietica da tempo dimenticata, metà gulag, metà impianto di manutenzione per i prigionieri politici condannati ai lavori forzati. C'erano centinaia di quelle installazioni sparse per l'ex Unione Sovietica, giganteschi monoliti fatiscenti imbrattati di petrolio che, prima del 1991, avevano costituito il cuore industriale dell'URSS, ma che ormai giacevano addormentati, lasciati a imputridire nella neve: le città fantasma della Guerra Fredda. Ma due giorni prima, il 24 ottobre, tutto era cambiato.
Un gruppo di trenta terroristi islamici ceceni, ben armati e ben addestrati, si era impossessato di Krask-8 e aveva annunciato al governo russo la propria intenzione di lanciare contro Mosca quattro missili nucleari SS-18 - missili semplicemente lasciati nei silos della base alla caduta del regime sovietico, nel 1991 - a meno che la Russia non ritirasse le proprie truppe dalla Cecenia e dichiarasse l'indipendenza della repubblica separatista. La scadenza dell'ultimatum era fissata per le 10.00 del 26 ottobre. Quel giorno. La data aveva un senso preciso. Il 26 ottobre dell'anno prima, un manipolo di truppe scelte russe aveva fatto irruzione in un teatro di Mosca occupato da terroristi ceceni, ponendo fine a un assedio durato tre giorni e uccidendo tutti i terroristi e più di cento ostaggi. Che quello fosse anche, per puro caso, il primo giorno del mese del Ramadan, sacro ai musulmani, non sembrava preoccupare quei terroristi islamici. Il fatto che Krask-8 fosse qualcosa di più di un semplice relitto della Guerra Fredda era stata una sorpresa anche per il governo russo. Dopo aver esaminato molti rapporti sovietici rimasti a lungo inaccessibili, le affermazioni dei terroristi si erano rivelate corrette. Krask-8 era un segreto di cui il vecchio regime comunista, nel corso della transizione verso la democrazia, aveva dimenticato d'informare il nuovo governo. E ovviamente ospitava missili nucleari, sedici per la precisione; sedici SS-18, missili balistici intercontinentali con testata nucleare, tutti stivati in silos sotterranei, concepiti per sottrarsi al controllo dei satelliti americani. A quanto si sapeva, cloni di Krask-8, installazioni missilistiche dello stesso tipo camuffate da impianti industriali, si potevano trovare in Stati alleati del vecchio regime sovietico, come Sudan, Siria, Cuba e Yemen. E perciò, nel nuovo ordine mondiale, post Guerra Fredda, post 11 settembre 2001, i russi avevano chiesto l'aiuto degli Stati Uniti. Come risposta immediata, il governo americano aveva inviato a Krask-8 un'unità antiterrorismo del Distaccamento Delta, al comando degli specialisti Greg Farrell e Dean McCabe. I rinforzi sarebbero arrivati in seguito. Il primo di quei rinforzi era appunto l'unità scelta dei marine al comando del capitano Shane M. Schofield. Schofield entrò nella stiva bombe dell'aereo, respirando in una maschera a ossigeno per alta quota.
Il suo sguardo si posò su un container da carico di medie dimensioni, all'interno del quale si trovava un Light Attack Commando Scout: probabilmente il più leggero e veloce mezzo blindato in servizio, che aveva un aspetto a metà tra un'auto sportiva e una jeep militare di nuova generazione. E, all'interno del veicolo, assicurati saldamente ai propri sedili dalle cinture, sedevano sette uomini dei Recon Marines, gli altri membri della squadra di Schofield. Tutti indossavano giubbetti antiproiettile bianchi e grigi, elmetti e uniformi da combattimento dello stesso colore, e ognuno guardava fisso di fronte a sé, col viso coperto di colore mimetico. Quando Schofield scorse la loro espressione seria, fu colpito per l'ennesima volta dalla giovane età dei suoi uomini. Lui aveva trentatré anni, eppure si sentiva decisamente vecchio rispetto a loro. Fece un cenno all'uomo più vicino. «Ehi, Whip, come va la mano?» «Va bene, signore», rispose il marine Whip Whiting, sorpreso. Era stato ferito durante un violento scontro a fuoco sulle montagne di Tora Bora all'inizio del 2002, ma, da quel giorno, Whiting e Schofield non avevano più lavorato insieme. «I medici dicono che lei mi ha salvato l'indice. Se non avesse detto loro di steccarmelo, si sarebbe piegato a uncino. Non pensavo che se ne ricordasse, signore.» Gli occhi di Schofield brillarono. «Io ricordo sempre.» A parte un membro della squadra, quello non era il suo solito gruppo. La squadra di marine con cui operava abitualmente, Libby «Fox» Gant e Gena «Mother» Newman, al momento si trovava sulle montagne nel nord dell'Afghanistan, a caccia del leader terrorista, e a lungo braccio destro di Osama bin Laden, Hassan Mohammad Zawahiri. Gant, appena uscita dalla scuola ufficiali e ora tenente, comandava un'unità di ricognizione. Mother, un esperto sergente che aveva aiutato lo stesso Schofield quand'era un giovane ufficiale, era il sottufficiale anziano del reparto. Schofield aveva pensato che le avrebbe raggiunte, ma all'ultimo momento la sua destinazione era stata cambiata dall'Afghanistan al comando di quell'inattesa missione. L'unico membro abituale della sua squadra che Schofield era riuscito a portare con sé era un giovane sergente di nome Buck Riley Junior, nome di battaglia «Book II». Silenzioso e riflessivo, e con una forza d'animo che smentiva i suoi venticinque anni, Book II era un guerriero tenace. E, per come la vedeva Schofield, con quel viso dalle folte sopracciglia e dal naso camuso, ogni giorno somigliava sempre di più a suo padre, l'originario
«Book» Riley. Schofield sintonizzò la radio satellitare e parlò nel VibraMike, il laringofono a trasmissione di vibrazioni che portava fissato attorno al collo. Invece di raccogliere le parole che stava pronunciando, il laringofono captava l'eco della sua laringe. Il sistema di trasmissione satellitare che utilizzava era il nuovissimo GSX-9, il più evoluto sistema di comunicazione in uso nell'esercito americano. In teoria, un'unità GSX-9 portatile come quella di Schofield poteva trasmettere con limpidezza cristallina un segnale senza interferenze per metà della circonferenza terrestre. «Base, qui Mustang 3», disse. «Situazione.» Una voce gli giunse dall'auricolare. Era quella di un operatore radio dell'USAF alla base aerea McColl in Alaska, il centro comunicazioni di quella missione. «Mustang 3, qui Base. Mustang 1 e Mustang 2 hanno ingaggiato il nemico. Controllano i silos dei missili e hanno inflitto pesanti perdite al nemico. Mustang 1 controlla i silos e attende rinforzi. Mustang 2 riferisce che vi sono ancora almeno dodici nemici che oppongono resistenza nell'edificio principale dell'installazione...» «Ricevuto», rispose Schofield. «E i nostri rinforzi?» «Un'intera compagnia di ranger è in viaggio da Fort Lewis, Scarecrow. Cento uomini, circa un'ora dietro di voi.» «Bene.» Book II parlò dall'interno del veicolo blindato. «Che si dice?» Schofield si voltò. «Che siamo al capolinea.» Cinque minuti più tardi, il container scivolò fuori dal ventre del bombardiere invisibile e precipitò come un sasso verso la terra. All'interno del container, nel veicolo in esso contenuto, sedevano Schofield e i suoi uomini, squassati e sbattuti qua e là dalle vibrazioni della caduta libera. Schofield guardava le cifre su un altimetro digitale fissato sulla parete del container guizzare rapidamente verso il basso: 15.000 metri... 13.500 metri... 12.000... 9000... 6000... 3000... «Prepararsi ad aprire i paracadute a 1500 metri...» Il marine Max «Clark» Kent, l'addetto al lancio, parlò con voce neutra. «Secondo il sistema di guida GPS siamo dritti sul bersaglio per l'atterraggio. Le teleca-
mere esterne ci danno la zona di atterraggio sgombra.» Schofield lanciò uno sguardo all'altimetro che ticchettava. 2400 metri... 2100 metri... 1800 metri... Se tutto fosse andato secondo i piani, avrebbero toccato terra circa trenta chilometri a est di Krask-8, appena sopra l'orizzonte dell'installazione, fuori vista dell'impianto. «Paracadute principali... adesso», annunciò Clark. Il colpo fu di una violenza spaventosa. L'intero container fu scosso brutalmente e Schofield e i suoi marine sobbalzarono sui sedili, trattenuti dalle cinture a sei punti di ancoraggio e dalle barre di sicurezza. Poi, all'improvviso, in virtù dei tre paracadute direzionali del container, cominciarono a fluttuare. «Come andiamo, Clark?» chiese Schofield. L'addetto al lancio li stava guidando con l'aiuto di un joystick e di alcune telecamere montate all'esterno del container. «Dieci secondi. Dirigo su un sentiero in terra battuta nel mezzo della valle. Pronti all'atterraggio in tre... due... uno...» Il container urtò il terreno con un tonfo sordo. La parete frontale si spalancò all'istante e la luce del giorno dilagò all'interno della vasta apertura. Il Commando Scout a quattro ruote motrici si lanciò fuori dal ventre del container nel grigio cielo siberiano. *** Il veicolo da ricognizione sfrecciava lungo un sentiero coperto di terra fangosa, fiancheggiato da colline coperte di neve, sulle cui balze si profilavano scheletrici alberi dal colore grigio delle ossa vecchie. Rocce scure affioravano dall'uniforme superficie innevata. Desolato. Violento. Gelido come la morte. Benvenuti in Siberia. Seduto nella parte posteriore del mezzo blindato, Schofield parlò nel laringofono: «Mustang 1, qui Mustang 3. Mi sentite?» Nessuna risposta. «Ripeto: Mustang 1, qui Mustang 3. Mi sentite?» Nulla. Fece lo stesso col secondo gruppo Delta, Mustang 2. Ancora nessuna ri-
sposta. Si sintonizzò allora sulla frequenza del satellite e parlò all'Alaska. «Base, qui 3. Non riesco a mettermi in contatto né con Mustang 1 né con Mustang 2. Voi avete il contatto?» «Affermativo, Scarecrow», rispose la voce dall'Alaska. «Stavo giusto parlando con loro un attimo fa...» Il segnale esplose in una miriade d'interferenze. «Clark!» chiamò Schofield. «Mi dispiace, capo, abbiamo perso il segnale», annunciò Clark dal pannello di controllo del veicolo. «Li abbiamo persi. Maledizione, pensavo che questi nuovi satelliti da comunicazione fossero infallibili.» Schofield si accigliò. «Segnali di disturbi elettronici?» «No. Nessuno. Siamo in uno spazio radio aperto. Nulla potrebbe intaccare quel segnale. Dev'essere successo qualcosa dall'altra parte.» «Qualcosa dall'altra parte...» Schofield si morse le labbra. «Le ultime parole famose.» «Signore... Dovremmo arrivare a portata visiva fra circa trenta secondi», intervenne il pilota, un anziano sergente brizzolato di nome «Bull» Simcox. Schofield guardò avanti, al di sopra della spalla di Simcox. Vide il sentiero coperto di fango scuro scivolare via sotto le ruote del veicolo e il crinale di una collina avvicinarsi. Dietro quella collina, sorgeva Krask-8. In quello stesso momento, all'interno di un'installazione radio ad alta tecnologia nella base aerea McColl in Alaska, il giovane ufficiale addetto alle comunicazioni che era stato in contatto con Schofield si guardò attorno, confuso. Si chiamava James Bradsen. Pochi secondi prima, senza nessun preavviso, l'alimentazione dell'apparecchiatura per le comunicazioni si era bruscamente interrotta. Il comandante della base di McColl irruppe nella stanza. «Signore, abbiamo appena...» esordì Bradsen. «Lo so, figliolo», lo interruppe il comandante. «Lo so.» Fu allora che Bradsen vide un altro uomo alle spalle del suo comandante. Non lo aveva mai visto prima. Alto e massiccio, aveva capelli rosso carota e uno sgradevole viso da topo. Era in abiti civili e i suoi occhi neri erano fissi. Volse sull'intera stanza un freddo sguardo senza espressione. Tutto di lui gridava ISS.
Il comandante della base disse: «Mi dispiace, Bradsen. Questioni d'intelligence. Questa missione non è più affar nostro». Il veicolo d'attacco Scout giunse alla sommità della collina. Al suo interno, Schofield tirò un sospiro di sollievo. Di fronte a lui, in tutta la sua gloria, sorgeva Krask-8. Si trovava al centro di un ampio pianoro, un agglomerato di edifici coperti di neve, hangar e depositi adibiti a magazzino. C'erano anche un gigantesco hangar di manutenzione e una torre di uffici alta quindici piani, in vetro e cemento. Un paesaggio urbano in miniatura. L'intero complesso era circondato da una rete metallica di filo spinato alta sei metri e, oltre quella, in lontananza, a circa tre chilometri, Schofield riusciva a scorgere la costa settentrionale della Russia e le onde dell'oceano Artico. Inutile dire che il periodo post Guerra Fredda non era stato generoso con Krask-8. L'intera minicittà era deserta. La neve copriva la mezza dozzina di strade del complesso. Alla destra di Schofield, giganteschi cumuli erano ammucchiati contro i muri dell'edificio principale, una struttura delle dimensioni di quattro campi da football. A sinistra dell'enorme hangar, a esso collegato per mezzo di un ponte coperto, sorgeva la torre degli uffici. Enormi stalattiti di ghiaccio pendevano dal suo tetto piatto, sfidando la gravità, immobili nel gelo. Krask-8 era stata stretta nella morsa del gelo sino a frantumarsi. Ogni superficie di vetro era in pezzi o percorsa da un reticolo di crepe simile a una tela di ragno, mentre i venti siberiani, pungenti come aghi, vi sibilavano attraverso. Era una città fantasma. E da qualche parte, nel sottosuolo di Krask-8, giacevano sedici missili nucleari. Lo Scout rombò attraverso i cancelli di Krask-8, spalancati a colpi di bombe, alla velocità di ottanta chilometri all'ora. Sfrecciò lungo una strada in discesa verso il complesso, mentre uno dei marine di Schofield era appollaiato sulla torretta della mitragliatrice da 7,62 mm montata sulla parte posteriore dell'agile veicolo corazzato. All'interno, Schofield, alle spalle di Clark, sbirciava lo schermo del computer del giovane marine.
«Trova i loro localizzatori», gli disse. «Dobbiamo scoprire dove sono i ragazzi della Delta.» Clark fece scorrere le dita sulla tastiera del computer visualizzando le mappe di Krask-8. Una di esse mostrava il complesso in prospettiva laterale.
Si vedevano due gruppi di puntini rossi lampeggianti: uno in corrispondenza del pianterreno della torre degli uffici e l'altro all'interno del grande hangar. Le due squadre Delta. Ma c'era qualcosa che non andava nell'immagine. Nessuno dei puntini lampeggianti si stava muovendo. Tutti erano minacciosamente immobili. Schofield ebbe un brivido. «Bull...» mormorò. «Prendi Whip, Tommy e Hastings. Controlla la torre degli uffici. Io con Book II, Clark e Rooster mi occuperò dell'hangar.» «Roger, Scarecrow.» Lo Scout percorse rapido una stradicciola deserta, oltrepassò passaggi coperti di cemento tra gli edifici, aprendosi la via tra i cumuli di neve che giacevano ovunque. Si arrestò bruscamente all'esterno dell'enorme capannone di manutenzione, proprio di fronte a un piccolo ingresso per il personale. Il portellone blindato nella parte posteriore del veicolo venne aperto. Schofield e tre marine con tute mimetiche bianche balzarono giù e si diressero senza indugi verso la porta. Non appena furono scesi, il veicolo si allontanò velocemente, dirigendosi verso la torre di vetro degli uffici lì accanto. Schofield entrò nell'hangar con la canna dell'arma puntata dinanzi a sé. Aveva un Heckler & Koch MP-7, il modello successivo al vecchio MP5, un'arma automatica a canna corta, compatta ma potente. Oltre all'MP-7,
Schofield aveva una pistola semiautomatica Desert Eagle, un coltello KBar e, in una fondina fissata sul dorso, un Armalite MH-12 Maghook, un ancorotto ad aggancio magnetico che veniva sparato da un dispositivo di lancio simile a un fucile a doppia impugnatura. In aggiunta alla dotazione standard, per quella missione Schofield aveva con sé un'ulteriore potenza di fuoco: sei cariche di esplosivo per demolizioni ad alto potenziale Thermite-Amatol. Ciascuna delle cariche portatili aveva la potenza sufficiente a radere al suolo un intero edificio. Schofield e la sua squadra corsero lungo un breve corridoio fiancheggiato da uffici, giungendo alla porta alla sua estremità. Si fermarono. Rimasero in ascolto. Nessun rumore. Schofield forzò la porta e gettò un'occhiata a uno spazio aperto. Un immenso spazio aperto... Spinse la porta e la spalancò. «Gesù...» L'area di lavoro del capannone di manutenzione si apriva dinanzi a lui come un enorme hangar, il cui soffitto di vetri frantumati rivelava il grigio cielo siberiano. Però quello non era un hangar normale. Né si trattava di un normale vecchio «capannone di manutenzione» di una colonia penale. Tre quarti dell'ampiezza del pavimento di quell'enorme spazio interno erano occupati da una gigantesca fossa rettangolare di cemento. E, all'estremità presso cui si trovava Schofield, sollevato dal pavimento da una serie di blocchi di cemento, si trovava un sottomarino lungo duecento metri. Sembrava minaccioso. Come un gigante sul suo trono, circondato da passerelle e ponteggi utilizzati da persone di dimensioni di gran lunga inferiori. E tutto era ricoperto da una crosta di ghiaccio e neve. Gru e passerelle s'incrociavano sopra la vela del sottomarino, mentre sottili ponteggi orizzontali li univano al pavimento di cemento del capannone. Una singola passerella, a un'altezza vertiginosa, univa la vela del sottomarino, alta tre piani, a una balconata ancora più alta. Dopo essersi riavuto dalla sorpresa di quella vista, la mente di Schofield
ritornò a funzionare. Per prima cosa riconobbe il sottomarino. Era un Typhoon. I classe Typhoon erano i gioielli del vecchio arsenale nucleare sovietico in giro per gli oceani. Sebbene ne fossero stati costruiti pochi, quei sottomarini dal profilo affusolato, armati di missili balistici, erano diventati famosi grazie a vari romanzi e ai film hollywoodiani. Tuttavia, a onta del loro aspetto affascinante, si erano rivelati estremamente inaffidabili, richiedendo costanti miglioramenti e un'intensa manutenzione. Restavano comunque i più grandi sottomarini mai costruiti. Schofield notò che, quando Krask-8 era stata abbandonata, stavano lavorando sui tubi di lancio prodieri. Lo scafo attorno ai portelli di uscita dei tubi di lancio del Typhoon era stato in parte smontato, con la rimozione di diversi pannelli. Come e perché un sottomarino di classe Typhoon si trovasse all'interno di un capannone di manutenzione a tre chilometri dall'oceano Artico, nell'entroterra, era un altro problema. Un problema che trovò la sua soluzione grazie alla parte restante dell'edificio. Oltre il mastodontico bacino di carenaggio del Typhoon, Schofield vide un'immensa paratia verticale di lastre d'acciaio, che separava il bacino di carenaggio dal resto della fossa di cemento. Oltre quella paratia c'era dell'acqua. Un vasto bacino rettangolare interno di acqua parzialmente gelata, separato dal bacino di carenaggio dalla parete d'acciaio, simile a una chiusa. Schofield immaginò che, al di sotto di quel bacino, si estendesse un qualche sistema di gallerie sommerse che si spingeva verso la costa, consentendo ai sottomarini di accedere a Krask-8 per le riparazioni, lontano dai curiosi occhi elettronici dei satelliti spia americani. Tutto divenne chiaro. Krask-8, tre chilometri nell'entroterra dalla costa artica, indicata sulle mappe come una struttura di lavoro forzato, era invece una segretissima installazione sovietica per la riparazione di sottomarini. Schofield tuttavia non ebbe il tempo di soffermarsi sul problema. Perché, in quel preciso istante, vide i corpi. ***
Giacevano accanto al bordo del bacino di carenaggio: quattro uomini, tutti con indosso uniformi mimetiche da combattimento dell'esercito americano e giubbetti antiproiettile. E tutti morti. Il sangue copriva ogni cosa. Era schizzato sui visi, si allargava in macchie sui petti, era colato sul pavimento. «Figli di puttana», sibilò Clark. «Cristo, ragazzi, sono i fottuti Delta», esclamò il marine Ricky «Rooster» Murphy. Come Schofield, e forse per imitazione, Rooster indossava occhiali antiabbagliamento con le lenti argentate. Schofield rimase in silenzio. Le uniformi sui corpi, notò, erano state personalizzate: alcuni degli uomini avevano tolto la protezione sul braccio destro, altri avevano tagliato le maniche della loro uniforme mimetica sui gomiti. Uniformi personalizzate: il segno distintivo della Delta. Altri due corpi giacevano dentro la fossa di cemento, circa cento metri più in basso, anch'essi crivellati di colpi. Centinaia di bossoli erano sparsi in un ampio cerchio attorno al teatro dello scontro. Fuoco degli uomini della Delta. Schofield comprese che, quand'erano caduti, ai ragazzi della Delta avevano sparato quasi da ogni direzione... Voci sommesse. «Quanti in tutto?» «Solo quattro, qui. La squadra Blu riferisce di altri quattro nella torre degli uffici.» «Quale di loro è Schofield?» «Quello con gli occhiali a specchio.» «Cecchini in posizione. Al mio segnale.» Uno dei corpi attirò l'attenzione di Schofield, che s'irrigidì. Non lo aveva notato subito, perché la metà superiore pendeva dal margine del bacino di carenaggio, ma ora lo vedeva con chiarezza. Unico dei sei corpi, quello aveva la testa mozzata. Schofield fece una smorfia. Era assolutamente disgustoso. Brandelli di carne strappata pendevano dal collo aperto del cadavere; i due fori dell'esofago e la trachea erano esposti. «Per la miseria», sibilò Book II, sopraggiungendo a fianco di Schofield.
«Che diavolo è successo qui?» Mentre le quattro minuscole figure - Schofield e i suoi marine - esaminavano la scena, in basso, sul pavimento dell'hangar in cui si trovava il bacino di carenaggio, non meno di venti paia di occhi li guardavano. Gli osservatori erano disposti attorno all'intero capannone, in diversi punti strategici. Erano uomini vestiti con le stesse uniformi mimetiche, ma dotati di una varietà di armi diverse. Osservavano in un teso silenzio, in attesa che il loro comandante desse il segnale di uccidere. Schofield si accosciò accanto al corpo senza testa e si mise a esaminarlo. Gli uomini della Delta non portavano piastrine d'identificazione o mostrine, ma Schofield non ne aveva bisogno per riconoscere quel corpo. Poteva farlo semplicemente dal fisico. Era Dean McCabe, uno dei capi della squadra Delta. Schofield diede una rapida occhiata alla zona attorno al corpo. La testa di McCabe non si vedeva da nessuna parte. La testa dell'uomo non era stata soltanto spiccata dal corpo, era stata portata via. «Scarecrow!» Una voce esplose nel suo auricolare. «Qui Bull. Siamo nella torre degli uffici. Non ci crederà, signore.» «Mettimi alla prova.» «Sono tutti morti, tutti quelli della Delta. E poi, Scarecrow... Be', a Farrell hanno tagliato la testa.» Una fitta gelida percorse la schiena di Schofield. La sua mente lavorava freneticamente. I suoi occhi scandagliarono lo spazio vuoto che lo circondava in un caleidoscopio di movimento, le finestre dai vetri frantumati e le pareti incrostate di ghiaccio dai contorni indistinti. Krask-8. Deserta e isolata... Nessun segno di terroristi ceceni da quand'erano arrivati li... Contatto radio con l'Alaska interrotto... I morti della Delta... E in più le teste perdute di McCabe e Farrell. E tutto si cristallizzò nel suo cervello. «Bull!» sibilò Schofield nel laringofono. «Venite qui immediatamente! Ci hanno incastrato! Siamo appena caduti in un'imboscata!» In quel preciso istante, lo sguardo inquisitore di Schofield si posò su un
piccolo mucchio di neve in un angolo dell'enorme bacino di carenaggio e una figura accucciata dietro di esso si rivelò, perfettamente a fuoco. Un uomo in uniforme bianca, mimetizzato con cura e con un fucile d'assalto Colt Commando puntato al viso di Schofield. Dannazione. A quel punto, i venti assassini disposti attorno all'hangar aprirono il fuoco su Schofield e sui suoi uomini. Il bacino di carenaggio divenne un campo di battaglia. *** D'istinto, Schofield si accucciò proprio mentre due proiettili passavano, fischiando, sopra la sua testa. Book II e Clark lo imitarono, gettandosi a terra fra i cadaveri dei soldati della Delta, mentre un diluvio di pallottole schizzava scintille contro il pavimento attorno a loro. Il quarto marine, Rooster, non fu così fortunato. Forse furono gli occhiali antiabbagliamento che indossava, che lo facevano somigliare a Schofield, o forse semplicemente si trattò di iella nera. Fatto sta che una tempesta di colpi crivellò il suo corpo, riducendolo a brandelli, mentre lui, benché fosse già morto, continuava ad agitarsi in una macabra danza. «Nella fossa di cemento! Adesso!» gridò Schofield, praticamente trascinando Clark e Book II fuori della linea del fuoco e rotolando insieme con loro oltre il margine del bacino di carenaggio, proprio nell'attimo in cui esso veniva colpito da migliaia di proiettili. Schofield e gli altri due si precipitarono verso il fondo della fossa di cemento che ospitava il bacino di carenaggio sotto lo sguardo attento del comandante della squadra che li circondava. Il nome del comandante era Cedric K. Wexley e, in una vita precedente, era stato un maggiore dei Recce Commandos dell'esercito sudafricano. E così questo è il famoso Scarecrow, pensò Wexley, osservando Schofield che si muoveva. L'uomo che ha sconfitto Gunther Botha nello Utah. Be', se non altro, ha ottimi riflessi. Prima di cadere in disgrazia, Wexley era stato una stella dei Recce Commandos, anche perché era un fervente sostenitore dell'apartheid. In qualche modo era sopravvissuto alla transizione verso la democrazia e le sue tendenze razziste erano passate inosservate. Poi aveva ucciso un solda-
to di colore in un campo di addestramento, picchiandolo a morte durante un allenamento di combattimento corpo a corpo. Lo aveva già fatto in passato, ma quella volta la cosa era stata notata. E quando soldati come Cedric Wexley - psicopatici, sociopatici, criminali - venivano congedati dalle forze armate legali finivano invariabilmente in quelle illegali. E così Wexley si era trovato al comando di quella unità: una squadra speciale operativa appartenente a una delle organizzazioni mercenarie più conosciute al mondo, la Executive Solutions, o ExSol, una vera e propria azienda con sede in Sudafrica. Benché la ExSol fosse specializzata in missioni di sicurezza nel Terzo Mondo, come tenere in piedi le dittature dei Paesi africani in cambio di royalty sull'estrazione dei diamanti, se la logistica lo consentiva si dedicava anche alle più remunerative cacce all'uomo internazionali che si presentavano di tanto in tanto. Con circa diciannove milioni di dollari per ogni preda, quella era la più lucrosa in assoluto e, grazie a un amico ben collocato nel Consiglio, la Executive Solutions aveva avuto una dritta per ottenere tre di quelle prede. L'operatore radio si avvicinò a Wexley. «Signore, la squadra Blu ha ingaggiato i marine nella torre degli uffici.» «Deve ritornare al bacino di carenaggio attraverso il ponte coperto, quando avrà finito.» «Signore, c'è dell'altro...» aggiunse l'operatore. «Sì?» «Neidricht, sul tetto, riferisce di aver captato due segnali in arrivo sul radar esterno... A giudicare dalla traccia, lui pensa che si tratti dell'Ungherese e di Knight, il Cavaliere Nero.» «Quanto sono lontani?» «L'Ungherese circa quindici minuti. Il Cavaliere Nero è più lontano, forse venticinque minuti.» Wexley si morse un labbro. Cacciatori di taglie, pensò. Stramaledetti cacciatori di taglie. Odiava le missioni di caccia all'uomo proprio perché odiava i cacciatori di taglie. Se non riuscivano a batterti sul bersaglio, quei bastardi ti lasciavano fare tutto il lavoro sporco, ti stavano alle calcagna fino al posto di controllo, ti fregavano il bersaglio da sotto il naso e poi reclamavano i soldi. In un onesto scontro militare, il vincitore era l'ultimo uomo che restava vivo. Non così in una caccia all'uomo. Lì vinceva chi presentava il trofeo alla base, comunque l'avesse ottenuto. «Con l'Ungherese posso cavarmela, è una bestia. Ma il Cavaliere Nero... quasi certamente quello sarà un problema», grugnì Wexley. Poi guardò in
basso, verso la buca del sottomarino. «Il che significa che faremmo meglio a darci una mossa, qui. Prendete quel rottinculo di Schofield e portatemi la sua testa.» Schofield, Book II e Clark scivolarono lungo la parete del bacino di carenaggio, precipitando per una buona decina di metri prima di atterrare pesantemente sui due corpi dei soldati della Delta scompostamente accasciati sul fondo. «Forza, muovetevi! Avanti! Muovetevi!» Schofield trascinò gli altri due sotto l'enorme Typhoon nero, appoggiato sui sostegni nel bacino di carenaggio. Ciascun blocco di sostegno aveva più o meno le dimensioni di una piccola automobile ed era fatto di cemento pieno. Quattro lunghe file di blocchi sostenevano l'enorme sottomarino, creando una serie di stretti passaggi ad angolo retto al di sotto dello scafo nero del Typhoon. Schofield parlò nel suo laringofono mentre zigzagava attraverso i passaggi. «Bull! Bull Simcox! Mi senti?» Gli giunse la voce di Bull, affannata e disperata. «Scarecrow, merda! Siamo sotto fuoco pesante qui! Tutti gli altri sono morti e io... sono ferito in modo grave! Non posso... Oh, merda... No...» Ci fu una breve raffica di colpi dall'altra parte e poi il segnale terminò in un'interferenza. «Merda!» esclamò Schofield. Poi, all'improvviso, da qualche parte, alle sue spalle, giunsero diversi tonfi sordi. Schofield si voltò, rapido, l'MP-7 puntato e, attraverso la foresta di tozzi blocchi di cemento, vide il primo gruppo di nemici calarsi nel bacino con delle funi. Con Book II e Clark dietro di sé, Schofield si aprì la strada lungo gli oscuri passaggi al di sotto del Typhoon, abbassandosi per sottrarsi al fuoco nemico. Anche i loro inseguitori si erano ormai infilati nel buio labirinto di cemento, forse dieci uomini in tutto, e stavano avanzando sistematicamente, coprendo i lunghi passaggi con un fuoco intenso, spingendo Schofield e i suoi uomini verso l'estremità del bacino di carenaggio che dava sul mare. Schofield osservava i suoi nemici in movimento, studiava le loro tattiche, prendeva nota delle loro armi. Le tattiche erano standard. Solite soluzioni per fare uscire il nemico allo scoperto. Ma le loro armi...
Le loro armi. «Chi sono 'sti tizi?» chiese Book II. «Io un'idea ce l'ho, ma non ti piacerà», rispose Schofield. «Mi metta alla prova.» «Da' un'occhiata alla loro artiglieria.» Book II vi gettò un rapido sguardo. Alcuni degli uomini in uniforme mimetica bianca avevano degli MP-5, altri dei fucili d'assalto FAMAS di fabbricazione francese oppure dei Colt Commando americani. Altri avevano ancora dei vecchi AK-47 o loro varianti, come il Tipo 56 cinese. «Hai visto i fucili?» chiese Schofield mentre si muovevano. «Hanno tutti armi diverse.» «Dannazione», esclamò Book II «Mercenari.» «È quello che penso.» «Ma perché?» «Non ne ho idea. Perlomeno non ancora.» «Che facciamo?» chiese Clark in tono disperato. «Ci sto pensando», rispose Schofield, guardando attentamente lo spesso scafo di acciaio sopra di loro, in cerca di opzioni di fuga. Con la schiena contro un blocco di cemento, allungò la testa oltre uno degli angoli più esterni ed esaminò tutto il percorso lungo il bacino di carenaggio. E vide l'alta paratia d'acciaio che separava la fossa di cemento dal bacino coperto di ghiaccio all'estremità orientale. La meccanica di funzionamento del bacino di carenaggio gli si formò nella mente. Per portare un gigantesco Typhoon nel bacino si abbassava la paratia che lo separava dal mare, si allagava il bacino e vi si faceva entrare il sottomarino. Poi si rialzava la paratia e si svuotava il bacino, facendo così adagiare lentamente il sottomarino sui blocchi di cemento e ottenendo uno spazio libero e all'asciutto per lavorare. La paratia... Schofield la esaminò da vicino, pensò a tutta l'acqua arginata dietro di essa. Guardò dall'altra parte, verso la prua del sottomarino, e giunse a una conclusione. Era la loro unica possibilità. Si rivolse agli altri. «Avete i Maghook, ragazzi?» «Sì.» «Tenetevi pronti a usarli», ordinò Schofield, guardando verso la grande paratia d'acciaio, alta tre piani e larga circa trenta metri. Prese a sua volta il Maghook dalla custodia che aveva assicurata alla schiena.
«Andiamo da quella parte, signore?» domandò Clark. «No. Ci muoveremo nella direzione opposta, ma per farlo dobbiamo aprire quella paratia.» «Aprire la paratia?» sussultò Clark, guardando Book. Book II alzò le spalle. «È normale. Lui distrugge le cose...» Proprio in quell'istante, una raffica di proiettili sventagliò sui blocchi di cemento attorno a loro. Veniva dal lato del bacino verso la paratia. Schofield si abbassò in cerca di copertura, sporse in avanti il capo e vide che altri dieci mercenari erano scesi nel bacino da quella parte. Cristo, pensò. Adesso erano accerchiati da due squadre di nemici. Il nuovo gruppo di mercenari cominciò ad avanzare. «Allontanatevi!» gridò Schofield. Dalla sua postazione sopraelevata, Cedric Wexley osservava il bacino. Vide le sue due squadre di mercenari convergere su Schofield e sui suoi uomini da entrambi i lati. Un gelido sorriso gli increspò il volto. Era troppo facile. Schofield afferrò due cariche di esplosivo da demolizione ThermiteAmatol dalla sua cintura da combattimento. «Signori, i Maghook... Ora fate quello che faccio io.» Si avvicinò al fianco sinistro del Typhoon, sollevò il suo ancorotto Maghook ad aggancio magnetico e lo sparò da distanza ravvicinata in alto, verso lo scafo del sottomarino. Clark e Book II lo imitarono. Schofield scrutò il sottomarino. «Quando l'onda si alza, lasciate che la fune del Maghook si svolga, in modo da poterci muovere lungo l'esterno del sottomarino.» «Onda?» chiese Clark. «Quale onda...?» Schofield non gli rispose. Si limitò a prendere le due cariche di esplosivo e a selezionare l'interruttore del timer. Gli interruttori delle cariche Thermite-Amatol si accesero in tre colori: rosso, verde e blu. Schiacciare quello rosso dava cinque secondi, il verde trenta, il blu un minuto. Schofield scelse il rosso. Poi lanciò le due cariche lungo il bacino di carenaggio, sopra la testa della squadra di mercenari che stava avanzando verso di loro. Le cariche di esplosivo ad alto potenziale rimbalzarono contro le lastre di acciaio della
paratia come un paio di palle da tennis e si fermarono nel punto più fragile della paratia, là dove essa incontrava la parete di cemento sul lato destro del bacino. Cinque secondi. Quattro secondi... «Stanno per esplodere...» disse Book II, arrotolandosi la fune del Maghook attorno al braccio. Clark fece lo stesso. Tre... due... «Uno», sussurrò Schofield, lanciando uno sguardo alla paratia. «Ora.» *** La doppia esplosione delle cariche Thermite-Amatol squassò le pareti dell'intera costruzione. Un lampo di luce bianca accecante illuminò la paratia. Il fumo venne sospinto per tutta la lunghezza del bacino, saturando i passaggi tra i giganteschi blocchi di cemento mentre ruggiva in avanti, inghiottendo il più vicino gruppo di assassini, avvolgendo ogni cosa sul proprio cammino, compresi Schofield e i suoi uomini. Ci fu un momento di lugubre silenzio. Poi si udì uno schianto, uno schianto enorme, assordante, mentre la paratia danneggiata dall'esplosione s'infrangeva sotto la pressione dell'acqua. Cento milioni di litri di acqua si riversarono nel bacino, irrompendo attraverso il fumo. Un muro d'acqua. L'immensa massa di liquido produsse un incredibile fragore, rombò lungo il bacino: schiumando, ruggendo, rimbalzando in avanti. Il gruppo di mercenari più vicino fu strappato verso l'alto dal muro d'acqua e venne scagliato verso la parte destra del bacino. Schofield, Book II e Clark furono i successivi. Il muro d'acqua li afferrò. Un attimo prima erano lì, l'attimo dopo erano scomparsi. Li sollevò in un istante, gettandoli come bambole di pezza verso l'estremità prodiera del Typhoon, facendoli rimbalzare contro il lato del suo scafo. Anche l'altro gruppo di mercenari fu colpito dall'irrompente valanga d'acqua. Furono sbattuti contro la parete di cemento all'estremità più lontana del bacino di carenaggio e molti di loro andarono a fondo quando le onde s'infransero, ruggendo, contro la parete terminale del bacino lungo duecento metri.
Schofield e i suoi uomini, tuttavia, non arrivarono al fondo del bacino. Quand'erano stati investiti dalla massa d'acqua, si erano tenuti ferocemente aggrappati alle impugnature dei loro Maghook, mentre le funi si svolgevano a velocità impressionante. Arrivati di fianco alla prua del Typhoon, Schofield aveva gridato: «Bloccate! Ora!» Nel frattempo, aveva spinto un pulsante del gancio Maghook, avviando così il meccanismo di arresto dello svolgimento. Book II e Clark fecero lo stesso... E tutti e tre si bloccarono simultaneamente vicino alla prua del Typhoon, mentre l'acqua dirompente sferzava i loro corpi con getti esplosivi. Vicino a loro, esattamente dove Schofield lo aveva visto prima, si spalancava il vano dei tubi di lancio di sinistra del Typhoon, i tubi che evidentemente erano in riparazione quando Krask-8 era stata abbandonata. Al momento, i tubi di lancio stavano trenta centimetri sopra la superficie dell'acqua. «Dentro i tubi!» urlò Schofield. «Entrate nel sottomarino!» Book e Clark eseguirono immediatamente l'ordine. Dimenandosi e lottando contro l'acqua impetuosa riuscirono a entrare nel sottomarino. Silenzio. Contorcendosi, Schofield uscì dal tubo di lancio per ultimo e si trovò all'interno di un sottomarino lanciamissili Typhoon di fabbricazione sovietica. Era un mondo fatto d'acciaio. Rastrelliere che un tempo avevano contenuto siluri occupavano il centro della sala. File di tubi solcavano il soffitto. L'aria era satura del tanfo di corpi umani, l'odore della paura e dei sommergibilisti. Due grosse cascate di acqua marina zampillavano all'interno attraverso i tubi di lancio aperti, riempiendo la saletta. C'era un bel buio, là dentro: l'unica luce era il grigio chiarore del giorno che filtrava attraverso i tubi di lancio ormai allagati. Schofield e gli altri fecero guizzare le torce montate sui loro fucili. «Di qua», disse Schofield, uscendo di corsa dalla sala siluri, sguazzando nell'acqua che continuava a salire di livello. I tre marine attraversarono l'enorme sala dei tubi di lancio verticali del Typhoon: una lunga camera dall'alto soffitto che conteneva venti giganteschi silos per missili, altissime strutture cilindriche che salivano dal pavi-
mento al soffitto, facendoli sembrare dei nani. Correndo accanto ai silos, Schofield osservò che i portelli di accesso di alcuni di essi erano aperti e rivelavano una cavità all'interno. C'erano tuttavia almeno sei portelli chiusi, che evidentemente contenevano ancora i missili. «Dove si va ora?» chiese Book II. «La sala controllo. Devo avere informazioni su questi stronzi!» rispose Schofield. E infilò al volo il primo piolo della scala. Trenta secondi più tardi, Shane Schofield entrò nella sala controllo del Typhoon. C'era polvere ovunque. Negli angoli cresceva la muffa. Soltanto il riflesso luccicante delle torce dei suoi uomini rivelava la superficie metallica sotto la polvere. Schofield si precipitò alla plancia di comando, verso il periscopio. Sollevò con uno strattone il visore dal pavimento e si girò verso Book II. «Vedi se riesci a ottenere un po' di corrente. Questo sottomarino dovrebbe essere collegato all'alimentatore geotermico della base. Dovrebbe esserci della corrente residua. Accendi il sistema centrale di controllo Omnibus e poi metti in funzione l'Electronic Support Measures e le antenne radio.» «Ci provo», rispose Book II, allontanandosi velocemente. Il periscopio raggiunse la sua massima altezza. Schofield vi accostò l'occhio. Era un elementare periscopio ottico: non aveva bisogno di energia elettrica per funzionare. Attraverso di esso, Schofield vide l'area di carenaggio, l'acqua che turbinava ancora attorno al Typhoon e una mezza dozzina di mercenari sul bordo del bacino, che lo guardavano riempirsi d'acqua di mare. Facendo girare il telescopio, Schofield alzò il punto di vista, fissando lo sguardo al livello della balconata che dominava il bacino di carenaggio. Là vide molti altri mercenari, uno dei quali si sbracciava come un ossesso per spedirne di corsa un'altra mezza dozzina verso la passerella che collegava la vela del sottomarino alla balconata. «Ti vedo...» disse Schofield all'uomo. «Book? Come andiamo con l'energia elettrica?» «Aspetti solo un secondo, il mio russo è un po' arrugginito... Un momento, ecco, ci siamo...» Book azionò alcuni interruttori e improvvisamente una fila di piccole luci verdi si accese attorno a Schofield.
«D'accordo, provi ora», disse Book. Schofield afferrò un paio di cuffie impolverate e alzò l'antenna dell'ESM del sottomarino. Dotazione piuttosto comune sulla maggior parte dei sottomarini moderni, un dispositivo ESM è poco più che un analizzatore di sorgenti a largo spettro: non fa altro che passare sopra tutte le frequenze radio disponibili in cerca di attività. Immediatamente, attraverso le cuffie, arrivarono a Schofield alcune voci. «... quel pazzo bastardo ha fatto saltare quella cazzo di paratia!» «... sono passati dai tubi di lancio dei siluri. Ora sono dentro il sottomarino!» E poi giunse una voce più calma. Sempre guardando nel periscopio, Schofield si rese conto che apparteneva a quella specie di comandante sulla balconata. «... Squadra Blu, prendete d'assalto il sottomarino dalla vela. Squadra Verde, trovate una seconda passerella e usatela come ponte. Dividetevi in gruppi di due ed entrate nel sottomarino dai boccaporti anteriore e posteriore...» Schofield ascoltava attentamente quella voce. Accento aspro. Sudafricano. E calmo, pure. Nessun segno di ansia o di pressione. Non era un buon segno. Di solito un comandante che ha appena visto una dozzina dei suoi uomini spazzata via da un'onda dovrebbe essere piuttosto nervoso. Quel tizio, invece, era assolutamente calmo. «... Signore, qui radar. Quel primo contatto aereo in avvicinamento è stato identificato come un caccia d'attacco Yak-141. È l'Ungherese.» «Tempo di arrivo previsto?» chiese il comandante. «Cinque minuti, signore, a questa velocità.» Il comandante sembrò ponderare quella notizia. Poi disse: «Capitano Micheleaux, mi mandi ogni altro uomo disponibile. Vorrei farla finita prima che arrivino i nostri concorrenti». «Subito», fu la replica di una voce con accento francese. La mente di Schofield lavorava a tutta velocità. Stavano per assalire il Typhoon dalla vela e dai portelli dei boccaporti anteriore e posteriore. E altri rinforzi erano in arrivo... Ma da dove? Va tutto bene, si riscosse. Riprendiamo dall'inizio. Ragiona! I tuoi nemici. Chi sono?
Sono un contingente di mercenari di qualche tipo. Perché sono qui? Non lo so. L'unico indizio sono le teste mancanti. Le teste di McCabe e di Farrell... C'è dell'altro? Quel sudafricano parlava di «concorrenti» che stavano per arrivare. Che strana parola da usare: «concorrenti»... Che scelte hai? Non molte. Non abbiamo contatti con la nostra base. Non ci sono immediate vie di fuga. Almeno finché non arrivano i ranger, e c'impiegheranno una buona mezz'ora... Ah, dannazione, una mezz'ora intera, a dire poco. Quello era il grande vantaggio dei suoi nemici. Il tempo. A parte i «concorrenti» di cui avevano parlato, avevano tutto il tempo del mondo per dare la caccia a Schofield e ai suoi uomini. Ecco qual è la prima cosa che dobbiamo cambiare, pensò Schofield. Dobbiamo imporre un vincolo temporale a questa situazione. Si guardò attorno, valutando la costellazione di luci del quadro comandi che illuminavano la sala controllo. Aveva la corrente... E ciò voleva dire che avrebbe potuto... Pensò ai sei silos dei missili al livello inferiore che erano rimasti sigillati saldamente, mentre tutti gli altri erano stati aperti. Potevano esserci ancora i missili là dentro. I russi magari avevano tolto le testate da guerra, però i missili erano rimasti. Forse. «Vieni qui.» Schofield chiamò Clark accanto al periscopio. «Tienimi d'occhio i cattivi là fuori.» Clark prese il periscopio, mentre Schofield balzò verso un pannello lì accanto. «Book, dammi una mano qui.» «Che sta pensando, signore?» chiese Book II. «Voglio vedere se i missili di questo sottomarino funzionano ancora.» Girò il comando dell'alimentatore di corrente e il pannello si animò. Venne proposta una schermata di verifica di un codice e lui digitò un codice sovietico abilitato a tutte le funzioni che gli era stato fornito dall'ISS all'inizio della missione. Chiamato Codice Universale di Disattivazione, era una specie di passepartout elettronico, il passe-partout elettronico definitivo, progettato per essere usato soltanto dal personale sovietico più esperto. Era un codice a otto
cifre che funzionava in tutti i blocchi a combinazione di tastiera dell'Unione Sovietica. Era stato fornito a Schofield per superare ogni codice a Krask-8. Sembrava che ci fosse anche un equivalente americano, noto solo al presidente e a pochi esponenti dei vertici militari molto fidati, ma Schofield non lo conosceva. «Vedo sei uomini al livello della balconata che si dirigono alla passerella!» Clark attirò la sua attenzione. «Altri quattro giù al livello terra stanno predisponendo un ponticello in modo da poterci abbordare!» Book II girò vari interruttori e fece comparire una schermata. Sì, c'erano davvero alcuni missili ancora al loro posto nei silos nella sezione di prua del Typhoon. «Va bene», disse Book II, guardando la schermata. «Le testate nucleari sono state rimosse, però sembra che alcuni missili siano ancora nei loro silos. Sembra che ce ne siano... Mi faccia controllare... Sei...» «Me ne serve soltanto uno», disse Schofield. «Apri i portelli per i sei missili e poi apri un portello in più.» «Uno in più?» «Fidati di me.» Book II si limitò a scuotere la testa e fece come gli era stato ordinato, azionando gli interruttori per sette dei portelli dei silos dei missili. Cedric Wexley sgranò gli occhi. Vide il Typhoon, attorniato da un enorme bacino interno pieno d'acqua, vide i suoi uomini convergervi... e, con sua somma sorpresa, vide sette dei portelli dei missili, sulla parte superiore dello scafo, aprirsi lentamente e senza sforzo sui loro cardini idraulici. «Che diavolo sta facendo?» chiese a voce alta. «Che diavolo sta facendo?» chiese Book. «Sto cambiando la scala temporale per questa battaglia», rispose Schofield. Fece comparire un'ulteriore schermata e vide le esatte coordinate GPS di Krask-8: 07914.74 - 7000.01. Coincidevano con le coordinate del reticolo che aveva utilizzato quando la sua squadra era stata paracadutata dal bombardiere Stealth. Schofield inserì le informazioni necessarie. Predispose i missili per un lancio immediato. Poi li programmò per volare per venti minuti e impostò le coordinate del bersaglio: 07914.74 -
7000.01. Non si aspettava che tutti i missili funzionassero. Le guarnizioni sui razzi di spinta potevano essersi deteriorate negli ultimi anni, rendendone inutilizzabili alcuni. Ma a lui, in quel momento, bastava che ne funzionasse uno solo. Il quarto che provò funzionava. Quando la sua luce verde si accese, apparve una schermata finale di autorizzazione. Schofield utilizzò il Codice Universale di Disattivazione. AUTORIZZAZIONE CONCESSA. E premette il pulsante ACCENSIONE. *** Cedric Wexley udì il fragore prima di vedere lo spettacolo. Una minacciosa, profonda vibrazione proveniente dall'interno del sottomarino. Poi, con un sibilo esplosivo e assordante, un missile balistico SS-N-20 lungo dieci metri uscì da uno dei portelli del sottomarino. Sembrava il lancio dello Space Shuttle: il fumo si diffuse, tumultuoso, saturando completamente il bacino di carenaggio, nascondendo il gigantesco Typhoon dietro una fitta caligine grigiastra e avvolgendo i mercenari che stavano convergendo verso i suoi boccaporti. Il missile sfrecciò verso l'alto, dritto attraverso le vetrate in frantumi dell'hangar e poi in volo verticale nel cielo siberiano. Cedric Wexley rimase imperturbabile. «Uomini, continuate l'attacco. Capitano Micheleaux, dove sono questi rinforzi?» Se in quel preciso istante qualcuno avesse osservato Krask-8 dall'orizzonte, sarebbe stato testimone di uno spettacolo incredibile: una colonna di fumo verticale che saliva velocemente nel cielo sopra la minicittà. In effetti, mentre ciò accadeva, qualcuno stava assistendo all'evento. Una persona, nell'abitacolo di un caccia Yak-141 di fabbricazione russa, che si stava dirigendo a tutta velocità verso Krask-8. Nella sala controllo del sottomarino, Schofield si muoveva senza sosta. «Dove sono?» chiese a Clark al periscopio. «C'è troppo fumo», rispose Clark. «Non riesco a vedere niente.» La visione attraverso il periscopio mostrava un grigio caliginoso. Clark
riusciva a scorgere soltanto la zona immediatamente circostante il periscopio: il piccolo spazio in cui si poteva restare in piedi, in cima alla vela del sottomarino, e la stretta passerella che collegava la vela al livello della balconata. «Non riesco a vedere...» Il viso di un uomo comparve davanti al periscopio, grande e nitido, coperto da una maschera antigas. «Oddio!» Clark fece un balzo indietro dal visore. «Sono proprio qui fuori. Proprio sopra di noi!» «Non fa niente», disse Schofield, dirigendosi giù per la scaletta. «È tempo di andare. E noi non prenderemo quella direzione.» Schofield, Book II e Clark si precipitarono dentro la sala dei silos dei missili che avevano attraversato in precedenza. Trenta centimetri d'acqua coprivano il pavimento. Arrivarono a uno dei silos vuoti. Il suo piccolo portello di accesso era ancora aperto. Si affrettarono all'interno, trovandosi così dentro un cilindro torreggiante alto dieci metri, alla sommità del quale, apparentemente piccolissimo, si scorgeva il portello che si apriva verso l'esterno, il settimo portello che Schofield aveva aperto. Diverse tacche per mani e piedi si arrampicavano lungo la parete del cilindro, come una scala a pioli. I tre marine cominciarono a salire. Raggiunsero la sommità del cilindro e Schofield fece capolino all'esterno... Vide due mercenari scomparire dentro il boccaporto a prua del sottomarino, tre metri più avanti lungo lo scafo. Perfetto, pensò Schofield. Loro stavano entrando mentre lui e i suoi uomini stavano uscendo. Inoltre l'hangar attorno al Typhoon era ancora saturo della nebbia biancastra generata dal lancio del missile. Gli occhi di Schofield si posarono sulla balconata sovrastante il Typhoon e sul comandante sudafricano che dirigeva l'operazione dei mercenari. Era quello l'uomo con cui voleva parlare. Si diresse verso la scaletta a pioli all'esterno della vela del Typhoon. Schofield e gli altri si arrampicarono sulla vela del sottomarino e corsero lungo la passerella che la collegava al sovrastante piano della balconata. All'estremità della lunga balconata, videro una piccola struttura interna adibita a ufficio.
Là, nel vano della porta, intento a latrare in un radiomicrofono mentre cercava di scorgere qualcosa attraverso la nebbia che avvolgeva il Typhoon, c'era il comandante dei mercenari, Wexley, con a fianco una sola guardia del corpo. Nascosti dal fumo, Schofield, Book II e Clark percorsero la balconata e si avvicinarono veloci a Wexley. Si slanciarono contro di lui. Schofield gridò: «Fermi!» e la guardia del corpo fece fuoco. Ma anche Clark fu pronto a sparare e la guardia cadde al suolo, colpita al viso. Pure Clark si accasciò. Wexley estrasse la pistola, mentre Schofield si girava come un fulmine e faceva fuoco due volte con la sua Desert Eagle. Colpito al petto e a una mano, Wexley barcollò all'indietro, andando a sbattere contro la porta esterna dell'ufficio e scivolando a terra. «Clark! Stai bene?» chiese Schofield, allontanando con un calcio l'arma di Wexley. Clark era stato colpito vicino alla spalla. Sussultò quando Book II esaminò la ferita. «Sì, mi ha solo preso di striscio.» Anche Wexley non era ferito gravemente. Sotto la tuta mimetica bianca, portava un giubbetto antiproiettile che lo aveva protetto dal colpo al petto. Si era accasciato contro il muro esterno dell'ufficio, tenendosi stretta al petto la mano ferita. Schofield puntò la canna della Desert Eagle contro la tempia di Wexley. «Chi sei e perché sei qui?» Wexley tossì, poi ansimò per prendere fiato. «Ti ho chiesto chi diavolo sei e che ci fai qui.» Wexley rispose con un roco bisbiglio. «Mi chiamo... Cedric Wexley. Sono qui con... la Executive Solutions.» «Mercenari», sbuffò Schofield. «E perché siete qui? Perché state cercando di ucciderci?» «Non tutti, capitano. Solo lei.» «Me?» «Lei e quei due uomini della Delta, McCabe e Farrell.» Schofield rimase di sasso, ricordando il corpo senza testa di Dean McCabe. Bull Simcox gli aveva detto che la stessa sorte era toccata a Greg Farrell. «Perché?» «È davvero importante?» Schofield non aveva tempo per quei giochetti. Perciò schiacciò sotto la suola del suo stivale la mano ferita di Wexley, ruotandovi leggermente il
piede sopra. Wexley ruggì di dolore. Poi sollevò lo sguardo sul viso di Schofield, gli occhi colmi d'odio. «Perché c'è una taglia sulla sua testa, capitano Schofield. Abbastanza grossa da indurre praticamente ogni cacciatore di taglie del globo a darle la caccia.» Schofield sentì lo stomaco contrarsi. «Come?» Con la mano sana, Wexley estrasse un foglio di carta spiegazzato dalla tasca interna della sua tuta e lo porse a Schofield, come per chiudere il discorso. «Dia un'occhiata a questa.» Lui prese il pezzo di carta e lo guardò. Era una lista di nomi. Quindici. Soldati, spie e terroristi. Si accorse subito che vi comparivano i nomi di McCabe, Farrell e anche il suo. L'accento sudafricano di Wexley grondava di sinistro piacere quando disse: «Immagino che lei stia per incontrare parecchi dei migliori cacciatori di taglie del mondo, capitano. Anche i suoi amici. I cacciatori di taglie hanno la tendenza a servirsi di amici e persone amate come esche per stanare un bersaglio». A Schofield si gelò il sangue al pensiero dei suoi amici presi in ostaggio da cacciatori di taglie. Gant... Mother.. Si sforzò di pensare al presente. «Ma perché dovete mozzarci la testa?» chiese. Wexley gli rispose con un grugnito. Schofield mosse ancora il piede sulla mano sanguinante di Wexley. «Un momento, aspetti. Forse non sono stato abbastanza preciso», continuò Wexley, in tono acido. «La taglia sulla sua testa, capitano, è letteralmente una taglia sulla sua testa: 18,6 milioni di dollari alla persona che porterà la sua testa fino a un castello in Francia. È una somma notevole, la più alta che abbia mai sentito: abbastanza per corrompere ufficiali di alto rango, abbastanza per cancellare qualsiasi prova di una missione fasulla contro dei terroristi in Siberia, abbastanza per essere certi che i suoi rinforzi, una compagnia di ranger proveniente da Fort Lewis, non si siano mai alzati in volo. Lei è solo, capitano Schofield. Lei è qui... solo... con noi... finché non la uccideremo e le mozzeremo quella sua dannata testa.» Il cervello di Schofield si mise rapidamente in moto. Non si sarebbe mai aspettato niente del genere. Qualcosa di così soggettivo, così personale. Poi, di colpo, vide Wexley fare qualcosa d'insolito. Il mercenario suda-
fricano alzò nuovamente lo sguardo, ma stavolta guardò sopra la spalla di Schofield. Questi si voltò... e gli occhi gli si spalancarono per l'orrore. Come la terribile avvisaglia di un'eruzione vulcanica sottomarina, una spumeggiante massa di bolle comparve sulla superficie ghiacciata del «lago» che ora si estendeva all'esterno della fossa di cemento del bacino di carenaggio. Il sottile strato di ghiaccio che copriva quella massa d'acqua s'infranse rumorosamente. E a quel punto, dal centro della schiuma ribollente, come un gigantesco cetaceo che balzasse fuori dalla superficie del mare, apparve il nero scafo d'acciaio di un sottomarino d'attacco sovietico classe Akula. Benché non avesse mai goduto del successo internazionale dei più piccoli sottomarini classe Kilo, l'Akula stava rapidamente guadagnando popolarità sui mercati delle armi internazionali, mercati che il nuovo governo russo era desideroso di sfruttare. Ovviamente la Executive Solutions era uno dei clienti della Russia. L'Akula si mosse rapidamente nel lago gelato. Non appena emerse, uomini armati sciamarono fuori dai suoi boccaporti, allungarono passerelle verso la riva e le percorsero a passo di carica, scendendo sul pavimento del bacino di carenaggio. Schofield impallidì. C'erano almeno altri trenta mercenari. Wexley sorrise malignamente. «Continua a sorridere, stronzo», gli disse Schofield. Guardò il suo orologio. «Tanto non mi prenderai mai. Fra esattamente sedici minuti, quel missile del Typhoon ritornerà alla base. Fino ad allora, sorridi per questo...» E sferrò un colpo al naso di Wexley con la sua Desert Eagle, mettendolo fuori combattimento. Poi corse verso Book II per dargli una mano con Clark. «Prendilo dall'altra parte...» suggerì. I due aiutarono il giovane marine a mettersi in piedi, sostenendolo per le spalle. Clark si sforzò di reggersi in piedi. «Ce la faccio...» mormorò, nello stesso istante in cui il suo petto esplodeva in un rivoltante fiotto di sangue. Un fiotto di sangue gli uscì dalla bocca, direttamente dai polmoni, e si sparse sul petto di Schofield. Mentre la vita svaniva rapidamente dai suoi occhi, Clark guardò attonito Schofield. Poi si accasciò sul pavimento a griglia della balconata, morto. Era stato colpito alle spalle dalle forze dei mercenari che stavano sbarcando velocemente dal sottomarino appena arrivato, dilagando per tutto l'han-
gar. Schofield abbassò lo sguardo pieno di orrore sul compagno morto. Non riusciva a crederci. A parte Book II, la sua squadra era andata, morta, sterminata. E lui era lì, bloccato in una base siberiana deserta con circa quaranta mercenari alle calcagna, un solo uomo al suo fianco, niente rinforzi e nessuna possibilità di fuga. *** Schofield e Book II cominciarono a correre. Corsero per salvarsi la pelle, mentre raffiche di proiettili squarciavano i sottili pannelli attorno a loro. Il nuovo gruppo di mercenari della ExSol era entrato in battaglia con spaventosa violenza. Si stavano arrampicando su ogni scala a pioli che riuscivano a trovare e correvano a tutta velocità lungo il bacino di carenaggio con un unico scopo: avere la testa di Schofield. I mercenari che in precedenza erano entrati nel Typhoon si erano ormai resi conto che Schofield si era allontanato e riemersero dal sottomarino sparando all'impazzata. Schofield e Book II si diressero verso la zona occidentale, percorrendo il ponte sospeso di cemento che collegava il capannone del bacino di carenaggio alla torre degli uffici di Krask-8. Mentre si avvicinavano al ponte, Schofield aveva osservato i movimenti delle forze della Executive Solutions: alcuni stavano scalando la balconata, altri si muovevano paralleli a lui e Book II in basso, a livello del suolo, correndo in direzione della torre. A Schofield era chiara una cosa: lui e Book dovevano riuscire a raggiungere la torre degli uffici e poi scendere al pianterreno prima che i mercenari ci arrivassero. Altrimenti si sarebbero trovati in trappola nell'edificio alto quindici piani. Sfrecciarono lungo il ponte sospeso, superando i telai di cemento delle finestre in frantumi, irruppero oltre l'estremità opposta del ponte, entrarono nella torre degli uffici... e si fermarono di colpo. Si trovavano su una balconata, una piccola passerella sospesa, una delle molte che salivano e salivano per quindici piani, tutte collegate da una rete di scale. Quella balconata si affacciava su una gigantesca voragine di forma squadrata.
Non si trattava di una torre di uffici. Era una struttura cava di vetro e acciaio. Era un falso edificio. Lo spettacolo era sconvolgente, come trovarsi in una gigantesca serra: oltre le finestre in frantumi, che costituivano le quattro facciate dell'edificio, si scorgeva il desolato paesaggio siberiano. Alla base di quella immensa struttura di vetro, Schofield comprese lo scopo dell'edificio. C'erano quattro enormi silos di missili balistici intercontinentali, per metà interrati nella vasta base di cemento, disposti in un ordinato schieramento di forma squadrata. Coperti dalla falsa torre di uffici, non avrebbero mai potuto essere individuati dai satelliti spia americani. Schofield immaginò che altre tre batterie di silos si trovassero sotto le altre «costruzioni» di Krask-8. Sul terreno accanto ai silos, un piano sotto di lui, intravide dieci figure accasciate: i sei membri del gruppo della Delta di Farrell e i quattro marine della squadra di Bull Simcox. Guardò l'orologio, il conto alla rovescia che indicava entro quanto tempo il missile del Typhoon sarebbe ritornato a Krask-8: 15:30... 15:29... 15:28... «Giù», disse a Book. «Dobbiamo raggiungere il pianterreno.» Sì affrettarono verso la più vicina scala a pioli, cominciarono a scendere... e furono improvvisamente assaliti da una raffica di colpi. Merda. I mercenari avevano raggiunto per primi il pianterreno. Dovevano aver attraversato di corsa la strada coperta di neve tra il capannone del bacino di carenaggio e la torre. «Maledizione!» gridò Schofield. «Che facciamo adesso?» chiese Book II «Non sembra che abbiamo molta scelta! Saliamo!» E così salirono, arrampicandosi lungo le scale a pioli come un paio di scimmie in fuga e schivando il fuoco dei mercenari. Si trovavano a dieci piani dal suolo quando Schofield si azzardò a fermarsi e a guardare in basso. Ciò che vide vanificò qualsiasi speranza di sopravvivenza che aveva potuto nutrire fino a quel momento. Scorse l'intero gruppo di mercenari schierato attorno al silos di cemento dei missili al pianterreno della torre: una cinquantina di uomini in tutto.
E in quel momento i mercenari ruppero i ranghi per cedere il passo a un uomo che passava in mezzo a loro. Era Cedric Wexley, col naso ridotto a un ammasso sanguinante. Schofield s'immobilizzò, chiedendosi che cosa avrebbe fatto Wexley. Il comandante dei mercenari poteva spedire i suoi uomini lungo le scalette dietro Schofield e Book, e poi guardare i due marine eliminarli uno alla volta finché non avessero esaurito le munizioni, diventando facili bersagli. Una strategia non proprio attraente. «Capitano Schofield!» La voce di Wexley riecheggiò nell'ampio spazio vuoto della torre. «Lei corre molto veloce! Ma ormai non c'è nessun posto in cui possa andare! Ricordi le mie parole: ben presto non correrà più da nessuna parte!» L'uomo estrasse alcuni oggetti di piccole dimensioni dalle sue giberne. Schofield li riconobbe all'istante e s'irrigidì. Erano cariche esplosive da demolizione Thermite-Amatol. Quattro. Probabilmente Wexley le aveva prese dai cadaveri dei marine di Schofield. Ora conosceva il piano di Wexley. Il comandante dei mercenari consegnò le cariche esplosive a quattro dei suoi uomini, che si portarono ai quattro angoli del pianterreno e le fissarono ai pilastri portanti della torre. Schofield estrasse il binocolo da campo dal cinturone e se lo portò agli occhi. Riuscì a scorgere una delle cariche esplosive attaccate ai pilastri e vide accendersi gli interruttori colorati del timer: rosso, verde e blu. «Iniziare il conto alla rovescia!» gridò Wexley. L'uomo che Schofield stava guardando premette l'interruttore blu sulla carica esplosiva Thermite-Amatol. Blu significava un minuto. I tre mercenari addetti alle altre cariche fecero lo stesso. Gli occhi di Schofield si dilatarono. Lui e Book avevano sessanta secondi prima che l'edificio esplodesse. Avviò il cronometro del suo orologio. 00:01 00:02 00:03 «Capitano Schofield! Quando tutto ciò sarà finito, passeremo al setaccio le macerie e troveremo il suo cadavere! E, quando lo avremo trovato, le staccherò personalmente quella sua testa e le piscerò in bocca! Signori, via!»
I mercenari si sparpagliarono, disperdendosi come uno stormo di uccelli verso ogni uscita del pianterreno. A Schofield e Book II non rimase che guardarli mentre si allontanavano. Schofield premette il viso contro la finestra più vicina e li vide riapparire sul terreno coperto di neve all'esterno e disporsi in un largo cerchio, tenendo ogni uscita dall'edificio sotto tiro. Deglutì. Lui e Book erano prigionieri in quell'edificio. Un edificio che sarebbe esploso tra 52 secondi. *** Mentre stava scrutando i mercenari schierati sul terreno, Schofield la udì. Una profonda vibrazione riecheggiante. L'inconfondibile rumore di un caccia a reazione. «Il messaggio di prima», sibilò Schofield. «Come?» chiese Book. «Quand'eravamo all'interno del Typhoon, hanno rilevato un contatto aereo in avvicinamento: un caccia Yak-141. Pilotato da qualcuno che chiamavano 'l'Ungherese'. Diretto qui.» «Un cacciatore di taglie?» «Un concorrente. Ma su uno Yak-141. E uno Yak-141 è un...» disse Schofield, poi s'interruppe ed esclamò: «Su, veloce!» Si lanciarono lungo la più vicina scala a pioli e si arrampicarono verso il tetto della torre degli uffici ormai condannata a disintegrarsi. Schofield apri il portello che conduceva al tetto. Lui e Book II si arrampicarono all'esterno e furono immediatamente aggrediti dal pungente vento siberiano. Il cronometro ticchettava. 00:29 00:30 00:31 Schofield e Book offrivano uno spettacolo veramente desolato: due minuscole figure sul tetto della torre, circondata dagli edifici deserti di Krask8 e dalle spoglie colline siberiane. Schofield corse fino al bordo del tetto, alla ricerca della fonte del rumo-
re. 00:33 00:34 00:35 Eccolo! Si librava nell'aria al di sopra di un basso edificio a cupola, cinquecento metri verso occidente. Era un caccia Yakovlev 141. Equivalente russo del jet a decollo verticale Harrier, lo Yak-141 è un serio concorrente al titolo di più brutto aereo da caccia mai costruito. D'altronde, con le sue forme squadrate e il grosso ugello direzionabile posteriore, non aveva mai avuto la pretesa di essere bello. Tuttavia, grazie alle sue caratteristiche, aveva la possibilità di decollare e atterrare verticalmente, e anche di rimanere in volo stazionario come un elicottero. 00:39 00:40 00:41 Schofield estrasse il suo MP-7 e sparò un intero caricatore di trenta proiettili davanti al musetto dello Yak-141, cercando disperatamente di attirare l'attenzione del pilota. Funzionò. Come un tirannosauro disturbato durante il pasto, lo Yak-141 girò su se stesso e parve guardare direttamente Schofield e Book II. Poi, con un beccheggio improvviso, si mosse per avvicinarsi alla torre di vetro. Schofield faceva segnali all'aereo, sbracciandosi come un idiota. «Qui!» gridava. «Più vicino! Vieni più vicino...!» 00:49 00:50 00:51 Lo Yak-141 si avvicinò. Ormai si librava a circa cinquanta metri dal bordo del tetto della torre. Ma non era ancora abbastanza vicino... Continuando a gesticolare in modo inconsulto, Schofield fissò il pilota: un uomo dal viso largo che indossava un casco di volo e aveva un'espressione perplessa. 00:53 00:54 00:55 Lo Yak-141 si avvicinò ancora un poco. Quaranta metri...
00:56 «Cazzo, muoviti!» gridò Schofield, guardando il tetto sotto i suoi piedi e aspettando che le cariche Thermite esplodessero. 00:57 «Troppo tardi.» Schofield si voltò verso Book II e, con uno sguardo eloquente, sfoderò la sua arma segreta. «Fai quello che faccio io e riuscirai a sopravvivere», disse. «Corri!» E così i due si misero a correre insieme, fianco a fianco, schizzando verso il bordo del tetto a quindici piani dal suolo. 00:58 Arrivarono al bordo, lanciati, le gambe che pompavano... 00:59 ... e quando il cronometro arrivò a un minuto, Schofield e Book II saltarono nel vuoto. I loro piedi si staccarono dal parapetto nel preciso istante in cui l'intera base dell'edificio esplodeva in una fluttuante nuvola di cemento e l'intera torre - con tutti i suoi sessanta metri, il tetto, le pareti di vetro, i pilastri di calcestruzzo - crollava sotto di loro come un gigantesco albero abbattuto. *** Sbalordito, il pilota dello Yak-141 osservò l'edificio di quindici piani che si disintegrava, crollando al suolo con uno strano moto al rallentatore, prima di collassare nella sua stessa nuvola di polvere. Il pilota era un uomo tozzo, dall'aspetto da orso, con un largo viso tondo sormontato da folte sopracciglia scure, atteggiato a un perenne cipiglio: il tipico viso dell'Est europeo. Il suo nome era Oleg Omansky, ma nessuno lo chiamava mai così. Ex maggiore della polizia segreta ungherese, con la nomea di usare la violenza invece del cervello, era conosciuto nel giro dei cacciatori di taglie freelance semplicemente come «l'Ungherese». In quel momento l'Ungherese era confuso. Aveva visto Schofield - riconoscendolo immediatamente dalla lista - e Book II saltare giù dal tetto un attimo prima che l'edificio crollasse. Però ora non riusciva a scorgere nessuno dei due. Una fitta nuvola si levò dalle macerie dell'edificio, avvolgendo ogni cosa. L'Ungherese fece un giro sul posto, in cerca del punto in cui Schofield
aveva toccato terra, e vide un nutrito gruppo di uomini disporsi a cerchio attorno all'edificio crollato. Era un gruppo di cacciatori di taglie, senza dubbio. Gli uomini si avvicinarono ai resti della costruzione. Ma ancora nessuna traccia di Schofield. L'Ungherese preparò le sue armi e decise di atterrare sul tetto di un edificio vicino. Lo Yak-141 atterrò leggero sul tetto di uno degli edifici più piccoli di Krask-8, coi getti dell'ugello, diretti verso il suolo, che spazzavano via ogni detrito. Il tettuccio del caccia si aprì e l'Ungherese sgusciò fuori, il corpo massiccio quanto la sua faccia. Impugnava un fucile d'assalto AMD, la brutale ma efficace variante ungherese dell'AK-47, noto per la sua impugnatura eccezionalmente avanzata. Si era allontanato di quattro passi dall'aereo, quando... «Getti il fucile, signore.» L'Ungherese si voltò e vide Shane Schofield uscire da sotto lo Yak-141, un MP-7 in mano puntato dritto al suo naso. Mentre la torre di vetro crollava al suolo, Schofield e Book II si erano lanciati verso l'alto, disegnando due parabole identiche sotto la prua dello Yak-141 che si librava sopra di loro. Prima d'iniziare la loro corsa, Schofield aveva estratto la sua arma segreta, il Maghook, dalla custodia che portava assicurata al dorso. Poi, mentre precipitava nel vuoto, l'aveva puntato al ventre dello Yak-141 e l'aveva lanciato. Book aveva fatto lo stesso. I Maghook erano schizzati in aria, srotolando un'ondeggiante fune dietro i loro uncini. Con un paio di scatti sordi, le due potenti teste magnetiche si erano fissate alla parte inferiore dello Yak-141. La caduta di Schofield e Book II era stata bruscamente arrestata quando entrambi erano stati trattenuti dalle funi. Poi, mentre lo Yak-141 si dirigeva verso il tetto più vicino, avevano avviato i verricelli interni, issandosi così verso la parte anteriore del ventre del caccia e rimanendo nel contempo nascosti ai mercenari dispiegati sul terreno, accanto alla fluttuante nuvola di polvere. L'atterraggio era stato piuttosto complicato, con tutti i detriti sollevati e la fiamma rovente dell'ugello dello Yak-141 direzionata verso il basso, ma ce l'avevano fatta. Schofield e Book II erano saltati sul tetto sotto il ventre dell'aereo ed erano corsi via.
A quel punto, il piano di Schofield era piuttosto semplice. Impossessarsi dello Yak-141. Sul tetto del basso edificio, Schofield e Book II fronteggiarono l'Ungherese. L'uomo lasciò il suo fucile d'assalto, che cadde al suolo con un rumore metallico. Osservando il minaccioso fucile e gridando per sovrastare il ruggito del motore del caccia che girava al minimo, Schofield chiese: «Anche tu sei un cacciatore di taglie?» «Da», grugni l'Ungherese. «Come ti chiami?» «Sono l'Ungherese.» «L'Ungherese, eh? Be', arrivi tardi. I mercenari ti hanno battuto. Hanno preso McCabe e Farrell.» «Ma non hanno preso te.» La voce dell'Ungherese era completamente priva di emozione. Gli occhi di Schofield si strinsero. «Mi hanno detto che dovete portare la mia testa fino a un castello in Francia per riscuotere il denaro. Che castello?» Scrutando con diffidenza il fucile di Schofield, l'Ungherese precisò: «È una fortezza... La fortezza di Valois». «La fortezza di Valois», ripeté Schofield. «E chi sta pagando per tutto questo? Chi mi vuole morto?» L'Ungherese lo fissò. «Non lo so», rispose con un grugnito. «Ne sei sicuro?» «Ho detto che non lo so.» C'era qualcosa nella sua franchezza che indusse Schofield a credergli. «D'accordo...» borbottò, poi si diresse verso lo Yak-141, camminando all'indietro, il fucile ancora spianato. Mentre arretrava provò una sorta di pietà per quel massiccio cacciatore di taglie. «Prenderò il tuo aereo... Ma voglio anche rivelarti qualcosa che non dovrei dirti. Fa' in modo di non essere qui tra undici minuti.» Coi fucili puntati sull'Ungherese, Schofield e Book II si arrampicarono sulla scaletta dello Yak-141. «Lo sa che, un giorno o l'altro, il Maghook non funzionerà, vero?» disse Book II. «Taci», ribatté Schofield.
Salirono sull'aereo. Avendo pilotato gli Harrier, Schofield non incontrò un'eccessiva difficoltà a prendere confidenza coi comandi dello Yak-141. Impostò il motore per il decollo verticale, facendo sollevare lo Yak-141 sopra il tetto, poi aprì il gas al massimo. L'aereo sfrecciò verso le spoglie colline siberiane, lasciandosi alle spalle la solitaria figura dell'Ungherese che lo guardava, silenzioso e impotente. I due lasciarono che Krask-8 scomparisse alle loro spalle. Seduto ai comandi dello Yak-141, Schofield meditava sulla sua prossima mossa. Alle sue spalle, Book II chiese: «A cosa sta pensando? Andiamo a quel castello?» «Il castello è importante», rispose Schofield. «Ma non è la chiave.» Estrasse la lista di caccia di Wexley dalla tasca. «Questa è la chiave.» Lesse i nomi sul foglio di carta spiegazzato e si domandò che cosa avessero in comune quelle persone. In poche parole, la lista era una specie di Who's Who dei combattenti internazionali: soldati di prim'ordine di forze speciali, come McCabe e Farrell; una spia inglese dell'MI-6; un pilota dell'aviazione israeliana. C'era anche Ronson Weitzman, il generale Ronson Weitzman del corpo dei marine degli Stati Uniti, uno dei marine di grado più alto in America. Per non parlare dei terroristi mediorientali sulla lista: Iman Khalif, Yousef Nazzar e Hassan Zawahiri. Hassan Zawahiri... Quel nome parve balzare agli occhi di Schofield. Era il comandante in seconda di al-Qaida, il braccio destro di Osama bin Laden. Ed era l'uomo cui, in quel preciso istante, gli Stati Uniti stavano dando la caccia tra le montagne dell'Afghanistan. Una caccia nella quale erano coinvolti i suoi amici nei marine: Elizabeth Gant e Mother Newman. La voce di Wexley s'insinuò nei pensieri di Schofield. «I cacciatori di taglie hanno la tendenza a servirsi di amici e persone amate come esche per stanare un bersaglio...» Schofield contrasse le labbra. I suoi amici e almeno uno dei bersagli della lista, Zawahiri, si trovavano nello stesso posto. Era il perfetto punto di partenza per qualsiasi caccia all'uomo. E cosi prese la sua decisione. Impostò il pilota automatico dello Yak-141 per sud-sudovest, destina-
zione nord dell'Afghanistan. *** Undici minuti dopo che Schofield aveva lasciato Krask-8, un dito di fumo bianco schizzò fuori dalle nuvole sopra la base, preceduto dalla coda del missile SS-N-20 lanciato dal sottomarino venti minuti prima. Il missile scese come una saetta luminosa verso i resti di Krask-8, neanche fosse determinato a distruggere ogni cosa. Si dirigeva verso il suolo a velocità supersonica. 1500 metri... 600 metri... 300 metri... Poi, in un attimo sconvolgente, esplose. A 250 metri da terra. Il missile in discesa deflagrò in un milione di frammenti, esplodendo come un fuoco d'artificio. Era stato colpito di lato da un missile più piccolo a guida laser. I frammenti luccicanti del missile lanciato dal sottomarino piovvero sopra Krask-8, senza arrecare danni. E, quando il fumo si dissolse, là, sospeso in cielo sopra la minicittà, c'era il secondo caccia a reazione in arrivo a Krask-8 quella mattina. Era ben più elegante dello Yak-141 dell'Ungherese, più lungo e dipinto quasi completamente di nero. L'unico elemento di colore diverso era il radome anteriore, bianco. Le ali a freccia avevano una conformazione insolita - erano rivolte in avanti - e l'abitacolo era a due posti. Si trattava di un Sukhoi S-37, un caccia di fabbricazione russa, molto più avanzato del vecchio Yak-141. L'elegante S-37 si librò come un falco sopra la base siberiana in rovina, quasi volesse osservare la scena. Le strade erano deserte. I membri della ExSol sembravano scomparsi. Dopo pochi minuti di sorveglianza aerea, il Sukhoi atterrò su uno spiazzo di terreno aperto non lontano dall'enorme capannone del bacino di carenaggio. Due persone uscirono dal suo abitacolo. La prima era eccezionalmente alta - almeno due metri - e armata con un massiccio fucile G-36. L'altra era più bassa, comunque sul metro e ottanta, e ben piazzata. Era vestita completamente di nero: uniforme da combattimento nera, giubbetto
antiproiettile nero e casco nero. Portava due fucili a pompa a canne mozze Remington 870 in fondine assicurate alla coscia. Le armi erano di luccicante acciaio argentato. Aveva anche un'altra caratteristica peculiare. Portava avvolgenti occhiali antiabbagliamento con montatura nera e lenti gialle. Estraendo uno dei fucili a canne mozze e impugnandolo come una pistola, l'uomo vestito di nero lasciò il suo compagno a guardia del Sukhoi e si mosse verso la porta usata in precedenza da Schofield per accedere al bacino di carenaggio. Si fermò di fronte alla porta, esaminò il terreno coperto di neve, toccandolo con una mano coperta da un guanto nero. Entrò. Il capannone del bacino di carenaggio era deserto. Residui della nuvola di fumo creata da Schofield ristagnavano nell'aria. Il sottomarino Typhoon torreggiava in mezzo al resto. Il contingente di mercenari della ExSol se n'era andato da tempo. Anche il sottomarino Akula non c'era più. L'uomo vestito di nero esaminò i corpi degli uomini della Delta rimasti sul terreno accanto alla fossa di cemento allagata, i bossoli delle munizioni, il cadavere senza testa di McCabe e il corpo ancora caldo del marine di Schofield, Rooster, falciato nel momento in cui la trappola tesa dai mercenari era scattata. Molti corpi galleggiavano a faccia in giù nel bacino allagato. Muovendosi con passi calmi e misurati, l'uomo vestito di nero si avvicinò alla paratia che una volta separava il bacino di carenaggio dal lago e notò la sua sezione laterale aperta con l'esplosivo. Un segno di Scarecrow, pensò l'uomo in nero. Dopo che hanno ucciso uno dei suoi ragazzi lo hanno intrappolato nel bacino di carenaggio. Così lui ha fatto saltare la paratìa, ha allagato il bacino, uccidendo gli uomini che gli stavano alle calcagna... Si avvicinò al bordo del lago interno e si accucciò accanto a una serie d'impronte umide che spiccavano sul cemento: i segni di stivali da combattimento. Marche differenti di stivali da combattimento. Il che voleva dire mercenari. E tutte arrivavano sul pavimento del bacino da una superficie umida. Un sottomarino. Un secondo sottomarino.
E dunque la Executive Solutions era stata lì, ma era arrivata velocemente. Troppo velocemente. Di certo era stata informata da qualcuno che stava dietro la caccia all'uomo. Che aveva dato loro un vantaggio per ottenere le teste degli americani. Si udì un improvviso lamento e l'uomo si voltò di scatto, col fucile spianato, rapido come una mangusta. Il lamento veniva dal piano della balconata che si affacciava sull'hangar di manutenzione. L'uomo vestito di nero si arrampicò rapidamente lungo una scaletta a pioli lì accanto e arrivò a un piccolo ufficio interno sulla balconata. Nel vano della porta erano riversi due corpi: il primo era quello del marine Max «Clark» Kent, morto; il secondo era di un altro soldato. A giudicare dal suo fucile d'assalto, di fabbricazione francese, era un mercenario della ExSol. Ed era vivo. Ma ancora per poco. Il sangue gli sgorgava da una ferita che gli si apriva su una guancia. Metà faccia gli era stata strappata via. L'uomo in nero rimase in piedi davanti al mercenario ferito, osservandolo freddamente. Il mercenario a terra allungò una mano verso l'uomo, implorando: «Aidez-moi! S'il vous plaît... aidez-moi...» L'altro esaminò il ponte sospeso di cemento che un tempo aveva collegato la costruzione alla torre degli uffici. Un edificio di quindici piani distrutto. Un altro segno di Scarecrow. Il mercenario ferito passò all'inglese. «Per favore, monsieur. Mi aiuti...» L'uomo in nero guardò di nuovo il soldato. «No», disse in un soffio. E gli sparò alla testa. L'uomo vestito di nero tornò all'elegante Sukhoi, raggiungendo il suo massiccio compagno. Entrambi risalirono sul caccia, decollarono in verticale e sparirono veloci nel cielo, in direzione sud-sudovest. Dopo che il Sukhoi si fu allontanato, una figura solitaria emerse da uno degli edifici di Krask-8. Era l'Ungherese. Rimase immobile, in mezzo alla strada deserta, gli occhi come due fessure, a guardare il Sukhoi scomparire sopra le colline verso sud.
SECONDO ATTACCO AFGHANISTAN - FRANCIA 26 OTTOBRE, ORE 13.00 [AFGHANISTAN] EST [NEW YORK] ORE 03.00
«Pensate a una lunga limousine che avanza nelle zone di New York dove vivono i senzatetto. All'interno della limousine climatizzata ci sono le regioni postindustriali del Nordamerica, dell'Europa, delle aree emergenti del Pacifico e poche altre nazioni isolate... Fuori, c'è il resto dell'umanità, che si muove in una direzione diversa.» DOTTOR THOMAS HOMER-DIXON Direttore del Peace and Conflict Studies Program, Dipartimento di Scienze Politiche, University of Toronto
FORTEZZA DI VALOIS BRETAGNA, FRANCIA 26 OTTOBRE, ORE 09.00 [AFGHANISTAN ORE 1 3.00; EST 03.00] I due cacciatori di taglie attraversarono il ponte levatoio che dava accesso alla fortezza di Valois, un massiccio castello che sorgeva dall'oceano Atlantico al largo dell'aspra costa nordoccidentale della Francia. Costruita nel 1289 dal folle conte di Valois, la fortezza non era un tipico castello francese. Mentre negli edifici fortificati in Francia si enfatizzava comunque il dato estetico, in quell'imponente costruzione si era sacrificato
tutto all'aspetto funzionale. Bassa, possente e solida oltre ogni dire, grazie ad audaci soluzioni costruttive e all'unicità della sua posizione, la fortezza di Valois era stata assolutamente inespugnabile, edificata com'era sopra un'enorme formazione rocciosa che emergeva dall'oceano, a circa sessanta metri dalle erte falesie costiere. Le colossali mura di pietra si confondevano senza soluzione di continuità con le pareti verticali dell'ammasso roccioso: l'intera struttura si ergeva a centoventi metri dalle impetuose onde dell'Atlantico. L'unico collegamento del castello con la terraferma era un ponte di pietra lungo sessanta metri; gli ultimi venti erano costituiti da un ponte levatoio. I due cacciatori di taglie lo attraversarono, minuscoli rispetto alla mole dell'oscuro castello che incombeva su di loro e sferzati dall'implacabile vento dell'Atlantico. Portavano, un manico per ciascuno, un grosso contenitore bianco su cui era dipinta una croce rossa e le parole: ORGANI UMANI: NON APRIRE. CONSEGNA URGENTE. Una volta superato il ponte, i due uomini passarono sotto la saracinesca di quella fortezza costruita più di settecento anni prima ed entrarono nel castello. Nel cortile venne loro incontro un azzimato gentiluomo che indossava un impeccabile frac e un paio di pince-nez dalla montatura metallica. «Bonjour, messieurs», esordì l'uomo. «Il mio nome è monsieur Delacroix. In che posso aiutarvi?» I due cacciatori di taglie, americani, vestiti con giacche di pelle scamosciata, jeans e stivali da cowboy, si guardarono. Il più grosso dei due grugnì: «Siamo qui per riscuotere la taglia su una coppia di teste». L'azzimato gentiluomo sorrise educatamente. «Ma certo. E i vostri nomi sono...» Il grosso rispose: «Io mi chiamo Joe Drabyak, Texas ranger. Questo è mio fratello, Jimbo». Monsieur Delacroix fece un inchino. «Ah, oui, i celebri fratelli Drabyak. Prego, accomodatevi.» Delacroix li guidò attraverso un garage che ospitava una collezione di rare e lussuose automobili: una Ferrari Modena rossa; una Porsche GT-2 argento; un'Aston Martin Vanquish; diverse auto da rally preparate per le competizioni e, al posto d'onore al centro dell'esposizione, una scintillante
Lamborghini Diablo nera. I due cacciatori di taglie americani ammirarono deliziati lo schieramento di quelle auto favolose. Se la missione fosse andata secondo i piani, ben presto anche loro avrebbero potuto comprarsi qualche auto potente, rigorosamente americana. «Sono sue?» borbottò Joe Drabyak, mentre camminavano seguendo Delacroix. L'azzimato signore fece una risatina soffocata. «Oh, no. Io sono solo un banchiere svizzero senza pretese, il cui compito è quello di supervisionare questa distribuzione di fondi per conto del mio cliente. Le auto appartengono al proprietario del castello, non a me.» Delacroix li precedette per alcuni gradini di pietra, che all'estremità del lindo garage scendevano a un livello inferiore. Improvvisamente si trovarono nel Medioevo. Giunsero a un'anticamera, di forma circolare e dalle pareti di pietra. Una lunga e stretta galleria si dipartiva da essa verso sinistra, scomparendo in un recesso sotterraneo, illuminato da alcune torce. Monsieur Delacroix si fermò e si rivolse al più piccolo dei due texani: «Giovane monsieur James. Lei resterà qui, mentre suo fratello e io verificheremo le teste». L'altro Drabyak fece un rassicurante cenno del capo al fratello minore. Delacroix precedette il Drabyak Maggiore nella lunga galleria illuminata dalle torce. Alla fine del budello si apriva uno splendido ufficio. Un'intera parete era costituita da un'immensa finestra panoramica dalla quale si ammirava una prospettiva mozzafiato dell'oceano Atlantico. Quando giunsero alla fine della galleria di pietra, monsieur Delacroix si fermò un'altra volta. «Posso avere il suo contenitore, per favore?» Il cacciatore di taglie glielo porse. «Ora, se vuole attendere qui...» Nel dir così, monsieur Delacroix entrò nell'ufficio, lasciando il cacciatore di taglie texano sulla soglia, ma ancora all'interno della galleria di pietra. Mentre attraversava l'ufficio fino alla scrivania, Delacroix estrasse un telecomando dalla giacca e vi premette un bottone. Nella galleria medievale, tre porte d'acciaio scesero rombando dal soffitto. Le prime due porte sigillarono l'anticamera, imprigionando il Drabyak Minore nella stanza di pietra circolare e impedendogli l'accesso sia al garage sovrastante sia alla stretta galleria in cui si trovava il fratello maggio-
re. La terza porta isolò l'ufficio dalla galleria, separando Delacroix dal Drabyak Maggiore. Piccole finestrelle di perspex si aprivano in ciascuna delle porte, permettendo ai due cacciatori di taglie di guardare fuori delle rispettive prigioni. La voce di monsieur Delacroix arrivò loro attraverso altoparlanti nel soffitto. «Signori. Vi rendete conto entrambi, senza dubbio, che una caccia all'uomo di questa portata attira diversi individui piuttosto... privi di scrupoli. Perciò rimarrete lì dove vi trovate, mentre io verificherò l'identità delle teste che mi avete portato.» Monsieur Delacroix mise il contenitore sanitario sulla scrivania e lo aprì con mosse esperte. Due teste mozzate lo fissarono. Una era imbrattata di sangue, gli occhi dilatati dal terrore. L'altra era in condizioni peggiori. Appariva parzialmente bruciata. Monsieur Delacroix rimase imperturbabile. Indossando un paio di guanti da chirurgo, estrasse con tutta calma la testa imbrattata di sangue dal contenitore e la posò su un dispositivo a scansione laser accanto al suo computer. «A chi dovrebbe appartenere questa?» chiese attraverso l'interfono Delacroix al Drabyak Maggiore. «All'israeliano, Rosenthal», fu la risposta. «Rosenthal...» Delacroix digitò il nome sul suo computer. «Hmm... agente del Mossad... Niente mappatura del DNA. Tipico degli israeliani, per la verità. Non importa. Ho ricevuto istruzioni per casi come questo. Dovremo usare altri mezzi.» Avviò il dispositivo a scansione sul quale era posata la testa ed esso disegnò una serie di fasci laser lungo il profilo della testa mozzata. Una volta che il dispositivo ebbe terminato di analizzare la testa, Delacroix aprì lentamente la bocca ed espose i denti alla scansione laser. Quindi premette un altro pulsante sulla tastiera e confrontò i dati analizzati relativi alla testa con una serie d'informazioni sul monitor del computer. Il computer emise un bip e monsieur Delacroix sorrise. «Le verifiche incrociate attestano una percentuale di probabilità pari a 89,337 per cento. In base alle mie istruzioni, una percentuale del 75 per cento è già sufficiente per ottenere il pagamento della taglia. Signori, la vostra prima testa ha superato con successo la verifica in base alla forma del cranio e alle cartelle
cliniche odontoiatriche, risultando quella del maggiore Benjamin Y. Rosenthal del Mossad israeliano. Ora siete più ricchi di 18,6 milioni di dollari.» Nelle rispettive prigioni di pietra, i due cacciatori di taglie sorrisero. Delacroix tirò fuori dal contenitore la seconda testa. «E questa?» chiese. Il Drabyak Maggiore rispose: «È di Nazzar, il tizio di Hamas. Lo abbiamo beccato in Messico. Comprava M-16 da un signore della droga.» «Davvero affascinante», mormorò Delacroix. La seconda testa era annerita dalle fiamme e sembrava che metà della dentatura fosse stata fatta a pezzi da un colpo d'arma da fuoco... o di martello. Ancora una volta, Delacroix eseguì le prove laser sul cranio e sui denti. I due cacciatori di taglie trattennero il respiro. Sembravano sempre più preoccupati davanti all'esame delle due teste. Le informazioni sul cranio e sulle cartelle dentarie riportarono una percentuale di possibilità del 77,326 per cento. «La percentuale è del 77 per cento, senza dubbio a causa dei gravi danni riportati dalla testa a opera del fuoco e dei proiettili», disse monsieur Delacroix. «Ora, come vi ho detto, in base alle mie istruzioni, una probabilità del 75 per cento è sufficiente per la riscossione della taglia...» I cacciatori di teste sorrisero di nuovo. «... a meno che non ci sia una mappa del DNA dell'individuo in esame, nel qual caso io devo consultarla», continuò Delacroix. «E, dalle mie informazioni, risulta che c'è una mappatura del DNA di questo individuo.» I due cacciatori di taglie si voltarono per guardarsi in faccia, sconvolti. Il Drabyak Maggiore si lasciò scappare: «Ma non può...» «Oh, sì», lo interruppe Delacroix. «Secondo le mie informazioni, il signor Yousef Nazzar fu arrestato nel Regno Unito nel 1999 con l'accusa di traffico di armi. Gli venne prelevato un campione di sangue in accordo con la politica del Regno Unito di costituire un archivio del DNA dei reclusi.» Mentre il Drabyak Maggiore gli gridava di fermarsi, Delacroix inserì un ago ipodermico nella guancia sinistra della testa carbonizzata che aveva di fronte e prelevò un po' di sangue, che mise poi in un analizzatore collegato al suo computer. Un altro bip. Quello sbagliato. Delacroix si accigliò. Immediatamente il suo viso assunse un'espressione
di gran lunga più pericolosa. «Signori...» esordì. I cacciatori di taglie s'irrigidirono. Il banchiere svizzero fece una pausa, come se si sentisse offeso dal loro comportamento inappropriato. «Signori, questa è una mistificazione. Non è la testa di Yousef Nazzar.» «Ora aspetti un momento...» cominciò il Drabyak Maggiore. «Per favore, faccia silenzio, signor Drabyak», lo interruppe Delacroix. «La chirurgia estetica era abbastanza convincente. Vi siete serviti di un bravo chirurgo plastico, è più che certo. Bruciare la testa per impedirne l'identificazione in base all'aspetto... Be', è uno stratagemma astuto, ma superato. E i denti ricostruiti sono stati contraffatti molto bene. Ma non sapevate che c'era una mappatura del DNA, vero?» «No», grugnì il Drabyak Maggiore. «Dunque anche la testa di Rosenthal è un falso?» «L'abbiamo avuta da uno che collabora con noi», mentì il Drabyak Maggiore. «Ci aveva assicurato che si trattava...» «Ma voi me l'avete portata, signor Drabyak, e quindi la responsabilità è vostra. Permettetemi di essere molto chiaro. L'onestà, in questo momento, potrebbe esservi d'aiuto. Anche la testa di Rosenthal è un falso?» «Sì», ammise l'altro a denti stretti. «Questa è una grave infrazione alle regole della caccia, signor Drabyak. I miei clienti non tollerano tentativi di frode, lo capisce?» Il Drabyak Maggiore non rispose. «Fortunatamente ho istruzioni in merito», disse Delacroix. «Signor Drabyak... Lei sa che cos'è la galleria in cui si trova?» «No.» «Oh, giusto. Che sciocco sono, avevo dimenticato che lei è americano. E non sa niente della storia del mondo, salvo il nome dei presidenti degli Stati Uniti e la capitale di ogni Stato americano. Una conoscenza delle guerre medievali in Europa andrebbe ben oltre le sue possibilità, vero?» Il Drabyak Maggiore sbiancò. «La galleria nella quale lei si trova era usata un tempo come trappola per adescare quanti avessero attaccato il castello», spiegò Delacroix con un sospiro. «Allorché i nemici attraversavano quella galleria, attraverso le condotte che vede sui muri veniva rovesciato loro addosso dell'olio bollente, uccidendoli così nel modo più doloroso.» Il Drabyak Maggiore guardò i muri della galleria di pietra attorno a sé e scorse, vicino al soffitto, una serie di fori delle dimensioni di un cesto da
basket. «Questo castello tuttavia è stato leggermente modificato in accordo coi dettami della moderna tecnologia. Se volesse dare un'occhiata a suo fratello...» continuò Delacroix. Il Drabyak Maggiore si voltò e, attraverso la finestra di perspex nella porta d'acciaio, rivolse uno sguardo atterrito al fratello minore. «Ora dica addio a suo fratello», disse la voce di Delacroix attraverso gli altoparlanti. Nell'ufficio, Delacroix sollevò nuovamente il telecomando e premette un altro bottone. Un terrificante ronzio meccanico uscì dalle pareti di pietra dell'anticamera circolare in cui si trovava il Drabyak Minore. Il ronzio aumentò rapidamente d'intensità, diventando sempre più rapido. Sulle prime, il Drabyak Minore sembrò impassibile. Poi, con terrificante rapidità, prese a contorcersi violentemente, battendosi il petto e il cuore con una mano. Poi si tappò le orecchie, un attimo prima che il sangue cominciasse a sprizzare dal suo corpo. Gridò. E mentre il Drabyak Maggiore restava a guardare, pietrificato, accadde la cosa di gran lunga più terribile. Mentre il ronzio raggiungeva picchi parossistici, il petto di suo fratello minore esplose. L'intera cassa toracica si aprì violentemente verso l'esterno, in un disgustoso fiotto di sangue rappreso. Il Drabyak Minore si accasciò sul pavimento dell'anticamera, gli occhi vacui, la cassa toracica fatta a pezzi. Morto. E giunse di nuovo la voce di Delacroix. «Un sistema di difesa a microonde, signor Drabyak. Très efficace, no?» Il Drabyak Maggiore era sconvolto. Si girò su se stesso, ma non aveva via di scampo. «Tu, bastardo! Avevi detto che essere onesti ci avrebbe aiutato!» gridò. Delacroix rise. «Ah, gli americani! Siete sempre convinti di poter patteggiare, di cavarvela in qualunque circostanza. Ho detto che avrebbe potuto aiutarvi. Ma, in questo frangente, ho deciso che non sarà così.» Drabyak diede un'occhiata ai macabri resti del fratello. «È quella la fine che mi aspetta?» «Oh, no», rispose Delacroix. «Diversamente da lei, io sono un amante della storia. Talvolta le vecchie maniere sono quelle più soddisfacenti.»
Il banchiere svizzero premette il terzo e ultimo pulsante sul suo telecomando. Mille litri di olio bollente si riversarono dai fori della galleria in cui era rinchiuso Joe Drabyak. Tutta la carne non coperta fu bruciata, la pelle del suo viso venne ustionata in un istante. Laddove l'olio bollente venne a contatto coi vestiti, li mescolò semplicemente col tessuto cutaneo sottostante. Mentre l'olio cadeva sopra di lui, Drabyak gridò. Gridò e ululò e si lamentò fino alla morte, ma nessuno poté sentirlo. Perché la fortezza di Valois, eretta sul suo pinnacolo roccioso, a picco sull'oceano Atlantico, aggrappata all'estremità della costa bretone, si trovava a trenta chilometri dalla città più vicina. MONTAGNE DELL'HINDU KUSH CONFINE TRA AFGHANISTAN E TAGIKISTAN 26 OTTOBRE, ORE 13.00 [EST ORE 03.00] Fu come dare l'assalto ai cancelli dell'inferno. Il blindato LAV Piranha a otto ruote del tenente Elizabeth Gant sollevò un tornado di polvere e terriccio mentre sfrecciava lungo i duecento metri di terreno scoperto che proteggeva l'ingresso del sistema di caverne dei terroristi. Un'impressionante tempesta di proiettili si abbatté sul terreno attorno al LAV, lanciato verso l'imboccatura della caverna, con la copertura di un fuoco di sbarramento d'artiglieria amico. Quell'attacco era il quinto tentativo da parte degli eserciti occidentali alleati di penetrare nelle caverne, cioè nella miniera sovietica che ospitava il vice di Osama bin Laden, Hassan Zawahiri, e circa duecento terroristi di al-Qaida armati fino ai denti. Più di un anno dopo la cacciata del governo dei talebani da Kabul - e benché una guerra fosse stata combattuta e vinta contro Saddam Hussein in Iraq -, l'operazione Enduring Freedom ancora infuriava nei luoghi più oscuri dell'Afghanistan: le caverne. Era infatti impossibile annientare alQaida se i rifugi dei terroristi non fossero stati bonificati, e ciò implicava un genere di guerra inadatta a essere mostrata sulla CNN o su Fox News. Un genere di combattimento duro e sporco, corpo a corpo. Una caccia nelle caverne, uomo contro uomo. E soltanto in quella settimana le forze americane e inglesi erano riuscite
a individuare quel sistema di nascondigli, la più importante base dei terroristi nelle caverne dell'Afghanistan, nel nord estremo del Paese, lungo il confine col Tagikistan. Il cuore della rete di al-Qaida. Si trattava di una vecchia miniera di carbone sovietica - nota come Miniera Karpalov - che era stata abbandonata e convertita dall'organizzazione di Osama bin Laden in un labirinto di nascondigli: caverne in cui i terroristi vivevano e lavoravano e nelle quali avevano accumulato un arsenale formidabile. Ma la fortezza sotterranea disponeva di un meccanismo di difesa supplementare. Una trappola di metano. Il carbone provoca esalazioni di metano, un gas altamente infiammabile, e i livelli di metano al 5 per cento sono esplosivi. Basta una scintilla e salta tutto. Così, mentre le sezioni interne della miniera abbandonata erano rifornite di aria fresca attraverso speciali condotti di aerazione a forma di camino, le propaggini esterne erano sature di metano. In altre parole: eventuali invasori non potevano usare armi da fuoco prima di arrivare nel cuore della miniera. Una cosa era certa: i terroristi che si erano rintanati in quel sistema di tunnel non si sarebbero arresi senza combattere. Come a Kunduz l'anno prima e come per la sanguinosa battaglia di Mazar-i-Sharif, anche stavolta si sarebbe combattuto fino alla morte. Era l'ultima resistenza di al-Qaida. L'ingresso della miniera consisteva in un'arcata di cemento armato sufficientemente ampia da farci passare un grosso autocarro. Le ripide balze delle montagne sovrastanti erano costellate da decine di nidi di cecchini, dai quali i terroristi potevano tenere sotto tiro l'enorme distesa di terreno scoperto di fronte all'entrata. E lassù, nel groviglio di cime montuose sopra la miniera, c'erano le aperture di due condotti di aerazione, due pozzi di ventilazione del diametro di dieci metri che salivano come camini dal fondo della miniera per immettervi aria fresca. Da tempo, i terroristi avevano celato la sommità di quei condotti con coperchi mimetizzati, in modo che ora risultavano invisibili agli aerei spia. E proprio quei condotti di aerazione erano l'obiettivo di Gant. Doveva prendere il controllo di un pozzo di ventilazione dall'interno della miniera, farne saltare il coperchio dal basso e poi piazzare un segnale laser che sa-
rebbe stato captato da un cacciabombardiere in volo sulla zona, fornendogli un punto bersaglio che non avrebbe potuto mancare. A quel punto, bastava uscire alla svelta dalla miniera, prima che una devastante bomba s'infilasse lungo il condotto. Quel mattino, i primi tre tentativi di prendere d'assalto il sistema di tunnel avevano avuto successo. Ogni volta, un paio di LAV-25, veicoli corazzati leggeri a otto ruote, zeppi di marine e SAS, erano riusciti a sopravvivere alla grandinata di proiettili e a penetrare nella caverna. Il quarto tentativo, però, era stato un disastro. Si era infatti concluso con un terribile fuoco incrociato di lanciarazzi anticarro RPG di fabbricazione sovietica, che avevano centrato i due veicoli, uccidendo tutti gli uomini a bordo. Quello di Gant era il quinto tentativo. Due buggy esca erano state mandate avanti ad alta velocità, per attirare il fuoco del nemico, dopodiché i due LAV-25 di Gant erano piombati verso l'entrata della caverna, sotto copertura di un fuoco di mortai diretto contro le postazioni del nemico. Il trucco aveva funzionato. Le buggy esca avevano attirato su di loro tutto il fuoco difensivo: armi automatiche e RPG che avevano dilaniato il terreno circostante. Allora il LAV-25 di Gant era schizzato fuori dal punto in cui si era nascosto, seguito a ruota da un secondo mostro su otto ruote. La montagna al di sopra dell'ingresso delle caverne era esplosa sotto i colpi di mortaio, mentre i due LAV avevano attraversato la pianura, piombando dentro il sistema di caverne e sparendo nel buio, fuori portata del fuoco difensivo, ma verso un nuovo genere d'inferno. Elizabeth «Fox» Gant, ventinove anni, aveva ottenuto da poco il grado di tenente. Era appena uscita dalla scuola ufficiali. Non capitava spesso che a un tenente di prima nomina venisse affidato il comando di un'unità speciale da ricognizione, ma Gant era una persona non comune. Forte, bionda e più in forma di molti sportivi di professione, era una leader nata. Dietro i suoi occhi azzurro cielo c'era una mente acutissima. Senza contare che aveva fatto due anni come sottufficiale nelle unità da ricognizione dei marine. Inoltre si sussurrava che avesse amici in alto loco. Qualcuno sosteneva che la sua rapida ascesa a comandante fosse dovuta nientemeno che a una raccomandazione diretta del presidente degli Stati Uniti, legata a un fatto
avvenuto nella base più segreta dell'aviazione militare, l'Area 7. Durante quell'esperienza, Gant aveva dimostrato il suo valore davanti al presidente stesso. Ma erano tutte congetture. La raccomandazione più potente, però, era venuta da uno stimatissimo sergente dei marine, Gena «Mother» Newman, che aveva garantito in tutti i modi possibili per Gant. Se fosse stato affidato a Gant il comando di un'unità da ricognizione, aveva affermato Mother, allora lei sarebbe stata il suo primo sergente. Mother era alta un metro e ottantotto, con la testa completamente rasata, una gamba artificiale e una straordinaria abilità con le più spietate tecniche di uccisione. E la sua parola valeva più dell'oro. Del resto, il suo soprannome la diceva lunga: «Mother» era l'abbreviazione di «motherfucker», un termine che indicava le vere carogne, quelle che sanno fare tutto tranne i complimenti. Così Gant aveva assunto il comando dell'Unità di Ricognizione 9 dei marine un mese prima che questa venisse inviata in Afghanistan. Ma c'era un'altra cosa notevole in Libby Gant. Da quasi un anno era la fidanzata del capitano Shane M. Schofield. *** Lo Yak-141 di cui Schofield si era appena impadronito volava a Mach 1,7. Erano passate quasi cinque ore dalla battaglia combattuta a Krask-8. Davanti a lui e a Book II si stendevano le formidabili montagne dell'Hindu Kush dove, in un punto imprecisato, si trovava Libby Gant, potenziale ostaggio numero uno per chiunque volesse la testa di Schofield. Il loro Yak-141 aveva quasi esaurito il carburante. Una rapida sosta in una pista d'atterraggio sovietica abbandonata nelle campagne del Kazakistan aveva permesso loro di fare rifornimento, ma ormai erano in riserva. Dovevano trovare Gant alla svelta. Schofield non si fidava più di nessuno in Alaska, quindi sintonizzò la radio su un'oscura frequenza satellitare americana, quella della US Defense Intelligence Agency. Una volta verificata la sua identità, chiese di essere messo in contatto col Pentagono, con David Fairfax del Dipartimento Crittografia e Criptoanalisi. «Qui Fairfax», disse una giovane voce maschile nell'auricolare. «Fairfax, parla Shane Schofield.» «Salve, Shane, che piacere sentirti. Allora, che hai distrutto oggi?»
«Ho affondato un sottomarino classe Typhoon, raso al suolo un edificio e lanciato un missile balistico per distruggere una base di manutenzione.» «Giornata fiacca, eh?» «David, ho bisogno del tuo aiuto.» «Ma certo.» Schofield e Fairfax avevano già stretto un'improbabile alleanza nel corso dei fatti accaduti nell'Area 7. Entrambi avevano segretamente ricevuto una medaglia per il coraggio dimostrato e in seguito erano diventati amici. Mentre sfrecciava sopra le montagne del Tagikistan a bordo dello Yak141, Schofield immaginava Fairfax in una stanza sotterranea del Pentagono, seduto davanti al computer, con indosso una T-shirt Mooks, jeans, occhiali e scarpe da ginnastica, mentre masticava un Mars. Somigliava più a Harry Potter che a un laureato. Era un genio nel craccare i codici. «Allora, che ti serve?» chiese Fairfax. «Quattro cose», rispose Schofield. «Primo, ho bisogno che mi dici dove si trova Gant in Afghanistan. L'esatta posizione GPS.» «Gesù, Scarecrow, questa è un'informazione operativa. Non ho l'autorizzazione per accedervi. Potrei venire arrestato anche solo se ci provassi.» «Procurati l'autorizzazione. Fa' tutto ciò che è necessario. Ho appena perso sei bravi marine perché la mia missione in Siberia è stata compromessa da qualcuno in patria. Era tutto un trucco per farmi cadere nelle mani di alcuni cacciatori di taglie. Non posso fidarmi di nessuno, David. Ho bisogno che tu faccia questo per me.» «Va bene, vedrò cosa posso fare. Che altro?» Schofield tirò fuori l'elenco dei nomi che aveva preso a Wexley, il capo della ExSol. «Ho bisogno che mi cerchi questi nomi...» E gli lesse l'elenco, in cui figurava anche il suo nome. «Cerca di scoprire che cos'hanno in comune. Curriculum, capacità militari, colore dei capelli, qualsiasi cosa. Fa' un controllo incrociato con tutti i dati disponibili.» «Ricevuto.» «Terzo: cerca una base chiamata Krask-8 in Siberia. Scopri tutto quel che c'è da sapere. Voglio capire perché è stata scelta per un'imboscata.» «Okay. E l'ultima missione impossibile quale sarebbe?» Schofield corrugò la fronte, pensando a uno dei nomi che aveva sentito alla radio a Krask-8. Alla fine disse: «Questo ti potrà sembrare strano, ma puoi cercarmi un tizio chiamato il Cavaliere Nero? Controlla in particolare i database dei mercenari, qualsiasi cosa relativa a ex militari. È un caccia-
tore di taglie e, per quanto ne so, è un tizio in gamba. In più mi sta dando la caccia. Voglio sapere chi è.» «Sarà fatto, Scarecrow. Mi metterò in contatto non appena avrò qualcosa.» *** Il blindato di Gant si fermò di colpo oltre il buio ingresso della caverna. I portelloni posteriori vennero spalancati dall'interno e la squadra di sei marine balzò rumorosamente a terra, gli scarponi che battevano il terreno, i fucili puntati. Anche Gant uscì dal LAV ed esaminò la zona, con la gigantesca Mother Newman al fianco. Entrambe indossavano una tenuta mimetica color sabbia, elmetto e giubbetto antiproiettile. In mano, stringevano MP-7 e piccole balestre con impugnatura a pistola. In quel punto, la caverna era vasta e aveva le pareti completamente rivestite di cemento. Un largo tratto di binario ferroviario spariva lungo una ripida galleria di fronte a loro. La galleria era un condotto e costituiva il punto d'accesso alla miniera. «Sphinx, qui è Fox», disse Gant nel laringofono. «Siamo entrati. Dove vi trovate?» Rispose una voce dal forte accento britannico. «Fox, qui Sphinx. Cristo, qui è un casino! Ci troviamo all'estremità orientale della miniera! A circa duecento metri dal condotto! Sono asserragliati di fronte ai due pozzi di ventilazione, in una sacca d'aria...» Il segnale s'interruppe. «Sphinx? Sphinx? Maledizione!» Gant si rivolse a due dei suoi uomini. «Pokey. Freddy. Stanate quei cazzo di RPG di sopra. Dev'esserci qualche galleria interna per arrivare a loro. Fateli fuori in modo che possiamo aprirci un corridoio sicuro per entrare in questa miniera.» «Sì, signore.» I due giovani marine scattarono. «Voi», chiamò Gant. «Seguitemi.» Lo Yak-141 di Schofield sfrecciò sopra le cime dei monti del Tagikistan. Fairfax si collegò. «Bene, ho trovato Gant. La sua unità sta operando alle dipendenze della Mobile Command Station California-2, al comando del colonnello Clarence W. Walker. California-2 si trova alle coordinate GPS 06730.20 -
3845.65.» «Fatto», disse Schofield, inserendo le coordinate nel suo computer portatile. «Ho fatto anche bingo su un paio di cosette di quel tuo elenco», continuò Fairfax. «Sette dei quindici homi hanno trovato un'immediata corrispondenza sul database del personale NATO: tu, Ashcroft, Kingsgate, McCabe, Farrell, Oliphant e Nicholson siete tutti citati in un documento chiamato Studio MNRR sui servizi congiunti NATO. Il documento è datato dicembre 1996. Sembra uno studio medico congiunto, condotto con gli inglesi.» «Dove si trova lo studio?» «All'USAMRMC, il Comando ricerche mediche e materiale dell'esercito.» «Pensi di poterlo avere?» «Naturalmente.» «E l'altra cosa?» chiese Schofield. «Stamattina, uno dei nostri satelliti spia di Echelon ha intercettato una trasmissione in voce proveniente da un aereo non identificato in volo sul Tagikistan. Si menzionavano diversi nomi del tuo elenco. Ora ti leggo la trascrizione.» BASE, QUI DEMON, ABBIAMO WEITZMAN VIVO, COME DA ISTRUZIONI, DIRIGIAMO VERSO IL SISTEMA DI MINIERE KARPALOV. È IL JACKPOT... LA PIÙ GRANDE CONCENTRAZIONE DI BERSAGLI DELLA LISTA. QUATTRO DI LORO IN UN SOLO POSTO: ASHCROFT, KHALIF, KINGSGATE E ZAWAHIRI. E IN PIÙ LA RAGAZZA DI SCHOFIELD. Schofield avvertì una stretta allo stomaco. «Qui c'è una nota», riprese Fairfax. «Dice che la voce dell'intercettazione aveva un accento britannico e che apparteneva a... Un momento...» «Continua.» Fairfax cominciò a leggere: «Voce identificata come quella di Damon F. Larkham, nome in codice 'Demon', ex colonnello dei SAS». Fece una pausa. «Era un pezzo grosso negli anni '90, ma è stato sottoposto a corte marziale nel 1999 per i suoi legami con l'ex capo dei SAS, un pessimo soggetto
chiamato Trevor J. Barnaby.» «Sì, l'ho conosciuto», disse Schofield. «Larkham è stato condannato a undici anni di carcere, però, mentre lo trasportavano alla prigione di Whitemoor, è riuscito a evadere, uccidendo nove persone. Ora si ritiene che ricopra un alto incarico nell'organizzazione indipendente di cacciatori di taglie chiamata Intercontinental Guards, Unità 88 o 'IG-88', con sede in Portogallo. Scarecrow, ma in che cazzo di faccenda ti sei cacciato?» «In qualcosa che potrebbe costarmi la testa, se non starò più che attento», borbottò Schofield, scambiando un'occhiata con Book II. «In quanto alla località che mi hai citato, Krask-8, l'unica informazione che sono riuscito a trovare è questa: nel giugno 1997, l'intera città di Krask, con le installazioni di manutenzione circostanti, è stata venduta a una società americana, l'Atlantic Shipping Corporation», riprese Fairfax. «Oltre alla sua attività di spedizioni, l'Atlantic ha anche interessi nel settore petrolifero. Ha ottenuto Krask-8 quando ha acquistato circa diecimila ettari nel nord della Siberia per indagini petrolifere.» Schofield rifletté, poi disse: «No. Questo non mi aiuta». «Oh, non ho trovato nulla riguardo a quel Cavaliere Nero sui normali database degli ex militari. Adesso sto usando un programma di ricerca su alcuni database riservati dei servizi segreti.» «Grazie, David. Dacci sotto e fammi sapere quando trovi qualcosa. Ora devo chiudere.» Schofield attivò il postbruciatore. Nove minuti dopo, lo Yak-141 atterrò verticalmente in una radura situata a breve distanza da un grande ammasso di veicoli militari americani e tende che ospitavano comandi. Schofield aveva sentito dire che la campagna in Afghanistan si era trasformata in una specie di secondo Vietnam, soprattutto perché l'Afghanistan, anche in tempo di guerra, era il principale produttore di eroina del mondo. I montanari afghani avevano la straordinaria capacità di dileguarsi nei labirinti di caverne nascoste e in più, di tanto in tanto, quand'erano in trappola, cercavano anche di corrompere i soldati alleati con pani di eroina pura al cento per cento. E, dato che uno di quei pani valeva circa un milione di dollari al dettaglio, il trucco spesso riusciva. Solo una settimana prima, Schofield aveva sentito di alcuni militari russi che avevano preso il largo senza autorizzazione. Un'intera unità delle forze
speciali Spetsnaz - ventiquattro uomini in tutto, incaricati probabilmente di svolgere una missione di osservazione - aveva rubato un elicottero da trasporto Mi-17 di fabbricazione russa e si era dileguata. Probabilmente si era messa alla ricerca di una caverna nella quale - si diceva - erano stivati trenta bancali di pani di eroina. Benvenuti in Afghanistan. L'aereo di Schofield fu accolto da una squadra di marine armati fino ai denti e per nulla entusiasti che un caccia russo non autorizzato atterrasse proprio in mezzo a loro. Nel giro di pochi secondi, tuttavia, Schofield e Book II furono riconosciuti e scortati fino alla tenda del comandante della base, il colonnello Clarence Walter, USMC. La tenda del comando si trovava ai piedi di una bassa collina, al di là della quale c'era l'ingresso della miniera di al-Qaida. Quando Schofield e Book entrarono, il colonnello Walker era in piedi accanto a un tavolo coperto di carte geografiche e stava urlando alla radio. «Trovate il modo di ripristinare i segnali radio laggiù! Montate un cavo antenna! Se necessario, utilizzate un paio di barattoli e una corda! Ho assoluto bisogno di parlare coi miei uomini in quella miniera prima che arrivino i bombardieri!» «Colonnello Walker», disse Schofield. «Mi spiace piombarle tra i piedi in questo modo, però si tratta di una faccenda molto importante. Sono il capitano Shane Schofield e devo trovare il tenente...» Walker si girò di scatto, furibondo. «E voi chi cazzo siete?» «Signore, sono il capitano Shane Schofield e credo che in quella caverna ci sia ben di più che un gruppo di terroristi islamici. Probabilmente ci sono anche dei cacciatori di...» «Capitano, a meno che lei non stia pilotando un bombardiere con a bordo una bomba a guida laser MOAB, non ho tempo da dedicarle, adesso. Si metta a sedere e prenda un numerino...» «Ehi, che diavolo succede?» gridò qualcuno. Tutti corsero fuori dalla tenda giusto in tempo per vedere un massiccio elicottero da trasporto russo scendere di fronte all'ingresso della miniera, sollevando una nube di polvere e detriti. Una ventina di uomini, col viso coperto dai passamontagna, saltarono giù dall'elicottero e scomparvero dentro la miniera, sotto il fuoco delle postazioni dei terroristi sui fianchi della montagna. Non appena gli uomini furono dentro la miniera, l'elicottero si rialzò in volo, mitragliando le postazioni dei terroristi prima di scomparire verso
nord, oltre una collina. «Che cosa succede, in nome del cielo?» strepitò il colonnello Walker. «Era un Mi-17! Con le insegne russe sulla fusoliera!» gridò qualcuno. «Era quella dannata unità di Spetsnaz!» «Questo posto è un casino, un fottuto casino...» brontolò Walker. Poi si voltò, dicendo: «Okay, capitano Schofield. Lei ne sa qualcosa?» Ma Schofield e Book erano scomparsi. L'unica cosa che il colonnello Walker riuscì a vedere fu il veicolo leggero d'attacco LSV parcheggiato lì vicino che partiva a razzo verso la gola, con a bordo Schofield e Book II. Il blindato attraversò fulmineamente il lembo di terra di nessuno di fronte all'ingresso della miniera, sollevando dietro di sé volute di polvere. Dai pendii sopra rimboccatura della miniera arrivò un diluvio di fuoco e i proiettili martoriarono il terreno attorno alle ruote. Un LSV è simile a una dune buggy. Non ha parabrezza né blindatura. In pratica è costituito da una serie di barre d'acciaio che formano una specie di gabbia attorno al conducente e al passeggero. È leggero, veloce ed estremamente agile. Schofield fece compiere all'LSV un ampio cerchio, sollevando nubi di polvere, m modo da nascondere il veicolo alla vista. I colpi dei cecchini cominciarono a cadere lontani. Poi si lanciò verso l'ingresso della miniera. Il fuoco nemico divenne più intenso... Poi, improvvisamente, sui fianchi della montagna sopra l'ingresso della mimera ci furono diverse esplosioni. Sei postazioni di cecchini saltarono in aria simultaneamente, in una pioggia di terriccio. In un istante gli spari cessarono. Qualcuno aveva fatto esplodere le postazioni dall'interno. Schofield pigiò l'acceleratore a tavoletta e si lanciò nelle tenebre della miniera. *** Seicento metri sottoterra, Libby Gant correva in una lunga galleria di roccia, guidata dalle torce elettriche fissate all'elmetto e all'MP-7. Era seguita da tre marine e controllava costantemente il metanometro, uno strumento per misurare la concentrazione di metano nell'atmosfera. Al momento, indicava un valore del 5,9 per cento.
Pessima notizia, pensò Gant. Si trovavano ancora nel settore circolare esterno di protezione della miniera. Sotto la montagna c'era un vero e proprio labirinto: una serie di bassi tunnel squadrati, ognuno grande quanto una galleria ferroviaria e con brusche curve ad angolo retto. Alcune gallerie sembravano perdersi nelle tenebre, altre terminavano improvvisamente in un vicolo cieco. Laggiù tutto era grigio. Le pareti di roccia, i bassi soffitti orizzontali, perfino gli scricchiolanti piloni di legno che sorreggevano le volte... Tutto era coperto da un'impalpabile polvere grigia. Nulla sfuggiva a quella polvere. Era polvere di pietra calcarea, una sostanza inerte utilizzata per impedire che la polvere di carbone, altamente infiammabile, si sfaldasse dalle pareti e creasse una trappola incendiaria ancora più pericolosa. Quando Gant e la sua squadra erano arrivate in fondo alla ripida galleria, erano state raggiunte da un soldato dei SAS, mandato indietro come messaggero non appena le comunicazioni radio si erano interrotte. «Qui svoltate a sinistra, poi procedete diritto, finché non arrivate al nastro trasportatore. Seguite quindi il nastro fino alla barricata. Non deviate dal nastro, perché è facile perdersi!» aveva detto il soldato. La squadra di Gant aveva seguito le istruzioni alla lettera, trottando per circa duecento metri lungo una galleria curva che ospitava un nastro trasportatore sopraelevato. Il metanometro segnava il 5,5 per cento... No, il 5,4 per cento... Le concentrazioni di metano si stavano abbassando a mano a mano che si addentravano nella miniera. 5,2 per cento... 4,8 per cento... 4,4 per cento... Meglio, pensò Gant. «Sai», disse Mother mentre correvano. «Credo che te lo chiederà quando sarete in Italia.» «Mother...» si schermì Gant. Al termine di quella missione, Mother e Gant, insieme con Schofield e con Ralph, il marito di Mother, avrebbero fatto una vacanza in Italia. Intendevano affittare una villa in Toscana per due settimane e poi andare a vedere la famosa fiera aeronautica Aerostadium Italia, a Milano. L'attrazione principale della fiera sarebbero stati due rari X-15, i famosi aerei razzo della NASA, i più veloci aerei mai costruiti. Mother non vedeva l'ora. «Pensa...» mormorò. «Le colline toscane. Una villa antica. Un tipo di classe come Scarecrow non si lascerà sfuggire un'occasione del genere.»
«Ti ha detto che vuole chiedermelo, vero?» domandò Gant, con gli occhi fissi davanti a sé. «Sì.» «È un fifone», esclamò Gant mentre affrontavano una curva. D'improvviso si sentirono alcuni colpì di arma da fuoco. «Proseguiremo il discorso più tardi», aggiunse poi, lanciando un'occhiata a Mother. Più avanti, intravidero i raggi di alcune torce elettriche fissate agli elmetti e varie sagome di soldati che correvano dietro una barricata costruita con vecchie attrezzature di mimera: barili, casse, carrelli d'acciaio vuoti. Al di là della barricata, Gant scorse i condotti di aerazione. In quel mondo angusto e squadrato, la caverna dei pozzi di aerazione costituiva un gradito ampio spazio aperto. Alta sei piani e illuminata da brillanti faretti bianchi al fosforo, sfavillava come un'immensa cattedrale sotterranea. I due pozzi di aerazione, del diametro di dieci metri, sparivano nel soffitto in un paio di cavità coniche identiche. E, sotto di essi, era in corso una delle più feroci battaglie mai combattute in Afghanistan. I terroristi di al-Qaida si erano preparati bene. Anche loro avevano costruito una barricata nella grande caverna, ma la loro era molto più compatta e resistente di quella degli anglo-americani. Era formata da attrezzature di grandi dimensioni abbandonate nella miniera: grossi veicoli muniti di gigantesche punte di perforazione, macchine da carico, alcuni vecchi carri da trasporto da miniera chiamati «Driftrunner» e carrelli pieni di carbone in grado di resistere ai proiettili. Quando Gant raggiunse la barricata alleata, vide i terroristi dall'altra parte della caverna. Erano più di un centinaio, con giubbotti di pelle marrone, camicie bianche e turbanti neri. Erano anche armati fino ai denti: AK-47, M-16, RPG... Grazie all'aria fresca proveniente dai pozzi di ventilazione, non si correva nessun rischio a sparare dentro quella sala sotterranea. Gant si unì ai soldati amici - una ventina, tra marine degli Stati Uniti e militari inglesi dei SAS - e si avvicinò al comandante alleato, un maggiore dei SAS di nome Ashcroft, nome in codice «Sphinx». «È un fottuto incubo!» gridò l'inglese. «Si sono asserragliati attorno a quei condotti di aerazione da un'eternità! E poi, a distanza di qualche minuto, uno di loro... Merda! Eccone un altro. Sparategli! Fatelo fuori!» Gant si voltò a guardare al di sopra della barricata. Con una mossa a sorpresa, un barbuto terrorista arabo era sfrecciato fuo-
ri da un varco nella barricata di al-Qaida in sella a una motocicletta, sparando all'impazzata con un AK-47 brandito con una sola mano e urlando invocazioni ad Allah. Fissati al petto aveva quattro involti di C4. Tre soldati dei SAS lo inchiodarono coi loro fucili automatici, sbalzandolo di sella e facendolo rotolare a terra dietro la motocicletta, che continuò la corsa da sola. L'arabo cadde a terra, sollevando una nube di polvere grigia. E poi esplose. Un secondo prima era lì e un istante dopo era semplicemente sparito. Gant spalancò gli occhi. Pura follia... «È un casino infernale!» esclamò Ashcroft, rivolto a Gant. «Questi bastardi lanciano attacchi suicidi, ma finora siamo sempre riusciti ad abbatterli prima che arrivassero alla barricata... Il problema è che devono avere una caverna piena di scorte, là dietro. Generatori, benzina e tanti di quei viveri, munizioni e acqua da sopravvivere fino al 3050. Siamo a un punto morto!» «E se cercassimo di aggirarli?» chiese Gant, indicando una serie di gallerie che si allungavano alla loro destra. «No, sono piene di trappole esplosive. Fili tesi. Mine antiuomo. Ho già perso due bravi ragazzi da quella parte. Questi figli di puttana si sono preparati alla resistenza da chissà quanto tempo. Quel che ci vuole è un assalto frontale. Ma ho bisogno di più uomini!» In quel momento,come in risposta a un segnale, una ventina di altre torce elettriche montate sulle canne dei fucili fecero la loro comparsa nella galleria che portava all'ingresso della miniera. «Ah, ecco i rinforzi», disse Ashcroft, andando loro incontro. Gant lo vide raggiungere il comandante della nuova squadra e stringergli la mano. Strano, pensò. Il colonnello Walker aveva detto che la nuova squadra non sarebbe arrivata per almeno altri venti minuti. Come hanno fatto a essere qui così in fretta... Osservò Ashcroft indicare la barricata, come per spiegare la situazione, voltando la schiena al nuovo arrivato per una frazione di secondo. Una frazione di secondo che bastò al capo del nuovo gruppo di soldati per estrarre con un movimento fluido qualcosa dalla cintura e passarla sul collo di Ashcroft. Dapprima Gant non capì che cos'era successo.
Ashcroft non si mosse. Poi Gant vide la testa di Ashcroft inclinarsi a un'angolazione impossibile e staccarsi di netto dal corpo. La donna spalancò gli occhi, incredula. Che diav... Ma non ebbe neanche il tempo di sbalordirsi perché, non appena la testa di Ashcroft ebbe toccato terra, le armi dei nuovi arrivati si animarono, scaricando un uragano di fuoco contro i soldati alleati raccolti dietro la barricata. Rapida come un lampo, Gant si tuffò dentro uno dei carrelli d'acciaio che formavano la barricata, proprio mentre le pallottole piovevano attorno a lei. Un secondo dopo, fu raggiunta da Mother e da altri due dei suoi marine. Gli altri soldati non furono altrettanto fortunati. La maggior parte fu presa alla sprovvista e venne dilaniata da quell'inattesa grandinata di proiettili. I loro corpi trafitti dai colpi si mossero convulsamente. «Maledizione! Che cazzo succede?» Gant si appiattì contro le pareti arrugginite del carrello. Erano presi tra due fuochi nemici: uno di fronte alla barricata e uno dietro. Un sandwich mortale. «Che facciamo, pollastrella?» gridò Mother. Il viso di Gant assunse un'espressione decisa. «Rimarremo vivi. Forza, da questa parte!» E guidò il suo gruppo nell'unica direzione possibile: scavalcò il lato anteriore del carrello e ricadde nella zona di terreno aperto compreso tra le due barricate contrapposte. *** In quel preciso istante, il veicolo di Schofield e Book si fermò bruscamente davanti alla caverna che costituiva l'ingresso superiore della miniera. Schofield osservò i binari della galleria che, simili a montagne russe, s'infilavano nella miniera. Fece un passo in avanti. Improvvisamente, due figure saltarono fuori da una vicina galleria laterale. Schofield e Book si girarono di scatto all'unisono, con gli MP-7 spianati. Le due figure vestite di scuro fecero lo stesso e... «Pokey?» chiese Schofield, socchiudendo gli occhi. «Pokey de Vil-
liers?» «Scarecrow?» Una delle figure abbassò il fucile. «Accidenti, capitano, stavo quasi per staccarle la testa.» Era il marine Paul «Pokey» de Villiers, che aveva fatto saltare le postazioni dei cecchini sul fianco della montagna col suo compagno, un altro marine, il cui soprannome era Freddy. «Devo trovare Gant», disse Schofield. «Dov'è?» «Laggiù», rispose Pokey. Trenta secondi più tardi, Schofield scivolava lungo la ripida galleria, al volante del mezzo d'attacco. Accanto a lui c'era Book II, col fucile spianato, mentre i due marine, Pokey e Freddy, si dividevano il sedile dell'addetto alla mitragliatrice nella parte posteriore. I fanali dell'LSV illuminavano il pendio, inclinato di 30 gradi, lungo il quale il veicolo filava come un razzo, a cavallo dei binari ferroviari che correvano al centro della galleria. Avvicinandosi al fondo, Schofield innestò la retromarcia, forzando le ruote dell'LSV a girare violentemente all'indietro mentre il veicolo, lanciato a tutta velocità, scivolava in avanti lungo la galleria. La manovra funzionò: rallentarono, anche se di poco. Ma fu abbastanza e, quando non restarono che pochi metri da percorrere, Schofield tolse la retromarcia e l'LSV schizzò fuori dal fondo della galleria e si lanciò nel labirinto, girando a sinistra oltre il cadavere del messaggero SAS che si era appostato in quel punto. Gant era completamente esposta. Era all'esterno del lato più avanzato della barricata alleata. Fra lei e circa duecento feroci guerriglieri islamici c'erano soltanto trenta metri di terreno aperto. Se i terroristi volevano eliminare lei e i suoi tre marine, quella era la loro occasione. Gant attese la sventagliata di proiettili che avrebbe posto fine alla sua vita. Ma la sventagliata non arrivò. Invece sentì alcuni colpi di arma da fuoco, da qualche parte alle spalle del blocco di al-Qaida. Gant si accigliò. Era un tipo di arma che non aveva mai udito prima. Sembrava troppo rapido, come il rombo di un cannoncino a sei canne... E poi vide qualcosa che la colse completamente di sorpresa. La barricata di al-Qaida fu investita da una scarica di fuoco dalla parte
interna. I ripari vennero fatti a pezzi, colpiti da milioni di proiettili superveloci. D'un tratto, un gruppo di terroristi cominciò a saltare oltre la propria barricata nella terra di nessuno, in fuga da qualche forza nascosta dietro la barricata stessa... Proprio come aveva fatto Gant. Un'altra cosa era chiara. I terroristi stavano scappando da qualcosa di molto più pericoloso di Gant. Mentre si arrampicavano disperatamente sulla barricata, furono uccisi a mezz'aria, colpiti alle spalle e fatti a pezzi. E, una frazione di secondo prima che uno dei terroristi di al-Qaida fosse centrato mentre si issava a fatica sulla barricata, Gant vide lo scintillio di un laser di puntamento verde che mirava su di lui. Un laser verde... «Tenente!» gridò Mother alle sue spalle. «Che diavolo sta succedendo? Pensavo che le guerre si combattessero tra due forze contrapposte!» «Lo so!» ribatté Gant. «Qui ci sono in ballo ben più di due forze! Andiamo, seguimi!» «Dove?» «C'è un unico modo per risolvere questo problema: fare quello per cui siamo venuti qui!» Gant attraversò di corsa la terra di nessuno, strisciando sotto il nastro trasportatore che correva sopra il lato sinistro, e si diresse verso il condotto di aerazione di sinistra. Gant giunse all'estremità settentrionale del nastro trasportatore sopraelevato nel momento in cui quattro terroristi di al-Qaida arrivavano di corsa da dietro la loro barricata, incalzati dalle raffiche dell'arma misteriosa. I primi tre si lanciarono sopra alcune casse disposte a guisa di scalini e balzarono sul nastro trasportatore, mentre il quarto premette un grosso pulsante verde su un pannello di controllo. Con un ruggito, il nastro trasportatore si mosse. I tre uomini sopra di esso sparirono istantaneamente alla vista, diretti ad altissima velocità verso la barricata degli alleati. Il quarto uomo saltò sopra il nastro dopo di loro. «Caspita, un nastro veloce...» esclamò Mother. «Forza!» gridò Gant mentre correva dietro la barricata di al-Qaida. Schizzò attraverso uno spazio aperto, l'area dall'alto soffitto al di sotto dei pozzi di ventilazione. Sembrava di trovarsi in una cattedrale. Fioche luci bianche illuminavano parzialmente la zona.
Fu allora che scoprì il motivo per cui i terroristi di al-Qaida erano schizzati fuori della loro postazione. Una quindicina di uomini vestiti di scuro neri spettri che indossavano visori notturni dalle lenti verdi - si stavano disponendo a ventaglio. Erano usciti da una minuscola galleria, nascosta nell'angolo nordorientale della caverna, alle spalle della barricata di al-Qaida. Ma furono soprattutto le loro armi ad attirare l'attenzione di Gant. Le armi che avevano scatenato l'inferno contro le truppe di al-Qaida. I soldati appena comparsi erano equipaggiati con fucili d'assalto MetalStorm M100. Varianti di un fucile d'assalto a canna rigata, le armi della famiglia MetalStorm non usavano i normali meccanismi di funzionamento delle armi automatiche, impiegando invece impulsi elettrici in rapida sequenza per far detonare la carica di lancio di ogni colpo e, in tal modo, raggiungevano l'incredibile cadenza di tiro di diecimila colpi al minuto. Si trattava letteralmente di una «tempesta di piombo», da cui il nome dell'arma. I fucili MetalStorm di quel gruppo di uomini vestiti di nero erano dotati di puntatori laser di un verde spettrale, per cui, nella sua mente, Gant si limitò a etichettare i soldati come gli «Scarabei». Una loro caratteristica era veramente insolita. Quegli uomini non sembravano affatto interessati a lei. Davano la caccia ai terroristi in fuga e basta. In mezzo a tutta quella confusione, Gant scivolò sul terreno polveroso sotto il condotto di aerazione di sinistra e cominciò a montare un piccolo mortaio. Quando l'arma fu pronta, gridò: «Libero!» e premette il grilletto. Con un sordo rumore, una granata schizzò in alto lungo il condotto di aerazione, sparendo velocissima verso la cima... Seicento metri sopra di loro, la granata colpì la botola mimetizzata che chiudeva il condotto di aerazione, riducendola in frantumi. Detriti piovvero lungo il condotto, precipitando al suolo, mentre una lama di luce naturale filtrava nella caverna. Non appena la pioggia di schegge fu cessata, Gant si avvicinò nuovamente al condotto e, circondata dalla sua squadra, montò un nuovo dispositivo, molto più piccolo: un emettitore di fascio laser. Diede un colpetto all'interruttore e, all'istante, un luminoso fascio laser rosso salì nel pozzo di aerazione, sparendo lungo il condotto, dritto in cielo. «A tutte le unità, qui Fox», disse Gant nel microfono. «Se siete ancora vivi, fate attenzione. Il laser è in posizione. Ripeto: il laser è in posizione.
In accordo ai parametri di missione, i bombardieri saranno qui entro dieci minuti! Non importa che cos'altro stia succedendo qui: fuori da questa miniera, uomini!» Nella base dei marine, un ufficiale addetto alle comunicazioni si allontanò improvvisamente dal suo pannello di controllo. «Colonnello! Abbiamo appena captato un segnale laser proveniente dall'interno della miniera! È quello di Gant. Ce l'hanno fatta.» Il colonnello Walker si avvicinò. «Chiami i bombardieri e gli dica che hanno il laser. Poi mandi una squadra di evacuazione all'ingresso di quella miniera per prelevare i nostri quando ne usciranno. Tra dieci minuti, quella miniera non esisterà più e noi non possiamo aspettare i ritardatari.» Gant, Mother e i due marine si girarono all'unisono. Si trovavano ancora dietro la barricata di al-Qaida e dovevano tornare a quella alleata e poi, oltre quella, al ripido pozzo d'ingresso. Erano soltanto pochi metri. Avevano appena cominciato a muoversi quando, davanti alla barricata di al-Qaida, ai limiti della terra di nessuno, si trovarono di fronte una scena imprevista. Quattro terroristi di al-Qaida erano circondati da una squadra di sei Scarabei, sotto la minaccia dei loro fucili MetalStorm. Gant guardò oltre la barricata. Il capo degli Scarabei fece un passo avanti e abbassò il suo visore, rivelando una mascella squadrata da modello e splendidi occhi azzurri. Si rivolse ai terroristi. «Chi è Zawahiri? Hassan Zawahiri...» Uno degli uomini di al-Qaida sollevò il mento in segno di sfida. «Io sono Zawahiri. E voi non potete uccidermi.» «E perché no?» chiese il capo degli Scarabei. «Perché Allah è il mio scudo», rispose Zawahiri in tono pacato. «Non lo sapete? Io sono il guerriero che Lui ha scelto. Io sono il Suo prescelto.» La voce del terrorista salì di tono. «Chiedete ai russi. Dei mujahidin catturati dai sovietici, io sono l'unico sopravvissuto agli esperimenti nelle segrete del loro gulag in Tagikistan. Chiedete agli americani! Io sono l'unico sopravvissuto agli attacchi dei loro missili dopo il bombardamento dell'ambasciata in Africa!» Cominciò a gridare. «Chiedete al Mossad! Loro sanno! Io sono l'unico sopravvissuto a più di dodici loro tentativi di assassinarmi! Nessuno nato su questa terra può uccidermi! Io sono l'Unico. Io sono il messaggero di Dio. Io sono invincibile!»
«Tu ti sbagli», disse il capo degli Scarabei. E sparò una raffica del suo MetalStorm al petto di Zawahiri. Il terrorista venne scaraventato all'indietro, il petto ridotto in poltiglia, il corpo praticamente tagliato in due. Poi l'affascinante caposquadra fece una cosa disgustosa. Si avvicinò al cadavere di Zawahiri, prese un machete che portava assicurato alla schiena e, con un colpo secco, spiccò la testa dal collo. Gant spalancò gli occhi. Mother rimase a bocca aperta. Entrambe stettero a guardare, inorridite, mentre il soldato prendeva la testa mozzata di Zawahiri e la riponeva con aria indifferente in un contenitore sanitario bianco. «Ma che cazzo sta succedendo qui?» sussurrò Mother. «Non ne ho idea», rispose Gant. «Ma non è questo il momento di scoprirlo. Dobbiamo uscire.» Si voltarono appena in tempo per vedere una trentina di terroristi di alQaida fuggire in preda al panico verso di loro, verso il nastro trasportatore, urlando, gridando, con le armi ormai scariche, inseguiti da altri Scarabei. Gant aprì il fuoco e abbatté quattro terroristi. Mother la imitò e ne eliminò altri quattro. I due marine della squadra di Gant furono investiti e calpestati dal gruppo di soldati atterriti. «Sono troppi!» urlò Gant a Mother, buttandosi sulla sinistra, fuori dal loro percorso. Da parte sua, Mother arretrò in direzione delle casse che portavano verso il nastro trasportatore, sparando all'impazzata, prima di essere sopraffatta dagli uomini in corsa. Pure lei venne scaraventata all'indietro in mezzo a loro, contro il veloce nastro trasportatore. L'uomo che aveva ucciso Zawahiri sembrava osservare con un certo divertimento i guerrieri di al-Qaida che fuggivano disperatamente sul nastro. Poi uno Scarabeo andò al pannello di controllo e premette un grosso pulsante giallo. Un ruggito meccanico riempì la caverna. Alzando la testa, Gant riuscì a scorgere la fonte di quel rumore. Al di sopra della barricata degli alleati, all'estremità del nastro, era entrata in funzione una gigantesca frantumatrice, costituita semplicemente da un paio di enormi rulli, ciascuno dei quali era coperto da centinaia di «den-
ti» conici per spaccare le rocce. Gant sussultò quando si accorse che, per salvarsi la vita, i terroristi di alQaida avevano cominciato a saltare giù dal nastro trasportatore. Cercò di vedere se anche Mother fosse riuscita a scendere, ma non riuscì a scorgerla. Non vide nessuno che le somigliasse scendere dal nastro. Merda... Dev'essere ancora sul nastro trasportatore... pensò. E infatti Mother si trovava ancora sopra il nastro che correva verso le mascelle rotanti della frantumatrice, sessanta metri più avanti. E stava pure lottando con due terroristi di al-Qaida. Mentre gli altri avevano deciso di saltare giù dal nastro, quei due avevano scelto di morire stritolati... e avevano intenzione di portare Mother con loro. Il nastro filava verso la frantumatrice a circa trenta chilometri l'ora, otto metri al secondo. Senza fucile - l'aveva perso quand'era stata sbattuta contro il nastro trasportatore -, Mother stava cercando di sbarazzarsi dei due terroristi. «Fottuti suicidi!» gridava nella lotta. Col suo metro e ottantotto, era forte come un toro, forte abbastanza per tenere a bada i due aggressori, ma non per avere il sopravvento su di loro. «Pensate di riuscire a stendermi, eh?» gridava. «Scordatevelo, cazzo!» Sferrò un violento calcio ai testicoli di un terrorista e quello ululò. Lei lo fece volare al di sopra della sua testa, verso la frantumatrice, ormai distante solo una ventina di metri. Due secondi e mezzo. Il secondo combattente restò avvinghiato a lei. Era un lottatore determinato e non le avrebbe lasciato libere le braccia. Stava andando all'indietro, i piedi verso la frantumatrice, mentre Mother procedeva, prona, con la testa avanti. «Mollami!» gridò. Il primo uomo di al-Qaida cadde nella frantumatrice. Un grido di agonia, un'esplosione di sangue. Un fiotto schizzò sul viso di Mother. E poi, in un momento di lucidità, Mother capi. Non ce l'avrebbe fatta. Troppo tardi. Era morta. Il tempo rallentò. Il terrorista che le serrava le braccia finì tra i denti del macchinario, coi
piedi in avanti. La frantumatrice lo inghiottì in un istante e Mother assisté in prima fila all'intera scena: un uomo di un metro e ottanta masticato in un lampo. Un altro fiotto di sangue le macchiò il viso. Poi Mother vide i rulli della frantumatrice a pochi centimetri dal volto, vide ogni singolo dente appuntito, vide il sangue raggrumatosi su ciascuno, vide le sue mani sparire... e improvvisamente fu sollevata al di sopra delle fauci spalancate della macchina. Non troppo in alto, però. Solo una decina di centimetri, abbastanza per essere staccata dal nastro trasportatore in rapido movimento, abbastanza per arrestare il suo moto in avanti. Perplessa, Mother girò il capo. E là, sopra di lei, appeso con una mano a una trave d'acciaio, mentre con l'altra teneva saldamente il colletto del suo giubbetto antiproiettile, c'era Shane Schofield. *** Cinque secondi più tardi, Mother era di nuovo sul terreno solido, con Schofield, Book II e i loro nuovi compagni, Pokey e Freddy. Il veicolo leggero d'attacco era parcheggiato li accanto, dietro la barricata degli alleati. «Dov'è Gant?» urlò Schofield cercando di sovrastare il frastuono. «Siamo state separate al di là dell'altra barricata!» urlò Mother di rimando. Schofield guardò in quella direzione. «Scarecrow! Che cazzo sta succedendo? Chi è questa gente?» «E chi lo sa? Sono cacciatori di taglie, questa è l'unica cosa certa! E almeno uno di loro sta cercando Gant!» Mother gli afferrò il braccio. «Aspetta! Ho brutte notizie! Abbiamo già sistemato il segnale laser per i bombardieri. Ci rimangono esattamente...» guardò l'orologio - «... otto minuti prima che questa miniera venga colpita da una bomba a guida laser da una tonnellata!» «Allora è meglio che troviamo Gant alla svelta!» Dopo che gli uomini di al-Qaida in fuga l'ebbero oltrepassata, Libby Gant si rimise di slancio in piedi, ma solo per notare diversi fasci laser
verdi puntati al suo torace, coperto dal giubbetto antiproiettile. Alzò lo sguardo. Era circondata da un altro gruppo di Scarabei, sei uomini, i fucili MetalStorm puntati contro di lei. Uno dei soldati vestiti di nero sollevò una mano e avanzò nella sua direzione. L'uomo si tolse l'elmetto e nel contempo abbassò il visore notturno che gli copriva gli occhi, svelando il suo viso. Un viso che Gant non avrebbe mai dimenticato. Che non avrebbe mai potuto dimenticare. L'uomo somigliava a... «qualcosa» uscito da un film dell'orrore. In passato, la testa doveva essergli finita tra le fiamme: il cranio era completamente calvo e orribilmente sfregiato, con la pelle carbonizzata che si era coperta di vesciche e poi cicatrizzata. I lobi delle orecchie gli si erano incollati ai lati della testa. In mezzo a quelle deturpazioni, tuttavia, gli occhi dell'uomo scintillavano di soddisfazione. «Lei è Elizabeth Gant, vero?» le chiese affabilmente, strappandole il fucile dalle mani. «Sì...» rispose Gant, sorpresa. Proprio come l'altro caposquadra degli Scarabei, l'uomo pelato aveva un accento inglese. Sembrava sulla quarantina. Esperto. Astuto. Prese il Maghook dalla custodia che Gant portava assicurata al dorso e lo lanciò a terra, lontano. «Non posso lasciarle né il fucile né il Maghook, temo», le disse. «Elizabeth Louise Gant, nome in codice 'Fox'. Ventinove anni. Tenente dei marine di prima nomina. Seconda del suo corso, mi pare. Ex membro dell'Unità da Ricognizione 16 dei marine sotto il comando dell'allora tenente Shane M. Schofield. Ex membro dell'HMX-1, il Distaccamento elicotteri del presidente degli Stati Uniti, sempre sotto il comando del capitano Shane M. Schofield. E ora... Lei non è più sotto il comando del capitano Schofield, perché i regolamenti del corpo dei marine non ammettono che si fraternizzi all'interno della truppa. Tenente Gant, io sono il colonnello Damon Larkham, nome in codice 'Demon'. Questi sono i miei uomini, le Intercontinental Guards, Unità 88. Spero non le dispiaccia, ma abbiamo bisogno di prenderla in prestito per un po'.» Uno degli uomini l'afferrò alle spalle e le premette un tampone imbevuto di triclorometano sulla bocca e sul naso. In un istante, Gant precipitò nel
buio. Un attimo più tardi, l'affascinante caposquadra che Gant aveva visto tagliare la testa di Zawahiri arrivò accanto a Demon Larkham, trasportando tre contenitori sanitari. «Signore, qui ci sono le teste di Zawahiri, Khalif e Kingsgate», esordì l'uomo. «Abbiamo trovato il cadavere di Ashcroft, ma la sua testa era già stata portata via. Credo che gli Scorpioni siano qui e che siano arrivati a lui prima di noi.» Larkham annuì, pensoso. «Hmm... Il maggiore Zamanov e i suoi Scorpioni degli Spetsnaz. Grazie, Cowboy. Credo che abbiamo già ricavato più che abbastanza da questa incursione.» Abbassò lo sguardo sul corpo di Gant. «E forse abbiamo appena aggiunto un'altra preda. Dica a tutti di dirigersi verso l'ingresso secondario. È arrivato il momento di tornare agli aerei. Questa miniera sta per subire un attacco aereo: i bombardieri sono già in volo.» *** Due minuti più tardi, il veicolo leggero d'attacco di Schofield slittò attorno all'estremità del nastro trasportatore dal lato della barricata di alQaida e si fermò bruscamente. Schofield, Book II, Mother e i due giovani marine scesero coi fucili spianati, in cerca di Gant. «Mother... Quanto ci resta?» chiese Schofield. «Sei minuti.» Gant non si vedeva da nessuna parte. E anche il contingente degli Scarabei sembrava sparito. La zona alle spalle della barricata di al-Qaida appariva deserta. La battaglia era terminata. Mother si fermò all'estremità più vicina della barricata, non lontana dal nastro trasportatore. «Qui è dove l'ho lasciata. Un tizio di quel gruppo di gente vestita di nero ha tagliato la testa a uno dei terroristi e poi un intero branco di rimbambiti di al-Qaida si è messo a correre in preda al panico verso di noi da quella direzione.» Indicò il lontano angolo nordorientale della caverna, al di là dei pozzi di ventilazione. Là Schofield scorse l'ingresso di una piccola galleria, dalle dimensioni di una serranda di garage. E poi, per terra, vide qualcos'altro. Un Maghook.
Si avvicinò, lo raccolse e vide le parole FOXY LADY incise in bianco sul fianco. Era il Maghook di Gant. Se lo fissò al cinturone. Quando tornò dagli altri, Mother stava dicendo: «... e non dimenticate il quarto gruppo armato che sta qui sotto». «Un quarto gruppo?» chiese Schofield. «Ci sono quattro gruppi armati diversi in questa miniera», rispose Mother. «Noi, al-Qaida, le teste di cazzo nere che hanno preso la mia pollastrella e quel manipolo di tizi che hanno ucciso Ashcroft e preso la barricata degli alleati alle spalle.» «Hanno ucciso Ashcroft?» esclamò Schofield. «Già, cazzo. E gli hanno pure tagliato la testa.» «Un altro gruppo di cacciatori di taglie», disse Schofield. «Ma dov'è adesso questo quarto gruppo?» «Io... Ehm, penso che sia ancora qui...» rispose Book II con voce sinistra. Si materializzarono dietro la barricata di al-Qaida e attorno a essa: circa venti uomini armati, che indossavano uniformi mimetiche da deserto, occhialoni color caramello e scarponi da combattimento gialli. Saltarono fuori dai veicoli Driftrunner e dai carrelli della barricata. La maggior parte di loro impugnava VZ-61 Skorpion a canna corta dall'aspetto minaccioso: le armi caratteristiche dell'unità di élite delle forze speciali russe, gli Spetsnaz. Era da quelle armi che si erano guadagnati il soprannome con cui erano conosciuti tra i cacciatori di taglie: gli «Scorpioni». Li stavano aspettando. Un uomo con le mostrine da maggiore si staccò dal gruppo. «Buttate le armi», ordinò seccamente. Schofield e gli altri quattro marine obbedirono. Immediatamente due Spetsnaz si misero a fianco di Schofield e lo afferrarono saldamente. «Capitano Schofield, che piacevole sorpresa», esclamò il maggiore degli Spetsnaz. «Le mie spie non avevano fatto cenno alla possibilità che lei potesse trovarsi qui, ma la sua apparizione è un dono gradito. La sua testa verrà pagata allo stesso prezzo di tutte le altre, ma è innegabile che derivi un certo prestìgio dall'essere il cacciatore di taglie che ha catturato il famoso Scarecrow.» Sembrò soppesare Schofield, poi sbuffò. «Ma forse la sua reputazione è immeritata. S'inginocchi, per favore.» Schofield rimase in piedi. Fece un cenno verso l'emettitore laser di Gant, abbandonato a terra. «Vede quel dispositivo? Il suo fascio laser sta gui-
dando una bomba da una tonnellata su questa miniera. Sarà qui entro cinque minuti...» «Le ho detto di mettersi in ginocchio.» Una delle sue guardie colpì Schofield dietro le ginocchia col calcio del fucile e lui cadde a terra. Si trovava sotto la cupola di uno dei condotti di aerazione. Con un acuto stridio metallico, il maggiore sguainò una spada lucente dal fodero che portava sul dorso. Era una spada da combattimento cosacca a lama corta. «A dire la verità sono un po' deluso», disse, mentre si avvicinava a Schofield rigirandosi pigramente la spada tra le mani. «Avevo pensato che uccidere Scarecrow sarebbe stato più difficile.» Sollevò la spada e, afferrandola con entrambe le mani, cominciò a farla ruotare... proprio nel momento in cui due laser di puntamento blu comparivano sul petto degli uomini di guardia a Schofield. Un istante dopo i due erano morti. Schofield si girò... Il maggiore degli Spetsnaz fece lo stesso... E tutti lo videro. Era in piedi, nella zona di terreno aperto al di sotto del pozzo di aerazione, due fucili Remington a canne mozze in mano, impugnati come pistole. Puntatori laser ad altissima tecnologia erano fissati alle canne d'acciaio lucente delle armi. Accanto a lui, montate su cavalletti pieghevoli, stavano due mitragliatrici FN-MAG telecomandate, anch'esse dotate di dispositivi di puntamento laser. Una delle mitragliatrici illuminava il petto del maggiore degli Spetsnaz col suo laser blu; l'altra era puntata verso il gruppo di soldati russi. Chiunque fosse, quell'uomo era vestito completamente di nero. Uniforme nera. Giubbetto antiproiettile nero, segnato da fori di proiettili. Casco da hockey nero. E sul viso, un viso irregolare, segnato e duro, non rasato, indossava un paio di avvolgenti occhiali dalle lenti gialle. Schofield colse il movimento di una grossa fune che pendeva dal pozzo di ventilazione al di sopra dell'uomo, prima che venisse rapidamente riavvolta lungo il condotto, sparendo come un serpente impaurito. «Salve, Dmitri», esordì l'uomo vestito di nero. «Ancora in giro senza permesso?» Il maggiore degli Spetsnaz non sembrava affatto contento di vedere
l'uomo in nero. Né sembrava intimorito dal puntino blu del laser che gli brillava sul petto. «È sempre più facile prendere il largo durante queste missioni internazionali. E sono sicuro che tu lo sai meglio di tutti, Aloysius», grugnì. L'uomo vestito di nero, Aloysius, avanzò, camminando con aria indifferente in mezzo agli Spetsnaz armati fino ai denti. Schofield notò che la sua uniforme nera era equipaggiata con una bizzarra serie di dispositivi non militari: manette, chiodi a espansione per arrampicata, una piccola bombola a ossigeno tascabile chiamata Pony Bottle, un minuscolo cannello ossidrico... L'uomo in nero passò accanto a un soldato russo che immediatamente gli puntò contro il fucile. Un lampo, un colpo. Il soldato venne crivellato di proiettili, massacrato. La mitragliatrice telecomandata ronzò, tornando a puntare i suoi laser sugli altri Spetsnaz. Imperturbabile, l'uomo in nero si mise davanti a Schofield e al maggiore. «Il capitano Schofield, suppongo», disse, mentre lo sollevava da terra. «Scarecrow.» «Sì...» ammise l'altro, guardingo. L'uomo in nero sorrise. «Mi chiamo Aloysius Knight. Cacciatore di taglie. Vedo che lei ha fatto conoscenza con gli Scorpioni. La prego di perdonare il maggiore Zamanov. Ha la sgradevole fissazione di tagliare la testa a persone appena conosciute. Ho visto il segnale laser dal cielo... tra quanto è prevista la bomba?» «Quattro minuti e trenta secondi», rispose Schofield, guardando l'orologio. «Se prendi la sua testa, Knight, ti daremo la caccia fino in capo al mondo, e ti ammazzeremo», sibilò il maggiore russo. «Non ce la faresti mai, Dmitri», rispose Knight. «Potrei ucciderti adesso.» «Ma allora moriresti anche tu», continuò Knight, indicando il cerchio blu sul petto del maggiore. «Ne varrebbe la pena», commentò di slancio Zamanov. «Mi spiace, Dmitri», rise Knight. «Sei un bravo soldato e, siamo onesti, anche un maledetto psicotico figlio di puttana. Ma ti conosco troppo bene. Tu non vuoi morire. La morte ti fa cagare addosso. Io, invece... Come dire? Be', io me ne fotto di morire.»
Zamanov s'irrigidì. Il comportamento di Knight ha smascherato il bluff di Zamanov, pensò Schofield. «Forza, capitano», disse Knight, restituendo a Schofield il suo MP-7 dopo averlo raccolto da terra. «Prenda i suoi ragazzi e mi segua.» Poi guidò Schofield e gli altri marine in mezzo al gruppo di Spetsnaz. «Chi è lei?» gli chiese Schofield mentre camminavano. «Non ha importanza», rispose Knight. «L'unica cosa che deve sapere adesso, capitano Schofield, è che lei ha un angelo custode. Qualcuno che non vuole che lei venga ucciso.» Arrivarono all'estremità orientale della barricata, a poca distanza dalla galleria che si apriva nell'angolo della caverna. Knight tirò lo sportello di un grosso veicolo Driftrunner, che costituiva la sezione terminale della barricata di al-Qaida, e lo apri. «Salite», ordinò. Schofield e gli altri si arrampicarono all'interno, sotto gli sguardi desolati degli Scorpioni. Aloysius Knight saltò sul sedile anteriore del Driftrunner e accese il motore. Poi si rivolse a Scarecrow. «Allora... è pronto a correre? Non appena saremo fuori dalla copertura delle mie mitragliatrici, quei figli di puttana saranno davvero incazzati.» «Sono pronto.» «Bene.» Knight premette sull'acceleratore e il Driftrunner partì come un razzo, sparendo dentro la piccola galleria nell'angolo della caverna. Non appena scomparve alla vista, i venti soldati rimasti di Zamanov si misero in azione: diciassette montarono su altri Driftrunner, mentre tre salirono sul veicolo leggero d'attacco di Schofield. I loro motori rombarono e la caccia ebbe inizio. *** Fanali nell'oscurità. Lame di luce sobbalzanti, ondeggianti, curve come scimitarre fendevano l'aria satura di polvere. Il Driftrunner del Cavaliere Nero rombava lungo la stretta galleria. Un Driftrunner aveva pressappoco le dimensioni di una jeep ed era essenzialmente un grosso pick-up, con un lungo pianale posteriore e una cabina di guida parzialmente coperta. Non c'era, tuttavia, una parete divisoria
o un finestrino tra la cabina di guida e il pianale posteriore: si poteva passare dall'una all'altro semplicemente scavalcando i sedili. La galleria era quasi perfettamente quadrata, con lisce pareti di granito e un piatto soffitto di pietra grezza sostenuto da piloni di legno. Era anche praticamente dritta, e si allungava nell'oscurità come una freccia. Ed era stretta, tanto da contenere a malapena il Driftrunner. C'era meno di mezzo metro da un lato e dall'altro del veicolo lanciato a tutta velocità. Sopra il tetto della cabina, c'era circa un metro e mezzo. Gli Scorpioni erano alle loro spalle. I tre soldati russi che si erano impossessati dell'LSV di Schofield filavano lungo il tunnel appena alle spalle del Driftrunner, mentre il piccolo mezzo, meno massiccio e più maneggevole, si avvicinava a loro senza difficoltà. L'uomo al volante andava a tutta velocità, mentre i suoi compagni sparavano contro il Driftrunner con le loro VZ-61. Illuminati dal chiarore ondeggiante dei fanali dell'LSV, Mother, Book, Pokey e Freddy rispondevano al fuoco. Alle spalle dell'LSV c'erano tre Driftrunner, su cui erano saliti gli altri diciassette membri dell'unità Spetsnaz che aveva disertato sotto la guida di Zamanov. Il piccolo convoglio procedeva a velocità pericolosamente elevata attraverso lo stretto passaggio di roccia. «Mother! Tempo!» gridò Schofield dal sedile del passeggero del veicolo che guidava la fila. «Tre minuti!» «Quanto è lunga questa galleria?» chiese a Knight. «Circa sei chilometri.» «L'uscita dovrebbe essere vicina.» I fucili di Book, Mother, Pokey e Freddy sparavano all'impazzata contro il velocissimo LSV dietro di loro. Si alternavano: mentre due sparavano, gli altri ricaricavano. A un certo punto, Book e Mother si abbassarono per ricaricare e Pokey e Freddy presero il loro posto... ma soltanto per essere abbattuti da un'incredibile ondata di fuoco. Il volto di Freddy scomparve, ridotto in poltiglia. Pokey venne colpito alla gola e cadde, la mascella serrata. Book II si gettò in avanti per impedirgli di cadere dalla parte posteriore del veicolo e lo afferrò. Ma era proprio quello di cui gli Scorpioni avevano bisogno. Ancora intenta a ricaricare, Mother si voltò di scatto per vedere cosa
stesse succedendo e scorse i due passeggeri dell'LSV che saltavano dal cofano del veicolo leggero d'attacco sul pianale posteriore del Driftrunner. Book aveva le mani occupate con Pokey. I due Scorpioni atterrarono in piedi e puntarono i fucili su Pokey e Book. Senza un'arma carica, Mother balzò loro addosso, abbattendoli entrambi, e tutti e tre caddero sul fondo del veicolo, mentre le pareti della galleria filavano accanto a loro in un'indistinta macchia grigiastra. Knight e Schofield assistettero a tutta la scena. Schofield si alzò per andare in aiuto di Mother e Book. «Aspetti!» gli urlò Knight, lanciandogli uno dei suoi Remington argentati. «Vada là dietro e ci tolga di mezzo quell'auto!» Schofield andò sul pianale posteriore del Driftrunner. Vide Mother che lottava sul pavimento, vide Book che issava Pokey sul pianale, vide l'LSV che schizzava lungo la galleria alle loro calcagna, coi fari che illuminavano l'angusto budello. Alzò il Remington e, con due mani, sparò all'LSV. Il rinculo del fucile fu violento. L'effetto fu anche maggiore. Qualunque tipo di proiettili usasse Knight, picchiavano maledettamente duro. L'LSV venne letteralmente scagliato in aria. Colpito da un proiettile del fucile a canne mozze, fu sollevato da terra e si ribaltò su un fianco. La sua velocità era così elevata nello stretto spazio della galleria di pietra che fece una capriola, girò su se stesso e cadde, sbattendo contro le pareti e il soffitto prima di fermarsi bruscamente. L'uomo al volante rimase miracolosamente vivo. Ma non per molto. Una frazione di secondo dopo essersi fermato, l'LSV fu sventrato da dietro e ridotto in un milione di pezzi quando il primo Driftrunner degli Scorpioni gli esplose letteralmente attraverso, seguito dal secondo veicolo degli Spetsnaz e poi dal terzo. In pochi secondi i Driftrunner degli Scorpioni viaggiavano appena dietro il veicolo di Schofield, i fari accesi che lo incalzavano nella galleria polverosa. Il primo veicolo russo accelerò e tamponò il Driftrunner di Schofield. I due mezzi sbandarono per l'urto. Poi gli Scorpioni infransero con un calcio il parabrezza del loro veicolo e si arrampicarono sul cofano, così prima che Schofield potesse fare qualsiasi cosa, nello spazio ridotto della buia galleria, tre di loro balzarono sul pianale posteriore del suo Driftrunner.
I tre russi ignorarono Book II e Mother dirigendosi dritti su Schofield con le armi spianate. Knight li vide nello specchietto retrovisore e frenò di colpo. Il Driftrunner ondeggiò e tutti vennero proiettati in avanti, compresi Schofield, Mother, Book e Pokey nella parte posteriore. Come tessere di domino gli altri tre veicoli del convoglio si tamponarono violentemente l'un l'altro. Nel Drifrunner di Schofield i tre Scorpioni che stavano per assalirlo vennero scagliati in avanti. Uno lasciò la presa sul fucile mentre cercava qualcosa cui attaccarsi, un altro cadde sul pavimento accanto a Schofield e il terzo fu proiettato verso la cabina di guida dove andò a sbattere contro il cruscotto e, sollevando lo sguardo, si trovò a fissare la canna di un fucile argentato, con un cerchio di luce laser blu puntato sul suo naso. Knight fece fuoco e la testa del soldato esplose come una scatola di pomodori pelati. Poi accelerò e il Driftrunner ricominciò a correre. Ma gli altri due uomini degli Spetsnaz, di nuovo in piedi, non avevano occhi che per Schofield. Quello senza fucile estrasse un coltello da caccia Warlock, l'altro alzò rapido il suo VZ-61... e in quello stesso istante Knight si voltò e li vide. Qualcosa si accese nei suoi occhi, uno sguardo che diceva che Scarecrow non avrebbe mai potuto essere toccato. Schofield reagì in fretta. Con una mossa di karate allontanò da sé la canna dell'arma, spingendola di lato proprio nel momento in cui il suo avversario faceva fuoco. Ma non poteva tenerli a bada tutti e due insieme. Lo Scorpione che impugnava il coltello fece un affondo verso di lui, cercando di colpirlo alla gola. Di colpo, Aloysius Knight fu lì e, con forza incredibile, trascinò lontano da Schofield tutti e due gli uomini, scagliandoli nella cabina di guida contro il parabrezza, che si crepò vistosamente, nello stesso momento in cui il Drifrrunner veniva tamponato con violenza dal veicolo che lo seguiva. Knight e i due uomini degli Spetsnaz vennero spinti indietro e poi catapultati in avanti dal contraccolpo, e andarono a sbattere dritti contro il parabrezza, sfondandolo e rotolando poi sul cofano del Driftrunner. A dire la verità, non sfondarono proprio il parabrezza. Di vetro infrangibile, il parabrezza sotto l'effetto dell'urto cadde fuori dalla sua cornice, atterrando sul cofano, ridotto a un rettangolo di vetro opaco e accartocciato. I quattro Driftrunner continuarono a correre lungo la stretta galleria. Schofield si accorse in quel momento che Knight aveva saggiamente in-
castrato una barra di acciaio contro il pedale dell'acceleratore, in modo che il loro veicolo continuasse la corsa lungo la galleria diritta, tenuto in carreggiata nello spazio ristretto del tunnel dalle sue stesse pareti di pietra. Sul cofano Knight lottava coi due Scorpioni. Quello col coltello stava disperatamente cercando di tornare da Schofield, mentre quello armato di VZ-61 aveva lasciato andare l'arma durante la caduta per cercare un appiglio. Knight aveva preso la botta peggiore contro il parabrezza e ora si trovava disteso con le gambe penzoloni oltre il cofano del Driftrunner lanciato a tutta velocità, aggrappato a quanto restava del parabrezza. Scorse l'uomo armato di coltello che tentava di riguadagnare terreno verso Schofield, gli afferrò uno stivale e tirò violentemente verso di sé, trascinandolo verso la parte anteriore del cofano... e oltre! Con un grido orribile il soldato russo cadde sotto il muso del Driftrunner, sotto i suoi pneumatici che ruggivano. Cadde e venne schiacciato dall'intero convoglio di Driftrunner prima di venire risputato oltre il quarto veicolo, straziato, maciullato e morto. L'altro Scorpione vide la scena e cominciò a prendere a calci le mani di Knight, ma questi lo afferrò per la cintura e cominciò a tirarlo. «No!» gridò l'uomo. «Nooo!» «Non puoi averlo!» gridò Knight, tirando il soldato degli Spetsnaz verso di sé. Lo Scorpione arrivò di fianco a Knight. Era un tipo grosso, con una faccia feroce e crudele. Afferrò Knight per la gola. «Se vado io, Cavaliere Nero, vieni anche tu», ruggì. Knight lo guardò dritto negli occhi. «Bene.» Si spinse con un calcio oltre il paraurti, trascinando il terrorizzato soldato russo con sé, e ricadde sulla strada polverosa davanti al veicolo in corsa... *** Il soldato degli Spetsnaz colpì il terreno, rotolò e venne schiacciato sotto le ruote del Driftrunner di testa. Al contrario di Knight, nel cadere non si era aggrappato a quanto restava del parabrezza. Mentre rotolava giù dalla parte anteriore del Driftrunner, infatti, Knight aveva afferrato il rettangolo di vetro crepato e lo aveva gettato sul terreno che schizzava sotto di lui. Il parabrezza cadde a terra e Knight vi finì sopra a quattro zampe; il ret-
tangolo di vetro scivolò sulla superficie polverosa, in avanti, lasciando a Knight il tempo di stendersi di schiena. Poi il convoglio dei quattro Driftrunner rumoreggiò veloce in avanti, sopra la sottile figura di Aloysius Knight che scivolava sul suo mezzo di trasporto improvvisato. Knight schizzò sotto il quartetto di veicoli ed era sul punto di piombare fuori, dietro l'ultimo Driftrunner, quando estrasse il suo secondo fucile, lo impugnò per la canna... e agganciò l'impugnatura alla parte inferiore del paraurti posteriore del quarto e ultimo veicolo. Il parabrezza sgusciò sotto di lui, rotolando lontano nell'oscurità della galleria, mentre Knight veniva trascinato dal Driftrunner, con le gambe che rimbalzavano sulla strada. Quindi si issò sul pianale posteriore, pronto a rientrare nella mischia. Più avanti, nel primo Driftrunner, Schofield era seduto al posto di guida. Dopo che Knight aveva sfondato il parabrezza ed era finito sotto il muso del veicolo, Schofield aveva calciato via la barra d'acciaio che teneva premuto il pedale dell'acceleratore e aveva preso il volante. Nello specchietto retrovisore vide Mother e Book II che combattevano a mani nude con due stronzi degli Spetsnaz, e altri due Scorpioni saltare dal secondo Driftrunner. I nuovi arrivati si lanciarono direttamente verso di lui. Ce ne sono troppi, gridò il cervello di Schofield. Vide i due Scorpioni correre in avanti, le armi spianate. Gli sarebbero arrivati addosso in pochi secondi. E allora si ricordò un particolare a proposito dei veicoli da miniera. Cercò la cintura di sicurezza. «Book! Mother! Attaccatevi a qualcosa!» Quindi si allungò nella cabina di guida e spalancò con un calcio lo sportello del Driftrunner dal lato del passeggero. L'effetto fu istantaneo. Il freno a mano del Driftrunner si attivò immediatamente e il veicolo inchiodò con tale violenza da scuotere le ossa. Era un dispositivo di sicurezza di tutti i veicoli da miniera: per evitare che i minatori si ferissero, se lo sportello del passeggero veniva aperto, il veicolo si bloccava grazie all'attivazione del freno a mano. Colto di sorpresa, il secondo Driftrunner si schiantò sul retro del primo. Il terzo e il quarto fecero lo stesso, finendo l'uno nell'altro come una fisarmonica che si chiudeva.
Dei due Scorpioni che stavano per assalire Schofield, uno finì volando attraverso l'ormai vuoto parabrezza, schiantandosi almeno cinquanta metri lontano dal veicolo; l'altro s'impigliò col mento sul soffitto della cabina di guida e, mentre le gambe venivano proiettate in avanti, la testa gli rimase ferma: con uno schiocco il suo collo si ruppe. Mother e Book II, d'altra parte, avevano obbedito all'ordine e, invece di combattere, si erano aggrappati al più vicino appiglio, così, quando il Driftrunner si era fermato, i loro attaccanti erano stati scagliati lontano, finendo a sbattere sul retro dei sedili del passeggero e del guidatore. Uno fu ridotto all'incoscienza dalla caduta. L'altro era solo contuso e si rialzò, ma solo per essere malignamente colpito alla testa da Mother, un colpo che lo mise fuori combattimento. Ottenuto quello che voleva, Schofield chiuse la portiera del passeggero e schiacciò l'acceleratore. Negli altri Driftrunner i danni e la confusione furono minori. Ripartirono dietro il primo veicolo un'altra volta, con ancora almeno dieci uomini a bordo. Ma la rovina piombò su di loro: Aloysius Knight. Al momento dell'impatto, Knight era occupato ad arrampicarsi sul pianale posteriore dell'ultimo Driftrunner, e perciò non aveva subito danni. Ora che i Driftrunner stavano di nuovo correndo, lui si mosse all'interno dell'ultimo veicolo, spedendo all'altro mondo gli Scorpioni con brutale brutale - efficienza. I russi provarono a resistere, cercarono di alzare le armi e ucciderlo per primi. Ma Knight era come una macchina omicida. Due Scorpioni sul pianale posteriore: a uno sparò in testa col fucile, mentre nello stesso tempo spingeva la testa dell'altro sopra il tetto della cabina di guida, facendo in modo che venisse colpito da uno dei piloni di sostegno sul soffitto della galleria, un impatto che decapitò il soldato. Poi arrivò nella cabina di guida, spianò il suo Remington a canna corta verso il passeggero e, senza fare una piega, sparò. L'uomo alla guida si girò, sorpreso, ma Knight lo ignorò, sfondò il parabrezza, strisciò sul cofano e saltò sul pianale del terzo veicolo, quello in cui si trovava Zamanov. Questi si tuffò cercando una copertura mentre Knight avanzava attraverso il Driftrunner, uccidendo uomini a destra e a manca. Diversi Scorpioni cercarono di rispondere al fuoco, ma Knight era troppo veloce, troppo agile, troppo bravo. Era come se anticipasse le loro mosse, sapendo l'ordine in
cui avrebbero sparato. Lungo il percorso verso la cabina di guida, Knight notò Zamanov farsi piccolo davanti alla sua furia, ma lo vide solo per un attimo e, dato che la sua priorità era andare avanti, da Schofield, non si fermò per ammazzare il russo. Si limitava a uccidere soltanto quelli che ostacolavano il suo cammino. Saltò sul secondo Driftrunner. Più avanti, nel primo Driftrunner, Schofield stava guidando, con a bordo solo amici. Ormai riusciva anche a vedere in lontananza un piccolo spicchio bianco: l'uscita della galleria. Mother si arrampicò sul sedile del passeggero di fianco a lui. «Scarecrow! Chi cazzo è questa gente? E chi è il tipo in nero?» «Non lo so!» gridò Schofield. Guardò nello specchietto retrovisore e vide Aloysius Knight camminare sul cofano del Driftrunner immediatamente dietro di loro. «Ma sembra che sia l'unico da queste parti che non stia cercando di uccidermi.» «Potrebbe aver progettato di ucciderti più tardi», suggerì Book II dal pianale posteriore. «Io dico di mollarlo adesso.» «Sono d'accordo...» esordì Mother prima d'interrompersi. Avevano raggiunto la fine della galleria. Una bianca luce brillante irrompeva attraverso un piccolo ingresso quadrato a circa duecento metri. Quello che l'aveva indotta a zittirsi, comunque, era l'enorme oggetto dall'aspetto demoniaco che si era materializzato davanti all'uscita della galleria. Un aereo a reazione. Un caccia Sukhoi S-37 nero, che si librava nell'aria appena fuori il tunnel. Visto dal davanti, col suo musetto appuntito e le ali a freccia negativa cariche di missili, l'S-37 sembrava un gigantesco falco maligno, che li fissava. Si udì un sordo tonfo dietro Schofield quando Knight atterrò sul pianale del loro Driftrunner e li raggiunse alle spalle. «È tutto a posto», disse, accennando al caccia, «lui è con noi.» Knight premette un pulsante sul suo bracciale protettivo, accendendo una radio all'interno. «Rufus, sono io! Stiamo uscendo! Abbiamo il fuoco al culo e tre veicoli nemici in coda. Ho bisogno di un Sidewinder. Solo uno. Punta in basso alla tua destra e armalo per duecento metri. Come in Ci-
le l'anno scorso.» «Ricevuto, capo», disse una voce profonda nell'auricolare di Knight. «Posso?» Knight accennò al volante di Schofield. Schofield glielo lasciò. Knight girò violentemente a destra, dirigendo il Driftrunner contro la parete della galleria. Il grosso mezzo a quattro ruote motrici si addossò al muro, inerpicandovisi fino a che... si trovò a correre con un angolo di 45 gradi rispetto al terreno, con due ruote a terra e due sul muro stesso. «Okay, Rufus! Adesso!» gridò Knight nel suo microfono da polso. Immediatamente, una striscia di fumo orizzontale schizzò fuori dall'ala destra del caccia nero e con un sibilo assordante un missile Sidewinder s'infilò nella galleria a velocità spaventosa, sfiorando il terreno. Dal punto di vista di Schofield, il missile si teneva vicino alla parete di sinistra della galleria e si avvicinava veloce e basso finché non sibilò di fianco al Driftrunner inclinato di 45 gradi e si schiantò sul veicolo immediatamente dietro. L'esplosione dilagò lungo la galleria. Il primo Driftrunner degli Spetsnaz fu ridotto in milioni di pezzi. Senza la possibilità di evitarlo, i due veicoli dietro lo tamponarono, finendo col muso nei rottami, fermandosi. Contemporaneamente, il Driftrunner di Schofield balzò fuori nella luce abbagliante del giorno, schizzando in un'ampia area di manovra pianeggiante scavata sul lato della montagna, oltre la quale, direttamente sotto il caccia a reazione in volo a punto fisso, si spalancava un abisso a picco di trecento metri. Knight si girò verso Mother. «Tu. Quanto manca alla bomba?» Mother controllò il suo orologio. «Trenta secondi.» «Questo dispiacerà a Dmitri.» Knight parlò quindi nel suo microfono da polso: «Rufus, troviamoci alla prossima area di manovra più giù lungo la montagna». Guardò verso Schofield. «Porto con me tre passeggeri, incluso il nostro uomo.» «Qualche problema?» «Ma no, tutto facile stavolta!» rispose Knight. Trenta secondi più tardi, l'affusolato Sukhoi atterrò in una nuvola di polvere su un'altra area di manovra più in basso lungo la sconnessa strada scavata sul fianco della montagna. Piatta e circolare, l'area di manovra sembrava una piattaforma naturale di atterraggio che sporgeva dal lato della montagna.
Il Driftrunner di Schofield si fermò derapando accanto all'aereo. Proprio in quel momento, guidata dal fascio laser di Gant giù nella miniera, una bomba da una tonnellata fu sganciata dal vano di carico di un C130 Hercules e s'inclinò verso il pozzo di aerazione della miniera. Il sistema di guida di precisione funzionò perfettamente. La bomba precipitò verso il suolo, raggiungendo la velocità limite, con le alette spiegate che controllavano la traiettoria di volo; poi il gigantesco ordigno scomparve nel pozzo di aerazione della miniera ed esplose. Detonazione. L'intera montagna tremò. Un boato vulcanico echeggiò all'esterno dai recessi della miniera. Vicino all'abitacolo biposto del Sukhoi, mentre spingeva Mother all'interno, Schofield si dovette aggrappare alla scaletta per mantenere l'equilibrio. Gettò uno sguardo alla cima della montagna sopra di loro, al manto di neve che copriva la sommità e... «Oh, no», sospirò. «Una slavina...» Quindi si girò di colpo per guardare verso la strada, e vide due figure curve arrancare fuori della miniera a piedi, solo un istante prima che una tremenda raffica di vento rombasse fuori della galleria, scagliando lontano i resti sconquassati dei Driftrunner degli Scorpioni rimasti all'interno. I tre Driftrunner furono catapultati oltre il ciglio dell'area di manovra superiore, scagliati orizzontalmente in aria, oltre le due figure curve; poi i tre veicoli precipitarono per trecento metri nel burrone sottostante. Fu allora che un sinistro rombo giunse da qualche parte sopra Schofield. La gigantesca massa di neve sulla montagna sopra la piazzola su cui era atterrato il Sukhoi stava rompendosi, iniziando a... scivolare. «Muoviamoci!» urlò Schofield, arrampicandosi sulla scaletta. La massa di neve iniziò ad acquistare velocità. «Veloci! Nella stiva bombe!» gridò Knight. Book e Mother si schiacciarono, attraverso il piccolo abitacolo, nell'angusto spazio retrostante: un vano bombe che era stato trasformato in una cella di detenzione. «Dentro!» gridò Knight alle loro spalle. «Mi ci metto anch'io!» Knight si strinse là dentro con loro. Schofield saltò nell'abitacolo per ultimo, arrampicandosi sul sedile dell'addetto ai sistemi d'arma, e guardò verso l'alto. La distesa di neve che scivolava in verticale aveva assunto l'a-
spetto di un'onda oceanica che s'infrangeva: bianche deflagrazioni precedevano il corpo principale della slavina. «Ehi, Rufus...» chiamò Knight. «Già accesi, capo!» Il grosso uomo sul sedile anteriore toccò la cloche e il Sukhoi si alzò in volo. «Più veloci...» disse Schofield. La slavina arrivava correndo giù verso di loro, rombando, rotolando, schiantando, distruggendo. Il Sukhoi si alzò, librandosi per un attimo prima di lanciarsi oltre il bordo del dirupo proprio mentre il muro di neve inghiottiva l'area di manovra con un singolo enorme morso per poi precipitare con un colossale ruggito dietro il caccia e scomparire nell'abisso sottostante. «Questa era vicina», disse Knight. *** Tre minuti più tardi, il Sukhoi S-37 atterrò in un terreno senza alberi sul lato afghano della montagna, a circa un chilometro e mezzo dallo Yak-141 lasciato da Schofield. Scarecrow, Knight, Book e Mother si arrampicarono fuori, mentre il pilota, un tipo enorme con una barba cespugliosa che Knight presentò semplicemente come «Rufus», spegneva i motori. Schofield si allontanò di qualche metro per fare il punto della situazione: aveva bisogno di schiarirsi le idee. Il suo auricolare gracchiò. «Scarecrow, sono io, Fairfax. Mi senti?» «Sì, sono qui.» «Ascolta. Ho un po' di cose da dirti. Alcune informazioni sui tipi dell'USAMRMC della lista e qualcosa di grosso su quel Cavaliere Nero, per lo più dall'FBI e dall'elenco dei maggiori ricercati dell'ISS. Hai un momento?» «Certo», disse Schofield. «Gesù, Scarecrow, questo Knight è un brutt'affare...» Nel suo ufficio nelle profondità del Pentagono, Dave Fairfax sedeva immerso nel chiarore dello schermo del suo computer. Nella parte orientale degli Stati Uniti erano appena scoccate le 4 del mattino del 26 ottobre, e l'ufficio era vuoto. Sullo schermo di Fairfax c'erano due foto di Aloysius Knight: la prima
era un ritratto di un uomo giovane e sorridente che indossava la divisa dell'esercito americano. La seconda era uno scatto da lunga distanza, sfocato, di Aloysius Knight che correva con un fucile a canna corta per mano. «Allora», disse Fairfax, leggendo. «Il suo vero nome è Knight, Aloysius K. Knight, età trentatré anni, alto un metro e ottantatré, ottantatré chili. Occhi marroni. Capelli neri. Segni particolari: noto per portare occhiali antiabbagliamento con lenti ambrate per una malformazione degli occhi nota come 'distrofia retinica acuta'. Vuol dire che la sua retina è troppo sensibile per sopportare la luce naturale, da qui la necessità di lenti colorate.» Mentre la voce di Fairfax arrivava nell'auricolare, Schofield fissava Knight, che stava accanto al Sukhoi con gli altri, i due fucili nella fondina, gli occhiali gialli, la tenuta da combattimento completamente nera. Fairfax continuò: «Ex membro del gruppo Delta 7, che è considerato il migliore all'interno della Delta, élite dell'élite. Ha raggiunto il grado di capitano, ma è stato riconosciuto colpevole in contumacia di tradimento contro gli Stati Uniti nel 1998 dopo aver disertato da una missione di cui aveva il comando in Sudan. Fonti dello spionaggio riferiscono che Knight fu pagato due milioni di dollari da una cellula locale di al-Qaida per fornire informazioni su un imminente attacco statunitense contro i loro depositi di armi. Tredici operativi della Delta morirono come risultato dell'avvertimento venduto da Knight. Scomparve dopo questo fatto, ma fu rintracciato diciotto mesi più tardi: a Brasilia. Una squadra di sei SEAL fu mandata per liquidarlo. Knight li uccise tutti quanti e spedì indietro le loro teste al campo di addestramento dei SEAL alla base navale Coronado di San Diego. Oggi si sa che lavora come cacciatore di taglie indipendente. Senti questa. Sembra che le compagnie di assicurazione tengano traccia di queste informazioni per utilizzarle in caso di rapimenti: è considerato da Carringtons, a Londra, come il secondo miglior cacciatore di taglie del mondo». «Solo il secondo? Chi è il migliore?» «Quel Demon Larkham di cui ti ho parlato prima. Aspetta un secondo, non ho ancora finito con Knight. L'ISS ritiene che nel 2000 Knight abbia trovato e ucciso dodici terroristi islamici che avevano rapito la figlia del vicepresidente russo, tagliandole quattro dita, e chiedendo per la sua liberazione un riscatto di cento milioni di dollari. Knight ha seguito le loro tracce fino a un campo di addestramento di terroristi nel deserto iraniano, è arrivato lì, ha raso al suolo l'intero campo, ha preso la ragazza - escluse
le dita - e l'ha riportata a Mosca senza che i media ne sapessero nulla. In cambio, qui dice, il governo russo gli ha dato... aspetta... un caccia a reazione Sukhoi S-37 danneggiato durante un test, e il diritto di rifornimento in ogni base russa nel mondo. Sembra che l'aereo sia noto negli ambienti dei cacciatori di taglie come Black Raven.» «Black Raven, uh, uh...» Schofield si girò a guardare il Sukhoi S-37 nero posato lì vicino... e vide che Aloysius Knight stava camminando verso di lui. «Fidati, Scarecrow... Non è il tipo di persona da cui vorrei farmi dare la caccia», disse Fairfax. «Troppo tardi», ribatté Schofield. «È qui in piedi davanti a me.» Schofield e Knight raggiunsero gli altri sotto il Black Raven. Book II e Mother si avvicinarono a Schofield. «Stai bene?» chiese a bassa voce Mother. «Book mi ha raccontato cos'è successo in Siberia. Sono una signora, Scarecrow, che cazzo sta succedendo?» «È stata una mattina pesante e un sacco di gente è morta», rispose Schofield. «Qualche idea su quello che è successo a Gant?» «L'ultima volta che l'ho vista è stata quando quei cazzoni coi puntatori laser verdi hanno fatto irruzione e io sono stata sbattuta sul nastro trasportatore.» «È stata catturata», disse una voce dietro Mother. Era Aloysius Knight. «Catturata da un cacciatore di taglie di nome Demon Larkham e dai suoi uomini dell'IG-88.» «Come fa a saperlo?» chiese Book II. «Rufus», Knight accennò al suo compagno, il pilota alto come una montagna. Con la sua grossa barba cespugliosa, Rufus aveva un largo viso sorridente e uno sguardo caloroso. Stava leggermente chinato, come se cercasse di non far notare i suoi due metri di altezza. Quando parlava, lo faceva velocemente e in modo conciso, in stile giornalistico. «Dopo aver fatto scendere Aloysius al condotto di aerazione», disse, «sono andato davanti all'ingresso posteriore. Ho rilasciato una nube di cariche MicroDot sull'area di manovra fuori dall'uscita della galleria, proprio come mi aveva detto, capo. Quindi mi sono allontanato di circa un chilometro e mezzo. Cinque minuti prima che voi arrivaste di corsa, un grosso elicottero Chinook appoggiato da una coppia di elicotteri d'attacco Lynx è
atterrato nell'area di manovra. Quindi due LSV e un Driftrunner sono usciti velocemente dalla galleria della miniera, si sono diretti sulla rampa del Chinook e sono entrati nell'elicottero. Poi il Chinook ha decollato e si è allontanato oltre le colline, diretto verso l'interno dell'Afghanistan.» «Come fai a sapere che Gant era con loro?» domandò Schofield. «Ho fatto delle foto», rispose Rufus semplicemente. «Aloysius mi aveva detto che, se fosse successo qualcosa di strano mentre lui era all'interno della miniera, avrei dovuto scattare delle foto, e così ho fatto.» Schofield studiò Rufus, mentre il grosso uomo parlava. Per un tipo che poteva manovrare un caccia a decollo verticale russo con incredibile abilità, qualcosa che richiedeva una quasi innata conoscenza della fisica e dell'aerodinamica, il suo eloquio sembrava stranamente formale ma diretto, come se si trovasse a suo agio nei modi militari. Schofield aveva visto uomini come Rufus prima: spesso i piloti (e i soldati) più dotati avevano grosse difficoltà nella vita sociale. Erano così concentrati nel loro settore di competenza che a volte avevano problemi a esprimersi, o non coglievano sfumature della conversazione come l'ironia e il sarcasmo. Bisognava essere pazienti con loro. Bisognava anche essere sicuri che i loro commilitoni fossero ugualmente pazienti. Diretto ma non stupido, quel Rufus valeva più di quanto sembrava. Knight tirò fuori un computer portatile dall'abitacolo del Sukhoi, e lo mostrò a Schofield. Sullo schermo c'era una serie di foto digitali che mostravano tre veicoli che uscivano dall'ingresso posteriore della miniera e salivano sulla rampa dell'elicottero Chinook in attesa. Knight toccò un cursore, chiudendo diverse foto, e ingrandendo il veicolo di testa. «Vede le tre scatole bianche sul sedile del passeggero? Contenitori sanitari per il trasporto di organi. Tre contenitori: tre teste», spiegò Knight. Aprì un'altra foto, che mostrava un'immagine sfocata ingrandita del Driftrunner in movimento dietro i due LSV. «Guardi il pianale posteriore del veicolo. Vede che tutti gli uomini di Larkham sono vestiti di nero? Una persona, invece... questa... quella senza l'elmetto... indossa un'uniforme dei marine color sabbia.» Schofield la vide. Per quanto l'immagine fosse sgranata, riconobbe il suo profilo, il modo in cui cadevano i suoi corti capelli biondi. Era Gant. Stesa incosciente sul pianale posteriore del Driftrunner. A Schofield si gelò il sangue. Il più grande cacciatore di taglie al mondo aveva Gant.
*** Più di ogni altra cosa, Schofield voleva seguirla... «No, è esattamente quello che vuole Demon, capitano», disse Knight, leggendogli nella mente. «Non prenda decisioni affrettate. Noi sappiamo dov'è e Larkham non ha intenzione di ucciderla. Ha bisogno di tenerla viva se vuole usarla per togliere lei di mezzo.» «Come può esserne così sicuro?» «Perché è quello che farei io», rispose Knight, con semplicità. Schofield tacque, sostenendo lo sguardo di Knight. Era quasi come guardare in uno specchio: Schofield coi suoi occhiali anti-abbagliamento argentati che nascondevano le cicatrici, Knight coi suoi occhiali avvolgenti con le lenti gialle che gli proteggevano gli occhi malati. Un tatuaggio sull'avambraccio di Knight attirò lo sguardo di Schofield. Mostrava un'aquila dall'aspetto feroce e le parole: DORMI CON UN OCCHIO APERTO. Schofield aveva visto quell'immagine in precedenza: nei poster che erano stati stampati subito dopo l'11 settembre 2001. Su di essi, l'aquila americana diceva: EHI, TERRORISTI, DORMITE CON UN OCCHIO APERTO. Sotto il tatuaggio dell'aquila di Knight ce n'era un altro con scritto semplicemente: BRANDEIS. Schofield non sapeva che cosa significasse. Fissò negli occhi Knight. «Ho sentito parlare di lei, signor Knight. La sua lealtà non è esattamente qualcosa di cui vantarsi. Lei ha venduto la sua unità in Sudan. Perché dovrei pensare che non venderà anche me?» «Non creda a tutto quello che legge», replicò Knight. «Magari negli archivi del governo statunitense.» «Quindi lei non mi ucciderà?» «Capitano, se avessi voluto ucciderla, lei avrebbe già una pallottola in testa. No. Il mio compito è tenerla in vita.» «Tenermi in vita?» «Capitano, cerchi di capire», continuò Knight. «Non sto facendo questo perché lei mi piace o perché pensi che sia in qualche maniera speciale. Sono pagato per farlo e pagato bene. La taglia sulla sua testa è di 18,6 milioni di dollari. Tutto sommato, sono pagato decisamente di più per garantire che lei non venga ucciso.» «D'accordo, allora», disse Schofield. «Chi paga per tenermi in vita?» «Non posso rivelarlo.»
«Sì che può.» «Non glielo dirò.» Knight non batté ciglio. «Ma il suo committente...» «... non è argomento di discussione», lo interruppe Knight. Schofield scelse un altro approccio. «Va bene. Ma perché sta accadendo tutto questo? Cosa sa di questa caccia?» Knight scosse la testa e guardò altrove. Rufus rispose per lui. Il suo tono era piatto, sincero, come se fornisse una semplice informazione. «Le cacce vengono bandite per ogni genere di motivo, capitano Schofield. Inseguire e uccidere una spia che si è data alla macchia con un segreto nella mente. Cercare e uccidere un rapitore che è stato pagato con un riscatto. Badi a quello che dico, non c'è nessuno così furioso come un tipo ricco che vuole indietro il suo denaro. Alcuni di questi stronzi ricchi preferiscono pagare noi due milioni di dollari per prendere dei rapitori che gliene hanno preso uno. Non accade spesso, peraltro, che venga stilata una lista che vale dieci milioni di dollari in totale, figuriamoci quasi venti milioni di dollari a testa.» «Ma cosa sapete di questa caccia?» insisté Schofield. «Il committente è sconosciuto», rispose Rufus, «come la ragione per cui è stata bandita, ma l'intermediario, un banchiere dell'AGM svizzera di nome Delacroix, è esperto in questo genere di cose. Abbiamo avuto a che fare con lui in passato. E, finché l'intermediario è affidabile, molti cacciatori di taglie non si preoccupano delle ragioni della caccia.» Rufus si girò verso Knight. Knight raddrizzò la testa. «È una grossa caccia. Quindici bersagli. Devono essere tutti morti entro le 12.00 di oggi, ora di New York. 18,6 milioni di dollari per testa, 279 milioni in totale. Qualunque sia la ragione della caccia, deve valere più di un quarto di miliardo di dollari.» «Ha detto che devono essere tutti morti per le 12.00, ora di New York?» chiese Schofield. Era la prima volta che sentiva di un tempo limite. Guardò il suo orologio. Erano le 14.05 lì in Afghanistan. Il che voleva dire le 4.05 a New York. Otto ore alla scadenza. Rimase in silenzio, pensoso. Quindi, d'improvviso, alzò la testa. «Knight, adesso che mi ha trovato, quali sono le sue istruzioni?» Knight annui lentamente, colpito dalla domanda di Schofield. «Le mie istruzioni sono molto chiare su questo punto», rispose. «D'ora in avanti, devo tenerla in vita.»
«Ma non le è stato ordinato di tenermi imprigionato, non è vero?» «No...» replicò Knight. «Mi è stato detto di lasciarle completa libertà d'azione e di consentirle di andare dove vuole, ma sotto la mia protezione.» E, con quello, un pezzo del puzzle andò al suo posto nella testa di Schofield. Chiunque stesse pagando Knight per proteggerlo non solo voleva tenerlo vivo, ma voleva che Schofield fosse attivo e continuasse a fare ciò che quella caccia doveva impedire. Si girò verso Knight, rivolgendosi a lui con maggiore confidenza. «Hai detto che sai dove si trova Gant. Come?» «Le cariche di MicroDot che Rufus ha sganciato su quell'area di manovra prima che ci arrivassero i ragazzi di Demon», rispose Knight. Schofield aveva sentito parlare della tecnologia MicroDot. Sembrava fosse un vero balzo in avanti nella nanotecnologia. I MicroDot erano microscopici circuiti di silicio, ciascuno della grandezza di una punta di spillo, ma con un'enorme capacità di calcolo. Sebbene molti credessero che i MicroDot sarebbero stati la base per una nuova serie di supercomputer allo stato liquido - immaginavano un liquido vischioso saturo di particelle MicroDot -, per il momento erano principalmente usati dai costruttori di auto di lusso come dispositivi per rintracciare il veicolo: si spruzzava il fondo di una Ferrari con una pittura arricchita di MicroDot, e la macchina poteva essere rintracciata ovunque nel mondo. Nessun ladro, per quanto tenace, avrebbe potuto eliminarli del tutto. La nube che Rufus aveva fatto esplodere nell'area di manovra aveva rilasciato una miscela gassosa che conteneva circa un miliardo di MicroDot. «Demon, i suoi uomini, i suoi veicoli e la tua ragazza sono tutti ricoperti di MicroDot», spiegò Knight. Tirò fuori dal cinturone un Palm Pilot modificato artigianalmente. Era pieno di pezzi aggiunti fatti in casa e antenne, e sembrava un po' più pesante di un normale palmare, come se fosse impermeabilizzato. Sullo schermo c'era una cartina del mondo e sovrapposto a quella mappa, sull'Asia centrale, un insieme di puntini rossi in movimento. La squadra di Demon Larkham. «Possiamo rintracciarli in ogni parte del mondo con questo», disse Knight. Schofield iniziò a riflettere, cercando di mettere ordine nei suoi pensieri, di soppesare le opzioni per poter impostare un piano d'azione. Poi alla fine disse: «La prima cosa da fare è capire perché sta succedendo tutto questo».
Prese la lista dei bersagli, e la esaminò per la centesima volta. Mother e Book II leggevano da dietro le sue spalle. «Il Mossad», disse a bassa voce Mother, vedendo uno della lista: 11. ROSENTHAL, Benjamin Y.
Israele
Mossad
«Cosa sai?» chiese Schofield. «Quel Zawahiri aveva detto qualcosa a proposito del Mossad israeliano giù nella miniera, prima di perdere la testa. Era fuori di sé, urlava di come fosse sopravvissuto a esperimenti sovietici in un qualche gulag e poi agli attacchi missilistici americani nel 1998, e quindi di come il Mossad sapesse che era invincibile, visto che avevano a provato a ucciderlo decine di volte.» «Il Mossad...» rifletté Schofield. Accese il suo ricevitore satellitare. «Fairfax, sei ancora lì?» «Fin quando ci sarà del caffè in giro, sarò ancora qui», fu la risposta. «Fairfax, controlla Hassan Mohammad Zawahiri e Benjamin Y. Rosenthal. Qualche corrispondenza incrociata?» «Solo un secondo», rispose Fairfax. «Ehi, abbiamo già qualcosa. Una corrispondenza da qualche scambio d'informazioni Stati Uniti-Israele. Il maggiore Benjamin Yitzak Rosenthal è il katsa di Hassan Zawahiri, ovvero l'ufficiale incaricato, il tipo che lo controlla. Rosenthal è di stanza ad Haifa, ma sembra che solo ieri sia stato richiamato alla centrale del Mossad di Londra.» «Londra?» ripeté Schofield. Nella sua mente cominciava a delinearsi un piano. E all'improvviso iniziò a sentirsi vivo. Era stato sempre un passo indietro rispetto agli eventi della mattinata, reagendo; ora finalmente stava diventando attivo. «Book, Mother. Che ne direste di fare una visita al maggiore Rosenthal a Londra? Per vedere se può illuminarci su questa situazione.» «Ne sarei lieta», disse Mother. «Sicuro», confermò Book II. Aloysius Knight ascoltava la conversazione distrattamente, disinteressato. «Oh, ehi, Scarecrow», disse la voce di Fairfax. «Volevo parlarti di una cosa, prima, ma non ne ho avuto la possibilità. Ti ricordi di quell'articolo del Comando ricerche mediche e materiale dell'esercito, che ti ho citato
prima, lo Studio MNRR sui servizi congiunti NATO? Bene, questa cosa è al di fuori della mia portata, qui. Sono stati tolti i vincoli di sicurezza due mesi fa ed è stato eliminato dall'archivio dell'USAMRMC. Una copia di archivio esiste in qualche deposito in Arizona, ma tutte le altre copie sono state distrutte o eliminate. Ma ho trovato qualcosa dei due tipi che l'hanno scritto, quei due tizi nella tua lista che avevano lavorato per il Comando ricerche mediche: Nicholson e Oliphant. Nicholson è andato in pensione qualche anno fa e vive in un pensionato in Florida. Ma Oliphant ha lasciato l'USAMRMC solo l'anno scorso. È primario al pronto soccorso del St John 's Hospital in Virginia, non lontano dal Pentagono.» «Fairfax, ti piacerebbe essere un agente operativo per un giorno?» «Qualsiasi cosa pur di uscire da questo posto. Il mio capo è il più grande rottinculo del pianeta.» «Non appena puoi, allora, perché non vai giù al St. John's a fare una chiacchierata col dottor Oliphant?» «Consideralo fatto.» «E tu?» chiese Mother a Schofield. «Non resterai con questo cacciatore di taglie, vero?» Lanciò un'occhiata sinistra a Knight, che, semplicemente, alzò le sopracciglia. «Ha detto che posso andare ovunque voglia», rispose Schofield. «È compito suo proteggermi.» «Quindi dove andrà?» chiese Book II. Gli occhi di Schofield si socchiusero. «Sto andando alla fonte di questa caccia. Andrò in quel castello in Francia.» Book II domandò: «Che cosa farà? Busserà e chiederà 'permesso'?» «No», disse Schofield. «Andrò a riscuotere una taglia.» «Una taglia?» si stupì Mother. «Non vorrei fare l'avvocato del diavolo, ma non hai bisogno di una... testa... per reclamare la taglia?» «Sì», rispose Schofield, guardando il Palm Pilot di Knight che mostrava la posizione di Demon Larkham. «E so anche dove recuperarne qualcuna. E allo stesso tempo andrò a riprendere Gant.» TERZO ATTACCO FRANCIA, INGHILTERRA, STATI UNITI 26 OTTOBRE, ORE 11.50 [FRANCIA] EST [NEW YORK] ORE 05.50
«Nel corso dei prossimi cinquant'anni la popolazione mondiale passerà da 5,5 miliardi d'individui a più di 9 miliardi il 95 per cento dell'aumento demografico riguarderà le regioni più povere del pianeta» ROBERT D. KAPLAN, The Coming Anarchy, Vintage, New York, 2001 «Il campo dei santi, un romanzo di Jean Raspali del 1972 su un'invasione della Francia a opera di un esercito di persone indigenti del Terzo Mondo sembra essere stato profetico Nel XIX secolo, l'Europa invase e colonizzò l'Africa Nel XXI secolo l'Africa invaderà e colonizzerà l'Europa» PATRICK J. BUCHANAN, The Death of the West, St Martin Press, New York, 2002
BERLINO, GERMANIA 22 OTTOBRE, ORE 23.00 10. POLANSKI, Damien G.
USA
ISS
Gli piaceva scoparsi le ragazze da dietro, pompare come un martello pneumatico e lanciare urla da cowboy. Ed era anche uno stronzo. Gli piacevano le ventenni con culetti piccoli e sodi. Aveva scoperto quelle cose grazie alle prostitute del quartiere a luci rosse di Berlino, che frequentava piuttosto spesso. La carriera di Damien Polanski aveva visto giorni migliori. Esperto del blocco sovietico durante la Guerra Fredda, era ormai in forza al distaccamento dell'ISS a Berlino, ogni giorno più vecchio e più insignificante. I suoi brillanti successi degli anni '80 - la diserzione di Karmonov, la scoperta degli archivi sovietici «Cobra» - erano stati da tempo dimenticati da un'agenzia d'intelligence che non ricambiava l'amore dei suoi membri. Era un vecchio cane in un mondo nuovo. Lei attirò facilmente la sua attenzione. A guardarla faceva mozzare il fiato: lunghe gambe snelle, spalle muscolose, piccoli seni dalla forma perfetta e quei freddi occhi dal taglio orientale. Qualcuno la chiamava la «Regina di Ghiaccio». Al bar, di fronte al suo séparé, lasciò cadere la borsetta e si chinò per raccoglierla, offrendogli una
perfetta visuale sotto la minigonna di pelle nera. Niente mutandine. Nel giro di quindici minuti, lui si stava rapidamente togliendo i pantaloni in una stanza d'albergo, pensando: Forza, piccola! Forza! Lei uscì dal bagno nuda, con le mani nascoste dietro la schiena. Gli occhi di Polanski si spalancarono per il piacere. Si gettò sul letto e si girò... proprio nell'istante in cui la sciabola corta da samurai gli mozzava il collo con un taglio netto. BEIRUT, LIBANO 23 OTTOBRE, ORE 21.00 7. NAZZAR, Yousef M.
Libano
Hamas
I testimoni sostenevano che era stata una delle operazioni più professionali cui avessero mai assistito a Beirut, il che voleva dire qualcosa. Avevano visto Yousef Nazzar, un alto dirigente di Hamas, noto per essere stato addestrato dai sovietici, entrare in un palazzo residenziale. Pochi secondi dopo, due berline si erano fermate davanti all'ingresso, otto commando erano scesi ed erano entrati di corsa nel palazzo. Uno di essi portava un contenitore bianco con una croce rossa sul lato. C'era un elemento comune a tutti i racconti dei testimoni: le armi usate dagli assassini. Erano state identificate o descritte come pistole mitragliatrici VZ-61 Skorpion. Poi gli assassini erano usciti e con uno stridio di pneumatici si erano allontanati. Il corpo di Yousef Nazzar fu ritrovato più tardi, sul pavimento dei suo appartamento, senza la testa. CASA DI RIPOSO DI CEDAR FALLS MIAMI, FLORIDA 24 OTTOBRE, ORE 07.00 8. NICHOLSON, Francis X.
USA
USAMRMC
L'infermiera della reception non avrebbe potuto intuire che si trattava di un killer. Quando gli aveva chiesto cosa desiderasse, l'assassino le aveva educatamente risposto che veniva dall'ospedale, per portare gli effetti personali
di un ospite recentemente trasferitosi a Cedar Falls. Era alto e sottile, con la pelle nerissima e la fronte alta. Più di un testimone lo avrebbe descritto come «africano» di aspetto. Non sapevano che nella comunità mondiale dei cacciatori di taglie era conosciuto con un semplice nome: «Zulu». Vestito con un camice da laboratorio bianco, camminò tranquillamente per la casa di riposo, con in mano un contenitore sanitario per il trasporto di organi. Trovò senza fatica la camera, con il vecchio, Frank Nicholson, che dormiva nel suo letto. Senza battere ciglio, Zulu tirò fuori un machete da sotto il camice e... La polizia individuò la sua macchina due ore più tardi, abbandonata nel parcheggio dell'aeroporto. Per quell'ora, comunque, Zulu era seduto in prima classe sul volo 45 della United Airlines per Parigi, col contenitore bianco per il trasporto di organi sul sedile di fianco al suo. Frank Nicholson si fece rimpiangere nella casa di riposo. Era stato un ospite popolare, amichevole e alla mano. Piaceva anche al personale: essendo stato medico, spesso aveva soccorso gli anziani ospiti che avevano avuto dei collassi sul campo di golf. Era strano, comunque, che al contrario di molti altri non avesse mai davvero parlato dei suoi giorni di gloria. Se glielo si chiedeva, rispondeva che era stato uno scienziato del Comando ricerche mediche e materiale dell'esercito a Fort Derrick, «semplicemente per eseguire qualche test medico per le forze armate», prima di andare in pensione l'anno precedente. E poi era arrivata quella sera, quando un assassino era entrato nella sua stanza e gli aveva tagliato la testa. FORTEZZA DI VALOIS BRETAGNA, FRANCIA 26 OTTOBRE, ORE 11.50 [EST ORE 05.50] Gli era sempre piaciuta l'anarchia. Ne amava l'idea stessa: la completa e assoluta perdita di controllo, una società senza ordine. Era particolarmente affascinato dal modo in cui le persone normali reagivano al caos. Quando crollavano gli stadi di calcio, fuggivano in preda al panico. Quando si scatenavano i terremoti, si davano ai saccheggi. Durante i momenti bellici degenerati nell'anarchia - Nanchino, Mi Lai,
Stalingrado -, stupravano e mutilavano esseri umani come loro. La teleconferenza con gli altri membri del Consiglio sarebbe iniziata solo dieci minuti dopo, il che dava al Membro n. 12 il tempo sufficiente per indulgere nella sua passione per l'anarchia. Il suo vero nome era Jonathan Killian. Jonathan James Killian III, per la precisione, e all'età di trentasette anni era il membro più giovane del Consiglio. Figlio di un americano e una francese, aveva sempre vissuto nella ricchezza e, quindi, aveva l'atteggiamento arrogante di un uomo abituato ad avere qualsiasi cosa desiderasse. Possedeva inoltre uno sguardo freddo e controllato capace di spingere il negoziatore più combattivo a esitare. Era un talento molto efficace, accentuato da una caratteristica inusuale del viso: Jonathan Killian aveva un occhio blu e uno castano. Possedeva un patrimonio di tentadue miliardi di dollari e, grazie a una rete labirintica di società, era l'attuale proprietario della fortezza di Valois. A Killian non era mai piaciuto il Membro n. 5. Per quanto smisuratamente ricco grazie a un impero petrolifero in Texas ricevuto in eredità, il n. 5 era poco intelligente e incline ai capricci. A cinquantotto anni non era altro che un bambino viziato, ed era sempre stato un ostinato oppositore delle proposte di Killian negli incontri del Consiglio. Era veramente irritante. Adesso, comunque, il Membro n. 5 si trovava in una vasta prigione sotterranea al piano più basso della fortezza di Valois, che s'insinuava in profondità nella roccia su cui sorgeva il castello, in compagnia dei suoi quattro assistenti personali. La prigione era chiamata il «Pozzo degli Squali». Profonda cinque metri, con muri di pietra liscia, la prigione era perfettamente circolare e piuttosto vasta, circa cinquanta metri di diametro. Inoltre, era fornita di una serie irregolare di piattaforme rialzate di pietra. Su una cosa non c'erano dubbi: era impossibile fuggire. Al centro della prigione si apriva un pozzetto largo tre metri, scavato nella roccia e in comunicazione con l'oceano. In quel momento, la marea stava salendo, e così il livello dell'acqua che entrava nel Pozzo degli Squali attraverso l'apertura cresceva velocemente, tracimando nell'ampia prigione, riempiendola, e trasformando la serie irregolare di piattaforme rialzate in piccole isole di pietra, con grande orrore del Membro n. 5 e dei suoi assistenti. Ad accrescere la loro paura, s'intravedevano due forme scure che
nuotavano in cerchio negli stretti canali tra le isole, appena sotto la superficie dell'acqua, forme con pinne dorsali e teste a forma di pallottola. Due grossi squali tigre. Oltre a tutto quello, il Pozzo degli Squali aveva altre due caratteristiche degne di nota. La prima era una balconata panoramica sul lato sud. Prima della Rivoluzione, era noto che l'aristocrazia francese teneva combattimenti di gladiatori nelle sue prigioni sotterranee, di solito poveri contadini contro altri contadini, oppure, nei recessi sotterranei più elaborati, come quelli della fortezza di Valois, contadini contro animali. La seconda era sulla più ampia delle piattaforme rialzate di pietra, al di sopra del muro settentrionale. Una macchina davvero terrificante: una ghigliottina alta quattro metri. Slanciata e brutale, la ghigliottina era un'aggiunta voluta da Jonathan Killian in persona. Alla base era posto un ceppo di legno grezzo in cui erano intagliati incavi per la testa e le mani di una persona. Una manovella posta sul lato della ghigliottina sollevava la lama inclinata. Una semplice leva di rilascio serviva per farla cadere verso il basso. Killian era stato ispirato dalle gesta dei soldati giapponesi durante il saccheggio della città cinese di Nanchino nel 1937. Durante tre terribili settimane, i giapponesi avevano sottoposto i cinesi a indicibili torture. Più di 360.000 persone erano state uccise a mani nude. Erano emerse storie di orrori, di soldati giapponesi che facevano tra loro gare di decapitazione; o peggio, di padri posti di fronte a una scelta: violentare le loro stesse figlie o vederle stuprate. O di figli cui era imposto avere rapporti sessuali con le proprie madri o morire. Killian era affascinato. Di solito, gli uomini cinesi compivano la scelta più onorevole e accettavano la morte piuttosto che commettere atti così empi. Ma alcuni no. Ed era questo che intrigava Killian: fino a che punto l'istinto di autoconservazione poteva spingere una persona. Quindi aveva introdotto la ghigliottina nel Pozzo degli Squali. Era stata pensata per dare a quelli che erano imprigionati nella fossa una scelta simile. Affrontare una morte orribile alla mercé degli squali tigre, o uccidersi rapidamente e senza soffrire sulla ghigliottina. A volte, quando nel Pozzo era imprigionato un gruppo di persone, Killian offriva loro un patto faustiano: «Uccidi il tuo capo sulla ghigliottina e io risparmierò tutti gli altri» o «Uccidi quella donna che urla istericamente e io lascerò andare gli altri».
Ovviamente, non aveva mai liberato nessuno. Ma i prigionieri non lo sapevano, e in diverse occasioni morivano a loro volta con le mani lorde di sangue. Le cinque persone nel Pozzo tentavano disperatamente di arrampicarsi sui muri, mentre l'acqua saliva rapidamente attorno a loro. Uno degli assistenti del n. 5, una donna, era riuscita a salire di pochi centimetri lungo il muro, grazie a un piccolo appiglio di pietra, ma fu rapidamente tirata giù da un uomo più grosso che considerava quell'appiglio come la propria unica possibilità di salvezza. Killian li osservava dalla balconata meridionale, completamente soggiogato. Una di queste persone vale 22 miliardi di dollari, pensò. Gli altri hanno uno stipendio di circa 65.000 dollari l'anno. Tuttavia adesso sono uguali... L'anarchia: la grande livellatrice. Ben presto il livello dell'acqua aumentò fino a salire all'altezza del petto, e i due squali tigre a quel punto iniziarono a nuotare nel Pozzo più speditamente. Da principio i prigionieri si accoccolarono sulle isole di pietra, ma quasi subito anche quelle vennero sommerse. Cinque persone, due squali. Non fu bello. Gli squali attaccarono prima le più esposte, le trascinarono nell'acqua, le portarono sotto, le fecero a brandelli. Il sangue sporcò le onde che ribollivano. Dopo che un assistente andò a fondo in una schiuma di sangue, le due assistenti donne del n. 5 si uccisero sulla ghigliottina. Il n. 5 fece lo stesso. Alla fine, piuttosto che affrontare gli squali, preferì tagliarsi la testa. Poi di colpo tutto finì e l'acqua sommerse la piattaforma su cui si trovava la ghigliottina, ripulendola dalle prove, e gli squali divorarono con ingordigia anche i corpi senza testa. Jonathan Killian III girò sui tacchi e si diresse verso il suo ufficio per la teleconferenza del pomeriggio. Facce sugli schermi disposti lungo i muri. Le facce degli altri membri del Consiglio, collegati dai quattro angoli del globo. Killian prese posto sulla sua poltrona. Cinque anni prima aveva ereditato il vasto impero del padre: compagnie di navigazione e industrie militari, un intreccio d'imprese noto come Axon Corporation. Tra le altre cose, la Axon Corp. costruiva cacciatorpediniere e missili a lungo raggio per il governo statunitense. In ciascuno dei primi tre
anni della sua gestione, Jonathan Killian aveva incrementato i profitti annuali della Axon di cinque volte. L'invito formale a unirsi al Consiglio era arrivato poco dopo. «Membro n. 12», esordì il presidente, rivolgendosi a Killian. «Dov'è il Membro n. 5? Era lì con lei, non è vero?» Killian sorrise. «Si è strappato un muscolo in piscina. Il mio medico personale si sta occupando di lui adesso.» «È tutto a posto?» «Sì», rispose Killian. «Le navi Kormoran sono in posizione in tutto il mondo, armate di tutto punto. La DGSE ha portato i cadaveri in America la scorsa settimana e il mio impianto a Norfolk è stato generosamente imbrattato col loro sangue, pronto per gli ispettori statunitensi. Tutti i sistemi sono predisposti, stanno solo aspettando il segnale.» Killian fece una pausa. E colse l'opportunità. «Certo, signor presidente», aggiunse, «come ho già detto, non è troppo tardi per la mossa supplementare...» «Membro n. 12», lo interruppe bruscamente il presidente, «il corso dell'azione è stato già deciso da tempo e non devieremo da esso. Mi dispiace, ma, se solleverà di nuovo la questione di questa 'mossa supplementare', le saranno imposte delle sanzioni.» Una sanzione del Consiglio era qualcosa da evitare. Joseph Kennedy aveva perso due dei suoi famosi figli per aver disobbedito alla direttiva del Consiglio d'interrompere i propri affari col Giappone negli anni '50. Il figlio di Charles Lindbergh era stato rapito e ucciso, mentre Lindbergh stesso era stato costretto a subire una calunniosa campagna in cui lo si accusava di ammirare Adolf Hitler, perché aveva rifiutato una direttiva del Consiglio che gli imponeva di continuare a fare affari coi nazisti negli anni '30. Recentemente, c'era stato quell'impertinente membro del consiglio di amministrazione della Enron. E tutti sapevano che cos'era successo alla Enron. Mentre la teleconferenza continuava, Jonathan Killian rimase silenzioso. Su quell'argomento, era convinto di saperne di più del Consiglio. L'esperimento Zimbabwe, una sua idea, aveva fatto ben più che fornire prove del suo punto di vista. Dopo decenni di repressione economica per mano degli europei, la masse africane oppresse dalla povertà non s'interessavano più dei diritti di proprietà dei bianchi. E il Rapporto Hartford sull'aumento della popolazione globale, e sulla diminuzione della popolazione dell'Occidente, aveva solo fornito ulteriore sostegno alle sue ragioni. Ma
ora non era il momento di pensare. La teleconferenza formale si era conclusa, e diversi membri del Consiglio rimanevano in linea chiacchierando tra loro. Killian li osservò. Un membro stava dicendo: «Ho appena comprato i diritti di estrazione per un miliardo pulito. Ho detto prendere o lasciare. Quegli stupidi governi africani non hanno altra scelta...» Lo stesso presidente stava ridendo: «... e ho incontrato per caso quella Mattencourt l'altra notte da Spencer's. È senza dubbio una puledra aggressiva. Mi ha chiesto di nuovo se l'avrei presa in considerazione per un posto nel Consiglio. Così le ho chiesto: 'Lei quanto vale?' Mi ha risposto: '26 miliardi'. 'E la sua società?' '170 miliardi.' Per cui ho concluso: 'Bene, è sicuramente abbastanza. Facciamo così, mi fa un pompino nel bagno degli uomini e lei è dentro'. Se ne è andata di corsa!» Dinosauri, pensò Killian. Uomini anziani, idee vecchie. Ci si aspetterebbe di più dagli uomini d'affari più ricchi del pianeta. Schiacciò un pulsante, interrompendo la linea, e tutti gli schermi attorno a lui si oscurarono. SPAZIO AEREO TURCO 26 OTTOBRE, ORE 14.00 [EST ORE 06.00] I MicroDot che si erano aggregati alla squadra IG-88 di Demon Larkham raccontavano ima storia interessante. Dopo aver lasciato la miniera di carbone di Karpalov, Larkham e i suoi uomini erano volati in una base aerea a Kunduz controllata dagli inglesi, un fatto che aveva immediatamente messo in allarme Schofield, perché significava che Larkham stava lavorando col tacito accordo del governo inglese. Non è un buon segno, pensò Schofield, mentre sfrecciava attraverso il cielo nell'abitacolo posteriore del Black Raven di Aloysius Knight. Quindi gli inglesi sapevano cosa stava succedendo... Alla base aerea di Kunduz, gli uomini dell'IG-88 si erano divisi in due squadre: una era salita a bordo di un aereo apparentemente diretto a Londra, l'altra su un altro aereo che si dirigeva verso la costa nordoccidentale della Francia. L'aereo in volo verso Londra, uno slanciato ed elegante Gulfstream IV, si stava rapidamente allontanando dal secondo, un pesante C-130J Hercu-
les da trasporto della Royal Air Force. In quel momento, il Sukhoi di Knight stava seguendo gli aerei di Larkham, volando appena sotto l'orizzonte, con tutte le misure stealth attivate. «Tattica normale di Demon», disse Knight. «Dividere i suoi uomini in una squadra di consegna e una di attacco. Demon utilizza la squadra d'attacco per liquidare il prossimo bersaglio, mentre la squadra di consegna porta le teste al luogo d'incontro.» «Sembra proprio che la squadra di attacco sia diretta a Londra», constatò Schofield. «Stanno andando per Rosenthal.» «È probabile», convenne Knight. «Cosa vuoi fare?» Schofield non riusciva a pensare a nient'altro che a Gant, seduta nel ventre dell'Hercules. «Voglio quell'aereo.» Knight schiacciò qualche pulsante sulla tastiera del suo computer. «Tutto a posto, sto accedendo al loro computer di bordo. L'Hercules ha in programma un rifornimento in volo sopra la Turchia occidentale entro novanta minuti.» «Da dove decollerà l'aereo cisterna?» chiese Schofield. «Un'aerocisterna VC-10 è in lista per un decollo dalla base aerea inglese di Akrotiri, a Cipro, tra esattamente quarantacinque minuti.» «D'accordo», disse Schofield. «Book e Mother, Rufus vi porterà a Londra. Trovate Benjamin Rosenthal prima che lo faccia la squadra di Larkham.» «E voi?» chiese Mother. «Il capitano Knight e io scendiamo a Cipro.» Quarantacinque minuti dopo, un Vickers VC-10 inglese per il rifornimento in volo decollò dalla pista della base cipriota. Senza che i quattro uomini dell'equipaggio lo sapessero, l'aerocisterna trasportava due clandestini nel vano di carico posteriore, Shane Schofield e Aloysius Knight, che Rufus aveva sbarcato, sotto la copertura garantita dalle caratteristiche stealth del Sukhoi, nelle paludi a cinque chilometri di distanza dalla base aerea. Da parte loro, Rufus, Mother e Book II erano ripartiti subito, a tutta velocità, diretti a Londra. Ben presto il VC-10 entrò nello spazio aereo turco, mettendosi a fianco dell'Hercules della RAF proveniente dall'Afghanistan. La cisterna si spostò davanti all'Hercules, salendo a una quota di poco
superiore. Quindi estese un lungo tubo flessibile per il rifornimento di carburante. Il tubo era lungo circa settanta metri e all'estremità aveva una sorta di cestello in cui doveva essere inserita la sonda dell'aereo da rifornire. Controllato da un unico operatore, che occupava una postazione trasparente nella parte posteriore dell'aerocisterna, il tubo doveva essere allineato con la sonda di rifornimento dell'Hercules, che, in pratica, era un semplice tubo orizzontale, posizionato appena sopra i finestrini della cabina di pilotaggio dell'aereo da trasporto. Il balletto aereo venne eseguito alla perfezione. L'operatore della cisterna allungò il tubo, mettendolo in posizione; la sonda dell'Hercules si fissò al cestello all'estremità del tubo e il rifornimento ebbe inizio. Mentre ciò avveniva, Knight cominciò a caricare la sua pistola H&K con alcune cartucce da 9 mm dall'aspetto strano. Ogni proiettile era dipinto con una striscia arancione. «Stendono un toro», spiegò a Schofield. «I migliori amici di ogni uomo della Delta: 9 mm a espansione di gas, meglio di quelle a punta cava. Entrano nel bersaglio e poi esplodono.» «Quanto è forte l'esplosione?» «Abbastanza da tagliare un uomo in due. Ne vuoi qualcuna?» «No, grazie.» «Prendile.» Knight mise alcune cartucce arancione in una delle tasche dell'uniforme da combattimento di Schofield. «Per quando cambierai idea.» Schofield accennò col capo all'uniforme di Knight e alla serie di strani aggeggi che vi erano fissati: la bomboletta d'ossigeno Pony Bottle, la fiamma ossidrica portatile, i chiodi da montagna a espansione. C'era anche un piccolo involucro simile a una busta che riconobbe. «È una sacca per cadaveri?» chiese. «Già. Una Markov Tipo III», rispose Knight. «Dobbiamo ringraziare i sovietici. Nessun altro ha costruito qualcosa di meglio.» Schofield annuì. La Markov Tipo III era una sacca chimica per cadaveri. Con la chiusura lampo a doppio rinforzo e le pareti a più strati di nylon, poteva contenere in sicurezza un cadavere sottoposto ai peggiori tipi di contaminazione: armi batteriologiche o chimiche, ma anche resti contaminati da radioattività. I russi ne avevano usate parecchie a Chernobyl. Erano i chiodi, comunque, quelli che più incuriosivano Schofield. Poteva capire che un cacciatore di taglie portasse con sé una sacca per cadaveri tascabile, ma perché dei chiodi? I chiodi a espansione sono dispositivi a molla a forma di forbice che gli
scalatori infilano in strette fessure della roccia. I chiodi si espandono sotto l'azione della molla, piantandosi sui lati della fessura, in modo che gli scalatori possano attaccarci le corde e sostenere il peso del proprio corpo. «Domanda. A cosa ti servono i chiodi?» Knight alzò le spalle con noncuranza. «Ad arrampicarmi sui muri, a risalire le pareti dei palazzi...» «Qualcos'altro?» chiese Schofield. Come torture, forse, pensò. Knight sostenne lo sguardo di Schofield. «Hanno anche altri usi.» Quando il rifornimento fu quasi completato, Schofield e Knight si misero all'opera. «Tu ti occupi dell'operatore», disse Knight, tirando fuori un'altra pistola da 9 mm. «Io dell'equipaggio in cabina.» «D'accordo», convenne Schofield, prima di aggiungere: «Knight. Puoi fare quello che vuoi sull'Hercules, ma che ne diresti di non usare armi letali qui?» «Cosa? Perché?» «Questo equipaggio non ha fatto nulla.» Knight aggrottò le sopracciglia. «Oh, va bene...» «Grazie.» E si mossero. Coi suoi numerosi finestrini che si estendevano tutt'attorno alla cabina di pilotaggio, l'aereo da trasporto C-130 forniva una visibilità eccezionale, e proprio in quel momento i due piloti dell'Hercules inglese potevano vedere la coda del VC-10 in alto davanti a loro e il lungo tubo estensibile per il carburante attaccato alla sonda di rifornimento sopra la loro cabina. Avevano fatto quel tipo di rifornimento in volo centinaia di volte. Dopo che i due aerei si erano collegati, i piloti avevano inserito il pilota automatico ed erano più interessati a osservare i dati di pompaggio del carburante che a guardare lo straordinario panorama all'esterno. Probabilmente, fu questa la ragione per cui, ventidue minuti dopo l'inizio del rifornimento, non si accorsero della solitaria figura ammantata di nero che discese sibilando lungo il tubo del carburante come uno stuntman che sfida la morte. I finestrini della loro cabina esplosero sotto i devastanti colpi della sua pistola. ***
Il colpo d'occhio era veramente spettacolare. Due giganteschi aeroplani che volavano affiancati a seimila metri, il muso dell'uno collegato alla coda dell'altro da un lungo tubo per il carburante... e un uomo che, mentre scivolava lungo il tubo come se fosse una chiusura lampo, sparava con una pistola H&K verso la cabina di pilotaggio dell'Hercules. I due piloti dell'Hercules morirono nel turbine di vetri rotti. Il vento irruppe nella cabina, ma l'aereo, grazie al pilota automatico, rimase stabile. Dal canto suo, Aloysius Knight discese a velocità incredibile lungo il tubo del carburante, appeso a una cintura di sicurezza che aveva fissato attorno a esso, col volto coperto da una maschera a ossigeno per alta quota e un paracadute d'attacco ultracompatto MC1-7 sulla schiena. La sonda di rifornimento dell'Hercules era posta direttamente sopra la cabina di pilotaggio, quindi Knight passò attraverso i finestrini infranti dell'Hercules e atterrò dentro la cabina spazzata dal vento. Accese il microfono della sua radio. «Tutto a posto, Scarecrow! Vieni giù!» Pochi secondi più tardi, una seconda figura, che indossava anch'essa una maschera a ossigeno e un piccolo paracadute, scivolò giù dall'aerocisterna, percorrendo rapidissima la lunghezza del tubo del carburante prima di scomparire dentro l'Hercules. Nel vano di carico dell'Hercules si voltarono tutti - otto militari in divisa nera, due uomini in borghese e due prigionieri - per un rumore terribile proveniente dalla cabina di pilotaggio, seguito dal ruggito dell'aria che entrava. Gli otto militari erano membri della squadra di consegna dell'IG-88 I due uomini in borghese avevano nomi che nessuno conosceva, ma erano in possesso di due distintivi dell'MI-6, il servizio informazioni britannico. I due prigionieri erano il tenente Elizabeth «Fox» Gant e il generale Ronson H. Weitzman, entrambi del corpo dei marine degli Stati Uniti, catturati dalle forze di Demon in Afghanistan. Poco prima che cominciasse l'attacco a mezz'aria, Gant aveva ripreso conoscenza e si era resa conto di essere seduta nell'ampio vano di carico dell'Hercules, con le mani legate dietro la schiena. A pochi centimetri da lei, Ronson Weitzman - uno degli ufficiali più an-
ziani dell'intero corpo dei marine - giaceva sdraiato sulla schiena, con le braccia e le gambe divaricate, come se fosse stato crocifisso orizzontalmente, sul cofano di una jeep trasportata nel vano di carico dell'aereo, i polsi legati con due coppie di manette a entrambi gli specchietti laterali del veicolo. La manica destra dell'uniforme di Weitzman era stata rimboccata e un laccio di gomma era legato strettamente al suo braccio nudo. Accanto al generale c'erano i due uomini dell'MI-6. Gant si era risvegliata proprio mentre il più basso rimuoveva un ago ipodermico dal braccio di Weitzman. «Dagli qualche minuto», aveva detto quello. Il generale aveva rialzato la testa, gli occhi vacui. «Salve, generale Weitzman», aveva sorriso il più alto degli agenti del controspionaggio. «La droga i cui effetti sta cominciando a provare proprio adesso è nota come EA-617. Sono sicuro che un uomo del suo grado ne ha sentito parlare. È un disibinitore neurale, una droga che ritarda il rilascio del neurotrasmettitore GABA nel suo cervello. L'aiuterà a dire la verità.» «Co...?» Weitzman aveva guardato verso il suo braccio. «...617? No...» Ad assistere alla scena, da una certa distanza, c'erano i membri della squadra di cacciatori di taglie dell'IG-88, guidata dall'uomo alto e sorprendentemente bello che Gant aveva visto nelle caverne in Afghanistan. Aveva sentito gli altri uomini dell'IG-88 chiamarlo «Cowboy». «Va bene, generale», aveva detto l'uomo alto dell'MI-6. «Il Codice Universale di Disattivazione. Qual è?» Weitzman rabbrividì e strabuzzò violentemente gli occhi, come se il suo cervello stesse cercando di resistere al siero della verità. «Io... non conosco nessun codice di quel tipo», rispose in maniera poco convincente. «Si che lo conosce, generale. Il Codice Universale di Disattivazione degli Stati Uniti. Il codice che annulla tutti i sistemi di sicurezza degli arsenali americani. Lei ha sovrinteso al suo inserimento in un progetto militare segreto chiamato Progetto Kormoran. Sappiamo di Kormoran, generale. Ma adesso vogliamo il codice. Qual è?» Gant era rimasta completamente scioccata. Aveva sentito parlare del Codice Universale di Disattivazione, era una specie di leggenda: un codice numerico che annullava ogni sistema di sicurezza statunitense. Weitzman aveva strizzato gli occhi, lottando contro la droga. «Non... e-
siste.» «No, generale», aveva detto l'uomo più alto. «Deve esistere e lei è una delle cinque persone che lo conosce. Forse adesso dovremmo aumentare il dosaggio.» L'uomo alto aveva tirato fuori un'altra siringa e l'aveva infilata nel braccio di Weitzman. Weitzman gemette. «No...» Il siero EA-617 era fluito nel suo braccio. Ma era stato allora che i finestrini della cabina di pilotaggio erano esplosi sotto il diluvio di pallottole di Knight. *** Schofield piombò nella cabina di pilotaggio dell'Hercules, atterrando vicino a Knight. «Adesso posso usare armi letali?» gridò Knight. «Accomodati!» Knight indicò un monitor sul pannello strumenti nella cabina di pilotaggio: offriva un'ampia visuale del vano di carico posteriore dell'Hercules. Schofield vide una dozzina di grandi casse di legno vicino alla scaletta che conduceva alla cabina di pilotaggio, la jeep con Weitzman crocifisso sul cofano, otto nemici con uniformi da combattimento nere, due uomini in borghese e sul pavimento, appoggiata alla parete, sul lato sinistro della jeep, con le mani legate dietro la schiena, Libby Gant. «Troppi per farli fuori con le pistole», disse Schofield. «Lo so», annuì Knight. «Quindi toglieremo le pistole dall'equazione.» Prese dalla sua uniforme da combattimento due granate, piccoli ordigni tascabili dipinti di giallo pallido. «Cosa sono?» chiese Schofield. «Bombe a mano AC-2 inglesi. Sono granate che creano una nube adesiva.» «Mettono fuori uso le armi da fuoco», disse Schofield, annuendo. «Ottima scelta.» I SAS, esperti in operazioni antiterrorismo, avevano sviluppato le AC-2 per operazioni condotte contro gruppi armati in presenza di ostaggi. Fondamentalmente, erano tradizionali granate flash-bang, ma con una caratteristica supplementare molto particolare. «Sei pronto? Ricorda, hai un solo colpo prima che la tua pistola s'incep-
pi», disse Knight. «Bene, facciamoci un giro.» Spalancò la porta della cabina di pilotaggio e lanciò le due granate AC2. Le bombe giallo pallido volarono all'interno del vano di carico, passando sopra le casse di legno prima di cadere sul pavimento davanti alla jeep ed esplodere. Prima ci fu l'esplosione normale: bianchi lampi di luce accecanti seguiti da detonazioni assordanti, concepite apposta per spaccare i timpani e confondere. Poi arrivò la caratteristica supplementare delle granate AC-2. Quando esplosero, le due bombe emisero una polvere scintillante costituita da particelle grigiastre che si dispersero in ogni direzione, saturando completamente lo spazio chiuso del vano di carico. Le particelle sembravano coriandoli e, dopo essersi disperse, fluttuarono nell'aria, infinitamente piccole, creando una caligine grigiastra attorno alla scena, facendola somigliare a una palla di vetro appena scossa. Solo che non erano coriandoli. Erano un tipo particolare di particelle adesive, una sostanza vischiosa e filamentosa che si attaccava a tutto. La porta della cabina di pilotaggio si spalancò di colpo e Knight e Schofield si lanciarono nel vano di carico. Il militare dell'IG-88 più vicino fece per impugnare il suo fucile, ma ricevette un dardo in mezzo alla fronte, scoccato dalla minibalestra attaccata all'avambraccio destro di Knight. Un secondo uomo reagì con altrettanta rapidità, e ricevette direttamente in un occhio un dardo della balestra fissata al braccio sinistro di Knight. Fu il terzo soldato dell'IG-88 che riuscì a tirare il grilletto del suo fucile d'assalto Colt Commando. L'arma sparò, una volta. Un solo proiettile, poi s'inceppò. Era stata «invischiata». Gli appiccicosi frammenti adesivi delle granate di Knight erano penetrati nella canna, nell'otturatore e in tutte le parti mobili, rendendola inutilizzabile. Schofield inchiodò l'uomo col calcio del suo ancorotto magnetico Maghook. Ma gli altri soldati dell'IG-88 capirono subito e, in pochi secondi, due coltelli da caccia Warlock si conficcarono nelle casse di legno alle loro spalle. Knight rispose tirando fuori dalla tuta una delle armi dall'aspetto più micidiale che Schofield avesse mai visto: una piccola stella ninja a quattro lame o shuriken. Era grande quasi come la mano di Schofield: quattro lame malignamente ricurve che si allungavano all'esterno da un
mozzo centrale. La shuriken venne lanciata con un gesto esperto, di lato, e fendette l'aria, sibilando, prima di tagliare la gola a due soldati dell'IG-88 che si trovavano fianco a fianco. Cinque a terra, calcolò Schofield. Ancora tre, più i due tipi in borghese... E d'un tratto una mano lo afferrò. Era una presa incredibilmente forte... Schofield fu scaraventato all'indietro, oltre la porta della cabina di pilotaggio. Cadde pesantemente al suolo, e sollevò lo sguardo per vedere un enorme militare dell'IG-88 che lo fissava. L'uomo dell'IG-88 era veramente massiccio: alto almeno un metro e novanta, dalla pelle nera, con possenti bicipiti e un viso infiammato di autentica ferocia. «Cosa cazzo pensi di fare?» esclamò il gigantesco uomo di colore. Ma Schofield era già di nuovo in movimento: saltò rapidamente in piedi e scagliò un colpo fulminante col calcio del suo Maghook sulla mandibola del soldato. Il colpo andò a segno, ma l'omaccione non batté nemmeno ciglio. «Uh-oh», fece Schofield. Il gigantesco mercenario diede a Schofield una poderosa spinta, facendolo volare all'indietro come una bambola di pezza nella cabina di pilotaggio battuta dal vento. Schofield si abbatté contro il pannello strumenti. Quindi il militare lo sollevò senza fatica e disse: «Sei arrivato fin qui dal finestrino e te ne andrai dal finestrino». In un battibaleno, il grosso soldato di colore scagliò Shane Schofield fuori dai finestrini infranti della cabina di pilotaggio dell'Hercules, nel limpido azzurro del cielo. *** Nel vano di carico saturo di particelle, Aloysius Knight, che attaccava scagliando stelle ninja a quattro lame, si guardò attorno per controllare Schofield... appena in tempo per vederlo gettato fuori attraverso i vetri sfondati della cabina di pilotaggio. «Oh, merda», sospirò Knight. Come lui, Schofield aveva sulle spalle un paracadute, quindi era a posto, ma l'imprevisto volo di Scarecrow lo metteva, numericamente, in una brutta situazione. Knight accese il microfono della sua radio. «Schofield? Tutto okay?» Una voce confusa dal vento replicò: «Non sono ancora fuori gioco!»
Visto dall'esterno, l'Hercules stava ancora volando stabile a seimila metri, sempre dietro la cisterna VC-10... Solo che ora c'era una sottile figura appesa al suo muso conico: Schofield, con il corpo sferzato da un vento violento, a seimila metri da terra. Ma, grazie al suo ancorotto magnetico Maghook, era agganciato al muso dell'aereo da trasporto. Il suo grosso avversario di colore - l'uomo dell'IG-88 il cui soprannome era, giustamente, «Gorilla» - guardò fuori dai finestrini della cabina di pilotaggio sopra di lui. Poi rientrò e subito riapparve con una pistola Colt 45 che era rimasta nella cabina e non era stata messa fuori uso dalle granate di Knight. «Merda!» gridò Schofield quando il primo colpo passò sibilando sopra la sua testa. Aveva sperato che Gorilla pensasse che fosse caduto e quindi tornasse dentro l'aereo, lasciandogli la possibilità di arrampicarsi dentro la cabina di pilotaggio. Ma non era andata così... E quindi Schofield fece l'unica cosa che potesse fare. Prese il Maghook di Gant dal cinturone e si mosse verso il retro dell'aereo con due Maghook attaccati alla fusoliera dell'Hercules. Scivolò in basso, sotto il muso del grosso aereo, fuori dalla linea di tiro di Gorilla, cosicché si trovò appeso al ventre dell'aereo da trasporto. Parlò nel laringofono ad attivazione vocale. «Knight! Sono ancora qui! Ho solo bisogno che tu mi apra un portello esterno.» Dentro il vano di carico, Knight evitò un coltello in volo e lanciò una delle sue shuriken nel petto di uno degli uomini in borghese. Senti la richiesta di Schofield, vide il grosso pulsante di controllo rosso che apriva la rampa di carico dell'Hercules e ci lanciò contro una stella ninja. L'arma colpì il pulsante, inchiodandolo al pannello e, con un basso ronzio, il portellone di carico posteriore dell'Hercules cominciò ad aprirsi. «Tutto a posto, capitano! La rampa di carico è aperta!» disse la voce di Knight nell'auricolare di Schofield. Schofield si mosse il più velocemente possibile lungo il ventre dell'Hercules, armeggiando coi due Maghook, magnetizzandoli e smagnetizzandoli alternativamente, e procedendo così verso il portellone posteriore ormai aperto.
Il vento si abbatté dentro il vano di carico, irrompendo attraverso la rampa posteriore aperta, facendo vorticare i frammenti di particelle adesive in sospensione. Una tempesta al chiuso. Knight scivolò accanto a Gant. «Sono qui per aiutarti», spiegò, brandendo il suo coltello verso le manette della donna... quando due grandi mani nere lo afferrarono e lo lanciarono all'indietro. Gorilla. Knight venne scagliato contro un lato della jeep e perse la presa sul coltello. Il capo degli IG-88, Cowboy, saltò fuori dalla sua posizione coperta sul lato destro della jeep. «I suoi occhiali!» suggerì. Gorilla lasciò partire un pugno selvaggio che ruppe il ponticello degli occhiali dalle lenti gialle di Knight, e anche il naso. Gli occhiali frantumati caddero, esponendo i suoi occhi alla luce. «Aah!» gridò con gli occhi chiusi. Un altro colpo dirompente di Gorilla lo lasciò senza fiato. «Mettilo davanti all'auto», ordinò Cowboy, staccando gli ancoraggi della jeep prima di mettersi al volante. Gorilla obbedì: stese Knight davanti alle ruote della jeep e si allontanò. Cowboy accese il motore, inserì la marcia e schiacciò il pedale dell'acceleratore. La jeep balzò in avanti, dirigendosi direttamente verso le ginocchia di Aloysius Knight. E Cowboy udì un piccolo, appagante rumore sordo quando la grossa jeep passò sopra il cacciatore di taglie e si schiantò contro una delle casse del carico. «Dannazione!» urlò Gorilla. «Cosa?» domandò Cowboy. «L'altro è tornato!» Nessuno degli inglesi aveva visto Schofield rientrare nell'Hercules. Né Cowboy né Gorilla né gli altri rimasti vivi nella stiva - un militare dell'IG88 e l'uomo in borghese sopravvissuto - l'avevano notato arrampicarsi nel vano di carico dietro la jeep, attraverso la rampa posteriore. Non lo avevano neanche visto sgattaiolare sul lato destro della jeep e passarle di corsa davanti, spostando Aloysius Knight... e contemporaneamente trascinando a terra davanti al veicolo l'altro militare dell'IG-88 sopravvissuto, facendo così in modo che la jeep passasse sopra di lui. Schofield e Knight si accasciarono contro la paratia laterale del velivolo, proprio vicino a Gant. Knight si stropicciò gli occhi. Schofield non aveva
ancora ripreso fiato. Aprì le manette di Gant e le diede il coltello. «Tieni, baby, l'hai dimenticato in Afghanistan. Forza, dammi una mano a liberare il generale.» Il generale Weitzman era ancora steso con le gambe e le braccia divaricate sul cofano della macchina, le mani ammanettate agli specchietti retrovisori. Gant trovò un mazzo di chiavi addosso all'uomo dell'IG-88 investito e una chiave per manette. Nel frattempo, Schofield si rialzò, proprio mentre al suo fianco Cowboy usciva dalla jeep e, davanti al muso del veicolo, il tipo del controspionaggio inglese afferrava un coltello che si era conficcato in una cassa di legno. Erano circondati dai cattivi. Schofield allungò le braccia in entrambe le direzioni, sollevando i due Maghook contemporaneamente. Nel vano di carico saturo di frammenti, aveva solo un colpo per ciascuno. Fece fuoco. Il primo mancò Cowboy, ma non era quella la sua intenzione. Invece colpì la portiera della jeep che Cowboy stava aprendo. A così breve distanza, il Maghook si schiantò violentemente contro lo sportello blindato, chiudendolo di scatto e ributtando Cowboy all'interno del veicolo. L'uomo in borghese del controspionaggio fu colpito direttamente in mezzo al petto dall'altro Maghook. Si piegò semplicemente in due, con le costole rotte, e crollò dentro la cassa alle sue spalle. Da parte sua, Gant era occupata a liberare la mano sinistra del generale Weitzman. Le manette attorno al suo polso si aprirono. «Okay», disse. «Altro polso. Altro lato...» Ma dall'altro lato della jeep si ergeva... Gorilla. Era ancora lì. Torreggiava sul corpo disteso di Weitzman. Schofield apparve al fianco di Gant, con gli occhi fissi su di lui. «Occupati del generale», sibilò, senza togliere gli occhi dal gigantesco militare. «E stai pronta al mio segnale.» «Quale segnale?» Schofield non le rispose. Si chinò ed estrasse due shuriken da un cadavere. Dall'altro lato della jeep Gorilla fece lo stesso. Quindi i due uomini si mossero a grandi passi verso la zona libera dietro la jeep, un piccolo spazio che conduceva alla rampa di carico posteriore e che si affacciava sul vasto cielo azzurro sottostante. Rimasero fermi l'uno di fronte all'altro per un attimo - l'alto e massiccio Gorilla e il più basso, ma più proporzionato, Scarecrow - ciascuno con due
stelle ninja in mano. E cominciarono la lotta. Lampi argentei, il clangore di lame che s'incrociavano. Gorilla fece un affondo, Schofield si difese. Gorilla tirò un fendente, Schofield parò. Mentre Schofield e Gorilla lottavano nella zona posteriore della stiva, Gant sciolse la mano destra di Weitzman, liberando il generale, ma lasciò le manette aperte ancora appese agli specchietti laterali. Portò via Weitzman dalla jeep, facendolo rotolare sul pavimento. Il tutto mentre il generale mormorava: «Oddio, il Codice... il Codice Universale... Va bene, va bene, esiste, ma solo poche persone lo conoscono... Si fonda su un principio matematico... e certo, l'ho inserito nel Kormoran, ma c'è... un altro progetto coinvolto... Chameleon...» Schofield e Gorilla danzavano in cerchio, le loro shuriken che lampeggiavano e cozzavano. Tornarono indietro lungo il lato destro della jeep, verso Gant e Weitzman, con Schofield davanti, che arretrava per evitare i fendenti di Gorilla. «Gant!» chiamò Schofield. «Stai pronta per il segnale!» «Certo! Quale?» «Questo!» E quindi, brillantemente, Schofield intuì il movimento successivo di Gorilla e con velocità fulminea spostò il peso e sbatté sul cofano della jeep la mano con cui Gorilla teneva la stella, proprio vicino alle manette aperte che solo pochi momenti prima avevano tenuto prigioniero Weitzman. «Adesso!» Gant rispose all'istante, balzò sul cofano della jeep e chiuse la manetta attorno al polso di Gorilla. L'uomo strabuzzò gli occhi. Ora si trovava ammanettato allo specchietto della jeep. Schofield si diresse verso il generale Weitzman disteso sul pavimento. «Signore, sta bene?» chiese, inginocchiandosi. Ma il generale stava ancora balbettando. «Oh, no... Non era solo il Kormoran. Era anche il Chameleon... Oddio, Kormoran e Chameleon insieme. Navi e missili. Tutti camuffati. Cristo... Ma il Codice Universale di Disattivazione cambia ogni settimana. Al momento è... il sesto... Oddio, il sesto mercen... mercen...» Un improvviso sibilo. Il lampo dell'acciaio. E di colpo la testa del generale sobbalzò leggermente, mentre una linea rossa compariva attraverso il suo collo... e quindi, proprio davanti agli occhi di Schofield, la testa del
generale Ronson H. Weitzman si staccò. La testa rimbalzò al suolo e rotolò accanto ai piedi di Schofield. Dopo essere stata spiccata dal corpo, la testa di un uomo continua a vivere per almeno trenta secondi. Così, il viso privo di corpo di Weitzman tenne macabramente gli occhi fissi su Schofield, mentre le palpebre batterono ancora per qualche istante prima che, misericordiosamente, i muscoli facciali si rilassassero e la testa rimanesse immobile. Schofield vide il giovane e attraente sostituto di Demon Larkham, Cowboy, fermo sull'altro lato della jeep; brandiva un machete, con gocce di sangue fresco che colavano dalla sua lama. I suoi occhi erano dilatati, colmi di una follia sanguinaria. Cercò di lanciare il machete verso Schofield, ma proprio in quell'istante una mano gli afferrò il polso da dietro e lo sbatté sul cofano, facendogli perdere la presa; poi, il suo invisibile aggressore gli chiuse rapidamente le altre manette attorno al polso ora scoperto. Cowboy si girò e vide Aloysius Knight in piedi dietro di lui, con sul viso un nuovo paio di occhiali dalle lenti ambrate. «Non male, Cowboy. Ti sei ricordato del mio tallone di Achille.» Quindi Knight afferrò il machete e sorrise all'assassino dell'IG-88. «E io ricordo il tuo. Se non mi sbaglio non sai volare.» Knight camminò verso il lato di guida della jeep, si sedette e innestò la retromarcia. Fece un cenno col capo a Schofield e Gant: «Fate spazio». Cowboy e Gorilla, ammanettati ai lati opposti della jeep, fissarono con terrore Knight. «Ciao, ragazzi.» E il cacciatore di taglie bloccò il pedale dell'acceleratore col machete. La jeep schizzò all'indietro, verso la rampa di carico posteriore aperta. Arrivò al bordo sui venti all'ora, poi, con assoluto terrore di Cowboy e Gorilla, precipitò in caduta libera per seimila metri. *** Dopo che la jeep fu scomparsa, Schofield corse verso Gant e la strinse forte tra le braccia. Gant ricambiò l'abbraccio, con gli occhi chiusi. Date le circostanze, altre avrebbero pianto, ma non Gant. Sentì l'emozione del momento, però non era il genere di persona che spargesse lacrime. «Cosa diavolo è successo?» chiese quando si separarono.
«Cacciatori di taglie», rispose Schofield. «Il mio nome è in una lista di persone che devono essere eliminate entro mezzogiorno di oggi, ora di New York. Hanno catturato te per prendere me.» Raccontò a Gant quello che era accaduto in Siberia e poi in Afghanistan, dei cacciatori di taglie che aveva incontrato, della Executive Solutions, dell'Ungherese, degli Scorpioni Spetsnaz e, ovviamente, degli IG-88 di Demon Larkham. Le mostrò la lista dei bersagli. «Di lui che mi dici?» Gant accennò a Knight, non appena questi scomparve dentro la cabina di pilotaggio per sganciare il loro aereo dalla cisterna. «Chi è?» «È il mio angelo custode.» In quel momento si udì un lamento di dolore da dietro le casse di legno. Schofield e Gant si girarono di colpo e videro uno degli agenti inglesi in borghese, steso sul pavimento, che si teneva le costole rotte. Era l'uomo che Schofield aveva colpito al petto col Maghook. Si avvicinarono. L'uomo respirava affannosamente e sputava sangue. Schofield si piegò su di lui e lo esaminò. «Le costole hanno perforato i polmoni. Chi è?» «Quello che so è che lui e l'altro uomo in borghese stavano interrogando il generale con una qualche droga disinibitoria, chiedendogli del Codice Universale di Disattivazione americano. Hanno detto che Weitzman aveva sovrinteso all'inserimento del codice in qualcosa chiamato Progetto Kormoran.» «Ah, è così?» disse Schofield. «Una droga disinibitoria...» Si guardò in giro, vide un kit medico sul pavimento dal quale erano state estratte alcune siringhe e fiale di siero. Prese una delle fiale e controllò l'etichetta. «Allora vediamo come se la cava con una dose della sua stessa medicina.» Quando Aloysius Knight ritornò dalla cabina di pilotaggio trovò l'agente inglese seduto contro la parete del vano di carico, con le maniche rimboccate e 20 cc di EA-617 che gli fluivano nelle vene. Knight toccò Schofield sulla spalla. «Ci siamo sganciati dall'aerocisterna. Il pilota automatico è ancora impostato verso una pista di atterraggio privata in Bretagna, sulla costa atlantica francese. E Rufus ha appena chiamato. Sta per lasciare i tuoi uomini in una base aerea abbandonata a circa sessanta chilometri da Londra.» «Bene», disse Schofield, pensando a Book II e Mother che si dirigevano
alla sede del Mossad a Londra. Poi rivolse la propria attenzione all'agente inglese catturato. Dopo alcuni vani tentativi di resistere alla droga disinibitoria, ben presto venne fuori che il nome dell'uomo era Charles Beaton e che era un agente dell'MI-6. «Questa caccia all'uomo. Cosa ne sai?» «Circa venti milioni di dollari per testa. Quindici teste. E loro ti vogliono fuori dal gioco entro mezzogiorno di oggi, ora di New York.» «Chi sono loro? Chi tira fuori il denaro per tutto questo?» Beaton sbuffò derisorio. «Loro hanno vari nomi. Il Gruppo di Bilderberg. Il Gruppo di Bruxelles. Lo Star Council. Il Majestic-12. M-12. Sono una élite di uomini d'affari che dominano il pianeta. Dodici. Gli uomini più ricchi del mondo, uomini che possiedono i governi, uomini che distruggono intere economie, uomini che fanno quello che vogliono...» Schofield scivolò all'indietro, con gli occhi spalancati. «Va bene...» lo interruppe Knight seccamente. «Dimmi i nomi», insisté Schofield. «Non conosco i loro nomi», rispose Beaton. «Non è il mio campo. Io mi occupo del sistema militare americano. Tutto quello che so è che Majestic12 esiste e ha sul suo libro paga questa squadra di cacciatori di taglie.» «D'accordo, allora. Sai che cosa volevano ottenere scatenando questa caccia?» «No», ribatté Beaton. «Il mio compito era ottenere il Codice Universale di Disattivazione da Weitzman e trasmetterlo a Larkham, per guadagnare anch'io un po' di soldi. Non so nient'altro della caccia e delle ragioni per cui Majestic-12 l'ha indetta.» «Chi lo sa all'MI-6?» «Alec Christie. È lui il nostro uomo all'interno. Sa tutto su Majestic-12 e, presumibilmente, su questa caccia. Ma il problema è che l'MI-6 non sa più dove sia finito Christie. È scomparso due giorni fa.» Christie. Schofield ricordava il nome sulla lista: 2. CHRISTIE, Alec P.
Regno Unito
MI-6
«Ma questo Christie deve aver bruciato la sua copertura», disse, «perché Majestic-12 ha messo anche lui nella lista.» Quindi provò a pensare in un nuova prospettiva. «Cosa sono questi progetti Kormoran e Chameleon sui quali stavate interrogando Weitzman?»
Beaton sobbalzò, cercando ancora di resistere alla droga. «Kormoran è un progetto della marina statunitense. Top Secret. Durante la seconda guerra mondiale, la marina tedesca aveva camuffato alcune sue navi da guerra in mercantili. Una di queste si chiamava Kormoran. Pensiamo che la marina statunitense abbia fatto la stessa cosa, ma in modo più moderno: che abbia cioè costruito navi da guerra in grado di lanciare missili balistici intercontinentali, camuffate da superpetroliere e portacontainer.» «Accidenti», sospirò Gant. «Va bene, questo è Kormoran», riprese Schofield. «E il progetto Chameleon?» «Non so nulla su Chameleon.» «Sei sicuro?» Beaton gemette. «Sappiamo che è collegato a Kormoran, e sappiamo che è roba grossa: ha le più alte classificazioni di segretezza statunitensi. Ma, al momento, non sappiamo esattamente che cosa riguardi Chameleon.» Schofield rabbrividì, riflettendo. Era come ricostruire un puzzle, pezzo per pezzo, sino a far emergere un disegno. Ma non aveva ancora tutte le tessere. «Allora chi lo sa, signor Beaton? Da dove l'MI-6 ha preso tutte queste informazioni Top Secret statunitensi?» «Il Mossad», sospirò Beaton. «Hanno una sede operativa a Londra, a Canary Wharf. Abbiamo pensato di metterli sotto sorveglianza per qualche settimana il mese scorso. Credetemi, il Mossad sa tutto. Sanno di Majestic12. Sanno di Kormoran e Chameleon. Sanno tutto di ogni nome su quella lista e del perché ci sia. Sanno anche un'altra cosa.» «Che cosa?» lo incalzò Schofield. «Il Mossad conosce i piani di Majestic-12 per il 26 ottobre.»
KING'S TOWER CANARY WHARF, LONDRA 26 OTTOBRE, ORE 12.00 [FRANCIA ORE 13.00; EST ORE 07.00] Book II e Mother risalivano la parete di quaranta piani della King's Tower dentro un veloce ascensore di cristallo. Il Tamigi si dipanava davanti a loro, bruno e serpeggiante, mentre la vecchia Londra svaniva all'orizzonte, velata dalla pioggia. Canary Wharf contrastava vistosamente col resto della città: era un vivace quartiere d'affari di vetro e acciaio, che vantava grattacieli, parchi curatissimi e nientemeno che l'edificio più alto della Gran Bretagna, la sontuosa Canary Wharf Tower. Mentre gran parte di Londra era uno sbiadito
quadro vittoriano del XIX secolo, Canary Wharf era un scintillante panorama futurista del XXI secolo. Book e Mother salivano nel grigio cielo di Londra. Altri quattro ascensori di cristallo portavano gente su e giù lungo un lato della King's Tower, scatole trasparenti identiche che scivolavano accanto a loro in entrambe le direzioni. Book e Mother indossavano abiti civili: giacche scamosciate, stivali, jeans e maglioni a collo alto che celavano i laringofoni. Entrambi avevano una Colt 45 infilata nei jeans, dietro la schiena. Un'impiegata giovane e carina con un vestito di Prada era nell'ascensore con loro, e appariva molto piccola di fianco alle spalle ampie e alla testa rasata di Mother. Mother inspirò profondamente, quindi toccò la ragazza sulla spalla. «Mi piace molto il suo profumo. Cos'è?» «Issey Miyake», rispose la ragazza. «Dovrò comprarmelo», sorrise Mother. Il loro viaggio non era durato molto. Dopo essere entrati nello spazio aereo inglese sotto copertura stealth, Rufus li aveva lasciati sulla pista di una base aerea abbandonata e non lontana dal London City Airport. Da lì avevano avuto un passaggio su un elicottero charter, pilotato da un vecchio amico di Rufus, che li aveva sbarcati all'eliporto commerciale di Canary Wharf quindici mimiti dopo. L'ascensore si fermò al trentottesimo piano. Book II e Mother uscirono nell'immensa reception dello studio legale Goldman, Marcus & Meyer, che occupava gli ultimi tre piani dell'edificio, il trentottesimo, il trentanovesimo e il quarantesimo. Sembrava proprio la reception di un importante studio legale: elegante, spaziosa, con una gran bella vista. E, infatti, per il visitatore casuale, Goldman, Marcus & Meyer era uno studio legale a tutti gli effetti. Ma non era soltanto quello. Tra i molti uffici, le sale riunioni e gli open space, la sede della Goldman, Marcus & Meyer ospitava tre stanze al trentanovesimo piano in cui a tutti gli avvocati era proibito entrare, stanze che venivano destinate a solo ed esclusivo uso del Mossad, il servizio segreto israeliano. Il Mossad. Il più spietato servizio segreto del mondo, a protezione dello Stato bersaglio dei più numerosi ed efferati attacchi della storia: Israele. Nessun altro Stato aveva sperimentato una minaccia terroristica così costante. Nessun altro Stato si era trovato circondato da tanti nemici aperta-
mente ostili, come Siria, Egitto, Giordania, Libano... per non parlare dei palestinesi all'interno dei suoi stessi confini. Nessun altro Stato aveva visto undici dei propri atleti olimpici uccisi in mondovisione. E come aveva affrontato Israele tutto ciò? Facile. Occupandosi anzitutto delle minacce esterne. Il Mossad aveva agenti ovunque. Riusciva a conoscere gli eventi internazionali prima di chiunque altro e agiva secondo un principio irrevocabile: «Israele, prima, dopo, sempre». 1960: il rapimento in Argentina del criminale di guerra nazista Adolf Eichmann. 1967: l'attacco preventivo contro le basi aeree egiziane durante la guerra dei Sei Giorni. 31 agosto 1997: c'era un agente del Mossad al bar dell'Hotel Ritz a Parigi, la notte in cui morì la principessa Diana. Stava pedinando Henri Paul, l'autista di Diana. Si era anche detto che il Mossad sapesse degli attacchi contro gli Stati Uniti dell'11 settembre 2001 e che non avesse allertato gli americani, perché a Israele conveniva che gli Stati Uniti entrassero in guerra contro il terrorismo islamico. Nella comunità globale dei servizi segreti c'è una certezza assoluta: il Mossad sa sempre. «Posso esservi d'aiuto?» sorrise educatamente l'impiegata alla reception. «Sì», disse Book. «Vorremmo parlare con Benjamin Rosenthal, per favore.» «Sono spiacente, ma non c'è nessuno qui con quel nome.» Book II non batté ciglio. «Allora, per favore, chiami il presidente e gli dica che i sergenti Riley e Newman sono qui per vedere il maggiore Rosenthal. Gli dica che siamo qui per conto del capitano Shane Schofield del corpo dei marine degli Stati Uniti.» «Sono terribilmente spiacente, signore, ma...» In quel momento, come per magia, il telefono dell'impiegata suonò e dopo una breve conversazione a bassa voce la donna disse a Book: «Il presidente manderà qualcuno a ricevervi». Un minuto più tardi, si aprì una porta interna e apparve un uomo massiccio in borghese. Book e Mother notarono il rigonfiamento a forma di Uzi sotto la sua giacca. Arrivò un ascensore. Quindi un altro. Book II si accigliò e si girò.
Le porte dei due ascensori si aprirono e apparvero Demon Larkham e la sua squadra d'assalto di dieci uomini dell'IG-88. «Oh, merda!» esclamò Book II. Si lanciarono fuori dell'ascensore, con le tute da combattimento nero antracite e i fucili automatici ipertecnologici MetalStorm luccicanti. Book e Mother volarono insieme dietro il bancone della reception, proprio mentre tutta la zona attorno a loro veniva spazzata dal fuoco sibilante delle armi automatiche. L'uomo massiccio che si trovava davanti alla porta interna si contorse sotto il diluvio di colpi e cadde. Anche l'impiegata della reception si beccò un proiettile, in fronte. La squadra di Demon dilagò all'interno, lasciandosi alle spalle un uomo per occuparsi dei due civili che si erano buttati dietro il bancone della reception. Questi girò l'angolo e ricevette due proiettili in faccia da due diverse pistole. Book e Mother balzarono in piedi con le armi fumanti. «Sono qui per Rosenthal», disse Book. «Muoviamoci!» Era come seguire il percorso di un tornado. Book e Mother entrarono nella zona degli uffici. Donne e uomini in abiti civili giacevano riversi sulle scrivanie, i corpi crivellati di ferite sanguinanti, i computer distrutti. Più avanti, la squadra dell'IG-88 infuriava coi fucili MetalStorm nella zona open space: vetri infranti, monitor di computer esplosi. Una guardia di sicurezza tirò fuori un Uzi da sotto la giacca, solo per finire abbattuto dai proiettili velocissimi dei MetalStorm. Gli uomini dell'IG-88 corsero al piano superiore lungo un'elegante scala interna circolare, verso il trentanovesimo piano. Book e Mother partirono all'inseguimento. Raggiunsero la sommità della scalinata giusto in tempo per vedere tre membri della squadra dell'IG-88 allontanarsi dagli altri ed entrare in una stanza per gli interrogatori, dove, senza esitazione, uccisero due anziani agenti del Mossad e trascinarono un terzo - un giovane che non poteva che essere Rosenthal - fuori della stanza. Rosenthal era sulla trentina, pelle olivastra e aspetto affascinante; indossava una maglietta scollata e sembrava esausto. Book e Mother non persero tempo. Balzarono allo scoperto ed eliminarono i tre cacciatori di taglie, lavorando come una coppia perfettamente affiatata: Book abbatté l'uomo sulla sinistra, Mother quello sulla destra ed
entrambi inchiodarono quello in mezzo, facendolo a pezzi con le loro pistole. Rosenthal cadde al suolo. Book e Mother corsero al suo fianco e lo tirarono su, mettendo le sue braccia attorno alle loro spalle. «Lei è Rosenthal?» chiese Book. «Benjamin Rosenthal?» «Sì...» «Siamo qui per aiutarla. Ci ha mandato Shane Schofield.» Un'espressione di riconoscimento apparve sul viso di Rosenthal. «Schofield... Quello della lista...» Mother abbatté un altro uomo dell'IG-88 quando uscì dalla stanza vicino e li vide. «Book!» gridò. «Non è il momento per fare conversazione! Dobbiamo continuare a muoverci! Potrai fargli le domande mentre corriamo! Su per le scale! Adesso!» Si lanciarono su per la scalinata interna, dirigendosi verso il quarantesimo piano, superando una serie di vetrate panoramiche. Poi, al posto del panorama della città, comparve un elicottero d'assalto dall'aspetto micidiale che stava m volo stazionario, volteggiando appena fuori delle finestre, col muso puntato in direzione di Book, Mother e Rosenthal. Era una versione modificata di Lynx anticarro, con otto missili TOW e un cannoncino a sei canne. «Andiamo!» gridò Mother, incalzandoli verso l'alto. «Forza, muoviamoci!» Il Lynx aprì il fuoco. Ne seguì un catastrofico infrangersi di vetri quando le finestre che racchiudevano la scalinata circolare crollarono sotto la potenza di fuoco dell'elicottero. Tutt'attorno a Book e Mother, che fuggivano su per le scale trascinando Rosenthal in mezzo a loro, piovvero vetri e un'intera sezione della scalinata stessa crollò dietro di loro, strappata dai suoi sostegni dal fuoco di sbarramento, proprio nell'attimo in cui arrivarono in salvo al quarantesimo piano. Demon Larkham camminava a lunghi passi in mezzo alle rovine del trentanovesimo piano, ascoltando i rapporti che arrivavano nell'auricolare della sua radio. «Squadra Aerea Uno. Sono al quarantesimo. Due contatti in abiti civili. Sembra che abbiano Rosenthal.» «Squadra Aerea Due, in atterraggio sul tetto. Stiamo facendo scendere
la seconda unità.» «Squadra Aerea Tre. Stiamo oltrepassando l'angolo nord-est. Ci dirigiamo verso il quarantesimo.» «Squadra Tecnica. Gli ascensori sono bloccati. Quattro sono fermi al trentottesimo, il quinto è giù all'ingresso. Nessuno andrà da nessuna parte, adesso.» «Signori... Sterminate quegli insetti e portatemi Rosenthal», disse Demon. *** Visti da lontano, i tre elicotteri Lynx dell'IG-88 che volteggiavano attorno alla sommità della King's Tower sembravano libellule che infastidivano un campeggiatore. Uno era atterrato sul tetto, mentre gli altri due giravano attorno ai piani più alti, scrutando attraverso le finestre. Al rumore delle vetrate schiantate, alcuni uomini d'affari locali chiamarono la polizia. Book II e Mother corsero lungo un corridoio del quarantesimo piano, trascinando con loro Benjamin Rosenthal. «Mi spieghi!» disse Book a Rosenthal mentre correvano. «La lista. Perché ci siete lei e Schofield?» Rosenthal prese fiato. «Majestic... Majestic-12 ci ha inserito... Io sono nella lista perché so chi sono i membri di Majestic-12 e posso farli scoprire mentre portano avanti il loro piano.» «E Schofield?» «Lui è diverso. È un individuo molto speciale. È uno dei pochi che ha superato i test Cobra... Uno dei soli nove uomini al mondo che può disarmare CincLock-VII, il sistema di sicurezza dei missili Chameleon...» In quel momento, una porta che si apriva sulle scale antincendio si spalancò di colpo proprio vicino a loro, rivelando quattro mercenari dell'IG-88 che brandivano fucili MetalStorm e visori laser verdi. Book e Rosenthal non ebbero il tempo di reagire, ma Mother sì. Li spinse dietro un angolo, dove si apriva un passaggio, mentre lei prese un'altra direzione, giù per un ampio corridoio, pochi centimetri davanti a una raffica sputata dai fucili. Book e Rosenthal corsero lungo il corridoio e s'infilarono in un piccolo ufficio. Vicolo cieco.
«Merda!» urlò Book, correndo verso la finestra e guardando fuori, proprio mentre un elicottero Lynx passava oltre. A quel punto, fuori della finestra, la vide. I quattro cacciatori di taglie dell'IG-88 che erano saltati fuori dalla porta antincendio si erano divisi in coppie, una all'inseguimento di Book e Rosenthal, l'altra dietro a Mother. I due che inseguivano Book e Rosenthal li videro entrare nell'ufficio dieci metri davanti a loro. Si avvicinarono alla porta e si disposero silenziosamente ai lati. La porta era contrassegnata come 4009. «Squadra Tecnica, qui è Sterling Cinque», sussurrò il militare più anziano nel suo microfono. «Ho bisogno di una pianta del piano. Ufficio numero quattro-zero-zero-nove.» La risposta arrivò subito dopo: «È un vicolo cieco, Sterling Cinque. Non possono andare da nessuna parte». L'uomo più anziano fece un cenno al compagno al suo fianco e il soldato più giovane abbatté la porta con un calcio e sparò col suo fucile MetalStorm. Non colpi nulla. L'ufficio era vuoto. La finestra panoramica era già distrutta e la pioggia battente di Londra entrava nella stanza. Niente Book. Niente Rosenthal. I due uomini dell'IG-88 corsero alla finestra in frantumi e guardarono in basso. Nulla. Solo la parete di lucide vetrate della torre e un giardino giù in basso. Quindi guardarono verso l'alto, proprio mentre il ronzio di un macchinario entrava in funzione sopra di loro, e videro la parte sottostante della piattaforma dei lavavetri risalire lungo il lato del palazzo, in direzione del tetto. Book e Rosenthal erano sulla piattaforma dei lavavetri che risaliva velocemente la parete della King's Tower. La lunga piattaforma rettangolare era appesa a due robusti verricelli che sporgevano dal tetto della torre. Book l'aveva notata pochi attimi prima che i loro inseguitori irrompessero nell'ufficio, così aveva sfondato la finestra e, con Rosenthal davanti a sé, era saltato in alto e si era aggrappato al bordo. Aveva spinto verso l'alto Rosenthal e si era issato sulla piattaforma, togliendo i piedi dalla visuale dei suoi inseguitori, nel momento in cui i due uomini dell'IG-88 facevano irruzione nell'ufficio.
Un'ondata di proiettili ad alto potenziale inseguì Mother mentre lei si lanciava di corsa verso ovest lungo il corridoio, con due cacciatori di taglie dell'IG-88 alle calcagna. Proprio mentre i proiettili stavano per raggiungerla, girò bruscamente a sinistra, entrò in un ufficio e si ritrovò in una elegante sala riunioni. Aveva un pavimento di legno lucido, avvolgenti poltrone in pelle e il più grande tavolo che avesse mai visto. Era lungo più di nove metri. «'Fanculo gli avvocati», imprecò Mother. «Devono sempre trovare forme di compensazione per i loro pisellini.» Era un ufficio d'angolo, con vetrate panoramiche dal pavimento al soffitto che, su un lato, fornivano una vista mozzafiato di Londra, mentre, sull'altro lato, si affacciavano verso gli ascensori esterni. Mother sapeva che la sua Colt non aveva nessuna possibilità contro i fucili MetalStorm, quindi si appostò dietro la porta. Sfondarono la porta e irruppero all'interno. Mother sparò alla tempia del primo uomo prima ancora che la vedesse, girò la pistola verso il secondo e... «Cazzo!» Colpi finiti. Allora si buttò addosso all'uomo, volando insieme con lui sul tavolo da riunioni, mentre il fucile MetalStorm del cacciatore di taglie sparava furiosamente in ogni direzione. Le vetrate della sala, colpite dalle raffiche di proiettili, si creparono in un milione di ragnatele. Mother era avvinghiata al suo avversario sopra il tavolo. Era un tipo grosso, forte. Impugnò il coltello contemporaneamente a Mother e le due lame cozzarono l'una contro l'altra. Poi, all'improvviso, mentre lottavano, Mother si accorse di due sagome nel corridoio. Uomini, ma non dell'IG-88. Erano due massicci israeliani in borghese, con Uzi appesi alla spalla e macchie di sangue sulla camicia. Uomini della sicurezza del Mossad. I due israeliani si accorsero del combattimento in corso sul lungo tavolo della sala riunioni. «Cacciatori di taglie!» disse con disprezzo uno dei due. «Andiamo!» urlò l'altro, guardandosi indietro lungo il corridoio. «Stanno arrivando!» Il primo uomo sogghignò verso Mother e il suo avversario, quindi tirò fuori una granata RDX ad alto potenziale dalla tasca, tolse la sicura e la scagliò nella sala riunioni. Poi si allontanò col suo compagno. Mentre parava gli affondi dell'avversario col suo coltello, Mother vide la
granata volare nella stanza come se si muovesse al rallentatore. La bomba rimbalzò sul pavimento, sparendo sotto il gigantesco tavolo. Mother sentì un inequivocabile rumore quando urtò contro una delle massicce gambe di legno del tavolo. E poi esplose. La deflagrazione fu mostruosa. Nonostante la sua solidità, la parte verso il corridoio del massiccio tavolo venne disintegrata e si frammentò istantaneamente in migliaia di schegge. Al resto del tavolo - lungo ancora almeno sette metri - accadde qualcosa di molto diverso. L'onda d'urto della granata sollevò dal pavimento il lungo tavolo e - come una carrozza ferroviaria spinta lungo le rotaie - lo fece scivolare a una considerevole velocità lungo la sala riunioni, verso le vetrate frantumate dai proiettili all'estremità occidentale della stanza. Mother si rese conto di quanto stava per accadere un istante prima che avvenisse. Il tavolo esplose attraverso i vetri infranti delle finestre, passandoci attraverso come un ariete in corsa, e venne proiettato nel cielo, a quaranta piani da terra. Quindi, con uno sgradevole rollio, s'inclinò verso il basso e, improvvisamente, Mother cominciò a scivolare - in basso lungo il piano del tavolo, con la pioggia che le sferzava il viso - verso centoventi metri di vuoto. Era uno spettacolo bizzarro: un lungo tavolo da riunioni che sporgeva dal piano più alto della torre. Il tavolo s'inclinò bruscamente, prima di 45 gradi, poi oltre, con le due piccole figure di Mother e dell'uomo dell'IG88 che continuavano a scivolare giù. Poi, senza nessun preavviso, il tavolo si fermò. Il bordo superiore aveva colpito il soffitto del quarantesimo piano e vi si era incastrato, mentre due delle sue massicce gambe si erano bloccate contro il pavimento proprio sul precipizio, lasciando il tavolo sospeso a un'inclinazione impressionante a quaranta piani dal suolo. Mother scivolò, ma all'ultimo istante piantò profondamente il suo coltello nel legno e, utilizzando il manico come appiglio, si bloccò, coi piedi che penzolavano oltre il bordo del tavolo quasi in verticale. Il suo avversario non era stato così brillante. Nel tentativo di trovare una presa, gli era sfuggito il coltello mentre cadeva. Non era riuscito a trovare un appiglio, ma fortunatamente per lui si trovava più in alto rispetto a Mother quando il tavolo era stato proiettato fuori della finestra e, quindi, il suo piede era scivolato con violenza sul coltello piantato nel legno. Perciò, ora stava sopra di lei, con un piede che schiacciava l'impugnatura
del suo coltello, sogghignando. Si appese al bordo del tavolo con le mani e cominciò a schiacciarle le dita, con violenza. Mother strinse i denti, resistendo strenuamente nonostante i colpi, che l'impugnatura del coltello riusciva in parte a deviare. Fu allora che sentì il rumore. Rumore del rotore di un elicottero. Si guardò attorno e vide un Lynx che si librava proprio davanti a lei come una gigantesca vespa. «Oh, merda...» mormorò. L'uomo dell'IG-88 fece dei gesti al pilota dell'elicottero, indicandogli di andare verso il basso, sotto di loro. Il pilota obbedì e l'elicottero scivolò sotto Mother, con le pale vorticanti che creavano un confuso cerchio bianco sotto i suoi piedi penzolanti. Il cacciatore di taglie ricominciò a scalciare, più forte. Mother sentì un dito fratturarsi. «Sei un grandissimo figlio di una grandissima puttana!» urlò. Lui tirò un altro calcio. Le pale del rotore ruggivano tre metri sotto le scarpe di Mother. Il suo avversario sollevò il piede per un ultimo colpo. Lo spinse verso il basso con violenza, proprio mentre Mother faceva la cosa più inaspettata. Estrasse il coltello, facendo si che entrambi iniziassero a scivolare rapidamente verso le lame indistinte dell'elicottero. Il mercenario non riusciva a crederci. Senza il coltello di Mother a sostenerlo, rotolò giù. Finirono insieme oltre il bordo del tavolo ma, al contrario del suo avversario, Mother era pronta. Mentre scivolava, piantò il suo coltello sul lato inferiore del piano e dondolò sotto di esso, bloccando la caduta. L'uomo dell'IG-88 la oltrepassò veloce e precipitò nel vuoto. Il mondo rallentò mentre Mother guardava il suo viso terrorizzato - gli occhi spalancati, la bocca aperta - mentre lui cadeva, cadeva, allontanandosi da lei. Poi urtò le pale dell'elicottero e la sua figura umana scomparve, esplodendo in un fiotto di sangue a forma di stella. Un'onda di liquido rosso si spalmò sul vetro dell'elicottero e il Lynx si allontanò dall'edificio. Mother non ebbe il tempo di tirare un sospiro di sollievo. Infatti, mentre era appesa sotto il piano del tavolo sferzato dalla pioggia, questo scivolò leggermente. Un improvviso scossone verso il basso. Mother alzò lo sguardo: si accorse che le gambe che si erano bloccate contro il pavimento del quarantesimo piano e tenevano fermo il tavolo stavano cedendo. Il tavolo stava per cadere. «Oh, 'fanculo l'inferno!» urlò verso il cielo. «Non ho intenzione di mori-
re!» Valutò la sua posizione. Si trovava all'angolo sud-ovest del palazzo. Proprio oltre l'angolo, leggermente più in basso di lei, poteva scorgere uno degli ascensori di cristallo, bloccato al trentottesimo piano lungo la facciata meridionale del palazzo. «D'accordo», si disse. «Resta calma. Cosa farebbe Scarecrow?» Il Maghook, pensò. Prese il suo Maghook, lo puntò verso il soffitto all'interno del quarantesimo piano e tirò il grilletto. Non successe nulla. Il Maghook era fuori uso. Il grilletto si limitò a scattare e la canna emise un debole ronzio sibilante: il gas propellente era esaurito. «Oh, dai!» urlò Mother. «Questo non succede mai a Scarecrow!» Quindi il tavolo scivolò di nuovo in avanti, scendendo di altri sessanta centimetri. Mother iniziò a estendere il Maghook manualmente - anzi coi denti - borbottando: «Non è giusto. Non è giusto. Non è dannatamente giusto...» Il tavolo ondeggiava in bilico al quarantesimo piano e le sue gambe gemevano per il peso, sul punto di spezzarsi... Mother si accorse di avere abbastanza cavo e, con la mano libera, scagliò l'ancorotto del Maghook verso il quarantesimo piano. Atterrò sul bordo della finestra distrutta e il suo uncino fece presa, proprio mentre il tavolo scivolava completamente fuori dalla finestra... Mother lasciò la presa sul suo coltello, dondolandosi via dal tavolo che cadde nel vuoto spazzato dalla pioggia, precipitando con tutti i suoi sette metri lungo il lato del palazzo. Mother dondolò appesa alla fune del Maghook e girò oltre l'angolo dell'edificio, andando a sbattere contro la parete di cristallo dell'ascensore, ma riuscendo ad aggrapparsi al bordo superiore. Sette secondi più tardi, il gigantesco tavolo da riunioni della Goldman, Marcus & Meyer atterrò sul marciapiede e si sfasciò in miliardi di piccoli pezzi. *** Book e Rosenthal arrivarono sul tetto con la piattaforma per la pulizia dei vetri. Si chinarono dietro lo sfiatatoio di un condotto di scarico, si sporsero e videro uno degli elicotteri Lynx di Demon Larkham posato sulla pista d'atterraggio sul tetto, col rotore in movimento, velato dalla pioggia battente.
«Continui a raccontare», disse Book a Rosenthal. «Questo Majestic-12 ha stilato la lista. E vogliono Schofield morto per...» «Per i test Cobra», completò Rosenthal. «Perché lui ha superato i test Cobra. Sebbene la NATO li chiamasse in un altro modo: test di 'Rapidità di Risposta Neuromotoria'. Cobra era il nome russo.» «Rapidità di Risposta Neuromotoria?» chiese Book II. «Intende riflessi?» «Sì, esattamente», rispose Rosenthal. «I riflessi sono il nodo centrale. Gli uomini in quella lista hanno i riflessi migliori del mondo. Loro hanno superato i test Cobra, e solo chi ha passato i test può disarmare il sistema di sicurezza CincLock-VII dei missili, e il CincLock-VII è la chiave di volta del piano di Majestic-12. Questa è la ragione per cui Majestic-12 deve eliminarli.» «Un sistema di sicurezza per i missili...» «Sì, sì, ma non è solo questo. La lista è solo uno degli elementi del piano di Majestic-12.» «E qual è questo piano?» «Distruggere l'ordine mondiale esistente. Creare uno stato di guerra per 'dissodare' il pianeta in modo che possa germogliare di nuovo», spiegò Rosenthal. «C'è un archivio intero al piano di sotto. Il Mossad mi ha interrogato su questo per gli ultimi due giorni. Contiene informazioni su questa caccia all'uomo, su Majestic-12, sui suoi membri e, cosa più importante, su che cosa sia l'intero piano...» La testa di Rosenthal esplose. Scoppiò come un palloncino pieno di sangue. La sua faccia fu semplicemente ridotta in pezzi da una scarica letale di pallottole da 20 mm di un fucile MetalStorm, proveniente da qualche parte alle loro spalle. Book si girò e vide Demon Larkham nel vano della porta che conduceva alle scale antincendio, a trenta metri da lui, col fucile appoggiato alla spalla. Book abbassò lo sguardo su Rosenthal, ferito a morte e sanguinante. L'uomo del Mossad non avrebbe più raccontato storie... non senza la faccia. E così Book cominciò a correre verso l'elicottero, con la pistola spianata, sparando. Le pareti di cristallo dell'ascensore andarono in pezzi e Mother saltò all'interno. Ora si trovava sul lato meridionale dell'edificio, al trentottesimo piano. Vide gli altri ascensori immobili e silenziosi, bloccato allo stesso
piano. Se si fossero numerati gli ascensori dall'uno al cinque lungo la facciata del palazzo, allora i numeri uno, due, tre e cinque erano ferini al trentottesimo piano, ma c'era un vuoto dove avrebbe dovuto trovarsi il quattro. Doveva essere stato bloccato a un piano più basso. Mother si trovava nel numero uno, all'estremità sinistra del lato sud. Schiacciò il pulsante di apertura delle porte. Era come trovarsi in un acquario; Mother sapeva che l'elicottero Lynx che l'aveva terrorizzata prima sarebbe tornato ben presto a cercarla e non voleva fargli nuovamente da bersaglio. Mother sentì un rumore e si girò... Era proprio lì! Volteggiava appena fuori dell'ascensore di cristallo, sul lato occidentale, apparentemente puntando verso di lei. Mother continuò a schiacciare il pulsante di apertura delle porte. «Vaffanculo, dannazione! Questo pulsante è qui per bellezza?» Allora vide lo sbuffo di fumo uscire da uno dei tubi di lancio montati ai lati del Lynx. Le stavano sparando addosso un missile! Un missile TOW partì dal tubo, disegnando una linea orizzontale che puntava direttamente verso l'ascensore di Mother. Le porte dell'ascensore cominciarono ad aprirsi. Il missile ruggì verso gli occhi di Mother, che si schiacciò attraverso le porte e si gettò fuori nell'esatto momento in cui il TOW penetrava nella parete frantumata sul lato ovest. La fiamma rovente della coda ne carbonizzò l'interno, prima di uscire dall'altro lato con un fragore di vetri infranti e schizzare nell'ascensore successivo. La scena fu veramente spettacolare. Il missile TOW percorse la facciata meridionale della King's Tower, schizzando attraverso tutti e quattro gli ascensori e generando una serie successiva di esplosioni di cristallo mentre penetrava le pareti di ogni ascensore, una dopo l'altra. Poi, in una gloriosa cascata di vetro, schizzò fuori dell'ultimo ascensore e s'inabissò nel Tamigi, dove esplose in una gigantesca colonna di spruzzi. Dal canto suo, Mother atterrò su un cumulo informe di rottami nella reception del trentottesimo piano. Stesa sul pavimento, alzò lo sguardo e vide quattro cacciatori di taglie dell'IG-88 immobili nella zona distrutta della reception, proprio davanti a lei. Sembravano sconvolti di vederla almeno quanto lo era lei di vedere loro. «Dalla padella alla brace...» sussurrò Mother. Gli uomini dell'IG-88 imbracciarono i loro fucili MetalStorm. Mother saltò in piedi e si lanciò nell'unica direzione possibile: indietro nell'ascen-
sore, dove si abbassò dietro il pannello di controllo proprio mentre un'ondata di fuoco di terribile potenza irrompeva attraverso le porte aperte. Pioggia e vento turbinarono tutt'attorno a lei, dato che l'ascensore semidistrutto ormai era ridotto a poco più di una piattaforma panoramica affacciata su Londra. Mother scrutò la facciata meridionale della King's Tower. Aveva di fronte gli altri tre ascensori, allineati, con le pareti di cristallo frantumate dal TOW. «O si vive o si muore, Mother», disse a bassa voce. «Vaffanculo. Si muore.» E quindi iniziò a correre. A trentotto piani dal suolo, si mise a correre furiosamente lungo il lato sud del palazzo, saltando i tre metri di vuoto che separavano gli ascensori semidistrutti. Proprio mentre atterrava sul secondo ascensore, tornò l'elicottero Lynx, volteggiando veloce e sparando col suo cannoncino, spazzando la facciata con una tempesta di proiettili. Ma Mother continuò a correre, pochi centimetri davanti alla brutale pioggia di fuoco dell'elicottero, ricadendo sulla piattaforma del terzo ascensore. Il tratto di vuoto dove avrebbe dovuto trovarsi l'ascensore numero quattro si apriva davanti a lei. Mother non perse tempo. Lo spazio era ampio quasi quattro metri -, ma lei saltò comunque, buttandosi in avanti, le braccia distese, sperando di raggiungere il pavimento del quinto e ultimo ascensore con le mani. Rien ne va plus. Nel momento in cui saltò capì che non ce l'avrebbe fatta. Le sue dita mancarono il piano del quinto ascensore di pochi centimetri e Mother precipitò nel vuoto. *** Ma l'ancorotto del suo Maghook non aveva mancato l'ascensore. Quel dannato aggeggio forse non era più utilizzabile, ma, tenendo la sua estremità nella mano protesa, Mother aveva aggiunto altri quaranta centimetri alla sua estensione. Ed erano proprio quelli di cui aveva bisogno. Gli uncini d'acciaio dell'ancorotto avevano raggiunto il piano dell'ascensore e Mother dondolò sotto di esso. Aveva appena iniziato a issarsi quando udì un rumore. Il Lynx. Era tornato indietro. Ora era fermo davanti a lei, che stava appesa al pavimento dell'ascensore distrutto. Un secondo elicottero Lynx del-
l'IG-88 apparve dietro il primo, controllandone l'azione. Stavolta il Lynx era così vicino che Mother poteva vedere la faccia sghignazzante del pilota. Fece un cenno di saluto verso di lei, quindi impugnò il comando del cannoncino. Appesa alla piattaforma dell'ascensore, spacciata, Mother si limitò a scuotere la testa. «No...» Le canne del cannoncino del Lynx iniziarono a ruotare, proprio nell'istante in cui un'altra immagine di movimento catturò l'attenzione di Mother: una scia di fumo grigio che saliva nell'aria alle spalle del Lynx. La scia di un missile che sembrava provenire dal... Dal secondo elicottero Lynx. Il missile colpì il Lynx che stava minacciando Mother. Una immensa esplosione scosse l'aria e, in un attimo, l'elicottero era andato. Contro l'onda d'urto, tutto quello che Mother poté fare fu tenere duro. I rottami del Lynx si abbatterono sul lato della torre, tra fiamme e fumo. Poi l'elicottero si schiantò al suolo su una striscia erbosa ai piedi della torre con un assordante fragore di lamiere. Mother guardò verso il secondo elicottero, quello che aveva cancellato il suo amico dal cielo... e vide il pilota: Book II. La sua voce le arrivò nell'auricolare. «Ehilà. Ho preso questo giocattolo sul tetto. Sfortunatamente il pilota era un venditore un po' restio. Mi chiedevo come te la stessi cavando.» «'Fanculo, Book», rispose Mother, issandosi sull'ascensore. «Che ne diresti di portarmi via da questa dannata torre?» «È il tuo giorno fortunato. Ma potresti fare qualcosina per me, prima?» Mother si mise a correre lungo il corridoio al trentanovesimo piano, con la Colt spianata. Il posto era un disastro. Fori di proiettili sfregiavano le pareti e tutte le vetrate erano ridotte in frantumi. Se la squadra dell'IG-88 era ancora lì, si nascondeva veramente bene. «È indietro, vicino alla scala interna», le spiegò la voce di Book. «L'ufficio in cui abbiamo trovato Rosenthal. Dev'essere una specie di stanza per gli interrogatori.» «Trovata», confermò Mother. Riusciva a vedere la porta vicino alla sommità della scalinata circolare, e si affrettò. Si trovò davanti a una parete a specchio che dava sull'adiacente stanza per gli interrogatori. Due videocamere erano puntate attraverso lo specchio. Sottili cartelline e due cassette video erano posate sul tavolo vicino.
«È sicuramente una stanza per gli interrogatori», disse Mother. «Ho trovato dei documenti e delle videocassette. Cosa ti serve?» «Tutto. Tutto quello che ha a che fare con Majestic-12 o CincLock-VII. E prendi i nastri, anche quelli che sono ancora nelle videocamere.» Mother prese una valigetta Samsonite argentata che era lì per terra e la riempì coi documenti e i nastri. Le due videocamere avevano le cassette ancora inserite, e Mother prese anche quelle. Poi uscì e salì le scale antincendio. Arrivò sul tetto correndo, mentre Book atterrava col Lynx. Si arrampicò all'interno e l'elicottero decollò, lasciando le rovine fumanti della King's Tower bruciare dietro di sé. UFFICI DELLA DEFENSE INTELLIGENCE AGENCY SOTTOLIVELLO 3, PENTAGONO WASHINGTON, DC, STATI UNITI 26 OTTOBRE, ORE 07.00 [LONDRA ORE 12.00] David Fairfax venne sorpreso dal suo superiore mentre si preparava a uscire dall'ufficio per raggiungere il St. John's Hospital, dove si trovava il dottor Thompson Oliphant. «Dove pensi di andare, Fairfax?» Il suo nome era Wendel Hogg, ed era uno stronzo. Massiccio, Hogg era stato nell'esercito, veterano della guerra in Iraq, un'esperienza sulla quale non mancava mai di raccontare qualcosa. Il problema era che Hogg era uno stupido. E, nella tradizione dei capi stupidi di tutto il mondo, (a) osservava rigidamente e inflessibilmente le regole; (b) non sopportava le persone di talento come Fairfax. «Sto uscendo a prendere un caffè», rispose Fairfax. «Cosa c'è che non va nel caffè di qui?» «Ho assaggiato dell'acido fluoridrico migliore del caffè che fanno qui.» In quel momento, una giovane donna con l'aria smarrita entrò nell'ufficio. Era l'impiegata addetta alla posta, una ragazza timida e tranquilla di nome Audrey. Gli occhi di Fairfax brillarono nel vederla. Sfortunatamente anche quelli di Hogg. «Ciao, Audrey», la salutò Fairfax, sorridendo. «Ciao, Dave», rispose lei timidamente. Alcuni avrebbero potuto dire che era banale, ma Fairfax pensava fosse bella. Allora Hogg disse forte: «Mi sembrava che avessi detto che te ne stavi andando, Fairfax. Ehi, se fai un salto da Starbucks, perché non ci porti un
paio di frappè giganti? E muoviti, forza!» Un milione di risposte spiritose passarono per la mente di Fairfax, che invece rispose: «Tutto quello che vuole, Wendel». «Ehi!» latrò Hogg. «Ti devi rivolgere a me come sergente Hogg o sergente, ragazzino. Non mi sono preso una pallottola in I-R-A-Q per essere chiamato Wendel da un qualche smanettone di computer senza spina dorsale come te, Fairfax. Perché quando arriverà il momento di tirarsi in piedi e fissare lo sguardo nelle palle degli occhi del nemico», e lanciò un ghigno presuntuoso all'indirizzo di Audrey, «chi pensi che terrà in mano il fucile, io o tu?» Il volto di Fairfax arrossì. «Immagino lei, sergente.» «Dannatamente giusto.» E, con un cenno imbarazzato a Audrey, Fairfax lasciò l'ufficio. PRONTO SOCCORSO DEL ST. JOHN'S HOSPITAL ARLINGTON, STATI UNITI 26 OTTOBRE, ORE 07.15 Fairfax entrò al pronto soccorso del St. John's e si avvicinò al banco dell'accettazione. Tutto era calmo a quell'ora del mattino. Cinque persone erano ammucchiate come morti viventi nella sala d'attesa. «Salve, il mio nome è David Fairfax. Sono qui per vedere il dottor Thompson Oliphant.» L'infermiera del bancone stava masticando pigramente una gomma. «Aspetti un attimo. Dottor Oliphant! C'è qualcuno per lei!» Un'infermiera si affacciò da uno degli stanzini chiusi da una tenda. «Glenda, sstt. È dietro a schiacciare un pisolino. Vado a chiamarlo.» E scomparve lungo un corridoio secondario. Intanto, un nero altissimo si avvicinò al banco di fianco a Fairfax. Aveva la pelle nerissima e la fronte alta tipica degli abitanti originari delle zone meridionali dell'Africa. Portava grossi occhiali alla Elvis Presley e un impermeabile marrone rossiccio. Zulu. «Buongiorno», disse Zulu, in maniera affettata. «Vorrei vedere il dottor Thompson Jeffrey Oliphant, grazie.» Fairfax si sforzò di non guardare il cacciatore di taglie, cercando di non tradire il battito del suo cuore, molto, molto veloce. Alto e magro, Zulu era gigantesco, come un giocatore professionista di basket. La testa di Fairfax arrivava al livello delle sue spalle.
L'infermiera dell'accettazione fece un palloncino con la gomma. «Accidenti, il vecchio Tommy è popolare stamattina. È dietro a dormire. Qualcuno è appena andato a chiamarlo.» In quel momento, alla fine del lungo corridoio con la scritta SOLO PERSONALE AUTORIZZATO, apparve un medico dagli occhi assonnati. Era anziano: capelli grigi, viso rugoso. Indossava un camice bianco e si stropicciò gli occhi mentre usciva da una stanza laterale prima d'infilarsi gli occhiali. «Dottor Oliphant?» chiese Zulu. «Sì?» rispose il vecchio medico avvicinandosi. Fairfax fu il primo a vedere l'arma sotto l'impermeabile di Zulu. Era una Cz-25, una delle più micidiali pistole mitragliatrici del mondo. Sembrava un Uzi, solo più efficace - il fratello gemello cattivo -, con un lungo caricatore da 40 colpi che sporgeva dal calcio. Zulu alzò l'arma, la puntò verso Oliphant e, senza curarsi della presenza di almeno sette testimoni, tirò il grilletto. Poiché si trovava così vicino al grosso assassino, Fairfax fece l'unica cosa che gli venne in mente. Con la mano destra spinse violentemente l'arma di lato, cosicché la prima raffica disegnò una fila di fori lungo il muro vicino alla testa di Oliphant. Le gente si buttò a terra. Le infermiere urlarono. Zulu spintonò Fairfax, mandandolo a urtare contro uno dei carrelli dell'accettazione. Quindi si mosse - camminò semplicemente - attorno al banco e imboccò il corridoio riservato al personale, verso Oliphant, con la Cz25 spianata. Sparò senza pietà. Le infermiere schizzarono via dal suo percorso. Oliphant strisciò carponi in una stanza adibita a magazzino che si affacciava sul corridoio, mentre i proiettili spazzavano il pavimento ai suoi piedi. Fairfax era steso tra il materiale del carrello contro cui era stato scagliato. Vide una borsa di polvere bianca che si trovava sul carrello: ZEOLITECLORO - DETERGENTE INDUSTRIALE - EVITARE IL CONTATTO CON LA PELLE. L'afferrò, si alzò e corse nella direzione opposta a quella di tutti gli altri, e si ritrovò nel corridoio riservato al personale. Vide Zulu fermarsi davanti a una porta aperta e alzare la sua Cz-25. Fairfax lanciò la borsa di cloro in polvere, che colpì Zulu esattamente sulla testa prima di rompersi in una nuvola di pulviscolo bianco. Zulu urlò, barcollando lontano dalla porta, cercando disperatamente di
togliersi di dosso la sostanza che gli stava bruciando la pelle. Le lenti dei suoi occhiali alla Elvis erano ora ricoperte da uno strato di polvere bianca. La pelle stava iniziando a coprirsi di bolle. Fairfax si scagliò in avanti, scivolò sul pavimento sotto Zulu, fece capolino attraverso la porta e vide il dottor Thompson Oliphant acquattato sotto alcune lenzuola di scorta, col viso coperto. «Dottor Oliphant! Mi chiamo David Fairfax. Lavoro per la Defense Intelligence Agency. Non sono esattamente un eroe, ma sono l'unico che può aiutarla! Se vuole uscirne vivo, è meglio che venga con me!» Oliphant allungò la mano e Fairfax l'afferrò, aiutando il medico ad alzarsi. Quindi lo fece passare oltre Zulu, che continuava a smaniare e agitarsi, e lo portò di corsa fuori dell'ospedale. *** Le porte automatiche si aprirono nell'istante preciso in cui andarono in frantumi sotto i colpi della Cz-25. Zulu era di nuovo in movimento e li stava inseguendo per vendicarsi. Un'ambulanza era parcheggiata fuori dall'ingresso del pronto soccorso. «Saliamo!» urlò Fairfax, spalancando la portiera del lato del guidatore. Oliphant si arrampicò dalla parte del passeggero. Fairfax avviò il motore e schiacciò l'acceleratore. L'ambulanza schizzò via, ma non prima che entrambi sentissero un sinistro rumore sordo da qualche parte nel retro del veicolo. «Oh, oh...» sospirò Fairfax. Nello specchietto laterale scorse l'alta figura scura di Zulu in piedi sul paraurti posteriore, con le mani aggrappate ai sostegni sul tetto dell'ambulanza. Le gomme fischiarono mentre Fairfax si lanciava nell'area di parcheggio. L'auto sobbalzò sopra una cunetta e sul prato, perché Fairfax sperava così di far cadere Zulu dal paraurti. L'ambulanza sussultò violentemente mentre passava sopra un'altra cunetta e Fairfax era certo che nessuno avrebbe potuto resistere a un urto come quello. Ma il portello dell'ambulanza fu spalancato con forza dall'esterno e Zulu entrò nel compartimento posteriore. «Merda!» urlò Fairfax. Zulu non aveva più in mano la sua Cz-25: l'aveva lasciata cadere per entrare nell'ambulanza. Ma ora, al sicuro dentro il mezzo lanciato a tutta ve-
locità, estrasse da sotto l'impermeabile un machete, e fissò Fairfax e Oliphant con una furia violenta negli occhi iniettati di sangue. Fairfax notò il machete. «Oh, cazzo...» Zulu si mosse rapidamente, arrampicandosi sopra una lettiga assicurata agli appositi sostegni. Fairfax doveva fare qualcosa, subito. Notò che la strada si biforcava: una corsia piegava a sinistra verso l'uscita, l'altra svoltava a destra, verso una rampa di cemento curva che dava accesso al parcheggio multipiano dell'ospedale. Scelse la destra; girò bruscamente il volante, schiacciando l'acceleratore a tavoletta mentre imboccava la rampa a spirale. La forza centrifuga dovuta all'improvvisa sterzata fece perdere l'equilibrio a Zulu e lo mandò a sbattere contro la parete, bloccando momentaneamente la sua avanzata verso la parte anteriore. Ma non potevano andare avanti così, pensò Fairfax. Il parcheggio era alto solo sei piani: aveva cinque piani per farsi venire un'idea. Qualcun altro stava osservando dal lato opposto della strada la salita a tutta velocità dell'ambulanza lungo la rampa. Una ragazza di una bellezza impressionante, con lunghe gambe, spalle muscolose e freddi occhi orientali. Il suo vero nome era Alyssa Idei, ma nel mondo dei cacciatori di taglie era nota come «Regina di Ghiaccio». Aveva già riscosso la taglia per Damien Polanski e ora stava seguendo Oliphant. Indossava solo abiti di pelle nera: calzoni neri attillati, un giubbotto da motociclista e stivali anfibi. Portava i lunghi capelli neri legati. Sotto la giacca, infilate in un paio di fondine assicurate alla spalla, c'erano due pistole ad alta tecnologia Steyr SPP. Accese la sua Honda NSX e scese dal marciapiede, diretta verso il parcheggio multipiano. L'ambulanza di Fairfax s'inerpicava girando sulla rampa curva, con le gomme che fischiavano e coi portelloni posteriori aperti che sbattevano violentemente. Arrivarono al terzo piano. Ancora tre piani prima di raggiungere il tetto e prima che Zulu nel retro riuscisse di nuovo a muoversi liberamente. Ma ormai Fairfax sapeva cosa fare. Aveva intenzione di lanciare l'ambulanza giù dall'ultimo piano del parcheggio, saltando fuori all'ultimo momento con Oliphant e lasciando Zulu all'interno.
«Dottor Oliphant!» gridò, gettando un'occhiata indietro verso Zulu. «Mi ascolti e in fretta perché non so se avremo un'altra occasione! Lei è un bersaglio in una caccia all'uomo internazionale!» «Cosa?» «Lei ha sulla testa una taglia di diciotto milioni di dollari! Penso che abbia qualcosa a che fare con una ricerca della NATO cui ha partecipato nel 1996 con un tizio di nome Nicholson all'USAMRMC! Lo Studio MNRR. Che tipo di ricerca era?» Oliphant aggrottò le sopracciglia. Era ancora in stato di shock, e cercare di interrogarlo con un sicario a pochi metri da loro era decisamente inopportuno. «MNRR? Be', era... era...» L'ambulanza continuava la sua salita vertiginosa. Quarto piano. «Era... era come i test sovietici Cobra, un test...» Mentre Oliphant parlava, Fairfax gettò uno sguardo a Zulu... e improvvisamente vide la figura demoniaca del cacciatore di taglie molto più vicina di quanto pensasse, che stava per staccargli la testa col machete! Nessuna difesa, nessuna via di fuga. Il machete sibilò in avanti e s'infilò nel poggiatesta del sedile di Fairfax, mentre la lama di metallo si arrestava - immobile - a un millimetro dall'orecchio destro di David. Gesù! Ma ormai Zulu era su di loro. In qualche maniera, era riuscito a farsi avanti, nonostante la forza centrifuga per la salita e la curva. Quinto piano... Fairfax socchiuse gli occhi, completamente concentrato, e accelerò ulteriormente. Urtarono l'estremità della rampa a circa settanta chilometri all'ora, mentre l'ambulanza si metteva quasi di traverso, viaggiando praticamente su due ruote. Quindi giunsero alla sommità del parcheggio, a quell'ora completamente vuoto, e Fairfax raddrizzò di colpo il volante: l'ambulanza, uscendo dalla brusca sterzata, rimbalzò a terra su tutte e quattro le ruote. Il brusco cambiamento di direzione fece volare Zulu dall'altro lato del compartimento posteriore e lo mandò a sbattere contro la parete... mentre il machete rimase piantato nel poggiatesta di Fairfax. Fairfax accelerò, dirigendosi direttamente verso il parapetto. «Dottor Oliphant! Stia pronto a saltare!» gridò, e si lanciarono verso il basso muretto. Fairfax si sistemò sul sedile. «Pronti... Uno... due... tr...» Zulu si protese in avanti e, da dietro, afferrò entrambi, Fairfax e Oliphant. Fairfax rimase di sasso. Nessuno di loro avrebbe potuto uscire!
Vide il parapetto corrergli incontro a una velocità incredibile, così, per disperazione, girò bruscamente il volante e, per quanto potesse servire, frenò. Il retrotreno dell'ambulanza sbandò violentemente. Invece di colpire frontalmente il muretto, come intendeva fare Fairfax, deraparono con le quattro ruote bloccate facendo un testacoda di 180 gradi, e colpirono il parapetto con la parte posteriore. Il retro del veicolo si schiantò contro il parapetto e, con Fairfax, Oliphant e Zulu dentro, l'intera ambulanza fu scagliata oltre il tetto, sei piani sopra il mondo, e cadde. Ma solo per pochi metri. Mentre l'ambulanza sfondava il piccolo parapetto, il paraurti anteriore s'incastrò in un frammento del muro, ancorandosi al tetto. Così, la caduta dell'ambulanza fu drammaticamente breve. Non appena la maggior parte della sua massa fu oltre il bordo, l'intero veicolo sobbalzò per l'improvviso arresto. E si trovò appeso in verticale all'ultimo piano del parcheggio, agganciato per il paraurti, coi portelloni posteriori che sbattevano aperti sul vuoto. All'interno dell'ambulanza, tutto quello che avrebbe dovuto essere in orizzontale era in verticale. Oliphant era ancora seduto al posto del passeggero, solo che ora fissava il cielo, schiacciato contro lo schienale. Fairfax non era stato così fortunato. Quando avevano colpito il parapetto, era stato sollevato dal suo sedile da Zulu e scagliato nella parte posteriore dell'ambulanza. Ma adesso l'ambulanza era in verticale, e tutti e due erano rotolati sottosopra. E coi portelloni posteriori che dondolavano aperti sotto di loro - sopra un vuoto di sei piani - Fairfax e Zulu avevano tentato di afferrare qualsiasi cosa avessero trovato. Il grosso nero si era aggrappato alla lettiga fissata ai suoi sostegni. Fairfax si era appeso a una mensola sulla parete. Ma Zulu non si era arreso. Voleva ancora arrivare a Oliphant. Si allungò in avanti, cercando di raggiungere il machete, ancora conficcato nel poggiatesta del sedile del guidatore. «No!» gridò Fairfax, spingendosi in avanti. Ma era troppo tardi. Appeso con una mano alla lettiga, Zulu chiuse le dita attorno all'impugnatura del machete e con uno strattone lo liberò. Girò gli occhi iniettati di sangue verso Fairfax e la sua bocca si apri in un sinistro sorriso giallastro. «Ciao, ciao!» disse, portando indietro il machete per sferrare il colpo fi-
nale. «L'hai detto, stronzo», replicò Fairfax, fissandolo. Zulu vibrò il colpo. La lama fischiò verso la testa di Fairfax proprio nel momento in cui questi sferrava un calcio e sbloccava il fermo che teneva ancorata la lettiga. L'effetto fu immediato. La lettiga precipitò come una pietra, fuori, attraverso i portelloni spalancati... con Zulu sopra. Fairfax osservò il grosso tipo precipitare aggrappato alla lettiga, i suoi grandi occhi che diventavano piccoli cerchi mentre cadeva, cadeva e cadeva. In aria, la barella ruotò, cosicché Zulu colpì per primo il suolo. Si abbatté sull'asfalto con uno spiacevole tonfo, mentre i suoi organi interni andavano in pezzi. Ma era ancora vivo. Non per molto: un attimo dopo, il bordo della lettiga si schiantò sulla sua testa, aprendola come una noce. Fairfax e Oliphant impiegarono alcuni minuti per uscire dall'ambulanza appesa in verticale, ma ce la fecero arrampicandosi fuori del parabrezza e lungo il cofano. Fairfax guardò l'ambulanza, ancora appesa al bordo del tetto. Ma Oliphant farfugliava, sotto shock. «Riguardava... Neuromot... Rapidità di Risposta Neuromotoria... Facevamo esperimenti su soldati americani e inglesi per valutarne i tempi di reazione, tempi di reazione a certi stimoli... Ogni tipo di stimoli: visivi, uditivi, tattili... Riflessi... Era tutto sui riflessi. Ah, avremo fatto esperimenti con più di trecento soldati, e avevano tutti tempi di reazione diversi... Alcuni erano velocissimi, altri tardi e lenti. I nostri superiori non ci hanno mai spiegato a che cosa servisse lo studio, ma ovviamente tutti noi avevamo una teoria. Molti pensavano che fosse per la selezione di una squadra di commando, però alcuni dei tecnici dicevano che fosse per un nuovo sistema di sicurezza, un nuovo straordinario sistema di sicurezza per missili balistici chiamato CincLock. Alla fine, inaspettatamente, la ricerca fu sospesa, con la motivazione ufficiale che il Dipartimento della Difesa aveva cestinato il progetto principale, ma noi pensammo che fosse perché avevano già ottenuto i dati che servivano...» Mentre stava ancora fissando l'ambulanza, Fairfax sentì un rumore dietro di sé. Si girò, e vide il corpo senza testa del dottor Oliphant piegarsi sulle ginocchia e oscillare in quella posizione prima di stramazzare al suolo.
In piedi oltre il cadavere, con una corta e scintillante spada da samurai in pugno, c'era una giovane donna giapponese vestita di pelle. Alyssa Idei, cacciatrice di taglie. Afferrò la testa di Oliphant per i capelli e se la mise accanto con noncuranza. Quindi, con un unico fluido movimento, ripose la spada ed estrasse una delle sue pistole mitragliatrici Steyr puntandola verso Fairfax. Senza battere ciglio, gelida. Ma poi, stranamente, un'espressione confusa incrinò i suoi lineamenti perfetti. Fece un cenno col mento all'indirizzo di Fairfax e quando parlò la sua voce era dolce come miele. «Tu non sei un cacciatore di taglie. Chi sei?» «No...» cercò di dire Fairfax. «No, non lo sono.» «Tuttavia hai combattuto con Zulu. Come mai?» «Ho un amico nella vostra lista. Voglio aiutarlo.» Sembrava che Alyssa Idei facesse fatica a credere a una cosa del genere. «Quest'uomo era il tuo amico?» «No, non lui. Uno degli altri nella lista.» «E hai combattuto con Zulu per aiutare il tuo amico?» «Sì.» I suoi dubbi scomparvero, sostituiti da una genuina curiosità. «Come ti chiami, uomo che aiuta gli amici?» «Ehm... David Fairfax.» «Fairfax. David Fairfax», ripeté lentamente lei. «Non m'imbatto spesso nella lealtà, Fairfax.» «No?» Lo guardò in maniera seducente. «No. Il tuo amico deve essere una persona in gamba per infonderti questo coraggio. Questo coraggio, Fairfax, è raro. Ed è anche affascinante. Molto affascinante.» Fairfax si lasciò sfuggire un imbarazzato: «Oh...» «Ho deciso che ti lascerò vivere», disse Alyssa. «Così potrai aiutare ancora il tuo amico e, magari, potremo incontrarci di nuovo in circostanze più tranquille. Ma ricordati, David Fairfax, se ci incontrassimo mentre tenti di proteggere il tuo amico, non ti farò questo favore una seconda volta.» Quindi ripose la pistola e si girò, facendo scivolare il corpo slanciato nella sua macchina sportiva. E se ne andò. Fairfax guardò la velocissima Honda scomparire giù per la rampa del parcheggio, mentre il corpo senza testa di Thompson Oliphant giaceva al suolo alle sue spalle, il sole sorgeva all'orizzonte e il suono delle sirene della polizia dava il benvenuto all'alba.
QUARTO ATTACCO FRANCIA - INGHILTERRA 26 OTTOBRE, ORE 14.00 [FRANCIA] EST [NEW YORK] ORE 08.00
«Noi viviamo in un mondo doppio: luna park in superficie, fondamenta al di sotto, dove importa realmente» NAOMI KLEIN, No Logo, Baldini Castoldi Dalai, Milano, 2001 proprio quel popolo [..] spasima solo per due cose pane e giochi DECIMO GIUNTO GIOVENALE, Satire, X, 74, 81
FORTEZZA DI VALOIS BRETAGNA, FRANCIA
26 OTTOBRE, ORE 14.00 [EST ORE 08.00] Tre minuscole figure attraversarono il massiccio ponte di pietra che collegava la terraferma alla fortezza di Valois. Shane Schofield, Libby Gant e Aloysius Knight. Ognuno portava con sé un contenitore sanitario da trasporto bianco. Tre contenitori, tre teste. Dal momento che Scarecrow era uno degli uomini più ricercati del mondo e che stavano per entrare nel sancta sanctorum di coloro che avevano organizzato quella caccia all'uomo, Schofield e Gant erano parzialmente travestiti. Indossavano le uniformi color carbone e gli elmetti dell'IG-88, presi agli uomini sull'Hercules. Oltre alle loro armi, ripulite dai frammenti adesivi delle granate AC-2, erano dotati anche dei fucili MetalStorm. Per aumentare l'effetto, Schofield aveva la mascella avvolta in diverse bende macchiate di sangue e portava occhiali da sole normali, quanto bastava per nascondere i lineamenti. Nella tasca sulla coscia, però, aveva anche uno dei Palm Pilot modificati di Knight. I tre si fermarono sotto le telecamere all'ingresso e Knight disse: «Okay, visto che sono l'unico che l'ha già fatto, porto io le teste all'esaminatore. A voi verrà chiesto di aspettare in qualche zona sicura». «Una zona sicura?» «Gli esaminatori non gradiscono affatto i cacciatori di taglie che fanno irruzione nei loro uffici per derubarli. È già successo in passato, perciò dispongono di sistemi di sicurezza piuttosto efficaci. E, se questo esaminatore è chi penso io, allora non si tratta di una persona molto simpatica. In ogni caso, tenete d'occhio i vostri Palm Pilot. Non so quante informazioni riuscirò a estrarre dal suo computer, ma spero di ricavarne abbastanza da capire chi paga questa caccia.» Anche Knight aveva un Palm Pilot in tasca. Come molti di quei dispositivi, era dotato di una funzione di trasferimento dati a raggi infrarossi, in modo da poter inviare i file direttamente dal computer al Palm Pilot senza bisogno di cavi. Knight, tuttavia, aveva modificato il suo palmare in modo da includere un programma di ricerca molto speciale, che consentiva al dispositivo di accedere alla memoria di qualsiasi computer nel raggio di tre metri. I cancelli del castello si aprirono e comparve monsieur Delacroix, elegante come al solito.
«Capitano Knight», lo salutò formalmente. «Mi stavo appunto chiedendo se l'avrei mai incontrata.» «Monsieur Delacroix», rispose Knight. «Avevo la netta sensazione che sarebbe stato proprio lei l'esaminatore. E stavo giusto dicendo ai miei colleghi quanto lei sia una persona affascinante.» «Ma certo», ribatté asciutto Delacroix. Gettò un'occhiata a Schofield e Gant, camuffati nelle loro uniformi dell'IG-88. «Nuovi collaboratori, vedo. Non sapevo che fosse andato a reclutare elementi pescando nell'ovile di monsieur Larkham.» «Quelli bravi non sono facili da trovare», tagliò corto Knight. «È vero», ammise Delacroix. «Perché non entrate?» Il gruppetto attraversò il garage della fortezza che pareva un salone d'esposizione con la sua collezione di macchine di lusso: Porsche GT-2, Aston Martin, Lamborghini, le macchine da rally Subaru WRX. «Bel castello», commentò Knight. «Piuttosto imponente», replicò Delacroix. «E chi è il proprietario?» «Una persona molto ricca.» «Che si chiama...?» «Questa è un'informazione che non sono autorizzato a divulgare. Ho precise istruzioni in merito.» «Come sempre», osservò Knight. «Armi?» «Potete tenerle», rispose Delacroix, con noncuranza. «Qui non vi serviranno comunque.» Il gruppo scese alcuni scalini in fondo al garage ed entrò in un'anticamera dai muri in pietra che dava su una lunga e stretta galleria. Delacroix si fermò. «I suoi colleghi dovranno fermarsi qui, capitano Knight.» Knight fece un cenno del capo a Schofield e Gant. «Va bene. Solo non fatevi prendere dal panico quando le porte si bloccheranno.» Schofield e Gant si sedettero su un divano in pelle accostato al muro. Delacroix fece strada a Knight lungo la stretta galleria illuminata da torce. Arrivarono in fondo a quel budello assai poco invitante ed entrarono in un elegante ufficio. Delacroix entrò per primo, poi si voltò con un telecomando in mano. Le tre porte d'acciaio della galleria si chiusero con un tonfo, isolando Schofield e Gant nell'anticamera e Knight nella galleria. Knight non batté ciglio.
Delacroix cominciò a esaminare le teste... quelle che erano state tagliate da Damon Larkham nella caverne dell'Afghanistan a Zawahiri, Khalif e Kingsgate. Scansione laser, esame dei denti, DNA... Knight rimase prigioniero nella lunga galleria di pietra, in attesa. Incassati nelle pareti, notò i condotti per l'olio bollente. «Hmm», commentò ad alta voce. «Cattivelli.» Attraverso una finestrella in perspex della porta d'acciaio poteva vedere nell'ufficio di Delacroix. Quest'ultimo era al lavoro, mentre l'immensa finestra panoramica dietro la scrivania del banchiere svizzero mostrava lo splendido oceano Atlantico. Fu allora che Knight notò le navi. In lontananza, all'orizzonte, vide un gruppo di navi da guerra, cacciatorpediniere e fregate, tutte raccolte attorno a una possente portaerei che riconobbe subito come la nuovissima portaerei nucleare francese classe Charles de Gaulle. Era un gruppo di battaglia con portaerei, un Carrier Battle Group. Un Carrier Battle Group francese. Schofield e Gant aspettavano nell'anticamera. Un ronzio proveniente dal soffitto catturò l'attenzione di Schofield, che sollevò lo sguardo e vide sei strane antenne disposte attorno al soffitto dell'anticamera, incassate nei muri di pietra. Sembravano altoparlanti di un impianto stereo, ma le riconobbe come mortali emittenti di onde. Individuò anche l'origine di quel ronzio: una telecamera di sorveglianza. «Ci osservano», disse. In un'altra stanza, in un punto imprecisato del castello, qualcuno stava effettivamente sorvegliando Schofield e Gant su un monitor in bianco e nero. L'addetto stava studiando attentamente Schofield, come se cercasse di vedere al di là delle bende e degli occhiali da sole. Monsieur Delacroix terminò i suoi test e si rivolse a Knight, ancora prigioniero nella galleria. «Capitano Knight», disse nell'interfono. «Congratulazioni. Ognuna delle teste ha riportato un punteggio perfetto. In questo momento lei è più ricco di 55,8 milioni di dollari.»
Il banchiere svizzero premette un pulsante del telecomando e le tre porte d'acciaio tornarono all'istante nei loro ricettacoli. Knight entrò nell'ufficio di Delacroix proprio mentre il banchiere si sedeva dietro la sua enorme scrivania e cominciava a battere sui tasti del suo computer portatile. «Allora», disse Delacroix, con le mani sulla tastiera. «Dove vuole che trasferisca i soldi? Presumo che il suo conto presso la Alan Gemes di Ginevra sia ancora attivo.» Gli occhi di Knight rimasero incollati al computer di Delacroix. «Si», rispose, mentre premeva il pulsante TRANSMIT sul Palm Pilot che aveva in tasca. Istantaneamente il Pilot e il computer di Delacroix cominciarono a comunicare. Schofield vide il suo Palm Pilot animarsi. I dati presero a sfrecciare sullo schermo a velocità incredibile. Documenti zeppi di nomi, numeri e diagrammi: Provenienza Talbot
Ambrose
Mezzo di lancio Shahab-5
W-H
Origine
Destinaz.
Ora
TN76 TN76
Shahab-5
TN76
Shahab-5
TN76
00001.65 5239.10 00420.02 4900.25 01312.15 5358.75 28743.98 4104.64
11.45
Shahab-5
35702.90 5001.00 35702.90 5001.00 35702.90 5001.00 28743.05 4104.55
11.45 11.45 12.00
OGGETTO: PAGAMENTO DELLA COMMISSIONE DELL'ESAMINATORE
IL PAGAMENTO DELLA COMMISSIONE DELL'ESAMINATORE SARA' EFFETTUATO MEDIANTE TRASFERIMENTO ELETTRONICO INTERNO DI FONDI PRESSO LA AGMSUISSE DAL CONTO PRIVATO DELLA ASTRAL-66 PTY LTD Percorso esecutivo L'ordine di viaggio proposto è il seguente: Asinara (01/08), Luanda (01/08), Abuja (05/08), N'djamena (07/08) e Tobruk (09/08). 01/08- Asinara (ambasciata) 03/08 - Luanda (presso M. Loch, nipote di R)
1. 2. 3. 4. 5. 6.
Nome ASHCROFT, William H. CHRISTIE, Alec P. FARRELL, Gregory C. KHALIF, Iman KINGSGATE, Nigel E. McCABE, Dean P.
Nazionalità Regno Unito Regno Unito USA Afghanistan Regno Unito USA
Organiz z az ione SAS MI-6 Delta al-Qaida SAS Delta
Schofield riconobbe l'ultimo documento: la lista delle taglie. Mentre il Pilot continuava a scaricare altri file, fece clic sull'elenco, aprendolo. Quello era leggermente diverso dalla lista che aveva preso al capo della Executive Solutions, Cedric Wexley, in Siberia. Alcuni dei nomi che comparivano erano stati ombreggiati. Il documento completo diceva: ELENCO PRINCIPALE DELL'ESAMINATORE RAPPORTI VERIFICATI, INFORMAZIONI ESATTE ALLA DATA: 26 OTTOBRE, ORE 14.12
1. 2. 3. 4. 5.
Nome ASHCROFT, William H. CHRISTIE, Alec P. FARRELL, Gregory C. KHALIF, Iman KINGSGATE, Nigel E.
Naz. Regno Unito Regno Unito USA Afghanistan Regno Unito
Org. SAS MI-6 Delta al-Qaxda SAS
6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15.
McCABE, Dean P. NAZZAR, Yousef M. NICHOLSON, Francis X. OLIPHANT, Thompson J. POLANSKI, Damien G. ROSENTHAL, Benjamin Y. SCHOFIELD, Shane M. WEITZMAN, Ronson H. ZAWAHIRI, Hassan M. ZEMIR, Simon B.
USA Libano USA USA USA Israele USA USA Arabia Saudita Israele
Delta Hamas USAMRMC USAMRMC ISS Mossad USMC USMC al-Qaida IAF
Sono i morti, pensò Schofield con un brivido. È un elenco con i bersagli che sono stati eliminati. E le morti verificate. Schofield sapeva di dover aggiungere Ashcroft e Weitzman a quell'elenco: Ashcroft era stato decapitato in Afghanistan dai cacciatori di taglie degli Spetsnaz, gli Scorpioni, e Weitzman era stato ucciso sull'aereo da trasporto. Il che significava che, nel migliore dei casi, rimanevano in vita solo cinque dei quindici nomi originari: Christie, Oliphant, Rosenthal, Zemir e lui stesso. Schofield aggrottò la fronte. C'era qualcosa che lo angustiava, qualcosa che non riusciva a individuare con chiarezza... Poi intravide la parola ESAMINATORE su un altro documento e lo recuperò. Era un'e-mail: OGGETTO PAGAMENTO DELLA COMMISSIONE DELL'ESAMINATORE IL PAGAMENTO DELLA COMMISSIONE DELL'ESAMINATORE SARÀ EFFETTUATO MEDIANTE TRASFERIMENTO ELETTRONICO INTERNO DI FONDI PRESSO LA AGMSUISSE DAL CONTO PRIVATO DELLA ASTRAL-66 PTY LTD (N 437-666-21) PER L'IMPORTO DI 3,2 MILIONI (TRE VIRGOLA DUE MILIONI DI DOLLARI AMERICANI) PER OGNI VALUTAZIONE. L'ESAMINATORE SARÀ MONSIEUR JEAN-PIERRE DELACROIX DELLA AGM-SUISSE.
Schofield fissò quelle parole. ASTRAL-66 PTY LTD. Ecco da dove veniva il denaro. «Buongiorno», disse una voce gradevole. Schofield e Gant sollevarono lo sguardo. Alla base degli scalini in pietra che portavano al garage c'era un giovane di bell'aspetto. Era sulla trentina e vestiva jeans firmati e una camicia di Ralph Lauren, che portava aperta su una T-shirt, come fanno le persone molto facoltose. Schofield notò subito i suoi occhi: uno azzurro e uno castano. «Benvenuti nel mio castello», disse il giovanotto con un sorriso. Un sorriso che aveva l'aria di essere alquanto pericoloso. «E voi chi siete?» «Colton. Tom Colton», mentì Schofield. «E questa è Jane Watson. Siamo con Aloysius Knight, per vedere monsieur Delacroix.» «Oh, capisco...» replicò l'uomo, porgendo la mano. «Killian. Jonathan Killian. Dal vostro aspetto si direbbe che siete stati piuttosto indaffarati, oggi. Posso offrirvi qualcosa da bere o da mangiare? O forse il mio medico personale potrebbe provvedere a una nuova bendatura per le sue ferite.» Schofield scoccò un'occhiata verso il fondo della galleria, cercando Knight. «Vi prego...» Killian li guidò su per gli scalini e, non volendo attirare un'indesiderata attenzione, i due lo seguirono. «Io l'ho già vista», disse Schofield mentre risalivano gli scalini di pietra. «Alla televisione...» «Di tanto in tanto mi capita di comparirvi, infatti.» «Africa», continuò Schofield. «Lei era in Africa, l'anno scorso. Inaugurava delle fabbriche. Fabbriche alimentari, in Nigeria...» Era esatto. Schofield richiamò alla mente le immagini del notiziario... un filmato che mostrava quel Killian che stringeva la mano a sorridenti leader africani in mezzo a folle di lavoratori plaudenti. Arrivarono nel garage delle macchine di lusso. «Lei ha buona memoria», osservò Killian. «Sono stato anche in Eritrea, Ciad, Angola e Libia per aprire nuovi stabilimenti alimentari. Anche se molti non l'hanno ancora capito, il futuro del mondo è in Africa.» «La sua collezione d'auto mi piace», osservò Gant. «Giocattoli», ribatté Killian. «Semplici giocattoli.» Il giovane li guidò in un corridoio che si diramava dal garage, col parquet di legno lucido e muri dipinti di un bianco candido. «Ma, del resto, mi piace giocare coi giocattoli», aggiunse Killian. «Al-
meno quanto giocare con le persone. Mi incuriosisce vedere come reagiscono in situazioni di tensione.» Si fermò davanti a una grande porta di legno, dietro cui Schofield udì provenire delle risate. Rauche risate maschili. Sembrava che in quel locale fosse in corso una festa. «Situazioni di tensione?» indagò Schofield. «Che cosa intende dire?» «Be'», rispose Killian, «prendiamo per esempio l'incapacità che hanno in genere gli occidentali di comprendere gli attentatori suicidi islamici. Agli occidentali viene insegnato fin dalla nascita a combattere 'lealmente': i francesi che duellavano a dieci passi di distanza, i nobili inglesi che partecipavano alle giostre cavalleresche, i pistoleri che si affrontavano in una strada del selvaggio West. Nel mondo occidentale si combatte in modo leale, perché si dà per scontato che entrambe le parti desiderino vincere una determinata battaglia.» «Ma l'attentatore suicida non la pensa così», osservò Schofield. «Esattamente», disse Killian. «Non desidera vincere una battaglia perché la battaglia per lui non ha il minimo significato. Il terrorista suicida desidera vincere una guerra di ben maggiori dimensioni, una guerra psicologica in cui l'uomo che muore contro la sua volontà - in uno stato di angoscia, terrore e paura - perde, mentre colui che muore quand'è spiritualmente ed emotivamente pronto vince. Così, l'occidentale di fronte a un attentatore suicida va in pezzi. Mi creda, l'ho constatato di persona. Così come ho visto le reazioni delle persone di fronte ad altre situazioni di stress: criminali sulla sedia elettrica, un uomo in acqua circondato da squali. Oh, certo, adoro vedere il terrore sulla faccia delle persone quando capiscono, senza dubbio, che stanno per morire.» Con quelle parole Killian aprì la porta. Nello stesso istante un pensiero attraversò la mente di Schofield. Il problema dell'elenco principale. Su quella lista, i nomi di McCabe e Farrell, che erano morti in Siberia quel mattino, erano stati ombreggiati e, quindi, erano stati ufficialmente dichiarati morti. E la commissione era stata pagata... Il che voleva dire... La grande porta si aprì. Schofield e Gant videro una sala da pranzo coi membri della Executive Solutions, venti persone, che mangiavano, bevevano e fumavano. A capo tavola, col naso rotto bendato di fresco, sedeva Cedric Wexley. Sul viso di Schofield comparve un'espressione di disappunto. «E questa», osservò Killian, «è proprio l'espressione di cui parlavo.»
Il miliardario rivolse a Schofield un sorriso tirato, privo di allegria. «Benvenuto... capitano Schofield.» *** Schofield e Gant si misero a correre con tutte le loro forze. Si allontanarono come frecce dalla sala da pranzo imboccando lo splendido corridoio, inseguiti dalla risata beffarda di Jonathan Killian. Gli uomini della ExSol balzarono in piedi istantaneamente, afferrando al volo le armi, elettrizzati dalla possibilità di guadagnare altri 18,6 milioni di dollari. Killian li lasciò andare, godendosi lo spettacolo. Schofield e Gant irruppero nel garage. «Maledizione, troppe scelte», esclamò Schofield, strappandosi le bende dal viso e osservando quella miliardaria collezione d'auto davanti a lui. Gant lanciò un'occhiata alle sue spalle e vide i mercenari della Executive Solutions che li inseguivano di corsa lungo il corridoio. «Hai circa dieci secondi per scegliere la più veloce.» Schofield adocchiò la Porsche GT-2. Bassa, color argento, col tetto aperto, una macchina grandiosa. «No, non fa per me», disse, balzando invece verso una macchina da rally altrettanto veloce accanto a essa, una Subaru WRX turbo di colore blu elettrico. Nove secondi più tardi, gli uomini della ExSol irruppero nel garage, arrivando giusto in tempo per vedere la WRX che attraversava il salone, già lanciata a sessanta chilometri all'ora, con le ruote che lasciavano strisce di gomma bruciata sul pavimento. All'estremità opposta del salone, la saracinesca del garage si stava aprendo, grazie a Libby Gant che manovrava i comandi. I mercenari della ExSol aprirono il fuoco. Schofield bloccò di colpo la macchina accanto a Gant. «Salta su!» «E Knight?» «Sono sicuro che capirà!» Gant si gettò a capofitto dentro il finestrino della Subaru dalla parte del passeggero, proprio mentre la saracinesca si apriva completamente, rivelando il cortile interno del castello inondato di sole e il volto attonito del
maggiore Dmitri Zamanov, accompagnato da sei Scorpioni, che trasportavano due contenitori medici. Un paio di elicotteri russi Mi-34 erano fermi sulla ghiaia del cortile, dietro gli uomini degli Spetsnaz, con le pale del rotore ancora in movimento. «Accidenti», esclamò Schofield. «Potrebbe andare peggio di così?» Intanto, nell'ufficio di monsieur Delacroix, Aloysius Knight si girò di scatto al suono della sparatoria nel garage, cercando di scorgere Schofield nell'anticamera in fondo alla galleria. Non c'era. «Maledizione», imprecò. «Possibile che questo imbecille non riesca a stare lontano dai guai per più di cinque minuti?» Si catapultò fuori dell'ufficio. Monsieur Delacroix non si prese neanche il disturbo di alzare lo sguardo. La WRX turbo di Schofield era ferma davanti a Zamanov all'ingresso del garage. I due uomini incrociarono gli sguardi. L'espressione di sorpresa sul viso di Zamanov si trasformò rapidamente in una di odio puro. «A tavoletta!» gridò Gant, rompendo l'incanto. Schofield schiacciò a fondo il pedale dell'acceleratore. Con un rombo, l'auto prese velocità e gli Scorpioni si sparpagliarono, gettandosi di lato per scansare il veicolo. La WRX schizzò attraverso il cortile del castello, sollevando una tempesta di ghiaia, prima di saettare come un razzo attraverso il gigantesco ingresso e infilare il ponte levatoio, diretta verso la terraferma. Dmitri Zamanov si rialzò proprio mentre altre cinque automobili sfrecciavano rombando accanto a lui, all'inseguimento della WRX. C'erano una Ferrari rossa, una Porsche GT-2 argento e tre auto da rally gialle della Peugeot coi loghi della Axon sui fianchi. ExSol. All'inseguimento. «Cazzo!» urlò Zamanov. «È lui! Schofield! Via! Via! Via! Prendetelo e portatelo da me! Prima che Wexley gli tagli la testa lo voglio scuoiare vivo!» Quattro Scorpioni balzarono immediatamente in piedi e corsero verso 1 due elicotteri, lasciando Zamanov e gli altri due al castello con i contenitori. La caccia era cominciata.
CAMPO D'AVIAZIONE WHITMORE (ABBANDONATO) 64 CHILOMETRI A OVEST DI LONDRA 26 OTTOBRE, ORE 12.30 [FRANCIA ORE 13.30] Trenta minuti prima, mentre Schofield, Gant e Knight stavano per arrivare alla fortezza di Valois, Book II e Mother atterrarono col «loro» Lynx all'aeroporto abbandonato dove Rufus li aveva fatti scendere. Non si aspettavano di trovare Rufus ancora lì, perché aveva detto loro che, dopo averli fatti sbarcare, si sarebbe diretto in Francia per raggiungere Knight. Tuttavia, videro il Black Raven parcheggiato all'interno di un vecchio hangar, circondato da macchine civetta della polizia. Rufus se ne stava tristemente accanto al suo aereo, tenuto strettamente sotto tiro da sei tipi in borghese, con indosso lunghi impermeabili, e da un intero plotone di Royal Marines armati fino ai denti. Mother e Book vennero acciuffati nello stesso istante in cui posarono i piedi a terra. Uno degli uomini con l'impermeabile si avvicinò a loro. Era giovane, coi capelli tagliati corti, e aveva in mano un telefono cellulare, come se in quel momento fosse impegnato in una telefonata. Quando parlò fu evidente il suo accento americano. «Sergenti Newman e Riley? Mi chiamo Scott Moseley, Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, Ufficio di Londra. Siamo a conoscenza del fatto che state aiutando il capitano Shane M. Schofield del corpo dei marine degli Stati Uniti nel suo tentativo di evitare di essere liquidato nel corso di una caccia all'uomo internazionale. È esatto?» Book e Mother sbiancarono. «Uh, sì... è esatto», rispose Book II. «Il governo degli Stati Uniti è venuto a conoscenza dell'esistenza di questa caccia all'uomo. Dalle informazioni a tutt'oggi in nostro possesso, crediamo di conoscere il motivo di questa caccia e siamo giunti alla conclusione che tenere in vita il capitano Schofield è una questione della massima importanza nazionale. Sapete dove si trova?» «Può darsi», disse Mother. «Allora di che si tratta?» chiese Book II. «Ci racconti di questa grande cospirazione.» Il viso di Scott Moseley s'imporporò. «Non conosco tutti i particolari», rispose. «Oh, via», ringhiò Book II. «Non pensi di cavarsela così.»
«La prego», disse Moseley. «In questo caso, io sono solo un intermediario. Non sono autorizzato a conoscere la storia completa. Ma, credetemi, non sono qui per ostacolarvi. Mi hanno solo detto che la persona o le persone che stanno dietro questa caccia hanno la capacità e forse anche il desiderio di distruggere gli Stati Uniti d'America. È tutto quello che so. Ma sono qui per ordine diretto del presidente degli Stati Uniti e i miei ordini sono di aiutarvi. Dovunque andiate verrò anch'io. Sono autorizzato a fornirvi tutto ciò di cui potreste avere bisogno per far sì che il capitano Schofield rimanga in vita. Se volete armi, le avrete. Se avete bisogno di denaro, ne ho. Insomma, se volete che l'Air Force One vi porti in qualsiasi parte del mondo, è a vostra disposizione.» «Grandioso...» sospirò Mother. «Come facciamo a sapere che possiamo fidarci di lei?» chiese Book II. Scott Moseley porse a Book il suo cellulare. «Con chi parlo?» chiese Book. «Sergente Riley?» disse una voce autoritaria dall'altra parte. Book II la riconobbe immediatamente e s'irrigidì. Aveva già sentito quella voce, durante la crisi nell'Area 7. Era il presidente degli Stati Uniti, sicuramente. «Sergente Riley», continuò il presidente. «Tutte le risorse del governo degli Stati Uniti sono a vostra completa disposizione. Di qualunque cosa abbiate bisogno, non avete che da chiederla al sottosegretario Moseley. Dovete fare in modo che Shane Schofield rimanga in vita. Ora devo andare.» Il presidente riagganciò. «Bene», fischiò Book II. «Allora», disse Moseley. «Che cosa vi serve?» Mother e Book si scambiarono un'occhiata. «Vai tu», disse Book. «Salva Scarecrow. Io voglio scoprire cosa c'è sotto questa faccenda.» «Dieci-quattro», replicò Mother. Mother si voltò di scatto, indicando Rufus, ma rivolgendosi a Moseley. «Ho bisogno di lui e del suo aereo col pieno di carburante. Più un passaggio fuori dall'Inghilterra. Sappiamo dove si trova Scarecrow e dobbiamo arrivare da lui in fretta.» «Posso organizzare molto velocemente...» cominciò Moseley. «Sì, ma non mi fido ancora di lei», ringhiò Mother. «Invece di Rufus mi fido. E non è meno veloce degli altri.» «Okay.» Scott Moseley fece un cenno a uno dei suoi uomini. «Fai rifor-
nire l'aereo e chiedi l'autorizzazione di volo.» Moseley si rivolse a Book. «E lei?» Ma Book non aveva ancora finito con Mother. «Ehi, Mother. Buona fortuna. Salvalo.» «Farò del mio meglio», dichiarò Mother. Poi scattò di corsa per raggiungere Rufus sul Sukhoi. Dopo alcuni minuti, coi serbatoi pieni, il Black Raven si sollevò in cielo e sfrecciò via come una saetta coi postbruciatori incandescenti. Solo quando il velivolo fu scomparso Book II si voltò verso Scott Moseley. «Ho bisogno di un lettore video», disse. *** La macchina di Schofield sfrecciava lungo la costa. La strada che si dipanava dalla fortezza di Valois era conosciuta col nome di Grand Boulevard de la Mer. L'importante arteria, scavata nei promontori che si protendevano sull'oceano Atlantico, era uno spettacolare nastro nero tutto curve e sinuosità protetto su un lato da muretti di cemento a strapiombo sul mare. La strada era particolarmente pericolosa per via dei numerosi e ingannevoli angoli ciechi e delle gallerie che a tratti fendevano la montagna. In effetti, si trattava di una vera e propria strada privata, visto che i trecentoquaranta chilometri di terra che circondavano la fortezza di Valois appartenevano a Jonathan Killian. In due punti del percorso si diramavano delle strade laterali: una che andava in salita verso la pista d'atterraggio privata di Killian, l'altra che scendeva ripidamente fino in riva al mare, dove si poteva accedere a un'enorme rimessa di barche. La WRX blu elettrico di Schofield correva lungo quella spettacolare strada in riva all'oceano a centottanta chilometri all'ora. Il ronzio del suo motore era appena percettibile, col turbo inserito. Grazie alla trasmissione a quattro ruote motrici, l'auto era perfetta per affrontare le curve strette del Grand Boulevard de la Mer. Al suo inseguimento erano lanciate le cinque auto della ExSol: la Porsche, la Ferrari e le tre Peugeot. «Knight!» chiamò Schofield nel laringofono. «Ci sei? Qui... abbiamo qualche piccolo guaio.» «Arrivo», fu la risposta tranquilla. In quello stesso momento, un chilometro e mezzo dietro la WRX di Schofield, e molto distante dalle macchine inseguitrici, un'altra auto schiz-
zò fuori dalla fortezza di Valois, attraversando come un fulmine il ponte levatoio. Era una Lamborghini Diablo. Motore dodici cilindri a V, spoiler posteriore, bassissima. Straordinaria, incredibilmente veloce. E, naturalmente, nera. Schofield sintonizzò il suo sistema radio satellitare. «Book! Mother! Mi sentite?» Gli rispose immediatamente la voce di Mother. «Sono qui, Scarecrow». «Non siamo più nella fortezza», la informò Schofield. «Ci troviamo sulla strada, diretti verso nord.» «Cos'è successo?» «All'inizio andava bene, ma poi sono arrivati tutti i cattivi del mondo.» «Avete distrutto tutto?» «Non ancora, ma ci sto lavorando. Stai arrivando?» «Ci sono quasi. Mi trovo con Rufus sul Raven. Book è rimasto a Londra per scoprire qualcosa di più riguardo questa caccia all'uomo. Sono a venti minuti da voi.» «Venti minuti», ripeté Schofield con una smorfia. «Non sono sicuro di riuscire a durare tanto a lungo.» «Dovete farcela, Scarecrow, perché ho un sacco di cose da raccontarvi.» «Riassunto rapido. Venticinque parole o meno», disse Schofield. «Il governo degli Stati Uniti è a conoscenza della caccia all'uomo e sta mettendo in campo tutte le sue forze per mantenerti in vita. In questo momento sei diventato una specie a rischio d'estinzione. Quindi cerca di portare il culo su un territorio americano. Un 'ambasciata, un consolato, qualsiasi cosa.» Schofield imboccò con la WRX una curva stretta e si trovò improvvisamente di fronte la vista completa della strada. Il Grand Boulevard de la Mer proseguiva in una successione di curve e svolte, lungo i promontori della costa. «Il governo degli Stati Uniti vuole aiutarmi?» chiese Schofield. «Per quanto ne so, il governo degli Stati Uniti aiuta solo il governo degli Stati Uniti.» «Ehi, Scarecrow...» lo interruppe Gant. «Abbiamo un problema...» «Cosa?» Schofield riportò di colpo l'attenzione davanti a sé. «Maledizione! La ExSol deve aver richiamato anche gli altri uomini...»
Poco meno di un chilometro più avanti, il Grand Boulevard de la Mer si biforcava, con una strada laterale sulla destra che risaliva il promontorio. Era la strada che portava alla pista d'atterraggio, e due grosse motrici, prive dei rimorchi, stavano scendendo per il ripido pendio a velocità considerevole rombando in direzione dell'auto di Schofield e Gant. Sopra le due motrici si librava in aria uno snello elicottero Bell Jet Ranger con la scritta AXON CORP. sulla fusoliera. La ExSol li ha avvertiti per radio, pensò Schofield. E dal campo d'atterraggio hanno inviato tutte le forze disponibili. «Quelle due motrici ci stanno piombando addosso!» gridò Gant. «No», obiettò Schofield. «Non vogliono speronarci. Vogliono solo bloccarci la strada.» Come previsto le due motrici arrivarono al bivio e si arrestarono di colpo, mettendosi di traverso e ostruendo così la strada. Un blocco perfetto. «Mother», disse Schofield per radio. «Siamo fregati. Vedi di arrivare il più presto possibile.» La WRX schizzò lungo la strada costiera, avvicinandosi rapidamente alle due motrici. Poi, a meno di duecento metri dal blocco stradale, Schofield pigiò sul freno e la WRX si arrestò con uno stridio di gomme. Stallo. Due motrici, un'auto da rally. Schofield diede un'occhiata allo specchietto retrovisore: il gruppo di auto della ExSol li stava per raggiungere. Ancora più dietro, si profilava la sagoma buia e cupa del castello di pietra, quando improvvisamente due elicotteri calarono di fronte alla fortezza pronti anche loro all'inseguimento. I due elicotteri Mi-34 di Zamanov. «Tra l'incudine e il martello», osservò Schofield. «E che martello», replicò Gant. Schofield si voltò per studiare la strada di fronte a loro: due motrici, l'elicottero della Axon, una parete di roccia a strapiombo sulla destra, un precipizio di centoventi metri a sinistra, protetto da un muretto di cemento. Il muretto, pensò. «Le macchine ci sono quasi addosso...» l'avvertì Gant. Ma Schofield stava ancora osservando il muretto in cemento. L'elicottero della Axon si librava appena al di là di esso, quasi a livello della strada. «Possiamo farcela», disse, socchiudendo gli occhi. «Fare cosa?» Gant si girò allarmata. «Tieniti forte.»
Schofield schiacciò il pedale dell'acceleratore. La WRX scoccò via dal punto in cui si era fermata, correndo verso le motrici. L'auto guadagnò rapidamente velocità, grazie alla potenza impressa da tutte e quattro le ruote, col turbo che ululava come impazzito. I 60 chilometri all'ora divennero 80... 100... 120... La WRX si precipitò verso il blocco stradale. I conducenti delle due motrici, due uomini della ExSol che erano rimasti in attesa presso la pista d'atterraggio, si scambiarono un'occhiata. Che stava combinando quel pazzo? Con uno stridio terrificante la WRX urtò il muretto, le ruote di sinistra grattarono contro la barriera di cemento, esercitando una pressione sempre più forte e facendo sollevare l'intero lato sinistro dell'auto dal livello stradale... e poi, di colpo... ecco che la WRX montò sul muretto! Le sue ruote di sinistra si staccarono completamente dall'asfalto, scorrendo sulla sommità del muretto: l'auto viaggiava inclinata a 45 gradi. «Non c'è lo stesso abbastanza spazio!» gridò Gant, indicando la motrice parcheggiata più vicina al muretto. Aveva ragione. «Non ho ancora finito!» urlò Schofield di rimando. E subito dopo diede un violento colpo di sterzo verso destra. La risposta fu istantanea. La WRX si mise di traverso, il muso andò verso destra, la coda a sinistra... e l'auto rimase pericolosamente in bilico sull'oceano finché la coda non scivolò... giù dal bordo del muretto di cemento. Le ruote posteriori della WRX erano adesso sospese a centoventi metri sopra l'oceano. Ma l'auto stava ancora muovendosi veloce, scivolando col ventre sul muretto, con le ruote anteriori sospese sul lato della strada e quelle posteriori sull'oceano: nessuna toccava per terra. «Aaaaaah!» gridò Gant. La WRX slittò lateralmente lungo il muretto, il peso quasi completamente bilanciato, il fondo che grattava e strideva al contatto col muretto sollevando un inferno di scintille finché, con estremo stupore dei conducenti delle motrici, l'auto non scivolò oltre il blocco stradale, infilandosi di stretta misura nel varco tra la motrice e il muretto, un varco che fino a quel momento sarebbe stato troppo stretto per permettere il passaggio di un'automobile. Ma poi accadde l'inevitabile. Per via del peso maggiore dalla parte dell'oceano, l'auto, nonostante la forza d'inerzia che la spingeva in avanti, co-
minciò a inclinarsi all'indietro. «Stiamo per precipitare!» gridò Gant. «No, non precipiteremo», ribatté Schofield, calmissimo. Aveva ragione, perché, proprio in quel momento, la coda dell'auto urtò a tremenda velocità contro il muso dell'elicottero della Axon che si librava appena al di là del muretto. La sezione posteriore dell'auto rimbalzò con violenza contro il muso dell'elicottero proprio come una pallina da flipper e l'impatto fu sufficientemente forte da risospingere la WRX al di qua del muretto, sulla strada... dall'altra parte del blocco stradale. Proprio come aveva calcolato Schofield. Le gomme della WRX fecero di nuovo presa sull'asfalto e l'auto sfrecciò via come un fulmine. Giusto in tempo, perché, un secondo più tardi, le due motrici si fecero da parte lasciando passare le cinque macchine della ExSol che schizzarono tra di esse come pallottole per gettarsi all'inseguimento di Schofield. *** Le auto della ExSol erano proprio dietro di loro. Le due macchine sportive, che la ExSol aveva preso in «prestito» da Jonathan Killian, la Ferrari rossa e la Porsche argento, basse, snelle e terribilmente veloci, sfrecciarono nella scia della WRX di Schofield. I due mercenari all'interno della Porsche sfruttarono la possibilità offerta dal tettuccio apribile, che consentiva a un uomo di stare in piedi e sparare contro l'auto di Schofield. Il tiratore a bordo della Ferrari, invece, doveva sporgersi dal finestrino dal lato del passeggero. Mentre il finestrino posteriore della WRX si sbriciolava sotto una grandine di proiettili, Gant si rivolse a Schofield. «Posso farti una domanda?» gridò. «Certo!» «C'è forse qualche scuola segreta dove t'insegnano a fare questi numeri? Una scuola dove s'insegna a guidare sfidando la morte?» «A dire il vero la chiamano 'guida aggressiva'», rispose Schofield, lanciando un'occhiata alle spalle. «È stato un corso speciale a Quantico, tenuto da uno specialista della Delta Force di nome Kris Hankison. Hank ha lasciato la Delta nel 1991 per andare a fare lo stuntman a Hollywood. Guadagna un sacco di soldi. Ma un anno sì e uno no, come per riconoscenza
nei confronti dell'esercito, tiene dei corsi gratuiti di guida per i membri della Delta e per altri ospiti speciali. L'anno scorso io ero uno di questi ospiti. Se pensi che quello che ho fatto sia qualcosa di straordinario, non crederesti a quanto sa fare Hank su quattro ruote...» Una raffica di pallottole rigò la strada accanto alla WRX, sollevando frammenti di asfalto che andarono a colpire la portiera dal lato del passeggero. Una frazione di secondo più tardi uno degli agili elicotteri Mi-34 degli Scorpioni passò rombando sopra di loro. Ma poi la strada seguì una stretta curva verso destra. L'elicottero, invece, continuò in linea retta e la WRX uscì dal suo campo visivo, proprio mentre un'esplosione staccava un enorme blocco di terra dalla parete rocciosa sul lato della strada, disseminando una galassia di terriccio dietro l'auto in fuga. «Che diavolo...?» esclamò Schofield, voltandosi di scatto alla ricerca dell'origine di quella tremenda esplosione. E la scoprì. «Oh, non è possibile...» sospirò, quando vide una nave da guerra che avanzava verso la costa, staccandosi da un gruppo piuttosto numeroso di navi all'orizzonte. Era un cacciatorpediniere francese classe Tourville e i suoi cannoni prodieri da 100 mm sparavano furiosamente. Ogni colpo era seguito da una densa nube di fumo e un tremendo fragore che si riverberava per tutto il corpo. Poi, un istante dopo... Una seconda esplosione... Una terza... Una quarta... Le bordate colpirono la strada, spruzzando terriccio attorno alla macchina di Schofield. Le esplosioni sollevarono nubi di asfalto e roccia, lasciando sulla scia dell'auto letali crateri, che occupavano quasi metà della strada. Dopo la prima cannonata, la WRX di Schofield ululò sul bordo del cratere, attraversando fulmineamente la nube di polvere e, guardando in basso, Schofield notò che il potente proiettile da 100 mm aveva scavato una buca semicircolare nel Grand Boulevard de la Mer che scendeva lungo il precipizio. Le altre granate piovvero sulla strada, colpendola sia a destra che a sinistra. Schofield le evitò sterzando violentemente da una parte e dall'altra. L'elicottero della Axon, dietro di lui, virò e oscillò, cercando di scartare
le mortali bordate del cacciatorpediniere. Ma i due elicotteri Mi-34, più agili, non se ne preoccuparono e continuarono a inseguire Schofield con accanimento, mentre le loro mitragliatrici bucherellavano la strada. Poi la WRX di Schofield girò dietro una curva e s'infilò in una galleria e i due elicotteri russi presero rapidamente quota, sorvolando le alture frastagliate. Schofield e Gant furono avvolti dal silenzio. Ma non per molto. Nella galleria entrarono rombando le due auto sportive della ExSol, la Ferrari e la Porsche, coi due tiratori che continuavano a sparare contro di loro. Schofield sterzò a sinistra e scoprì che quella non era una vera e propria galleria, in quanto il lato verso il mare non era costituito da una parete, ma da una serie di sottili colonne che si susseguivano fittamente, permettendo ai conducenti di godersi il paesaggio. Schofield se ne rese conto nello stesso istante in cui vide un elicottero Mi-34 degli Scorpioni comparire al di là della sfilata di colonnine e cominciare a sparare dentro la galleria. Le pallottole investirono la strada, l'automobile e la parete opposta. Schofield sterzò a destra, scansando la raffica, e addossò la WRX alla parete di destra - che in quel punto faceva una curva - rallentando. In un secondo le macchine inseguitrici gli furono addosso e la Porsche lo tamponò al paraurti posteriore, mentre la Ferrari lo chiudeva sulla sinistra e i due tiratori della ExSol lo innaffiavano di pallottole. Il fuoco delle armi automatiche straziò la WRX. Il finestrino dalla parte di Schofield andò in frantumi, proprio mentre una sagoma mortale si profilava all'uscita della galleria. Quella del secondo Mi-34, che si librava sopra l'asfalto coi pod lanciarazzi puntati e pronti a far fuoco. «Siamo spacciati», disse Schofield, in tono quasi indifferente. Il lampo giallo fuoriuscì da uno dei pod lanciarazzi proprio mentre, all'improvviso, l'elicottero esplodeva in aria, colpito da un proiettile sparato dal cacciatorpediniere francese poco distante dalla costa. Anche il razzo del Mi-34 esplose, non avendo fatto in tempo a lasciare il tubo di lancio. L'elicottero russo precipitò contro il muretto che costeggiava la strada, dove si accartocciò come una lattina di alluminio prima di precipitare lungo i centoventi metri di scogliera. Schofield capì che l'elicottero era stato colpito per sbaglio. «C'è mancato poco», disse Gant. «Quasi», replicò Schofield, mentre uscivano dalla galleria, imprigionati contro la parete rocciosa dalle due auto della ExSol. Le tre auto percorsero un breve tratto di strada, ma poi Schofield vide
un'altra galleria che si apriva davanti a loro, a duecento metri di distanza. Un grande botto. La Ferrari urtò violentemente il fianco della WRX, costringendola ancora più a ridosso della parete rocciosa. Schofield lottò per dominare il volante. La Porsche, intanto, continuava a premere contro il paraurti posteriore. Dapprima Schofield non riuscì a capire la ragione di quella manovra, ma poi, quando guardò avanti, vide che l'entrata a volta della galleria non era rasente alla parete rocciosa, ma se ne scostava di quasi due metri. In questo modo, fintanto che la Ferrari e la Porsche fossero riuscite a tenere l'auto di Schofield e Gant vicino al muro di roccia lungo la strada, la WRX sarebbe finita inevitabilmente a sbattere contro la spalla in pietra a fianco della galleria. Schofield calcolò che avevano a disposizione cinque secondi. «Siamo messi proprio male!» esclamò Gant. «Lo so, lo so», replicò Schofield. Quattro secondi. Le tre auto sfrecciarono in formazione lungo la stretta strada costiera. Tre secondi... La Ferrari li spinse contro la parete rocciosa sulla destra, tanto che le ruote della WRX si sollevarono leggermente, strusciando contro la muraglia di pietra. Ma la Porsche dietro di essa continuò a spingere con tutta la sua velocità. «Ti prego, fa' qualcosa», supplicò Gant. Due secondi... L'arcata in pietra della galleria corse loro incontro in un lampo. «Okay...» disse Schofield. «Volete giocare duro? E allora giochiamo duro.» Uno... Proprio quando la WRX stava per andare a schiantarsi contro l'arcata d'ingresso della galleria, Schofield si lasciò sospingere dalla Ferrari ancora più vicino alla parete rocciosa, in modo da risalirla parzialmente, a un'inclinazione di 60 gradi, con le ruote di destra che ormai stavano arrampicandosi su per la parete... Poi il tempo rallentò e Schofield compì una manovra impossibile. Lasciò che la WRX risalisse a tal punto la parete rocciosa che, a cinque metri dall'arcata della galleria, l'auto si rovesciò sulla sinistra, capovolgendosi e atterrando proprio sul tetto della Ferrari che aveva a fianco. E così, per un brevissimo istante, la WRX e la Ferrari si trovarono a
viaggiare l'una sull'altra, le ruote della WRX puntate verso l'alto e il tetto appoggiato completamente sulla Ferrari rossa! Poi il tempo riprese a correre e la WRX rotolò giù, rimbalzando di nuovo a terra, e s'infilò nella galleria con la Ferrari sulla destra. Per la Porsche, sfortunatamente, non ci fu scampo. Viaggiando in coda a Schofield, la sua intenzione era stata di staccarsi dalla WRX all'ultimo momento, ma il pilota non aveva minimamente immaginato che Schofield potesse rovesciarsi sul tetto della Ferrari. Quando Schofield lo aveva fatto, il pilota della Porsche era rimasto ad ammirare quella straordinaria impresa una frazione di secondo di troppo. E quindi la Porsche andò a sbattere a tremenda velocità contro l'arcata della galleria, trasformandosi istantaneamente in una palla di fuoco. La Ferrari fu solo leggermente più fortunata. Dopo essersi liberato dalla sua morsa, Schofield cominciò a sospingerla verso la parete della galleria. In quello ci riuscì meglio di loro, tagliando la strada alla Ferrari e facendola urtare contro il muro di destra. La Ferrari si capovolse, rimbalzò e cominciò a girare vorticosamente su se stessa come una trottola impazzita, continuando a rimbalzare nello spazio ristretto della galleria da una parete all'altra, prima di fermarsi sul tetto, ridotta a un ammasso accartocciato di rottami e coi suoi occupanti privi di vita. *** Schofield e Gant schizzarono fuori della galleria proprio mentre il secondo Mi-34 si affiancava a loro, volando parallelamente alla strada, con un tiratore appostato al portello di destra che li innaffiava di pallottole. Una cosa era evidente: sebbene Schofield andasse al massimo, l'agile elicottero procedeva tranquillamente a velocità di crociera. «Fox!» gridò Schofield. «Dobbiamo sbarazzarci di quell'elicottero! Inchioda quel cecchino!» «Volentieri», rispose Gant. «Tirati indietro!» Schofield obbedì e Gant sollevò la sua pistola Desert Eagle e sparò attraverso il finestrino. Due colpi, entrambi a segno. Il cecchino cadde dall'elicottero. Era però legato a una fune di sicurezza, così, dopo essere precipitato per una dozzina di metri, la fune si tese e la sua caduta venne bruscamente arrestata. «Grazie, dolcezza», disse Schofield, osservando la figura sospesa, quando improvvisamente Gant gridò: «Scarecrow! Attento! Un'altra biforca-
zione!» Schofield riportò lo sguardo davanti a sé e vide che la strada si divideva nuovamente, stavolta con una strada laterale che scendeva a sinistra, mentre il Grand Boulevard de la Mer continuava pianeggiante a destra. Destra o sinistra? pensò. Scegli un lato. Un proiettile sparato dal cacciatorpediniere francese colpì la strada di destra. Vada per la sinistra. Sterzò a sinistra con uno stridio di gomme e scese a rotta di collo per la ripida strada secondaria. L'elicottero li inseguì. Meno di un chilometro dietro Schofield, Aloysius Knight sfrecciava lungo il Grand Boulevard de la Mer nella sua lucente Lamborghini Diablo nera. Le due motrici che avevano formato il blocco stradale poco prima ora rombavano proprio di fronte a lui, mentre più avanti c'erano le tre Peugeot con la scritta AXON che la ExSol aveva preso in prestito. Cinquanta metri oltre le Peugeot, vide la WRX azzurra di Schofield raggiungere una biforcazione della strada, inseguita dal Mi-34 superstite. Knight lanciò rapidamente un'occhiata al cacciatorpediniere sull'oceano, proprio mentre due ombre simili a uccelli sfrecciavano nell'aria sopra la nave da guerra, puntando direttamente verso la strada costiera. Sembravano decisamente dei caccia a reazione, decollati dalla portaerei francese all'orizzonte. Oh, oh... pensò Knight. Tornò a guardare davanti a sé, giusto in tempo per vedere l'auto di Schofield imboccare il bivio a sinistra, scomparendo alla vista. A quel punto gli inseguitori di Schofield effettuarono una strana manovra: le auto si divisero. Solo una delle Peugeot inseguì Schofield. Le altre due proseguirono a destra, schivando un cratere appena apertosi nell'asfalto. Poi alla biforcazione arrivarono le due motrici, che scelsero di andare a sinistra, scendendo la collina. Una mossa coordinata, rifletté Knight. Hanno un piano. Quando Knight arrivò alla biforcazione, senza esitare si buttò con la Lamborghini giù per la strada di sinistra, anche lui all'inseguimento di Schofield. La WRX di Schofield sfrecciò in discesa lungo la strada che portava alla
rimessa delle barche, tagliando gli angoli ciechi e slittando sulle curve più strette. Mentre procedeva, una grandine di proiettili, sparati dalle mitragliatrici del Mi-34 che continuava a volare basso dietro di lui, si abbatté sulle fiancate dell'auto e sulle pareti di roccia. Il cecchino morto continuava a penzolare dal portello aperto, sospeso alla fune, ondeggiando avanti e indietro come un pendolo e toccando ogni tanto la strada, dove lasciava una striscia di sangue sull'asfalto. Altri proiettili arrivavano dalla Peugeot gialla che inseguiva Schofield, sparati dal tiratore armato di Steyr che si sporgeva dal finestrino. Duecento metri dietro quella piccola battaglia a tutta velocità, anche Knight procedeva a rotta di collo. La sua Lamborghini raggiunse rapidamente le due motrici e le superò di scatto, con un'agile manovra a S, prima che si accorgessero di lui. Knight arrivò in coda alla Peugeot gialla, cercò di aggirarla sulla destra, ma questa gli bloccò la strada. Allora provò a passare sulla sinistra e diede tutto gas in un'audace manovra, sorpassando l'auto gialla sul lato dell'oceano. Il pilota della Peugeot guardò a sinistra giusto in tempo per vedere la Diablo schizzargli di fianco in un lampo nero, nello stesso istante in cui una granata M-67 sbriciolava il suo finestrino. La Lamborghini si allontanò a velocità fulminea mentre la Peugeot esplodeva in una palla di fuoco e, ormai priva di guida, mancava la curva seguente e si schiantava contro il guardrail di protezione, sfondandolo e precipitando in una lunga e lenta caduta che terminò nell'oceano Atlantico. «Schofield!» chiamò Knight alla radio. «Non sparare dietro di te. È tutto okay, sulla Lamborghini ci sono io!» «Ah, la Lamborghini. Chissà perché la cosa non mi sorprende», replicò Schofield. «Carino da parte tua unirti a noi. Puoi fare qualcosa per questo dannato elicottero?» Knight studiò al volo la situazione: la WRX azzurra di Schofield e Gant che, davanti a lui, si avvicinava rapidamente alla galleria; direttamente sopra di loro il Mi-34 e, dietro la WRX, il cecchino russo che penzolava nel vuoto e a tratti andava a sbattere sulla strada di fronte alla sua Diablo. Elicottero, cecchino, galleria, pensò. Tutto quello che gli serviva era un mezzo per la fuga. Knight lanciò un'occhiata allo specchietto retrovisore, interamente occupato dalla griglia del radiatore della prima motrice, un gigantesco Mack col caratteristico cofano allungato, che rombava alle sue spalle.
Grazie mille. «Resisti, Schofield. Quel rompiscatole lo sistemo io.» Accelerò, portando la Lamborghini sotto l'elicottero, dove non potevano vederlo, poi lanciò la macchina contro il cadavere sospeso cosicché il corpo rimbalzò sul cofano e quindi cadde attraverso il tettuccio aperto della Diablo. Knight tirò fuori un paio di manette, lo strumento più prezioso di un cacciatore di taglie, e ammanettò il polso del cecchino morto al volante della Lamborghini. Inserì il cruise control e saltò sul sedile per lanciarsi fuori del tettuccio aperto. In quel preciso momento, la grossa motrice lo raggiunse e tamponò violentemente la Lamborghini. Ma Knight era pronto all'impatto e quando i due veicoli vennero a contatto reagì rapidamente, gettandosi sulla parte posteriore piatta della Lamborghini e sparando all'impazzata contro il parabrezza del Mack, uccidendo l'autista. Poi, dal punto in cui si trovava, saltò sul lungo muso del Mack. Nel giro di pochi secondi, entrò nell'abitacolo, passando attraverso il parabrezza frantumato, e prese il comando della motrice, con una splendida visuale di ciò che stava per succedere. La WRX di Schofield schizzò verso la galleria alla base della collina. Il Mi-34, che doveva oltrepassare la galleria per riprendere Schofield dall'altra parte, si sollevò... o almeno cercò di farlo. Ma non ci riuscì a causa del peso della Lamborghini cui era ora ancorato. Il pilota dell'elicottero si rese conto un secondo troppo tardi di quanto stava succedendo. La Lamborghini s'infilò nella galleria, mentre l'elicottero vi passava sopra. Con grande orrore del pilota, la fune che li collegava si tese e si piegò mentre urtava l'arcata dell'ingresso. Il Mi-34 e la Lamborghini si avvicinarono come le due lame di un paio di forbici che si chiude. La Diablo fu sollevata completamente dal suolo, andando a schiantarsi contro il soffitto della galleria dove si accartocciò, spargendo tutt'attorno calce e lamiere. Il Mi-34 invece fu trascinato verso il basso e si abbatté sulla montagna, esplodendo in una pioggia di fuoco e rottami. Knight s'infilò come un razzo sotto quello sconquasso, sfrecciando accanto alla carcassa incendiata della Lamborghini. *** Più avanti, Schofield uscì dalla galleria e cominciò a risalire la collina a
tutta velocità. Seguì una svolta, vide la strada che saliva davanti a sé con una serie infinita di curve e controcurve e, in cima alla strada, le altre due Peugeot gialle che avevano proseguito per il Grand Boulevard de la Mer. Quelle auto erano andate avanti, prendendo la strada più breve, e avevano invertito la marcia. Ora stavano scendendo a tutta velocità, in rotta di collisione con lui e Gant. L'auto di Schofield ruggì in salita, inseguita ormai solo due veicoli: il Mack guidato da Knight e la seconda motrice, un Kenworth dal muso tozzo. Ma quando la WRX superò un angolo cieco, si trovò di colpo di fronte a una vista inaspettata: un caccia a reazione stava librandosi appena al di là della curva, col muso minacciosamente puntato verso il basso e un arsenale di missili appesi alle ali. Schofield lo riconobbe immediatamente: si trattava di un Dassault Mirage 2000N-II, l'equivalente francese del caccia a decollo verticale Harrier. La versione II, derivata dal Mirage 2000N di serie, era un caccia con capacità di decollo e atterraggio verticale dislocato solo sulle più moderne e grandi portaerei francesi. Il suo aspetto era assai simile a quello di un Harrier, tozzo e gibboso, con prese d'aria semicircolari su entrambi i lati dell'abitacolo biposto. Il cannoncino del Mirage fece fuoco e uno sciame di proiettili simili a traccianti laser colpì le pareti di roccia sopra l'auto di Schofield. Scarecrow schiacciò l'acceleratore a tavoletta, passando sotto il velivolo che cercava di virare mentre lo innaffiava di proiettili, e riuscì a sottrarsi alle raffiche mortali oltre una nuova curva proprio mentre alcuni traccianti gli scalfivano il paraurti posteriore. «Svelta, prendi il volante!» gridò a Gant. La ragazza scivolò rapidamente al posto di guida e Schofield si mise a frugare in una tasca del suo borsone e tirò fuori alcuni proiettili da 9 mm, quelli con la banda arancio di Knight: in grado di fermare un toro. «La gente, no. I caccia, sì», disse, mentre caricava i proiettili arancioni nel serbatoio della sua Desert Eagle. Terminò l'operazione nell'istante in cui un secondo Mirage piombava sulla strada proprio davanti alla WRX con le armi di bordo che eruttavano all'impazzata. Ma ora Schofield era pronto a rispondere. Si issò sul sedile del passeggero, mettendosi a sedere sul finestrino, e puntò la Desert Eagle davanti a sé. I proiettili del Mirage straziarono la
strada di fronte alla WRX proprio mentre Schofield cominciava a sparare ripetutamente contro l'aereo, colpendolo a entrambe le prese d'aria nell'istante in cui alcuni dei traccianti del caccia sfondavano il parabrezza della WRX. I proiettili a espansione di Schofield fecero un ottimo lavoro. Quando i primi colpirono le ventole delle prese d'aria del Mirage, il gas interno esplose e distrusse le pale, distorcendole e incastrandole, e facendo stallare l'aereo. Così, le altre pallottole raggiunsero facilmente i motori del jet ed esplosero nelle camere d'iniezione, che contenevano carburante altamente volatile. Bastarono solo due piccoli proiettili per distruggere un aereo da seicento milioni di dollari. Il Mixage, non più sostenuto dai motori, roteò all'impazzata in cielo, sprizzando traccianti ovunque prima di esplodere in mille pezzi in una tempesta di fuoco liquido e infine precipitare, finendo in un ammasso di rottami fumanti sulla strada a cinquanta metri dalla WRX. Schofield si lasciò ricadere all'interno dell'auto, giusto in tempo per vedere Gant accasciata contro la portiera col sangue che le sprizzava a fiotti da un'enorme ferita alla spalla sinistra. Sullo schienale del suo sedile c'era un foro largo almeno cinque centimetri, esattamente corrispondente alla sua ferita. Era stata colpita da uno dei proiettili del Mirage. «Oh, no», gemette Schofield, tuffandosi di traverso sul sedile per frenare. La WRX si fermò con uno stridio di gomme a pochi passi dal rottame del Mirage. «Fox!» urlò Schofield. «Libby!» Gant aprì faticosamente gli occhi. «Ah... fa male», si lamentò. «Forza», la esortò Schofield. Con un calcio spalancò la portiera, sollevò la ragazza e la trasportò fuori. Poi alla radio: «Knight! Dove sei?» «Sono sulla prima motrice. E ne ho un 'altra alle calcagna. Dove sei...? Ah, ti vedo.» «Fox è stata colpita. Abbiamo bisogno di un passaggio.» «Non appena mi fermo, salite in fretta, perché avrò l'altra motrice al culo.» Schofield vide Knight: il lungo muso del Mack che risaliva rapidamente il pendio. La motrice si arrestò con grande stridore di freni accanto al WRX. Knight aprì la portiera e Schofield si issò a bordo, tenendo tra le braccia Gant. Knight reinserì la marcia e diede gas giusto un istante prima che il Kenworth comparisse dalla curva dietro di loro, rombando a tutta velocità.
Il Mack sobbalzò sui rottami del Mirage sparsi sulla strada, acquistando velocità. La seconda motrice attraversò come un razzo gli stessi rottami per andare a speronare la coda del Mack di Knight che era ancora in fase di accelerazione. Knight, Schofield e Gant furono proiettati prima indietro e poi in avanti dall'impatto. I due uomini si guardarono in faccia e dissero contemporaneamente: «Ci sono due auto che ci vengono incontro!» Rimasero entrambi in silenzio: immagini speculari. «Che le è successo?» chiese Knight. «È stata colpita da un proiettile sparato da un caccia.» «Oh.» Le due motrici risalirono per la collina, con le marmitte che eruttavano un denso fumo nero. Poi le due macchine gialle sbucarono improvvisamente da un'ampia curva proprio davanti alla motrice di Knight e Schofield, scendendo a tutta velocità lo stesso pendio. Dai finestrini di entrambi i veicoli si sporgevano dal lato del passeggero due tiratori armati di fucili mitragliatori AK-47. Ma era come se sparassero con delle scacciacani. Il gigantesco Mack di Knight investì in pieno la Peugeot di sinistra, riducendola in briciole, mentre la seconda auto faceva un testacoda contro la parete di roccia della strada, prima di arrestarsi con grande stridore e venire superata dalle due motrici. Il Mack arrivò in cima alla collina e, giunto a una biforcazione, s'immise nuovamente sulla strada principale in un tratto più pianeggiante. Il Kenworth dal muso tozzo gli stava alle calcagna, seguito da vicino dalla Peugeot superstite. Ripreso l'inseguimento, l'auto balzò sulla strada principale una frazione di secondo prima che l'intera biforcazione esplodesse in una nube di terra sotto il colpo di una cannonata sparata dal sempre presente cacciatorpediniere francese. Le due grosse motrici girarono a tutta velocità attorno a una curva, con l'oceano a strapiombo sulla loro sinistra, quando improvvisamente si trovarono di fronte all'imboccatura di un'altra galleria scavata nella roccia. Questa compiva una lunga curva sulla destra, a ridosso della montagna, ed era chiaramente molto più lunga delle precedenti. Il Mack imboccò la galleria rombando a novanta all'ora, proprio mentre dietro di esso la Peugeot si affiancava al Kenworth e il tiratore che si sporgeva dal finestrino sparava una raffica di colpi contro le gomme posteriori del Mack. Le gomme esplosero e cominciarono a sbattere contro il piano
stradale, mentre il retrotreno del Mack iniziava a sbandare violentemente. E fu allora che il Kenworth tentò la sua mossa e diede tutto gas. «Ci stanno raggiungendo!» urlò Schofield. Nel ristretto spazio della galleria, la motrice si affiancò sul lato destro del Mack. «Me ne occupo io», disse Knight. Knight si spostò dal sedile di guida saltando dentro la cuccetta del Mack, da dove sparò rapidamente due colpi contro il finestrino affacciato sulla parte posteriore della motrice. Nel giro di pochi secondi Knight era scomparso al di là dell'apertura, dove ruggiva il vento. Le due motrici continuarono a correre affiancate nella galleria, superando a una a una le colonnine sul lato dell'oceano. Schofield si era messo alla guida e teneva d'occhio Gant ferita accanto a sé. La ragazza appariva grave. Da un punto imprecisato, non troppo lontano, si udì una forte esplosione nell'aria e Schofield si girò di scatto e vide il secondo caccia Mirage che sfrecciava davanti alle colonnine sulla sua sinistra, sparando davanti a loro. Non è un buon segno, pensò. Poi l'altra motrice si affiancò completamente al Mack sulla destra. Schofield vide due uomini della ExSol all'interno della cabina e, mentre la motrice si allineava, notò l'uomo armato accanto al conducente scavalcare rapidamente il posto di guida e aprire la portiera. Stava per abbordarli. Schofield sollevò la Desert Eagle per sparargli, ma ci fu solo un debole clic. Aveva esaurito le munizioni. «Maledizione!» L'uomo della ExSol superò con un balzo lo spazio tra le due motrici lanciate a tutta velocità e atterrò sul predellino del Mack, dal lato del passeggero. Quindi sollevò il mitra puntandolo verso il finestrino. Non avrebbe potuto mancare il colpo... In quello stesso momento Schofield estrasse il Maghook dalla fondina alla coscia, lo puntò contro l'aggressore e premette il grilletto. Ci fu come uno sfrigolio: il Maghook aveva esaurito il gas di propulsione. «Maledizione!» imprecò di nuovo Schofield. «Non succede mai!» Non aveva più nessuna possibilità. Lui e Gant erano bersagli che non si potevano mancare. L'uomo della ExSol se ne accorse e fece una smorfia ironica, il suo dito si contrasse sul grilletto. Ma in quel momento venne spiaccicato come una frittella quando il Kenworth, la sua motrice, andò a sbattere contro la fiancata del Mack con
tale violenza che i due mezzi per un attimo si sollevarono dal suolo! Il corpo dello sfortunato mercenario esplose in una cascata di liquido rosso, con gli occhi che gli schizzavano dalle orbite mentre cadeva a terra tra le due motrici. Quando l'uomo spari dalla sua visuale, Schofield vide il nuovo conducente del Kenworth: Aloysius Knight. Quando il mercenario della ExSol era saltato dalla portiera del Kenworth a quella del Mack, un'altra figura aveva compiuto un salto nella direzione opposta, passando dalla parte posteriore del Mack alla sezione posteriore del Kenworth. Knight. Adesso le due motrici correvano fianco a fianco nella lunga galleria curva, inseguiti solo dall'ultima Peugeot gialla. Con le sue ruote posteriori squarciate, però, il Mack di Schofield era pericolosamente instabile. La motrice slittò e sbandò all'impazzata cercando di fare presa sul terreno. Schofield azionò la radio. «Knight! Non riesco a guidarla! Dobbiamo passare da te!» «Okay, mi avvicino. Trasporta la ragazza.» Il Kenworth si accostò, grattando le fiancate. Schofield fissò rapidamente il volante del Mack con la cintura di sicurezza. Poi passò dall'altra parte, aprì con un calcio la portiera sul lato del passeggero e cercò di aiutare Gant a spostarsi. Knight aprì la portiera dal lato del guidatore e allungò la mano libera. Improvvisamente si udirono degli spari. I proiettili si abbatterono sulle sagome delle motrici. Ma era solo il tiratore sulla Peugeot inseguitrice che sparava all'impazzata. Schofield riuscì a trasferire Gant passandola a Knight - che la tirò dentro la cabina del Kenworth e la adagiò delicatamente sul sedile a fianco - subito prima che una tremenda scarica di traccianti lacerasse l'aria di fronte a lui, creando una letale barriera che lo tagliò fuori dalla motrice di Knight. Schofield spostò lo sguardo avanti e vide l'origine del nuovo fuoco di sbarramento: in fondo alla galleria, la strada piegava verso destra e appena al di fuori dell'uscita il secondo Mirage 2000N-II si librava nell'aria e col suo cannoncino sparava all'impazzata. Poi, con suo grande orrore, Schofield vide la linea dei traccianti deviare verso la sua motrice e una raffica interminabile di proiettili si abbatté sulla griglia del radiatore del Mack, riducendola a brandelli. Il motore del Mack prese fuoco, il liquido idraulico sprizzò in ogni direzione e improvvisa-
mente Schofield non riuscì più a vedere nulla attraverso il parabrezza. Pigiò sul pedale... inutile: il circuito idraulico era partito. Provò a manovrare il volante... rispondeva appena, quel tanto da fargli dire all'indirizzo del caccia: «Se ci vado io, tu vieni all'inferno con me». Il Mack proseguì la sua corsa affiancato dal Kenworth. E intanto il micidiale fuoco del Mirage continuò. Le due motrici arrivarono in fondo alla galleria ormai separate e Aloysius Knight non ebbe altra scelta che curvare a destra, mentre il Mack di Schofield, col cofano in fiamme e con le gomme posteriori lacerate che slittavano, non poté fare altro che proseguire diritto, ignorando la curva. Schofield immaginò tutto prima che accadesse. E capì che non avrebbe potuto fare nulla. «Buon Dio...» gemette. Un secondo più tardi, il Mack lanciato a tutta velocità andò a schiantarsi in pieno contro il guardrail e schizzò nel cielo limpido, puntando direttamente contro il Mirage che si librava in quel punto. *** Il Mack volò nel vuoto disegnando un arco grandioso, col muso sollevato, le ruote che giravano all'impazzata e la sua traiettoria in cielo contrassegnata dalla linea di fumo nero che si levava dal cofano in fiamme. Ma il volo terminò bruscamente quando il Mack andò a sbattere a tremenda velocità contro il Mirage che si librava appena al di là della strada costiera. La motrice e l'aereo si scontrarono con inaudita violenza e il Mirage rimbalzò indietro sotto quel tremendo impatto. Il Mack, ormai completamente in fiamme, esplose e il cofano incandescente si schiantò contro il caccia francese. Il Mirage a sua volta oscillò, poi s'inclinò e quindi esplose in un'accecante palla di fuoco. Infine precipitò per tutti i centoventi metri della scogliera coi resti del Mack incastrati nel muso, per poi andare a schiantarsi contro le onde sottostanti, sollevando un gigantesco spruzzo. E in mezzo a quel tremendo sconquasso di lamiere accartocciate, senza una fune o un Maghook su cui fare affidamento, c'era Shane M. Schofield. Knight e Gant assistettero alla scena mentre sfrecciavano a tutta velocità lungo quella strada tutta curve. Videro il Mack di Schofield sfondare il guardrail, schiantarsi contro il Mirage che si librava poco più in là e, subito
dopo, la tremenda esplosione e la lunga caduta verso l'oceano. Nessuno avrebbe potuto sopravvivere a quell'impatto. Nonostante le ferite, Gant sgranò gli occhi per l'orrore. «Oddio, no... Shane...» sussurrò. «Figlio di puttana», mormorò Knight. Un fiume di pensieri gli passò per la mente: Schofield era morto, un uomo che gli sarebbe valso milioni di dollari se fosse riuscito a mantenerlo in vita. Cosa avrebbe fatto ora? Per non parlare di quella donna ferita che non valeva assolutamente nulla per lui? La prima cosa da fare è uscire di qui alla svelta e vivo, disse una voce dentro di lui. E poi, improvvisamente, ecco che l'ultima Peugeot lo superò, dirigendosi rapidamente in fondo alla strada. Sorpreso, Knight guardò avanti e vide qualcosa di straordinario e insolito: alla prima curva, a cavallo della strada, si ergeva un piccolo edificio a forma di castello. La costruzione era in pietra ed era sormontata da spalti merlati. Era un corpo di guardia di due piani, apparentemente della stessa epoca della fortezza di Valois. Probabilmente segnava il confine del territorio della fortezza. Dall'altro lato del corpo di guardia c'era un solido ponte levatoio: copriva un precipizio largo almeno sei metri che interrompeva la strada. Era possibile superare quel fossato solo se il ponte era abbassato, come in quel momento. Ma, quando la Peugeot arrivò presso il corpo di guardia, uno degli occupanti dell'auto corse dentro e subito dopo, sotto gli occhi di Knight, il ponte levatoio cominciò lentamente a salire. «No...» esclamò Knight. «No!» E diede tutto gas. Il Kenworth si avventò ruggendo verso l'edificio medievale, acquistando man mano velocità. Il ponte levatoio saliva lentamente, sospeso alle sue catene in ferro. Stavano per interrompere la strada. La grande motrice si avventò in avanti. Il ponte si alzava lentamente: trenta centimetri, cinquanta, novanta... Gli uomini a bordo della Peugeot aprirono il fuoco proprio mentre la motrice di Knight percorreva gli ultimi cinquanta metri. Knight si abbassò. Il parabrezza andò in frantumi.
Il ponte levatoio continuò a salire, poi l'enorme motrice imboccò rombando l'arcata del corpo di guardia, sfrecciando davanti agli uomini della ExSol, e risalì il ponte levatoio come una rampa, raggiungendo facilmente i cento all'ora prima di lanciarsi oltre il bordo del ponte e saltare in cielo, sorvolando il vertiginoso baratro sottostante. Con un tonfo terrificante la motrice toccò di nuovo il terreno, rimbalzando una, due, tre volte prima che Knight riuscisse a riprendere il controllo. «Uh!» esclamò Knight, sollevato. «C'è mancato davvero po...» Una tremenda detonazione e la strada esplose sollevando una nube di terra a forma di fungo. Una cannonata sparata dal cacciatorpediniere. Knight pestò sul freno e la motrice slittò, andando ad arrestarsi a pochi centimetri da un nuovo cratere. Knight emise un lamento. La strada era semplicemente svanita, vaporizzata in tutta la sua larghezza, spalancata in una voragine lunga almeno dieci metri. Ora lui e Gant erano completamente intrappolati a ridosso della parete verticale del promontorio, circondati da enormi voragini nella strada. In quel momento, come a un preciso segnale, l'elicottero con la scritta AXON, che aveva osservato tutte le fasi dell'inseguimento da una distanza di sicurezza, scese di fianco a loro. Knight vide il pilota che parlava alla radio del casco. «Cazzo!» QUINTO ATTACCO INGHILTERRA, FRANCIA, STATI UNITI 26 OTTOBRE, ORE 14.00 [INGHILTERRA] EST [NEW YORK] ORE 09.00
«Dobbiamo fare in modo che il complesso militare-industriale non acquisisca, volontariamente o involontariamente, un'influenza ingiustificata.» DWIGHT D. EISENHOWER, discorso di congedo, gennaio 1961 AMBASCIATA DEGLI STATI UNITI LONDRA, INGHILTERRA ORE 14.00 [EST ORE 09.00] «Secondo loro, la guerra al terrorismo non è abbastanza incisiva. E, anche se i membri di Majestic-12 non hanno pianificato gli attacchi dell'11 settembre, non illudetevi, ne stanno traendo il massimo vantaggio...» L'uomo che parlava era Benjamin Y. Rosenthal, l'agente del Mossad ucciso sulla King's Tower un'ora prima. Book osservò lo schermo televisivo con attenzione. Alle sue spalle c'era l'uomo del Dipartimento di Stato, Scott Moseley. Sulla scrivania davanti a lui erano sparse centinaia di documenti: tutto ciò che Benjamin Rosenthal sapeva su Majestic-12 e quella caccia all'uomo internazionale. Book tornò a esaminare la pila di documenti. Foto scattate dal servizio di sorveglianza agli uomini che arrivavano in limousine ai summit economici. Trascrizioni d'intercettazioni telefoniche. Documenti sottratti al Dipartimento della Difesa. Perfino due documenti del controspionaggio francese, la famigerata DGSE. Uno era un dossier della DGSE su alcuni dei principali uomini d'affari del mondo che erano stati invitati a una cena privata col presidente francese sei mesi prima. Il secondo era ancora più esplosivo: vi s'illustrava la cattura, effettuata poco tempo prima dalla DGSE, di ventiquattro membri della Jihad Globale che stavano organizzando un piano per far schiantare un aerocisterna contro la torre Eiffel. Come al-Qaida, la Jihad Globale era un gruppo terroristico operativo in tutto il mondo, costituito da fanatici islamici che volevano portare il concetto di guerra santa a un nuovo livello globale. Il documento era particolarmente importante in quanto tra gli arrestati figurava Shoab Riis, una delle principali figure della Jihad Globale. Di norma, alla cattura di un terrorista di così alto profilo sarebbe stata data
la massima risonanza a livello mondiale, ma stavolta i francesi avevano tenuto l'arresto di Riis segreto. Rosenthal aveva aggiunto un commento a margine: «Tutti sono stati portati nella sede centrale della DGSE a Brest. Nessun processo. Nessuna notizia ai giornali. Nessuno dei ventiquattro è stato più visto. Possibile collegamento con Kormoran/Chameleon. La Francia sta collaborando con l'M12? Da verificare». Ma il materiale più interessante era l'interrogatorio di Rosenthal videoregistrato dal Mossad. In pratica, Rosenthal era a conoscenza di informazioni esplosive. Prima di tutto, aveva scoperto la composizione di Majestic-12. Presidente: Randolph Loch, industriale del settore militare, settant'anni, capo delle Loch-Mann Industries, fornitore della Difesa. Le L-M Industries producevano parti di ricambio per l'aviazione militare, per esempio per gli elicotteri Black Hawk. Aveva guadagnato una fortuna con la guerra del Vietnam e con l'operazione Desert Storm. Vicepresidente: Cornelius Kopassus, il leggendario armatore greco. Arthur Quandt, patriarca della famiglia Quandt, proprietari di un impero di acciaierie. Warren Shusett, il finanziere di maggior successo del mondo. J.D. Cairnton, presidente del colosso farmaceutico Astronox Pharmaceutical Company. Jonathan Killian, presidente e amministratore delegato della Axon Corp., il grande grappo specializzato nella fabbricazione di missili e costruzione di navi da guerra. L'elenco continuava. Se non fosse stato per l'assenza di alcune colossali fortune accumulate nel settore del commercio, come quella della famiglia Walton in America, degli Albrecht in Germania o dei Mattencourt in Francia, avrebbe potuto essere l'elenco delle dieci persone più ricche della terra. E, come aveva scoperto il maggiore Rosenthal, i patrimoni di tutte quelle persone avevano un'origine comune. Rosenthal sullo schermo: «Le loro fortune sono strettamente legate alla guerra. La seconda guerra mondiale è stata all'origine dell'impero dell'acciaio Quandt. Negli anni '60, Randolph Loch è stato uno dei più accesi sostenitori dell'intervento americano in Vietnam. La guerra richiede petrolio e acciaio. Richiede la costruzione di migliaia di navi, elicotteri, cannoni, bombe, cassette di pronto soccorso. In un mondo dominato dagli affari, la guerra globale è il
più grande di tutti gli affari». E in un altro passo: «Considerate l'attuale guerra al terrorismo. Gli Stati Uniti hanno sganciato più di quattromila bombe sulle montagne dell'Afghanistan, e con che risultato? Non sono riusciti a distruggere né i ponti né le strade dei rifornimenti, né i rifugi del nemico. Ma, quando vengono impiegate quattromila bombe, occorre rimpiazzarle con altre quattromila. E questo significa acquistarle. E che cos'è successo dopo l'Afghanistan? Sorpresa, sorpresa: è stata inventata una nuova guerra, stavolta contro l'Iraq». Un altro spezzone: «Non sottovalutate l'influenza che questi uomini possono esercitare. Sono loro che fanno e disfano i presidenti. Dal quasi impeachment di Bill Clinton alla nomina di un ex agente del KGB di nome Vladimir Putin alla presidenza della Russia, Majestic-12 ha sempre fatto valere la sua parola su chi deve occupare i posti di potere nel mondo e per quanto tempo. Anche se non finanzia direttamente la campagna presidenziale di un candidato, conserva sempre la capacità di estrometterlo in qualsiasi momento. A questo scopo Majestic-12 ha stretto fortissimi legami con figure di spicco dei principali servizi di sicurezza del mondo. Il direttore della CIA: un ex partner commerciale di Randolph Loch. Il capo dell 'MI-6: cognato di Cornelius Kopassus. Killian ha frequentato regolarmente la casa parigina del direttore della DGSE». L'agente del Mossad sorrise. «Dopotutto, chi è in grado di avere più informazioni sui leader di un dato Paese, dei servizi d'intelligence di quello stesso Paese?» Il volto di Rosenthal sullo schermo tornò a essere serio. «Ma, in realtà, la guerra che più piaceva all'M-12, quella che ha procurato loro più ricchezza di quanto avessero mai potuto immaginare, è stata una guerra mai effettivamente combattuta: la Guerra Fredda tra Stati Uniti e Unione Sovietica. Desert Storm, Bosnia, Somalia, Afghanistan, Iraq sono tutte guerre che impallidiscono al confronto con quella vera e propria miniera d'oro che è stata la Guerra Fredda. Perché, mentre la corsa agli armamenti di Stati Uniti e Unione Sovietica continuava a ritmo accelerato, e Corea e Vietnam erano teatro di scontri indirettamente imputabili alla Guerra Fredda, i membri dell'M-12 ammassavano fortune di proporzioni mostruose. Ma poi, nel 1991, l'impossibile si è verificato: l'Unione Sovietica si è sfaldata e tutto è svanito. E Muro di Berlino è crollato come una diga e il consumismo americano ha inondato il mondo. E i grandi vincitori di
questo nuovo mondo globalizzato non sono stati più gli industriali militari, ma i venditori americani di beni di consumo al dettaglio: Nike, Coca-Cola, Microsoft. O aziende europee come BMW e L'Oreal. Sì, non scherzo, l'industria di cosmetici! E così, da quel momento, i membri dell'M-12 si sono messi alla ricerca dell'unico evento che potrà, senza ombra di dubbio, riportarli ai tempi del loro massimo splendore...» Con un gesto teatrale, estrasse un altro documento da una delle sue cartelle e lo mostrò alla telecamera. «... una nuova Guerra Fredda.» *** Book II teneva in mano quello stesso documento. La videocassetta era adesso in modalità pausa e l'immagine di Rosenthal appariva come cristallizzata. Book scorse in fretta il documento: Provenienza Talbot
Ambrose
Jewel
Mezzo di lancio Shahab-5
W-H
Origine
Destinaz.
Ora
TN76 TN76
Shahab-5
TN76
Shahab-5
TN76
Shahab-5
TN76 N-8
00001.65 5239.10 00420.02 4900.25 01312.15 5358.75 28743.98 4104.64 28231.05 3835.70 23222.70
11.45
Shahab-5
35702.90 5001.00 35702.90 5001.00 35702.90 5001.00 28743.05 4104.55 28743.05 4104.55 23222.62
12.15
N-8
3745.75 23222.62
3745.80 24230.50
12.15
N-8
3745.75 23222.62
3533.02 23157.05
12.15
N-8
3745.75 11900.00
4930.52 11622.50
12.30
Taep Dong-2 Taep Dong-2 Taep Dong-2
Hopewell
Taep
o-
o-
o-
o-
11.45 11.45 12.00 12.00
Dong-2 Taep Dong-2 Whale
o-
N-8
Shahab-5
TN76
Shahab-5
TN76
2327.00 11900.00
4000.00 11445.80
2327.00 07040.45 2327.00 07040.45 2327.00
2243.25 07725.05 2958.65 07332.60 3230.55
12.30
12.45 12.45
Nomi e numeri balzarono incontro a Book, che dapprima non riuscì a capirci assolutamente nulla. Ma poi Book riconobbe due nomi: Shahab-5 e Taep o-Dong-2. Lo Shahab-5 e il Taep o-Dong-2 erano missili balistici intercontinentali a lunga gittata. Il primo era costruito in Iran, il secondo in Corea del Nord. Se organizzazioni terroristiche internazionali come al-Qaida o la Jihad Globale fossero mai riuscite a mettere le mani su missili in grado di scatenare attacchi nucleari contro l'Occidente, non avrebbero potuto essere altri che lo Shahab-5 e il Taep o-Dong-2. Inoltre, ognuno di quei missili era effettivamente munito di testata nucleare, come evidenziato dalle sigle successive. TN 76 indicava una testata nucleare di produzione francese, N-8 una testata nucleare nordcoreana. Ma quell'elenco non apparteneva a nessuna organizzazione terroristica. Era di Majestic-12. La realtà colpì Book come una mazzata. Possibile che Majestc-12 reciti la parte di un 'organizzazione terroristica? Book si voltò di scatto e sbloccò l'immagine di Rosenthal sullo schermo. L'agente israeliano riprese a parlare: «La nuova Guerra Fredda sarà un conflitto militare cronico per smantellare il terrorismo internazionale. Per attuare i suoi piani, Majestic-12 ha intenzione di sfruttare due progetti statunitensi: uno si chiama 'Kormoran', l'altro 'Chameleon'. Kormoran riguarda navi lanciamissili camuffate da mercantili portacontainer o da superpetroliere. Gli scafi di queste superpetroliere sono costruiti dal Kopassus Shipping Group, mentre i sistemi lanciamissili vengono assemblati e montati negli stabilimenti Axon di Norfolk, Virginia, e di Guam. Queste navi, che all'apparenza sembrano normali superpetroliere o portacontainer, possono attraccare nei porti di tutto il mondo senza dare nell'occhio. Questo è il piano Kormoran. Il progetto Chameleon, invece, è molto più
sinistro. Anzi, è forse il progetto più sinistro che sia mai stato pianificato negli Stati Uniti e riguarda i missili stessi. Perché, vedete, i missili di cui si parla nel documento non sono gli Shahab o i Taep o-Dong veri e propri, ma cloni di quei missili di produzione americana. Ogni missile di una certa potenza presenta caratteristiche particolari che consentono d'identificarlo, come l'inviluppo di volo, la forma della scia di condensa, la conformazione stessa dell'esplosione lasciata dopo un impatto. Il progetto Chameleon è strutturato in modo da sfruttare appunto queste differenze. Si tratta di un terrificante progetto statunitense in base al quale l'America costruisce missili balistici intercontinentali che riproducono le caratteristiche degli ICBM costruiti da altri Paesi. Cloni di missili. Ma il progetto Chameleon non è limitato agli Shahab iraniani o ai Taep o-Dong nordcoreani. Tra gli altri missili che sono stati clonati figurano l'indiano Agni-II, il pakistano Ghauri-II, il taiwanese Sky Horse-3, l'inglese Trident-II D-5, il francese M-5, l'israeliano Jericho-2B e, naturalmente, il russo SS-18. Questi missili sono stati progettati per scatenare guerre in modo, però, che sembri che a sparare il primo colpo sia stato qualcun altro. Se gli Stati Uniti avessero mai bisogno di una scusa per provocare un conflitto, basterà lanciare un clone di missile del Paese su cui vogliono che ricada la colpa dell'aggressione. Il problema è che il progetto Chameleon è stato appaltato alla Axon Corporation e gli scafi delle superpetroliere sono costruiti dalla Kopassus Shipping. Questo è il punto chiave. Entrambi i progetti sono stati affidati ad aziende di proprietà degli aderenti all'M-12. Alle 11.45 del 26 ottobre, assisteremo a una pioggia di missili nucleari. Una pioggia cui il mondo non ha mai assistito: coordinata e precisa. I missili colpiranno a intervalli di quindici minuti, per dare tempo ai media di tutto il mondo di registrare gli avvenimenti. Verrà annunciato l'attacco di un missile proprio mentre un altro colpirà il bersaglio, poi un altro ancora, e verranno colpite le principali città di tutto il mondo: New York, Londra, Parigi, Berlino. Il mondo precipiterà nel caos e si chiederà a quale altra grande città toccherà il prossimo colpo. Poi, quando tutto sarà finito e sarà stata avviata un'indagine, si scoprirà che i missili, in base alle loro peculiarità, sono iraniani e nordcoreani. Armi di terroristi. L'opinione pubblica mondiale ne resterà inorridita. E, naturalmente, l'orrore si trasformerà in furore. La guerra al terrorismo dovrà allargarsi, sebbene il processo sia già cominciato due anni fa. Ora andrà avanti per altri cinquanta. Una nuova Guerra Fredda avrà inizio e il complesso industriale militare verrà mobilitato come mai in passato. E Majestic-12 guadagnerà miliar-
di». *** La mente di Book prese a galoppare: superpetroliere camuffate, missili clonati, e tutto ciò creato dal suo governo. Non riusciva a crederci. Sapeva che il governo americano era capace di atti terribili, ma addossare la colpa ad altre nazioni con falsi missili? E ora i cloni stavano per venire lanciati non dal governo statunitense, ma dai costruttori di quei missili, dagli uomini di Majestic-12, contro le principali città del mondo: New York, Londra, Parigi, Berlino... New York, Londra, Parigi... Book capì il significato di quella serie di numeri dell'elenco: coordinate. Coordinate GPS delle navi lanciamissili e delle città bersaglio. Fu allora che notò i nomi delle superpetroliere del progetto Kormoran: Ambrose, Talbot, Jewel, Hopewell, Whale. Che spiritosi. Erano i nomi delle navi della flotta della Mayflower, le navi che avevano colonizzato il Nuovo Mondo. Proprio come stava cercando di fare Majestic-12: creare un nuovo mondo. Ma che cosa c'entra tutto questo con Shane Schofield e una caccia all'uomo che esige la sua morte entro mezzogiorno? si chiese Book. Poi si ricordò di Rosenthal che sul tetto della King's Tower di Londra gridava sotto la pioggia: «I riflessi sono il nodo centrale. Gli uomini in quella lista hanno i riflessi migliori del mondo. Loro hanno superato i test Cobra, e solo chi ha passato i test può disarmare il sistema di sicurezza CincLock-VII dei missili, e il CincLock-VII è la chiave di volta del piano di Majestic-12». CincLock-VII... pensò Book. Frugò tra le carte che aveva di fronte, alla ricerca di quella sigla. Non gli ci volle molto per trovarla. C'era un intero dossier con la scritta: AXON CORP. SISTEMA DI SICUREZZA BREVETTATO CINCLOCK. Era zeppo di documenti della Axon Corp. e del Dipartimento della Difesa americano. La copertina del primo documento riportava l'intestazione: PROGETTO: CHAMALEON-042 (VARIANTE COMPRENDENTE IL SISTEMA DI SICUREZZA DI LANCIO CINCLOCK-VII)
DIPARTIMENTO DELLA DIFESA USA LIVELLO DI SICUREZZA: 009 TOP SECRET Fornitore: Axon Corporation LLC Report: Maggio 2002 Book sfogliò rapidamente le pagine fino alla sezione SICUREZZA e lesse il primo paragrafo. SISTEMA DI DISATTIVAZIONE: CINCLOCK-VII Per mantenere l'alto livello di sicurezza necessario per un'arma di questo tipo, la serie di missili Chameleon è stata equipaggiata col sistema di disattivazione CincLock-VII, brevettato dalla Axon. CincLock-VII, il meccanismo antintrusione oggi più sicuro al mondo, impiega tre protocolli difensivi assolutamente unici e, se tutti e tre i protocolli non vengono applicati nella sequenza prescritta, l'attivazione (o la disattivazione) del sistema è impossibile. La chiave del sistema è il secondo protocollo, basato sui principi ben collaudati del «riconoscimento del modello» (Haynes & Simpson, MIT, 1994, 1997, 2001), in base al quale solo una persona che conosce perfettamente e sa come usare un modello sequenziale prestabilito è in grado d'inserirlo su richiesta. Chi non abbia familiarità col sistema, a meno che non sia dotato di riflessi neuromotori iperveloci, non può sperare di aggirare tale sistema (Oliphant-Nicholson, Studio NATO MNRR, USAMRMC, 1996). I test eseguiti impiegando questi principi hanno dimostrato che il sistema CincLock-VII è sicuro al 99,94 per cento contro qualsiasi uso non autorizzato. Nessun altro sistema di sicurezza militare può vantare un così alto livello di efficienza. PROTOCOLLI I tre protocolli dell'unità CincLock-VH sono i seguenti:
1. Distanza. Per impedire l'attivazione o la disattivazione non autorizzata, il CincLock non è collegato al sistema di lancio, ma è un'unità portatile. Il primo protocollo, quindi, è quello della distanza dal sistema di lancio. CincLock è in grado di operare solo entro un raggio di diciotto (18) metri dall'unità di elaborazione centrale di un missile Chameleon. 2. Unità di risposta al sensore luminoso. Una volta entro il perimetro operativo, l'operatore deve stabilire una connessione modem wireless col sistema di disattivazione, che si ottiene soddisfacendo l'interfaccia brevettata Axon del sensore luminoso. È qui che i principi di riconoscimento dei modelli svolgono una funzione cruciale (si vedano i risultati dello Studio NATO MNRR, USAMRMC, 1996). 3. Codice di sicurezza. Immissione del codice di disattivazione o attivazione. A quest'ultima riga Rosenthal aveva aggiunto: «Il Codice Universale di Disattivazione è stato supervisionato dal soggetto Weitzman. Le ultime informazioni del controspionaggio ipotizzano l'uso di un numero primo di Mersenne ancora da determinare». A quella sezione del protocollo era stata pinzata un'altra pagina. Era la trascrizione di un'intercettazione telefonica del Mossad: Trans log: Data: Reg. da:
B2-3-001-889 25 aprile, EST ore 15.15 Axon Corp., Norfolk, Virginia, USA
Katsa:
Rosenthal, Benjamin Y. (452-7621)
VOCE 1 (DALTON, P.J., RESPONSABILE TECNICO AXON): Signore, è arrivato il rapporto dell'ispezione del Dipartimento della Difesa. È buono. Sono molto soddisfatti dei nostri progressi. E gli è piaciuto in modo particolare CincLock. Non stavano nella pelle dalla felicità. Cristo, sembravano come bambini con un nuovo giocattolo che cercano di smontare. VOCE 2 (KILLIAN, J.J., PRESIDENTE E AD AXON): Eccellente, Peter, Eccellente. C'è dell'altro? VOCE 1 (DALTON): La prossima ispezione di sorveglianza. Il Dipartimento della Difesa ha chiesto se avevamo scelto una data. VOCE 2 (KILLIAN): Perché non facciamo il 26 ottobre? Penso che quel giorno andrebbe benissimo ad alcuni dei nostri partner in questo progetto. Book II si lasciò andare contro lo schienale. 26 ottobre. Killian aveva fissato quella data per l'ispezione della Commissione di vigilanza del Dipartimento della Difesa. Poi Book lesse il documento seguente e improvvisamente il significato di quella caccia all'uomo divenne chiaro. Ironia della sorte, quello era il più innocuo tra tutti i documenti che aveva studiato fino a quel momento. Era un'e-mail interna della Axon Corp.: Da: A: Data: Oggetto:
Peter Dalton Tutto il personale tecnico, Progetto «C-042» 26 aprile 2003, ore 19.58 PROSSIMA ISPEZIONE DEL DIPARTIMENTO DELLA DIFESA
Signore e signori, sono lieto di annunciarvi che l'ispezione semestrale della scorsa settimana condotta dalla Commissione di vigilanza del Dipartimento della Difesa è andata benissimo. Vi ringrazio tutti per il duro lavoro svolto, specialmente nel corso degli ultimi mesi. La commissione è rimasta molto colpita dai nostri progressi e stupefatta dalle soluzioni tecnologiche. La prossima ispezione è prevista per il 2 6 ottobre nello stabili-
mento di Norfolk e avrà inizio alle ore 12.00, solo per i capi dipartimento. Come al solito nella settimana precedente all'ispezione verranno applicate severe misure di sicurezza. Cordiali saluti, P. D. E quello era tutto. Alle 12.00 di quel giorno, 26 ottobre, il Dipartimento della Difesa avrebbe inviato degli ispettori nella fabbrica di missili della Axon a Norfolk, in Virginia. E, presumibilmente, a quell'ora, avrebbe scoperto che c'era qualcosa che non andava, che i missili erano stati in qualche modo manomessi o magari erano addirittura scomparsi, rubati... e allora... il governo sarebbe andato a cercare gli unici uomini al mondo in grado di disarmare il sistema CincLock. Uomini dotati di riflessi straordinari. Gli uomini della lista. A Book venne in mente che, per qualche strana ragione, Killian e Majestic-12 volevano che il governo americano eseguisse quel giorno l'ispezione. Sebbene non sapesse ancora perché, l'ispezione odierna faceva in qualche modo parte integrante del piano. Eppure c'era dell'altro. Book aveva sempre sospettato che quella caccia potesse solo servire a mettere in guardia proprio quegli uomini che avrebbero potuto sventare i piani dell'M-12. Ma ora quel documento spiegava come stavano realmente le cose. Alle 12.00, il governo americano avrebbe scoperto qualcosa nello stabilimento di Norfolk della Axon che riguardava i missili Chameleon e le navi Kormoran. Qualcosa che era d'importanza cruciale per il piano di Majestic-12 volto a scatenare una nuova Guerra Fredda. «Dobbiamo arrivare a quello stabilimento», disse Book ad alta voce. Poi si rivolse a Scott Moseley. «Signor Moseley, chiami il Dipartimento della Difesa. Gli dica di anticipare l'arrivo degli ispettori dell'operazione Kormoran-Chameleon e di allertare i nostri uomini a Guam. Che qualcuno vada a controllare anche lo stabilimento della Axon laggiù.» «Ricevuto», rispose Moseley. Book tornò a concentrarsi sul fiume di numeri decimali dell'elenco: le coordinate GPS dei luoghi di lancio e degli obiettivi. «Meglio scoprire da dove verranno lanciati questi missili e dove colpiranno.» Mentre avviava un programma di elaborazione GPS sul computer, attivò la radio satellitare. «Capitano Schofield, sono Book! Risponda! Ho grosse
novità per lei...» NEI PRESSI DELLA FORTEZZA DI VALOIS BRETAGNA, FRANCIA 26 OTTOBRE, ORE 15.00 [EST ORE 09.00] L'elicottero della Axon che si era affiancato ad Aloysius Knight e a Libby Gant sfrecciò lungo la linea costiera, sempre più piccolo, in direzione della fortezza di Valois, con a bordo proprio Knight e Gant. Una figura solitaria che si dibatteva nelle acque dell'oceano vicino al promontorio lo osservò allontanarsi. Schofield. Ovviamente, quando il suo Mack in fiamme era volato contro il caccia Mirage, Schofield non era più a bordo. Non appena le ruote della motrice si erano staccate da terra, Schofield si era lanciato fuori, precipitando nel vuoto. Quindi Schofield era già lontano quando i due mezzi erano esplosi in una palla di fuoco, ma non poteva essere visto né da Gant né da Knight... e aveva continuato a precipitare con la velocità di un proiettile. Il suo primo pensiero era stato: Il Maghook! Ma non stavolta, il propellente è esaurito. Maledizione! Aveva continuato a cadere, non verticalmente, ma in linea obliqua grazie all'inerzia della motrice, e la parete del promontorio gli era sfrecciata davanti agli occhi a velocità terrificante. Aveva visto le onde dell'oceano avventarglisi contro. Se avesse urtato la superficie del mare da quell'altezza, il suo corpo sarebbe esploso come un pomodoro troppo maturo. Fa ' qualcosa! aveva gridato la sua mente. Che cosa? Poi aveva ricordato. Aveva dato uno strattone alla fune dell'imbracatura che aveva al torace. La fune era attaccata al paracadute che aveva ancora sulla schiena. Lo aveva indosso da quando aveva ingaggiato la battaglia a bordo dell'Hercules ed era un paracadute così compatto che quasi se n'era dimenticato. Il paracadute si aprì ad appena venticinque metri dalla superficie del mare. Non frenò del tutto la sua caduta, ma fu sufficiente. A sei metri dalle onde sentì un forte strappo e la sua velocità di caduta si ridusse sensibil-
mente, prima di andare a infilarsi nell'acqua coi piedi mentre si liberava del paracadute e s'immergeva, lasciando una scia di bollicine sopra di sé. Appena in tempo. Un istante dopo il Mack e il Mirage erano precipitati tra le onde vicino a lui in un fiammeggiante ammasso di rottami metallici. Schofield era riaffiorato vicino al promontorio. Attento a rimanere fuori vista, aveva nuotato tra i rottami e un minuto più tardi aveva visto l'elicottero della Axon virare attorno a un vicino costone e sfrecciare verso il castello. Chissà se Gant e Knight erano riusciti a sfuggirgli... O erano a bordo dell'elicottero? «Fox! Fox! Rispondi! Sono io, Scarecrow», sussurrò nel laringofono. «Sono ancora vivo. Tutto okay?» Gli rispose un difficoltoso colpo di tosse. Era una vecchia tecnica... Fox era lassù, ma evidentemente non poteva parlare. L'avevano presa. «Uno per 'sì', due per 'no'. Sei a bordo dell'elicottero della Axon?» Un colpo di tosse. «Sei ferita gravemente?» Un colpo. «Molto gravemente?» Un colpo. Merda, pensò Schofield. «Knight è con te?» Un colpo. «Vi stanno portando al castello?» Un colpo. «Resisti, Libby. Vengo a prenderti.» Schofield si guardò attorno, e stava per mettersi a nuotare in direzione della riva, quando vide improvvisamente il cacciatorpediniere francese spuntare poco lontano dalla costa e arrestarsi a duecento metri da lui. Vide anche una piccola lancia da ricognizione che veniva abbassata nell'acqua dalla murata della grande nave da guerra, con a bordo almeno una dozzina di uomini. La lancia ammarò e immediatamente schizzò via dal cacciatorpediniere puntando dritta verso di lui. Schofield non poteva fare altro che guardare la lancia avvicinarsi. «Sono sicuro che i francesi si sono scordati di quella faccenda in Antar-
tide», mormorò. Poi il suo auricolare gracchiò. «Capitano Schofield, sono Book! Risponda! Ho grosse novità per lei.» «Ehi, Book, sono qui.» «Può parlare?» Schofield ballonzolava su e giù al ritmo delle onde dell'Atlantico. «Sì, certo, perché no.» Gettò un'occhiata alla lancia che ormai era solo a circa centocinquanta metri da lui. «Anche se devo avvertirti che sto per morire.» «Sì, ma ora so il perché», rispose Book II. «Book, collega anche Gant e Knight», disse Schofield. «Non possono parlare, ma voglio che sentano anche loro.» Book eseguì. Poi raccontò tutto ciò che aveva scoperto sulle superpetroliere del progetto Kormoran, sui cloni di missili del progetto Chameleon e sul piano di Majestic-12 di scatenare una nuova Guerra Fredda lanciando quei missili contro le principali città del mondo. Riferì anche del sistema di sicurezza CincLock-VII, che solo Schofield e gli altri nomi della lista erano in grado di disarmare, e del Codice Universale di Disattivazione statunitense inserito da Ronson Weitzman, un codice che Rosenthal aveva descritto come un «numero primo di Mersenne ancora da determinare». Schofield aggrottò la fronte. «Un numero primo di Mersenne... è un numero...» Nella mente gli balenò l'immagine del generale Ronson Weitzman sull'Hercules che blaterava in modo incoerente sotto l'influenza del siero della verità britannico: «Non era solo il Kormoran. Era anche il Chameleon... Oddio, Kormoran e Chameleon insieme. Navi e missili. Tutti camuffati. Cristo... Ma il Codice Universale di Disattivazione cambia ogni settimana. Al momento è... il sesto... Oddio, il sesto mercen... mercen...» Mersenne! Allora Schofield aveva pensato che Weitzman stesse facendo confusione e cercasse di pronunciare la parola «mercenario». Ma non era così. Sotto l'influenza del siero, Weitzman aveva detto la verità. Il Codice Universale di Disattivazione era il sesto numero primo di Mersenne. Mentre Book riferiva la sua storia a Schofield e agli altri, dietro di lui Scott Moseley era impegnato a inserire le coordinate GPS della lista di lancio nel suo programma di elaborazione. «Ho trovato tre navi», disse Moseley. «Le prime coordinate indicano la
posizione della nave di lancio Kormoran, le seconde il bersaglio.» Passò a Book il documento su cui erano stati aggiunti ed evidenziati i nomi delle località:
Provenienza Talbot
Mezzo di lancio Shahab5
W-H
Origine
Destinaz.
Ora
TN76
35702.90
00001.65
11.45
5239.10 (Londra)
Shahab-
5001.00 (La Manica) TN76 35702.90
Shahab-
5001.00 (La Manica) TN76 35702.90
Shahab-
5001.00 (La Manica) TN76 28743.05
Shahab-
4104.55 (New York) TN76 28743.05
00420.02
11.45
5 4900.25 (Parigi) 01312.15
11.45
5
Ambrose
5358.75 (Berlino) 28743.98
12.00
5 4104.64 (New York) 28231.05
12.00
5
Jewel
Taep oDong-2
Taep o-
N-8
4104.55 (New York) 23222.62
N-8
3745.75 (San Fran) 23222.62
3835.70 (Washington) 23222.70
12.15
3745.80 (San Fran) 24230.50
12.15
Dong-2
Taep oDong-2
N-8
3745.75 3533.02 (San (Los AngeFran) les) 23222.62 23157.05 3745.75 (San Fran)
12.15
4930.52 (Seattle)
Moseley segnò i punti sulla mappa. «La prima nave è al largo di Cherbourg, Francia, vicino alle spiagge della Normandia.» Book trasmise la notizia a Schofield. «La prima è nella Manica, al largo di Cherbourg, vicino alle spiagge della Normandia. Lancerà i missili su Londra, Parigi e Berlino. Le due navi successive si trovano a New York e a San Francisco e ognuna colpirà più città.» «Cristo», esclamò Schofield mentre ballonzolava sull'acqua. La lancia era a cinquanta metri, gli era quasi addosso. «Okay, Book, ascolta», disse, mentre un'onda gli schiaffeggiava il viso. Sputò una boccata di acqua salata. «Interdizione sottomarina. Quelle navi lanciamissili non potranno lanciare un bel nulla se si troveranno sul fondo dell'oceano. Decodifica le posizioni GPS di tutte le petroliere del progetto Kormoran e contatta tutti i sottomarini d'attacco che abbiamo nelle vicinanze: 688I, altri sottomarini, non m'importa. Qualsiasi cosa abbia un siluro a bordo. Poi spediscili contro le navi Kormoran.» «In questo modo potremo far fuori alcune delle petroliere, Scarecrow, ma di certo non tutte.» «Lo so», ribatté Schofield. «Se non possiamo distruggere una nave lanciamissili dovremo abbordarla e disarmare i missili nei silos. Il punto è che un'unità di risposta a segnale luminoso ha bisogno di un operatore, ovvero di me, che reagisca a un programma di disattivazione sul video dell'unità. Il che significa che dovrei trovarmi in un raggio di diciotto metri dal pannello di controllo di ogni missile per poterlo disattivare, ma non posso essere in ogni parte del mondo nello stesso tempo. Perciò mi servono delle persone sulle navi di lancio per collegarmi via satellite coi missili di quelle navi.» «Ha bisogno di uomini su ogni nave?»
«Esattamente, Book. Se non ci sono sottomarini nella zona, qualcuno dovrà salire a bordo di ogni nave del progetto Kormoran, arrivare a meno di diciotto metri dal pannello di controllo del missile, effettuare un collegamento satellitare a quel pannello di controllo e poi collegarsi con me. Solo allora potrò usare un'unità CincLock per fermare tutti i missili.» «Merda!» esclamò Book. «Che cosa vuole che faccia di preciso?» Un'altra onda s'infranse sopra la testa di Schofield. «Va' a New York, Book. Chiama David Fairfax e poi mandalo a San Francisco. Ho bisogno di gente di cui possa fidarmi a bordo di quelle petroliere. Ah, chiedi a Fairfax qual è il sesto numero primo di Mersenne. Se non lo sa, digli di scoprirlo. E poi fai intervenire gli ispettori del Dipartimento della Difesa prima dell'ora fissata, quelli che dovevano andare a ispezionare la fabbrica di missili della Axon a Norfolk, alle 12.00. Voglio sapere che cos'è successo in quello stabilimento.» «Questo l'ho già fatto», replicò Book II «Bene.» «E lei?» chiese Book. In quell'esatto momento la lancia francese si arrestò accanto a Schofield. Un gruppo di marinai dall'espressione truce lo inquadrò nei mirini dei fucili d'assalto FAMAS. «Non mi hanno ancora ucciso», rispose Schofield. «Il che significa che qualcuno vuole parlarmi e che, quindi, sono ancora in gioco. Chiudo.» Non appena terminata la comunicazione, Schofield venne tirato fuori dall'acqua sotto la minaccia dei fucili. CASA BIANCA WASHINGTON, DC, STATI UNITI 26 OTTOBRE, ORE 09.15 [FRANCIA ORE 15.15] Nella sala operativa della Casa Bianca l'attività era frenetica. Gli assistenti correvano qua e là. Generali e ammiragli parlavano su linee sicure. Le parole sulle labbra di tutti erano «Kormoran», «Chameleon» e «Shane Schofield». Il presidente entrò nella sala proprio mentre un alto ufficiale della marina, l'ammiraglio Gaines, si premeva il telefono sulla spalla. «Signor presidente», disse Gaines. «Ho qui Moseley in linea da Londra. Dice che Schofield vuole che i sottomarini attacchino dei bersagli di super-
ficie in svariate parti del mondo. Signore, spero che non sia permesso a un semplice capitano dei marine di soli trent'anni di comandare l'intera marina degli Stati Uniti, vero?» «Lei farà esattamente come dice il capitano Schofield, ammiraglio», gli rispose il presidente. «Gli dia tutto quello che vuole. Se dice d'impiegare i sottomarini, impieghi i sottomarini. Se dice di effettuare un blocco navale contro la Corea del Nord, lo faccia. Mi sembrava di essere stato chiaro in merito, signori! Non voglio che corriate a verificare con me ogni cosa che chiede Schofield. Il destino del mondo potrebbe essere proprio sulle sue spalle. Conosco personalmente quell'uomo e mi fido di lui. Che diavolo, gli affiderei la mia stessa vita! Qualsiasi cosa voglia, che non sia un attacco nucleare, la faccia e mi informi solo in seguito. E adesso invii quei sottomarini!» UFFICI DELLA DEFENSE INTELLIGENCE AGENCY SOTTOLIVELLO 3, PENTAGONO WASHINGTON, DC, STATI UNITI 26 OTTOBRE, ORE 09.30 [FRANCIA ORE 15.30] Un David Fairfax ferito e malconcio si trascinò nel suo ufficio del Pentagono scortato da un paio di poliziotti. Wendel Hogg lo stava aspettando, accanto ad Audrey. «Fairfax!» ruggì Hogg. «Ma dove diavolo sei stato?» «Oggi penso proprio che me ne andrò a casa», disse Fairfax abbacchiato. «Stronzate», replicò Hogg. «Farai rapporto all'istante! Poi andrai al piano di sopra per rispondere alla commissione disciplinare sui regolamenti di sicurezza numero 402 e 403 del Pentagono...» Fairfax era troppo stanco per ribattere e rimase ad ascoltarlo senza muoversi. «... e poi, poi, te ne potrai anche uscire di qui, caro il mio furbastro. Finalmente imparerai che non sei affatto speciale, tesoro mio, che non sei intoccabile e...» Hogg scoccò un'occhiata ad Audrey, «che fanno benissimo a lasciare la responsabilità della sicurezza di questo Paese a gente come me, uno capace di combattere, preparato a tenere un facile in mano e mettere la propria vita a...» Non riuscì a finire la frase. Un'intera squadra di marine entrò rumorosamente dalla porta alle spalle di Fairfax. Indossavano l'uniforme da combat-
timento ed erano armati di tutto punto: fucili d'assalto Colt Commando, MP-7, sguardo spietato. Fairfax strabuzzò gli occhi. Il capo dei marine fece un passo avanti. «Signori. Sono il capitano Andrew Trent, corpo dei marine degli Stati Uniti. Cerco David Fairfax.» Fairfax deglutì. Audrey boccheggiò. Hogg stava letteralmente per esplodere. «Cosa cazzo sta succedendo qui?» Il marine di nome Trent fece un altro passo avanti. Era un tipo tutto muscoli e, armato fino ai denti, faceva davvero impressione. «Credo che lei sia Hogg», disse Trent. «Signor Hogg, i miei ordini vengono direttamente dal presidente degli Stati Uniti. Siamo nel bel mezzo di una crisi internazionale potenzialmente devastante e, in questo momento, il signor Fairfax è forse la quarta persona più importante del Paese. Ho ricevuto l'ordine di scortarlo in una missione di grandissima importanza e proteggerlo a costo della mia stessa vita. Quindi spero non le dispiaccia troppo, signor Hogg, togliersi dai piedi.» Hogg rimase immobile, impietrito. Audrey fissò Fairfax, stupita. Lo stesso Fairfax esitava. Dopo quanto era successo in mattinata non sapeva più a chi credere. «Signor Fairfax», riprese Trent. «Mi ha mandato Shane Schofield. Dice che ha ancora bisogno del suo aiuto. Se, malgrado tutto, non dovesse credermi...» Trent gli allungò la radio. In collegamento c'era Book II. Ventidue minuti dopo, David Fairfax era seduto a bordo di un Concorde diretto a ovest a velocità supersonica. Destinazione: San Francisco. Mentre andavano all'aeroporto, Book gli aveva brevemente spiegato cosa voleva Schofield e gli aveva fatto una domanda di matematica: quale fosse il sesto numero primo di Mersenne. «Il sesto numero primo di Mersenne?» aveva ripetuto Fairfax. «Avrei bisogno di carta e penna.» Ora si trovava sul Concorde - concentrato su un pezzo di carta sul quale scriveva furiosamente -, attraversando come un fulmine l'intero continente, da solo. A dire il vero, era solo per modo di dire: aveva con sé la guardia armata di dodici marine degli Stati Uniti.
CANTIERE NAVALE E STABILIMENTO MISSILI DELLA AXON CORPORATION NORFOLK, VIRGINIA, STATI UNITI 26 OTTOBRE, ORE 09.35 [FRANCIA ORE 15.35] Il gruppo di ispettori del Dipartimento della Difesa, addetto al progetto congiunto Kormoran-Chameleon, si avviava verso le installazioni della Axon a Norfolk, in Virginia, circondato da due squadre di marine. Il complesso della Axon torreggiava su di loro: un impressionante paesaggio industriale comprendente decine e decine di edifici interconnessi, otto giganteschi bacini di carenaggio e innumerevoli gru che svettavano nel cielo. Era lì che la Axon Corp. montava sulle navi degli Stati Uniti i suoi sofisticati sistemi missilistici. A volte, la Axon costruiva addirittura le navi integralmente. In quel momento, nei bacini dell'impianto c'era una solitaria e gigantesca superpetroliera ricoperta da incastellature di gru. Eppure, stranamente, alle 9.30 non si vedevano segni di vita. I marine si precipitarono dentro l'impianto. Nessun colpo di fucile. Nessuna battaglia. In pochi minuti l'area fu dichiarata sicura e il comandante dei marine disse via radio: «Gli ispettori del Dipartimento della Difesa possono entrare. Ma attenti, non è un bello spettacolo». L'odore era insopportabile: puzza di carne putrefatta. La zona dell'ufficio principale era un lago di sangue. C'erano macchie sulle pareti, incrostazioni sulle scrivanie, rivoli di sangue si erano addirittura seccati mentre stavano ancora colando dalle scale di acciaio, formando macabre stalattiti. Per fortuna le migliaia di operai della Axon erano state risparmiate perché, la settimana precedente l'ispezione, l'impianto era rimasto chiuso per ragioni di sicurezza. Tuttavia, il personale tecnico e i dirigenti non erano stati cosi fortunati. Infatti giacevano sul pavimento del laboratorio principale, sistemati in una bella fila ordinata, giustiziati in ginocchio, uno dopo l'altro. Ripugnanti
chiazze di sangue segnavano le pareti dietro i loro corpi. Per tutta la settimana, i ratti avevano banchettato coi loro cadaveri. In mezzo a quel carnaio, però, c'erano cinque corpi in una strana posizione: non erano impiegati della Axon. Era chiaro che gli uomini della Axon si erano difesi e che l'esigua forza di sicurezza aveva ucciso qualche aggressore. I cinque corpi sospetti giacevano in vari punti dell'impianto, alcuni erano stati colpiti alla testa, altri al petto, e accanto ai cadaveri c'erano dei fucili AK-47. Gli estranei indossavano tute militari nere, ma anche una kefiah araba nera che copriva il loro volto. Nonostante lo stato pietoso dei corpi mangiati dai topi, era visibile sulle spalle di tutti il tatuaggio con la doppia scimitarra, il marchio dell'organizzazione terroristica Jihad Globale. Gli ispettori del Dipartimento della Difesa valutarono in fretta i danni, con l'aiuto dell'ISS e dell'FBI. Parlarono al telefono anche con i loro colleghi che si trovavano alla Axon Pacific a Guam. Anche lì era avvenuto un massacro simile. Quando la notizia fu certa, uno degli ispettori compose un numero sicuro per parlare con la Casa Bianca. «Brutta situazione», disse. «A Norfolk abbiamo quindici morti: nove tecnici, sei addetti alla sicurezza. Perdite nemiche: cinque terroristi morti. I periti affermano che i corpi sono in decomposizione da otto giorni. Ora del decesso impossibile da definire. Stessa storia a Guam, anche se là è morto solo un terrorista. Tutti i terroristi sono stati identificati dall'FBI come noti membri della Jihad Globale... tra cui un pesce abbastanza grosso, un certo Shoab Riis. Però, signore, il peggio è questo: i terroristi coinvolti dovevano essere molti di più. Dall'impianto di Norfolk mancano tre superpetroliere Kormoran e due mancano a Guam... E tutte sono armate coi missili Chameleon.» SPAZIO AEREO SOPRA LA COSTA FRANCESE 26 OTTOBRE, ORE 15.40 [EST ORE 09.40] Il Black Raven scese in picchiata diretto alla fortezza di Valois. «Allora, Rufus, devo capire una cosa», disse Mother. «Cos'è questa storia col tuo capo? Voglio dire, che ci fa un onesto pesciolino come te con
uno schifoso bastardo come Knight?» Rufus, seduto sul sedile anteriore del Sukhoi, sollevò la testa. «Il capitano Knight non è cattivo», rispose, con un chiaro accento meridionale. «E di sicuro non è come tutti dicono. È vero, uccide senza pensarci due volte - credimi, l'ho visto spesso all'opera -, ma non è sempre stato così spietato. Lo hanno fatto diventare un assassino. Non è un santo, questo è sicuro, però non è cattivo. E poi mi ha sempre protetto.» «Già...» Mother era molto preoccupata di quel cacciatore di taglie che avrebbe dovuto proteggere Schofield. «E come la mettiamo con tutta quella roba in archivio? Ha tradito la sua unità Delta in Sudan e ha avvisato alQaida dell'attacco lasciando che i suoi ragazzi finissero in trappola. Tredici uomini, giusto? Tutti morti per causa sua.» Rufus annui tristemente. «Sì, ho visto anch'io quella pratica. Se posso permettermi, tutta la storia del Sudan è merda secca. Lo so perché io ero là. Il capitano Knight non ha mai tradito nessuno. E, sicuro come l'oro, non ha lasciato morire tredici uomini.» «Non li ha abbandonati laggiù?» chiese Mother. «No, signore», disse Rufus. «Knight li ha ammazzati con le sue mani, quei succhiacazzi.» «In quel periodo ero pilota di elicotteri», continuò Rufus. «Ero sui NightStalker e trasportavo i ragazzi della Delta come Knight nelle missioni segrete in Sudan: attaccavamo i campi di addestramento dei terroristi per rappresaglia dopo gli attentati alle nostre ambasciate in Kenya e Tanzania, nel 1998. Partivamo dallo Yemen e, dopo aver attraversato il mar Rosso, entravamo in Sudan volando a bassissima quota. Ho conosciuto Knight alla base di Aden. Era un tipo tranquillo, stava quasi sempre per conto suo. Leggeva dei libri, capito, quelli belli spessi, senza figure. Poi scriveva di continuo lettere alla giovane moglie a casa. Era diverso dalla maggior parte dei ragazzi della mia unità, i piloti degli elicotteri. Con me quelli non erano tanto gentili. Sai, io sono un tipo sveglio, ma a modo mio: so fare fisica e matematica liscio come l'olio ed è proprio per questo che posso far volare un elicottero o un aeroplano meglio di chiunque altro. Cioè, io non sono un granché nei rapporti sociali. Certe volte non capisco le barzellette, specie quelle sporche. Roba così. Sicché gli altri piloti NightStalker, ecco, si divertivano a prendermi in giro... tipo mandare un'infermiera dell'ospedale al mio tavolo in mensa per fare tutta la sexy con me. O mettermi in lista per le riunioni in cui invece non dovevo esserci. Roba così. Invece di
chiamarmi Rufus, mi chiamavano 'Puffus'. E anche qualcuno dei ranger della base ha cominciato a chiamarmi a quel modo. Lo detestavo. Però il capitano Knight non mi ha mai chiamato così. Nemmeno una volta. Mi chiamava sempre col nome giusto. Una volta, lui è passato dalle parti della mia branda proprio quando alcuni di quei piloti bastardi mi avevano preso tutti i libri che avevo sul comodino mentre dormivo e li avevano sostituiti con delle riviste porno. Ridevano tutti come matti e il capitano Knight allora ha chiesto cosa fosse successo. Un pilota che si chiamava Harry Hartley gli ha detto di andare affanculo e pensare ai fatti suoi. Knight è rimasto lì sulla porta, senza muovere un muscolo. Hartley gli ha ripetuto di levarsi dai piedi, ma Knight non si muoveva. Così Hartley gli è andato vicino con aria rabbiosa e gli ha dato una spinta. Knight ha buttato a terra quel pezzo di merda usando solo le gambe, poi ha premuto il ginocchio sulla gola di Hartley e gli ha detto che le mie qualità di pilota erano molto importanti per lui e che dovevano lasciarmi in pace... altrimenti sarebbe tornato. Da quel giorno non mi hanno più fatto scherzi.» «E allora cos'è successo quando sono morti i tredici soldati in Sudan?» chiese Mother. «Knight andava quasi sempre in missione da solo», rispose Rufus. «I ragazzi della Delta possono farlo. Un uomo solo può essere più pericoloso di un intero plotone. Comunque, una notte era a Port Sudan, appostato fuori di un vecchio magazzino. Quel posto è una città fantasma, deserta, rasa al suolo da forze infernali. Era proprio per questo che al-Qaida aveva lì un campo di addestramento, dentro quell'enorme magazzino. Per cui Knight entra e aspetta. Quella notte si svolgeva un incontro molto importante, lì. Non la solita riunione di contrabbandieri di al-Qaida coi trafficanti d'armi russi. No, era proprio Bin Laden in persona che s'incontrava con tre traditori della CIA per parlare degli attentati all'ambasciata. Knight manda un segnale digitale all'esterno per specificare la sua posizione e per chiedere rinforzi, indicando anche la presenza di Bin Laden. Si offre di liquidarlo, ma dal comando gli rispondono di attendere, perché un gruppo Delta è già in volo. L'unità arriva da Aden, sedici uomini su un Black Hawk pilotato da me. Naturalmente, quando arriviamo al magazzino, Bin Laden se n'è già andato. Ci incontriamo con Knight al punto di contatto sulla costa, un faro abbandonato. È incazzato di brutto. Il capo della Delta è un teppista che si chiama Brandeis, capitano Wade Brandeis. Dice a Knight che c'è qualcosa di molto più importante lì. Knight gira sui tacchi e si avvia verso l'elicottero disgustato. Poi, dietro le sue spalle, quel cazzone di Brandeis fa un
cenno a due dei suoi e dice: 'Anche il pilota dell'elicottero, non voglio testimoni'. E allora questi Delta alzano gli MP-5 contro la schiena di Knight e contro di me. Non ho avuto nemmeno il tempo di gridare, ma non è stato necessario. Knight li aveva sentiti muoversi. Più tardi mi ha spiegato che aveva sentito il rumore delle maniche che sfregavano contro il giubbetto antiproiettile... il rumore di qualcuno che sollevava un fucile. Un secondo prima che quelli sparino, Knight scatta in avanti e mi spinge dentro la cabina dell'elicottero. I Delta ci inseguono e fanno fuoco coi fucili col silenziatore, ma Knight si muove molto più in fretta. Mi spinge dall'altra parte e poi mi trascina per un bel pezzo di terreno aperto fin dentro il faro. Impossibile raccontare quello che è successo dopo, dentro quel faro. I Delta ci sono venuti dietro, tutto il gruppo. Sedici uomini. Ne sono usciti vivi solo in tre. Knight ne ammazzò nove dentro il faro, prima che Brandeis e altri due abbandonassero i loro caduti per svignarsela fuori di lì. Brandeis sapeva che Knight doveva ancora vedersela con almeno altri quattro uomini, e allora piazzò una carica di esplosivo Thermite-Amatol da demolizione proprio davanti all'ingresso. Non so se ha mai visto esplodere una carica come quella, ma si tratta di un'esplosione micidiale. Be', la carica è esplosa e il vecchio faro è venuto giù come una grande sequoia abbattuta. Tutta la zona ha tremato come se ci fosse stato un terremoto. Quando la polvere si è posata non c'era più niente... niente... un'inutile pila di detriti. Nessuno avrebbe potuto sopravvivere lì dentro. Noi no di sicuro. Nemmeno i quattro Delta che Brandeis aveva abbandonato dentro. Allora Brandeis e gli altri due si sono presi il mio elicottero e sono tornati a Aden. In effetti, il crollo del faro aveva ucciso i quattro Delta: li aveva schiacciati come frittelle. Ma non Knight e me. Knight si era accorto che Brandeis aveva abbandonato il faro e aveva capito che voleva far saltare tutto. Per cui mi aveva fatto correre giù dalla scala interna del faro, oltre i quattro Delta, ed eravamo entrati in un rifugio antiuragano alla base della costruzione. Il faro è crollato, ma quel rifugio ha tenuto. Era molto solido e di cemento armato. Ci abbiamo impiegato due giorni per uscire di lì, scavando con le mani.» «Accidenti...» disse Mother. «Hanno detto che Brandeis lavorava per un gruppo militare statunitense che si chiamava Intelligence Convergence Group, o ICG. Ne ha sentito parlare?» «Sì, qualche volta», grugnì Mother. «Mai più sentito parlare dell'ICG», continuò Rufus. «Dicono che fosse
un buco di culo di gruppo governativo che doveva infiltrarsi tra i militari, le grosse aziende, le università e poi riferire tutto al governo. Un paio di anni prima c'era stata una bella purga che li aveva spazzati via. Alcuni gruppi come quello di Brandeis però erano sopravvissuti. Si è scoperto che dietro gli attacchi nelle ambasciate africane c'era l'ICG: dovevano liquidare alcune spie in quegli uffici e avevano fatto fare il lavoro sporco ad alQaida. Per coprire la carneficina del faro, però, l'ICG ha addossato tutte le colpe a Knight. Hanno detto che prendeva soldi da al-Qaida e che la colpa dei tredici morti era sua, perché aveva avvisato i terroristi. Knight è stato inserito in cima alla lista dei più ricercati dal Dipartimento della Difesa. La sua cartella è classificata 'Zebra': sparare a vista. Il governo degli Stati Uniti ha messo una taglia su di lui: due milioni di dollari, vivo o morto.» «Un cacciatore di taglie con una taglia sulla testa... Divertente», commentò Mother. «Poi, l'ICG ha fatto la cosa peggiore che si possa immaginare. Come le ho detto, Knight aveva una moglie e un figlio piccolo. L'ICG li ha ammazzati tutti e due, dicendo che era stata un'operazione andata male. Hanno ammazzato la donna e il piccolo. Adesso... Be', adesso anche l'ICG è morto, la famiglia di Knight idem, però non hanno tolto la taglia. Ogni tanto il governo degli Stati Uniti manda una pattuglia a cercarlo, come per esempio in Brasile un paio di anni fa. E, ovviamente, nella Delta c'è ancora Wade Brandeis, vivo e vegeto. Mi pare che lo abbiano fatto maggiore, lavora ancora nello Yemen.» «Per questo Knight è diventato cacciatore di taglie», disse Mother. «Esatto. E io sono andato con lui. Mi ha salvato la pelle ed è sempre stato buono con me, mi ha sempre rispettato. No, lui non ha mai dimenticato Brandeis. Ha un tatuaggio sul braccio per non dimenticare. Diavolo, non vede l'ora d'incontrarlo di nuovo.» Mother ripensò alla sua missione con Schofield e Gant in Antartide qualche anno prima, durante la quale lei stessa si era trovata a combattere con l'ICG. Per fortuna quella volta avevano vinto. Però, più o meno in quel periodo, anche Aloysius Knight aveva affrontato l'ICG e, invece, aveva perso. Aveva perso tutto. «Mi sembra una specie di Shane Schofield finito male», mormorò. «Cosa?» «Niente.» Mother fissò gli occhi sull'orizzonte e le venne in mente una cosa: che diavolo sarebbe successo a Shane Schofield se quella volta avesse perso?
Dieci minuti più tardi il Black Raven raggiunse la costa bretone. Rufus e Mother notarono il percorso che dalla costa saliva tortuoso verso la fortezza di Valois... sulla strada si vedevano i crateri delle esplosioni, i segni delle cannonate che avevano colpito le scogliere, i resti dei camion, delle automobili e degli elicotteri sparsi un po' ovunque, ancora fumanti. «Cosa diavolo è successo qui?» chiese Rufus, spalancando la bocca. «È passato Scarecrow», disse Mother. «La vera domanda è: dove si trova in questo momento?» PORTAEREI FRANCESE RICHELIEU OCEANO ATLANTICO, AL LARGO DELLA COSTA FRANCESE 26 OTTOBRE, ORE 15.45 [EST ORE 09.45] Il grande elicottero della marina francese Super Puma si posò sul ponte della portaerei. Dentro c'era Shane Schofield, ammanettato e scortato da almeno sei marinai armati. La lancia lo aveva lasciato sul cacciatorpediniere e da li era stato portato in gran fretta in elicottero sulla colossale portaerei classe Charles de Gaulle Richelieu, che navigava più al largo. La piattaforma su cui era atterrato l'elicottero cominciò a muoversi verso il basso. Il Super Puma si era posato su uno dei giganteschi montacarichi ai lati della portaerei. Il montacarichi si fermò al livello di un grande hangar interno, situato proprio al di sotto del ponte di volo. C'erano moltissimi caccia, aerei antisom, cisterne e veicoli per spostare gli aerei. Proprio in mezzo all'hangar, un gruppo di quattro ufficiali francesi era m attesa dell'elicottero: un ammiraglio, un generale dell'esercito, un capitano dell'aviazione e, infine, un uomo con un semplice vestito grigio. Schofield scese dal Super Puma con le mani ammanettate davanti e venne condotto di fronte agli ufficiali francesi. Nell'hangar non c'era nessun soldato, esclusi i sei che sorvegliavano Schofield. La scena era piuttosto strana: un gruppo di persone che sembravano minuscole nell'immenso spazio dell'hangar e in mezzo agli aeroplani. «Allora è lui Scarecrow», sbuffò il generale. «L'uomo che in Antartide ha fatto fuori un gruppo dei miei migliori paracadutisti.»
«Anch'io ho perso un sottomarino in quell'incidente. Al momento non è ancora stato saldato il conto», rincarò l'ammiraglio. Figurarsi se si sono dimenticati dell'Antartide, pensò Schofield. L'uomo in abiti civili fece un passo avanti. Dava l'impressione di essere meno rigido degli altri, più raffinato. E quindi più pericoloso. «Monsieur Schofield, io sono Pierre Lefevre, della Direction Générale de la Sécurité Extérieure.» La DGSE, pensò Schofield. La versione francese della CLA. Dopo il Mossad, è l'agenzia più spietata del mondo. Ottimo. «Allora, Pierre», esordi Schofield. «Che storia è questa? La Francia si è alleata con Majestic-12? O semplicemente con Jonathan Killian?» «Non so di cosa stia parlando», replicò Lefevre in tono leggero. «Sappiamo solo quanto ci ha detto monsieur Killian, e la Repubblica francese trova tatticamente vantaggioso seguire il suo piano.» «Allora cosa volete da me?» Il generale disse: «Vorrei strapparle il cuore». L'ammiraglio ribadì: «E io vorrei fargliela pagare». «Il mio obiettivo è molto più pratico», rispose con calma Lefevre. «I militari potranno soddisfare i loro desideri, naturalmente, ma non prima di avere la risposta ad alcune domande e la certezza che i piani di monsieur Killian sono inattaccabili.» Lefevre poggiò la cartella su un tavolo lì accanto e l'aprì... dentro c'era un piccolo oggetto metallico della grandezza di un libro. Si sarebbe detto un minicomputer, però aveva due schermi: la metà superiore presentava un grande schermo del tipo touch screen, mentre in basso a destra c'era uno schermo più piccolo e allungato. Lo schermo superiore mostrava una serie di cerchi bianchi e rossi. Vicino allo schermo più piccolo c'era una tastierina a dodici tasti, come sui telefoni.
«Capitano Schofield», disse Lefevre. «Mi permetta di presentarle il sistema di sicurezza CincLock-VII. Ci piacerebbe scoprire se riesce a disattivarlo.» FORTEZZA DI VALIOIS BRETAGNA, FRANCIA 26 OTTOBRE, ORE 16.00 [EST ORE 10.00] Trascinarono Libby Gant nel tetro Pozzo sotterraneo. Era sanguinante, ferita, malferma sulle gambe, quasi svenuta, però vide la parete di pietra circolare e la pozza d'acqua salmastra che copriva quasi tutto il pavimento. In quell'acqua, nuotavano due squali. La metà superiore dei ceppi di legno della ghigliottina si abbassò sul collo di Gant e le bloccò la testa. L'uomo armato che controllava la macchina chiuse la serratura. Gant non lo aveva mai visto prima: aveva i capelli rosso carota, occhi vacui e una faccia da topo assolutamente schifosa. La grande struttura della ghigliottina torreggiava sopra di lei, con la lama sospesa a cinque metri dalla sua testa. Gant contrasse il viso. Non riusciva nemmeno a stare inginocchiata. La ferita sul petto le procurava un dolore lancinante. Vicino a Faccia di Topo c'era uno dei cacciatori di taglie, il numero due di Cedric Wexley, un ex marine psicopatico che si chiamava Drake. Puntava su Gant un fucile d'assalto Steyr-AUG. Gant notò che Drake indossava uno strano giubbetto protettivo: un indumento nero con ogni sorta di strani aggeggi, tra cui una bombola e dei chiodi da alpinismo. Era il giubbetto di Knight. Allora Gant sollevò gli occhi. E lo vide. A meno di cinque metri da lei, in piedi su una piattaforma di pietra che era già qualche centimetro sotto il pelo dell'acqua, gli occhi penosamente serrati perché gli avevano tolto gli occhiali protettivi, la schiena poggiata contro la parete ricurva, i polsi ammanettati e le fondine desolatamente vuote: Aloysius Knight. Nella prigione sotterranea echeggiò una voce. «'Ruotando e roteando nella spirale che sempre più si allarga, il falco non può udire il falconiere; le cose si dissociano; il centro non può reggere; e la pura anarchia si rovescia sul mondo.' Yeats, se non sbaglio.» Sulla balconata panoramica era apparso Jonathan Killian. Accanto a lui
c'era Cedric Wexley. Killian guardò giù verso il Pozzo degli Squali come un imperatore nel Colosseo, fissando lo sguardo su Gant a una quindicina di metri di distanza, dall'altra parte del Pozzo. «La pura anarchia si rovescia sul mondo, tenente Gant», continuò amabilmente. «Devo ammettere che adoro questo verso. Lei no?» «No», gemette Gant a fatica. Non c'era bisogno di parlare a voce alta, perché le parole echeggiavano nel sotterraneo. «Ehi, capitano Knight. Trovo molto fastidiose le sue azioni. Un cacciatore di taglie della sua esperienza che ostacola una caccia. Il motivo può essere uno solo: l'hanno pagata per questo.» Knight si limitò a guardare il giovane miliardario, ma non disse nulla. «Mi preoccupa il fatto che ci sia qualcuno che vuole disturbare i piani del Consiglio. Chi la paga, capitano Knight, per proteggere Schofield?» Knight non rispose. «Nobile silenzio. Molto prevedibile», riprese Killian. «Probabilmente, quando le farò strappare la lingua, rimpiangerà di non aver parlato.» «Conosciamo il tuo piano, Killian», disse Gant a denti stretti. «Dare il via a una nuova Guerra Fredda per far soldi. Non funzionerà. Faremo saltare tutto, informeremo il governo degli Stati Uniti.» Killian sbuffò. «Tenente Gant, mia cara. Secondo lei, posso aver paura dei governi? I governi occidentali sono formati da una marmaglia di persone di mezza età con molti chili di troppo che provano a mascherare la loro mediocrità conquistando alte cariche. I piani presidenziali, gli uffici dei primi ministri non sono altro che illusioni di potere.» «Per quanto concerne una nuova Guerra Fredda», continuò Killian, «ecco, qui non si tratta di un mio piano, ma del Consiglio. Il mio piano incarna una visione superiore. Pensi alla poesia di Yeats. Mi piace molto l'idea di un falconiere che non è più in grado di comandare il suo falco. Fa venire in mente una nazione che non possa più controllare le sue armi più letali. Le armi hanno sviluppato un loro particolare raziocinio, si rendono conto del loro potenziale di morte. Sono cresciute più del loro padrone raggiungendo una pericolosa indipendenza. Ora pensi a tutto questo nell'ambito dell'industria militare americana. Cosa succederà quando i costruttori di missili decideranno di non obbedire più ai loro committenti? Cosa succederà quando l'intero complesso industrial-militare deciderà di non avere più bisogno del governo degli Stati Uniti?» «Scarecrow ti fermerà», replicò Gant spavalda. «Sì, già. Scarecrow», disse Killian. «Il nostro comune amico. Lui è un
tipo speciale, vero? Sa che il Consiglio era talmente turbato dalla sua presenza nella lista che si sono presi il disturbo di preparare una finta missione in Siberia per intrappolarlo? Naturalmente non ha funzionato.» «Stronzate.» «Ma, se è ancora vivo, allora sì, potrebbe essere un problema.» A quel punto Killian fissò gli occhi in quelli di Gant... La donna sentì un brivido gelato lungo la spina dorsale. Nel suo sguardo c'era qualcosa che non aveva mai visto prima. Qualcosa di assolutamente terrificante. Anche Aloysius Knight se ne accorse e ne fu immediatamente turbato. Tutto succedeva troppo in fretta. Cercò di cambiare posizione, facendo forza sui polsi chiusi nei ceppi. «Ora», disse Killian, «in qualsiasi storia che si rispetti, un cattivo, come me, cercherebbe di attirare l'inopportuno Schofield prendendo in ostaggio la sua amata, il tenente Gant. Credo fosse esattamente ciò che pensava Demon Larkham stamattina.» «Già», disse stancamente Gant. «Stamattina.» «Però non ha funzionato, vero?» disse Killian. «No.» «Ecco perché, tenente Gant, io devo fare qualcosa di più che stanare Shane Schofield. Qualcosa che lo convinca che è molto più importante trovare me, invece di ostacolare i piani del Consiglio. Signor Noonan?» Faccia di Topo, Noonan, afferrò la leva di rilascio della ghigliottina e Gant deglutì terrorizzata. Poi volse lo sguardo verso Knight, lo fissò negli occhi. «Knight», gli disse. «Quando uscirai di qui, devi dire a Schofield una cosa da parte mia. Digli che avrei risposto sì.» Quindi, senza indugio, Faccia di Topo tirò la leva e la terribile lama scese lungo le guide verso il collo di Gant. Fu un attimo. *** Il corpo senza testa di Libby Gant cadde a terra alla base della ghigliottina. Un orribile fiotto di sangue stillò dal collo aperto e gocciolò sulla piattaforma prima di scivolare in acqua. Il sangue attrasse quasi subito i pescecani. Due affilate sagome grigie apparvero al bordo della piattaforma su cui sorgeva la ghigliottina, alla ricerca della sorgente di quel sangue.
«Gesù, no!» gridò Aloysius Knight, strattonando le catene e fissando la scena raccapricciante completamente sconvolto. Era successo in fretta. Troppo in fretta. Nemmeno un'esitazione. Libby Gant era morta. Anche se la luce lo infastidiva, Knight teneva gli occhi spalancati e la faccia era bianca. «Oddio, no...» mormorò ancora. Di colpo si voltò a guardare Jonathan Killian, ma la faccia del miliardario era una maschera. Il suo sguardo freddo era immutato. Uno degli uomini che erano nel pozzo si mosse verso Knight. Era Drake, il mercenario della ExSol, con in mano una delle pistole Remington di Knight e con ancora indosso il suo giubbetto. L'uomo con la faccia da ratto, invece, uscì da una porta d'acciaio oltre la ghigliottina. «Che ne facciamo di questo?» domandò Drake a Killian. Killian agitò una mano. «Niente ghigliottina per il Cavaliere Nero né giochini che gli permetterebbero di tentare la fuga. Sparagli in testa e dallo in pasto agli squali.» «Sì, signore.» Il gigantesco mercenario si avvicinò a grandi passi lungo un ponte di pietra che univa la piattaforma della ghigliottina a quella dove si trovava Knight, sollevando a ogni passo piccoli schizzi nell'acqua bassa. Mentre Drake si avvicinava, Knight lo fissava storto e cercava di valutare le sue possibilità. Non molte. Ci vedeva poco. Aveva le mani bloccate. Drake era sempre più vicino. Pensava velocemente e così facendo si morse le labbra a sangue. Sputò la saliva insanguinata il più lontano possibile, disgustato. Drake si fermò a meno di due metri da lui, fuori portata per qualsiasi azione che l'altro potesse immaginare, come afferrarlo alla gola con le gambe o dargli un calcio nei testicoli. Alzò la Remington d'argento di Knight e mirò alla testa. «Sei una delusione, Knight. Mi avevano detto che eri il migliore.» A quel punto Knight fece un cenno verso i piedi di Drake e disse: «Infatti». Drake s'incupì. Allora guardò in basso e vide uno degli squali tigre proprio accanto ai suoi scarponi. L'animale si era portato vicino alla piattaforma attratto dalla saliva sanguinante sputata da Knight. Era quello che il Cavaliere Nero aveva sperato. «Ah!» Drake fece istintivamente un passo avanti per allontanarsi dal pescecane di tre metri... Ma così fu subito alla portata di un predatore ben più
pericoloso. L'azione di Knight fu rapidissima. Per prima cosa sollevò in alto il corpo come una frusta, quindi, allungando le gambe, afferrò Drake per il torace. Knight strinse e si sentì un rumore simile a quello del legno che viene spezzato: erano le costole di Drake che si rompevano. Il mercenario urlò per il dolore. Quindi Knight lo trascinò più vicino a sé, in modo da poter afferrare qualcosa che era ancora appeso al giubbetto, il suo giubbetto. Knight prese un chiodo a espansione da alpinista e con una sola mano riuscì a infilarlo nel ceppo che gli bloccava la mano sinistra, poi lo premette per farlo espandere. La molla potentissima scattò, il chiodo si allargò all'istante e la manetta di ferro antico si spezzò. Sulla balconata panoramica, Cedric Wexley si accorse di ciò che stava succedendo e immediatamente tirò fuori la pistola, ma Knight con le gambe teneva Drake sulla linea di tiro. Comunque Knight non aveva ancora finito con Drake. Con la mano sinistra ormai libera, afferrò un secondo oggetto dal giubbetto: il cannello ossidrico. Per la verità non lo estrasse nemmeno, si limitò a premere il grilletto. Il cannello si accese emettendo un'intensa fiamma azzurra e Drake ruggì. La fiamma attraversò il corpo del killer da parte a parte come fosse una spada luminosa. La testa di Drake - il viso sconvolto e agonizzante - cadde indietro contro il petto di Knight. «Piano», mormorò Knight, dando ancora più potenza al cannello. Il corpo di Drake perse ogni energia e cominciò a cadere. Knight immediatamente gli sfilò il giubbetto e usando un altro chiodo si liberò anche della manetta che gli bloccava il braccio destro. Così facendo, però, rimase senza copertura e Cedric Wexley, dalla balconata, cominciò a sparare. Ma ormai Knight era completamente libero e si gettò a terra riparandosi dietro il cadavere di Drake. Poi, senza indugi, fece rotolare il corpo nell'acqua già insanguinata, proprio davanti alla bocca del più vicino squalo tigre e... anche lui si tuffò in acqua! Il pescecane si lanciò sul cadavere di Drake, lo afferrò tra le fauci e cominciò a farlo a pezzi. Il secondo squalo arrivò quasi subito e si unì al festino. La pozza d'acqua vorticò in un sanguinolento rigurgito schiumante. In pochi minuti la furia si placò e l'acqua fu nuovamente calma. Ma non c'erano più segni di Knight. Aloysius Knight non sarebbe mai più riaffiorato in quella pozza mortale.
*** Invece, riemerse oltre la fortezza di Valois, in mezzo alle onde dell'oceano Atlantico. Esattamente sei minuti dopo essere passato sotto gli squali, impegnati a divorare il corpo di Drake, Knight sbucò fuori dall'acqua con in bocca la piccola bombola d'ossigeno. Era una bombola da sub portatile, con l'aria appena sufficiente per attraversare il lungo passaggio sottomarino che collegava il Pozzo degli Squali all'oceano. Knight non rimase in acqua a lungo, perché nel suo giubbetto entrò subito in azione un localizzatore GPS. Dopo pochi minuti, sopra di lui apparve la sagoma da falco del Sukhoi S-37, che rimase librato a tormentare l'acqua coi getti degli scarichi. Dal vano bombe venne calata un'imbracatura che schioccò sull'acqua accanto all'uomo e un attimo dopo Aloysius Knight era all'interno del Black Raven con Mother e Rufus. «Tutto bene, capo?» chiese Rufus, lanciandogli un nuovo paio di occhiali dalle lenti gialle. Knight, che aveva appena messo piede nel vano posteriore del Black Raven, li afferrò al volo e se li infilò. Non rispose alla domanda di Rufus, si limitò a fare un cenno di assenso. Era ancora turbato dall'orribile esecuzione cui aveva assistito nel Pozzo degli Squali. «Che ne è stato di Scarecrow? E della mia pollastrella?» chiese Mother. Knight la fissò cupo. Il suo sguardo, celato dietro le lenti gialle, era pieno di orrore. Non sapeva cosa dire. Si alzò. «Rufus. Hai la posizione di Schofield? I MicroDot che ho fissato al suo Palm Pilot dovrebbero essere ancora attivi.» «Ho il contatto, capo. Continua a muoversi. Si direbbe che qualcuno lo abbia portato sulla portaerei al largo.» Knight si rivolse a Mother e trasse un profondo sospiro. «Schofield è vivo, ma...» Deglutì. «Forse abbiamo un problema con la ragazza.» «Oddio, no...» mormorò Mother. «È meglio non parlarne adesso», concluse Knight. «Dobbiamo salvare Schofield.» PORTAEREI FRANCESE RICHELIEU OCEANO ATLANTICO, AL LARGO DELLA COSTA
FRANCESE 26 OTTOBRE, ORE 16.00 [EST ORE 10.00] Shane Schofield era rinchiuso in una piccola stanza con le pareti d'acciaio adiacente all'hangar del ponte inferiore. Nella stanza c'erano solo un tavolo e una sedia. Sul tavolo era appoggiata l'unità CincLock-VII di Lefevre. Vicino all'unità, con una piccola luce rossa in cima che brillava intensamente, c'era una granata al fosforo. Nell'angolo in alto della stanza, si sentiva il ronzio di una telecamera nascosta dietro un vetro scuro. «Capitano Schofield», disse l'agente della DGSE da un altoparlante. «Solo una prova. La granata al fosforo che vede accanto a lei è connessa all'unità CincLock per mezzo di onde corte. L'unico modo per disarmare la granata è disarmare il CincLock. Per questa prova, il codice finale di disattivazione è 123. La granata esploderà tra un minuto da... adesso.» «Merda», imprecò Schofield, sedendosi. Esaminò più da vicino l'unità CincLock.
Lo schermo principale era pieno di cerchi bianchi, a destra, e rossi, a sinistra. Si udì un ding. Sullo schermo piccolo in basso apparve un messaggio. PRIMO PROTOCOLLO (DISTANZA): COMPLETATO. INIZIO SECONDO PROTOCOLLO. I cerchi bianchi cominciarono a lampeggiare: uno alla volta e secondo una lenta sequenza casuale. Lo schermo gracchiò. SECONDO PROTOCOLLO (PROCEDURA DI RISPOSTA): REGISTRATO TENTATIVO FALLITO DI DISATTIVAZIONE.
TRE TENTATIVI FALLITI DI DISATTIVAZIONE PROVOCHERANNO AUTOMATICAMENTE L'ESPLOSIONE. SECONDO PROTOCOLLO (PROCEDURA DI RISPOSTA): RIATTIVATO. «Che cosa?» chiese Schofield, rivolto allo schermo. «Cinquanta secondi, capitano», gli ricordò la voce di Lefevre. «Deve toccare i cerchi lampeggianti nell'ordine prescritto.» «Ah. Certo.» I cerchi bianchi ripresero a lampeggiare l'uno dopo l'altro, ma stavolta Schofield li premette subito dopo il lampeggio. «Quaranta secondi.» La sequenza dei cerchi si fece più rapida. Anche le mani di Schofield si mossero più in fretta per seguire i cerchi sullo schermo. Poi, improvvisamente, s'illuminò uno dei cerchi rossi sulla sinistra del display illuminato. Schofield non era preparato a questo, ma fu comunque abbastanza veloce da premere anche quello in tempo utile. I cerchi bianchi ripresero la loro sequenza, ma ora erano velocissimi. Anche le dita di Schofield si adattarono a quel ritmo. «Trenta secondi... Sta andando molto bene...» Poi s'illuminò un altro cerchio rosso. Stavolta Schofield fa troppo lento. Lo schermo strombettò furiosamente. SECONDO PROTOCOLLO (PROCEDURA DI RISPOSTA): REGISTRATO TENTATIVO FALLITO DI DISATTIVAZIONE. TRE TENTATIVI FALLITI DI DISATTIVAZIONE PROVOCHERANNO AUTOMATICAMENTE L'ESPLOSIONE. SECONDO PROTOCOLLO (PROCEDURA DI RISPOSTA): RIATTIVATO. «Accidenti!» gridò Schofield, fissando la granata sul tavolo. Intanto i cerchi bianchi avevano iniziato la loro sequenza lampeggiante per la terza e ultima volta. «Restano venticinque secondi...» Stavolta però Schofield era più sicuro, perché sapeva cosa fare. Le mani si muovevano agilmente sullo schermo per toccare i cerchi bianchi lampeggianti, ma, ogni volta che si accendeva un cerchio rosso, Schofield non si lasciava sorprendere. «Dieci secondi, nove...» La sequenza si fece più rapida e, sempre più frequentemente, fu necessario spostarsi sui cerchi rossi... A quel punto Schofield si rese conto che era
solo una prova di riflessi. «Otto, sette...» Gli occhi incollati sullo schermo. Le dita che danzavano. Il sudore che gli colava sugli occhi. «Sei, cinque...» Le luci continuavano a lampeggiare: bianco, bianco, rosso, bianco, rosso, bianco. «Quattro, tre...» Un suono. E un messaggio apparve sullo schermo. SECONDO PROTOCOLLO (PROCEDURA DI RISPOSTA) COMPLETATO. SECONDO PROTOCOLLO (INSERIMENTO CODICE). ATTIVO. INSERIRE IL CODICE DI DISATTIVAZIONE. «Due...» Schofield batté sulla tastiera 1-2-3-INVIO. I numeri apparvero sullo schermo più piccolo. «Uno...» Un altro suono. TERZO PROTOCOLLO (INSERIMENTO CODICE). COMPLETATO. DISPOSITIVO DISATTIVATO. Schofield fece un respiro profondo e si appoggiò alla sedia. La porta della stanza venne aperta e Lefevre entrò battendo piano le mani. «Oh, très bien! Très bien!» si congratulò. «Molto bene, capitano.» Due robusti commando della marina francese circondarono Schofield. Lefevre sorrise. «È stato davvero notevole. Davvero notevole. Grazie, capitano. Ci ha appena confermato ciò che afferma Majestic-12. Per non parlare dei molti pregi di questo sistema di disattivazione. Sono sicuro che la Francia ne farà buon uso. È un vero peccato che ora debba ucciderla, capitano. Signori, portate il capitano Schofield nell'hangar e legatelo come l'altro.» *** Schofield era sospeso in aria con braccia e gambe allargate, come a formare una stella. Lo avevano incatenato in piedi alle forche di un carrello elevatore, ogni piede su una forca e i polsi bloccati alle barre verticali del carrello.
Il carrello era parcheggiato in un angolo vuoto dell'hangar principale della Richelieu, dietro gli ugelli di scarico di diversi caccia Rafale. Di fronte a lui erano seduti in cerchio i tre ufficiali francesi e l'agente della DGSE, Lefevre. «Portate la spia inglese», ordinò Lefevre a una delle guardie di Schofield. L'uomo premette un pulsante e la parete d'acciaio accanto a Schofield cominciò a salire. Si trattava di un portello abbastanza grande da permettere il passaggio di un caccia. Al di là c'era il buio assoluto. Dall'oscurità spuntò un secondo carrello elevatore, su cui c'era un'altra persona che avevano catturato e crocifisso allo stesso modo di Schofield. Una sola differenza: l'uomo che stava su quel carrello era stato torturato a lungo. Aveva faccia, camicia e braccia coperte di sangue e la testa gli ciondolava in avanti. «Capitano Schofield, non so se ha già conosciuto l'agente Alec Christie, del controspionaggio britannico», disse Lefevre. Christie dell'MI-6, sulla lista della caccia. Ecco dov'era finito. «In questi due giorni, l'agente Christie è stato una ricca fonte d'informazioni per quanto riguarda Majestic-12», continuò Lefevre. «Pare che negli ultimi diciotto mesi si fosse fatto un'ottima reputazione nelle Loch-Mann Industries come guardia del corpo personale di Randolph Loch, presidente dell'M-12. Però, se Christie teneva d'occhio Loch, noi controllavamo lui. Tra l'altro, in un momento di particolare lucidità, la notte scorsa, l'agente Christie ci ha rivelato qualcosa che riteniamo preoccupante. Ha affermato che il signor Loch fosse piuttosto seccato con uno dei più giovani membri dell'M-12, il nostro amico Jonathan Killian. Secondo Christie, Randolph Loch ha più volte dichiarato che Killian lo stava 'importunando con questa idea della mossa supplementare'. Si direbbe che secondo Killian i piani di Majestic-12 non andranno lontano. Alla luce delle sue indagini, capitano Schofield, che ne pensa di questa idea della 'mossa supplementare'?» «Killian è amico vostro, perché non glielo chiedete?» replicò Schofield. «La Francia non ha amici.» «Capisco perché.» «Abbiamo delle conoscenze utili», spiegò Lefevre. «Tuttavia, a volte bisogna diffidare delle conoscenze, proprio come se fossero dei nemici.» «Non vi fidate di lui», ribadì Schofield. «Nemmeno un po'.» «Però gli fornite protezione, un rifugio.»
«Finché lo riterremo vantaggioso. Ma non è detto che sarà sempre così.» «Infatti, adesso, la vostra paura è che vi stia giocando.» «Già», confermò seccamente Lefevre. Schofield ci pensò un attimo. «Uno dei missili Chameleon dell'M-12 è puntato contro Parigi.» «Oh, andiamo! Lo sappiamo e siamo preparati. È proprio questo il motivo del nostro coinvolgimento con Majestic-12, ed è per questo che abbiamo dato loro i corpi dei terroristi della Jihad Globale. Mentre l'America, la Germania e l'Inghilterra subiranno perdite mostruose, la Francia sarà l'unico Paese occidentale a evitare il disastro. New York, Berlino e Londra saranno distrutte, ma Parigi rimarrà in piedi. Infatti, la Francia sarà l'unica nazione capace di abbattere uno dei terribili missili dei terroristi. L'America ci ha messo ben tre mesi per organizzare una controffensiva dopo l'11 settembre. Immagini quale incredibile shock subiranno quando perderanno cinque grandi città. Invece la Francia, ah, la Francia sarà la nazione che ha neutralizzato questi attacchi scellerati. L'unico Paese occidentale che si è mosso con sufficiente velocità. Diventeremo inattaccabili... i nuovi padroni del mondo nell'ambito di questa nuova Guerra Fredda. Capitano Schofield, i nostri amici di Majestic-12 vogliono ricavare quattrini da tutto questo, perché nella loro ottica il denaro è potere. Alla Francia quel tipo di potere non interessa... Vogliamo qualcosa di più importante: vogliamo guidare il mondo. Il XX secolo è stato il secolo dell'America. Triste e rovinoso periodo nella storia del pianeta. Il XXI secolo sarà il secolo della Francia.» Schofield fissò Lefevre e i generali. «Ragazzi, siete davvero fuori di testa, sapete?» disse dopo un po'. Lefevre estrasse delle foto dalla sua cartella e le mostrò a Schofield. «Torniamo a Killian. Queste foto lo ritraggono durante il suo viaggio in Africa, l'anno scorso.» Schofield notò che erano normali fotografie giornalistiche: Killian tra i capi africani, all'inaugurazione di fabbriche, che salutava la folla. «Un amichevole giro per promuovere la sue attività benefiche», spiegò Lefevre. «In quel giro, però, Killian ha partecipato a incontri con i presidenti e i ministri della Difesa di molte nazioni: in particolare la Nigeria, l'Eritrea, il Ciad, l'Angola e la Libia.» «Già...» disse Schofield, aspettando il seguito. Lefevre fece una pausa e poi lanciò l'affondo. «Nelle ultime undici ore, le forze aeree di Nigeria, Eritrea, Ciad e Angola si sono messe in movi-
mento con oltre duecento aerei che convergono verso gli aeroporti della Libia orientale. Individualmente, si tratta di piccole forze, ma prese tutte insieme si trasformano in una gigantesca armata aerea. Ho ancora una domanda per lei, capitano, e cioè: perché?» Schofield cominciò a pensare. «Capitano Schofield?» Schofield non lo ascoltava più. Gli risuonava nelle orecchie la voce di Killian che diceva: «Anche se molti non l'hanno ancora capito, il futuro del mondo è in Africa». Africa. «Capitano Schofield?» ripeté Lefevre. Schofield sbatté gli occhi e parve risvegliarsi. «Non lo so», ammise. «Vorrei rispondere, ma onestamente non lo so.» «Hmm!» mormorò Lefevre. «Christie ha detto la stessa cosa. Il che potrebbe significare che è la verità. Ma potrebbe anche dire che lei ha bisogno di essere persuaso in maniera più decisa.» Lefevre fece un cenno all'uomo che guidava il montacarichi di Christie. L'uomo accese il motore e spostò il veicolo pochi metri a sinistra, in modo che Christie, tenuto in piedi sulle forche del muletto, venisse a trovarsi direttamente dietro i jet del Rafale. Il conducente scese di gran fretta e corse via. Un istante dopo Schofield capì il perché. Ci fu un ruggito assordante. I motori del caccia erano stati accesi. Schofield notò che c'era un soldato francese nella cabina di pilotaggio. Alec Christie, ferito e distrutto, sì limitò a sollevare gli occhi, trovandosi così a fissare dentro gli ugelli di scarico del Rafale. Pareva che non gliene importasse nulla. Si sentiva troppo sconvolto e stanco per tentare anche solo di strattonare le catene che lo legavano. Lefevre fece un cenno al pilota e l'uomo azionò i comandi d'avvio dell'aereo. Dagli ugelli del Rafale si allungò istantaneamente una vivida lingua di fuoco che avvolse Christie. La fiammata colpì l'agente, come se fosse un gigantesco ventilatore. L'aria rovente dapprima gli fece volare indietro i capelli, poi gli sgretolò la pelle della faccia, gli bruciò i vestiti in un nanosecondo e, infine, l'intero corpo andò in pezzi. Improvvisamente la fiammata s'interruppe e l'hangar tornò silenzioso. Di Alec Christie non rimanevano che quattro pezzi di carne bruciata, che ancora penzolavano dalle forche del carrello. «Davvero orribile», disse Schofield, resistendo alla nausea.
Lefevre si voltò verso di lui. «È servito a rinfrescarle la memoria?» «Ho già detto che non lo so», ribadì Schofield. «Non so nulla di Killian, né dei Paesi africani e nemmeno so se le due cose sono connesse. È la prima volta che sento una cosa simile.» «Allora temo che non ci sia più bisogno della sua presenza», disse Lefevre. «A questo punto, l'ammiraglio e il generale potranno soddisfare il loro desiderio di vendetta.» Lefevre fece un cenno al conducente del carrello di Schofield, che lo spostò accanto al muletto su cui prima c'era Christie, di fronte al secondo ugello del Rafale. Schofield fissò l'oscurità nel condotto. «Generale?» Lefevre si rivolse all'ufficiale che aveva perso un'intera unità di paracadutisti in Antartide per colpa di Schofield. «Vuole fare gli onori di casa?» «Con piacere.» Il generale si alzò dalla sedia e si arrampicò nella cabina di pilotaggio del Rafale, senza smettere di fissare Schofield. Si piegò sui comandi e afferrò la cloche, con il dito sospeso sul pulsante AVVIO PROPULSORI. «Addio, capitano Schofield», disse Lefevre, seccamente. «La storia del mondo continuerà senza di lei. Au revoir.» Il generale abbassò il pollice sul pulsante ACCENSIONE. *** In quel momento, si sentì un'immensa esplosione proveniente dall'hangar principale. Suonarono le sirene. Cominciarono a balenare le luci di allarme. Tutta la portaerei fu illuminata dalle luci rosse di emergenza. Il pollice del generale era rimasto bloccato a un millimetro dal pulsante. Un sottufficiale corse dall'ammiraglio. «Signore! Siamo sotto attacco!» «Cosa?» berciò l'ammiraglio. «Da parte di chi?» «Si direbbe un caccia russo, signore.» «Un caccia russo? Un solo caccia russo! Questa è una portaerei, santo Dio! Chi potrebbe essere tanto folle da attaccare una portaerei con un unico aeroplano?» Il Black Raven si librava sul ponte di volo della Richelieu, facendo piovere una grandinata di colpi di cannoncino e di razzi sui caccia parcheggiati.
Dalle ali del Sukhoi si staccarono quattro scie di missili che subito si separarono per inseguire bersagli differenti. Uno dei caccia Rafale sul ponte fu immediatamente disintegrato e due postazioni di difesa antimissile distrutte. Il quarto missile s'infilò sibilando nell'hangar principale e colpì un aereo radar con un'esplosione accecante. Il Black Raven era magistralmente pilotato da Rufus. Alla postazione dell'addetto ai sistemi d'arma c'era Knight: il sedile poteva ruotare di 360 gradi per prendere meglio la mira sui vari bersagli che i cannoni del caccia erano in grado di spazzare via. «Mother! Sei pronta?» gridò Knight. Mother stava nello spazio ricavato sotto la cabina di pilotaggio, armata fino ai denti: MP-7, M-16, pistole Desert Eagle; aveva perfino uno dei lanciarazzi di Knight legato alla schiena. «Cazzo, sì!» «Allora vai!» Knight premette un bottone. Un rumore secco. Il fondo della stiva progettato per contenere le bombe si spalancò e Mother si calò lungo la fune del Maghook. Nella sala controllo della portaerei regnava il caos. Gli ufficiali urlavano nel microfono le informazioni destinate al comandante. «... il maledetto aereo ha eluso la copertura radar! Deve avere delle capacità stealth...» «... hanno colpito le postazioni antiaeree sul ponte di volo...» «... i dannati caccia alle catapulte, subito!» «Signore! La Triomphe dice di avere il bersaglio sotto tiro...» «E allora che spari!» In risposta all'ordine, apparve la scia di un missile antiaereo lanciato da un cacciatorpediniere che faceva parte del gruppo di battaglia... diretto verso il Black Raven. «Rufus! Spero che tu abbia messo a punto le nostre contromisure ad Archangel!» «Non si preoccupi, capo.» Il missile filava verso di loro a velocità fenomenale. Tuttavia, quando non sembrava più possibile evitarlo, lo schermo elettronico del Sukhoi entrò in funzione e il missile prese una direzione del tutto diversa... contro lo scafo della portaerei!
«Scorta! Cessare il fuoco! Cessare il fuoco!» urlò il comandante. «Quell'aereo è troppo vicino a noi! Reparto elettronico... cerchiamo di scoprire la sequenza di disturbo che usano e neutralizziamola! Dobbiamo distruggerlo coi caccia.» Dentro l'hangar principale, Schofield era ancora incatenato di fronte agli ugelli del caccia Rafale. Improvvisamente, il ponte che lo circondava oscillò vistosamente, mentre l'immensa portaerei virava in risposta all'attacco a sorpresa del Black Raven. Lefevre e i generali francesi erano impegnati alla radio. Tutti, tranne il generale che era rimasto nella cabina di pilotaggio del Rafale. Dopo un attimo di distrazione iniziale, ora scrutava Schofield. Non si sarebbe lasciato sfuggire quell'opportunità. Allungò di nuovo la mano verso il pulsante di accensione, afferrò la cloche di controllo proprio come se... Un suono secco. Una pallottola gli entrò nell'orecchio e la cabina di pilotaggio fu imbrattata coi brandelli del suo cervello. In tutta quella confusione nessuno aveva notato l'ombra che era scesa dal montacarichi di tribordo che collegava l'hangar principale con l'esterno, una figura armata che era scivolata da una fune come se fosse un ragno. Mother. Con un MP-7 in una mano e un M-16 nell'altra, Mother attraversò l'hangar come un tornado. Pareva un'inarrestabile forza della natura. I militari francesi che sorvegliavano Schofield le furono addosso da tutti i lati. Ma Mother continuò la sua corsa, inchiodandoli a sinistra, al centro, a destra, senza mai rallentare. Due colpi a sinistra e caddero due francesi, colpiti in faccia. Si voltò a destra usando l'M-16 come una pistola e abbatté altri tre uomini. Un paracadutista sbucò da dietro l'ala di un Rafale sopra di lei, ma Mother fece una capriola, sparando mentre avanzava, e crivellandolo di colpi. Poi lanciò le granate fumogene e si mosse in mezzo a quella nebbia artificiale come uno spettro vendicativo. In mezzo al fumo, caddero quattro paracadutisti e l'ammiraglio. Nemmeno la spia Lefevre sfuggì alla sua furia: una shuriken a quattro lame sibilò uscendo dalla cortina di nebbia e gli tranciò il pomo d'Adamo. Sarebbe morto lentamente. Poi Mother sbucò fuori del fumo nei pressi di Schofield. «Ehi, Scarecrow. Come te la passi?»
«Adesso che sei arrivata sto molto meglio», rispose Schofield. Con due chiodi a espansione di Knight non ci volle molto a liberarlo dai ceppi metallici e, dopo un momento, l'uomo era nuovamente libero e con i piedi per terra. Ma, prima che Mother avesse il tempo di lanciargli un'arma, Schofield si gettò verso Lefevre non lontano. Raccolse qualcosa che era accanto al francese morente e ritornò da Mother. Lei gli diede una Desert Eagle e un MP-7. «Pronto a fare casino?» gli domandò. Schofield si voltò verso Mother, fissando il giubbetto antiproiettile che la donna aveva indosso. «Pronto a fare grossi danni.» Corsero alla jeep parcheggiata poco lontano. *** Quattro Rafale di ultima generazione decollarono dalla pista di lancio della Richelieu allineati a due a due. Virarono attorno alla portaerei per poi tornare indietro in formazione d'attacco, puntando verso il Black Raven sospeso in aria. «Arrivano!» gridò Rufus. «Li ho visti!» replicò Knight. Fece ruotare il sedile mobile e premette il grilletto come fosse un joystick. I cannoni di due Rafale iniziarono a sparare. Uno sciame di traccianti arancioni sibilò attorno al Black Raven, che s'inclinò e oscillò sospeso nel cielo per evitarli, ma nello stesso tempo rispondeva con le mitragliatrici mobili ventrali. Poi i primi due aerei li superarono a grandissima velocità, con un doppio boom sonico. Ma si trattava solo del primo atto, un'azione di disturbo per coprire la mossa successiva. Infatti, gli altri due aeroplani avevano fatto il giro lentamente, appena sopra le onde dell'oceano, per arrivare dalla direzione opposta, in modo da sorprendere il Sukhoi da dietro e dal basso. Il Sukhoi, sempre sospeso a mezz'aria nei pressi del montacarichi, girò su se stesso per affrontare i due caccia francesi. «Dannazione!» esclamò Rufus, verificando le contromisure elettroniche. «I bastardi stanno sputtanando le nostre frequenze... si accendono e si spengono. Non siamo più coperti.» I due nuovi Rafale lanciarono un missile ciascuno. Knight sparò contro i missili coi cannoncini, li colpì tutti e due, ma altri due missili partirono in direzione del caccia.
«Rufus...!» I missili si avvicinavano. Rufus li vide e capì cosa fare un istante prima che fosse troppo tardi. I missili erano agganciati sul bersaglio e li avrebbero colpiti... ma Rufus infilò il Black Raven dentro la grande paratia che faceva da ingresso per il montacarichi di tribordo, manovrando il Sukhoi all'interno dell'hangar principale della nave. I missili erano più sofisticati di quelli della Triomphe, infatti erano dotati di un dispositivo che impediva loro di colpire le navi amiche. Per cui si diressero verso l'oceano esplodendo in due colonne d'acqua alte cinquanta metri. Sulla torre della portaerei gli operatori radar guardavano lo schermo confusi e gridavano nei microfoni. «Dove cazzo è andato?...» «Come? Ripeti...» «Cos'è successo?» chiese il comandante. «Dove sono?» «Signore, sono dentro!» Il Black Raven si librò nell'immensa caverna dell'hangar della portaerei. «Adoro il tuo stile, Rufus», disse Knight, mentre sparava indiscriminatamente sulla fila di aerei, elicotteri e veicoli parcheggiati là sotto. Il Black Raven era come un uccello gigantesco intrappolato in un soggiorno, e faceva danni rovesciando gli aeroplani col flusso delle turbine e mandando le autobotti a schiantarsi contro le pareti d'acciaio. Imperversò nell'hangar provocando danni e distruzioni e graffiando il soffitto con gli alti timoni di coda. Knight gridò nella radio: «Mother, dove sei?» Una jeep solitaria scattò a tutta velocità verso la zona di poppa dell'hangar, schivando gli aeroplani in fiamme e i veicoli che rimbalzavano senza controllo. Al volante c'era Mother, con Schofield che stava accucciato dietro. «Sono dall'altra parte dell'hangar, cercando di non finire nel casino che state facendo!» urlò Mother. «Schofield?» «È con me.» «Visto che siamo qui, volete un passaggio?»
Mother si rivolse a Schofield, schiacciato sul sedile posteriore col giubbetto di Knight. «Andiamo con loro?» «No! Non subito!» strillò. «Di' a Knight di uscire. È meglio che non sia qui nei prossimi due minuti! Anzi, deve allontanarsi dalla portaerei immediatamente! Digli che ci incontriamo fuori!» «Ricevuto», disse Knight un istante più tardi. Si voltò: «Rufus! È ora di smammare!» «Subito, capo!» rispose Rufus. «Vediamo, dove si trova quell'altro... ah!» Rufus aveva avvistato il secondo montacarichi dall'altra parte dell'hangar. Diede gas al Sukhoi, e il frastuono dei motori cancellò qualsiasi altro rumore; poi, come risucchiato, il Black Raven sbucò fuori dell'hangar attraverso il montacarichi di babordo. Intanto, nel retro della jeep in corsa, Schofield rovistava nelle tasche del giubbetto che gli aveva portato Mother. Era quello di Knight, quindi doveva contenere un lanciarazzi portatile e vari razzi con la testata ad alto esplosivo. Trovò quello che cercava. Il ben noto P-61 Palladium di fabbricazione sovietica. Un Palladium - ovvero acido idrofluoridrico contenuto in un involucro di palladio - ha un unico scopo: distruggere gli impianti nucleari civili. Le armi atomiche richiedono una consistenza del nucleo attorno al 90 per cento di uranio arricchito. I reattori civili, invece, hanno una consistenza di circa il 5 per cento, mentre i reattori delle portaerei nucleari sono attorno al 50 per cento; quindi, nessuno di questi reattori potrà mai provocare un'esplosione nucleare. Tuttavia, non si può escludere una fuga di radioattività, com'è successo a Chernobyl... Comunque, non provocheranno mai un fungo atomico. Questi impianti, però, rilasciano grandi quantità d'idrogeno, altamente infiammabile, per cui si devono utilizzare dei «ricombinatori» che trasformano il pericoloso idrogeno (H) in innocua acqua (H2O). Invece, mescolando idrogeno e palladio si ottiene l'effetto opposto: si moltìplica la percentuale d'idrogeno, producendo una enorme quantità di gas infiammabile che può essere reso anche più attivo dall'azione catalizzante dell'acido idrofluoridrico.
In conclusione, il sistema P-61 funziona come un detonatore a due stadi. Lo scoppio iniziale mescola il palladio con l'idrogeno, moltiplicando il gas a ritmo fenomenale; successivamente, l'arma innesca il gas con l'acido. Il risultato è un'esplosione colossale... Non proprio un'esplosione atomica, ma probabilmente l'unico altro tipo di esplosione che possa spezzare in due lo scafo di una portaerei. «Là!» gridò Schofield, indicando i due enormi scarichi cilindrici nella zona di poppa dell'hangar. «Gli scarichi dell'idrogeno del reattore!» La jeep zigzagò lungo l'hangar per evitare i resti degli aerei in fiamme. Schofield si alzò in piedi sul sedile posteriore della jeep, mise il lanciarazzi in spalla e mirò a uno dei giganteschi ventilatori all'interno di uno degli scarichi. «Non appena ho sparato, Mother, va' a tutta birra verso la rampa di uscita! Dovremmo avere circa trenta secondi tra il primo e il secondo stadio. Significa che abbiamo trenta secondi per sbarcare!» «Okay!» Schofield mirò con cura. «Au revoir, pezzi di merda.» Premette il grilletto. L'arma sparò spedendo il razzo con la testata di palladio verso la parte alta dell'hangar, con la sua letale scia di fumo che segnava l'aria. Il razzo s'infilò nello scarico di dritta e scomparve, diretto in basso, attratto dal calore. Mother lanciò la jeep a tutto gas, facendole compiere una stretta derapata circolare prima d'imboccare la rampa, simile a un tunnel, che serviva a far salire i veicoli dall'hangar al ponte di volo. La jeep salì verso l'alto in un'interminabile spirale. I pneumatici fischiavano sempre di più man mano che salivano, poi si sentì un colpo sordo e terribile proveniente dal ventre della nave. Il razzo al palladio aveva colpito il bersaglio. Schofield fece partire il cronometro: 00:01, 00:02... Sopra la portaerei, il Black Raven era ancora impegnato a combattere coi quattro Rafale. Il Sukhoi virò repentinamente e con l'ultimo missile beccò uno dei caccia. Ma Rufus sentì subito un suono stridulo dal pannello di controllo. «Hanno decodificato la frequenza completa delle nostre contromisure! Siamo privi di protezione antimissile!»
In quel momento, uno dei Rafale riuscì a metterglisi in coda e i due velivoli sfrecciarono sull'oceano, il Rafale che inseguiva il Sukhoi sputando traccianti arancioni. Quando il caccia francese fu più vicino, Knight girò la sua postazione verso la coda, sparò all'aereo che li inseguiva con uno dei cannoncini e frantumò l'abitacolo con una fulminea pioggia di fuoco, distruggendo il tettuccio e facendo a pezzi il pilota: il Rafale precipitò in mare esplodendo. «Capo!» disse in fretta Rufus. «Adesso ci serve fuoco davanti!» Knight si voltò. Non si era accorto che quel Rafale, in realtà, li stava portando dritti... contro gli altri due caccia nemici! Entrambi i Rafale lanciarono un missile: due dita di fumo che, allungate nel cielo, si piegavano verso il muso del Black Raven... tuttavia Rufus fece oscillare il nero e sottile caccia, facendolo spostare di lato e azionando la sua - rarissima - seconda contromisura antimissile: conosciuto col nome di «Plasma Stealth», era un sistema difensivo che avvolgeva l'aereo in una nube di particelle ionizzate di gas. I due missili parvero impazzire, dividendosi a V per evitare la nube di ioni attorno al Sukhoi. Il Black Raven passò in mezzo, mentre uno dei missili s'infilava in mare e l'altro piroettava senza controllo nel cielo. Tuttavia, il Sukhoi era sempre in rotta di collisione coi due Rafale che si stavano avvicinando. Knight si girò in avanti e aprì il fuoco, distruggendo l'ala sinistra di un Rafale un istante prima che il Black Raven superasse rombando i due aerei francesi. Era rimasto un solo caccia nemico, ma non per molto. Poco dopo aver superato l'aereo di Knight, l'ultimo Rafale francese fu colpito dal suo stesso missile, quello che aveva perso il controllo a causa del sistema di difesa Plasma Stealth del Sukhoi. Knight e Rufus si voltarono per vedere l'esplosione finale, ma in quello stesso momento si alzò dal mare un altro rumore... una tremenda deflagrazione proveniente dalla portaerei. «Più in fretta, Mother, più in fretta!» Schofield fissò il cronometro: 00:09, 00:10... La jeep schizzò sulla rampa circolare, facendo scintille ogni volta che sfregava le pareti di acciaio. Improvvisamente tutta la portaerei oscillò bruscamente, virando a babordo, e il mondo parve spostarsi di 30 gradi. «Non fermarti!» gridò Schofield. Il razzo aveva colpito i ricombinatori dell'idrogeno della Richelieu: era
stato quello a provocare la spaventosa esplosione. Una quantità incontrollabile d'idrogeno stava producendosi all'interno delle torri di raffreddamento della portaerei. Esattamente tra trenta secondi il secondo stadio dell'arma al palladio sarebbe esploso, incendiando l'idrogeno e distruggendo definitivamente la nave. 00:11 00:12 La jeep sbucò alla luce del sole e si fermò con un sobbalzo. Sul ponte di volo c'era un pandemonio. Gli aerei erano dei tizzoni, le postazioni antiaeree distrutte, i marinai morti. Un Rafale era col muso a terra, perché il carrello anteriore era stato distrutto, e bloccava la pista di decollo numero due della Richelieu. Il caccia era stato probabilmente sul punto di decollare, ma il Black Raven doveva averlo colpito con un missile. Schofield se ne accorse immediatamente. «Mother! Vai verso il caccia distrutto!» «Quel coso non potrà volare, Scarecrow! Nemmeno se ti ci metti tu ai comandi!» protestò Mother. 00:15 00:16 In mezzo a quel caos la jeep andò a fermarsi accanto al Rafale. Mother aveva ragione. L'aereo aveva il carrello anteriore spezzato e non sarebbe andato da nessuna parte. 00:17 00:18 «Non m'interessa l'aeroplano», disse Schofield. «Voglio questo.» Saltò giù dalla jeep e afferrò il gancio della catapulta che era caduto in mezzo alla pista davanti all'aereo distrutto. Il piccolo gancio trapezoidale della catapulta deve essere attaccato al carrello anteriore dell'aereo, per far raggiungere all'aereo la velocità di decollo in novanta metri. Schofield incastrò in qualche maniera il gancio all'asse anteriore della jeep, poi fissò l'altra estremità alla catapulta sul ponte. 00:19 00:20 «Ehi, non penserai davvero...» provò a dire Mother, fissando la pista sgombra davanti alla jeep: la pista terminava all'orizzonte della prua della nave. I binari della catapulta proseguivano per tutta la lunghezza del ponte di volo. 00:21
00:22 Schofield saltò di nuovo a bordo del veicolo a fianco di Mother. «Mettila in folle e allaccia le cinture!» 00:23 00:24 Mother agganciò la cintura e fece scattare la fibbia. Schofield fece lo stesso. 00:25 309 Quindi estrasse il suo MP-7 e lo puntò verso la leva di controllo della catapulta. 00:26 Sparò. 00:27 La pallottola impattò contro la leva di lancio, mise in funzione la catapulta e la jeep scattò avanti lungo i binari a una velocità che nessun fuoristrada aveva mai raggiunto. *** Novanta metri in 2,2 secondi. Schofield e Mother furono schiacciati contro i sedili e percepirono la pressione sui bulbi oculari. La jeep percorse la pista di lancio a velocità incredibile. Il ponte appariva sfocato per la velocità. I pneumatici anteriori scoppiarono dopo cinquanta metri. Però la macchina proseguì la corsa inarrestabile, come una palla di cannone che esce dall'affusto, spinta dalla terribile forza della catapulta. In realtà, non raggiunsero la stessa velocità che avrebbe avuto un jet nelle medesime condizioni, perché un aereo somma a quella della catapulta la spinta dei motori. Ma Schofield non aveva intenzione di volare. Voleva solo allontanarsi abbastanza da quella nave prima che... esplodesse. La jeep arrivò alla fine della pista... e prosegui... lanciata nel cielo... muso in su e ruote che continuavano a girare... proprio quando l'intera portaerei dietro di loro si autodistruggeva. Non ci furono fiamme. Nessuna nuvola di fumo. Si sentì soltanto una potentissima, straziante esplosione. Le paratie d'acciaio della portaerei si
espansero istantaneamente verso l'esterno, spinte dalla terribile pressione dell'idrogeno incendiato, lacerandosi nei punti di giunzione come i vestiti di Hulk quando si trasforma. Milioni di chiodi e bulloni vennero sparati in cielo. Salirono a diversi chilometri d'altezza e ci volle un minuto intero perché ricadessero tutti. Un elicottero decollato pochi istanti prima dalla poppa della nave fu trapassato da quella salva di chiodi e distrutto in volo. Enormi pezzi della portaerei - intere lastre di metallo - volarono in cielo e si abbatterono sui cacciatorpediniere lì vicino, provocando danni alle murate, ai ponti, e facendo saltare i vetri degli oblò. Il danno maggiore per la Richelieu fu a poppa, nell'epicentro dell'esplosione: gli scarichi di raffreddamento. Le paratie esterne vennero strappate alle giunture, nel punto in cui c'erano i chiodi verticali si aprirono degli sfregi su entrambe le murate della nave, squarci in cui entrò immediatamente l'impietoso oceano Atlantico. Fu allora che la Richelieu, la più grande portaerei mai costruita dalla Francia, cominciò a sprofondare, ingloriosamente, negli abissi. La jeep di Mother e Schofield, comunque, era volata oltre la prua della grande nave. I due sganciarono le cinture, si sollevarono sui sedili e saltarono dalla jeep in volo. Dal ponte della portaerei alla superficie dell'oceano c'erano circa venticinque metri. Fu prima la jeep a entrare in acqua: una grande esplosione di schiuma e di spruzzi. Poi toccò a Mother e Schofield: due piccoli spruzzi contemporanei. Fu doloroso, però i due soldati piegarono il corpo nell'angolo corretto per l'impatto, in modo da entrare coi piedi avanti, e s'infilarono sott'acqua un istante prima che la portaerei eruttasse la sua mortale nube di chiodi sulla superficie dell'oceano come una pioggia di shrapnel. La possente portaerei stava affondando molto in fretta, inabissandosi dalla parte posteriore. Lo spettacolo era a dir poco affascinante. Poi, mentre gli sfortunati marinai correvano alla ricerca di un battello di salvataggio o, semplicemente, si gettavano in acqua per salvarsi, la grande nave da guerra si alzò in verticale, con la prua in alto e la sezione di poppa completamente sommersa. Il resto del gruppo di battaglia francese era sgomento. Non era pensabile una cosa del genere, se non in una vera e propria guerra. Nessuna nazione aveva mai perso una portaerei dalla fine dell'ultimo conflitto mondiale.
Forse fu proprio per questo che non reagirono prontamente quando, un minuto dopo l'esplosione, il Black Raven si portò a tre metri sopra il pelo dell'acqua e issò con un cavo due piccole figure. Quando le due persone furono comodamente in salvo nella pancia del velivolo, l'affusolato Sukhoi si sollevò e scattò a tutta velocità, allontanandosi dai resti malconci della flotta orfana della Richelieu. *** Aloysius Knight andò nel vano di carico del Black Raven e trovò Schofield e Mother sdraiati a terra. Sembravano due ratti annegati. Schofield sollevò gli occhi su Knight. «Imposta la rotta per la Manica, al largo di Cherbourg. È lì che si trova il primo Kormoran. Dobbiamo trovarlo prima che lanci i suoi missili contro l'Europa.» Knight annuì. «Ho già dato istruzioni a Rufus.» Schofield fece una pausa. Knight pareva stranamente triste, quasi... umano. Cosa stava succedendo? Schofield si guardò attorno e se ne rese conto. «Dov'è Gant?» Fu allora che, dietro i suoi occhiali color ambra, gli occhi di Knight fremettero. Un solo istante. Schofield se ne accorse e in quell'istante sentì dentro di sé qualcosa che non aveva mai provato prima. Un terrore assoluto e totale. Aloysius Knight deglutì e disse: «Capitano... Dobbiamo parlare». SESTO ATTACCO LA MANICA - STATI UNITI 26 OTTOBRE, ORE 17.00 [LA MANICA] EST [NEW YORK] ORE 11.00
«40 (a) (ii) In caso di conflitto che coinvolga le maggiori potenze mondiali, è altamente probabile che le popolazioni più povere dell'Africa, del Medio Oriente e dell'America Centrale, che in generale risultano più numerose di 100 a 1 rispetto ai loro vicini occidentali, si riversino al di là dei loro confini, sopraffacendo le metropoli occidentali.» Documento di Pianificazione del Consiglio di Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti, UN Press, New York, 28 ottobre 2000 «Chi deve fare il lavoro difficile? Chi è in grado.» Proverbio attribuito a Confucio
LA MANICA, COSTA FRANCESE 26 OTTOBRE, ORE 17.00 [EST ORE 11.00]
Il Black Raven atterrò in cima a una scogliera battuta dalla pioggia che si affacciava sulla Manica. Shane Schofield uscì dalla cabina di pilotaggio, saltò sul terreno fangoso e si allontanò incespicando dal velivolo, senza curarsi della tempesta che lo circondava. Quando Knight gli aveva raccontato cos'era successo a Gant nel Pozzo degli Squali, Schofield aveva detto solo tre parole. «Rufus, atterra qui.» Schofield si fermò sul bordo della scogliera e chiuse gli occhi. Le lacrime si mescolarono alla pioggia. Gant era morta. Morta. E lui non c'era, per salvarla. In passato, in qualsiasi situazione, era sempre stato in grado di proteggerla. Stavolta no. Aprì gli occhi e fissò il vuoto. Poi le gambe gli cedettero e cadde in ginocchio in mezzo al fango, le spalle scosse da un pianto disperato. Mother, Knight e Rufus lo osservarono dalla cabina spalancata del Black Raven, a venti metri di distanza. «Cazzo...» sospirò Mother. «Che farà adesso?» Nella testa di Schofield c'era un caleidoscopio d'immagini. Vedeva Gant che gli sorrideva, rideva, loro due che si tenevano per mano mentre passeggiavano a Pearl e rotolavano stretti sul letto. Dio, quasi riusciva a sentire il tepore del suo corpo. La rivedeva combattere in Antartide e nello Utah; quando gli salvò la vita lanciando un ancorotto magnetico Maghook nell'Area 7: una probabilità su un milione, ma aveva funzionato. E poi, con grande scoramento, gli apparve Killian al castello che diceva: «Adoro vedere il terrore sulla faccia delle persone quando capiscono, senza dubbio, che stanno per morire». Ora il mondo era... senza di lei. Vuoto. Senza senso. E, allora, fissò la Desert Eagle nella fondina... e la estrasse. «Ehi!» esclamò una voce dietro di lui. «Che accidenti vuoi fare con
quella pistola?» Era Mother. Schofield non si voltò nemmeno. «Non interessa a nessuno, Mother. Se noi salviamo il mondo non interessa a nessuno. La gente andrà avanti come al solito, senza sapere che sarà grazie a soldati come noi. Come Gant.» Mother tenne gli occhi fissi sulla pistola. La pioggia gocciolava dalla canna. «Scarecrow. Metti via la pistola.» Schofield guardò la Desert Eagle come se la vedesse per la prima volta. «Ehi», continuò Mother. Era un modo per distrarlo, perché sapeva già la risposta alla domanda. «Cosa significa quel 'digli che avrei risposto sì'?» Schofield alzò lo sguardo sull'orizzonte, parlando come un automa. «Poteva leggermi come un libro aperto. Non potevo avere segreti, con lei. Sapeva che le avrei chiesto di sposarmi in Toscana.» Spostò la presa sulla pistola e si morse un labbro. Altre lacrime gli scesero sul viso. «Gesù, Mother. Lei è morta. Cazzo, è morta. Che cosa ci sto a fare io qui? 'Fanculo. Che il mondo combatta la sua cazzo di guerra senza di me.» Sollevò la pistola sotto il mento e tirò il... Ma Mother fu più rapida. Lo afferrò proprio quando la pistola stava per sparare e caddero tutti e due nel fango sulla scogliera. Lottarono. Mother cercò di bloccargli la mano con la pistola. Schofield cercò di allontanare la donna. Mother era più alta e più grossa di lui e all'inizio ebbe il sopravvento. Lo bloccò sotto il suo peso e gli picchiò a terra il polso con l'arma. La Desert Eagle gli cadde di mano. Poi lo colpì forte in faccia. Quel pugno ebbe uno strano effetto su Schofield. Sembrò risvegliarlo. Con una facilità straordinaria, l'uomo agguantò il polso di Mother con due sole dita e lo torse. Mother ruggì di dolore e Schofield, con un perfetto controllo del baricentro, la lanciò lontano. Erano in piedi. Si fissarono, sugli scogli battuti dal vento, osservandosi in mezzo alla pioggia battente. «Non ti permetterò di farlo, Scarecrow!» «Mi dispiace, Mother. Ma è troppo tardi.» Mother si mosse. Avanzò in fretta e scagliò un destro terrificante, ma Schofield lo schivò; lei provò ancora, mirando dritto al naso, ma Schofield, perfettamente bilanciato in mezzo al fango, evitò anche quello e la colpì. Mother barcollò un istante, ma restò in piedi. «Devi inventarti qualcosa di meglio per battermi!» La donna si lanciò ancora su di lui: gli andò contro con le spalle per ag-
guantarlo alla maniera di un giocatore di rugby, lo sollevò ed entrambi ripiombarono a terra. Più in là, vicino al Black Raven, Aloysius Knigbt e Rufus, immobili nella pioggia, osservavano la lotta come semplici spettatori, sia pure sbalorditi. Rufus fece un passo avanti come se volesse intervenire, ma Knight lo bloccò con una mano appena appoggiata sul petto, senza distogliere gli occhi dalla contesa. «No. Se la devono vedere tra di loro.» Schofield e Mother rotolarono nel fango mentre lottavano. In un primo momento, sembrò che Mother riuscisse a bloccarlo, ma improvvisamente Schofield la colpì col gomito sul mento e ancora una volta se ne liberò, con sorprendente facilità. L'uomo si alzò. Anche la donna. Erano tutti e due sporchi di fango. Mother barcollò per la stanchezza, tuttavia riprese il combattimento. Schofield parò tutti i colpi in scioltezza, secondo lo stile delle arti marziali. Mother ruggì frustrata quando Schofield, facendo leva su un ginocchio, la mandò a gambe all'aria lasciandola ingloriosamente cadere sul sedere nel fango. Ormai Schofield aveva messo tra sé e la donna la distanza che gli serviva e si avviò verso il punto in cui gli era caduta la pistola e la raccolse. «Scarecrow, no!» urlò Mother con le lacrime agli occhi. «Ti prego, Shane, non...» *** Quelle parole lo bloccarono. Schofield restò immobile, poi capì il perché: Mother non lo aveva mai chiamato per nome. Nemmeno fuori dell'ambiente militare. Abbassò la pistola di un centimetro e la fissò. Lei aveva un aspetto patetico: in ginocchio per terra, coperta di fango, con le lacrime che le scendevano lungo il viso. «Shane», continuò lei, «forse al mondo potrà non interessare. Il mondo non sa di aver bisogno di persone come te e Gant. Ma io lo so! So che ho bisogno di te! Shane, ho un marito e delle bellissime nipoti... hanno tredici anni e si vestono come quella ninfetta di Britney Spears... e ho anche una
suocera che mi detesta. Eppure li amo tutti quanti, li amo da morire e non voglio vederli vivere in un mondo di sofferenze e di morte guidato da una manica di miliardari teste di cazzo. Ma non posso impedire che succeda. Non posso. Qualsiasi cosa io faccia, nemmeno se mi impegno al massimo, alla fine non sarò mai abbastanza brava, o abbastanza veloce, o abbastanza sveglia. Tu si, invece. Tu li puoi battere. E sai perché? Io lo so. L'ho sempre saputo. Lo sapeva anche la mia pollastrella, e per questo ti amava. Perché tu puoi fare delle cose che nessun altro sa fare.» Mother era sempre inginocchiata nel fango, con gli occhi pieni di lacrime. «Shane, non sono mai stata una prima della classe, però so una cosa: le persone sono persone. Sono egoiste e pensano solo a se stesse, fanno cose stupide e non sanno che esistono eroi come voi che li proteggono tutto il tempo.» Schofield non replicò. La pioggia gli rigava le guance. Ma Mother aveva rotto l'incantesimo. La vita stava tornando nel suo sguardo. «Non ti ho mai chiamato per nome prima d'ora», riprese lei. «Forse te ne sarai accorto. Ma sai perché?» Schofield era una statua di marmo. «No. Perché?» «Perché tu non sei un cazzo di uomo come gli altri. Non sei uno qualunque. Tu sei Scarecrow. Il cazzutissimo Scarecrow. Ecco perché non ti ho mai trattato come uno qualsiasi. Tu sei il migliore di tutti. Ma se adesso ti fai saltare le cervella, se scegli la strada più comoda, allora ti comporteresti come chiunque altro. Non è da te. Non è da Scarecrow. Scarecrow è fatto di tutt'altra pasta. Be', non è certo facile sopravvivere... Non so se uno normale sarebbe in grado di andare avanti dopo aver sentito quello che hai dovuto sentire tu... ma, se c'è uno che può farlo, quello sei tu.» Schofield rimase in silenzio per parecchio tempo. Finalmente parlò. «Li ammazzo tutti, Mother. I cacciatori di taglie che l'hanno presa. Tutti i cacciatori coinvolti in questa storia. Anche quelli di Majestic-12 che hanno archiettato tutto questo. E quando sarà finita - sia che il mondo sopravviva a questa crisi sia che se ne vada alla malora - troverò Jonathan Killian e gli farò saltare quel cazzo di cervello.» Mother sorrise tra le lacrime. «Questo suona bene.» «Però, Mother», aggiunse l'uomo con un cenno macabro, «non posso garantirti cosa farò dopo.» «Allora sarò costretta a lottare ancora una volta contro di te», replicò
Mother. A quel punto Schofield chiuse e riapri gli occhi. La vita era tornata. Mother annuì. «Scarecrow. Magari nessuno ti dirà mai una cosa del genere, quindi lo dico solo per me... e per Ralph e per i sei cloni di Britney e per quella puttana di mia suocera. Grazie!» Schofield le si avvicinò con la mano tesa, Mother l'afferrò e si rialzò. Poi lo abbracciò, circondandolo completamente nella sua stretta. Infine lo baciò sulla fronte e lo condusse verso il Black Raven tenendogli un braccio sulle spalle. «Mi manca già», disse Mother camminando. «Anche a me.» Camminavano abbracciati. «Mother, scusami se ti ho colpita.» «Ehi, va bene così. Io ti ho colpito per prima.» «Grazie per aver lottato con me. Grazie per non aver mollato.» NEW YORK, STATI UNITI 26 OTTOBRE, ORE 11.25 Venti minuti dopo che il Concorde aveva toccato la pista del JFK, Book II era seduto in un elicottero CH-53E Super Stallion dei marine e, superata la Statua della Libertà e la Upper Bay di New York, le vette di vetro e acciaio di New York si aprirono di fronte a lui. Nel vano di carico dell'elicottero c'erano venti marine completamente armati. «Trovati terroristi nell'impianto?» urlò Book nel microfono, perplesso. Parlava col responsabile della squadra del Dipartimento della Difesa che aveva controllato l'impianto della Axon, un certo Dodds. «Sì. Tutti della Jihad Globale, compreso un certo... un attimo... Shoab Riis. Pare ci sia stato un inferno di fuoco laggiù», rispose Dodds. «Jihad Globale», ripeté Book. «Ma questo non può...» s'interruppe. Improvvisamente capì: Majestic-12 aveva bisogno di un colpevole. Cosa c'era di meglio di un'organizzazione terroristica? In realtà, però, se i terroristi della Jihad avessero rubato missili e navi alla Axon Corp., non sarebbe stato di vantaggio a nessuno. Ma Majestic-12 dove aveva trovato dei veri terroristi della Jihad Globale? «La Francia!» esclamò Book. «Sempre la maledetta Francia.» «Book. Che diavolo sta succedendo?» chiese Dodds. «Qui hanno tutti
una gran strizza. Forse si tratta del più grande attacco terroristico mai messo in atto nella storia e useranno contro di noi i nostri stessi missili.» «I terroristi non c'entrano, Dodds», replicò Book. «È una questione di soldi e potere. Credimi, i terroristi erano già morti quando sono arrivati all'impianto. Secondo me, il servizio segreto francese ha dato una bella mano a Majestic-12 senza dare nell'occhio. Devo andare. Chiudo.» Book guardò le navi portacontainer e le superpetroliere all'ancora al largo di Staten Island: un gruppo di leviatani che attendeva il permesso di entrare nella baia di Hudson e nell'East River. A causa del progetto Kormoran, ognuna di quelle poteva essere un potenziale lanciatore di missili. «Allora, quale?» chiese il pilota. «Portati alle coordinate GPS 28743.05 - 4104.55», disse Book. «Dovrebbe essere là.» Il pilota regolò il navigatore e proseguì col localizzatore GPS. Book controllò per la centesima volta la lista di lancio sul suo computer palmare. Poco prima aveva parlato con Schofield; lui e Scott Moseley avevano calcolato le posizioni GPS delle ultime due navi lanciamissili Kormoran: Hopewell
Taep oDong-2
Taep oDong-2
Whale
N-8
11900.00
11622.50 4000.00 (Pechino)
N-8
2327.00 (Stretto di Taiwan) 11900.00
12.30
11445.80
12.30
Shahab-
2327.00 2243.25 (Stretto di (Hong Taiwan) Kong) TN76 07040.45 07725.05
12.45
Shahab-
2327.00 2958.65 (Mar Ara(Nuova bico) Delhi) TN76 07040.45 07332.60
12.45
5
5 2327.00 (Mar Ara-
3230.55 (Islamabad)
bico) Avevano segnato sulla carta tutte le navi.
Oltre alle tre petroliere programmate per colpire coi loro missili a testata nucleare l'America, l'Inghilterra, la Francia e la Germania, c'erano altre tre navi Kormoran: una nel mar Arabico, che poteva lanciare sull'India o sul Pakistan, e un'altra nello stretto di Taiwan, che puntava cloni ICBM dei Taep o-Dong verso Pechino e Hong Kong. «Buon Dio...» sospirò Book. Si riscosse e accese il microfono satellitare. «Fairfax? Ci sei? Come va lì?» OCEANO PACIFICO DUE MIGLIA AL LARGO DELLA BAIA DI SAN FRANCISCO 26 OTTOBRE, ORE 08.25 [EST ORE 11.25] Anche David Fairfax era in un Super Stallion, con a fianco un gruppo di Recon Marines. Il piede destro era in continuo movimento, un tic nervoso che tradiva uno stato di grande tensione. Indossava un casco troppo grande, un giubbetto antiproiettile ancora più abbondante e, in grembo, aveva un radiotrasmettitore satellitare. Si sentiva mingherlino rispetto ai marine che lo circondavano. Il Super Stallion volava basso sulle onde del Pacifico, diretto verso una superpetroliera solitaria che se ne stava immobile al largo della costa di San Francisco. «Salve, Book», disse Fairfax nel suo nuovo laringofono. «Abbiamo la
nostra petroliera ed è bella grossa, tutto a posto. Si trova esattamente dove dovrebbe essere, secondo le coordinate GPS che mi hai dato. Petroliera identificata come MV Jewel, registrata a Norfolk, Virginia, appartenete alla Atlantic Shipping Company, sussidiaria della Axon Corporation.» Il piede di Fairfax non smetteva di agitarsi. Anche lui avrebbe voluto fermarlo. «Ah, ho anche i numeri primi di Mersenne che volevi. Cavolo, i numeri primi di Mersenne sono un bel pezzo di matematica. Ne esìstono solo trentanove conosciuti, ma alcuni di questi sono, pensa, composti da due milioni di cifre. Sono dei numeri primi davvero particolari. Si ottengono applicando una formula ben precisa: numeri primi di Mersenne = 2p 1, dove 'p' è un numero primo, ma anche il risultato è un numero primo. Il numero 3 è il primo dei numeri primi di Mersenne, perché 22 - 1 = 3 e infatti sia il 2 sia il 3 sono numeri primi. Per cui incominciano con numeri piccoli, ma diventano molto grandi. Il sesto numero primo di Mersenne è 131071, basato sul numero primo 17. Cioè, 217 - 1 = 131071, anche lui numero primo...» «Per cui la risposta è 131071», tagliò corto Book. «Ehm, già», confermò Fairfax. «Passo l'informazione a Scarecrow», disse Book. «Grazie, David. Chiudo.» Il segnale s'interruppe. Fairfax fissò il suo piede traditore. «Effetti collaterali, Fairfax», disse il comandante dei marine, Trent, indicando il piede di Fairfax. «Ma, se Scarecrow pensa che lei possa farcela, allora è sicuramente all'altezza dell'incarico.» «Sono contento che, secondo lui, io possa farcela», borbottò Fairfax. Il Super Stallion rombò in direzione della petroliera. LA MANICA, NORD DI CHERBOURG, FRANCIA 26 OTTOBRE, ORE 17.25 [EST ORE 11.25] Il Black Raven filava come un proiettile nel cielo battuto dalla pioggia, coi riflettori accesi, sopra la costellazione di luci delle superpetroliere nella Manica. Rufus, Mother e Knight stavano cercando il loro obiettivo, mentre Schofield parlava via radio con Book II. «Okay, adesso le mando tutto», disse Book.
Il palmare di Schofield emise un ding: era in possesso delle posizioni delle navi Kormoran calcolate da Book. A vedere le posizioni Schofield spalancò gli occhi: il mar Arabico, lo stretto di Taiwan... «Fairfax ha calcolato il sesto numero di Mersenne», riprese Book. «È 131071.» «131071...» Schofield lo scrisse sulla mano. «Grazie Book. Riferisci a David che tra poco mi metterò in contatto con lui. Chiudo.» Cambiò canale e si collegò con l'ambasciata americana a Londra. «Moseley, che mi dice dei nostri sottomarini?» «Notìzie buone e notizie cattive», rispose Scott Moseley. «Prima le buone.» «La buona notizia è che abbiamo sottomarini d'attacco classe Los Angeles sia nel mar Arabico sia nello stretto di Taiwan, e sono a distanza di tiro dalle navi lanciamissili.» «E le cattive?» «Le cattive notizie riguardano le altre tre navi lanciamissili, quelle a New York, San Francisco e nella Manica. Non abbiamo nessun 688 abbastanza vicino per colpirle in tempo utile. Dovranno essere disarmate in situ, salendo a bordo.» «Ottimo», replicò Schofield tranquillo. «Trovata!» Rufus indicò una superpetroliera all'ancora nel mare in burrasca, col ponte illuminato da potenti fari: una nave come tutte le altre, alla fonda al largo della costa francese. «Il segnale del transponder la identifica come MV Talbot e la posizione corrisponde perfettamente a quella segnalata dal GPS.» «Bel lavoro, Rufus», disse Schofield. «Signor Moseley, grazie per l'aiuto. Adesso devo andare al lavoro.» Schofield si voltò verso Knight e Mother. «Prendiamo le navi seguendo l'ordine previsto di lancio. Questa è la prima. Poi filiamo via di qui e disarmiamo le altre a distanza, da un posto tranquillo. Va bene per voi?» «Per me va bene», rispose Knight. «Cazzo, sì», confermò Mother. «Tenetevi forte», disse Schofield con la faccia cupa. «Dobbiamo abbordarla!» LA MANICA ORE 17.30 [EST ORE 11.30]
Il Black Raven scese in picchiata verso il ponte di coperta della superpetroliera, attraversando i fasci dei potenti riflettori della nave. Cadeva pioggia ovunque, una pioggia obliqua e sferzante, e il cielo era trafitto dai lampi. Il vano bombe del Black Raven si aprì e uscirono tre figure: Schofield, Knight e Mother. Tutti e tre erano armati con MP-7, pistole Glock e fucili Remington. Schofield e Mother indossavano anche due giubbetti che Knight teneva di riserva a bordo del suo caccia. I tre si calarono sul lunghissimo ponte della Talbot, di fronte all'enorme torre di controllo, mentre alle loro spalle il Black Raven scivolò via nella notte tempestosa. Appena in tempo. Sul ponte, attorno a Schofield e agli altri, esplose subito una grandinata di proiettili sparati da un paio di cecchini in cima alla torre. BAIA DI NEW YORK COSTA ORIENTALE, STATI UNITI Nello stesso istante, dall'altra parte dell'Atlantico, Book II e il suo gruppo di marine stavano attaccando un'altra superpetroliera, la Ambrose, nella baia di New York. Come Schofield, anche loro si calarono dall'elicottero fino al sottile ponte di prua della nave cisterna. Come Schofield, anche loro finirono sotto il fuoco nemico. Però, al contrario di Scarecrow, non avevano il vantaggio del buio e della pioggia battente. Erano le 11.30 del mattino da quella parte del mondo. I due cecchini che li aspettavano dentro la torre di controllo della Ambrose aprirono il fuoco ancora prima che gli uomini di Book terminassero la discesa. Due marine furono colpiti. A morte. Book cadde malamente sul ponte, picchiando forte, ma cominciò subito a sparare. SAN FRANCISCO COSTA OCCIDENTALE, STATI UNITI Stessa cosa sulla costa occidentale. Il gruppo di Fairfax si lanciò sulla superpetroliera, la Jewel, sotto il fuoco dei cecchini piazzati sulla torre di
controllo. Però gli uomini di Trent li videro. Il loro tiratore scelto inquadrò nel mirino entrambi i cecchini e li fece fuori con soli due colpi sparati direttamente dal portellone aperto del Super Stallion. I marine occuparono la nave atterrando proprio sul tetto della torre, con Dave Fairfax che correva in mezzo a loro. Trovarono la postazione dei cecchini: avevano sparato dai boccaporti della torre, che offrivano un'ampia visuale. I cecchini avevano la pelle nera e indossavano uniformi mimetiche africane color cachi. «Che diavolo significa?» si chiese Andrew Trent notando le mostrine sulle spalle dei morti. I cecchini indossavano divise dell'esercito eritreo. LA MANICA I lampi illuminavano il cielo, le onde s'infrangevano fragorosamente contro le murate della superpetroliera, si udivano rombi di tuono e raffiche di proiettili si abbattevano sul ponte prodiero. Knight e Mother inchiodarono i due cecchini appostati sulla torre di controllo della Talbot con un fuoco tanto rapido quanto micidiale. «Avrei dovuto immaginarlo!» gridò Schofield, correndo verso un portello alla base della torre. «Killian non avrebbe mai lasciato le sue navi senza protezione!» «Ma chi sono? Chi può avere messo di guardia?» gli urlò di rimando Mother. Mentre correvano verso la torre, scorsero un ampio boccaporto in mezzo al ponte. Knight e Schofield l'aprirono. Furono accolti dall'assordante fragore di armi automatiche e dalla vista di una lunga scaletta verticale che scompariva nell'enorme stiva missili della nave. Ma quel che colpì immediatamente l'attenzione di Schofield e Knight fu ciò che notarono alla base della scaletta: chi sparava. Con loro enorme stupore videro una squadra di soldati in uniforme nera, equipaggiati con Uzi e MI 6, che faceva fuoco a ritmo infernale contro un nemico non visibile. Schofield richiuse di colpo il portello. «Credo che abbiamo interrotto una battaglia.» «Cos'hai visto?» gridò Mother. «Che non siamo i primi a essere arrivati su questa petroliera», rispose
Schofield. «Cosa? Chi c'è laggiù?» Schofield scambiò un'occhiata con Knight. «Non sono molte le unità speciali che impiegano gli Uzi», osservò Knight. «Zemir. Direi che si tratta di Sayaret Tzanhim.» «Concordo», disse Schofield. «Qualcuno vorrebbe essere così gentile da spiegarmi che cosa sta succedendo?» urlò Mother sotto la pioggia. «Secondo me», rispose Schofield, «siamo stati battuti sul tempo dall'arrivo dell'unico altro uomo al mondo in grado di disarmare un sistema di sicurezza CincLock. Per la precisione si tratta di Zemir, il tizio dell'aviazione israeliana che era sulla lista, con una squadra scelta dell'esercito israeliano come supporto, i Sayaret Tzanhim.» «Ehi, questa è stata una giornata così strana che sono disposta a credere a qualsiasi cosa», ammise Mother. «E adesso che si fa?» Schofield consultò l'orologio. Le 17.35, le 11.35 a New York. Dieci minuti al lancio. «Lasciamo che gli israeliani facciano il lavoro sporco», rispose. «Che cazzo, sono felice di lasciare a Zemir l'onore di disattivare quei missili. Noi intanto entriamo nella torre. Voglio controllare quei cecchini e vedere chi abbiamo di fronte prima di precipitarci in quell'inferno là sotto per aiutare Zemir.» Arrivarono al portello alla base della torre e l'aprirono, ma vennero investiti dal raggio accecante del faro di un elicottero. Schofield si girò di scatto sulla soglia, col volto rigato dalla pioggia. «Oh, ma allora è uno scherzo...» Sul lungo ponte piatto di prua della superpetroliera, a un centinaio di metri di distanza, col faro che frugava attorno, stava atterrando un elicottero Alouette, chiaramente rubato. L'elicottero terminò la manovra e scesero tre uomini in uniformi da combattimento russe, armati di mitra Skorpion: Dmitri Zamanov e gli ultimi due superstiti dei suoi Scorpioni. «Maledizione, me n'ero dimenticato!» esclamò Knight. «Tu hai ancora una taglia sulla testa. È Zamanov. Corri!» Dentro la torre. Su per alcune scalette. Poi fuori sulla plancia. 17.36. La voce di Fairfax all'orecchio di Schofield: «Scarecrow, siamo dentro la petroliera di San Francisco. Ci sono dei cecchini nemici con le uniformi dell'esercito eritreo...»
Schofield si avvicinò ai corpi dei cecchini abbattuti: commando africani. Uniformi da combattimento color cachi. Elmetti neri. E sulla spalla uno stemma, ma non quello dell'Eritrea, bensì il contrassegno dell'unità speciale dell'esercito nigeriano: la Guardia Presidenziale. Protagonista di molte guerre civili africane, la Guardia Presidenziale nigeriana era composta da sicari addestrati dalla CIA, che in passato erano stati utilizzati sia contro i propri cittadini sia contro i nemici della nazione. Nelle strade di Lagos e Abuja, le Guardie Presidenziali erano conosciute anche con un altro nome: gli Squadroni della Morte. La squadra di protezione di Killian. Due cecchini lassù e gli altri uomini sottocoperta a guardia dei silos dei missili, il nemico che in quel momento gli israeliani stavano combattendo nella stiva. «Fairfax, hai detto che erano eritrei?» «Esatto.» «Non nigeriani?» «No. I miei marine confermano. Sono sicuramente insegne eritree.» Eritrea? pensò Schofield. «Scarecrow», esclamò Mother spalancando la porta di una cabina. Sul pavimento c'erano quattro sacchi per cadaveri. Mother ne aprì rapidamente uno, che conteneva il cadavere in putrefazione di un terrorista della Jihad Globale. «Ah, adesso capisco!» esclamò Schofield. «I capri espiatori.» Azionò il suo microfono satellitare: «Fairfax, devi dire ai tuoi marine di stare in guardia. Ci saranno altri soldati africani nella stiva principale di guardia ai silos. Mi spiace, David, ma non hai ancora finito. Devi superare quello sbarramento e azionare la tua unità di collegamento satellitare entro un raggio di diciotto metri dal pannello di controllo dei missili, in modo che io possa disarmarli». «Dieci-quattro. Ci siamo», replicò Fairfax, chiudendo la trasmissione. Mother raggiunse Knight, appostato vicino ai finestrini della plancia per scrutare fuori in cerca di Zamanov. «Lo vedi?» «No, quel piccolo verme russo è scomparso», rispose Knight. «Probabilmente è in cerca di Zemir.» Improvvisamente negli auricolari esplose la voce di Rufus. «Capo. Scarecrow. Ho un nuovo contatto in avvicinamento alla petroliera. Un grosso cutter. Sembra della guardia costiera francese.» «Cristo!» imprecò Schofield spostandosi verso i finestrini, da dove vide una grossa imbarcazione bianca che si accostava da dritta.
Schofield non riusciva a crederci. Oltre allo Squadrone della Morte nigeriano, alle truppe d'assalto israeliane e ai cacciatori di taglie russi già sulla petroliera, ora stava arrivando anche la polizia marittima francese! «Quella non è la guardia costiera», sentenziò Knight, guardando attraverso il visore notturno. Grazie allo strumento, poteva vedere un grosso cutter bianco che fendeva le onde, la sua prua tagliente, il grosso cannone prodiero e schizzi di sangue sugli oblò della timoneria. Nella cabina c'erano uomini armati. «Sono Demon Larkham e gli uomini dell'IG-88.» 17.38: sette minuti al lancio. «Maledizione, altri cacciatori di taglie», disse Schofield. «Rufus! Riesci a eliminarli?» «Mi spiace, capitano, ho esaurito i missili. Li ho usati tutti contro la portaerei francese.» «Okay, okay...» mormorò Schofield, riflettendo. «Va bene, Rufus, attieniti alle istruzioni. Se non riusciremo a disarmare quei missili in tempo, avremo bisogno di un tuo aiuto speciale più tardi.» «Ricevuto.» Schofield si girò, sempre riflettendo, riflettendo, riflettendo. Stava succedendo tutto troppo in fretta e la situazione stava sfuggendo a ogni controllo. Missili da disarmare, gli israeliani già a bordo, soldati nigeriani, altri cacciatori di taglie... «Concentrati!» esclamò a voce alta. «Pensa, Scarecrow. Qual è il tuo obiettivo principale?» Disarmare i missili. Devo disarmare i missili entro le 17.45. Tutto il resto è secondario. I suoi occhi balenarono scorgendo un ascensore in fondo alla plancia. «Scendiamo nella stiva.» 17.39 BAIA DI NEW YORK ORE 11.39 Sul ponte di prua della petroliera, sotto il brillante sole mattutino, la squadra di marine si gettò al coperto. Book s'infilò in un boccaporto, scivolando nelle tenebre giù per una lunga scaletta, seguito dalla suo gruppo. Quando arrivò in fondo si guardò attorno. Era in un'enorme stiva, lunga
almeno trecento metri. Una dozzina di file di silos cilindrici per missili, simili a gigantesche colonne di sostegno del soffitto, sfumava nel buio. E, di fronte al silos più lontano, trincerata dietro una barricata di casse d'acciaio e carrelli elevatori, c'era una squadra di commando africani armati fino ai denti. LA MANICA ORE 17.39 Le porte dell'ascensore si aprirono sulla sezione di poppa della stiva della superpetroliera. Schofield, Knight e Mother uscirono con i fucili spianati. La stiva dei missili era enorme, una caverna immensa grande quanto tre campi da football. Nella metà di prua c'erano i silos dei missili del progetto Chameleon: alti cilindri di titanio rinforzato che contenevano le armi più devastanti conosciute dall'uomo. E, proprio là, era in atto una battaglia brutale. Una dozzina di commando nigeriani erano asserragliati dietro i due silos più lontani, da dove difendevano il pannello di controllo dei missili: una piattaforma sopraelevata montata su supporti d'acciaio a tre metri dal pavimento. Schofield avrebbe dovuto trovarsi nel raggio di diciotto metri da quel punto per poter disarmare i missili. I nigeriani erano trincerati dietro una barricata ben costruita e sparavano con mitragliatrici, continuando a lanciare granate contro gli attaccanti israeliani. Proiettili e granate colpivano i silos, ma senza arrecare danni, perché le loro pareti erano troppo robuste. Tra Schofield e il campo di battaglia c'era ogni sorta di materiale: container, parti di ricambio per missili; Schofield vide perfino due minisottomarini gialli con una calotta emisferica trasparente di vetro, sospesi a catene appena al di sotto delle passerelle che correvano vicino al soffitto: erano degli ASDS modificati. Quei minisommergibili venivano spesso impiegati dalla marina statunitense per ispezionare visivamente lo scafo esterno di una portaerei o di sottomarini armati di missili balistici per individuare la presenza di eventuali dispositivi di sabotaggio. Era ovvio che progetti importanti come Chameleon e Kormoran fossero equipaggiati anche di ASDS. 17.40 Schofield, Knight e Mother si lanciarono in avanti, restando accucciati,
facendosi strada tra i vari pezzi di ricambio e tenendo d'occhio lo svolgimento della battaglia. Gli israeliani scatenarono un attacco massiccio. Un gruppo di uomini fu inviato sulla destra per attirare il fuoco dei nigeriani, poi la barricata fu aggredita da sinistra con tre lanciarazzi. I razzi sfrecciarono per tutta la lunghezza della stiva, lasciando dietro di sé tre scie di fumo bianco, e colpirono il bersaglio. Un'esplosione di fuoco. I nigeriani volarono in aria. Alcuni gridarono, altri bruciarono. E gli israeliani si lanciarono all'attacco, finendo i nemici feriti con un colpo alla testa, proprio mentre un gigantesco portello di carico incassato nella paratia di dritta della stiva iniziava a sollevarsi sulle guide di scorrimento. L'enorme portellone si aprì completamente e una rampa d'acciaio si abbatté con un tremendo clangore dall'esterno e, come una ciurma di pirati del XVI secolo che abbordassero un galeone, gli uomini dell'IG-88 dilagarono nella stiva missili, scatenando un fuoco infernale coi loro fucili MetalStorm. Schofield osservò come - sotto il fuoco di almeno venti uomini dell'IG88 - i commando israeliani, le forze speciali di Sayaret Tzanhim, s'impadronissero della zona attorno al pannello di controllo dei missili. I commando formarono uno stretto semicerchio attorno alla piattaforma sopraelevata, tenendosi rivolti a poppa e sparando con gli Uzi e gli M-16 contro gli uomini dell'IG-88. Sotto il fuoco di copertura, il comandante degli israeliani, che non poteva esser altri che Simon Zemir, si arrampicò sulla piattaforma d'acciaio e raggiunse direttamente il pannello di controllo, dove aprì una valigetta ed estrasse l'unità di disattivazione CincLock-VII. «Quei bastardi d'israeliani», disse Mother. «Non c'è nessuna tecnologia americana che non abbiano rubato.» «Probabilmente no», ribatté Schofield. «Ma oggi sono i nostri migliori amici. Noi gli copriamo le spalle mentre loro coprono Zemir.» 17.41 Da dietro un silos, Schofield stette a osservare l'unità del CincLock di Zemir che s'illuminava come un computer portatile, mentre Zemir cominciava a toccare lo schermo touch screen. Sta disarmando il sistema dei missili, pensò Schofield. Eccellente. Così probabilmente potremo uscire di qui senza troppe difficoltà.
Ma, poi, Schofield vide tre figure scure scendere con una fune dall'alto delle travi della stiva dietro la piattaforma su cui si trovava Zemir. Nessuno dei Sayaret Tzanhim li notò, troppo impegnati a sparare contro Demon Larkham e i suoi uomini. «No», sussurrò Schofield, «No, no, no...» I tre uomini scivolarono giù dalla fune rapidi come il fulmine: Zamanov e gli Scorpioni, che si erano calati da un boccaporto del ponte di prua. Schofield uscì allo scoperto e si mise a gridare nel fragore della battaglia: «Dietro di te!» Gli israeliani reagirono immediatamente. Sparando contro di lui. Anche Zemir, sul punto d'iniziare la sequenza di disarmo, sollevò lo sguardo. Schofield si rituffò dietro il silos, rotolò sul pavimento e sbirciò da dietro il riparo, giusto in tempo per vedere i tre Scorpioni atterrare con leggerezza qualche metro dietro Zemir, impegnato con la sua valigetta. Schofield poté solo stare a guardare, impotente, mentre, illuminato dai lampi che uscivano dalle armi degli israeliani, Zamanov scivolava silenzioso in avanti e, sguainata la sua spada da cosacco, vibrava il colpo contro il collo di Zemir. In quell'istante, Shane Schofield divenne l'unica persona sull'elenco dei cacciatori di taglie ancora viva e l'unico uomo sulla terra in grado di disarmare il sistema di sicurezza antimissile CincLock-VII. La testa di Zemir cadde al suolo. Schofield era incredulo. «Non può essere vero.» Uno dei Sayaret Tzanhim si gettò un'occhiata alle spalle, in tempo per vedere il corpo decapitato di Zemir cadere dalla piattaforma in un lago di sangue e Zamanov infilare la testa nel suo sacco da montagna e risalire veloce come il fulmine lungo la fune retrattile da cui era disceso. Gli altri due Scorpioni coprirono la fuga di Zemir sparando in faccia al soldato israeliano, mentre altri due soldati dei Sayaret Tzanhim venivano falciati dal fuoco dell'IG-88 proveniente dall'altra direzione. Il fuoco incrociato investì la squadra dei commando israeliani. Quando i Sayaret Tzanhim si accorsero del cadavere di Zemir e degli Scorpioni che si stavano defilando risalendo sul ponte, si fecero prendere dal panico e, di fronte alla superiore potenza di fuoco dell'IG-88, ruppero la formazione. E furono decimati. L'IG-88 dilagò su di loro e in pochi istanti l'intera forza israeliana fu annientata.
17.42 L'IG-88 assunse il controllo della barricata. Demon Larkham varcò col passo tronfio di un generale vincitore lo sbarramento nemico e indicò il soffitto, dove Zamanov e i suoi Scorpioni stavano fuggendo sulle funi retrattili, portandosi via la testa di Zemir. I tre Scorpioni raggiunsero l'ampio portellone di carico. I due compagni di Zamanov uscirono per primi sotto la pioggia battente e si abbassarono per sollevare la testa mozza di Simon Zemir che Zamanov stava porgendo loro. E furono falciati dal fuoco micidiale di una grossa mitragliatrice. I due Scorpioni caddero a terra in preda a violenti spasmi e il loro torace esplose in una fontana di sangue. Una squadra di sei uomini dell'IG-88 li aveva aspettati sotto la pioggia. Demon Larkham aveva previsto quella mossa e aveva distaccato una seconda squadra sul ponte prodiero. Il sacco contenente la testa di Zemir rotolò sul ponte e gli uomini dell'IG-88 si precipitarono a raccoglierlo. Zamanov, rimasto solo contro troppi nemici, si accucciò sotto il ponte, si lasciò cadere su una passerella sospesa sopra la stiva dei missili e scomparve nell'ombra. Nella stiva Schofield era senza parole. A tre minuti dal lancio dei missili nucleari, Zemir era morto e l'IG-88 presidiava il pannello di controllo: venti uomini armati di fucili MetalStorm. A Schofield ora serviva un diversivo, un grosso diversivo. «Chiama Rufus», disse a Knight. «Sei sicuro?» «È l'unico modo.» «Bene», disse Knight. «Sei davvero matto, Schofield.» Poi parlò al laringofono. «Rufus. Come procede il piano B?» «Ho preso la più vicina, ed è proprio una bestia! Mi trovo a cento metri di distanza, coi motori al massimo, e punto direttamente su di voi.» A cento metri di distanza dalla Talbot, una nave stava procedendo a tutta velocità nella tempesta con Rufus al timone. La gigantesca nave portacontainer da 110.000 tonnellate, la MV Eindhoven, era ferma nel canale della Manica con le macchine al minimo, in attesa di scaricare il proprio carico a Cherbourg, quando Rufus era atterrato sul ponte col suo Black Raven.
Tranne Rufus, a bordo non c'era nessuno, perché l'equipaggio di sei uomini aveva saggiamente deciso di allontanarsi a bordo di una scialuppa di salvataggio dopo che Rufus aveva mandato in mille pezzi due finestrini della plancia con due raffiche di M-16. «Che cosa vuole che faccia?» gridò Rufus alla radio. Sulla Talbot Schofield valutò la situazione. Il piano di Rufus doveva essere una risorsa estrema, un mezzo per poter affondare la superpetroliera se non fosse riuscito a disarmare i missili. Schofield lanciò un'occhiata verso il pannello di controllo e improvvisamente il sangue gli si gelò nelle vene. Demon Larkham stava guardando proprio nella sua direzione. Li aveva individuati. Il Demone sorrise. «Rufus», disse Schofield. «Speronaci.» *** 17.42:10 Gli uomini di Demon Larkham si lanciarono fuori della barricata, sgusciando tra i silos dei missili, aprendo il fuoco coi loro MetalStorm. Per dare la caccia a Schofield. Schofield guidò Mother e Knight verso una scialuppa di salvataggio posizionata accanto al portellone di carico aperto, sul lato di dritta della stiva. «Svelti!» gridò. «Salite!» Tutti e tre saltarono nella scialuppa e immediatamente risposero al fuoco contro il nemico. Gli uomini dell'IG-88 si avvicinarono. Schofield sparava all'impazzata, imitato da Knight e Mother, cercando di rallentarne l'avanzata fino all'arrivo di Rufus. Ma gli uomini dell'IG-88 continuavano a guadagnare terreno. «Sbrigati», gridò Schofield. «Dove diavolo sei...?» Poi, in tutta la sua imponenza, Rufus arrivò. *** La fine del mondo: l'urlo del metallo lacerato, lo stridore d'acciaio contro acciaio.
La collisione di due gigantesche navi sul canale della Manica, sotto una pioggia battente, fu uno spettacolo spaventoso, assolutamente spaventoso. Due dei più grandi oggetti mobili del pianeta, ognuno lungo quasi 350 metri e pesante più di 100.000 tonnellate, si scontrarono a terrificante velocità. La portacontainer rubata da Rufus, la Eindhoven, speronò la murata di sinistra della Talbot, in posizione perfettamente perpendicolare. La prua acuminata s'infilò nello scafo della Talbot, sfondandola come un gigantesco ariete. Le paratie si accartocciarono verso l'interno e dalla gigantesca falla si riversò un torrente d'acqua marina. L'intera superpetroliera barcollò sotto l'impatto, come un pugile che si ritrae dopo un duro colpo. Prima si piegò a dritta, tanto era stato violento il colpo infertole dalla Eindhoven, quindi, mentre l'acqua entrava a giganteschi fiotti, la superpetroliera col suo carico di missili s'inclinò drammaticamente e fatalmente sulla murata di sinistra. A quel punto si rovesciò e cominciò ad affondare. Rapidamente. La scena nella stiva della Talbot avrebbe fatto sussultare Noè. L'impatto era stato a dir poco fragoroso. Neppure Schofield era preparato alla violenza di quel tremendo colpo né a vedere comparire la prua della Eindhoven attraverso la paratia di sinistra. Per reazione, l'intera nave si era piegata a dritta, scaraventando a terra tutti coloro che erano a bordo. Poi, da quell'enorme squarcio, l'acqua aveva iniziato a penetrare a fiotti immensi. Un'ondata gigantesca, alta più di sei metri, spazzò la stiva, inghiottendo istantaneamente diversi membri dell'IG-88 e scaraventando in aria carrelli elevatori, container e parti di missili. L'acqua scivolò sotto la scialuppa in cui si trovava Schofield, sollevandola dai supporti. Schofield staccò immediatamente l'imbarcazione dai paranchi e accese il motore. Nel giro di pochi secondi il pavimento della stiva fu completamente sommerso dall'acqua, il cui livello saliva rapidamente. Mentre il ventre della Talbot andava riempiendosi, la superpetroliera rollò in modo terrificante sul lato sinistro, in direzione della falla, inclinandosi di almeno 30 gradi; Schofield diede tutto gas lanciando l'imbarcazione a pelo d'acqua mentre l'intera stiva attorno a lui cominciava a ondeggiare. 17.42:30
Visto dall'esterno, lo spettacolo era decisamente inusuale. La Eindhoven era ancora incastrata nella murata della Talbot mentre quest'ultima, che imbarcava acqua a velocità terrificante, s'inclinava a sinistra, quasi appoggiata alla prua della portacontainer. Il peso dell'acqua che si riversava all'interno della superpetroliera però stava trascinando anche la Eindhoven sott'acqua: il lungo ponte di coperta e la torre di controllo della Talbot rimanevano sopra il pelo dell'acqua, inclinati di 30 gradi, mentre il suo fianco sinistro stava inesorabilmente sprofondando insieme alla prua della Eindhoven. A bordo della portacontainer, intanto, Rufus non aveva bisogno di farsi dire cosa fare: corse verso il Black Raven, ancora parcheggiato sul ponte, e si alzò in volo nel cielo spazzato dalla pioggia. 17.43:30 Nella stiva della Talbot, Schofield si stava muovendo velocemente. Molto, molto velocemente. La sua imbarcazione sfrecciò sulla superficie dell'acqua, infilandosi tra i silos dei missili, adesso in posizione inclinata, con Mother e King impegnati a sparare contro i nemici che nuotavano in acqua. Sembrava quasi di correre con un motoscafo m una foresta di alberi mezzi abbattuti. Dopo l'impatto, Demon Larkham e la maggior parte dei suoi uomini erano riusciti a raggiungere la parete di dritta della stiva, l'unico lato ancora al di sopra del livello del mare. Schofield invece proseguì in linea retta verso il pannello di controllo all'estremità di prua. 17.43:48 17.43:49 17.43:50 L'imbarcazione fendeva le onde, mentre i compagni di Schofield sparavano all'impazzata, uccidendo tutti gli uomini dell'IG-88 nelle vicinanze. Finalmente la scialuppa si affiancò al pannello di controllo sopraelevato. Anche quello era fortemente inclinato e ad appena un metro e mezzo dal pelo dell'acqua, che continuava a salire. «Copritemi!» gridò Schofield. Dal punto in cui si trovava poteva vedere lo schermo illuminato del pannello su cui si susseguiva la serie di numeri rossi di un conto alla rovescia scandito al ritmo di centesimi di secondo: il conto alla rovescia del lancio del missile. 00:01:10:88
00:01:09:88 00:01:08:88 Le cifre dei centesimi di secondo si susseguivano così rapidamente che sfumavano in una serie di 8. Schofield estrasse la sua unità CincLock-VII, quella presa ai francesi, da una sacca impermeabile fissata al giubbetto e guardò il display. Sullo schermo aleggiavano cerchi bianchi e rossi. Un bip e comparve un messaggio: SEQUENZA LANCIO MISSILE AVVIATA PREMERE «INVIO» PER INIZIARE LA SEQUENZA DI DISATTIVAZIONE PRIMO PROTOCOLLO (DISTANZA) COMPLETATO INIZIO SECONDO PROTOCOLLO Come prima, i cerchi bianchi sullo schermo cominciarono lentamente ad accendersi e spegnersi, mentre Schofield vi premeva sopra l'indice. Il conto alla rovescia intanto proseguiva. 00:01:01 00:01:00 00:00:59 Poi, inaspettatamente, la Talbot sbandò in modo pauroso. La superpetroliera, ancora agganciata alla prua della Eindhoven, stava scivolando via! E Schofield mancò un cerchio bianco. Il CincLock-VII emise un bip: SECONDO PROTOCOLLO (PROCEDURA DI RISPOSTA): REGISTRATO TENTATIVO FALLITO DI DISATTIVAZIONE TRE TENTATIVI FALLITI DI DISATTIVAZIONE PROVOCHERANNO AUTOMATICAMENTE L'ESPLOSIONE SECONDO PROTOCOLLO (PROCEDURA DI RISPOSTA): RIATTIVATO. «Merda», commentò Schofield. E ricominciò dall'inizio. La superpetroliera stava affondando. Schofield sentì l'acqua lambirgli gli stivali. Mentre Schofield digitava sullo schermo touch screen, Aloysius Knight sparava contro gli uomini dell'IG-88 sul lato di dritta della stiva. Sparò una nuova raffica, poi improvvisamente si accorse di quanto stava succedendo. «Oh, no», gemette. «Che c'è?» chiese Mother.
«Il portellone di carico di dritta», rispose Knight. «Sta per andare sott'acqua.» Aveva ragione. A causa dell'inclinazione della nave sul lato sinistro, il grande portellone di dritta si era trovato fino a quel momento molto al di sopra della superficie del mare. Ma l'acqua che continuava a salire all'interno della petroliera stava per raggiungerlo e, non appena l'avesse fatto, il mare avrebbe cominciato a entrare da entrambi i lati della nave. Dopodiché, la Talbot sarebbe affondata rapidamente... «Knight!» gridò Mother. «A destra!» «Oh, Cristo!» Alla loro destra sei uomini di Demon Larkham si stavano arrampicando su due lance a motore. Per attaccarli. «Schofield!» gridò Knight. «Hai finito?» «Quasi...!» gridò Schofield, con gli occhi incollati allo schermo. 00:00:51 00:00:50 00:00:49 Le due imbarcazioni dell'IG-88 virarono verso il lato di dritta della stiva, ormai invasa dall'acqua, e raccolsero i superstiti della squadra di Demon, sedici uomini in tutto. Poi si lanciarono all'attacco verso il pannello di controllo dei missili. Knight e Mother aprirono il fuoco. Le due lance dell'IG-88 schizzarono sull'acqua, districandosi nella foresta dei silos inclinati, mentre gli uomini a bordo continuavano a sparare senza interruzione. Intanto Schofield era totalmente concentrato sui cerchi rossi e bianchi. 00:00:41 00:00:40 00:00:39 E finalmente toccò l'ultimo cerchio bianco e la schermata cambiò: SECONDO PROTOCOLLO (PROCEDURA DI RISPOSTA): COMPLETATO. SECONDO PROTOCOLLO (INSERIMENTO CODICE): ATTIVO. INSERIRE IL CODICE DI DISATTIVAZIONE. «Ci siamo», disse Schofield. Il Codice Universale di Disattivazione. Il sesto numero primo di Mersenne era ancora scritto sulla sua mano: 131071. Stava cominciando a digitare i numeri sul tastierino numerico dell'unità CincLock quando all'improvviso la lancia si mosse e...
Bip! Lo schermo squittì in segno di protesta. PRIMO PROTOCOLLO (DISTANZA): FALLITO. TUTTI I PROTOCOLLI RIATTIVATI. «Che succede?» Schofield distolse gli occhi dallo schermo e vide Knight che lanciava l'imbarcazione a tutta velocità, allontanandosi dal pannello di controllo dei missili, mentre Mother sparava da poppa contro le due lance dell'IG-88. La loro imbarcazione sgusciò tra i silos dei missili. «Mi spiace, capitano!» gridò Knight. «Ma dovevamo allontanarci! Se fossimo rimasti lì ci avrebbero fatto fuori!» «Sì, ma dobbiamo tornare vicino al pannello di controllo entro 10 secondi, perché me ne servono almeno 25 per completare lo schema di risposta!» Attorno alla loro imbarcazione si levarono spruzzi d'acqua provocati dalle pallottole. 00:00:35 00:00:34 00:00:33 «Qual è la distanza massima?» chiese Knight. «Diciotto metri!» «D'accordo!» Un nugolo di pallottole sibilò accanto alle loro orecchie, rimbalzando sui silos dei missili. Knight virò, compiendo un ampio giro attorno all'isola d'acciaio rappresentata dal pannello di controllo, un giro che a tratti li portò a infilarsi nella foresta di silos. 00:00:27 00:00:26 00:00:25 Lo schermo di Schofield si animò con un bip: PRIMO PROTOCOLLO (DISTANZA): COMPLETATO. INIZIO SECONDO PROTOCOLLO. Il display s'illuminò e Schofield cominciò a digitare sullo schermo. Mother continuava a fare fuoco contro le imbarcazioni dell'IG-88 dietro di loro. Knight pilotava con una mano sola, mentre con l'altra sparava, attento a mantenere l'imbarcazione entro diciotto metri dal pannello di controllo. 00:00:16
00:00:15 00:00:14 Ma le lance dell'IG-88, che si erano accorte della necessità di Knight di seguire un percorso circolare, si divisero e una di esse inverti la rotta per tagliare la strada alla lancia di Schofield. Rosso-bianco-bianco... Un colpetto dietro l'altro. 00:00:11 00:00:10 00:00:09 Knight intuì il piano dell'IG-88 e apri il fuoco contro il timoniere dell'imbarcazione che stava arrivando. Una serie di esplosioni. I colpi andarono a vuoto. 00:00:08 00:00:07 00:00:06 Le dita di Schofield si muovevano freneticamente, digitando sullo schermo a destra e a sinistra. Mother centrò uno degli inseguitori, ma poi gemette di dolore quando fu colpita da un proiettile tracciante alla spalla. 00:00:05 00:00:04 00:00:03 La loro imbarcazione arrivò in rotta di collisione con la lancia dell'IG-88 e Knight tentò nuovamente di colpire il pilota. Una raffica di colpi. Mancato. Colpito. 00:00:02 Il pilota cadde di schianto, morto. L'imbarcazione dell'IG-88 deviò dalla rotta e Knight riuscì a mantenere la sua lancia entro diciotto metri dal pannello di controllo. 00:00:01 I movimenti delle dita di Schofield cambiarono leggermente. Invece di digitare sui cerchi, sembrava che stesse inserendo un... 00:00:00 Troppo tardi.
*** Ma nessuno dei missili del progetto Chameleon venne lanciato. Il timer del conto alla rovescia che appariva sul pannello di controllo era congelato su: 00:00:00:05 TERZO PROTOCOLLO (INSERIMENTO CODICE) COMPLETATO INSERITO CODICE DI DISATTIVAZIONE AUTORIZZATO LANCIO MISSILI INTERROTTO L'ultimo secondo, calcolato in centesimi di secondo, non era ancora trascorso del tutto quando Schofield era riuscito a digitare il Codice Universale di Disattivazione e aveva premuto INVIO. Lo schermo diceva: TERZO PROTOCOLLO (INSERIMENTO CODICE): COMPLETATO. Schofield trasse un sospiro di sollievo. Nessun missile era stato lanciato. Londra, Parigi e Berlino erano salve. Ma, in quel momento, il portellone di dritta della Talbot scivolò lentamente sott'acqua. Ci fu un rombo assordante, come se si fossero aperte le chiuse di una diga. Come un esercito invasore che travolge le linee nemiche, una vera e propria muraglia d'acqua, una marea inarrestabile si riversò all'interno del portellone della Talbot. Il risultato fu istantaneo. L'intera superpetroliera rollò drammaticamente, raddrizzandosi, perché l'acqua che penetrava dalla murata di dritta cominciava a bilanciare l'afflusso d'acqua da sinistra. Il riassetto della Talbot, però, ebbe un effetto secondario: la superpetroliera si liberò dalla prua della Eindhoven. Senza il sostegno della portacontainer, la Talbot perse l'unica possibilità di rimanere a galla e cominciò ad affondare rapidamente, inabissandosi nel canale della Manica. Per Schofield, Knight e Mother, a bordo della loro scialuppa all'interno della stiva, il fragore era quasi insostenibile. Il rombo della cascata d'acqua che si riversava nella stiva si ripercuoteva per tutta la nave e le onde si frangevano contro le paratie d'acciaio creando vortici impetuosi. E il livello dell'acqua si alzava a velocità terrificante. A Schofield parve che il soffitto della petroliera si stesse abbassando su di lo-
ro per schiacciarli. Rapidamente. In pochi istanti si trovarono a navigare già a metà altezza dei giganteschi silos dei missili, sei metri sotto le passerelle sospese al soffitto. Intanto, con l'acqua che si riversava a torrenti dal portellone di dritta, Demon Larkham e i suoi uomini dell'IG-88 interruppero l'inseguimento e si diressero verso le varie scalette che portavano alla parte superiore della stiva. «Maledizione, è in gamba», commentò Knight. «Demon sta cercando di raggiungere il ponte di coperta da cui potrà tenere sotto tiro tutti i boccaporti d'uscita. Poi non dovrà fare altro che aspettarci, perché prima o poi anche noi dovremo salire.» «Allora vorrà dire che troveremo un'altra via d'uscita», disse Schofield. «Dobbiamo svignarcela e trovare un posto sicuro per disarmare i missili puntati contro l'America.» Schofield estrasse il suo Palm Pilot per vedere qual era la prossima nave del progetto Kormoran a dover effettuare il lancio. Richiamò i file che aveva già consultato in precedenza sul Pilot: Provenienza Talbot
Ambrose
Mezzo di lancio Shahab-5
W-H
Origine
Destinaz.
Ora
TN76 TN76
Shahab-5
TN76
Shahab-5
TN76
00001.65 5239.10 00420.02 4900.25 01312.15 5358.75 28743.98 4104.64
11.45
Shahab-5
35702.90 5001.00 35702.90 5001.00 35702.90 5001.00 28743.05 4104.55
11.45 11.45 12.00
OGGETTO: PAGAMENTO DELLA COMMISSIONE DELL'E-
SAMINATORE IL PAGAMENTO DELLA COMMISSIONE DELL'ESAMINATORE SARA' EFFETTUATO MEDIANTE TRASFERIMENTO ELETTRONICO INTERNO DI FONDI PRESSO LA AGMSUISSE DAL CONTO PRIVATO DELLA ASTRAL-66 PTY LTD Percorso esecutivo L'ordine di viaggio proposto è il seguente: Asmara (01/08) , Luanda (01/08), Abuja (05/08) , N'dajmena (07/08) e Tobruk (09/08). 01/08 - Asmara (ambasciata) 03/08 - Luanda (presso M. Loch, nipote di R) Nome 1. ASHCROFT, William H. 2. CHRISTIE, Alec P. 3. FARRELL, Gregory C. 4. KHALIF, Iman 5. KINGSGATE, Nigel E. 6. McCABE, Dean P.
Naz. Regno Unito Regno Unito USA Afghanistan Regno Unito USA
Org. SAS MI-6 Delta al-Qaida SAS Delta
Fece un clic sull'elenco abbreviato della lista di lancio e comparve l'elenco completo: Provenienza Talbot
Ambrose
Mezzo di lancio Shahab-5
W-H
Origine
Destinaz.
Ora
TN76 TN76
Shahab-5
TN76
Shahab-5
TN76
Shahab-5
TN76
00001.65 5239.10 00420.02 4900.25 01312.15 5358.75 28743.98 4104.64 28231.05
11.45
Shahab-5
35702.90 5001.00 35702.90 5001.00 35702.90 5001.00 28743.05 4104.55 28743.05
11.45 11.45 12.00 12.00
Jewel
Taep Dong-2 Taep Dong-2 Taep Dong-2
Hopewell
o-
o-
o-
SkyHorse-
N-8
4104.55 23222.62
3835.70 23222.70
12.15
N-8
3745.75 23222.62
3745.80 24230.50
12.15
N-8
3745.75 23222.62
3533.02 23157.05
12.15
W-88
3745.75 11900.00
4930.52 11622.50
12.30
W-88
2327.00 11900.00
4000.00 11445.80
12.30
2327.00 07040.45 2327.00 07040.45 2327.00 04402.25 1650.50
2243.25 07725.05 2958.65 07332.60 3230.55 04145.10 2130.00
3 SkyHorse3 Whale
Arbella
Ghauri-II
R-5
Agnii-II
I-22
Jericho-2B
W-88
12.45 12.45 14.00
L'elenco gli era familiare. Era lo stesso che Book II aveva decrittato in precedenza. Vide le coordinate GPS delle prime tre navi: Talbot, Ambrose e Jewel. La successiva era la Ambrose: avrebbe lanciato i missili alle 12.00 dalle coordinate GPS 28743.05 - 4104.55. Esatto, ricordò. New York. Un momento! La sua mente si bloccò di colpo. Quell'elenco era diverso da quello di Book. Lo esaminò più attentamente. Alcuni dei missili riportati nella seconda metà erano stati modificati. L'elenco di Book aveva solo due tipi di missili: lo Shahab e il Taep oDong. Quell'elenco, invece, ne riportava diversi altri: lo Sky Horse-3 (Taiwan), il Ghauri-II (Pakistan), l'Agni-II (India) e il Jericho-2B (Israele). E, notò Schofield, c'era anche una nave lanciamissili in più, la Arbella,
che avrebbe dovuto effettuare il lancio due ore dopo gli altri. Ma c'era un altro fatto inquietante: il missile israeliano e quello indiano di quell'elenco erano armati con testate nucleari americane, le potenti W-88... Una raffica infernale di proiettili s'infilò nell'acqua vicino a Schofield, che quasi non se ne accorse. Quando alzò gli occhi, vide che Knight aveva affiancato la lancia a una scaletta che saliva fino alla passerella sospesa. Un tempo quella passerella si era trovata a ventiquattro metri dal pavimento della stiva, adesso invece era a meno di cinque metri dal livello dell'acqua, che continuava ad alzarsi rapidamente. Su di essa, però, a sessanta metri di distanza in entrambe le direzioni, c'erano due gruppi di quattro uomini dell'IG-88 che si stavano avvicinando velocemente. Avevano appena fatto irruzione dai boccaporti del soffitto e correvano sulla passerella, sparando all'impazzata, con le pallottole che rimbalzavano sulle travi di ferro attorno all'imbarcazione di Schofield. «Bastardo!» urlò Knight. «Non vuole aspettare e ci costringe a salire!» Mother sollevò Schofield per il colletto. «Forza, bello; potrai tornare al tuo computer più tardi.» E lo trascinò fuori della lancia e su per la scaletta, facendogli scudo col proprio corpo. I tre salirono rapidamente continuando a sparare e raggiunsero la passerella, dove furono accolti da un milione di scintille sollevate dall'impatto dei proiettili. Mother si mise in posizione di copertura mentre Knight accompagnava Schofield a poppa. I proiettili piovevano da tutte le parti. Knight e Schofield spararono contro gli uomini dell'IG-88 provenienti dall'estremità di poppa della passerella. Schofield si sentì seccare la gola. «Dove stiamo andando?» gridò. «In un posto sicuro!» gli rispose Knight, gridando anche lui mentre continuava a sparare. «Un posto in cui potrai procedere con le tue operazioni di disarmo e dove, nello stesso tempo, noi tutti potremo uscire da questa trappola mortale! Qui!» Knight girò bruscamente a destra, passando di corsa davanti a una piccola cabina di manutenzione eretta in un punto di congiunzione a T tra quella passerella e un'altra, e sbucò dietro la cabina, trovandosi davanti i due minisommergibili gialli sospesi al soffitto della stiva dei missili. Come le passerelle, anche i sommergibili non si trovavano più a grande altezza: solo a cinque metri dall'acqua. I due sommergibili e la passerella che correva in mezzo a loro erano coperti da un ampio telone, che ora riparava in parte Schofield e Knight dalla vista degli uomini dell'IG-88.
Un'altra grandinata di proiettili. Una dozzina di metri dietro di loro, Mother raggiunse la cabina di manutenzione all'incrocio delle passerelle, sempre rispondendo al fuoco degli uomini dell'IG-88, che ormai distavano solo venti metri da lei da entrambi i lati. Schofield vide Mother che cercava di correre verso i minisommergìbili, ma gli uomini dell'IG-88 le sbarrarono la strada con un diluvio di proiettili. Mother si ficcò al riparo dentro la cabina. Era in trappola. «Mother!» gridò Schofield. «Esci di qui, Scarecrow!» gli gridò Mother per radio. Gli uomini dell'IG-88 assalirono la cabina con la più violenta scarica di proiettili sparati da MetalStorm che Schofield avesse mai visto. Mother si accucciò sparendo alla vista - e Schofield temette per un istante che fosse stata colpita -, ma poi saltò su di nuovo a sparare e gridare e abbatté altri due uomini dell'IG-88. «Scarecrow! Ho detto di filare via di qui!» «Non me ne vado senza di te!» «Va ' via!» Mother fece partire altri due colpi. «Non intendo perdere te e Gant nello stesso giorno!» Mother parlò in tono molto serio. «Scarecrow. Vattene. Tu sei più importante di una vecchia ciabatta come me.» Mother gli gettò un'occhiata dalla cabina. «Sei sempre stato più importante. Io conto solo fintanto che posso tenerti in vita. Lasciami fare almeno questo. Ora vattene, bello. Via! Via! Via!» E, dopo quelle parole, Schofield vide Mother compiere un gesto al contempo coraggioso e suicida. Si alzò in piena vista davanti alla finestrella della cabina e dopo avere lanciato un primordiale grido di battaglia - «Yaaaahhhhh!» - cominciò a sparare contemporaneamente contro i due gruppi dell'IG-88. La sua improvvisa reazione bloccò di colpo l'avanzata degli avversari, che persero entrambi il loro uomo più avanzato crivellato in un mare di sangue, ma offri a Schofield e Knight il diversivo di cui avevano assolutamente bisogno per fuggire. «Salta dentro!» gridò Knight, premendo il pulsante con la scritta PORTELLO su uno dei due sommergibili gialli. Con un rapido movimento simile a quello di apertura di un obiettivo, il portello circolare in cima al sommergibile si aprì. «Non lasciare che il suo sacrificio sia inutile!» Schofield mise un piede dentro il sommergibile, poi guardò dietro di sé in direzione di Mother, proprio mentre le due squadre dell'IG-88 le scari-
cavano addosso un uragano di fuoco. «Maledizione... no!» gemette. Una raffica di proiettili dei MetalStorm prese in pieno Mother, colpendo il giubbetto antiproiettile... poi un'altra raffica... e un'altra ancora. Mother si rizzò di scatto, barcollò, senza più sparare, con la bocca aperta e gli occhi improvvisamente spenti... poi cadde in mezzo a un turbinio di fumo e schegge di vetro. Schofield la perse di vista mentre scompariva sotto l'intelaiatura della finestrella della cabina di manutenzione. Un istante dopo, i due gruppi dell'IG-88 risolsero in modo definitivo il problema, sparando coi lanciarazzi. Due scie di fumo si avventarono contro la cabina in cui si trovava Mother da poppa e da prua. I due razzi la colpirono contemporaneamente e fecero esplodere le quattro pareti verso l'esterno, l'intera struttura fu annientata in un istante e la sezione del pavimento cadde in basso verso l'acqua, cinque metri più in basso. Schofield fece per uscire dal sommergibile, ma Knight lo spinse nuovamente dentro. «No! Dobbiamo andare via! Subito!» gli gridò al di sopra del frastuono delle armi. Gli diede una spinta per farlo entrare e Schofield cadde dentro. Giusto per scoprire che c'era già qualcun altro. *** Quando i suoi piedi toccarono il pavimento del sommergibile, Schofield sollevò lo sguardo e vide la lama di una spada che gli si avventava contro. Una reazione di riflesso. Sollevò di scatto la sua pistola H&K e ci fu un cozzo metallico quando la lama urtò il calcio della pistola, arrestandosi a un paio di centimetri dalla gola di Schofield. Davanti a lui c'era Dmitri Zamanov, con in pugno la sua spada da cosacco dalla lama corta e con gli occhi che sprizzavano odio. «Hai scelto il nascondiglio sbagliato», ringhiò il cacciatore di taglie russo. Poi, prima che Schofield potesse fare una sola mossa, premette due pulsanti. Prima il pulsante PORTELLO: la porta d'acciaio si chiuse sibilando. Poi il pulsante SGANCIAMENTO: improvvisamente Schofield si sentì rivoltare lo stomaco mentre il sommergibile si staccava dalle catene di sostegno e piombava giù per quasi cinque metri, atterrando con un tonfo colossale
nell'acqua, che continuava a salire di livello. «Maledizione!» Aloysius Knight non riusciva a crederci. «Che cazzo succede?» Un istante prima aveva spinto Schofield nell'ASDS giallo e stava per seguirlo, ma il portello si era chiuso di colpo davanti a lui e tutto l'arnese era caduto in acqua. Raffiche di proiettili ad alta velocità si schiantarono contro le travi tutt'attorno a lui mentre gli uomini dell'IG-88 correvano oltre la cabina di manutenzione, imboccando la passerella che portava ai sommergibili. Così Knight fece l'unica cosa possibile. Si tuffò nel secondo sommergibile, con i proiettili che facevano il pelo alle suole dei suoi scarponi. Schofield e Zamanov si avvinghiarono in una lotta mortale. Senza stile, senza raffinatezze tecniche. Una lotta primordiale. Negli stretti confini del minisommergibile si scatenarono in un'orgia di pugni micidiali. La pistola scarica di Schofield era inutile, ma la spada cosacca di Zamanov era ancora pericolosa. Per questo, la prima cosa che aveva fatto Schofield dopo che il sommergibile era rimbalzato sull'acqua era stata colpire Zamanov al polso, per fargli cadere la spada. E poi si erano scatenati in una lotta feroce: Schofield guidato dalla furia per il recente sacrifico di Mother, Zamanov spinto dalla sua mania omicida. Si scagliavano a vicenda contro le pareti del sommergibile, cercando il sangue a ogni colpo. Schofield spezzò uno zigomo a Zamanov, che a sua volta ruppe il naso a Schofield e con un altro colpo gli smontò l'auricolare. Poi Zamanov abbrancò Schofield per scagliarlo contro il pannello di controllo del sommergibile e improvvisamente... il minisommergibile cominciò a immergersi... Schofield si staccò dal quadro di comando e si accorse di avere azionato l'interruttore con la scritta ZAVORRA. L'ASDS stava scendendo sott'acqua. Dalle due calotte semisferiche del sommergibile Schofield vide la stiva missili ormai sommersa dall'acqua. Era un mondo silenzioso, tinto di azzurro: il pavimento, i silos, i cadaveri... uno stupefacente paesaggio sottomarino creato dall'uomo. La Talbot era inclinata leggermente a dritta e il pavimento della stiva pendeva di almeno 20 gradi su quel lato. Zamanov raccolse la spada, mentre il minisommergibile giallo continua-
va la sua immersione al rallentatore. Zamanov e Schofield ripresero la lotta: il russo tentò di vibrare un colpo mortale, tuttavia l'americano riuscì ad afferrare la mano dell'avversario mentre la lama si abbassava su di lui. Ma poi, con uno schianto attutito, l'ASDS urtò il pavimento della stiva e cominciò a scivolare su un fianco in direzione del portellone di dritta, aperto. I due uomini furono scaraventati di lato. Il sommergibile scivolò sul pavimento prima di scavalcare il bordo del portellone e, con grande orrore di Schofield, finire in mare aperto. Il piccolo sommergibile giallo s'inabissò rapidamente nelle acque scure del canale della Manica, sotto il gigantesco scafo della Talbot. La sagoma dell'ASDS appariva insignificante in confronto alle enormi dimensioni della superpetroliera, come un insetto sotto una balenottera azzurra che si sta immergendo. Ma, mentre la superpetroliera affondava lentamente e con gradualità, il minisommergibile, coi serbatoi della zavorra pieni, scendeva a grande velocità. E peggio ancora... S'inabissava in verticale, come un ascensore in caduta libera. La profondità media del canale della Manica era di circa centoventi metri; al largo di Cherbourg era di cento metri e l'ASDS stava coprendo quella distanza molto rapidamente. Al suo interno, Zamanov e Schofield lottavano nella semioscurità, avvolti dal pallido bagliore azzurrino delle spie degli strumenti di bordo. «Dopo che ti avrò ucciso, ti strapperò quel tuo maledetto cuore americano!» ruggì Zamanov, mentre lottava per liberare la mano dalla stretta di Schofield. Fino a quel momento avevano lottato in modo più o meno standard, ma poi Zamanov passò a quella che i marine chiamano «la mossa di Hannibal Lecter», una tattica da selvaggi. Zamanov scoprì i denti e cercò di mordere la faccia di Schofield. Schofield si ritrasse di colpo, portando il viso fuori portata, e Zamanov ottenne ciò che desiderava veramente, liberare la mano che stringeva la spada. Poi cercò di vibrare un colpo, proprio mentre con un tonfo stridulo il sommergibile urtava il fondo del mare ed entrambi i contendenti cadevano a terra. Ma si rialzarono contemporaneamente, rapidi come il fulmine. Zamanov fece un balzo e affondò un colpo... ma Schofield si era lanciato
in avanti, abbassandosi per evitare la spada e, contemporaneamente, estraendo un oggetto metallico dal giubbetto di Knight e ficcandolo nella bocca del russo! Zamanov non ebbe neanche il tempo di reagire perché Schofield non esitò. Fece scattare il chiodo da roccia, voltando contemporaneamente la testa per non vederne gli effetti. Con un potente scatto metallico le braccia a pinza del chiodo si aprirono di colpo verso l'esterno, cercando qualcosa su cui fare presa. E trovarono la mascella inferiore e quella superiore di Zamanov. Schofield non vide la scena ma sentì il rumore. Udì l'orrido crac della mascella inferiore di Zamanov che si spalancava con un'angolazione di gran lunga superiore a quella per cui era stata creata. Quando Schofield si voltò, vide la mascella del russo che penzolava grottesca, fuori posto e spezzata. Ma il braccio superiore del chiodo aveva prodotto danni ancora maggiori. Aveva raggiunto il cervello di Zamanov, lasciando il russo bloccato a metà mossa, il corpo contratto per lo shock. Zamanov cadde in ginocchio. Schofield afferrò la spada e si accostò al cacciatore di taglie a terra. Gli occhi di Zamanov ammiccarono di riflesso. Unico segno che era ancora conscio. Schofield avrebbe voluto trafiggerlo, o magari addirittura staccargli la testa, come lui aveva fatto agli altri... Ma non lo fece. Non ne fu capace. Lasciò il russo, scosso da spasmi, e un istante dopo lo vide cadere a faccia in giù sul pavimento in un ultimo schizzo di sangue. La lotta era finita. Schofield raccolse l'auricolare che si era sfilato dal suo orecchio e lo rimise in posizione... «Schofield! Schofield! Rispondi!» ruggì la voce di Knight. «Sei ancora vivo?» «Sono qui», rispose Schofield. «Mi trovo sul fondo. Tu dove sei?» «Sono sull'altro sommergibile. Accendi le luci esterne così posso vederti.» Schofield obbedì e, contemporaneamente, la voce di Knight disse: «Oh, Cristo...» «Che succede?» «Hai energia?» chiese Knight.
Schofield provò ad azionare il quadro di comando. Nessuna risposta. «Ho ancora riserva di aria, ma non ho propulsione. Perché? Che c'è? Non puoi venire a prendermi?» «Non ce la farò ad arrivare in tempo.» «In tempo? In tempo per che cosa? Qual è il problema?» «Si tratta di... uh... è enorme. .» «Che cosa?» «Guarda in alto, capitano.» Schofield scrutò fuori della cupola superiore del minisommergibile. E vide lo scafo della superpetroliera, immenso, che, sopra di lui, scivolava rapidamente verso il fondo del mare, in caduta libera nelle acque della Manica, come una luna che cade dal cielo... una massa colossale che stava per schiacciarlo. *** Schofield deglutì: 100.000 tonnellate di una superpetroliera stavano per posarsi proprio sul suo minuscolo sottomarino. La sua massa era così grande, così immensa, che generava una profonda vibrazione mentre precipitava attraverso l'acqua. «Be', sono cose che non si vedono tutti i giorni», si disse Schofield. «Knight!» «Non posso farcela in tempo!» urlò Knight in preda alla frustrazione. «Merda!» esclamò Schofield guardandosi a destra e a sinistra. Possibilità? gridò la sua mente. Non avrebbe potuto allontanarsi a nuoto dalla petroliera. Lunga oltre trecento metri e larga settanta, era troppo grande. Non sarebbe mai riuscito a uscire in tempo. L'unica opzione era restare lì e morire schiacciato. Alternative? Morte sicura o sicura morte. Ma, se quella era la situazione, sarebbe comunque riuscito a ottenere qualche risultato prima che giungesse la fine. E quindi, sul fondo della Manica, Shane Schofield accese il suo microfono satellitare. «Book! Cosa state combinando lì a New York?» «Abbiamo la Ambrose, capitano. Il nemico è stato completamente annientato. Siamo davanti al pannello di controllo e ho impostato la connessione satellitare. Sono le 11.52. Ha otto minuti per disinnescare quella roba.» Schofield diede un'occhiata alla superpetroliera, un gigante silenzioso in
caduta libera. A quella velocità, avrebbe colpito il fondo in meno di un minuto. «Tu potrai anche avere otto minuti, Book, ma io no. Devo disarmare questi missili adesso.» E quindi prese la sua unità CincLock-VII dalla tasca impermeabile e attivò il collegamento satellitare. L'unità si accese. CONNESSIONE SATELLITARE CONNESSIONE «AMBROSE-049» CONNESSIONE SATELLITARE COMPLETATA SEQUENZA DI LANCIO DEL MISSILE IN CORSO PRIMO PROTOCOLLO (DISTANZA) COMPLETATO INIZIO SECONDO PROTOCOLLO I cerchi rossi e bianchi del pannello di controllo della nave ancorata a New York apparvero sullo schermo di Schofield. E, col massiccio scafo della Talbot che scendeva rombando attraverso il grande vuoto blu sopra di lui, Schofield iniziò la sequenza di disarmo. La superpetroliera stava guadagnando velocità. Scendeva, scendeva... Le mosse di Schofield si fecero più rapide. La superpetroliera era venticinque metri sopra di lui. Un cerchio rosso lampeggiò, Schofield lo toccò. 20... 18... 15... Le vibrazioni prodotte dalla caduta della nave erano sempre più forti. 12... 10... Schofield toccò l'ultimo cerchio rosso. Il display lampeggiò: SECONDO PROTOCOLLO (PROCEDURA DI RISPOSTA) COMPLETATO SECONDO PROTOCOLLO (INSERIMENTO CODICE) ATTIVO INSERIRE IL CODICE DI DISATTIVAZIONE 8... L'acqua attorno al suo piccolo sommergibile cominciò a diventare drammaticamente scura: l'ombra della superpetroliera. Schofield inserì il Codice Universale di Disattivazione: 131071. 5...
Lo schermo squittì: TERZO PROTOCOLLO (INSERIMENTO CODICE) COMPLETATO INSERITO CODICE DI DISATTIVAZIONE AUTORIZZATO LANCIO MISSILI INTERROTTO Mentre aspettava la fine, la vera fine, quella cui lui fisicamente non avrebbe potuto sottrarsi, Schofield chiuse gli occhi e pensò alla sua vita e alle persone che ne avevano fatto parte. Vide Libby Gant sorridere con quel suo sorriso da migliaia di watt, la vide baciarlo teneramente, vide Mother Newman giocare a basket nel Campetto dietro il suo garage, vide il suo viso largo e simpatico, e le lacrime gli riempirono gli occhi. Che ci fossero ancora dei missili da disarmare a Schofield non importava. Qualcun altro avrebbe dovuto mettere le cose a posto, stavolta. Quando arriva, la fine arriva veloce. Dieci secondi più tardi, la superpetroliera MV Talbot urtò il fondo della Manica con un tonfo di tale violenza da scuotere e far tremare la terra. Si abbatté esattamente sopra l'ASDS di Schofield e lo polverizzò in un solo istante. *** Ma Schofield non era più nel sottomarino. Alcuni secondi prima che la Talbot toccasse il fondo, quand'era ad appena quattro metri dal fondale e la sua ombra sovrastava il minisommergibile - e Schofield era perso nei suoi pensieri -, si udì un sordo rumore metallico all'esterno dell'ASDS. Schofield lanciò un'occhiata fuori dall'oblò e vide attaccato allo scafo un ancorotto Maghook, il cui cavo si spingeva lontano lungo il fondo dell'oceano, scomparendo nell'oscurità. La voce di Knight esplose nelle sue orecchie: «Schofield! Muoviti! Veloce veloce veloce!» Schofield non si fece pregare. Trasse un respiro profondo e schiacciò un pulsante. Il portello si aprì e l'acqua irruppe gorgogliando dentro il sottomarino, allagandolo. Ci vollero soltanto due secondi perché il sottomarino si riempisse completamente. In un attimo Schofield fu all'esterno e si aggrappò al Maghook attaccato alla fiancata del sottomarino. Non appena lo ebbe afferrato, Knight, all'altra estremità del cavo, attivò
l'interruttore di smagnetizzazione e il cavo del Maghook iniziò a riavvolgersi velocemente. Schofield si trovò lanciato attraverso il fondo dell'oceano a una velocità fenomenale, con la superpetroliera che scendeva ondeggiando sopra di lui, il suo immenso scafo che volteggiava come la superficie di un pianeta mentre, mezzo metro sotto di lui, il fondo sabbioso dell'oceano schizzava via a velocità pazzesca. E improvvisamente Schofield emerse da sotto la superpetroliera: i suoi piedi scivolarono via proprio nel momento in cui la gigantesca nave toccava il fondo della Manica con un terribile rimbombo che scagliò sabbia e fango in ogni direzione, avvolgendo Schofield in una spessa nuvola subacquea. Ad attenderlo nel bel mezzo di quella nuvola, seduto sopra il secondo ASDS, respirando in una bomboletta d'ossigeno Pony Bottle e col Maghook di Gant in mano, c'era Aloysius Knight. Passò la bomboletta a Schofield che inspirò profondamente. Un istante dopo, erano entrambi nel minisommergibile di Knight, il quale lo ripressurizzò, svuotandolo dell'acqua di mare. Quindi i due uomini risalirono dalle profondità della Manica, un breve e silenzioso viaggio che terminò quando il loro piccolo sottomarino giallo franse la superficie tempestosa, dove venne aggredito dalle ondate e dalla luce accecante di potenti riflettori: era il Black Raven. SPAZIO AEREO SOPRA LA MANICA 26 OTTOBRE, ORE 18.05 [EST ORE 12.05] Il Black Raven schizzò nel cielo, in direzione sud. Aloysius Knight, grondante acqua, prese posto nel seggiolino dell'addetto ai sistemi d'arma. Per quanto ugualmente inzuppato, neppure Schofield si prese una pausa. Nel vano posteriore del caccia, tirò fuori il suo Palm Pilot modificato. C'era un lavoro rimasto in sospeso di cui doveva occuparsi. Aprì la lista dei missili da lanciare, quella diversa rispetto alla prima di Book. Confrontò i due elenchi. D'accordo, pensò. I primi tre dati sono gli stessi della lista di Book. Ma non gli ultimi tre: i missili sono diversi. E ce n'è uno in più alla fine.
A quegli ultimi tre dati, aggiunse le posizioni GPS che aveva ricevuto da Book. I primi due dati erano: Hopewell
SkyHorse3
Whale
W88
11900.00
11622.50
2327.00 4000.00 (Stretto di (Pechino) Taiwan) SkyHorseW11900.00 11445.80 3 88 2327.00 2243.25 (Stretto di (Hong Taiwan) Kong) Ghauri-II R07040.45 07725.05 5 2327.00 2958.65 (Mar Ara(Nuova bico) Delhi) Agnii-II I07040.45 07332.60 22 2327.00 3230.55 (Mar Ara(Islamabad) bico)
12.30
12.30
12.45
12.45
E all'improvviso la lista acquistò un significato completamente nuovo. I missili clonati che sarebbero stati lanciati su Pechino e Hong Kong dalla Hopewell erano cloni degli ICBM taiwanesi Sky Horse. Erano anche armati con testate americane. Mentre i missili lanciati dalla Whale su Nuova Delhi erano cloni del Ghauri-II pakistano... e quelli lanciati su Islamabad erano repliche dell'Agni-II indiano. «Dannazione...» sospirò Schofield. Come avrebbe reagito la Cina a un attacco nucleare taiwanese? Male. E come avrebbero reagito il Pakistan e l'India a un reciproco bombardamento nucleare? Molto male. Schofield rabbrividì. Non riusciva a capire perché la sua lista fosse di-
versa da quella di Book. Okay, pensa. Dove si era procurato Book la sua lista? Dall'agente del Mossad, Rosenthal, che l'aveva ottenuta grazie a molti mesi d'infiltrazione in Majestic-12. E la mia da dove viene? Schofield si concentrò. «Oh, Gesù...» mormorò, ricordando. L'aveva scaricata sul suo Palm Pilot quando lui e Gant erano nell'anticamera della fortezza di Valois, aspettando che Aloysius Knight riscuotesse la taglia e prelevasse nel frattempo i dati dal computer di Delacroix. Schofield si girò verso Knight. «Quando eri con Delacroix nella fortezza, lui ti ha accennato qualcosa a proposito dell'ufficio in cui vi trovavate?» Knight si strinse nelle spalle. «Sì. Ha detto che quello non era il suo ufficio, ma che apparteneva al padrone della fortezza.» «Killian», disse Schofield. «Perché?» Ormai Schofield aveva capito. «Doveva esserci un altro computer in quell'ufficio. Su una scrivania o un tavolo. L'hai detto tu stesso che il tuo Pilot avrebbe recuperato documenti da ogni computer nella stanza. Quando hai iniziato il collegamento wireless, hai recuperato dei documenti da un altro computer nell'ufficio. Il computer di Killian.» «Sì, e allora?» Schofield tirò fuori la nuova lista. «Questo non è il piano di Majestic-12. Il loro piano intendeva dare inizio a una Guerra Fredda globale contro il terrorismo. M-12 voleva che missili di terroristi colpissero le grandi città, vale a dire gli Shahab e i Taep o-Dong. E questa è anche la ragione per cui hanno lasciato i corpi di quelli della Jihad Globale all'impianto della Axon e sulle superpetroliere: per far credere al mondo che i terroristi avessero sequestrato le navi Kormoran. Ma questo elenco rivela qualcosa di completamente diverso. Mostra che la compagnia di Killian ha installato missili Chameleon diversi, non quelli previsti secondo le direttive di Majestic12. Killian sta progettando qualcosa di ben peggiore di una guerra globale contro il terrorismo. Sta facendo in modo che ciascuna delle grandi potenze mondiali sia apparentemente attaccata dal suo nemico storico. L'Occidente è colpito da attacchi terroristici. L'India e il Pakistan si attaccano reciprocamente. La Cina viene colpita da quelli che sembrano essere missili taiwanesi...»
Gli occhi di Schofield si spalancarono mentre tutto gli diventava chiaro. «È la mossa supplementare di Killian! Questo non è affatto il piano di M12, ma quello di Killian. E non causerà nessuna Guerra Fredda. Condurrà a qualcosa di molto, molto peggio: uno stato di guerra globale. Produrrà una totale anarchia globale.» «Sta dicendo che Killian ha ingannato i suoi ricchi amici di Majestic12?» domandò Rufus. «Esattamente», confermò Schofield. Quindi, di nuovo, ricordò le parole di Killian nella fortezza di Valois: «Anche se molti non l'hanno ancora capito, il futuro del mondo è in Africa». «Il futuro del mondo è in Africa», riprese Schofield. «C'erano squadre di guardie africane su ogni nave. Eritrei, nigeriani. Oh, merda. Merda! Perché non l'ho capito prima...» Schofield apri uno degli altri documenti sul suo Palm Pilot: Percorso esecutivo L 'ordine di viaggio proposto è il seguente: Asinara (01/08), Luanda (01/08), Abuja (05/08), N'djamena (07/08) e Tobruk (09/08). 01/08 - Asmara (ambasciata) 03/08 - Luanda (presso M. Loch, nipote di R) Era l'itinerario del viaggio di Killian in Africa l'anno precedente. Asmara: capitale dell'Eritrea. Luanda: capitale dell'Angola. Abuja: Nigeria. N'djamena: Ciad. E Tobruk: il luogo in cui sorge la più grande base dell'aviazione libica. Killian non stava aprendo fabbriche, stava stringendo alleanze con cinque Paesi chiave africani. Ma perché? «Cosa succederebbe se le maggiori potenze del mondo piombassero in un'anarchia bellica? Cosa succederebbe nel resto del mondo?» chiese Schofield. «Si regolerebbe qualche vecchio conto, questo è sicuro», disse Knight. «I conflitti etnici si riaccenderebbero. I serbi andrebbero contro i croati, i
russi spazzerebbero via i ceceni, per non parlare di tutti quelli che vogliono far fuori i curdi. Ci sarebbero degli opportunisti, come i giapponesi nella seconda guerra mondiale. Paesi che coglierebbero l'opportunità d'impossessarsi di risorse o territori: l'Iraq si riprenderebbe il Kuwait, l'Indonesia rimetterebbe le mani su Timor Est.» «E in Africa?» incalzò Schofield. «Sto pensando al Documento di Pianificazione del Consiglio di Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti Q-309.» «Uau!» esclamò Knight Schofield ricordava il documento parola per parola. «In caso di conflitto che coinvolga le maggiori potenze mondiali, è altamente probabile che le popolazioni più povere dell'Africa, del Medio Oriente e dell'America Centrale, che in generale risultano più numerose di 100 a 1 rispetto ai loro vicini occidentali, si riversino al di là dei loro confini, sopraffacendo le metropoli occidentali.» Il Q-309 era un documento che si fondava sulla storia, la lunga storia di élite benestanti dedite al lusso che erano state spazzate via da popolazioni più povere, ma numericamente più forti: la caduta di Roma sotto la spinta dei barbari, la Rivoluzione francese e, ora, il ricco mondo occidentale schiacciato dalla pura e semplice superiorità numerica delle popolazioni del Terzo Mondo. Gesù! pensò Schofield. Uno stato anarchico di guerra globale avrebbe fornito l'opportunità al Terzo Mondo di prendere il sopravvento. E, se Killian avesse coinvolto poche e selezionate nazioni africane, allora... No, non è possibile. La mente di Schofield protestò. Per la semplice ragione che il piano di Killian non sembra abbastanza vasto. Non garantiva un'anarchia totale. E fu allora che Schofield si accorse dell'ultima fila dell'elenco, il dato che non si trovava sulla lista di Book II e che si riferiva a un missile che sarebbe stato lanciato circa due ore dopo tutti gli altri. Lo fece apparire sul suo schermo: Arbella
Jericho-2B
W-88
04402.25 1650.50
04145.10 2130.00
14.00
Un clone del Jericho-2B, pensò Schofield. Il Jericho è un missile balistico a lungo raggio costruito in Israele, ma questo è armato con una testata W-88 americana.
E l'obiettivo? Usando la mappa di Book-E, Schofield tracciò le coordinate del bersaglio. Le sue dita scesero sulla mappa... e Schofield sentì un fiotto di sangue gelido scorrergli per tutto il corpo. «Dio salvi tutti noi», sospirò quando trovò il bersaglio. L'ultimo missile, all'apparenza di origine israeliana, con una testata nucleare americana, era indirizzato verso un bersaglio in Arabia Saudita. La città santa della Mecca. *** L'abitacolo del Sukhoi piombò nel silenzio. La semplice idea di un fatto del genere era scioccante: un missile israeliano armato con una testata americana che colpiva un simbolo dell'islam in uno dei giorni sacri per i musulmani. Nel mondo del dopo 11 settembre, non poteva esserci un'azione più provocatoria. Nessuna ambasciata o nessun cittadino americano sarebbe più stato al sicuro. In ogni città del pianeta, musulmani rabbiosi avrebbero cercato vendetta. Sarebbe stato l'inizio di una guerra mondiale musulmano-americana. Il primo vero conflitto totale tra una religione e una nazione. Che, poi, sarebbe diventato il primo atto della rivoluzione globale: l'ascesa del Terzo Mondo. «Diavolo, il 26 ottobre, non ci avevo fatto caso!» esclamò Schofield. «Il primo giorno del Ramadan. Non avevo neanche pensato al significato della data. Killian ha anche scelto il giorno più adatto.» «E da dove verrà lanciato?» chiese Knight. Schofield tracciò velocemente le coordinate GPS... e rabbrividì. «Non partirà da una nave. Il luogo del lancio è sulla terraferma. Da qualche parte nello Yemen.» «Yemen?» ripeté Rufus. «Già, a nord confina con l'Arabia Saudita. Molto vicino alla Mecca», spiegò Knight. «Yemen...» borbottò Schofield, riflettendo. «Yemen...» Durante la giornata gli avevano parlato dello Yemen. Era sicuro di aver sentito qualcosa a proposito dello Yemen. Finalmente ricordò. «C'è un clone di Krask-8 nello Yemen.» Era un'informazione circolata nel corso del briefing su Krask-8. Durante
la Guerra Fredda, i sovietici avevano costruito una base per gli ICBM identica a Krask-8 negli Stati alleati, come la Siria, il Sudan e lo Yemen. La mente di Schofield correva. Krask-8 era proprietà della Atlantic Shipping Company. David Fairfax lo ha scoperto all'inizio della giornata. E l'Atlantic Shipping Company - adesso lui lo sapeva - era una sussidiaria della Axon Corp. «Dannazione», sospirò Schofield. «Rufus: traccia una rotta verso sud-est e aziona i postbruciatori.» Rufus sembrava dubbioso. «Capitano, non vorrei essere scortese, ma, anche volando alla massima velocità, non c'è modo di farcela da qui allo Yemen in due ore. È un viaggio di seimila chilometri, cioè di almeno quattro ore di volo. Inoltre, coi postbruciatori inseriti, avremo esaurito tutto il nostro carburante prima ancora di raggiungere le Alpi francesi.» «Non preoccuparti di questo», disse Schofield. «Posso fare in modo di avere il rifornimento di carburante in volo. E non faremo tutta la strada fino allo Yemen con questo.» «Come vuole», disse Rufus. Diresse il Black Raven verso sud-est e accese i postbruciatori. Nel frattempo, Schofield accese il suo trasmettitore satellitare. «Signor Moseley. È ancora con noi?» «Certo, sono qui», fu la risposta da Londra. «Ho bisogno che lei mi faccia una ricerca finanziaria su una compagnia. Si chiama Atlantic Shipping Company. Ricerchi ogni proprietà che abbia nello Yemen, specialmente vecchie basi sovietiche. E inoltre mi servono un altro paio di cose. Primo, ho bisogno di un passaggio per attraversare l'Europa alla svelta, compresi vari rifornimenti in volo. Vi manderò il segnale del nostro transponder.» «Va bene. E la seconda cosa?» «Ho bisogno che facciate il pieno a un paio di aerei americani un po' particolari che attualmente sono alla fiera aeronautica Aerostadium a Milano, in Italia.» I trenta minuti successivi passarono in un attimo. In giro per il mondo, un insieme di forze si metteva all'opera. MAR ARABICO AL LARGO DELLE COSTE DELL'INDIA 26 OTTOBRE, ORE 21.05
[EST ORE 12.05] La superpetroliera Whale navigava al largo dell'India su un mare liscio come l'olio. La gigantesca nave era apparentemente in contemplazione del profilo della costa tra Pakistan e India, in realtà coi missili pronti per essere lanciati. Non vide mai il sottomarino d'attacco classe Los Angeles che le si era avvicinato alle spalle, due miglia dietro. Ugualmente, i commando africani in plancia non si accorsero dei siluri fino a quando non fu troppo tardi. I due siluri Mark 48 colpirono la Whale, squarciando le murate con due esplosioni simultanee e facendola affondare. STRETTO DI TAIWAN ACQUE INTERNAZIONALI TRA LA CINA E TAIWAN 2 7 OTTOBRE, ORE 01.10 [EST - 26 OTTOBRE, ORE 12.10] La Hopewell andò incontro a un analogo destino. Diretta su una rotta nel mezzo dello stretto di Taiwan, non lontano da una lunga fila di superpetroliere e navi da carico, ignara di tutto, fu colpita da due siluri americani Mark 48. Qualche vedetta notturna sulle altre navi dichiarò di aver visto l'esplosione all'orizzonte. Le chiamate radio verso la Hopewell, però, non ebbero risposta e, nel tempo necessario per raggiungere la sua ultima posizione nota, di essa non era rimasto nulla. La Hopewell era andata e nessuno aveva visto il sottomarino che l'aveva affondata. Anzi, il governo statunitense avrebbe in seguito negato che ci fosse un 688I nella zona in quel momento. OCEANO PACIFICO AL LARGO DELLA BAIA DI SAN FRANCISCO 26 OTTOBRE, ORE 09.12 [EST ORE 12.12] All'interno della stiva missili della superpetroliera Kormoran Jewel, protetto da dodici marine statunitensi e con attorno i corpi di una dozzina di soldati africani morti, David Fairfax inserì il suo collegamento satellitare
nel pannello di controllo dei missili. Il segnale del satellite schizzò nel cielo e rimbalzò fino a Schofield a bordo del Black Raven, che volava sopra la Francia, diretto in Italia. E, mentre Schofield armeggiava col suo CincLock, Fairfax restò accanto al pannello di controllo, proteggendo col suo corpo il collegamento da due soldati eritrei che erano sopravvissuti all'abbordaggio effettuato dalla squadra di marine. Era fuori di sé dalla paura, ma, in mezzo a proiettili, spari ed esplosioni di granate, non lasciò la postazione. Nel giro di pochi minuti, gli ultimi due soldati eritrei erano morti, inchiodati dai marine, e il sistema di lancio della Jewel era stato neutralizzato da Schofield. Solo allora David Fairfax si lasciò scivolare a terra con un profondo sospiro di sollievo. CAMPO DI AVIAZIONE DELLA FIERA AEROSTADIUM MILANO, ITALIA 26 OTTOBRE, ORE 19.00 [EST ORE 13.00] Con una spinta dei suoi retrorazzi, il Black Raven atterrò sulla pista dell'Aerostadium di Milano. Era già sera nel nord Italia, ma la rappresentanza dell'aviazione statunitense alla fiera aeronautica aveva lavorato duramente nei quarantacinque minuti precedenti, rifornendo di carburante due aerei molto speciali per ordine diretto del Dipartimento di Stato. Il Black Raven atterrò a cento metri da uno spettacolare bombardiere B52, parcheggiato sulla pista. Due piccoli aerei neri a forma di proiettile erano appesi alle ali del grosso bombardiere, simili a una coppia di missili sovradimensionati. Ma non erano missili. Erano X-15. Molti credono che l'SR-71 Blackbird, con una velocità massima di Mach 3, sia l'aereo più veloce del mondo. Questo non è del tutto vero. L'SR-71 è l'aereo operativo più veloce del mondo. Un aereo, infatti, era andato più veloce del l'SR-71 - molto più veloce -, raggiungendo una velocità di più di 7000 km/h, oltre Mach 6. Quell'aereo, tuttavia, non era mai divenuto operativo. Quell'aereo, costruito dalla NASA, era l'X-15. I caccia, normalmente, utilizzano i motori a reazione, che però hanno un limite, e l'SR-71 era arrivato a quel limite: Mach 3.
L'X-15, invece, ha una propulsione a razzo. Ha poche parti mobili e, anziché di un getto di aria compressa incandescente che fuoriesce dai suoi propulsori posteriori, utilizza come propellente idrogeno allo stato solido. Il che lo rende più simile a un missile che a un aereo a reazione. Non a caso, l'X-15 è stato descritto da alcuni osservatori come un missile con un pilota legato sopra. Erano stati costruiti solo cinque X-15 e due di essi, come sapeva Schofield, sarebbero stati esposti in Italia alla fiera aeronautica Aerostadium, in programma di lì a qualche giorno. Schofield saltò fuori dal Black Raven e attraversò la pista con Knight e Rufus di fianco. Osservò i due X-15 appesi alle ali del B-52. Non erano né grossi né particolarmente belli da vedere. Erano semplicemente funzionali, progettati per tagliare l'aria a velocità astronomica. Le lettere inclinate sui piani di coda riportavano: NASA. Lungo la fusoliera dell'aereo nero erano scritte le parole us AIR FORCE. Due colonnelli vennero incontro a Schofield: uno americano e uno italiano. «Capitano Schofield», disse il colonnello americano. «Gli X-15 sono a posto, serbatoi pieni e pronti a volare. Ma abbiamo un problema. Uno dei nostri piloti si è rotto le costole ieri in un incidente durante un addestramento e non è in grado di sopportare le accelerazioni di questi cosi.» «Speravo comunque di poter usare il mio pilota», replicò Schofield. Si girò verso Rufus. «Pensi di poter reggere Mach 6, Grande Uomo?» Un ghigno percorse la faccia barbuta di Rufus. «Come bere un bicchier d'acqua.» Il colonnello dell'USAF li guidò verso gli aerei. «Abbiamo anche ricevuto alcune immagini radar dal National Reconnaissance Office. Potrebbe esserci un problema.» Tirò fuori uno schermo portatile delle dimensioni di un taccuino, su cui c'erano due immagini all'infrarosso del Mediterraneo sudorientale, del canale di Suez e del mar Rosso. Un'immagine era completa, l'altra zoomata. Nella prima, Schofield vide un'ampia nube di punti rossi che sembravano volteggiare sopra la zona del canale di Suez:
Nella seconda foto, l'immagine diventava più chiara. C'erano circa centocinquanta punti nella «nube».
«Cosa diavolo sono questi puntini?» chiese Rufus lentamente. Non ci fu bisogno che il colonnello rispondesse, perché Schofield lo sapeva già. «Sono aerei», spiegò. «Aerei da caccia di almeno cinque diverse nazioni africane. La Francia li ha visti volteggiare lì attorno ma non sapeva perché. Adesso io lo so. Provengono da cinque Stati africani che vorrebbero dominare un nuovo ordine mondiale e che vogliono impedirci di neutralizzare il missile puntato contro La Mecca. È l'assicurazione sulla vita di Killian: un'armata aerea per proteggere l'ultimo missile.» *** Il bombardiere B-52 rombò sulla pista coi due X-15 appesi alle sue lun-
ghissime ali e decollò, salendo costantemente fino all'altezza di sgancio. Schofield era seduto con Rufus all'interno della cabina di pilotaggio biposto dell'X-15 di destra. Era uno spazio stretto per Rufus, ma si era adattato. Knight era sull'altro aereo, con un pilota della NASA. Schofield aveva l'unità CincLock-VII fissata alla sua tuta da combattimento, insieme con le numerose armi che teneva nelle tasche. Il suo piano era un tentativo in extremis: nessun altro al mondo avrebbe potuto disarmare il missile Chameleon, quindi doveva andare lui nella base clone di Krask-8 in Yemen col solo aiuto di Knight. Si aspettavano di trovare resistenza, probabilmente unità di commando africani, quindi Schofield aveva chiesto che una squadra di marine venisse inviata a Aden come supporto. Ma se sarebbe arrivata in tempo era un'altra questione. Scott Moseley chiamò da Londra. «Schofield, penso di aver trovato quello che cercava. L'Atlantic Shipping Company possiede quasi un chilometro quadrato di deserto nello Yemen, circa trecento chilometri a sudovest di Aden, proprio all'imbocco del mar Rosso. In quell'area ci sono i resti di una vecchia installazione sovietica di manutenzione per sottomarini. Le nostre foto satellitari sono degli anni '80, ma sembra un grande hangar circondato da alcuni edifici ausiliari.» «È quella», disse Schofield. «Mi mandi le coordinate.» Moseley eseguì e Schofield le inserì nel computer di bordo del suo aereo. Distanza di volo per lo Yemen meridionale: 5602 chilometri. Durata del volo in un X-15 alla velocità di 7000 km/h: 48 minuti. Tempo restante prima del lancio dell'ICBM sulla Mecca: 60 minuti. Sarebbero arrivati per un pelo. «Sei pronto, Rufus?» «Sì, capitano», rispose Rufus. Quando il B-52 raggiunse la quota di sgancio, il pilota si mise in comunicazione con loro: «X-15, abbiamo qualche notizia dalla portaerei USS Nimitz nel Mediterraneo. È l'unica portaerei lungo la vostra rotta d'attacco. Sta inviando ogni aereo a disposizione per scortarvi: F-14, F/A-18, anche cinque Prowler si sono offerti volontari per coprirvi le spalle. Lei deve essere un tipo importante, capitano Schofield. Preparatevi per il controllo dei sistemi di volo. Lancio previsto in un minuto». Quando il pilota interruppe la comunicazione, la voce di Knight arrivò negli auricolari di Schofield e Rufus.
«Ehi, Ruf. Buona fortuna, ragazzo. Non dimenticarlo: sei il migliore. Il migliore. Stai calmo. Resta concentrato. Fidati del tuo istinto.» «Lo farò, capo», replicò Rufus. «Grazie.» «Ah, Schofield?» disse Knight. «Sì?» «Riportami indietro il mio amico vivo.» «Ci proverò», rispose Schofield sommessamente. Il pilota del B-52 parlò di nuovo. «Controllo dei sistemi di volo completato. Stiamo per sganciarvi. Signori, pronti per lo sgancio. Al mio segnale: cinque, quattro...» Schofield fissò lo sguardo in avanti e fece un respiro profondo. «Tre...» Rufus impugnò saldamente i comandi. «Due...» A bordo del suo aereo, Knight guardò in direzione di Schofield e Rufus sull'altra ala. «Uno. Ora.» I due X-15 vennero sganciati dalle ali del bombardiere B-52 e planarono per un breve tratto prima che... «Accensione dei propulsori... ora!» disse Rufus. La coda conica dell'X-15 si accese, proiettando la fiamma dei suoi motori a razzo per più di tre metri dietro di sé. Schofield fu scagliato contro il sedile con una forza che non aveva nemmeno mai immaginato. Il suo X-15 schizzò nel cielo, squarciando l'aria col boom sonico, lacerando letteralmente il tessuto del cielo: la sola traccia del suo volo era nient'altro che un ruggito continuo udibile lungo tutto il suo percorso sopra il Mediterraneo. Quindi i due X-15 filarono in direzione sud-est, verso il canale di Suez, il mar Rosso e una piccola decrepita base nello Yemen - da cui sarebbe stato ben presto lanciato un missile Chameleon, un missile che avrebbe sovvertito l'ordine mondiale esistente - e contro la più grande armata aerea mai messa insieme dall'uomo. Dopo appena venti minuti di volo, Rufus li avvistò. «Oh, mio Dio...» sussurrò. ***
Era sospesa nel cielo arancione del tramonto come uno sciame d'insetti: l'armata dei caccia africani. Era una visione incredibile, un vero muro di punti in movimento lungo la linea costiera egiziana, a guardia dello spazio aereo sopra il canale di Suez. Centocinquanta aerei da guerra. Una flotta costituita da ogni genere di caccia: aerei vecchi e nuovi, aerei blu e rossi; insomma, qualsiasi cosa potesse trasportare missili, una variopinta collezione di vecchie glorie comprate dagli Stati militarmente più evoluti a prezzo di saldo. Il Sukhoi Su-17, costruito nel 1966, ormai da tempo dismesso dai russi. Il MiG-25 Foxbat, soppiantato negli anni '80 da varianti più moderne, ma in grado di giocarsi ancora qualche carta contro i migliori aerei americani. Il Mirage V/50 di fabbricazione francese, uno dei più grandi prodotti militari di esportazione, che i francesi avevano venduto a chiunque: Libia, Zaire, Iraq. C'erano anche alcuni aggressivi Albatros L-59 cechi, uno dei modelli favoriti da molti Stati africani. Dal punto di vista delle prestazioni, nessuno era all'altezza di aerei più moderni come l'F-22 Raptor e l'F-15E. Ma quando venivano equipaggiati coi migliori missili aria-aria, Sidewinder, Phoenix, R-60T e R-27 russi, missili che si trovavano facilmente sul mercato delle armi in Romania e Ucraina, quei vecchi caccia potevano competere coi migliori. Gli aerei potevano essere cari e difficili da trovare, ma missili di buona qualità potevano essere acquistati a dozzine. E, dopotutto, questi tipi hanno il vantaggio dei grandi numeri, pensò Schofield. L'F-22 meglio equipaggiato al mondo non poteva tenere testa a lungo a una forza di quelle proporzioni. Alla fine, la semplice superiorità numerica poteva travolgere anche la migliore tecnologia. «Che ne pensi, Rufus?» «Questo coso non è fatto per combattere, capitano», rispose Rufus. «È stato costruito per la velocità. Quindi voleremo bassi e veloci e faremo quello che nessun pilota ha mai fatto prima d'ora: lasceremo indietro ogni missile che quei bastardi ci lanceranno contro.» «Missili alle calcagna», disse Schofield. «Divertente.» «Per quanto possa valere, capitano», continuò Rufus, «abbiamo un cannoncino a canna singola sul muso. Penso che stia lì per bellezza.»
Proprio allora, una nuova voce arrivò nelle loro cuffie. «X-15 statunitense, qui è il comandante Harold Marshall della USS Nimitz. Vi abbiamo sui nostri schermi. Lo squadrone Jolly Rogers è già in volo verso di voi. Abbiamo mandato avanti cinque Prowler a intervalli di 160 chilometri per fornirvi copertura elettronica. Sarà dura laggiù, signori, ma abbiamo buone possibilità di aprirvi un buco abbastanza grosso per farvi passare.» Ci fu una pausa. «Ah, capitano Schofield, sono stato informato della situazione. Buona fortuna. Siamo tutti con voi.» «Grazie, comandante», disse Schofield sottovoce. «Okay, Rufus, si balla.» Velocità. Pura, incontaminata velocità. 7000 km/h sono circa 2000 metri al secondo. Sette volte la velocità del suono è molto, molto, molto veloce. I due X-15 saettarono verso uno sciame di caccia nemici. Quando arrivarono a trenta chilometri dagli aerei africani, una falange di missili partì dallo schieramento, quaranta tracce di fumo a forma di coda che si dipanavano verso di loro. Ma, non appena il primo missile era stato lanciato, chi aveva fatto fuoco, un MiG-25 Foxbat russo, era esploso in una palla di fiamme arancioni. Altri sei aerei africani furono distrutti, colpiti dai missili aria-aria AIM-120 AMRAAM degli F-14 dei Jolly Rogers, mentre venti dei missili lanciati dall'armada africana esplosero a mezz'aria senza arrecare danno, colpendo le nubi civetta di striscioline metalliche che erano state sganciate dallo squadrone di caccia F-14 statunitense, riconoscibili dalle inquietanti insegne del teschio e delle tibie incrociate dipinte sui timoni verticali. I famosi Jolly Rogers della Nimitz. Circa una dozzina di F-14 Tomcat, fiancheggiati dai leggeri F/A-18 Hornet. E improvvisamente si scatenò una gigantesca battaglia aerea senza precedenti. I due X-15 virarono più volte per scartare lo schieramento africano, evitando esplosioni a mezz'aria, caccia in picchiata, ondate di proiettili traccianti e scie di missili velocissimi. Ogni tipo di caccia si avvitava in cielo nella luce del tramonto: MiG, Mirage, Tomcat e Hornet, che cabravano, picchiavano, s'ingaggiavano ed esplodevano. A un certo punto, l'X-15 di Schofield finì in volo rovesciato per evitare un caccia africano, solo per trovarsi in rotta di collisione con un altro aereo
nemico, un Mirage, ma, proprio quando i due aerei erano sul punto di schiantarsi muso contro muso, quello africano esplose, colpito dal basso da un AMRAAM, e l'X-15 di Schofield semplicemente passò attraverso i suoi resti fiammeggianti. Brandelli di metallo rovente strisciarono contro le fiancate dell'X-15, mentre la mano mozzata del pilota dell'aereo nemico lasciò una scia di sangue sulla calotta, vicino agli occhi di Rufus. Nessun missile africano aveva ancora colpito gli aerei razzo della NASA. Si avvicinavano, ma poi i missili rimbalzavano in tutte le direzioni attorno agli X-15 come se i due aerei fossero protetti da qualche genere di bolla invisibile. In effetti, era così. Grazie ai cinque EA-6B Prowler dell'US Navy con le loro antenne direzionali AN/ALQ-99F per il disturbo elettronico, che viaggiavano paralleli agli X-15, venti chilometri più lontano. Utili e preziosi, i Prowler sapevano di non essere in grado di seguire i superveloci X-15, perciò si erano intelligentemente posizionati paralleli alla rotta di volo di Schofield, ma a una certa distanza, cosicché ciascun Prowler proteggeva l'aereo razzo con le proprie emissioni di disturbo per poi cedere il compito al Prowler successivo, come atleti in una staffetta che si passano il testimone. «X-15 statunitense, qui è il Prowler caposezione», disse una voce nell'auricolare di Schofield. «Possiamo coprirvi fino al canale, ma non siamo abbastanza veloci per starvi dietro. Da là in poi sarete soli.» «Avete già fatto molto più del necessario», rispose Schofield. «Cristo! Guardi!» urlò Rufus. In quel momento, a causa della schermatura garantita dai Prowler, gli aerei africani avevano adottato una nuova strategia. Cominciarono a fare picchiate kamikaze contro gli X-15. Attacchi suicidi. *** Le contromisure elettroniche potevano riuscire a ingannare i sistemi di bordo di un missile, ma non potevano fermare un uomo che pilotasse il suo aereo manualmente contro un altro. Una mezza dozzina di aerei piovvero sui due X-15, rovesciando al contempo raffiche fulminanti di proiettili traccianti. Gli X-15 si divisero. Rufus virò in basso a destra, mentre l'altro X-15 piegò verso sinistra, evitando per un pelo un aereo in picchiata, ma un
proiettile tracciante penetrò da parte a parte la fusoliera: purtroppo, lungo la sua traiettoria passò per un breve tratto anche attraverso la testa del pilota di Knight. Sangue e cervello schizzarono all'interno dell'X-15. L'aereo deviò fuori controllo, dirigendosi verso est, lontano dalla battaglia. Knight si arrampicò sul sedile anteriore e spostò il corpo del pilota su quello posteriore. Quindi prese i comandi, cercando disperatamente di far guadagnare quota all'aereo. Ma il mare correva davanti a lui, veloce, sempre più veloce... finché l'aereo non si schiantò. Intanto, Schofield e Rufus erano scesi bassi sul mare, così bassi che stavano saettando a poco più di sei metri sopra le onde, alzando dietro di loro una colonna di spuma bianca mentre i missili che li incrociavano si schiantavano nell'acqua attorno a loro. «Vedo il canale!» gridò Rufus sopra il frastuono. L'imbocco del canale di Suez si stendeva trenta chilometri davanti a loro, una delle meraviglie dell'ingegneria moderna. Due giganteschi pilastri di cemento fiancheggiavano l'ingresso all'ampio corridoio d'acqua che dava accesso al mar Rosso. Ma, sopra, c'erano ancora i caccia africani. «Rufus! A sinistra!» gridò Schofield, scrutando in alto attraverso la calotta. Rufus eseguì, virando proprio mentre due L-59 cechi arrivavano ruggendo sull'altro lato e si schiantavano in acqua. Raggiunsero l'imbocco del canale, però persero la copertura elettronica dei Prowler. L'X-15 di Schofield si lanciò lungo il canale di Suez, volando basso e scartando le navi all'ancora - l'ampio canale di cemento era diventato per loro poco più che un percorso a ostacoli - e sfrecciando sotto il grosso dell'armata nemica. Avevano superato il blocco. Ma una volta nel canale apparvero dietro di loro due missili Phoenix di fabbricazione americana che, in qualche strano modo, erano finiti sotto le ali di un caccia africano. L'X-15 si abbassò ulteriormente. I due missili Phoenix guadagnarono terreno. Due kamikaze si lanciarono in picchiata, diretti contro l'X-15 da entrambi i lati per chiudersi a forbice su di loro, ma Rufus fece rollare l'aereo e i due caccia lo mancarono per pochi centimetri, schiantandosi sulle rive sabbiose del canale ed esplodendo in un doppio getto di sabbia e fuoco. Poi, i due missili Phoenix affiancarono la coda dell'X-15. Schofield si
accorse di una cosa sorprendente: poteva leggere le lettere dipinte sui lati. XAIM-54A - HUGHES MISSILE SYSTEMS. «Rufus...!» urlò. «Lo so!» rispose Rufus. «Fa' qualcosa!» «Ci sto provando!» D'un tratto Rufus scivolò sulla destra, seguendo le rive del canale e virando in un cerchio sempre più ampio che lo portò a invertire la rotta e puntare verso il Mediterraneo. I due missili li seguirono, virando su una rotta semicircolare identica, senza risentire dell'incredibile accelerazione. Dato che il grosso dello schieramento africano era stato posto a protezione della costa egiziana, solo sei aerei erano rimasti in quella zona. Quei piloti, videndo l'X-15 compiere l'ampia virata e tornare indietro verso di loro, pensarono che fosse il loro giorno fortunato. Sbagliavano. L'X-15 schizzò in mezzo a loro come un proiettile tra gli alberi di un bosco, sgusciando tra due MiG africani con poco più di tre metri di spazio su entrambi i lati e lasciandoli sulla rotta dei missili Phoenix. I MiG esplosero e l'X-15 completò la manovra fino a ritrovarsi di nuovo sulla propria rotta verso sud-est. Comunque, il suo ampio cerchio - del diametro di quasi duecento chilometri - aveva permesso a uno degli aerei africani di lanciare il suo ultimo missile: un AIM-120 AMRAAM statunitense rubato, il miglior missile aria-aria mai progettato. L'AMRAAM saettò nell'aria dietro il veloce X-15, avvicinandosi come un falco affamato. «Non posso farci nulla!» gridò Rufus. «Per quanto ci starà in coda?» chiese Schofield. «Non ha un sistema di autodistruzione a tempo?» «No. È questa la caratteristica degli AMRAAM. Ti stanno dietro notte e giorno. Ti sfiancano e poi ti ammazzano!» «Va bene, ma nessun AMRAAM ha mai inseguito uno di questi aerei prima! Continua ad andare! Massima potenza! Forse possiamo lasciarcelo dietro...» Una voce nelle cuffie lo interruppe. Era Scott Moseley e la sua voce suonava depressa, scioccata. «Ehm, capitano Schofield. Ho una notizia veramente brutta.» «Che cosa?»
«I nostri satelliti di sorveglianza hanno rilevato il lancio di un ICBM dallo Yemen centromeridionale. Le caratteristiche di volo indicano che si tratta di un Jericho-2B, un missile balistico intercontinentale, diretto a nord verso La Mecca. Capitano, Killian sa che state arrivando e ha lanciato il missile in anticipo.» *** «Oh, no, non è possibile!» gridò Schofield. «Non è giusto! No, non è giusto, cazzo!» Guardò le armi che aveva fissate al petto, pistole che aveva pensato di usare per irrompere nella base missilistica nello Yemen. Tutte inutili, ormai. Prese il dispositivo di disattivazione CincLock-VII e scosse la testa... E si bloccò. Fissando il dispositivo CincLock. «Signor Moseley. Avete i dati telemetrici sulla traccia di questo missile?» «Certo.» «Me li mandi.» «Va bene.» Un attimo più tardi, il computer di volo di Schofield trillò e una mappa simile a quella che aveva visto a Milano riempì lo schermo: una freccia rappresentava il missile Chameleon in avvicinamento alla Mecca. Schofield inserì il segnale del transponder del loro aereo nel computer e apparve un'altra freccia.
Schofield guardò i dati di volo sullo schermo: segnale d'identificazione, velocità, altitudine. Non c'era quasi bisogno di fare i calcoli. L'immagine era chiarissima.
Due oggetti volanti stavano convergendo sulla Mecca. Il suo X-15 e il missile Chameleon, contrassegnato dal sistema di riconoscimento automatico come un missile balistico intercontinentale Jericho-2B. Tutti e due stavano volando praticamente alla stessa velocità e si trovavano quasi alla stessa distanza dalla Mecca. «Rufus.» «Sì?» «Non dobbiamo più andare nello Yemen.» «Lo sospettavo», replicò Rufus, abbacchiato. «Cosa facciamo adesso?» Ma Schofield stava premendo i tasti del suo computer, facendo rapidi calcoli. Era pazzesco, ma... Lui e Rufus erano ancora a circa mille chilometri dalla Mecca. TEMPO AL BERSAGLIO: 8:30. Il Chameleon era leggermente più lontano. Il suo conto alla rovescia riportava: TEMPO AL BERSAGLIO: 9:01, 9:00, 8:59... Va bene, pensò Schofield. Abbiamo bisogno di un margine di trenta secondi per raggiungere La Mecca e girarle attorno... Gli occhi di Schofield scintillarono all'idea. Guardò il dispositivo CincLock che aveva fissato al petto e lo strinse nelle mani. «Diciotto metri», sospirò a bassa voce. Quindi domandò: «Ehi, Rufus. Hai mai inseguito un missile?» *** TEMPO AL BERSAGLIO: 6:00, 5:59, 5:58... L'X-15 si muoveva nel cielo che imbruniva alla velocità di un proiettile, ancora inseguito dal missile AMRAAM. «Vuole farmi volare di fianco a quel coso?» chiese Rufus, dubbioso. «Esatto. Possiamo ancora disinnescare questo ICBM, dobbiamo semplicemente restare a diciotto metri di distanza», rispose Schofield. «Sì, ma volando? Nessuno può tenere un aereo fianco a fianco a un missile a Mach 6.» «Tu sì.» Da dove era seduto, Schofield non vide il ghigno attraversare la faccia barbuta di Rufus. «Cosa devo fare?» «Gli ICBM viaggiano ad alta quota per poi cadere verticalmente sui loro obiettivi», spiegò Schofield. «Attualmente il Chameleon è a ottomila me-
tri. Dovrebbe restare a quella quota fino a quando non sarà praticamente sopra La Mecca, e quindi inizierà la discesa. A Mach 6, ci impiegherà circa cinque secondi per percorrere la picchiata terminale. Ma io ho bisogno di almeno venticinque secondi per disinnescarlo. Il che significa che dobbiamo affiancarlo quando è ancora a ottomila metri. Se inizia la picchiata, è finita. Siamo fottati. Pensi di potergli volare di fianco?» «Sa, capitano», rispose sottovoce Rufus, «lei è un po' come Aloysius. Quando mi parla, mi fa sentire come se potessi fare qualsiasi cosa. Perciò, lo consideriamo.» TEMPO AL BERSAGLIO: 2:01, 2:00, 1:59... L'X-15 filò nel cielo, seguito dall'AMRAAM, coprendo come un fulmine la lunghezza del mar Rosso e, allo stesso tempo, salendo, sempre più in alto, fino a un'altitudine di ottomila metri. «Abbiamo appena superato La Mecca!» gridò Rufus. «Inizio la manovra. Dia un'occhiata, dovremmo riuscire a vedere quel Chameleon...» Rufus fece piegare il velocissimo aereo razzo, compiendo una virata di 180 gradi che, con un po' di fortuna, si sarebbe chiusa con l'X-15 a fianco del missile nucleare e le loro rotte parallele in direzione della Mecca. L'improvviso cambio di rotta permise al missile AMRAAM dietro di loro, sempre vicino, sempre rapace, di avvicinarli ancora di più. Ormai si trovava a soli cento metri dall'X-15, e continuava ad avvicinarsi. TEMPO AL BERSAGLIO: 1:20, 1:19, 1:18... «È lì!» gridò Rufus. «Proprio davanti a noi!» Schofield lottò contro la forza centrifuga per guardare sopra la spalla di Rufus. E lo vide. Rimase senza fiato. Era incredibile. Il clone ICBM del Jericho-2B sembrava l'astronave di un film di fantascienza, qualcosa che era troppo grande, troppo lucente, e che si muoveva troppo velocemente. Il cilindro lungo venticinque metri era scagliato come una lancia attraverso il cielo: una fiamma bianco incandescente scaturiva come un lampo al magnesio dalla coda, lasciandosi dietro una traccia di fumo incredibilmente lunga. La scia si estendeva sinuosa, come un pitone senza fine sopra il lontano orizzonte, puntando verso l'origine del missile, lo Yemen. E il suono che produceva. Un rombo continuo. Se l'X-15 stava lacerando il tessuto del cielo, allora quell'affare lo stava
facendo a pezzi. L'X-15 inclinato ruggì in un gigantesco semicerchio, procedendo a grande velocità verso l'ICBM, sempre seguito dall'AMRAAM. TEMPO AL BERSAGLIO: 1:00, 0:59, 0:58... Poi, come le braccia di una Y appiattita che convergono nella sua asta, l'X-15 e il missile Chameleon si affiancarono. Ma non erano ancora livellati. L'X-15 era appena dietro, a sinistra dell'ICBM, parallelo alla colonna di fumo orizzontale che scaturiva dalla coda. TEMPO AL BERSAGLIO: 0:50, 0:49, 0:48... Ma l'aereo razzo si muoveva leggermente più veloce del missile, così gradualmente risalì l'ICBM. Il frastuono era ovunque: il ruggito della velocità supersonica. TEMPO AL BERSAGLIO: 0:40, 0:39, 0:38... «Più vicino!» ordinò Schofield. Rufus eseguì, e la punta conica dell'X-15 arrivò vicino alla coda ruggente dell'ICBM. L'unità CincLock-VII non si attivava. Non erano ancora abbastanza vicini al computer del missile. L'X-15 scattò in avanti, lungo il missile Chameleon. «Ancora di più!» TEMPO AL BERSAGLIO: 0:33, 0:32, 0:31... Schofield notò le luci nell'oscurità della sera. La città santa della Mecca. TEMPO AL BERSAGLIO: 0:28, 0:27, 0:26... L'X-15 arrivò a metà del missile e il dispositivo di disinnesco di Schofield si attivò: PRIMO PROTOCOLLO (DISTANZA): COMPLETATO. INIZIO SECONDO PROTOCOLLO. «Eccomi», disse Schofield all'ICBM. Lo schema del profilo di risposta del dispositivo iniziò la sequenza. I due velivoli con propulsione a razzo incidevano un taglio ipersonico attraverso il cielo, viaggiando affiancati a velocità astronomica. E allora l'AMRAAM dietro l'X-15 fece la propria mossa. Rufus lo vide sul suo schermo. «Presto, capitano...!» «Devo... fare... questo... prima... di...» rispose con una smorfia Schofield, concentrato sulla prova di riflessi. TEMPO AL BERSAGLIO: 0:19, 0:18, 0:17... L'AMRAAM accelerò, avvicinandosi alle fiamme di coda dell'X-15.
«Sta raggiungendo il suo limite di letalità!» gridò Rufus. Il limite di letalità di un AMRAAM era venti metri. Non aveva bisogno di colpire, bastava che esplodesse abbastanza vicino. «Ha ancora cinque secondi, forse...» «Non abbiamo cinque secondi!» urlò Schofield, senza togliere gli occhi dallo schermo, con le dita che danzavano veloci. TEMPO AL BERSAGLIO: 0:16, 0:15, 0:14... «Non posso tentare una manovra evasiva!» gridò con disperazione Rufus. «Ci allontaneremmo dal missile! Gesù Cristo! Non possiamo essere arrivati fin qui per fallire adesso! Due secondi!» Schofield continuò a battere sullo schermo. TEMPO AL BERSAGLIO: 0:13, 0:12... «Un secondo!» E l'AMRAAM raggiunse il limite di letalità, venti metri dalla coda dell'X-15. «No!» strillò Rufus. «Troppo tardi!» «Non se vi posso aiutare», disse all'improvviso una voce nei loro auricolari. Quindi, una macchia supersonica, qualcosa di nero e veloce, piombò di fianco a loro attraverso la scia dell'X-15, mettendosi tra l'AMRAAM e l'aereo di Schofield, e il missile lo colpì. Un'esplosione scosse il cielo e Rufus si girò sul sedile per vedere la parte anteriore di un altro X-15 precipitare, con la coda disintegrata, distrutta dall'AMRAAM. L'X-15 di Knight. Doveva essere sopravvissuto alla morte del suo pilota e quindi essersi messo sulle loro tracce, seguendoli dopo che avevano compiuto le due manovre circolari che li avevano rallentati. E ormai si era portato sulla rotta del missile AMRAAM che stava per farli fuori. La parte anteriore danneggiata dell'X-15 di Knight continuò a precipitare, a muso in avanti, poi la calotta si staccò, un sedile venne sparato fuori e un paracadute si apri un attimo più tardi. TEMPO AL BERSAGLIO: 0:11, 0:10... Schofield non si era quasi accorto dell'esplosione. Era concentrato sullo schermo del CincLock: bianco, rosso, bianco, bianco, rosso... TEMPO AL BERSAGLIO: 0:09... «Merda! Sta per scendere in picchiata!» gridò Rufus. Con un beccheggio spaventoso, il missile Chameleon cambiò improvvisamente rotta, dirigendosi verso il basso, col muso puntato direttamente
verso La Mecca. Rufus lo imitò e si mise in verticale. L'aereo e il missile si trovarono così a viaggiare a velocità supersonica affiancati, puntando a terra. «Aaaaaaaahhh!» urlò Rufus. Gli occhi di Schofield rimasero fissi sullo schermo, e le sue dita si muovevano veloci. TEMPO AL BERSAGLIO: 0:08... L'X-15 e l'ICBM filavano in picchiata verso la superficie terrestre come due proiettili. TEMPO AL BERSAGLIO: 0:07... Le luci della Mecca sfrecciavano in alto verso gli occhi di Rufus. TEMPO AL BERSAGLIO: 0:06... Le dita di Schofield danzavano. Il dispositivo di disinnesco CincLock trillò. SECONDO PROTOCOLLO (PROCEDURA DI RISPOSTA) COMPLETATO SECONDO PROTOCOLLO (INSERIMENTO CODICE): ATTIVO INSERIRE IL CODICE DI DISATTIVAZIONE. 0:05... Schofield digitò il Codice Universale di Disattivazione e lo schermo trillò di nuovo. TERZO PROTOCOLLO (INSERIMENTO CODICE). COMPLETATO INSERITO CODICE DI DISATTIVAZIONE AUTORIZZATO. A quel punto apparve la fatidica scritta: LANCIO MISSILI INTERROTTO Quello che successe dopo, accadde in un lampo. In alto, sopra i minareti della Mecca, il missile Chameleon che viaggiava a velocità supersonica si autodistrusse con una spettacolare esplosione. Somigliò a un gigantesco fuoco artificiale, una spettacolare deflagrazione di frammenti che si dispersero in ogni direzione. La sua velocità era così impressionante che i suoi resti furono scagliati lontano da una raffica di vento violentissimo. I resti carbonizzati del clone del Jericho-2B, in seguito, furono trovati sparsi su un'area di centosessanta chilometri di diametro. L'X-15 di Schofield, invece, ebbe un destino abbastanza diverso. L'onda d'urto dell'esplosione del Chameleon lo proiettò in vite lontano dall'esplosione, totalmente fuori controllo, diretto come un razzo verso ter-
ra. Rufus lottò eroicamente con la sua cloche nel tentativo di evitare di schiantarsi contro una parte abitata della Mecca. Ma fu tutto ciò che riuscì a fare. Poco più di un secondo più tardi, l'X-15 piombò nel deserto come una meteora dallo spazio profondo, schiantandosi in picchiata nel paesaggio sabbioso con un impatto che fece tremare la terra e che fu udito a quasi cento chilometri di distanza. E, per un attimo, l'esplosione di fuoco accese il cielo buio come se fosse mezzogiorno. *** L'X-15 colpì il deserto ancora a Mach 3. Si abbatté sul terreno in un singolo, tremendo istante, in cui l'aereo si trasformò in una palla di fuoco accecante. Nessuno sarebbe potuto sopravvivere. Una frazione di secondo prima dello schianto, tuttavia, due seggiolini vennero catapultati fuori dell'abitacolo, sparati diagonalmente lontano nel cielo, seggiolini su cui si trovavano Schofield e Rufus. I due seggiolini oscillarono verso terra appesi ai loro paracadute e atterrarono a vari chilometri dal cratere fiammeggiante che segnava la tomba dell'X-15. I seggiolini urtarono il terreno sabbioso e rotolarono sul fianco. Non ci fu nessun altro movimento. Shane Schofield e Rufus giacevano accasciati contro i loro sedili, incoscienti, messi fuori combattimento da quella espulsione supersonica. Dopo un po', Schofield riprese conoscenza al suono di alcune voci. La sua vista era offuscata, il sangue gli colava lungo il viso e la testa gli rombava con un dolore terribile. Ecchimosi si stavano formando attorno agli occhi: era il naturale effetto collaterale dell'eiezione. Vedeva delle ombre attorno al suo seggiolino. Alcuni uomini stavano tentando di sganciargli le cinture di sicurezza. Sentì nuovamente le loro voci. «Pazzi figli di puttana, spararsi fuori a quella velocità.» «Forza, ragazzo, sbrigati, prima che arrivino i fottuti marine.»
Sulla soglia dell'incoscienza, Schofield si accorse che parlavano inglese. Con accento americano. Sospirò di sollievo. Era finita. Quindi, col sibilante taglio di un coltello, Schofield venne liberato dal seggiolino e scivolò nella sabbia. Un uomo apparve nel suo campo visivo. Un occidentale che indossava una tenuta militare. Sebbene ancora molto confuso, Schofield riconobbe l'uniforme: la tenuta da battaglia personalizzata delle squadre della Delta Force statunitense. «Capitano Schofield...» disse l'uomo gentilmente; la sua voce giunse confusa alla mente assopita di Schofield. «Capitano Schofield. È tutto a posto. È in salvo adesso. Siamo della Delta. Siamo dalla sua parte. Abbiamo anche recuperato il suo amico, il capitano Knight, a pochi chilometri da qui.» «Chi...» balbettò Schofield. «Chi è lei?» L'uomo della Delta sorrise, ma non era un sorriso amichevole. «Il mio nome è Wade Brandeis. Della Delta. Veniamo da Aden. Non si preoccupi, capitano Schofield. Lei è perfettamente al sicuro con me.» SETTIMO ATTACCO FRANCIA 27 OTTOBRE, ORE 07.00 EST [NEW YORK] ORE 01.00
Temete il furore dell'uomo paziente. JOHN DRYDEN Schofield sognava.
Sognava di essere sollevato dal suo seggiolino distrutto... ammanettato... poi messo su un jet executive Learjet... e l'aereo decollava... Voci nel dormiveglia. «Ne ho sentito parlare la prima volta da un gruppo di ragazzi in Afghanistan», stava dicendo Brandeis. «Mi avevano detto che è comparso durante un rastrellamento e che poi si è dileguato all'interno di alcune grotte. Pare che tutto questo avesse a che fare con una caccia all'uomo. Poi, poche ore fa mi ha chiamato un tale che conosco all'ISS, uno di quei ragazzi molto ammanicati, uno della vecchia scuola, che sa tutto di tutti, e che quindi è praticamente intoccabile. È anche un ex dell'ICG. Bravo ragazzo. Fottutamente brutto, però. Sembra un maledetto topo. Il nome è Noonan, Cal Noonan, ma tutti lo chiamano semplicemente il 'Topo'. Come sempre il Topo sa tutto. Per esempio, sapeva che stavo operando dalle parti di Aden. Mi ha confermato che c'è una taglia sulla testa di Schofield: diciotto milioni. Mi ha anche detto che Schofield era diretto nello Yemen. Se mi interessava, ha detto, poteva organizzare la cosa per me e pochi tipi fidati. Mi ha anche detto, udite udite, che Aloysius Knight era con Schofield, e che c'è una taglia anche sulla sua testa: due milioni di dollari. Diavolo, porterei Knight anche gratis. Ma, se qualcuno mi vuole dare due milioni di verdoni per farlo, tanto meglio.» L'aereo continuava a volare. Schofield dormiva. Si svegliò dopo poco, scomodo. Indossava ancora la tuta di volo, ma tutte le armi gli erano state tolte. L'unica cosa che non gli avevano preso era la sacca per cadaveri russa. Non un granché come arma. Si spostò ed ebbe una fugace visione di Knight e Rufus, anche loro ammanettati, seduti qualche fila dietro di lui, controllati da uomini della Delta armati. Rufus stava dormendo, ma Knight era vigile. Sembrò accorgersi del risveglio di Schofield, ma questi non riusciva a tenere gli occhi aperti. Scivolò di nuovo nel sonno. Un altro momento di lucidità. Il cielo fuori dal finestrino era passato dal nero al blu pallido. L'alba. Le voci ritornarono. «Dove li stiamo portando?» «In un castello», rispose Brandeis. «Un castello in Francia.»
FORTEZZA DI VALOIS BRETAGNA, FRANCIA 27 OTTOBRE, ORE 07.00 Pioveva con violenza quando l'aereo atterrò sulla pista privata di Jonathan Killian. Subito dopo l'atterraggio, Schofield, Knight e Rufus vennero fatti salire su un furgone chiuso e, sotto l'attenta sorveglianza di Brandeis e dei suoi cinque uomini della Delta, furono portati giù, lungo una ripida strada sul fianco della scogliera, verso l'ormai familiare castello, costruito sopra un ammasso roccioso appena al largo delle falesie costiere. La possente fortezza di Valois. Il furgone attraversò il massiccio ponte levatoio che univa il castello alla terraferma, avvolto dalla pioggia e illuminato dai lampi. Durante il breve tragitto, Knight raccontò a Schofield la storia tra lui e Wade Brandeis: la notte in Sudan e i poco trasparenti legami di Brandeis con l'ICG. «Credimi, so tutto dell'ICG», disse Schofield. «È da molto tempo che ho intenzione di chiudere i conti con Brandeis», ribatté Knight. Mentre parlava, Schofield osservò un'altra volta i due tatuaggi sul braccio di Knight: DORMI CON UN OCCHIO APERTO e BRANDEIS e, improvvisamente, comprese che in realtà formavano un solo tatuaggio: DORMI CON UN OCCHIO APERTO BRANDEIS. «Il fatto è che Brandeis non è un cacciatore di taglie, e si vede», disse Knight. «Come?» «Ha appena infranto la regola numero uno della caccia all'uomo.» «Ovvero?» «Sapere se puoi portare uno vivo o morto», spiegò Knight. «Morto è meglio.» Il furgone entrò nel cortile del castello e si fermò. I prigionieri vennero fatti scendere. Monsieur Delacroix li stava aspettando. Il banchiere svizzero era all'ingresso del garage delle auto d'epoca, compassato ed elegante come sempre. Accanto a lui c'erano Cedric Wexley e dieci mercenari della Executive Solutions, le forze di sicurezza private di
Jonathan Killian. «Maggiore Brandeis», esordi Delacroix. «Benvenuto nella fortezza di Valois. Vi stavamo aspettando. Seguitemi, per favore.» Delacroix li guidò nella rimessa e quindi giù per alcuni gradini di pietra fino all'anticamera che Schofield aveva già visitato, ma, invece di girare a sinistra verso la lunga e minacciosa galleria che conduceva all'ufficio dell'esaminatore, imboccò un piccolo corridoio di pietra a destra, che si apriva su una stretta scala a chiocciola medievale. Illuminata da torce, la scala scendeva e scendeva, girava e girava, affondando nei recessi del castello. Terminò davanti a una stretta porta d'acciaio circondata da una cornice di solida pietra. Delacroix toccò un interruttore e con un sordo rombo la porta si alzò verso il soffitto. Quindi l'azzimato banchiere si fece da parte, permettendo a Brandeis e ai suoi prigionieri di entrare per primi. Attraversarono la porta. Emersero all'interno di un'ampia caverna circolare, una grotta in cui l'acqua marina gorgogliante lambiva una serie irregolare di piattaforme di pietra rialzate. Negli stretti canali tra le piattaforme, Schofield vide due squali, in cerca di prede. E sulla piattaforma rialzata più vicina... c'era una ghigliottina alta quattro metri. Trattenne il respiro. Quella era la prigione di cui gli aveva parlato Knight. La terribile grotta in cui Libby Gant aveva incontrato la propria fine. Il Pozzo degli Squali. Una volta che furono entrati tutti, la porta di acciaio alle loro spalle scivolò nuovamente al suo posto, rinchiudendoli all'interno. Monsieur Delacroix, saggiamente, era rimasto fuori. Qualcun altro, comunque, li stava attendendo dentro il Pozzo. Un uomo coi capelli rosso carota e una sinistra faccia da topo. «Ehi, Noonan», esordì Brandeis, facendosi avanti e stringendogli la mano. Schofield ricordò la descrizione che Knight gli aveva fatto della morte di Gant e dell'uomo coi capelli rossi e la faccia da topo che aveva azionato la ghigliottina. Fissò con occhi torvi l'assassino. Da parte sua, Faccia di Topo si voltò e ricambiò con arroganza il suo sguardo. «Quindi questo è Scarecrow. Non sei che un guastafeste maledettamente fortunato. Ieri sono finito in un sacco di grane per organizzare
quella piccola missione in Siberia. Sistemare la scena. Mandare la ExSol ad aspettarti. Quindi essere sicuro che foste McCabe, Farrell e tu a finire nella trappola. Poi ho tagliato le tue comunicazioni dall'Alaska. McCabe e Farrell non sono stati abbastanza in gamba. Ma tu sì. Tu sei sopravvissuto. Ma non ora. Adesso, non ci sono vie di fuga. Farai la stessa fine che ha fatto la tua ragazza.» Faccia di Topo si girò verso gli uomini della Delta che trattenevano Schofield. «Mettetelo lì.» Schofield fu trascinato sulla ghigliottina da due degli uomini della Delta di Brandeis. La sua testa fu infilata nella gogna, mentre le mani rimasero fuori, legate dietro la schiena. «No!» ordinò una voce dall'alto del Pozzo. Tutti si girarono. Jonathan Killian era sulla balconata, con a fianco Cedric Wexley e dieci uomini della Executive Solutions, oltre a monsieur Delacroix, che li aveva appena raggiunti. «Mettetelo a faccia in su», disse Killian. «Voglio che il capitano Schofield veda la lama arrivare.» Gli uomini della Delta eseguirono l'ordine. Le guide di legno della ghigliottina, lunghe quattro metri, si allungavano lontano da lui verso il soffitto di pietra. Alla loro sommità vide la lama scintillante, sospesa in alto sopra di lui. «Capitano», riprese Killian. «Devo ammettere che, con coraggio e audacia, ha salvato l'ordine mondiale e risparmiato la vita di milioni di persone che non sapranno mai neanche il suo nome. Lei è, nel vero senso della parola, un eroe. Ma la sua vittoria è temporanea. Perché io continuerò a vivere, continuerò a governare e, alla fine, arriverà il mio momento. Lei, invece, sta per scoprire cosa succede realmente agli eroi. Noonan, sganci la lama e poi spari in testa agli angeli custodi del capitano Schofield.» «Killian!» urlò Schofield. Tutti si bloccarono. La voce di Schofield era piatta, fredda. «Verrò a prenderla.» Killian sorrise. «Non in questa vita, capitano. Si proceda.» Faccia di Topo si avvicinò a grandi passi alla ghigliottina e, guardando in basso verso Schofield, impugnò la leva. Contemporaneamente, Wade Brandeis puntò la sua Colt 45 alla testa di Knight. «Ci vediamo all'inferno, Scarecrow», disse Faccia di Topo. Quindi spostò la leva. La lama della ghigliottina scivolò lungo le guide. Schofield non poté far altro che assistere alla sua discesa, verso il suo col-
lo. Chiuse gli occhi e attese la fine. Ma la fine non arrivò. Schofield non sentì nulla. Aprì gli occhi e vide che la lama diagonale della ghigliottina era stata fermata - a trenta centimetri dal suo collo - da una stella shuriken a quattro punte, che si era conficcata con un rumore sordo nella guida di legno. Era stata lanciata da così poco che vibrava ancora. Una frazione di secondo dopo, Aloysius Knight fu salvato da un proiettile che si schiantò sul calcio della pistola di Wade Brandeis, scagliando l'arma in acqua e facendo sgorgare il sangue dalla mano del maggiore della Delta. Schofield si girò e vide un'inaspettata, ma quanto mai benvenuta, apparizione emergere dalle acque del Pozzo degli Squali. Era una visione spaventosa, un guerriero in un'uniforme da battaglia grigia, equipaggiata con propulsori subacquei, shuriken e pistole. Tante, tante pistole. Se la morte esisteva, aveva paura di una sola persona. Di Mother. Mother saltò fuori dell'acqua con un MP-7 in ciascuna mano, sparando all'impazzata. Due dei cinque uomini della Delta caddero subito, colpiti al petto. E gli eventi iniziarono a succedersi a velocità impressionante. A Knight e Rufus l'ingresso di Mother aveva fornito un diversivo sufficiente per sorprendere i loro aguzzini e, insieme, superare con un salto le proprie mani legate, come se saltassero la corda, portando i polsi davanti al corpo. Mother non ebbe bisogno di suggerimenti. Due colpi e le manette di plastica furono storia. Knight e Rufus erano liberi. Sulla balconata, Cedric Wexley mise in azione la sua squadra: mandò quattro uomini nel Pozzo degli Squali e spedì gli altri sei nel corridoio, attraverso l'ingresso posteriore della balconata. Poi prese il suo M-16 e guidò Jonathan Killian fuori della grotta. Giù nel Pozzo, Knight prese un fucile Colt Commando da uno degli uo-
mini della Delta morti e iniziò a sparare ai quattro della ExSol che stavano scendendo dalla balconata. Di fianco a lui, Rufus, ancora disarmato, si girò rapidamente e uccise un terzo uomo della Delta con un colpo a mano aperta sul naso. «Rufus!» gridò Knight. «Tira via Schofield da lì!» Rufus si lanciò verso la ghigliottina. Vicino alla ghigliottina, Noonan tentava di evitare i proiettili impazziti. Poi, approfittando di una breve pausa nella sparatoria, raggiunse la shuriken che teneva ferma la lama della ghigliottina. Se fosse riuscito a toglierla, la lama avrebbe decapitato Schofield. Noonan afferrò la shuriken, ma un colpo da dietro di Rufus lo fece volare via. Atterrò sullo stomaco proprio vicino al bordo della piattaforma di pietra e si trovò faccia a faccia con uno degli squali tigre. Allora rinculò all'istante, rimettendosi in piedi. Rufus, intanto, era saltato vicino a Schofield e, con la copertura del fuoco di Knight, tirò con violenza il ceppo della ghigliottina liberando Schofield. Un colpo di Knight separò le manette di Schofield, ma improvvisamente Rufus spinse Schofield da una parte per fargli scudo col suo stesso corpo. Un istante più tardi, il massiccio soldato fu investito alle spalle da una veloce raffica di proiettili. «Ah!» ruggì, scosso da tre colpi. La raffica proveniva da Wade Brandeis, in piedi su una delle piattaforme di pietra lì accanto, che si stringeva al petto la mano destra ferita, mentre con la sinistra sparava furiosamente con un fucile Colt Commando. «No!» gridò Aloysius Knight. Puntò l'arma verso Brandeis, ma il fucile era scarico, così si lanciò attraverso la viscida piattaforma, scivolando sul petto e finendo contro le gambe di Brandeis. Afferrò l'uomo della Delta ed entrambi caddero nella pozza infestata dagli squali. Libero dalla ghigliottina, Schofield si girò e vide il Topo che barcollava verso la porta d'acciaio. Noonan tirò fuori dalla giacca un telecomando e schiacciò un pulsante. La stretta porta d'acciaio si aprì e Noonan se la svignò. «Maledetto! Merda!» gridò Schofield, correndo dietro di lui. «Mother!» Mother era su una piattaforma vicina, al coperto dietro una delle pietre
disposte casualmente nella caverna e intenta a sparare ai due superstiti della Delta, quando sentì il grido di Schofield. Si girò e scaricò una raffica su Noonan che fuggiva. Non lo centrò, ma i suoi colpi gli tagliarono la strada per l'uscita, obbligandolo a ripararsi dietro un blocco di pietra. Non poté assicurarsi di aver aiutato Schofield, perché quell'attimo di distrazione aveva fornito ai due avversari della Delta il diversivo di cui avevano bisogno. Uno di loro la centrò al petto con una dozzina di colpi in rapida successione del suo Colt Commando. Naturalmente, la sua tenuta da combattimento era a prova di proiettile, così i colpi la fecero solo indietreggiare. Sotto la spinta del fuoco pesante, Mother barcollò all'indietro e, proprio mentre l'uomo della Delta stava alzando il tiro per piantarle un proiettile in testa... si tuffò in acqua, e il colpo letale passò alto. Mother finì sott'acqua. Un breve, misericordioso silenzio. Quindi saltò fuori con la pistola protesa e inchiodò i soldati della Delta un attimo prima che le sparassero. I due caddero a terra, con la faccia ridotta a un ammasso sanguinolento. Mother sospirò di sollievo. E fu allora che sentì uno strano sciabordio nell'acqua attorno a lei. Si girò e vide una grossa onda montare verso di lei: l'alta pinna dorsale di uno squalo tigre che fendeva i flutti, caricandola. «Oh, non è possibile!» urlò. «Non è dannatamente possibile! Sono sopravvissuta fino a ora solo per diventare cibo per pesci!» Sparò allo squalo che si avventava contro di lei. L'animale non rallentò. I colpi di Mother andavano a segno, ma il grosso squalo continuava ad avanzare tra le onde. Lo squalo ancora non rallentava. Balzò fuori dalle acque schiumose, con le fauci aperte, proprio mentre Mother, ancora sparando, alzò istintivamente la gamba sinistra. Lo squalo gliela tranciò. Mother non reagì. La gamba era artificiale, fatta di titanio. Una protesi impiantata a seguito di una ferita riportata in una precedente missione. Due denti dello squalo si ruppero. Ridotti in briciole. «Prova a mangiartela, figlio di puttana», lo sfidò Mother, portando la pistola all'altezza del cervello dello squalo e facendo fuoco.
Lo squalo s'impennò violentemente nell'acqua, ma, quando ricadde, era morto, le fauci strette attorno alla gamba sinistra di Mother, come se anche nel suo ultimo istante di vita non volesse lasciare la sua preda. Mother allontanò con un calcio lo squalo di tre metri e saltò fuori dell'acqua per tornare nella mischia. Mentre Mother affrontava lo squalo, dall'altra parte della caverna Schofield era corso dietro Noonan e lo aveva fermato, sgambettandolo, proprio mentre stava per raggiungere l'uscita della grotta. L'uomo dell'ISS cercò di liberarsi con un calcio, ma Schofield lo scagliò nuovamente nella grotta e cominciò a colpirlo, con cattiveria. Un colpo: Noonan barcollò all'indietro. «So che sei stato tu a tirare la leva...» disse con un ghigno Schofield. Secondo colpo: il naso di Noonan si ruppe, schizzando sangue. «So che è morta provando terrore...» Terzo pugno: Noonan dovette dire addio alla sua mascella. L'uomo scivolò, perdendo l'equilibrio. «Hai ucciso una cosa bellissima...» Schofield prese Noonan con due mani e lo scaraventò nella ghigliottina. La testa di Noonan scivolò nell'incavo del ceppo sotto la lama, affilata come un rasoio, ancora bloccata dalla shuriken. «E adesso morirai nel terrore...» Schofield estrasse la shuriken dalle guide della ghigliottina e la lama completò la sua discesa. «No!» urlò Noonan. «Noooo!» La testa da topo di Noonan cadde sul pavimento di pietra come una palla di gomma. Le palpebre sbatterono rapidamente per alcuni istanti prima di fermarsi, congelate per sempre in uno sguardo di assoluto e completo terrore. A dieci metri dalla ghigliottina, annaspando nell'acqua infestata dagli squali, Aloysius Knight stava combattendo con Wade Brandeis. Dato il loro comune addestramento nella Delta, la lotta era alla pari, e così si scambiavano colpi e mosse, tuffandosi e affondando sott'acqua in un combattimento il cui epilogo poteva essere solo la morte. A un certo punto riemersero faccia a faccia. Solo che adesso Brandeis aveva una piccola pistola premuta contro la gola di Knight. Lo aveva in pugno. «Ho sempre avuto dei guai con te, Knight!»
Knight parlò con la mascella serrata. «Lo sai, Brandeis, fin da quella notte in Sudan ho pensato a migliaia di modi per ucciderti. Ma devo ammettere che non avevo mai pensato a questo.» «Eh?» grugnì Brandeis. Knight, con una mossa fulminea, mise Brandeis direttamente sulla traiettoria del secondo squalo tigre che stava caricando. Il grande squalo di tre metri si avventò contro Brandeis a tutta velocità, catturandolo nelle fauci, coi denti che si chiudevano a pochi centimetri da Knight. Ma lo squalo aveva occhi solo per Brandeis, attratto dalla sua mano sanguinante. «Dormi con un occhio aperto, brutto stronzo», sentenziò Knight. Brandeis poté solo ricambiare lo sguardo di Knight e gridare mentre veniva divorato vivo. Knight si arrampicò fuori dell'acqua, lontano dalla schiuma sanguinante che una volta era stata Wade Brandeis, e si diresse verso Schofield. I due si ritrovarono dietro la ghigliottina, nel punto in cui Schoffield aveva trascinato Rufus ferito fuori della linea di fuoco dei quattro uomini della ExSol, che, in quel momento, stavano attraversando il Pozzo degli Squali lungo le piattaforme di pietra. Schofield aveva anche raccolto alcune armi: due fucili d'assalto Colt Commando, un MP-7 e una delle pistole H&K da 9 mm di Knight, oltre alla tenuta da combattimento, con tutti i suoi accessori, sempre di Knight, tolta a uno degli uomini della Delta. Mother li raggiunse. «Ehi, Mother», disse Knight. «L'ultima volta che ti ho visto eri dentro la cabina di manutenzione della Talbot, un attimo prima che i ragazzi di Demon la facessero saltare in aria. Come hai fatto, sei uscita dal pavimento?» «'Fanculo il pavimento», replicò Mother. «Quella dannata cabina era appesa al soffitto della stiva. C'era un portello ed è da lì che sono passata. Ma poi, ovviamente, l'intera nave è affondata...» «Ma come hai fatto a trovarci?» chiese Knight. Mother tirò fuori un Palm Pilot dalla custodia impermeabile della sua tuta. «Tu hai un sacco di giocattoli carini, Knight. E tu», Mother si rivolse a Schofield, «hai addosso un sacco di MicroDot, mio caro.» «Felice di vederti, Mother», la salutò Schofield. «È bello riaverti con noi.» Una scarica di proiettili degli uomini della ExSol colpì la ghigliottina.
Schofield si volse rapido, guardando la porta tre metri più in là. «Devo andare di sopra per prendere Killian. Mother, resta con Rufus e occupati di questi stronzi. Knight, tu puoi restare o venire. A te la scelta.» Knight sostenne il suo sguardo. «Vengo.» Schofield, con ancora indosso la sua uniforme strappata, diede a Knight uno dei fucili, la pistola da 9 mm e la tuta da combattimento che aveva recuperato. «Tieni. Sai usare questi aggeggi meglio di me. Muoviamoci. Mother, fuoco di copertura.» Mother sollevò la pistola e iniziò a sparare ai mercenari della ExSol. Schofield si lanciò verso la porta. Knight partì dopo di lui, ma non prima di prendere velocemente qualcosa a Mother. «Perché l'hai preso?» gridò Mother alle sue spalle. «Credo che mi possa servire», fu tutto quello che Knight rispose prima di scomparire attraverso la porta di pietra, dietro Schofield. *** Black Knight e Scarecrow, il Cavaliere Nero e lo Spaventapasseri. Lanciati su per la scala a chiocciola che risaliva dalle profondità della grotta: due guerrieri di uguale e spaventosa abilità, che si coprivano l'un l'altro, muovendosi in coppia, coi fucili Colt Commando che eruttavano fuoco come impazziti. I sei uomini della ExSol di guardia sulla scala non avevano la minima possibilità. Come Schofield aveva sospettato, Cedric Wexley aveva disposto i mercenari che gli erano rimasti in modo da tagliare loro la via di fuga. Gli uomini della ExSol si erano divisi in tre coppie, posizionate a intervalli regolari lungo la scala, e sparavano da nicchie nei muri. La prima fu fatta a pezzi dal fuoco dei due guerrieri che risalivano. La seconda coppia non fece neanche in tempo a sentirli arrivare che due shuriken schizzarono oltre l'angolo della scala, volteggiarono nell'aria come boomerang e si piantarono nei loro crani. La terza coppia era stata più astuta. Avevano preparato una trappola. Avevano atteso alla sommità della scala, dentro la lunga galleria dopo l'anticamera: il corridoio coi condotti per l'olio bollente, lo stesso che portava all'ufficio dell'esaminatore, dove ora si trovavano Wexley, Killian e Delacroix. Schofield e Knight arrivarono in cima alla scala, videro i due mercenari
nella galleria e, più avanti, gli altri. Ma stavolta, quando Schofield si mosse, Knight non lo segui. Schofield si lanciò attraverso l'anticamera, sparando ai mercenari nella galleria e abbattendoli. «No, aspetta! E una trap...» urlò Knight. Troppo tardi. Le tre grandi porte d'acciaio scesero rombando dal soffitto della galleria e dell'anticamera. Una quarta chiuse la scala che dall'anticamera conduceva verso il basso. Schofield e Rnight erano separati: uno intrappolato nella galleria coi due mercenari della ExSol a terra, l'altro nell'anticamera. Schofield s'irrigidì. Colpì i mercenari che giacevano scomposti sul pavimento: uno morto, l'altro agonizzante. La voce di Killian arrivò da un altoparlante: «Capitano Schofield. Capitano Knight. È stato un piacere conoscervi...» Knight si girò nell'anticamera e vide i sei emettitori di microonde disposti in cerchio attorno al soffitto, incassati nella roccia. «Merda...» sospirò. La voce di Killian rimbombò: «... ma la partita finisce qui. Comunque devo ammettere che avete venduto cara la pelle». All'interno dell'ufficio, Killian scrutò attraverso la piccola finestra di perspex che gli permetteva di vedere la galleria. Lì dentro c'era Schofield, intrappolato come un topo. «Addio, signori.» Killian premette i due pulsanti del telecomando che attivavano le trappole: gli emettitori di microonde nell'anticamera e i condotti dell'olio bollente nella galleria. All'inizio, Killian percepì le vibrazioni ronzanti provenienti dall'anticamera, seguite subito dal fragore di ripetuti colpi di pistola. Era già successo in precedenza. Alcuni avevano tentato, sparando, di aprirsi la strada attraverso le porte d'acciaio. Non aveva mai funzionato. In un paio di occasioni, qualcuno aveva anche provato a sparare agli emettitori di microonde, ma i proiettili non potevano raggiungerli nelle loro nicchie incas-
sate nella pietra. Poi, con un getto esplosivo, l'olio giallo rovente si sparse sulla piccola finestra di perspex che separava Killian dalla galleria, impedendogli di vedere Shane Schofield. Ma non aveva bisogno di guardare per sapere cosa stesse succedendo. Mentre l'olio bollente si spargeva lungo la galleria, Killian sentiva le urla di Schofield. *** Un minuto più tardi, dopo che le grida e i colpi furono terminati, Killian aprì le porte d'acciaio. E si trovò davanti una scena sorprendente. C'erano i corpi dei due uomini della ExSol riversi nel corridoio, coperti di vesciche e scorticati dall'olio bollente. Uno di essi aveva le braccia irrigidite in posizione di difesa: era morto urlando nell'agonia, cercando di proteggersi dall'olio. Schofield, tuttavia, non si vedeva da nessuna parte. Al suo posto, all'estremità opposta della galleria, c'èra una forma scura delle dimensioni di un uomo. Una sacca per cadaveri, in posizione verticale. Era una sacca di plastica nera. Una Markov Tipo-III, per essere precisi. La migliore che i sovietici avessero mai realizzato: l'unico oggetto che Wade Brandeis non aveva preso dalla tenuta di Schofield. Capace di trattenere al suo interno ogni tipo di contaminazione chimica, sembrava ora essere riuscita a tenere fuori l'olio bollente. In un lampo la cerniera della sacca si aprì e apparve Schofield, col suo MP-7 spianato. Il primo colpo prese la mano di Killian, facendo volare via il telecomando: così le porte del corridoio rimasero aperte. Il secondo tranciò il lobo dell'orecchio sinistro di Killian. Vedendo l'arma in mano a Schofield, Killian di riflesso si era riparato dietro lo stipite della porta. Fosse stato un nanosecondo più lento, il colpo gli avrebbe staccato la testa. Schofield si lanciò per la stretta galleria verso l'ufficio, con l'MP-7 che vomitava proiettili. Cedric Wexley rispose al fuoco, tenendosi al coperto dietro la porta del-
l'ufficio. I proiettili volavano da tutte le parti. Schegge di pietra cadevano dalle colonne che sostenevano le pareti della galleria. La vetrata panoramica che occupava un'intera parete dell'ufficio andò completamente in pezzi alle spalle di Wexley. Ma, in una situazione di stallo come quella, la questione era: chi avrebbe finito le munizioni per primo? Schofield o Wexley? Schofield. A meno di tre metri dalla porta dell'ufficio. «Merda!» gridò, gettandosi dietro una colonna che a malapena lo nascondeva. Wexley sorrise: era suo. Ma proprio allora, stranamente, un'altra sorgente di fuoco assalì la postazione di Wexley, fuoco che proveniva da dietro Schofield. Anche Schofield rimase sconcertato. Si girò e vide Aloysius Knight che correva lungo la galleria, col suo Colt Commando spianato che sputava fuoco. Schofield gettò un'occhiata veloce verso l'anticamera. Sul pavimento di pietra c'erano bossoli da 9 mm - una dozzina -, resti della scarica di colpi di Knight durante l'attivazione degli emettitori di microonde. Ma non erano bossoli normali. Avevano attorno una striscia arancione. I sei emettitori di microonde nell'anticamera potevano resistere a proiettili normali, è vero, ma non ai proiettili a espansione di gas di Knight. La copertura di Knight era tutto quello di cui Schofield aveva bisogno. Wexley fu costretto a rispondere al fuoco e in breve rimase anche lui senza munizioni. Sfortunatamente fu così anche per Knight. Schofield saltò allo scoperto e si gettò di corsa nell'ufficio, colpendo Wexley sul naso già rotto e rompendoglielo di nuovo. Wexley urlò per il dolore. Wexley e Schofield iniziarono a lottare. Un combattimento brutale a mani nude. Commando sudafricano contro marine statunitense. Ma, mentre s'ingaggiavano in un turbinio di mosse e parate, comparve Delacroix: estrasse dal polsino destro un luccicante coltello e fece un allungo verso Schofield. La lama arrivò a pochi centimetri dalla sua schiena prima che il polso di Delacroix venisse bloccato da una presa straordinariamente forte: Delacroix si ritrovò a fissare gli occhi di Aloysius Knight. «Questo non è leale», disse Knight, un attimo prima di essere pugnalato
profondamente alla coscia da un secondo coltello, sbucato dall'altro polsino di Delacroix. Le mani di Delacroix che brandivano coltelli si mossero come lampi, costringendo Knight, zoppicante, a indietreggiare fuori della porta. Le lame erano gli oggetti più affilati che Knight avesse mai visto. O sentito. Una di esse saettò sulla sua faccia, disegnando una linea di sangue sulla guancia. Quello che era stato fino a quel momento un azzimato banchiere svizzero si era trasformato in un perfetto killer, che esibiva una straordinaria abilità con i coltelli... «Guardia svizzera, eh, Delacroix?» disse Knight mentre indietreggiava. «Non me lo avevi mai raccontato. Carino. Molto carino.» «Nel mio campo», replicò sogghignando Delacroix, «bisogna sapersela cavare da solo.» Schofield e Wexley lottavano nella galleria. Wexley era più grosso e più forte di Schofield, e tutt'altro che impacciato. Schofield, comunque, era più rapido: i suoi ormai famosi riflessi gli permettevano di evitare i colpi letali di Wexley. Ma, dopo le fatiche delle precedenti ventiquattr'ore, lo schianto dell'X-15 e il viaggio sino in Francia, non era al massimo della forma. Perciò sferrò un colpo in maniera scoordinata. Wexley lo colpì approfittando dell'errore: un fulminante pugno sul naso che avrebbe ucciso chiunque altro. Schofield barcollò, ma nel cadere riuscì a sferrare a sua volta un colpo spietato al pomo d'Adamo di Wexley. I due uomini caddero nel medesimo istante: Wexley finì scompostamente oltre la porta, tossendo, mentre Schofield crollò contro lo stipite. Wexley gemette e si sollevò in ginocchio, estraendo un coltello da caccia Warlock dallo stivale. «Troppo tardi, stronzo», disse Schofield. In realtà, non impugnava un'arma, ma qualcosa di meglio: il telecomando di Killian. «Questo è per McCabe e Farrell.» E premette un pulsante. Immediatamente la porta d'acciaio si abbatté sulla testa di Wexley come un maglio, premendola contro il pavimento di pietra, e, con un rumore secco, la frantumò in un istante. Con Wexley morto, Schofield tornò a cercare l'uomo che voleva davve-
ro. Lo vide in piedi dietro la scrivania. Jonathan Killian. *** Knight stava ancora combattendo con Delacroix quando vide Schofield avvicinarsi a Killian accanto alla scrivania. Non era Killian a preoccuparlo. No. Knight era preoccupato per quello che Schofield stava per fare. Ma non poteva allontanarsi da Delacroix... Schofield si fermò davanti a Killian. Il contrasto non avrebbe potuto essere più evidente. Schofield era coperto di polvere e sudiciume, sanguinante, ammaccato ed esausto. Invece, a parte l'orecchio colpito di striscio dal proiettile e la mano ferita, Killian era relativamente pulito, con gli abiti ancora in piega. La vetrata panoramica ridotta in frantumi si apriva sull'Atlantico alle sue spalle. Fuori la tempesta ruggiva, i lampi solcavano il cielo e la pioggia si riversava anche dentro l'ufficio. Schofield fissò Killian senza emozione. Killian sorrise leziosamente. «Allora, capitano Schofield. Quali sono le sue intenzioni, ora? Uccidermi? Sono un civile indifeso. Non ho avuto un addestramento militare e sono disarmato.» Gli occhi di Killian si strinsero. «Quindi, non penso che lei mi possa uccidere. Perché se mi uccide adesso, a sangue freddo, lei sancirà la mia vittoria. Un atto del genere avrà un solo significato: che io l'ho distrutta. Ho trasformato l'ultimo uomo onesto del mondo in un sicario dal cuore di pietra. E solo perché ho ucciso la sua ragazza.» Schofield rimase immobile. Quando alla fine parlò, la sua voce era bassa, pericolosa. «Lei una volta mi ha detto che gli occidentali non comprendono i terroristi che s'imbottiscono di esplosivo e si fanno saltare», disse lentamente. «Perché i terroristi suicidi non combattono lealmente. La battaglia è senza significato per un uomo-bomba, perché quello che gli interessa è vincere una guerra molto più importante: una guerra psicologica in cui chi muore in uno stato di paura e terrore, chi muore contro la propria volontà, è quello che perde.» Schofield s'interruppe. «Mentre chi muore quand'è emoti-
vamente pronto, vince.» Killian si accigliò. Schofield non si mosse, neanche quando un sorriso nichilista attraversò il suo volto. Poi afferrò saldamente Killian per la gola, avvicinò il miliardario al proprio viso e ringhiò: «Lei non è emotivamente pronto a morire, Killian. Ma io sì. Quindi ho vinto». «Gesù Cristo, no...» balbettò Killian, realizzando cosa stesse per accadere. «No!» Tenendo stretto a sé l'incredulo Jonathan Killian, Shane Schofield fece un passo oltre la finestra panoramica, fuori, nella tempesta, ed entrambi, l'eroe e il vigliacco, caddero insieme per centoventi metri verso le rocce frastagliate. Nello stesso momento in cui Schofield tirava Killian vicino al proprio viso, Aloysius Knight aveva avuto ragione di Delacroix. Un rapido scarto verso sinistra aveva indotto Delacroix a piantare uno dei suoi coltelli in profondità nella parete ricoperta di pannelli di legno, lasciando così il tempo a Knight di estrarre il cannello ossidrico dalla tenuta da combattimento e schiaffarla nella bocca di Delacroix. La fiamma blu attraversò da parte a parte la testa di Delacroix, spargendo brandelli di cervello bruciato nella stanza. Il banchiere svizzero cadde morto all'istante, con un foro sfrangiato nella testa. Poi, Knight ebbe giusto il tempo di vedere Shane Schofield fare un passo fuori della finestra, tirandosi dietro Killian. Schofield precipitò nella pioggia con Jonathan Killian accanto. L'ammasso roccioso su cui sorgeva il castello sfrecciava di fianco a loro e, sotto, Schofield vedeva le rocce, battute dalle onde dell'Atlantico, che avrebbero posto fine alla sua vita. Mentre precipitava, una strana pace lo pervase. Era la fine e lui era pronto. Poi, improvvisamente, proveniente dal nulla, qualcosa lo afferrò saldamente da dietro e lo fece sobbalzare con un senso di nausea. Smise di precipitare. Jonathan Killian, invece, continuò a cadere e scomparve nella pioggia prima di schiantarsi sulla scogliera, dove si piegò in un angolo innaturale ed esplose in una pazzesca deflagrazione del suo stesso sangue. Aveva
continuato a urlare per tutta la durata di quel volo mortale. Schofield era sempre sospeso a mezz'aria. In realtà, era semplicemente agganciato alla fune di un Maghook, il Maghook che Aloysius Knight aveva preso a Mother. Un ultimo, disperato tentativo: Knight aveva sparato il Maghook nell'istante in cui aveva raggiunto la finestra, un secondo dopo il salto di Schofield, e l'estremità magnetica si era attaccata alla placca metallica cucita all'interno della tenuta di Schofield. Schofield venne issato nell'ufficio come un pesce all'amo. Quando fu arrivato all'altezza della finestra, Knight lo tirò dentro. «Mi dispiace, amico», disse Knight. «Ma non potevo lasciarti andare così. Comunque sia, credo che tu abbia fatto valere le tue ragioni con Killian.» Dieci minuti più tardi, mentre il sole sorgeva all'orizzonte, una solitaria Aston Martin si allontanò veloce dalla fortezza di Valois con Aloysius Knight alla guida e Shane Schofield, Mother e Rufus all'interno. La macchina imboccò la strada che s'inerpicava lungo il fianco della scogliera verso la pista d'atterraggio. Lì, dopo un breve scontro a fuoco dall'esito ovvio, i quattro s'impossessarono di un elicottero della Axon e volarono via verso l'alba. *** Nei mesi seguenti, in giro per il mondo si verificò una strana serie d'incidenti. Solo una settimana più tardi, a Milano, fu rivelato che un velivolo era stato rubato da uno degli hangar della fiera Aerostadium. Dopo aver annullato la presentazione del famoso aereo razzo statunitense X-15, quello non era certo il genere di pubblicità di cui gli organizzatori avessero bisogno. Comunque, i testimoni dichiararono che l'aereo rubato era un caccia nero dalla forma affusolata che era decollato, così avevano riferito, verticalmente. Per quanto quella descrizione corrispondesse a un Sukhoi russo sperimentale S-37, il portavoce della fiera e dell'aeronautica italiana puntualizzarono che non era stata mai prevista la partecipazione alla manifestazione di quel modello di aereo. Poco prima di Natale, una serie di lutti colpì alcune tra le famiglie più
ricche del mondo. Randolph Loch scomparve durante un safari in Sudafrica. Non fu mai trovato il corpo di nessuno dei componenti della sua squadra di caccia. A marzo, l'armatore greco Cornelius Kopassus fu stroncato da un attacco cardiaco nel sonno. Arthur Quandt fu trovato morto con la sua amante nella sauna del suo cottage ad Aspen. Warren Shusett fu assassinato nella sua isolata tenuta di campagna. J.D. Cairnton, il tycoon dell'industria farmaceutica, fu investito e ucciso da un camion nei pressi della sede della sua compagnia a New York. L'autista del camion non fu mai rintracciato. Gli eredi presero il controllo dei loro imperi e il mondo se ne fece una ragione. L'unico collegamento tra quelle morti era in un memorandum confidenziale per il presidente degli Stati Uniti. C'era scritto solo: SIGNORE, È FINITA, MAJESTIC-12 NON ESISTE PIÙ. MAIORCA, SPAGNA 9 NOVEMBRE, ORE 11.00 La Volkswagen girò nella pittoresca piazzetta lastricata di ciottoli sull'isola spagnola di Maiorca, il famoso e lussuoso nascondiglio per i ricchi che non amano la pubblicità. «E adesso dove stiamo andando?» chiese Rufus. «A incontrare la persona che ci ha assunto per tenere in vita il capitano Schofield», rispose Knight, e parcheggiò vicino a un caffè. Li stava aspettando. Era seduta a uno dei tavolini sul marciapiede, fumando una sigaretta, con gli occhi nascosti dietro un paio di occhiali da sole di Dior. Era una donna dall'aspetto molto distinto, oltre i quaranta, capelli scuri, zigomi alti, pelle di porcellana, e il suo atteggiamento era al contempo raffinato, educato e sicuro di sé. Il suo nome era Lillian Mattencourt. La proprietaria miliardaria dell'impero dei cosmetici Mattencourt. La donna più ricca del mondo. «Chi altri se non il mio cavaliere nella sua scintillante armatura», disse lei mentre si avvicinavano al tavolo. «Aloysius, mio caro. Siediti.»
Dopo il tè, la Mattencourt sorrise caldamente. «Caro Aloysius, ti sei comportato bene. E sarai ricompensato generosamente.» «Perché?» chiese Knight. «Perché non voleva che fosse ucciso?» «Oh, mio impetuoso giovane cavaliere», replicò Lillian Mattencourt. «Non è ovvio?» Knight espose la sua teoria. «Majestic-12 voleva iniziare una nuova Guerra Fredda e Jonathan Killian sognava l'anarchia globale. Ma i suoi affari prosperano quando il mondo è in pace. Lei desidera che le persone si sentano sicure, tranquille, per essere dei piccoli consumatori felici. Le sue fortune si basano sul mantenimento di una pace e di una prosperità globali. Nessuno acquista cosmetici durante i periodi di guerra. La guerra l'avrebbe rovinata.» La Mattencourt fece un cenno di disapprovazione. «Mio caro ragazzo, sei sempre così cinico? Certo, quello che hai detto è vero. Ma è solo una piccola parte del mio ragionamento.» «E il resto in che cosa consiste?» La Mattencourt sorrise. Quindi il suo tono divenne serissimo. «Aloysius, nonostante il fatto che io abbia entrate nette superiori a quelle di molti di loro, e nonostante il fatto che mio padre una volta fosse membro del loro piccolo circolo, per molti anni, per la sola e unica ragione che sono una donna, Randolph Loch e i suoi amici hanno continuamente rifiutato di accogliermi nel loro Consiglio. In poche parole, dopo aver sopportato per anni le loro infantili allusioni e irrisioni a sfondo sessuale, ho deciso che ne avevo abbastanza. Così, quando ho saputo della caccia all'uomo dalle mie fonti nel governo francese, ho capito che era arrivato il momento d'impartire loro una lezione. Avevo deciso, Aloysius, di distruggerli. E la maniera migliore per raggiungere quell'obiettivo era boicottare il loro prezioso piano. Se volevano che certe persone morissero, allora io le avrei salvate. Se desideravano distruggere l'ordine globale esistente, allora io l'avrei preservato. Avevo sentito parlare del capitano Schofield. La sua reputazione è ben nota. Come te, è un giovane decisamente in gamba. Se qualcuno poteva sconfiggere Majestic-12, quello era lui. Con te al suo fianco. Così ho scelto che fosse lui l'uomo da proteggere.» Lillian Mattencourt alzò il naso e inalò l'aria fresca del Mediterraneo, il segnale che l'incontro era finito. «Ora va', mio coraggioso, piccolo soldatino. Va' via. Hai fatto il tuo lavoro e l'hai fatto bene. Entro stasera, i tuoi soldi saranno depositati sul tuo
conto: centotrenta milioni di dollari, l'equivalente, se non sbaglio, di sette teste.» E con quello si alzò, indossò il suo cappello e lasciò il caffè, dirigendosi verso la Mercedes 500 sul lato opposto della piazza. Era all'interno della macchina e quasi sul punto di accendere il motore, quando Knight notò un'ombra in un vicolo non lontano. «Maledetto bastardo!» esclamò Knight una frazione di secondo prima che Lillian Mattencourt girasse la chiave. L'esplosione investì la piazza. Le piante decorative furono scagliate ovunque, gli ombrelloni dei caffè volarono via e i passanti cominciarono a correre verso i rottami in fiamme della Mercedes di Lillian Mattencourt. L'uomo nascosto nel vicolo camminò con noncuranza verso il tavolo di Knight e si sedette al suo fianco. Il viso ustionato e la testa pelata erano celati da un paio di occhiali da sole e un cappello. «Che mi venga un colpo se non è Demon», disse Knight in tono sarcastico. «Salve, Knight. Due settimane fa mi hai derubato. Hai presente l'aereo da trasporto che viaggiava tra l'Afghanistan e la Francia? Tre teste, se ricordo bene. Valevano 55,8 milioni di dollari.» Knight vide altri tre membri dell'IG-88 lì attorno, con le pistole sotto le giacche. Nessuna via di fuga. «Oh, sì, certo.» La voce di Demon Larkham era bassa. «Altri vi avrebbero ucciso per quello che avete fatto, ma io non sono il tipo. Per come la vedo, cose come queste capitano nel nostro mestiere. È la natura del gioco e mi piace. Detto questo, considerati questo sfortunato incidente» - Demon accennò ai resti fumanti della macchina di Lillian Mattencourt - «e la vostra ricompensa che si è appena volatilizzata, per quanto mi riguarda il debito è stato saldato. Cosa ne pensi?» «Devo dire che è una buona idea», rispose Knight seccamente. «Fino a quando non ci incontreremo di nuovo», concluse il Demone, alzandosi in piedi. «Alla prossima caccia.» E con quello, Demon Larkham e i suoi uomini se ne andarono, e tutto quello che Aloysius Knight poté fare fu fissarli tristemente e scuotere la testa. CASA DI MOTHER
RICHMOND, VIRGINIA, STATI UNITI 1 MARZO, ORE 12.00 Il sole splendeva sul barbecue nel giardino di Mother. Era domenica e un po' di amici si erano ritrovati per passare il pomeriggio insieme. Ralph, il marito camionista di Mother, si occupava delle salsicce con una spatola enorme. I loro nipoti erano in casa e cantavano l'ultimo successo di Britney Spears. David Fairfax si era accomodato su una sdraio sotto il filo per il bucato, con una birra, e chiacchierava con Book II e Mother a proposito delle avventure del passato ottobre: inseguimenti nei parcheggi vicino al Pentagono, battaglie negli studi legali di Londra, cacciatori di taglie zulu, cacciatori di taglie inglesi, assalti a superpetroliere da un capo all'altro del mondo. Parlarono anche di Aloysius Knight. «Ho sentito che il governo ha ripulito il suo dossier, ha cancellato il mandato contro di lui e lo ha tolto dalla lista dei più ricercati», disse Fairfax. «Hanno anche detto che, se volesse, potrebbe tornare nelle forze speciali.» «E lo farà?» chiese Book II. «Non penso neanche che tornerà negli Stati Uniti», rispose Fairfax. «Mother, cosa ne sai di Knight?» «Telefona ogni tanto. No, non è tornato in America. Anche io, se fossi in lui, non verrei. Per quanto riguarda le forze speciali, credo che Knight non sia più un soldato. È un cacciatore di taglie, ormai.» Parlare di Knight spinse Mother a girarsi. Nell'angolo del cortile, da solo, sedeva Schofield, rasato e con indosso i jeans, una maglietta e un paio di occhiali Oakley a specchio. Sorseggiava una Coca, fissando il cielo. Praticamente non aveva parlato con nessuno da quand'era arrivato, cosa non inusuale in quel periodo. La morte di Gant in Francia lo aveva scosso duramente. Era in licenza illimitata da un po' e non sembrava intenzionato a tornare presto in servizio. Nessuno voleva forzarlo. Ma proprio allora, mentre Ralph stava soffriggendo le cipolle, suonò il campanello dell'ingresso. Consegna del corriere. Una grossa busta di cartone. All'attenzione di Shane Schofield. Mother la portò a Schofield in cortile. Lui l'aprì. All'interno c'era un cartoncino di auguri con una buffa vignetta: un cowboy e la scritta LA TUA
NUOVA VITA COMINCIA OGGI, STALLONE. Dentro c'era un messaggio scritto a mano: Scarecrow, mi dispiace non essere potuto venire oggi, ma mi è stato offerto un nuovo lavoro. Ho parlato con Mother recentemente e mi sono reso conto che, quattro mesi fa, avrei dovuto dirti una cosa. Come forse sai, il mio impegno contrattuale era cessato nel momento in cui avevi disinnescato il missile contro La Mecca. E mio compito era di mantenerti in vita «fino alle 12.00 del 26 ottobre o fino a quando i motivi per cui il capitano Schofield debba essere eliminato non siano stati completamente rimossi». Non sono mai andato oltre i termini di un contratto prima. In effetti, ho davvero pensato di lasciarti nel Pozzo degli Squali. Dopotutto, in quel momento, le ragioni per la tua eliminazione erano state completamente superate. Ma, dopo aver visto come i tuoi uomini, e le tue donne, ti erano restati al fianco nel corso di quella terribile giornata, dopo aver visto la loro lealtà nei tuoi confronti, ho deciso di restare e di combattere al tuo fianco. La lealtà non è un dono del cielo, capitano. È una cosa che si conquista con atti disinteressati: una parola di conforto, un gesto d'amicizia, un atto di benevolenza non richiesto. I tuoi uomini ti erano leali, capitano, perché sei un uomo tra i più rari: una brava persona. Per favore, continua a vivere. Ci vorrà del tempo, lo so. Ma non lasciare il mondo proprio adesso: può essere un posto terribile, è vero, ma è anche un posto bellissimo e, ora più che mai, ha bisogno di persone come te. E sappi questo, Shane «Scarecrow» Schofield. Ti sei guadagnato la mia lealtà, qualcosa di cui nessun uomo ha beneficiato da molto tempo. In ogni momento, ovunque, se avrai bisogno d'aiuto, chiamami e io ci sarò. Il tuo amico, il Cavaliere Nero
P.S. Sono sicuro che proprio ora lei ti sta guardando. Schofield ripiegò il biglietto, si alzò e s'incamminò lungo il vialetto del cortile, dirigendosi verso la sua macchina parcheggiata sulla strada. «Ehi!» lo chiamò Mother. «Dove stai andando?» Schofield si girò e sorrise; un sorriso triste ma gentile. «Grazie, Mother. Grazie di esserti preoccupata per me. Te lo prometto, non ce ne sarà più bisogno.» «Cosa farai?» «Cosa farò? Voglio ricominciare a vivere.» La mattina seguente si presentò all'ufficio personale dei marine presso la sede della US Navy di Arlington. «Buongiorno, signore», disse al colonnello a capo dell'ufficio. «Sono il capitano Shane Schofield. Scarecrow, signore. Sono pronto per tornare al lavoro.» RINGRAZIAMENTI Non so se per voi è lo stesso, ma per me, quando leggo un libro, di solito la maggior parte dei nomi citati nella pagina dei ringraziamenti non significa molto. Si tratta di amici dell'autore o di persone che lo hanno aiutato nelle ricerche o nella pubblicazione. Però, lasciatemelo dire, un solenne ringraziamento pubblico è precisamente ciò che quelle persone meritano. Nei miei libri precedenti, nella pagina dei ringraziamenti ho scritto queste parole: «A chiunque conosca uno scrittore, perché non sottovaluti mai l'importanza del proprio incoraggiamento». Credetemi, gli scrittori, anzi tutte le persone creative, vivono d'incoraggiamenti. Sono questi che ci guidano, ci spingono ad andare avanti. Una parola d'incoraggiamento può mettere in ombra migliaia di stroncature. Perciò - anche se tu, caro lettore, forse non le conosci tutte -, sappi che le persone che elencherò qui di seguito, in qualche modo, sono state per me fonte d'incoraggiamento. Questo libro è migliore grazie a loro. E allora cominciamo. Gli amici: Grazie, ancora una volta, a Natalie Freer, per la sua presenza, il suo sorriso e per aver letto ancora una volta il libro a blocchi di sessanta pagine; a John Schrooten, a mia madre e a mio fratello Stephen, per avermi detto
che cosa pensavano davvero. E a mio padre per il suo sostegno silenzioso. A Nik e Simon Kozlina, per avermi portato fuori a bere un caffè quando ne avevo bisogno, e a Bec Wilson per le cene tutti i mercoledì sera. A Daryl e Karen Kay, a Don e Irene Kay, perché sono stati intelligenti lettori «di prova», osservatori acuti e schietti e grandi amici. I collaboratori: Uno speciale ringraziamento a Richard Walsh della BHP Billiton, per avermi fatto da guida durante la fantastica visita a una miniera di carbone ad Appen: le scene nella miniera di questo libro sono più realistiche grazie a quell'esperienza. E grazie a Don Kay per aver sistemato l'introduzione. E ovviamente, ancora una volta, un sincero ringraziamento ai miei favolosi consulenti militari, il capitano Paul Woods dell'esercito degli Stati Uniti e Kris Hankison, sottufficiale in pensione dei marine. È incredibile quanto sanno questi due personaggi. Ma qualsiasi errore nel libro è opera mia ed è stato commesso nonostante le loro obiezioni! E, ancora, grazie a tutti quelli della Pan Macmillan per un altro grande sforzo. C'è un gruppo meraviglioso alla Pan Macmillan: dai redattori agli addetti dell'ufficio stampa fino alla divisione commerciale. A chiunque conosca uno scrittore, perché non sottovaluti mai l'importanza del proprio incoraggiamento. FINE